“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 59.
“SOTTO AI PORTICI E ALLE VOLTE DI RIALTO …”
Nel 1459 si ricordava che sotto ai portici di San Giacometto di Rialto, sul nuovo muro costruito per separare la Pescaria dalla Piazza per lo sbarco dei Nobili, c’era un Mappamondo dipinto con le mappe marittime del Mediterraneo e anche oltre dove s’inventavano e programmavano gli itinerari delle spedizioni e dei viaggi commerciali, e si pattuivano i “Contratti di Sicurtà”. Era una specie di grande Portolano inscenato all’aperto, a disposizione e sotto gli occhi di tutti. Lì mettevano insieme i capitali e le somme da spendere, contattavano Notai, Banchieri e Assicuratori, si consorziavano le alleanze commerciali delle “Maone di Viaggio”,e si progettavano i carichi delle Galee delle Mude di Stato fornite e protette dalla Serenissima scovandone e investendone il Capitano da Mar che le guidava. Proprio là sotto si decidevano e calcolavano gli investimenti e i ritorni economici, si decidevano le rotte e le regole del viaggio, si calcolavano rischi, spese e guadagni, si sceglievano e differenziavano uomini e merci per quelle imprese redditizie ma altamente rischiose.
In un certo senso confluiva a Venezia tutto quanto si scambiava, vendeva e contrattava nelle Fiere e nei Mercati dell’Europa e del Nord dall’autunno e fino alla Quaresima e Pasqua. Tutti il meglio dei prodotti confluiva via terra o mare a Venezia soprattutto in Primavera per la grande Fiera della Sensa, e da qui prendeva la via del mare e dell’Oriente e dell’Africa. Viceversa, in Autunno e prima di Natale da Venezia partiva e s’espandeva il prezioso commercio contrario che si riversava sull’intero mondo Europeo e Transalpino. E così via … in un’andata e ritorno redditizia e senza fine … Ciò che all’origine nelle terre lontane costava 10 spesso giungeva e poteva quasi centuplicare di valore sulla piazza di Venezia: erano affari ! E che affari …
Nel 1460, ossia l’anno dopo, al Mercato di Rialto 2 libbre di cacio dolce costavano lire 8, e 1 forma di cacio tenero e fresco costava 10 lire, mentre 1 libbra di cacio spugnoso, fresco, tenerino e bianco valeva 4 lire ... Una formella di cacio Cretese costava, invece, 10 lire, e una pezza di formaggio Morlacco veniva soldi 2 e piccoli 8 la libbra. Te li poteva vendere Benassuto detto “il rosso” della Contrada di San Barnaba, oppure li potevi comprare da Marino entrambi appartenenti all’Arte dei Pestrineri.
Per riuscire ad entrare a far parte di quell’Arte selettiva e chiusa, avevano dovuto attendere i 4 anni dell’apprendistato, e altri 12-16 da lavorante prima di poter superare davanti al Gastaldo dell’Arte e ai Bancali dei Pestrinai la prova di: “Cucinare una caldiera di capodilatte, e far un capodilatte cotto, tagliando nella caldiera una coperta che venga a coprir un piatto imperial …”
Vendevano “la latte”,il siero o “scolo”, formaggio magro da colla, onti e burri sottili freschi manipolati da loro come la panna, il capo di latte cotto e la puina.
Il Pestrinaio era un’Arte prestigiosa, tanto che veniva raffigurata fra i Mestieri importanti di Venezia scolpiti sugli Arconi esterni della Basilica di San Marco. Il nome derivava dal “pestrìn” che era un piccolo mulino in cui di solito una mucca girava la macina. I Mastri Pestrineri o Venditori di latte di Venezia erano circa una cinquantina con una decina di garzoni, e commerciavano e lavoravano in circa 28 botteghe, radunandosi in Congrega a numero chiuso nella chiesetta di San Mattio di Rialto davanti all’Altare di San Giuseppe preso in affitto dal Piovano, dove celebravano ogni anno una festa patronale il giorno 19 gennaio.
Dal 1769 la Schola deliberò di unirsi assieme a quella de devozion del Cristo e dei Morti, anch'essa ospitata nella chiesa di San Mattio. In una nota contenuta nella loro Mariegola rivestita "… con broche e passetti d'argento …"si raccontache fra Pasqua e giugno a Sant'Antonio, ci fossero più di 1.000 le mucche pascolanti nei campi posti a ridosso della gronda lagunare di Venezia, nel tratto fra il canal de l'Oselin e le località di Campalto e Texera.
I prodotti dei Prestinai venivano venduti a Venezia tutti i giorni compresi quelli festivi da dodici lavoranti estratti a sorte, ed esisteva anche una vendita porta a porta fatta da donne che possedevano una mucca, per la quale pagavano una tassa alla Corporazione.
Sono questi due scenari isolati dell’Emporio di Rialto. Ma andiamo per ordine … c’era molto di più.
Già nel 976 il cronista Giovanni Diacono accennava che i corpi di Candiano IV e di suo figlio furono gettati senza sepoltura tra i resti delle carni macellate in un luogo paludoso “oltre canale” dove c’era una Beccaria o “macelli forum”.
Nel 1051, leggendo gli atti per la divisione fra gli eredi di Giovanni e Pietro Gradenigo, si descrive l’area fra il Canale di Rivoalto e il Rio di San Giovanni accanto alle proprietà degli Orio. Lì ci sono: approdi, depositi o solarii, botteghe o staciones con terreni pertinenti, accessi diretti sui canali, possibilità di scolo delle acque, calli larghe 3 piedi e stazi di beccaria ... Qualche anno dopo, Tiso e Pietro figli di Stefano Orio donarono alla Serenissima un “ordine di botteghe” con terreni di loro proprietà contigui a quelli dei Gradenigo, posti dove già sorgeva il Mercato coperto e scoperto di Rialto. Circa nello stesso periodo, Stefano Coronario consegnò a Enrico Dandolo Patriarca di Grado “… per la salvezza della sua anima e dei suoi eredi ...”, un pezzo di terra di 70 metri x 45 sito in “capite Rivoalti” per costruire una nuova chiesa di San Mattio ... poco distante da dove nel 1071 cadde per la prima volta il campanile di San Zuan de Rialto.
Già nel maggio 1164 un gruppo di 12 proprietari sottoscrisse un prestito volontario a favore della Repubblica consistente nel cederle i redditi del “Provento Rivolatini Fori o Mercatum Rivoalti”per le necessità del“Commune Veneciarum” impegnato nel sedare una rivolta a Zara e a combattere contro gli Ungari ... mentre due anni dopo la Nobile Sidiana Sanudo pensò bene d’investire una parte dei suoi soldi per costruire una casa-canonica al povero Piovan di San Mattio che era ancora senza tetto.
Era nato l’Emporio di Rivoalto o Rialto, luogo di osterie e taverne, contrattazioni e prezzi, Giustizia cause e processi, merci e misure, Dazi e prestiti pubblici. Quando le Nobili Famiglie: Gradenigo, Sanudo e Zorzi si trasferiranno ad abitare altrove, il luogo diverrà sede degli Ufficiali sopra Rialto e dell’Ufficio Pesi e Misure, della Giustizia Nuova e dell’Ufficio dei Cinque alla Pace per deliberare su torti e ragioni relative a ferite d’arma, e in seguito dei Provveditori al Sale della Serenissima e del Doge, che vigilavano e decidevano sui Dazi del Vino, la Ternaria dell’Olio e le Beccarie.
Dopo la metà del 1200 s’interrò una zona paludosa presso San Mattio di Rialto, e i “Visdomini” controllavano che il Dazio del carbone e del legname fosse pagato alla Tavola dei Lombardi sulle Rive di Rialto, e il Maggior Consiglio varò norme relative a Dazi sui panni e fustagni che entravano nella Drapperia di Venezia dal Nord, Tarvisio e Portoguaro.
Si perde nell’incertezza delle cronache antiche la data della costruzione del primo ponte in legno che cavalcò le due sponde del Canale Grande veneziano dilatando a dismisura l’area cittadina della primitiva area di Rialto dedicata al mercato. Andrea Dandolo disse e scrisse che accadde per merito del Doge Renier Zeno nel lontano 1264. Altri cronisti veneziani, come Antonio Vitturi, Giorgio Dolfin e Marin Sanudo lo fanno addirittura risalire al 1173 o 1190.
Sta di fatto, che circa intorno a quegli anni il Maggior Consiglio vietò a chiunque di sostare e vendere liberamente in barca, sulle rive e a terra nella zona compresa fra il Ponte, la Loggia dei Mercanti e Camerlenghi e la casa di Paolo Gradenigo che sorgeva sulla Riva del Vino. Era nato l’Emporio Mediterraneo Realtino di cui la Serenissima in persona rivendicava e gestiva diritti, guadagni, movimenti ed esclusiva.
Fu quel mondo variopinto e carico di vita che con i suoi Fondaci, magazzini, volte, botteghe, copriva un’ampia zona di Venezia che andava dalle Contrade di San Giovanni Crisostomo fino alle Mercerie di San Salvador verso San Marco spandendosi dentro fino a San Lio da una parte e San Bartolomio ai piedi del Ponte di Rialto.
Dall’altra parte del Canal Grande il grande Emporio Realtino occupava di certo le Contrade di San Giovanni Elemosinario, quella oggi non più esistente di San Mattio con la prossima San Giacometto, e certamente le limitrofe Contrade di San Cassiano e San Silvestro. Un microcosmo, insomma, in cui all’ordine del giorno c’era tutto l’anno la compravendita di mille spezie, perle, oro, sete preziose, stoffe e lana, avori, incenso, nardo, zucchero, ebano e legni preziosi, fustagni, cotone, vino, olio e qualsiasi altro bene prezioso e di prestigio. Intorno a questo ruotava un grande circo di Notai, Mercanti, Banchieri, Sensali, faccendieri, marinai, nobili, facchini, pesatori, artigiani … e accanto a questo grande movimento di respiro internazionale i cui protagonisti venivano ospitati e accolti in una miriadi di Osterie e Locande, esisteva anche il non indifferente commercio spicciolo e quotidiano di quanto era necessario per sostentare la città: quindi la Pescheria, l’Erbaria e tutto il Mercato della frutta, pollame, verdure e tutti i prodotti caseari e da cortile nonché quello della Macelleria o Beccaria che comprendeva anche i prodotti della Caccia e soprattutto le copiose manifatture dei numerosi Arti e Mestieri della città.
Una kasbah immensa, spettacolare e inenarrabile, di cui oggi rimane solo l’idea e scarsissime, quasi infime tracce.
Furono istituiti degli appositi Ufficiali Sopra Rialto con l’ordine di controllare l’intera zona e tenere il ponte sgombro e normalmente chiuso al passaggio delle navi. Chi richiedeva l’apertura temporanea del “Ponte dei Ponti” era tenuto a versare agli Ufficiali una somma di denaro che veniva poi utilizzato per le riparazioni.
Inizialmente era permesso il commercio al minuto sopra al Ponte solo ai forestieri, agli ambulanti, e ad una speciale categoria di poveri riconosciuti da apposito permesso rilasciato dagli stessi Ufficiali. Ma visto il successo dell’iniziativa, si aprì la vendita e la sosta anche al commercio di tutti i Veneziani ... C’era talmente “movimento” a Rialto, che nel 1288 un Nobile Da Canal si fece dispensare da una prestigiosa carica di Ufficiale Pubblico per poter attendere ai numerosi affari che aveva in corso alla vigilia della partenza della nuova Muda delle Galee.
Nel marzo 1224, Gerardo da Parma del Confinio o Contrada di San Zuan di Rialto, presentò fidejussione per Jacopo de Caxapicata de Verona per l’acquisto di 2 miliara di olio, e per Aleardo de Ugone Molese de Verona per ½ miliara d’olio e 10 miliara de fichi diretti a Verona. Nello stesso giorno, Martino Auriolo dello stesso Confinio, presentò un’altra fidejussione per Ragaciano da Mantova e il socio Gilio per l’acquisto di 20 miliara di fichi diretti a Mantova; e per Belacato da Brixia o Brescia per acquistare 8 miliara di formaggio.
A Rialto, per comodità e utilità comune, Prete Johannes Rolando di San Giovanni di Rialto era Pubblico Notaio, come in seguito lo fu Paolus sempre Prete di “Sancti Johannis de Rivolato”, ossia la stessa chiesa ... Lo furono anche Antonio e Bartolomeo Preti in San Bartolomeo, appena giù dei gradini dall’altra parte del Ponte di Rialto … che era stato fatto in legno … in sostituzione di uno più antico fatto di barche.
Nel 1239, invece, Filippo Bacari da Malamocco pagò 4 ½ lire Veronesi l’anno, 2 paia di anitre selvatiche a Natale e qualche regalia di pesce nelle grandi feste a certi Ottone e Giovanni di fu Gradalòn Gradenigo di San Giovanni di Rialto, per gestire 1/8 di una certa “Pescaria detta Cancto Grosso” dove si pescava ed uccellava.
L’anno seguente, Marco Gradenigo del Confinio di San Giovanni Evangelista fece testamento a Rialto costituendo esecutore testamentario e usufruttuaria del suo patrimonio sua moglie Tommasina. Del tanto che possedeva, lasciò a suo figlio Giovanni lire 300 di denaro Veneto per sanare un debito che aveva lasciato scoperto; alla figlia Marchesina lasciò la rendita di una bottega a San Zuan di Rialto affittata agli Orefici Benedetto e Simone per lire 12 sempre di buon denaro Veneto; al figlio Giacomo ch’era Prete lasciò invece: acque e peschiere nella zona di “Laguna Alta e Canneto Grosso” presso Malamocco e Poveglia. Infine, lasciò agli altri figli: Giovanni, Marino, Enrico, Paolo e Michele, tutti i beni che possedeva nella zona di Rialto ed altrove.
Nel 1310 i congiurati Marco e Pietro Querini e Tiepolo attaccarono la “Domus Comunis qui est in capite Pontis Rivoalti” dove abitava il medico Pietro, distrussero e bruciarono l’Ufficio dei Cinque alla Pace strappando tutte “le scritture” lì conservate, e devastarono il Fondaco della Farina rubando tutto il denaro che vi si trovava “… non in piccola quantità …”
I Querini possedevano molte attività a Rialto, ed erano “Juspatroni” di gran parte della zona del Mercato dove avevano la loro “Ca’ Granda o Mazor” in Contrada San Matteo. Dopo la congiura, lo Stato requisì tutto tramite i Magistrati al Sale, e trasformò il Palazzo dei Querini in Stalòn e Beccaria Nuova demolendo le vicine botteghe del sale. Alcune cronache dicono che, non rinvenendo gli strumenti divisionali delle proprietà del palazzo dei Querini, il Governo compensò Giovanni Querini, che era innocente non avendo partecipato alla congiura, pagandogli il terzo del palazzo che gli apparteneva. Gli 80 banchetti delle botteghe della Beccheria di Rialto, delimitata da selciato, coperta e chiusa da portoni in larice, erano allineate e divise a gruppi per taglio, esposizione e vendita della carne.
A Rialto risiedeva “l’Uffizio dei Provveditori Sopra le Beccarie e Pubblici Macelli” gestito da tre nobili. I Beccai tenevano Confraternita di Devozione sotto il patrono San Mattio nella chiesa omonima della quale per “breve” del Papa Eugenio IV, avevano il diritto di eleggere il Piovano. Nell'ultima domenica di Carnevale nella Corte di Palazzo Ducale i Beccai si mascheravano “… all'Europea, all'Asiatica, all'Africana, ed all'Americana …”, e si segnalavano particolarmente attivi specialmente nelle “Cacce dei tori molai”. Nello stesso giorno gli stessi Beccai godevano del privilegio per la fedeltà dimostrata alla Repubblica, di montare con venti persone la guardia del Palazzo Ducale dall'ora di terza fino al termine dei pubblici spettacoli.
Anche i Beccai erano rappresentati sugli Arconi della Basilica di San Marco fra le Arti e Mestieri indispensabili alla Serenissima. A testimonianza di questo, già dal 1306 il Maggior Consiglio stabilì che i Beccai di Venezia non dovessero avere né Gastaldo né Decano proprio, ma fossero direttamente sottoposti al controllo dei Giustizieri Vecchi ... I Magistrati Veneziani in un certo senso compravano la carne per la città dai Beccai prestando loro denaro pubblico. I Beccai avrebbero pagato una multa e restituito i soldi se non tenevano ben rifornite le 60 banche di Rialto affittate all’incanto una volta all’anno.
I Beccai avevano anche l’obbligo di mantenere la chiesa di San Mattio contribuendo per 26 ducati annui, ed esponevano ad ogni festa in Campo delle Beccarie il loro gonfalone della Scuola dei Macellai con l’Apostolo San Matteo dipinto da Pietro Negri. Di solito, nei secoli, la Corporazione veneziana contava un’ottantina d’iscritti e appartenenti, di cui 60 erano Mastri attivi e abili al lavoro, e altri 20 circa erano inabili e solo dediti alle vendite, alle scritture e a insegnare l’Arte.
Nell’agosto 1314, Giovannino Beccaio di Venezia denunciò alla Serenissima d’aver subito un furto di bestiame chiedendo congruo risarcimento, mentre in realtà aveva venduto al Comune di Treviso i 200 capi di bestiame che teneva a Ca’ di Mezzo presso Marghera. La Serenissima ovviamente lo “smascherò e ricompensò” a modo suo … Vent’anni dopo circa, i Provveditori alle Beccarie multarono un Beccaio di Rialto facendogli pagare l’ammenda a rate, per aver condotto da Mestre molti animali, tra cui agnelli, senza pagare il Dazio agli Ufficiali di Venezia. Di solito il Cancelliere di Mestre doveva rilasciare un permesso per i Beccai inviandone copia all’Ufficio delle Beccarie di Venezia ... Perfino lo Scrivano di San Giuliano, che controllava i prati da pascolo da San Zulian fino a Tombello, affittati ai Beccai di Mestre e Venezia, poteva perdere il lavoro se lasciava passare gli animali di contrabbando.
L’intero mercato delle pelli di Venezia era controllato dai Beccheri che fornivano materia prima ai Conciatori di Pelli dei laboratori della Giudecca. Ai Becheri appartenevano anche i “Partitanti dei manzi” ossia dei mercanti di bestiame che s’impegnavano con la Serenissima a fare arrivare ogni mese a Venezia a prezzo calmierato un determinato numero di bovini da Turchia, Ungheria e Stiria.
Siccome il commercio delle pelli degli animali costituiva il 10% del valore dell’animale, nel 1460 per ordine del Senato s’istituì in Contrada di San Silvestro il “Fondaco del Cuoio da suola”, dove Partitanti dei manzi, Scorzeri e Beccheri avevano l’obbligo di riporre tutte le pelli da acconciare e da vendere soprattutto ai Calegheri e Zavateri di Venezia.
In seguito, la Serenissima sempre bisognosa di soldi, appaltò a privati per 4.000-6.000 ducati annui sia la riscossione dei Dazi sulle Carni, che quello della Vendita del cuoio da suola raccolto nel “Fondaco del Curame”.
A Venezia si pagavano due tipi di Dazi diversi sulla carne macellata: quello d’entrata sul mercato, e quello del consumo con la vendita al minuto. Inoltre si pagava un Dazio a parte sulla Concia delle Pelli. I Beccai per ammazzare, scorticare e sventrare percepivano 12 soldi per ogni bove di peso non superiore a 100 libre, 16 soldi per quelli da 100 a 200 libre, e 20 soldi per quelli che le superavano. Trattare un maiale costava 6 soldi, 2 soldi per un castrato, 1 soldo per manipolare un agnello.
Sotto il controllo di 15 Fanti della Magistratura pagati 45 lire ciascuno, la carne che usciva dalle Pubbliche Beccarie veniva bollata e pesata con la stadera di Rialto o di San Marco ... Di notte nell’Emporio di Rialto e quindi nelle Beccarie Pubbliche tutto era spento e chiuso, e le chiavi erano tenute da un Massaro che guadagnava 1 ducato al mese, e sorvegliava che non si vendesse carne di notte.
Accanto allo “Stallone delle Beccarie” sorgeva,fino al cadere della Repubblica, anche la “Panateria”dell’Arte dei Pistori con 25 botteghe di pane o “Paniceas tabernas”stabilite lì con apposita delibera fin dal 1341 per poter essere viste meglio.
Quindici anni dopo circa, il Doge Giovanni Soranzo avviò i commerci e la Mercatura di Venezia sulle piazze musulmane del Levante col consenso diretto del Papa ... mentre a Rialto coi ricavi della Camera del Dazio sul vino si scavavano canali e s’allestivano “palate” e approdi sulla Riva sinistra del Vino contigua alla Riva del Ferro e si costruiva Rialto Novo allargando il Mercato ... La Quarantia impose agli Ufficiali di Rialto di tenere sgombri gli accessi all’Emporio dell’Inxula Realtina impedendo ad ambulanti, viandanti e forestieri di sostare per vendite di galline, capponi e uova … Si poteva vendere: formaggio, carni di porco e olio solo nelle botteghe autorizzate e negli stazi pubblici ... Parallela al Ponte sorse la Ruga dei Varoteri con relative botteghe, e due nuove strade con la Casaria e la Corderia ... Ai piedi del Ponte sulla Riva del Vin e del Ferro stazionavano i burci col vino, olio, ferro, piombo, stagno, metalli, farine, pepe, panni lana, sete e sale in partenza per la Terraferma o in arrivo dal Levante e Ponente.
Il Mercante Fiorentino Duccio di Banchello presente e attivo a Venezia fra 1330 e 1375, ricordava che a Rialto erano attivi 8-10 Banchieri con i quali si poteva trattare e sui quali si poteva certamente contare.
Il Doge Antonio Venier fece nobilitare la “Merceria di Rialto” facendo tagliare alberi e rimuovendo gli antiestetici “reveteni o pozzuoli” che sostenevano le case pericolanti ... Fece anche lastricare con grandissima spesa sia la Piazza di San Marco che l’Emporio di Rialto … Il clero dell’antica parrocchiale di San Giacometto, inglobata nel Mercato e rimasta senza abitanti, percepiva un reddito di 36 ducati annui fornito dalla Signoria, mentre il Vescovo di Castello cedette in cambio ai Provveditori al Sale proprietà, stazi e volte nei pressi della chiesa per eventuali nuovi allargamenti del Mercato ad uso pubblico ... Attraverso la “Merceria di Rialto” facevano il loro “Ingresso Pubblico” con grande sfarzo: Patriarchi, Procuratori e Cancellieri Grandi regalando a tutti pan di zucchero. Per l’occasione i Mercanti sfoggiavano ricchezza e mettevano in mostra i loro oggetti preziosi, gli artigiani addobbavano le botteghe ed esponevano i loro lavori e manufatti, gli artisti i propri quadri, sculture e intagli ... mentre nel 1389 Piero di fu Zane Benedetto, padrone di uno dei Banchi di Scrittura più attivi a Rialto, fece rogare dal notaio Pietro de Compostellis l’Atto di Emancipazione dalla Patria Potestà di suo figlio Zannino dandogli “in mera libertà” 200 lire di grossi ossia 2.000 ducati d’oro con cui iniziare a commerciare. Due giorni dopo, padre e figlio presso lo stesso Notaio formarono una compagnia commerciale con altri due giovani coetanei ed amici: Marco figlio di Andrea Condulmer della Contrada di Santa Maria Maddalena anche lui neoemancipato, e Jacobello quondam Lorenzo Zane della Contrada di Santa Maria Materdomini. Ciascuno dei tre giovani fornì una somma di 2.000 ducati in “pecunia numerata” o in merci approvate con lo scopo di investire il capitale in Venezia o altrove, per terra e per mare, per il periodo di almeno un anno o finchè uno non disdicesse la sua adesione, dividendo tutto in parti uguali: sia danni che lucro e guadagno. Un tale zio Benedetto avrebbe supervisionato “il corretto agire” della Nuova Compagnia.
A metà circa del 1300 il Maggior Consiglio condonò all’Oste Corozato da Modena della Contrada di San Mattio la pena di 3 lire inflittagli dai Giustizieri Nuovi perché gli avevano trovato nel locale una quantità di pane non autorizzata ... Lo stesso Consiglio, ridusse a 40 soldi di piccoli la multa di 10 lire di piccoli inflitta all’Oste Rosso Bon sempre di San Mattio di Rialto per aver tenuto 28 letti invece di 30: e concesse a Giovani Sacharola di condurre una Taverna nella stessa Contrada con sala da ballo e 8 letti ... Papa Eugenio IV, invece, concesse Juspatronato sulla chiesa di San Mattio con facoltà di eleggerne il Piovano all’Arte dei Macellai di Venezia, che da sempre già provvedevano al sostentamento del Piovano di San Mattio e alla manutenzione degli edifici religiosi versando annualmente almeno 26 ducati.
Nel 1379, al tempo del Doge Andrea Contarini e della guerra contro i Genovesi, i Calegheri, Spezieri, Becheri, Orefici e Notai di San Zuanne di Rialto contribuirono alle spese della Serenissima Repubblica con prestiti volontari per la cifra di lire 141.853 ... In Contrada abitavano 21 Nobili, fra cui Sjer Antonio Corner che contribuì per 15.000 lire, Sjer Marin Lion che contribuì per 40.000 lire, e Sier Marco Zacaria che contribuì per 12.500 lire.
Viceversa, la piccolissima Contrada di San Mattio, dove abitavano 2 Nobil Homeni e 1 Nobil Donna, fra cui Sier Maffio Minio che contribuì con 15.000 lire, offrì nel suo insieme alla Serenissima: lire 23.900 ... Anche il Piovan della stessa Contrada, a causa delle rendite che possedeva su alcune case, fu costretto ed “entusiasta” di offrire 1.000 lire ... Fin dal 1383, la chiesetta di San Mattio appena rifabbricata ospitava i Devoti della Scuola di San Gottardo. Dal 1436, invece, ospitò anche quelli della Scuola di San Michele dell’Arte dei Becheri, a cui seguì la Scuola di San Giovanni Battista dell’Arte dei Caneveri di Rialto e di San Marco.
Le case di San Zuan contribuirono alle spese di Stato della Serenissima con 3.500 lire, e sempre in Contrada di San Zuan risiedevano 7 contribuenti abbienti fra cui Nicolo’ Scandolèr che offrì lire 600, e Stefano de Bezi che diede lire 1.000.
Verso la fine del secolo cadde di nuovo il campanile di San Giovanni Elemosinario il cui Piovano era Prete Omobon Notaio Veneziano, che diventò in seguito Arciprete del Capitolo di San Pietro di Castello … Gli Ufficiali Sopra Rialto chiesero l’allontanamento dei Bastazi dalle aree prossine alla chiesa per evitare l’eccessivo disordine … Fra 1397 e 1399, grazie ad un lascito testamentario di Tommaso Talenti s’istituì per i Patrizi e Nobili di Venezia, ovviamente nella Ruga Vecchia degli Oresi presso la chiesa di San Zuan di Rialto, il Gimnasium Rivoaltinum che pur considerando “… la Logica, l’Uomo e la Filosofia Aristotelica e Naturale”, non disdegnava di far Politica, Teologia, Matematica e soprattutto teoria e pratica mercantile influendo su tutta la città. Era un luogo di pubblica lettura con Maestri d’abaco, Mistica dei Numeri, e Pratica delle Arti ... che il Piovano Paolo della Pergola Lettore d’Aristotele e Peripatetico cercò di trasformare in Università senza riuscirci. Nel Gimnasium di Rialto s’insegnava “… mattina e dopopranzo … stipendiati dal Governo …”, quando Francesco e Domenico Bragadin figlio di Marco, Antonio Corner e Luca Pacioli aggiunsero Geometria ed Astronomia a quanto già si apprendeva.
Nel 1448 al Piovano di San Zuan Paolo Dalla Pergola fu proposto l’incarico prestigioso di Vescovo di Capodistria, ma lo rifiutò per continuare a svolgere il suo incarico d’insegnamento a Rialto fino alla morte nel 1488.
Pressappoco negli stessi anni, nel 1396, Simone e Gabriele Condulmer (confondatori futuri del Monastero di San Giorgio in Alga e poi Papa il secondo nel 1431) si unirono in Compagnia investendo un capitale di 20.000 ducati d’oro lasciati dal padre Angelo nel Banco di Rialto di Pietro Benedetto. Una corrispondenza commerciale di sette lettere con la filiale pisana di Francesco di Marco Datini riferisce di una partita di 15 balle di 223 panni pregiati provenienti dalle Fiandre del valore di quasi 5.000 ducati. Dovevano essere piazzati e venduti a Maiorca, ma a causa dei pirati la cocca Bemba li scaricò a Livorno incerti se commerciarli a Pisa per 18-20 fiorini ciascuno, o se spedirli a Venezia presso il Fondaco dei Condulmer dove il valore era di 20-22 ducati. Alla fine i Condulmer decisero per Pisa. Ancora nel 1423 Simone col figlio Angelo continuavano a commerciare ad Ancona con l’appoggio di Gabriele Condulmer divenuto Cardinale e Legato Papale delle Marche. Acquistarono 23 botti d’olio d’oliva con destinazione Romania, e il Cardinale, spazientito per i tempi lunghi della consegna, fece anche arrestare il Capitano della nave.
E questi sono solo due fra gli infiniti esempi di ciò che accadeva a Rialto ...
In quel tempo, si costruì presso San Giacometto di Rialto “l’Orologio Pubblico” per regolare il tempo del Mercato e dei Mercanti sul luogo dove c’era anche la “Pietra del Bando”per le comunicazioni di Giustizia, Pubblica utilità e Politica che si davano “Infra duas scalas” presso le volte dei Toscani sopra la Drapperia ... Viceversa la campana di San Giovanni Elemosinario di Rialto scandiva l’ora dell’inizio delle attività degli artigiani e del mercato, e la chiusura ed apertura di botteghe, volte, uffici, chiavi e cancelli col coprifuoco serale e notturno in cui ogni fuoco, lume e candela dovevano essere spenti per paura della devastazione degli incendi.
Nello stesso tozzo campanile quadrato e gotico si pose anche un famoso e spettacolare orologio a congegno fabbricato da Gasparo Ubaldini Maestro d’Orologi da Siena “…che sonava le ore, et veniva fora uno gallo, el qual canta tre volte per ora …”
Il controllo delle merci in arrivo, del peso ed imballaggio non poteva più essere gestito da privati o direttamente nel Fondaco dei Tedeschi, ma si doveva effettuare solo sotto le volte dei Visdomini delle Tre Tavole di Rialto dove andava tutto il vino, olio, grassa, legno e ferro in Entrata, eccetto quanto portato dalle Galee delle Fiandre e da quelle esenti dai Dazi ... A Rialto si aggiunse la “Messetteria” per le operazioni di compravendita effettuate direttamente in Dogana, e si autorizzò l’apertura della Banca di Ser Andrea Barbarigo Brocca al posto di quella di Bernardo Ciera appena fallita.
In quel secolo a Venezia, ogni anno si esportava per 10 milioni di ducati d’oro, e s’importava per altrettanti con un guadagno di 4 milioni e incremento del capitale del 20%. In certe occasioni, si giunse a guadagni del 35-50% sul capitale investito commerciando in chiodi di garofano, noce moscata, gomma lacca e cotone grezzo. Si muovevano sull’Adriatico chiamato Golfo, e sull’intero Mediterraneo 3.000 bastimenti con 17.000 uomini, e altre 300 navi più grosse con 8.000 uomini. Soprattutto navigavano 45 Galee di Stato con 11.000 marinai. Venezia e le Lagune limitrofe erano abitate da 190.000 abitanti di cui più di 1.000 erano Patrizi e Nobili con rendite di 200-500.000 lire annui. La città Serenissima annoverava 3.000 fra costruttori di navi e Squeraioli e 3.000 Calafati, e la sua Zecca coniava ogni anno 1 milione di ducati d’oro, 200.000 monete d’argento, 80.000 di rame. Fioriva il contrabbando da parte di uomini armati su barche che passavano e sfondavano le Palificate o Palade Confinarie della Repubblica ferendo e uccidendo i Gabellieri e i Fanti della Serenissima.
Nel 1413 il Doge Tommaso Mocenigo fu costretto a tenere aperto ai navigli mercantili solo la bocca di porto di San Nicolò del Lido per permettere un’adatta vigilanza ai suoi Gabellieri del Dazio ... Un decreto della Serenissima prevedeva il taglio delle mani per il capo del contrabbando e cavato un occhio e taglio della mano per tutti gli altri complici, conniventi e sottoposti. Inoltre i contrabbandieri venivano banditi per almeno 10 anni da Venezia, e se recidivi sottoposti a un anno di prigione con rinnovo del bando e 500 lire di multa.
Secondo il solito diarista Marin Sanudo, fra 1496 e 1533 le banche veneziane ad attività limitata locale sorsero come funghi dopo la pioggia. La loro attività condizionate dal valore internazionale fluttuante del mercato dell’oro e argento acquistato soprattutto da importatori tedeschi, comprendevano ambiziose avventure commerciali, prestiti ai Mercanti e allo Stato che era sempre affamato per le sue interminabili attività guerresche. Nel 1499 Venezia manteneva attivi ben due eserciti contemporaneamente: uno in Lombardia e la flotta contro i Turchi. Chi contribuiva con i propri capitali alle spese della Serenissima riceveva in cambio Obbligazioni di Stato con l’appetibile interesse del 4-5%. Il problema era che Venezia emetteva più Obbligazioni di quante poteva realmente permettersi di pagare l’interesse promesso, quindi quelle azioni decrescevano progressivamente finché Venezia decideva unilateralmente d’incamerare il capitale originario ... e fine del discorso.
A Venezia, a disposizione di tutto quanto accadeva sotto ai portici e le volte di Rialto, erano attive almeno 10 grosseBanche di pegno e commerciali dette “Banche di Scritta”con circa 4.000 depositanti che tenevano aperti conti in banche diverse, e muovevano qualcosa come 1.000.000 di ducati.
Una delle principali Banche era quella del Nobilissimo Andrea Garzoni fondata nel 1430 e fallita nel febbraio 1498 con un debito fra 96.000 e 250.000 ducati. Riaperta e fallita nuovamente nel marzo1500 con 518 creditori. Al momento del fallimento il Banco possedeva un attivo fra 128.000 e 155.000 ducati in prestiti, gioielli, argenti, titoli di Stato e proprietà immobiliari. I Garzoni, che facevano anche prestiti su pegno al Duca di Mantova, fallirono subendo pesanti perdite per l’acquisto d’argento a un prezzo superiore al tasso di conio per aumentare le loro riserve.
Un’altra grossa Banca era quella dei Nobili Lippomano fondata nel 1488 in società tra Tommaso Lippomano e Andrea Cappello. Fallì nel 1498 diretta da Girolamo Lippomano con un debito di 120.000 ducati forse dopo averne già saldato un altro di circa 300.000 ducati. Al momento del fallimento aveva 1.248 depositanti fra cui 700 Nobili di Venezia, ma più di 600 conti avevano meno di 20 ducati in deposito ... e avanzava prestiti da orafi e argentieri, e soprattutto interessi dallo Stato e dall’Ufficio del Sale.
La Banca Pisani, invece, fu fondata nel 1475 e liquidata senza fallire chiudendo nel 1500 con ancora più di 95.000 ducati in deposito. Riaperta nel 1504, chiuse di nuovo nel 1528 dopo la morte del direttore Alvise Pisani. I Pisani furono i maggiori acquirenti dell’argento dei mercanti Fugger tedeschi, e avevano 40.000 ducati investiti su Galee mercantili in Viaggio nel Ponente in Fiandra e Barberia con lane e stoffe. Nel 1519 la Serenissima aveva con la Banca Pisani un debito di 150.000 ducati, perciò il Mercante Alvise Pisani, che in un certo modo governava l’economia dello Stato, divenne uno dei Capi del Consiglio dei Dieci.
La Banca di Agostini Matteo aveva un giro di depositi nettamente inferiore alle altre 3 grosse banche cittadine, e fallì nel 1508 con un passivo di 110.000 ducati a causa si disse della loro disonestà, esosità e incapacità. Sier Agostini prestò denaro a un Capitano dell’esercito esigendo in pegno l’anello nuziale della moglie … Sempre Agostini stesso aveva un debito con la sua banca per 65.000 ducati … e i mercanti d’argento Tedeschi andarono a protestare col Doge perché gli Agostini volevano comperare solo alle loro condizioni ... La Zecca Veneziana quindi non ricevette più argento … e ancora Sier Agostini mise in salvo a Mantova un mese prima di fallire moglie, figli e beni tutti.
Sulla Piazza di Rialto esisteva anche la Banca di Gerolamo Priuli che deteneva numerosissime cariche di Stato. Fu Ufficiale della Marina di Venezia, Comandante delle Galee di Mercato per Beirut, e importava lana dall’Inghilterra. Fu costretta a liquidare e chiudere nel 1513 soprattutto a causa dei prestiti in perdita fatti allo Stato.
Oltre alla banca secondaria di unbanchiere ebreo Anselmo,e a numerosi cambiavalute sparsi per Rialto e la città, c’erano anche i Banchi dei Cappello e Vendramin, la Banca di Bernardo Matteo grande mercante ad Alessandria d’Egitto, che fece perfino prestiti al Papa su pegno di gioielli; la Banca di Antonio Priuli anche lui Mercante ad Alessandria e alleato stretto del Banco Pisani; la Banca dei mercanti Andrea e Piero Molin costretta a liquidare con una grande calca a Rialto nel 1526 quando in luglio la moneta di banca possedeva una differenza del 15% sul valore reale ... Durante la grande crisi economica del 1526 che fece chiudere a quasi tutti i Banchieri, fallì anche la piccola Banca di Andrea Arimondo che mori’ “da melinconia del banco” con un passivo di 27.000 ducati e un attivo per soli 6.000 ducati.
Intanto, i soliti Ufficiali Sopra Rialto ricordavano che il Ponte in legno di Rialto era marcio e da ricostruire ... e infatti, trent’anni dopo tra febbraio ed agosto fu demolito e rifatto ad unico arco, ponendo in opera 12.000 pali, e spendendo 2.323 ducati.
Si chiuse la Dogana in Riva di San Biagio, e si aprì la nuova Tavola dei Lombardi o Dogana de Terra di Rialto sulla Riva del Ferro detta poi del Vin, e la Dogana da Mar alla Punta del Sal per le merci provenienti via mare dove si pagava il Dazio dell’Entrata e dell’Uscita ossia dell’Insida. Esisteva inoltre una Tavola della Ternaria che si occupava principalmente del commercio dei grassi e degli olii e saltuariamente di legname ed altro percependo i relativi Dazi e Gabelle per lo Stato Serenissimo.
Venezia non scherzava per niente sull’applicazione di Dazi, Tasse e Balzelli su tutto quando arrivava e partiva o veniva comprato e venduto in Laguna.
Applicava una tassa del 2,5% detta“Quarantesimo” pagata dai commercianti stranieri per merci importate o esportate via terra e dalla parte settentrionale del Golfo dell’Adriatico.Un’altra tassa importante del 20% chiamata il “Quinto” veniva pagata per le merci lucrative che giungevano via mare dal Levante, mentre l’“Octuagesimo” del 1,25% era riservato ai soli veneziani su qualsiasi merce che vendevano o compravano.
La gabella più importante era la“Messetaria” detta così perché ogni affare veniva contratto alla presenza del“Messeta” o “Sanser” o “Sensale” ossia un intermediario Ufficiale di Stato che fungeva spesso anche da interprete col diritto di riscuotere il 0,25% del valore dell’affare trattato sia dal compratore che dal venditore. Di tale imposizione solo il 30% andava al Sensale mentre il resto entrava nelle casse statali.
In una notte del dicembre 1511 la Dogana da Terra sulla Riva del Vin bruciò. Il Diarista Marin Sanudo puntualissimo raccontò tutto nei suoi “Diari”.
“… voglio scriver come in questa notte a hore 8 se impiò fuogo, non si sa il modo, perché lì non vi sta niuno, in la Doana di Terra, et brusòe quella et alcune volte in la Calle dil Hostaria olim di Storion, appresso il Dazio del Vin in Rialto, et fo gran fuogo, et vi era asà brigata, e mercadanti che attendeano a svodar li loro magazeni, siché tutta sta notte Rialto fo piena di zente, e merchantie si portavano a refuso fuori di magazeni, et fo gran danno … Pur questa mattina fo stuà. Si dixe à principià il fuogo in un magazen dove li Provedadori di Comun tenevano la munitione per il fuogo, siché per la terra si andava gridando: “Zentilomeni leveve suso! … Andé a svodar li vostri magazeni! … Si brusa al Fontego di la Farina!...”
Nicolo’ Trevisan raccontò, invece, che esistevano già due ordini di botteghe sui bordi e da una parte e dall’altra del Ponte di Rialto. Si trattava di botteghe che smerciavano prodotti di lusso: Mandoleri, Merzeri, Muschieri, Stringheri e Varoteri, Merzeri. La Serenissima era furba e accorta: metteva all’incanto per 9.000 ducati e 400 di deposito la gestione delle singole botteghe, che rendevano ciascuna fra 8 e 40 ducati circa l’anno. Le 8 botteghe più importanti messe insieme guadagnavano più o meno 235 ducati ossia il costo di un intero restauro del Ponte.
Infatti, ogni tanto si provvedeva a ritoccare e rifare alcune parti del Ponte spendendo 200-400 ducati, e si prosciugava mezzo canale per non interrompere il traffico controllando e rinforzando la palificazione sotto al ponte.
Nel 1421, il Doge Tommaso Mocenigo in assemblea con i Nobili in Maggior Consiglio, riferì sullo “… stato della salute della Serenissima”, tutto pomposo, gratificato ed entusiasta … “impongato”si direbbe alla Veneziana.
“… Ogni settimana vengono solo da Milano ducati 17.000 – 18.000 … Viceversa, introduciamo merci nel Ducato di Milano per 1.610.000 ducati d’oro l’anno … Di là vengono 90.000 pezze di panni l’anno che valgono ducati 900.000; e per l’entrata, magazzinaggio ed uscita a ducati 1 per pezza, abbiamo ducati 200.000, che montano con le merci a 28.800.000 ducati … Ancora vengono canovacci per ducati 100.000 l’anno, ed altre assai cose i Lombardi traggono da noi ogni anno; per modo che fatta stima di tutto, verrebbero ad esser 2.800.000 ducati … Assai si vantaggia pure coi sali la cui tratta è cagione di far navigare tante navi in Soria, tante galere in Romania, tante in Catalogna, tante in Fiandra, in Cipro, in Sicilia e in altre parti del mondo; per modo che Venezia riceve tra provigioni e noli, 2 ½ - 3 %; Sensali, tintori, noli di navi e galere, pesatori, imballatori, barche, marinai, galeotti e messeterie procacciano altri 600.000 ducati ai nostri di Venezia senz’alcuna spesa e ne vivono migliaia di persone grassamente … Verona compra ogni anno 200 pezze di broccato d’oro, d’argento e di seta; Vicenza 120, Padova 200, Treviso 120, il Friuli 50, Feltre e Cividal di Belluno 12; carichi 400 di pepe; fardi 120 di cannella; zenzeri di tutte sorta molte migliaia e altre spezie assai; migliaia 100 di zuccari, 200 pani di cera … Per la pace la nostra città manda 10 milioni di capitale ogni anno pel mondo con navi e galere per modo che guadagnano tra mettere e trarre: 4 milioni.
Abbiamo navigli 3000, d’anfore da 10 tonnellate fino a 200, con marinai 19.000, navi 300, che portano uomini 8.000; fra galere grosse e sottili ogni anno 45, con marinai 11.000, abbiamo 16.000 marangoni… La stima delle case somma a 7 milioni di ducati, gli affitti delle case a 500.000, 1000 gentiluomini hanno di rendita annua da ducati 70.000 fino a 4.000. Voi avete 8 Capitani da governar 60 galere e più, e così le navi … Avete tra balestrieri, gentiluomini che sarebbero sufficienti padroni di galere e navi, e saprebole guidare, avete 100 uomini usi a governar armate, pratici per togliere un’impresa; e compagni assai per 100 galere, periti e savj, galeotti assai per 100 galere … La nostra Zecca batte ogni anno ducati d’oro 1 milione e d’argento 200.000 tra grossetti e mezzanini e soldi 800.000 all’anno.
I Fiorentini mandano ogni anno panni 16.000 finissimi, fini e mezzani in questa terra; e noi li mandiamo nell’Apulia pel reame di Sicilia, per la barberia; Soria, Cipro, Rodi, Egitto, Romania, Candia per la Morea, Istria … Ed ogni settimana i Fiorentini conducono qui 7000 ducati, cioè 364.000 all’anno per comprar lane francesi, catalane, cremisi e grana, sete, oro, argento, filati, cere, zuccheri e gjoie con beneficio della nostra terra: così tutte le nazioni fanno …”
Fu una relazione sullo stato economico della Venezia di allora a dir poco: spettacolare. E ce n’era ben motivo perché nel 1400 molte città italiane vendevano e compravano attraverso, da e per Venezia.
Tortona, Novara ed Alessandria spedivano a Venezia 6000 pezze di panno l’anno per un valore di 90.000 zecchini acquistando Tortona e Novara merci per 56.000, e Alessandria per 150,000 zecchini. Pavia inviava 3000 panni per 45.000 zecchini e acquistava per 104.000 zecchini. Milano mandava 4000 panni per 120.000 zecchini e ne spendeva annualmente 90.000 per acquistare merci, mentre Monza forniva 6000 panni per 90.000 zecchini e comprava per 56.000 zecchini. Brescia 5000 panni per 30.000 zecchini, Bergamo 10.000 pezze di panni per 140.000 zecchini, Cremona fustagni per 30.000 zecchini e spendeva 140.000 zecchini per acquistare merci. Parma 4000 pezze di panni per 60.000 zecchini, Como dava 100.000 zecchini per acquisto merci, e Piacenza ne dava 102.000 annui per lo stesso motivo.
Tutte queste città compravano da Venezia: cotone per 200.000 zecchini annui, filati per 30.000, lana catalana per 3000, lana francese per 120.000, panni d’oro e di seta per 250.000, pepe per 300.000, cannella per 64.000, zenzero per 80.000, indaco e grana per 50.000, saponi per 250.000, schiavi per 30.000 e sale per 1.000.000 sempre di zecchini.
La zona di San Mattio e di San Zuan Elemosinario, giù dal ponte di Rialto era Contrada ricca di locande e osterie molto frequentate e malfamate ... delle cui memorie a volte rimane solamente il nome.
Fino dal 1355 le Osterie in Venezia erano 24 con 960 letti sempre pronti … La “Locanda Ospizio allo Sturiòn”apparteneva al Comune di Venezia, ed è ricordata dal Sanudo in Riva del Vin a Rialto dove abitavano alcuni Procuratori di San Marco, con alterne vicende di chiusura e riapertura fin dal 1343. La sua insegna è anche visibile nei quadri di Vittore Carpaccio come il “Miracolo della Reliquia della Croce”. La Cronaca Dolfìn ricorda “lo Sturiòn” ospitò i 7 Ambasciatori del Friuli con un seguito di 50 persone.
Nel luglio 1398 si condannò il suo Oste Gugliemo con altri per aver venduto vino di minor qualità del prescritto, così come nel 1414 si condannò Antonia moglie dell’Oste Pasqualino Bonmatheo per aver sposato senza il permesso dei tutorii “Signori di Notte”, la figlia Chiara avuta dal primo marito Meneghino Tubetà ammazzato in pubblico servizio.
Nel 1516, invece, un Decreto del Collegio imponeva ai Provveditori al Sale di spendere 50 ducati “…per far le volte del Sturion per poterle afittar aut meter tre uffici a ciò non vadano de mal ...”, e cinque anni dopo il Comune tentò di vendere l’osteria all'incanto, ma non riuscendovi, si decise di: “…fabricar la Doana di Terra dove era l'Hostaria del Sturion per metter gli Uffizii Messetteria, Insida, et Intrade ...”
Fra 1339 e 1409 era segnalata attiva in zona di Rialto l’“Osteria all’Agnus Dei”con almeno altre 9 locande: “Osteria al Pavone”frequentata da intellettuali, e ricordata nella commedia rinascimentale “La Venexiana” e dall’Aretino nei suoi “Ragionamenti”. L’“Osteria allo Specchio” ospitò, invece, con tutto un suo seguito di compagni tedeschi il Pellegrino Stephan Von Gumperberg che raccontò di un elefante addomesticato che si aggirava per la locanda e “… colloquiava con l’Oste come se avesse avuto intelligenza umana…”. Della serie delle 9 osterie antiche, facevano parte anche l’ “Osteria al Popone”,l’“Osteria del Cammello”, l’“ Osteria del Pizzo”,l’ “Osteria alla Cicogna”, l’“Osteria del Vaso”, l’“Osteria dell’Orso”… e altre ancora.
Negli stessi anni, il Maggior Consiglio graziò Antonio Pisani, Oste dell’ “Osteria del Gallo” multato per aver contravvenuto, e ridusse a 8 lire la pena di 20 lire di piccoli inferta ad Anastasia ostessa dell’ “Osteria alla Zucca” in Rialto, rea di aver ospitato stabilmente due prostitute; a 100 soldi ridusse la pena di 30 lire imposta dai Giustizieri Nuovi a Bilantelmo Oste dell’ “Osteria della Serpa”, per aver alloggiato anche lui 3 meretrici; graziò Gerardo Faurino Oste dell’ “Osteria alla Stoppa” multato in 25 lire di piccoli per aver contravvenuto alle norme di chiusura; e concesse a Gunido ancora Oste “…a pluri o all’ingrosso” e conduttore della stessa “Osteria alla Stoppa” di ridurre ad uso di Taverna la sua Osteria.
Anche l’“Osteria al Gambero” era attiva dal 1399 al 1725 nell’omonimo Campiello. Un Oste Venturino dell’ “Hospitio Gambari in Rivoalto” venne ucciso con molte ferite da un certo Armano cappellaio, e da un Angelino e Leonardo tutti tedeschi. Furono condannati in contumacia a perpetuo bando, e ad avere tagliata la mano destra nel luogo del delitto, e con essa appesa al collo essere condotti fino in mezzo alle due colonne di San Marco dove essere decapitati … qualora avessero osato rimettere un solo piede a Venezia. La stessa sorte fu promessa anche a Francesco Pincarella, Giovanni Gallina e Giacomo ab Azalibus, mezzani d'amore, per aver ferito “ … cum uno gladio panesco …” e derubatoFioravante, Girolamo da Brescia e altri compagni che stavano giocando a carte “ … in hospitio Gambari in Rivoalto”.
L’ “Osteria del Bò o del Bue”,retta già da Rolandino fin dal 1372, era con l’ “Osteria del Melon”, il “Saracin”e “l’Anzolo” detta“il Lupanare di Rialto”, e l’“Osteria della Stella”proprietà dei Nobili Foscari e Soranzo, ecome“Le Spade” e “Il Gambero” erano osterie di Rialto davanti alle quali sostavano prostitute tutto il giorno a caccia di clienti.
Una Legge del 1460, infatti, invitava tutte le meretrici della zona a concentrarsi nelle “8 case d’ospitalità”di Priamo Malipiero in Contrada di San Matteo di Rialto poste: “… in quadam rugam post Hospitium Bovis”
Il Maggior Consiglio ridusse della metà la multa di 25 lire di piccoli inflitta dai Giustizieri Nuovi all’Oste Guglielmo dell’ “Osteria Al Sarasin” per aver trasgredito agli ordini di chiusura. La locanda osteria era vecchissima, perché retta già fin dal 1361 prima dall’Oste Giovanni Boneto e poi dall’Oste Gambarla.
L’“Osteria all’insegna della Torre”, invece, apparteneva ai Nobili Bartolomeo Vendramin e Caterina Foscolo e solitamente ospitava Turchi e Levantini fino a quando furono concentrati nel Fondaco dei Turchi nel 1621.
Ancora, la rinomata “Osteria de la Scimmia”, risultava attiva a Rialto dal 1398 al 1725,e si trovava a San Zuan Elemosinario di Rialto presso la“Pescheria Grande”sulla riva del Canal Grande. Sorgeva in uno stabile donato alle Monache di San Lorenzo di Castello da Giovanni Venier con un atto notarile presso il Prete e Notajo Pietro Bonvicini. Le Monache lo destinarono ad affitto come Osteria, e fuun’altra delle “Osterie a pluri”pubbliche veneziane.
Nel gennaio 1513 l’osteria appena rifatta andò in fumo nel terribile incendio che coinvolse mezzo Emporio di Rialto ... e lì dentro morì di peste l’Oste Piero di Zuanne di Bernardini a 23 anni.
Ancora nel 1713, Simon Mascaroni “… hosto alla Scimia sul Rio delle Beccherie … pagava pigione alle Monache di San Lorenzo ...”
Nel maggio 1354 il Maggior Consiglio concesse a Giovanni Oste della “Campana”di tenere solo 12 letto al posto dei 40 previsti ... mentre sei anni dopo, lo stesso Consiglio graziò della pena di 10 lire di piccoli il precedente Oste Martino “dell’Ospizio dei Varoti” condannato per aver trasgredito le norme relative alla vendita del vino, mentre la locanda era gestita da Donato da Treviso, e in seguito da Leone Cavola.
Nel gennaio 1361 ancora il Maggior Consiglio concesse a Giovanni della Pigagnola di gestire a Rialto una “Caneva”denominata “Alla Colonna” momentaneamente vacante, e nel 1415 autorizzò “l’Osteria della Croce”ad ospitare per non più di 24 ore: Veronesi, Vicentini e Padovani a cui erano state revocate le case di permanenza in città.
Gli anni fra il 1431 e il 1451 furono i più prosperi del commercio Veneziano col Levante e precedettero un’epoca di ristagno commerciale e crisi economica in cui iniziarono anche a fallire tutte le famose Banche di Venezia. Il solito Diarista Marin Sanudo, infatti, ricordava:
“Le grandi lotte politiche nascondono una lotta fra magazzini pieni e vuoti, tra necessità di vendere e comprare...”
I Nobili Mercanti Patrizi e investitori iniziarono a gestire il loro patrimonio rimanendo fermi nel Fondaco di casa a Venezia, e consideravano disonorevole vendere e comprare al minuto, e di grande prestigio e utilità commerciare all’ingrosso, così come consideravano vile e spregevole commerciare in legna, carbone e cenere. L’enorme capitale accumulato veniva “fatto girare” ossia reinvestito nuovamente, oppure serviva a finanziare opere d’arte, palazzi, ville, oggetti preziosi o pingui depositi nella Zecca o prestiti allo Stato che procuravano grosse rendite e interessi senza spostarsi da Venezia ... e gironzolando solo un poco sotto alle volte e i portici di Rialto.
Nel 1471 venne eletto Doge il Mercante Nicolò Tron che si era arricchito praticando la “Mercandia”per 15 anni a Rodi dove aveva investito ¼ del suo grande patrimonio in palazzi e immobili.
Anche cinque anni dopo si elesse Doge un Mercante inizialmente sopranominato per spregio e invidia: “el casaruòl”. Era Andrea Vendramin che in gioventù aveva commerciato ampiamente “in fraterna” con fratello Luca e molti altri nobili assumendo anche il carico di due intere Galee commerciali in rotta da e per Alessandria d’Egitto.
Il chirurgo di Bologna Leonardo Fioravanti assiduo frequentatore di Venezia descriveva così i suoi mercanti dell’epoca.
“… il Mercante di Venezia deve conoscere il tipo e la qualità delle merci … La cannella non vuole essere troppo grossa, né manco troppo sottile, et di soave odore, et essere di sapor dolce al gusto, et un poco piccante alla lingua … I tappeti vogliono essere belli al disegno, et haver vaghi colori, et bassi di pelo. I panni di lana debbono essere pastosi, et haver bei colori, et lustri ... Le rasse vogliono essere alte, et ben tessute, che non habbino falli dentro, ma che stiene ben distese … Si devono conoscere le merci tipiche di ogni paese:
A Cipro si caricano formenti, sale bianchissimo, cotoni et carrube ...
In Candia si carica malvasie, vini, formaggi, corami ed aceto ...
A Zante si carica formenti, vini, naranze, limoni, olive, olio, lana et pelle, et uve passe in quantità, zibibi et altre cose … Dell’Istria si cavano bonissimi vini, agnelli, capretti et tutte sorti di frutti …
Del Friuli, bonissimi vini, et in gran quantità, farine, legumi, et frutti d’ogni sorte …
Di Brescia si cava ferramenti lavorati d’ogni sorte, et archibugi, et ogni altra sorte di arme miracolose ...
Di Polonia si cava gran copia di gibellini, martori, foine, dossi et vari: tutte pelli di grandissima importanza ...
Di Fiandra si cavano gran copia di tapezerie, panni fini, carisee, fustagni, figure di tela et pesci salati ...
Dell’Allemagna si cava ottoni lavorati, stagni, coltelli, aghi da pomo, sonagli et una infinità di diverse merci come tele, frisetti di seta fina, flauti e simil cose …
Di Franza si cava lane finissime, tele, tovaglie, tovaglioli et un mar di libri di tutte le scienze ...
Di Spagna si cava tonina o salume di tonno, arenghe, vini, seta, lane e pellami assai ...”
Nel 1495 prese fuoco la casa-fondaco del Nobile e Mercante Antonio Diedo piena di ricchezze, mobili preziosi, e giacenze di olio, spezie, lane e merci varie ... Nello stesso anno il Nobile Mercante Pietro Bragadìn (che in seguito diventò ViceDoge), che commerciava da tempo pepe da Alessandria si trovò implicato in una vertenza col fisco perché aveva importato sotto falso nome per conto del padre Andrea anch’egli mercante. Commerciava fra Levante e Ponente in preziosi di cui era esperto conoscitore, e continuò i suoi affari anche quando divenne Bàilo a Costantinopoli concludendo operazioni sul Mar Nero in cui guadagnava fino al 100%. Suo figlio Zuan Francesco Bragadin nel 1519 era presente ad Alessandria in attesa di carovane dall’interno dell’Africa e dal Mare Arabico, e trattava di spezie ed altri generi importanti inviando Galee cariche a Venezia.
Due anni dopo ancora, il Nobile Mercante Marco Bollani naufragò nelle acque vicine all’isola di Cherso con due Galee cariche di merci orientali, e morì annegato e trascinato a fondo da una cintura che indossava contenente 1500 ducati (più di un kg di oro puro).
Ben presto, sempre nell’Emporio di Rialto, la Serenissima fece costruire i Palazzi adatti ad ospitare le sue principali Magistrature commerciali ed economiche di Comune, nonché i propri Tribunali. Erano tutte sedi e Uffici di prestigio, con pareti e soffitti riccamente decorati e abbelliti da pitture di artisti che facevano a gara per far ospitare le loro opere. Quei luoghi riguardevoli e giornalmente iperfrequentati da persone “di conto e riguardo” traboccavano ed erano un tripudio di Madonne, Crocifissi, Pietà, episodi Biblici ed Evangelici, Santi, Paesaggi, rappresentazioni delle Virtù e del Buon Governo, e ritratti di Personaggi che coprivano cariche insigni.
La lista contenente i nomi d’artisti insigni e famosi ed altri meno illustri sarebbe lunghissima: Domenico Tintoretto, Rocco Marconi, Bernardino Prudenti, Bernardo Licini, Paolo Veronese, Giovambattista Lorenzetti, l’Aliense, Giovanni Bonconsigli, Marco Tiziano, Giacomo Bello, Donatello, Pietro Mera, Marco Basaiti, Bonifacio. Bartolomeo Vivarini, Stefano Carneto, Vitrulio. Pietro Malombra, Paolo De Freschi, Odoardo Fialetti, Baldissera d’Anna, Matteo Ingoli, Alvise Dal Friso … per non elencarli proprio tutti.
Tutti quei posti erano occupati e frequentati da Senatori, Giudici, Camerlenghi, Notai, Banchieri, Cassieri, Segretari, Avvocati e dai “… Sjori illustrissimi della finanza di Venezia e dell’Europa tutta …”
A Rialto risiedevano almeno una decina delle principali Magistrature Civiche: i Dieci Savi alle Decime; i Provveditori sopra la Revisione dei Conti istituiti dal Doge Leonardo Loredan per la contabilità degli Ambasciatori, Capitani Generali da Mar e i Provveditori d’Armata; i Provveditori sopra gli Uffici istituiti dal Doge Giovanni Mocenigo come Revisori sui conti di Cipro; i Sindaci di Rialto con autorità su Notai, Scrivani e Commendatori; gli Ufficiali ai Dieci per le contese relative al noleggio di navi e le ragioni dei padroni di Galea; gli Ufficiali e i Provveditori alle Cazzude che prendevano decisioni l’amministrazione dei beni e dei debiti verso lo Stato; i Sopra Consoli per la vendita all’incanto dei pegni dei Banchieri e degli Ebrei a Rialto; gli Ufficiali alla Tocca dell’argento per bollare il metallo lavorato; l’Ufficio sopra le merci del Levante; e i Giudici del Piovegoresponsabili per strade, edifici e questioni confinarie pubbliche e private, oltre che ai diritti e doveri per lo scavo dei canali.
E non finisce qui, perché al piano superiore dei Palazzi che sorgevano accanto al Ponte di Rialto, sopra alle volte del mercato, erano ospitate “di sopra … in solaro”, come si diceva allora: il Magistrato della camera dell’Imprestiti, il Magistrato del Monte Novissimo e quello del Monte di Sussidio.
Sempre a Rialto risiedevano leTre Tavole dei Dazi: quella dell’ “Entrata o Intrada o dei Visdomini”, quella dell’ “Uscita o Insida” prima detta dei Lombardi, la “Ternaria”per l’olio, legnami e ferro ... e laDogana da Terra con relativi uffici del Dazio del Vino, Provveditori sopra i Dazie iProvveditori al Sale con un Proto e relativa cassa. Riscuotevano i soldi del monopolio del sale; erano responsabili dell’affitto delle botteghe, volte, stazi, magazzini e rive; deputati all’amministrazione delle fabbriche pubbliche con relativa manutenzione; e incaricati di polizia, sorveglianza e ordine pubblico.
C’erano inoltre i luoghi della “Messeteria”e“Stimaria” per la valutazione e la tassazione sugli scambi, e il “Farinarium emporium” ossia il, Fondaco della Farina e dei Pesatori del Frumento istituito per la prima volta nel 1178 sotto il Doge Orio Mastropiero accanto alle case Contarini. Consisteva in 30 “fontegharie pubbliche coi loro magazzini” dai larghi guadagni, condotte da privati a cui erano state affittate per un determinato numero d’anni al miglior offerente in cambio del versamento anticipato del canone. Su biade e granaglie scaricate sotto un porticato che dava sul Canal Grande, e sul Fontego e Fontegharie vigilavano al piano superiore gli Ufficiali al Frumentoche seguivano l’andamento internazionale e interno del mercato della farina. Alla fine del 1500 le botteghe o mude di vendita erano 73 con altrettanti anditi di deposito, e una serie di volte sotto il muro maestro sostenuto da colonne a capitello.
Saccheggiato dai congiurati di Baiamonte Tiepolo nel 1310, il Fontego della Farina, ora Ufficio del Catasto, venne ricostruito più volte a seguito d’incendi come quello del gennaio 1513 descritto ancora una volta nei Diari del Sanudo.
“… s'apprese il fuoco anche a questo Fondaco… et poi entroe in caxa di s. Zuan Sanuto lì appresso, qual si bruxoe. Et prima era bruxata quella di Sjer Hieronimo Tiepolo cao di X, che era contigua al Fontego predetto … “
L'Arte dei Fonticai o Fontegheri teneva Scuola di Devozione prima in chiesa di San Silvestro e poi a Sant’Aponàl intorno ad un altare dedicato alla “Natività di Maria Vergine”.
Poco distante sorgeva accanto alla “Piazza di Rialto” laCalle del Parangòn dove si producevano e soprattutto vendevano panni di lana e drappi di seta perfetti, fini e di qualità tale da essere presi come riferimento e “paragone” per gli affari. Nel luogo “…del parangòn de la seda …” Domenico Loredan possedeva due volte nel 1582, e negli “Annali”del Malipiero si legge che il 5 marzo 1492, “… è zonto qua do Ambassadori del re di Polonia con 60 boche per andar a Roma e Napoli, et ha alozà in Corte del Parangon a spese della Signoria …”.
Dall’altro lato del Ponte di Rialto stava una loggia aperta per le contrattazioni e gli affari dei nobili e mercanti, e d’estate per i Consoli sulla Mercanzia e i Saviche redimevano controversie e litigi. C’era inoltre l’edificio delle Rason Vecchie che sopraintendeva sulle spese degli Ambasciatori e stranieri ospiti a Venezia e sull’arredo delle case del Comune. Controllavano anche l’affitto del Dazio sul pesce o Dazio del palo presente nella Pescaria di Rialto. Accanto a loro stavano i Camerlenghi da Comun responsabili delle casse dello Stato, dei “Banchi di Scrittura” e controllori dei creditori della Repubblica. Gli Ufficiali Extraordinari verificavano i libretti delle merci in arrivo via mare a Venezia, mentre i Giudici all’Esaminatore creati dal Doge Reniero Zen sorvegliavano i pegni, le vendite al pubblico incanto, e la regolarità dei testamenti.
Infine in una terza loggia stavano gli Ufficiali alle Razon Nove che revisionavano i conti degli Ambasciatori di Venezia inviati all’estero, ed erano responsabili della gestione della chiesa di San Giacometto di Rialto che era diventata di Juspatronato Dogale.
Nel 1469, sul resoconto delle Entrate e delle Spese della Repubblica, c’era scritto che il gettito dell’Emporio di Rialto, considerato: “sacrario della città”, arrivava a quasi 500.000 ducati sui 650.000 totali, ossia il 90% del reddito dello Stato. Si tenga conto che nello stesso anno l’imposta sulle case dell’intera città rilevata e raccolta dai Dieci Savi alle Decime ammontava a 54.000 ducati … Durante la peste del 1478 le botteghe e le volte di Rialto rimasero incustodite, e un controllo acqueo con barche della Serenissima circumnavigava di continuo i luoghi.
I Provveditori al Sale minacciano pene corporali e grosse multe per chi: “… ruinava banchi, stazi di frutta e d’erbe, o alimentari lungo le rive della Pescaria Vecchia le cui rive devon essere lasciate sempre libere ...”
Presso la chiesa di San Giovanni Elemosiniero avevano sede la Scuola di Santa Croce dell’Arte dei Mercanti da Tela o Telaroli, la Scuola di Santa Caterina d'Alessandria dell’Arte dei Corrieri Veneti, e in seguito quella di San Nicolò dell’Arte dei Cimadori o Cimolini e Sopressadori de panilani. Accanto a queste c’era anche la Scuola dell'Annunciazione che associava Galineri e Butiranti, e quellla della Madonna del Carmine per le devozioni dei Biavaroli.
Nel 1484 si sospesero per 2 anni tutti i convogli delle Galee diretti nelle Fiandre e in Inghilterra a causa delle scorrerie incontenibili del pirata e corsaro Colombo che catturò le Galee capitanate da Ser Bartolomeo Minio.
Nel 1491 si costruì la Pescaria Nuova con un fondaco per il taglio e la vendita delle carni. I banchi di vendita, che non dovevano superare gli 8 piedi, venivano affittati periodicamente a privati per 15 ducati annui con obbligo di deposito anticipato variabile fra 4 e 8% ... Le botteghe e volte di Rialto non affittate venivano utilizzate come magazzini ...L’anno seguente si pose sotto al portico di Rialto ai piedi del Ponte ligneo la “Stagiera Pubblica” … La famiglia Bianchi della contrada di Sant’Aponàl teneva sopra al Ponte bottega da piombi e ferramenta “all'Insegna della Madonna” ... e si autorizzò l’apertura della “Naranzeria”posta sotto e fra il Palazzo dei Camerlenghi e la chiesa di San Giacometto. L'Arte dei Naranzeri era un “Colonnello”riservato ai soli Veneziani che dipendeva dall’Arte dei Fruttaroli.
Nel Mercato di Rialto,comea San Marco sul Ponte dietro alla Zecca, sorgeva la “Casarìa” dove sivendevano “cacio e grassina” in 30 “inviamenti”venduti ai Casaroli dalla Repubblica per 62 mila ducati.Nella “Mariegola de l’Arte o Consorzio de Casaroli”,che si radunava nella chiesa di San Giacomo di Rialto dove gestiva l'altar maggiore, si legge nel 1436:
“ … nessuna persona, sì casarol come altra persona, non osi comperar caseo, né carne, né altra grassa per rivender per sé né per altri, se non ha botega del Comun di Venezia, cioè in Rialto, dentro la Ruga di Casaria, o in San Marco; che in quella vender possino e non in altro luoco, sotto pena di Lire 10 de piccoli per cadauna volta contrafaranno …”
A pianoterra del Palazzo dei Camerlenghi dove risiedevano: Consoli, Sopraconsoli e Magistrati, c’erano le “Prigioni dei debiti”. Si trattava di tre stanze con basse finestre inferriate prospicienti la fondamenta, visibili ancora oggi. Sulla facciata del palazzo c’è scolpito ancora oggi un capitello con un uomo seduto con un pene fatto ad unghia, mentre più sopra una donna seduta mostra la “sua natura” arsa dalle fiamme. Secondo tradizione popolana si raccontava che era talmente improbabile che il Ponte di Rialto venisse costruito in pietra, che si diceva: “Voglio che se ciò si farà, mi nasca un'unghia fra le coscie!”, oppure:“Voglio che le fiamme m'abbrucino la natura!” ... Nello stesso palazzo, nel giorno di San Giacomo del 1560, Giovan Battista dalla Terra di Lavoro entrò con chiavi false e rubò uno scrigno con 8.000 ducati. Catturato e processato, gli fu tagliata la mano destra davanti allo stesso palazzo e poi fu impiccato sempre sulla Piazza di Rialto.
Nel 1500 secondo il Cronista Garzoni, il gestore dell’ “Osteria del Gambero” era un “… ladro …”,mentre quello dell’ “Osteria al Moro” era “… un infedel saracino …”, quello della locanda “Al Sole”era “… un che si scotta sul vivo senza toccarsi punto …”, quellodelle “Tre Spade”: “… un Briareo che non perdona alcuno…”. L’Oste dell’“Osteria del Corno” era:“… un vero cornuto …”, mentre il gestore dell’ “Osteria all’Angelo”: “ … era un autentico Diavolo”, e quello della“Campana”: “… un morgante pronto ad accopparti …”
L’“Osteria al Sol”fu attiva a Rialto fra 1514 e 1799, e si trovava verso la Contrada di Sant’Aponal in direzione del Campiello delle Scoazze.Inizialmenteapparteneva alle Monache di San Servolo che la vendettero ai NobiliVenier che la ingrandirono inglobandovi un Botteghin e casa affittato a Bortolo Lioni, e delle piccole case adiacenti affittate a Giacomo Miotti, Francesco Zanga e Zuane Casarini.L’Osteria era segnalata come quella“Alla Scoa”, come una delle pubbliche“Osterie a pluri” veneziane, che avevano l’esclusiva di offrire vini puri di Romania, Candia, Malvasia, Ribolla e Trebbiano. Le altre “osterie a minori” offrivano, invece, vini terrani a basso prezzo e si rivolgevano a clientela popolare di bassa condizione.
Carlo de Zuane Oste dell’antica“Osteria all'insegna delle Spade al ponte in legno sul rio delle Beccherie” nel 1488 era Gastaldo della Confraternita degli Osti, solita radunarsi nella chiesa di San Mattio.
Il catasto del 1566 ricordava:
“… l'Osteria delle do Spade a San Mattio con due botteghe sottoposte appartiene alla Nobile Famiglia dei Foscari, ed è appigionata ad un Oste di nome Battista …”
Infine, esisteva già a Rialto la rinomata “Osteria a pluri de la Donzella”, di ragione del Monastero di Santa Maria dell’Umiltà in fondo alle Zattere del Sestiere Dorsoduro ... Nel 1506, quando in Contrada di San Mattio vivevano 370 persone e solo il 15% delle case erano abitazioni, un violento incendio distrusse la locanda Osteria del Bo’ coinvolgendo solo in parte le vicine “Fruttaria”e “Casaria”dove accaddero furti di beni e pietre.
Nel censimento del 1509 ordinato dal Consiglio dei Dieci e condotto da 2 Commissari per Sestiere, le “persone utili” registrate nelle Contrade di San Giovanni e San Matteo di Rialto erano solo 89 su un totale di 8.339 persone residenti nelle 4 Contrade del Sestiere di San Polo ... Le botteghe di Rialto messe all’incanto procuravano allo Stato 107.000 ducati, più altri 30.000 ducati per lo scarso numero di acquirenti, a cui si aggiunsero ancora 70.000 ducati provenienti dalle botteghe concesse ai Giudei-Ebrei.
Nella chiesa di San Mattio di Rialto aveva sede la Scuola di Devozione dell’Arte degli Osti sotto il patrocinio di San Giovanni Battista. Una legge del 1318 obbligava gli Osti a tenere sempre preparate due camere a quattro letti “…honorifice et decenter fornitis pro qualibet camera …”dove la Serenissima potesse ospitare Ambasciatori, Ecclesiastici importanti, e altre persone di rango che potessero capitare a Venezia meritando d’essere ospitate decentemente. Fino dal 1355 le Osterie a Venezia erano 24 con 960 letti, ma il Senato le ridusse a 13 nella zona di San Marco e San Giovanni in Oleo, e 8 a Rialto. In tutte le Osterie si potevano trovare stalle e cavalli, perché la Legge prevedeva che gli Osti dovevano percepire:“… 6 soldi di piccoli al giorno per ogni cavallo ospitato, fornendo fieno, paglia, servizio di stallaggio e un quartarolo di biada ...”
All’inizio del 1500 Venezia movimentava almeno 22 Galee commerciale di cui almeno 16 erano d’investitori privati. Era inoltre diventata anche un centro manifatturiero perché possedeva 20.000 telai attivi per la seta, produceva 20.000 pezze di lana annue, assieme a rasi, velluti e scarlatti che esportava sia in Levante che in Ponente.Ma c’era crisi nell’aria e novità sorprendenti da oltre i mari che facevano traballare i monopoli e il successo commerciale di Venezia … La Mercatura forniva ancora ampli guadagni, l’aumento del prezzo delle Spezie fruttò a Venezia un utile di 200.000 ducati dei quali 40.000 andarono ai soli Nobili Grimani … il Banco dei Pisani aveva 40.000 ducati investiti nei viaggi di Ponente … mentre Donato Da Lezze raccontava che in uno scontro con i Turchi alcuni comandanti di Galee da mercato si rifiutarono di attaccare per non rischiare i soldi e le merci che trasportavano a bordo … Il Banchiere Andrea Garzoni aveva investito 85.000 ducati non rientrati ritrovandosi con un debito complessivo di 200.000 ducati ... e i Nobili Lippomano erano indebitati per altri 119.000 ducati … Un operaio addetto alle riparazioni di Palazzo Ducale percepiva in quegli stessi anni circa 100 ducati annui.
Nell’agosto 1498 una delle Galee di Venezia dirette in Fiandra e Inghilterra aveva caricato da Rialto oltre 100 balle di spezie, 280 botti di vino, 328 coffe di rami lavorati destinati alla Sicilia, 160 casse di sapone, qualche balla di panni per la Sicilia ed altre cose minute. Venezia esportava: spezie, panni di seta, camelotti, cotoni filati, fustagni veneziani e cremonesi, bassette, uva passa greca, zafferano, galla e guado e allume di rocca, sapone. Di passaggio per la Sicilia aggiungeva ancora: zuccheri, coralli, cotone, seta greggia e zolfo.
Nel 1501 Girolamo Priuli raccontava delle novità giunte a Venezia, e dell’arrivo a Lisbona in Portogallo del primo carico di pepe dalle Indie circumnavigando l’Africa, e tralasciando il Mediterraneo e le classiche vie carovaniere.
“ … E’il principio di la ruina del Stato Veneto…” commentava.
Siviglia in Spagna divenne il centro commerciale più importante della Castiglia dove affluivano Genovesi e Fiorentini per partecipare al commercio con le nuove colonie Americane e imbarcare merci per la nuova rotta delle Indie e di Malacca servite ormai annualmente da ben 4-5 navi ... In seguito il controllo dei traffici e dei commerci passò quasi del tutto a Cadice in Portogallo.
Tempo indietro il pepe costituiva in certi anni i 9 decimi del totale delle spezie importate dai Veneziani a Rialto, e il suo prezzo oscillava dai 22 ducati “al Cantaro” (60kg) con apici nei momenti d’oro di 45-70 ducati.
Fu l’inizio della crisi per Venezia … anche se ancora nel 1506 un corsaro napoletano catturò la nave da 200 botti di Matteo Priuli diretta a Costantinopoli trasportando stagni, panni di seta, lana e merci per un valore approssimativo di 30.000-40.000 ducati … Nello stesso tempo, il Nobile Pietro Bragadin impegnato in una carica ufficiale della Repubblica Serenissima ricordava al figlio che curava i beni di famiglia a Venezia: “… De uno ducato fanne due si tu poi…che ne senti beneficio et honor, et io contento …”
Nel 1504 la Galea “Contarina” fu allestita in Arsenale spendendo 516 ducati per realizzare un viaggio in Fiandra ed Inghilterra per poi ritornare carica all’Emporio di Rialto. Si era appena stipulata la pace col Turco, e quindi era un momento propizio per le spedizioni e i commerci.
A febbraio le Galee della Muda-convoglio di Alessandria erano rientrate a Venezia senza carico di spezie, cosa mai successa a memoria d’uomo. In precedenza erano partite da Venezia con 40.000 ducati in moneta, 268 coffe di rami e poche altre merci, e in Egitto avevano trovato pochissime spezie a prezzo troppo alto. Fra gli appaltatori di quel viaggio sfortunato c’era anche Francesco Contarini, che fingendosi esasperato, implorò il Senato d’essere esentato dall’obbligo di pagare all’Arsenale un sospeso di 500 ducati a causa di quella spedizione che l’aveva “rovinato” … Anche a marzo le Galee dalla Siria avevano portato solo seta greggia e grano dopo essere partite senza contanti e con un solo carico di panni lana ... A Venezia, dove Mercanti e Nobili Senatori avevano magazzini pieni o mezzi vuoti, s’era sparsa la notizia che a gennaio erano arrivate in Inghilterra da Calicut 5 carichi Portoghesi che avevano provocato forti ribassi.
A maggio la nuova Galea “Contarina” era pronta, e dopo vari tentativi andati a vuoto perché la Serenissima esigeva troppo, fu presa all’incanto a ribasso per 800 ducati da Francesco Contarini di Alvise a nome di Piero Pesaro che era “caratista” per 1/6 della spedizione, mentre altri 8 carati appartenevano a Nicolò da Pesaro, 8 ad Alvise Priuli e 4 ad Alvise, Bernardo e Zuan Priuli tutti Nobili Mercanti di Venezia.
Il Contarini, quindi, era solo il Patròn e appaltatore della Galea, e per questo ottenne un compenso di 200 ducati.
Nello stesso giorno si appaltarono anche altre 2 navi ad Antonio Leoni per 1.100, e al fratello Giovanni per 910 ducati a cui subentrò Federico Morosini in quanto la legge proibiva affari in società fra fratelli.
Nello stesso mese arrivarono notizie contrastanti dall’Inghilterra dove c’era una nave in partenza, e un carico di 300 balloni di lana greggia rimasto invenduto a terra. Imperversava carenza di grano, tanto che il convoglio trasportò barili pieni di granaglie invece che di vino siciliano ... Il Portogallo esportava in Fiandra 2.000 cantera di meleghetta e altrettanti di pepe dalla Guinea ... Il mercato veneziano delle spezie sopravviveva solo perché vendeva pepe di qualità migliore rispetto a quella portoghese, così come lo zenzero dei Veneziani importato da Beirut era migliore di quello venduto a Lisbona.
La “Contarina” partì in convoglio ai primi di agosto 1504, e fece subito una sosta a Pola per spalmare gli alberi di sego … Alla partenza da Venezia, aveva registrato le merci trasportate, e pagato Dazio per 17 sacchetti di denaro, e 12 casse di libri a stampa ... Dell’equipaggio facevano parte: Dalmati, una decina di Veneziani e 8 di Terraferma, alcuni Greci, Albanesi, Montenegrini, Turchi, 1 Serbo e 1 Saraceno reclutati tutti a Venezia per 4 ducati a quadrimestre, tramite un banco d’arruolamento in Piazza San Marco pagando trombettieri, pifferi, bandierine, mance ed elemosine, e mandando anche un vessillo in giro per le chiese per attirare volontari.
La paga poteva essere integrata dalla “portata” ossia dalla possibilità di caricare in esenzione di nolo una quantità di merci proprie di ½ quintale per i rematori, fino a più di 6 quintali per l’Ammiraglio, Uomini del Consiglio, Comito, Scrivani e Patron.
Quel che è davvero curioso, è che a bordo della “Contarina” era imbarcato un gruppo davvero eterogeneo di “periti di mare”. Al Patròn, i 4 Ufficiali e 1 Scrivano, seguivano: 1 Marangon o Mastro d’ascia, i Calafato, un Remer o Mastro Remaio con 8 Compagni per 137 Rematori, 2 Pennesi per le vele, 6 Prodieri e 6 Portolatti, 8 Bombardieri e 14 Balestrieri per la difesa, 1 Cuoco e 1 Scalco, 1 Cantiniere, 1 Barbiere, 1 Pescatore.
In settembre la Galea Veneziana arrivò a Messina dopo aver caricato a Palermo “pan biscotto” venduto da un veneziano, e aver perso vele, antenne e merci caricate in coperta durante una tempesta. Sempre a Messina incontrò le Galee partite l’anno prima di ritorno a Venezia, e imbarcò un pilota esperto di navigazione del Tirreno che la portò per Maiorca e Gibilterra fino a Cadice ... Lì salirono a bordo altri due piloti per il Mar di Spagna, e il 7 novembre la “Contarina” arrivò a Southampton in Inghilterra dopo 3 mesi di navigazione, ragginta dalle Galee “Charity”e “Julian” che scaricarono 436 botti di Malvasia creando problemi con i traffici e gli affari locali.
Da Southampton con l’aiuto di uno speciale pilota per superare il banco di Santa Catarina, si proseguì per Flessinga alla foce della Scheda occidentale, da dove con l’ennesimo pilota locale si giunse per Natale ad Anversa dove la Galea si fermò affittando per 2 mesi ed 8 giorni un magazzino per attrezzi e gli Ufficiali, raddobbando lo scafo, e acquistando per la ciurma 16.500 pagnotte di pane fresco usate 2 al giorno per i suoi 128 rematori. Si pagò anche un Cappellano e dei cantori che si presentarono a cantare il giorno degli Innocenti secondo l’usanza locale ... Durante tutto il viaggio la “Contarina” pagò 306 ducati fra Dazi e tasse pagate nei vari passaggi, pilotaggio, porti e canali.
La Fiera di Anversa di quell’anno non fu una delle migliori occasioni per far affari, e la “Contarina”ripartì con poco carico, anche se qualcuno caricò in proprio merci proibite, come tele di lino, che gli inglesi in seguito sequestrarono. A Remua presso Middemburgo la “Contarina” caricò 2 battelli di zavorra e fece sosta, mentre a Flessinga salirono i soliti piloti per la Scheda ed il banco di Santa Caterina, e il 1 aprile era di nuovo a Southampton sede del Console della Repubblica di Venezia.
Lì s’affittò dal 4 aprile al 5 giugno un magazzino e casa e camere per gli Ufficiali e la ciurma di 128 uomini che consumò stavolta 17.000 pagnotte fresche. La “Contarina” fu riparata e spalmata di sego e sapone nero, e le stive vennero finalmente riempite di merci per 17.000 ducati. Si caricarono: 9.000 pezze di panni di lana pagando Dazi e Tasse per 5.000 ducati.
Regalando ai doganieri Inglesi: acqua di rose, susine e altre regalie, i marinai della “Contarina” ottennero la restituzione delle tele contrabbandate, e partirono, ma tornarono presto indietro nel porto di Huie o Wight a causa di forti venti e correnti contrarie nel Canale della Manica e sull’Atlantico.
Solo alla fine di luglio, la “Contarina”arrivò e si fermò 6 giorni a Cadice dopo aver fatto spese a Villa Bruxà, Torres in Galizia, e si assoldò il pilota del Mar di Lion che portò la Galea fino a Messina dove si fece un grosso rifornimento di biscotto rimanendo fermi 4 giorni. Ripreso il mare, e dopo aver sostato altri 12 giorni a Palermo, la “Contarina” finì dispersa da una tempesta nelle acque della Sicilia, così che alla fine di ottobre le atre due Galee giunsero a Venezia da sole. La “Contarina”arrivò a portare il suo carico all’Emporio di Rialto solo dopo 4 giorni dopo aver fatto scalo a Corfù, Curzola, Lesina e Parenzo.
La spesa del viaggio di 14 mesi della “Contarina” per la Fiandra costò 9.254 ducati fra allestimento, incanto, paga del Patron, Nobili, Ufficiali, Rematori, Piloti, Portolatti, tasse portuali, riparazioni, manutenzione, “panatico” dell’equipaggio e aceto per disinfettare l’acqua di bordo. Inoltre, a Sounaphton si comprarono 8 botti di vino di Romania, 1 botte di Malvasia e 3 pipe di Guascogna ... Di solito una spedizione simile costava molto di più.
Giunta a Venezia la “Contarina”fu soggetta a contestazione e controversie perché aveva caricato merci sotto e sopra coperta in parti della nave proibite dalla legge. Inutilmente in dicembre Marcantonio Contarini provò a giustificarsi davanti al Doge. I 3 Patroni della Galea“Contarina” furono condannati a 10 anni di esclusione dalle funzioni di Capitano di nave (poi ritirata), e ammenda di 300 ducati con versamento di noli indebitamente percepiti per il carico irregolare.
In parallelo al movimento mercantile di Rialto, a Venezia imperversava ancora il contrabbando anche del Sale, soprattutto al confine con Padova ossia al Bottenigo e Gambarare. Ma si contrabbandava fino a Caorle, Burano, Mestre e Cannaregio e San Piero di Castello a Venezia anche provenendo da Pirano, Capodistria, Pago e risalendo perfino i fiumi Livenza e Piave ... La pena per i contrabbandieri era la confisca di barche, carri e cavalli, la multa di lire 400 di piccoli + 8 mesi di prigione e 3 scassi di corda in pubblico, cavato un occhio e fino all’impiccagione nei casi più gravi. Per contrabbandi minori la pena era di lire 100 di piccoli e 2 mesi prigione e se non si pagava si veniva frustati e condannati da 4 a 6 mesi di prigione ... ma il contrabbando fioriva ugualmente incontrollabile.
Le cronache raccontano che già nel 1515, quando quel ricchissimo mondo commerciale di successo sembrava all’apice del suo “grandore”, i Veneziani andarono a rifornirsi di Spezie direttamente nella relativamente vicina Lisbona in Portogallo e non più attraversato il mare in Oriente, nel Levante o in Siria, Costantinopoli e Alessandria d’Egitto. Era terminato il monopolio marittimo dei Veneziani su quei preziosi prodotti, e finito il controllo assiduo che esercitava sui commerci del chiuso mondo del Mediterraneo, e su tutto ciò che da Venezia si spandeva a macchia d’olio per tutto il resto dell’Europa ripartendo per nave o risalendola con zattere e un nugolo di carri e carretti, via fiume o via terra per l’intrico infinito delle strade e dei canali.
Non si può non ricordare la presenza degli Oreficio Oresi nell’Emporio di Rialto dove il Maggior Consiglio con Deliberazione del 23 marzo 1331 li costrinse ad operare, mercanteggiare in oro e argento ed aver bottega nella “Ruga Vecchia di San Giovanni” chiamata appunto:“Ruga degli Oresi o degli Anelli”. Agli Oresi, associati in Corporazione nella chiesa di San Giacomo di Rialto con i “Gioiellieri” e “Diamanteri” sotto la protezione di Sant’Antonio Abbate, fu concesso il raro privilegio di avere in chiesa un sepolcro-arca o tomba privata, per il quale offrivano ogni anno due pernici al Doge nel giorno di Santo Stefano.
In Ruga degli Oresi a Rialto, gli Orefici organizzavano varie volte all'anno, ma specialmente il Giovedì Grasso, una “Caccia dei tori”, e lavoravano “Armille o Manini” che un tempo si chiamavano “Entrecosei o intrigosi”perché fatti di sottilissime pagliuzze d'oro intrecciate insieme. Per poter essere ammessi all’Arte, da cui erano esclusi gli Ebrei, si doveva superare una prova apposita di abilità ... distinguendo l’Arte nei rami di: “legature di gioje alla Veneziana o alla Francese”, “catenelle d'oro”, “filigrani”, “catene d'oro massiccio”, “argento alla grossa”, “coppe e bacini”, “calici e arredi sacri”, “posate”, “minuterie”, “bottoni di filo”, “sbalzo a ceselli”. Inoltre “Oresi” e “Diamanteri”sfaccettavano diamanti, cristallo di monte, rubini, smeraldo, granati, fondevano a luto ed a staffa, dipingevano a smalto, e intagliavano a bolino.
Nella Ruga degli Orefici a Rialto, nel gennaio 1340, fu condotto legato con gioielli falsi al collo l’orefice Leonardo Rosso, che fabbricò oreficerie e argenterie false di bassa lega, vendendole e spacciandole per metallo buono. Reo confesso, fu trascinato da San Marco a Rialto, e costretto a proclamare pubblicamente le sue colpe. In seguito non poté più esercitare la professione di orefice in Venezia e in tutto il territorio Veneto, e fu messo in prigione per un anno.
A Rialto, inoltre, c’erano “l’Erberia” e la“Cordaria”.L'“Erberia” esisteva fin dal 1200 e fu tutta selciata in pietra dal 1398. Era una Fondamenta dove approdavano erbaggi e frutta provenienti dalle isole e dalla Terraferma, che venivano vendute all’ingrosso dall’“Arte degli Erbaiuoli”, “Colonnello”dell’Arte dei Fruttarioli, che operava in 122 botteghe, 11 posti chiusi, ed 89 inviamenti, ritrovandosi per le devozioni e le decisioni dell’Arte accanto all’altare loro concesso nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, vicino a San Marco.
La“Cordaria”dei fabbricatori di corde, invece, occupava 17 piccole botteghe presso Rialto. I Cordaroli erano consociati dal 1450 con l’Arte riservata ai soli Veneziani dei “Filacanevi” o filatori di canapa, e si radunavano per devozione nella chiesa di Santa Chiara sotto il patrocinio di Sant’Ubaldo. Per non danneggiare gli affari dei Cordaroli, i “Venditori di Tele” non potevano vendere in proprio corde e spago, perciò i Venditori di Tele Agostin Casson, Giacomo Nascimben e il figlio Gerolamo dovettero chiedere e ottenere una speciale licenza da parte della Giustizia Vecchia per poter vendere “corde e spago” nel Fondaco dei Tedeschi, alla condizione di comperare tali merci dai “Filacanevi”. Ancora nel 1773 l’Arte contava 210 botteghe in città con 300 capi maestri, e 42 garzoni attivi.
La chiesa di San Giacometto racchiusa dai portici di Rialto era un formicaio di gente disparata raccolta e congregata in Scuole, Confraternite e Compagnie d’Arte, Mestiere e Devozione ...e fin dal 1310 presso la stessa chiesa patrocinata direttamente dal Doge, c’era una scuola pubblica di Filosofia.
Sempre in quella chiesa, dove esisteva fin dal 1382 la Scuola di Devozione dedicata a Sant’Antonio Abate dell’Arte degli Oresi, Zogielieri e Diamanteri, dal 1414 si ospitò anche la Fraglia dei Bastazi della Dogana de Terra, e dal 1436 la Scuola di San Giacomo dell’Arte dei Ternieri e Casaroli. Cinquant’anni dopo circa, s’aggregò la Scuola di Sant’Antonio Abate dei Luganegheri trasferitasi dalla vicina chiesa di San Salvador, e la nuova Fraglia del Traghetto della Loggia dei Camerlenghi.
Dal 1538 s’aggiunse la Scuola di San Giacomo dell’Arte dei Pesadori dell'Ufficio della Pubblica Stadera, e pochi anni dopo s’aggregò la Scuola dell'Assunta "della Sendrina" riservata agli oriundi della Val Cedrina. Nel 1529 arrivarono gli uomini consociati del Traghetto dei Barileri, e poi quelli del Traghetto al Ponte di Rialto. All’inizio del 1600 s’inaugurò la Scuola dell'Annunziata dei Garbeladori o Criveladori, Ligadori e Bolladori de Comun, a cui s’aggiunse nel 1609 la Scuola della Madonna del Carmine dell’Arte dei Biavaroli. A seguire giunse quella di Sant’Antonio da Padova dell’Arte dei Travasadori da Ogio, laFraglia dei Bastazi della Dogana da Mar, e il Sovvegno della Concezione dei lavoranti Pistori ... Insomma, era tutto un andirivieni senza sosta che movimentava migliaia di Veneziani sotto le volte e i portici di Rialto.
Nel gennaio 1514 un violento incendio spinto dal vento, scoppiato forse nella bottega da Corderia di Antonio Zuliani e Zuan Maria Malipiero o forse in quella di Telerie detta “Del diamante”, distrusse in meno di sei ore gran parte dell’Emporio di Rialto e ben trenta Uffici della Giudicatura, il Fondaco della Farina, e la chiesa di San Giovanni Elemosinario arrivando fino alla Contrada di San Silvestro.
“Se non fosse stato spento dalle Maestranza accorse dall'Arsenale, sarebbe andato fino a Sant’Aponal e saria andato fino a San Polo ...ll quale incendio fu di tanto danno … si persero molti libri pubblici, denari, e robe di mercadanti ch'erano nelle volte … oltre che si aveva dubbio di qualche suscitatione di qualche ghiotto, talché furono istituite guardie, e per li sestieri, e attorno Rialto, e massime acciocché le robe dalle ruine non venissero tolte …”
La perdita si quantificò in ricavi persi per almeno 35.000 ducati fra le botteghe affittate da 1 a 20 ducati ch’erano il 43% del totale, e quelle con l’affitto superiore ai 40 ducati, che erano il 20%. La ricostruzione iniziò due giorni dopo guidata dal Provveditore Daniele Renier e su disegno dello Scarpagnino ... il Piovano di San Giovanni Elemosinario cedette alla Signoria alcune botteghe nei pressi del campanile, la Drapperia fu rifatta in forma bellissima, il Senato effettuò tutta una serie di risarcimenti aiutando chi non era in grado di riedificare per conto proprio e cacciando chi aveva occupato abusivamente i posti ... Tuttavia, ancora a 18 anni dall’incendio, la rifabbrica di Rialto era ancora da ultimare e continuò fino al 1537.
Nel censimento dell’area dello stesso anno, la Contrada di San Giovanni Elemosinari contava 219 unità in totale, fra cui 17 case ridotte a 6 dopo l’incendio, 98 botteghe, 104 volte con magazzini. La Contrada di San Mattio, invece, constava in 166 unità in totale, fra cui 24 case, 97 botteghe e 45 volte con magazzini … I nobili Contarini, Dandolo, Da Canale e Querini supplicarono lo Stato di clemenza, disposti a rinunciare persino al titolo nobiliare, in quanto oppressi dai debiti contratti con la perdita di 12.000 ducati di una loro nave affondata carica di botti, e soprattutto a causa delle perdite dovute all’incendio di Rialto.
Gli eredi di Zuan Paolo Gradenigo erano ancora i massimi proprietari della zona di Rialto Novo, Casaria, Corderia e Fruttaria dove possedevano botteghe, volte e magazzini con rendite tra 18 e 98 ducati ciascuna ... I Morosini conservano proprietà in Riva del Ferro e a Rialto Novo, i Sanudo possedevano “l’Osteria della Campana” e 3 botteghe sottostanti salvatesi dall’incendio per le quali percepivano 290 ducati come nel 1514 ... In quegli anni aumentarono per tutti gli affitti delle botteghe.
Fino dal 1341 si faceva memoria dell’ “Osteria della Campana o delle Varote”in Pescharia Novadetta anche Ospizio dei Varotieri retta da Zanino di Lorenzo ed in seguito da Antonio a Varotis. Era nominata come l’ “Osteria del Cavalletto”, l’ “Osteria alla Colonna”, l’ “Osteria alla Corona” come uno dei lupanari di Rialto, ed era un’altra delle“Osterie a pluri” pubbliche di Venezia, di proprietà dei Nobili Sanudo che con il famoso Diarista Marino la descrivevano così:
“… El stabele qui è molto caro ... Testi siamo noi Sanuti che in Pescharia nova habiamo un'Hostaria chiamata di la Campana. Sotto tutte botteghe, ed è picciol luogo, e tamen di quel coverto si cava più di ducati 800 di fitto ogni anno, che è cossa maravigliosa del grande afitto, e questo è per esser in bon sito l'hostaria; paga ducati 250 che paga più chel primo palazzo della terra …”
Racconta ancora, che nell’Osteria, all'epoca di Cambrai, furono trattenuti come ostaggi alcuni cittadini di Cremona, che poi fuggirono ... e che il 26 gennaio 1507 essendosi contratto matrimonio di una figlia di Leonardo Grimani con Alvise Morosini, ascritto alla “Compagnia della Calza detta degli Eterni”, ed avendo il Grimani dimostrato poca splendidezza nell'allestire il banchetto nuziale, gli Eterni si vendicarono andando a Rialto dopo aver fatto danni in casa Grimani e prelevati due bacini d'argento da parte di Stefano e Domenico Tagliacalze.
“… Questi andarono gridando d’essere stati maltrattati nel pranzare, e per altro senza aver incontrato donne invitate ... Perciò volevano impegnare quei due bacini d’argento per cenare in allegrezza vendendone uno per illuminare con torce, e l'altro per mangiare bene presso l'Osteria della Campana ...”
Circa cinquant’anni dopo, tutta l’isola di Rialto venne “risalizzada” ossia pavimentata dal Traghetto di Ca’ da Mosto alla Calle dei Toscani, e dalla Riva del Canal Grande fino a San Mattio ... In autunno il Consiglio Dieci emise un bando per costruire le Fabbriche Nuove di Rialto su di un’area di 254 piedi veneziani e 31 di profondità, liberata abbattendo stazi, volte provvisorie e ripari in legno sulla Riva del Canal Grande. Il progetto prescelto di Jacopo Sansovino prevedeva un edificio in 25 campate con 28 volte affittabili a 8-10 ducati annui, e 4 botteghe la cui rendita si prevedeva essere almeno di 150 ducati annui, per un totale di 380 ducati annui circa a favore dello Stato. Se poi si fossero venduti al 4%, se ne potevano ricavare 9000 ducati.
Nell’agosto del 1524 crollò per intero la rampa del Ponte verso Rialto provocando due vittime. Le preziose botteghe subirono ingenti danni e furono tutte sgomberate ... Immediatamente i Provveditori al Sale presentarono in Collegio un nuovo modello di ponte in pietra, seguito da un secondo e da un terzo.
E vennero gli anni del 1527 e 1528 che furono storicamente difficilissimi per Venezia. Le possibilità d’importare grano dai soliti paesi si ridussero drasticamente, e il prezzo crebbe fino a 4 volte … A Venezia si era alla fame. Drammaticamente Marin Sanudo descrive nel dicembre 1527, a meno di una settimana dal Natale, la scena della gente affamata che convergeva a Venezia in cerca di cibo ed espedienti per vivere.
“… ogni sera in piazza San Marco, sulle vie della città, su Rialto è pieno di bambini che gridano ai passanti: “Pane ! Pane ! … Muoio di fame e freddo !” E’ terribile ... Al mattino, sotto ai portici dei palazzi vengono trovati cadaveri ...”
Sempre il diarista Marin Sanudo continuò a descrivere la città all’inizio del febbraio seguente, in tempo di Carnevale.
“… La città è in festa, sono stati organizzati molti balli in maschera e al tempo stesso, di giorno e di notte, è immensa la folla dei poveri ... A causa della gran fame che regna nel paese, molti vagabondi si sono decisi di giungere qui, insieme ai bambini, in cerca di cibo…”
A fine mese le cose non erano cambiate.
“… Devo annotare qualcosa che rammenti che in questa città regna continuamente una gran fame ... Oltre ai poveri di Venezia che si lamentano per le strade, ci sono anche i miserabili dell’isola di Burano, con i loro fazzoletti in testa ed i bimbi in braccio a chiedere l’elemosina ... Molti arrivano anche dai dintorni di Vicenza e Brescia, il che è sorprendente ... Non si può assistere in pace ad una messa, senza che una dozzina di mendicanti non ti circondi e chieda aiuto … Non si può aprire la borsa, senza che subito un poveraccio non ti avvicini, chiedendo un denaro ... Girano per le strade persino a tarda sera, bussando alle porte e gridando: “Muoio di fame !”
Fra 1535 e 1569 nessuna Galea da Mercato partì più da Venezia per Beirut o per Alessandria, mentre i Francesi di Marsiglia stipularono un accordo commerciale diretto con Solimano il Magnifico, saltando la mediazione di Veneziani e Ragusei, e prendendo residenza ad Aleppo in Siria antico capolinea della Via della Seta.
1545 a San Giovanni Elemosinario era sorta una Scuola d’abaco “… a costa del muro della giesia ...”, e si pagava 12-15 ducati annui per l’organista, altri 12 ducati “… alli cantadori delle compiete della Quadragesima et per accompagnar il Sacramento nel Sepolcro et Venerdi’ Santo.” Nel marzodello stesso anno,nella vicina Parrocchia di San Mattio di Rialto il pittore Lorenzo Lotto fece testamento “in volta alla Corona”, ossia nell'Osteria della Corona, disponendo fra le altre cose di venir sepolto per concessione dei Frati Domenicani a SS. Giovanni e Paolo senza alcun dispendio, in benemerenza di aver loro dipinto la pala con Sant’Antonino.
Per avere un’idea precisa della situazione, dovete pensare che la fabbrica del Ponte di Rialto visibile ancora oggi risale al febbraio 1588, quando si affidarono ad Antonio Da Ponte i lavori per un nuovo ponte in pietra. Cinque anni dopo, 1593 si erano già spesi traendoli dalla Zecca di Stato di San Marco: 245.537 ducati, il 43 % dei quali era stato utilizzato per espropriare e comprare botteghe e case presenti nella zona limitrofa della Contrada di San Bartolomeo.
Nel 1571 circa, il Patriarca Trevisan ordinò di non concedere benefici a chi abiurava dal Protestantesimo, ordinò anche ai Neoeletti Piovani di prendere possesso al più presto della Parrocchia altrimenti avrebbe provveduto lui direttamente, proibì l’apertura serale delle chiese “…oltre i Secondi Vespri del giorno …” sotto pena di 10 ducati, e bandì alcuni Preti perché indegni ... compreso il Piovano di San Mattio di Rialto Ermete De Bonis perché trovato incapace di leggere e spiegare il Catechismo Romano e comprendere “le lezioni” del Breviario durante l’abituale esame Canonico di controllo.
In quegli anni, San Mattio di Rialto nella cui Contrada vivevano 632 persone, venne così descritta.
“… piccola chiesa … ben costruita a tre navate, con tetto decorato e pavimento in pietra solida, squadrata … Una sacrestia piccola, ma sufficiente ad un unico sacerdote, un piccolo cimitero che non può essere chiuso per non ostacolarne l’accesso … una torre campanaria con le sue campane … una buona chiesa, insomma ...”
Lì dentro si consociavano gli Stagneri della Scuola di San Giovanni Evangelista, i Caneveridella Scuola di San Giovanni Battista, gli Spezieri da Grossodella Scuola di San Gottardo, i Lavoranti Pistoridel Sovegno della Concezione … che s’aggiungevano ai devoti già presenti della Fraterna dei Poveri, quelli della Sacra lega di San Giuseppe, della Scuola della Beata Vergine del Rosario, e quelli del Suffragio del Morti e del Crocefisso… e altri ancora …come accadeva in tutte le chiese di Venezia dell’epoca.
Quando nello stesso anno, i Veneziani e gli alleati vinsero contro i Turchi a Lepanto, le cronache raccontano di feste che i Tedeschi organizzarono nel loro Fontego di fronte a Rialto, accanto al Ponte.
“… i Tedeschi per tre sere continue acconciarono il Fontego di razzi, e accomodarono di dentro e di fuori per diversi gradi, lumiere, dal primo corridore fino alla sommità del tetto, che rendevano dalla lunga una veduta quasi di un cielo stellato ... Da prima sera fino alle 5 hore di notte, si udì di continuo suono di tamburi, di pifferi e di trombe squarciate, e sopra i pergoli del Fontego si fecero diversi e rari concerti di musica con spessi tiri d’artiglierie ... Et attorno a tutte le Fabbriche Nuove della Piazza di Rialto, cominciandosi dal Ponte fino alla Ruga predetta, furono tirati panni finissimi di scarlatto, vi si attaccarono di sopra con uguali distantie bellissimi quadri di pitture, di imprese, di ritratti, e d’altre diverse historie … quadri meravigliosi del Giambellino, di Giorgione da Castelfranco, di Bastiano del Piombo e d’altri eccellenti pittori. La prima mattina si cantò la Messa Solenne sopra un palco dinanzi alla chiesa di San Giacomo con musiche meravigliose ... Dopo terza si fece la Processione col Crocefisso innanzi, precedendo piffari, trombe squarciate e tamburi ... Dopo mangiare si dissero i Vespri con le musiche medesime e cominciatisi tardi finirono alle due hore di notte ... Il restante del tempo si consumò in harmonie con variati concerti …”
Accanto al Fondaco dei Tedeschi teneva “Stazio” ossia sede, il “Traghetto dei Ruffiani o del Buso”di Rialto. Era denominato così forse per essere collocato in un “buso” o posto ristretto proprio sotto al Ponte di Rialto. Ma altri maligni o forse meno forbiti spiegavano che il nome andava inteso in senso femminile e osceno, perché avendo il Governo Serenissimo bandito da Venezia tutte le prostitute, fu costretto a richiamarle in fretta a causa di gravi disordini e proteste che ne derivarono. Quando le donne ritornarono in massa in città, passarono il Canale Grande in gruppo attraverso lo Stazio del Traghetto di Rialto, che perciò dai popolani venne scherzosamente fregiato col nome riferito “… all’allegro lavoro della brigata delle meretrici …”
Emblematico fu che nel 1544 i Cinque Savi agli Ordini, tanto importanti nel passato, venissero considerati di bassa considerazione da Gasparo Contarini che si lamentava in quanto la carica veniva data “… a giovani et huomini di prima barba … poichè l’imperio di Terraferma crebbe ed i nostri cominciarono a voltare l’animo alla Terra. I Savi di Mare perderono la loro riputazione ed i Savi di Terraferma l’acquistarono …”
Non che mancassero le opportunità commerciali, perché nel solo 1564 sul Mar Rosso entrarono 30.000 quintali di pepe e l’anno seguente più di 20 bastimenti arrivarono a Gedda dall’India carichi di 129 some di spezie destinate soprattutto ad Alessandria d’Egitto ... Sette carovane settimanali arrivavano dalla Mecca e Persia, e tre da Bassorah fino al porto di Aleppo in Siria trasportarono complessivamente 50 some di cannella, 60 chiodi garofano, 295 di noce moscata, macis, indaco, zenzeri, pepe, mirabolani, assafetida, cassia, cardamomo e valanga.
Oltre alle spezie c’erano 189 some di seta greggia siriana e persiana, cotone da Cipro, Aleppo e Hamah in Siria. La seta era grossa o sottile in relazione alla pesatura, e si pagava un’imposta sul peso: il “Diritto di baldanza” che consisteva in “deremi 6 per rotolo grosso e deremi 12 per rotolo sottile”… e cinque anni dopo si poteva esportare moneta di contrabbando dalla Turchia in Persia evitando i Dazi, guadagnando il 20% sull’argento, 40-50% sull’oro e 10-20% sul rame.
Erano i profitti ch’erano scesi di molto, e la concorrenza era aumentata in maniera spropositata … Un mercante reputava conveniente partire da Venezia per andare a commerciare su piazza estera soltanto per un giro d’affari di almeno 100.000 ducati, mentre cento anni prima bastava un capitale di 500 o 1000 ducati … Portoghesi e Spagnoli con le loro flotte e nuove rotte avevano rivoluzionato l’intera logica del Mercato Mediterraneo e Atlantico ... e gli Olandesi possedevano ormai una flotta da 200.000 tonnellate.
I Portoghesi e gli Spagnoli avevano spaccato il mondo, e aperto rotte impossibili che disegnavano un mondo nuovo. Nuove terre, nuove vie, nuovi guadagni e commerci, nuovi prodotti, nuovi orizzonti su cui operare. Era davvero cambiato il mondo … e non era finita lì, perché stavano emergendo potenze nuove e nuove rivalità e concorrenze commerciali. C’erano gli Olandesi, gli Inglesi che bussavano alle porte mercantili in maniera diversa ... A dire il vero, erano sempre stati presenti nello scenario economico Europeo, ma ora erano diventati più potenti, consci di se e soprattutto intraprendenti e capaci di sovvertire gli equilibri commerciali di sempre.
Venezia si trovò improvvisamente spiazzata da tutte quelle novità, e non le rimase che adeguarsi e cercare in qualche maniera di far buon viso a cattiva sorte salvando il salvabile. Da numero uno esclusivo si trovò ben presto ad essere solo un’alternativa di riserva e secondaria sul palcoscenico dei grandi movimenti e guadagni delle vendite e acquisti e degli affari del mondo.
E poi … era iniziata l’era del The, del Caffè e del Cioccolato che divennero presto beni d’elite e di consumo ambiti, preziosi e solo per pochi. Proprio all’inizio, meno di mezzo chilo di the e caffè costavano rispettivamente 1.500 euro e 2.000 euro ... Era iniziato il tempo in cui in Cucina iniziava a vincere il gusto Naturale e il Prezzemolo e la Cipolla nostrana andavano a sostituire la montagna millenaria finora invalicabile dell’uso e gusto esotico delle Spezie. Si cominciò a preferire il gusto della carne e selvaggina “selvatico”coperto solo dagli odori dell’orto, dai gusti genuini e semplici dei campi, e non più speziato … A Rialto rimase tutto il resto: gli avori, le lane, le perle, i vini … il che non era poco, Ma non fu più come prima, s’era come rotto qualcosa. Quel mirabile miracolo commerciale s’era come inceppato e iniziò un lento, inarrestabile e progressivo declino della fortuna economica Veneziana. Non che le navi andassero e tornassero vuote … ma si erano perse certe rotte e preminenze, e soprattutto s’era smarrita una certa voglia e senso d’andare.
Per fortuna Venezia non fu l’unica a trovarsi in quella situazione, per cui si trovò a spartire quella sua situazione di involuzione economica anche con altri ex protagonisti di quel mondo di scambi e affari. Si riuscì a conservare in qualche maniera, seppure ridotta a minimi storici, anche quella via di commerci che era stata protagonista per secoli dei mercati. Ma non era più come un tempo … Tutto era cambiato per sempre.
Quel che è incredibile, è che Venezia visse per altri trecento anni in questa situazione … non un anno, trecento !
Si adagiò in quella sua fisionomia secondaria, vivendo quasi di rimbalzo e all’ombra dell’antico prestigio di un tempo ... Noi siamo abituati a considerare Venezia decadente durante il secolo del 1700, soprattutto dopo la prima metà, ma non è così. Il suo declino è iniziato molto prima, secoli prima ... seppure in maniera molto mascherata e mitigata. Fu un declino lento, progressivo ma inesorabile che la portò ad essere piccola potenza secondaria sullo scacchiere Europeo, poi Governo neutrale, e infine Stato fragile da inglobare e annettere alla prima occasione buona ... e Napoleone ne fece un sol boccone.
Tornando alla metà del 1500, i Francesi quasi regalavano la carta sul mercato, tanto che i Veneziani furono costretti a ribassare per vendere qualcosa, e furono indotti a inventarsi sotto giuramento un cartello fra loro per non vendere sotto prezzo anche lo stagno. Il valore della canfora crollò da 4 ducati a 40 grossi perdendo il 40% del suo valore perché il mercato era stato già saturato dalle forniture oceaniche di Lisbona. Un mercante veneziano fu costretto a ritirare l’ordinazione fatta a un ebreo … Lo zibibbo si vendette a Lione a soli 12-13 franchi, mentre a Marsiglia precipitò a soli 6-7 franchi.
A nulla servì abbassare dal 5% al 4% il Dazio sulle merci in uscita da Venezia, mentre rimase invariata la spesa del 4-5% per imballaggio e spese varie prima dell’imbarco … Per i contrabbandieri la pena divenne la voga in Galea per 5 anni, il bando da tutti i territori della Serenissima per 10 anni, e 100 ducati di premio per il denunciante.
Divennero perfino precari o disertati i 200 e più posti riservati per legge a bordo delle Galee di mercato a favore dei Nobili poveri per formare nuove leve marittime e commerciali. Più di qualcuno accettò l’incarico ma lo rivendette ad altri meno Nobili per ricavarne denaro immediato e senza prospettive ulteriori ... La via del mare per Venezia rimase un’opportunità importante, ma non più l’unica … Nel solo Padovano, secondo quanto riportava il Podestà Bernardo Navagero, i Veneziani su 400.000 campi arativi ne possedevano ormai 66.000, e nel vicentino i vari Patrizi Veneziani: Badoer, Bernardo, Bon, Contarini, Diedo, Dolfin, Foscarini, Priuli, Sagredo e Sanudo avevano acquistato per 500.000 ducati ... il Nobile Michele Legiso figlio di Antonio preferì andare a studiare Diritto e Filosofia a Padova piuttosto d’occuparsi dei commerci familiari a Candia e trattare vino con Fiandre e Inghilterra. Inutilmente e senza successo il padre l’aveva collocato presso i Nobili Mercanti Pisani di Venezia per imparare l’antica Arte Mercantile ... Infatti, lo stesso Vettor Pisani di Zuane fondò una Banca con Girolamo Tiepolo, e piuttosto che andare per mare si occupò di un suo feudo a Bagnolo nel Vicentino dove fece costruire da Palladio immense barchesse intorno ad un’aia grande come Piazza San Marco per ospitare i prodotti di una sua risaia estesa per centinaia di campi.
Nel 1576 la peste si presentò di nuovo a Venezia, dove spazzò via circa 40.000 persone. Si contavano a Venezia 7.209 mercanti ossia il 5,3% dell’intera popolazione (i nobili erano più di 6.000) ... Nel maggio seguente, Paolo Priuli di Gerolamo che possedeva 377 campi a Marcon e produceva manifatture a Bassano, raccomandava ai figli per testamento di non andar per mare ma: “… laudo et prego miei fioli dolcissimi che alli suoi tempi volgino lavorar de lana come ha fatto molti anni li quondam miei fratelli e me medesimo.” … Un processo civile viene sospeso perché uno dei Giudici si deve allontanare dal Venezia per dedicarsi al raccolto sui suoi campi di Terraferma ... Fra dicembre e gennaio ad Aleppo in Siria si tennero solo 62 “marchadi” fra pagamenti in contanti e baratti con spezie e moneta. Di questi contratti solo 37 furono con Veneziani.
Aleppo in Siria, con 200.000 abitanti stabili, era capolinea della Via della Seta. Lì risiedevano anche altri 100.000 mercanti provenienti da molte nazioni dell’Europa per commerciare in sete, spezie, endeghe, gottoni, pannilani e molto altro … I Veneziani la raggiungevano ed erano presenti con una flotta mercantile di 42 grosse navi da carico, e muovevano affari per almeno 2 milioni di ducati d’oro annui. All’Emporio di Rialto a Venezia giunsero: cotone da Cipro, olio da Candia e dalla Puglia, uva da Zante e Cefalonia poi spediti in Inghilterra, cera dalla Turchia e zucchero dall’Egitto.
Nel maggio-giugno 1580 ad Aleppo in Siria ci fu la peste con centinaia di vittime giornaliere e affari praticamente sospesi. Solo in luglio partirono per Venezia le navi mercantili: “Costantina”, “Rumina” e “Gratariola”tutte appartenenti al mercante Annibale Rotta residente in patria, che commerciava tramite Francesco De Rossi e Guglielmo Rubbi. La “Muda di Stato” di settembre imbarcò solo 18.000 “ormesini di seta” da Damasco, mentre alcuni mercanti veneziani preferirono immagazzinare per 2-3 anni la noce moscata in attesa che crescesse il prezzo.
L’anno dopo giunse ad Aleppo, dove c’erano ancora 16 case mercantili veneziane attive (ma senza nobili), un “bertone” inglese carico di “farisee inglesi” che vendette a somme irrisorie facendo cadere i prezzi, e alla fine dell’anno i baratti veneziani rimasero paralizzati per l’arrivo di un’altra nave inglese con un carico di 3.000 pezze di “farisee”, 400 cantera di stagni e tanto altro che rovinò il valore di tutte le merci presenti sul mercato ... Una nave olandese precedette di molto una veneziana dimostrando superiorità tecnica nella navigazione ... Due navi Francesi arrivarono a Tripoli di Siria con un carico di 100 pezze di panno, 300 carisee, 2 barili di cremese, 15 colli di gripola e con 100.000 scudi reali spagnoli da spendere ... Ad Hormuz i prezzi delle spezie venute da Goa erano così alti rispetto a quelli di Rialto a Venezia che non conveniva comprare e imbarcare. Solo la cannella meritava d’essere comprata seppure ad alto prezzo, perché non c’era disponibilità né a Baghdad né ad Alessandria, e in Europa i magazzini erano sforniti.
La Serenissima e il Doge erano proprietari di gran parte dell’area commerciale di Rialto, e ogni anno a San Michele il 29 settembre affittavano a pubblico incanto le tabule dei Banchi dei Cambiatori ... Nel 1584 fallì il Banco Pisani-Tiepolo e i Pisani-Tiepolo furono estromessi dal Maggior Consiglio non più considerandoli Nobili. Sembra che in quell’epoca siano falliti 96 “banchi di scritta” su 103 ... Jacomus Bricola di 66 anni, figlio del defunto Matthei, che “…per avanti soleva esser Fattor de Marca davanti de le Becharie…”, si mise a insegnare in proprio a “… Lezer, scriver e abbaco …” a 16 alunni, spiegando: “…la Tavola, il Salterio, il Donao, il Fior de le Virtù, la Vita Cristiana, il Libro de Passion et Evanzelii vulgari …”
Accadde anche tutta una serie di disastri marittimi, e si recuperò dalla nave “Gagliana” naufragata e sommersa a 18 passi di profondità gioielli e groppi di denaro, e Guglielmo Helman riuscì ad ottenere dagli Uscocchi la restituzione di 100 pezze di “cambelotti”riservandosi di ricorrere all’Arciduca Carlo per recuperare il resto ... Paolo Contarini Provveditore di Terraferma non trascurava i suoi traffici con Costantinopoli ... mentre il Doge Leonardo Donà raccontava che le entrate fiscali di Venezia avevano procurato 400.000 ducati dai Dazi delle Mercanzie e 600.000 da quelli dei viveri che nascono dalle mercanzie “… le quali fan sì che il popolo mangi ...”
Dai porti della Dalmazia giungevano in media fra 11.000 e 17.000 colli di merci, dalla Siria s’importarono fra 1.000 e 1700 balle l’anno di seta, mentre le importazioni annue di olio da Candia e dalla Puglia passarono da 10 a 15 milioni di libbre.
Dal 1587 Tullio Fabri, ragioniere ufficiale della Serenissima Repubblica, colse l’occasione del lavoro di rappresentanza per esercitare anche una buona Mercatura accompagnando a Costantinopoli il Nobile Bailo Moro, e poi il Nobile Zaccaria Contarini Ambasciatore Straordinario di Venezia a Roma. Si portò dietro molte gioie e preziosi sperando di venderli bene, e si spinse fino a Napoli per un’operazione commerciale. Consociato col fratello trafficava in perle, rubini, smeraldi ma anche panni di seta, cotoni greggi, cera, pellami, importando a Venezia perfino frumento nei momenti più propizi di carestia. Mentre presentava un memoriale alla Repubblica per eliminare l’evasione delle tasse consolari, acquisto e armò una nave “da 700 botti”per un viaggio sotto il segno di San Marco da Costantinopoli a Venezia, dove insieme alle casse con la contabilità del Bailo Venier portò a diversi Mercanti dell’Emporio di Rialto: gioie, perle e merci varie da vendere per diverse migliaia di ducati.
Nello stesso anno, sotto le volte di Rialto si sottoscrissero “Polizze d’Assicurazione e Securtà” su viaggi, navi e merci per 3.600.000 ducati con un guadagno per le casse della Serenissima di 3.000 ducati ... Il monopolio del Sale ammontava a 250.000 ducati … e il Dazio del 5% in Uscita su 4.170.000 ducati di merci dirette in Terraferma o per Mare procurò allo Stato 208.532 ducati, mentre il Dazio del 6% in Entrata su 458.000 ducati di merci dal Levante procurò 27.481 ducati.
Gli assicuratori intascarono tra 216.000 e 288.000 ducati, pagando premi circa per 150.000 ducati ... Le ex Prostitute ospitate alle Convertite della Giudecca percepivano obbligatoriamente lo 0,08% ossia: 2 grossi ogni 100 ducati d’assicurazione sui commerci di tutti i Mercanti, in cambio di preghiere per il buon viaggio e il sano arrivo delle merci e delle navi della Serenissima.
Ebrei e mercanti Genovesi e Fiorentini assorbivano fino a 1/3 di tutti gli affari sulla “Piazza di Venezia” formando certe Compagnie Mercantili che contavano fino a 19 soci assicurati.
Presso il “Sottoportico del Banco Giro” di Rialto c’era e c’è ancora un antico tronco di colonna mozzata sormontato da una lastra di marmo con scaletta sostenuta da una statua ricurva detta il “Gobbo di Rialto” scolpito da Pietro da Salò nel 1541. Da lì si bandivano le Leggi al tempo della Repubblica e non solo ...
La cronaca “Barba” della Marciana racconta.
“Jera costume in Venetia che quando era terminato un per ladro over per altro, ad esser frustado da San Marco a Rialto… Li malfattori come erano in Rialto andavano a basar il Gobbo di pietra viva che tien la scala che ascende alla colonna delle grida … Fu terminado a dì 13 marzo 1545che più questi tali non andassero a far tale effetto, et però fu posto in la colonna sopra il canton, sotto il pergolo grando in Rialto, una pietra con una croce, et uno San Marco di Sopra aciò li frustadi vadano de cetero a basar …”
Nel 1584 nacque il “Banco di Giro” di Venezia sotto garanzia dello Stato per evitare nuovi fallimenti dei privati.
“Codesto banco si poteva più propriamente intitolare Banco di Depositi, dappoiché non emetteva biglietti pagabili al presentatore, ma trasportava le partite da un nome all'altro, e restituiva ai privati i loro depositi quandunque avessero voluto, avendo il Governo destinato a tal uopo fino dal principio i capitali occorrenti ... Un senatore, col nome di depositario ne teneva la presidenza, e tutti gl'impiegati avevano obbligo di prestar sicurtà. Il banco aprivasi sul mezzo giorno, e nel corso dell'anno si teneva chiuso straordinariamente quattro volte per fare i bilanci generali, nel qual tempo il danaro serbavasi nella pubblica Zecca ove lo si portava processionalmente lungo la Merceria; e tutti i bottegai, durante quel trasporto, dovevano star ritti sulla porta con picche ed alabarde in mano per esser pronti alla difesa del tesoro. La scrittura di banco tenevasi per lire, soldi, danari. La lira corrispondeva a dieci ducati d'argento; ma siccome la moneta di Banco godeva l'aggio del venti per cento, così valeva dodici ducati. Il soldo corrispondeva a lire 4, soldi 16, della moneta corrente, ed il danaro a soldi 8 comuni. Per rendere più difficili alterazioni nei giri del Banco, si facevano con apposite cifre, dette dagli scrittori d'allora figure imperiali, e trattandosi d'un giro a debito dello Stato, nol si poteva eseguire se non dietro speciale decreto del Pregadi ...”
Solo quattro anni dopo, il Banco di Rialto aveva un passivo di 546.082 ducati, e nel 1594 raggiunse il passivo non trascurabile di 705.889 ducati ... Non era cambiato niente dal tempo dei fallimenti delle Banche private dei Nobili Veneziani.
Nel 1587 il Senato, su pressione del Piovano di San Giacometto, autorizzò un restauro della chiesa per 150 ducati per salvare il luogo dall’acqua alta innalzando il pavimento. Era l’epoca del cantiere del Ponte nuovo in pietra di Rialto ... Nel 1590 arrivarono a Venezia come gli anni precedenti 1600 balle di cotone (vent’anni dopo diverranno solo 1/5). La nave “Santa Maria di Grazia”in partenza dalla Riva degli Schiavoni di Venezia diretta a Tripoli di Siria, con a bordo: 2 balle contenenti 10 pezze di panno e 10 casse con 10.000 libre di conterie, pagò 7 ducati di tasse ossia il 10% del valore del carico e un 6-7% di assicurazione.
Viceversa, un’altra nave veneziana in partenza a dicembre da Tripoli di Siria per Venezia, trasportava un carico di: 225 colli da 90 kg ciascuno di seta greggia, 30 colli di cotone, 109 colli di filati, 2 balle di bottane o tele ordinarie di cotone, 1 balla di tappeti, 26 colli di noci di galla, 20 di pistacchi, 2 di pepe, 5 di noce moscata, 1 di rabarbaro, 3 di macis, 1 di tuzia, 2 di gomma arabica, 7 di seme santo, 4 di scamorrea, 2 di droghe, 1 di merdoni, 36 fardi di vischi, 13 buste di zibibbo, 1 collo di pelli di montone e 14 di cordovani.
L’anno dopo, Venezia attivò lo scalo marittimo di Spalato, dove con carovane convergevano merci dalla Turchia, Persia e India lungo strade garantite libere e protette dagli stessi Turchi. Tutto questo in netta opposizione alla politica antiturca del Papa, del Granduca di Toscana, Spagna e Imperatore, ma soprattutto vincendo la concorrenza commerciale dei porti di Ragusa, Ancona e indirettamente di Firenze.
“Le economie e gli affari prima di tutto …” si diceva fra i Nobili e i Mercanti a Venezia,“le alleanze e le “amicizie” vengono dopo…”
Da Spalato arrivavano all’Emporio di Rialto: prima 12.000, poi 15.000, e infine 25.000 colli di cera, zambellotti, pellami, indaco, seta e lana; e ripartivano navi cariche di panni, seta, riso e sapone.
Sul finire del secolo però, a Londra non c’era più nessun Mercante né Console veneziano in attività, se non un “mercanterello” originario dalla lontana isola Mediterranea di Zacinto. Gran parte dei Mercanti Veneziani si servivano dal Fiorentino Bartolomeo Capponi … mentre Piero Ventura Mercante Veneziano di panni e gioie, fratello del Profumiere “All’insegna del Giglio”, decise di mandare solo uno dei figli Zuan Maria a commerciare a Costantinopoli, mentre pensò bene d’inviare il minore Agostino a studiare Logica a Padova. Diversi Mercanti Veneziani partivano ancora per la Siria con grossi capitali e numerose commissioni, riuscendo ancora a piazzare 10.000-12.000 pezze di “panni veneziani” in Siria, 3.000 a Costantinopoli, 4.000 al Alessandria e 5.000 nella Bosnia. Dalle vetrerie di Murano si spedivano vetri pregiati ad Aleppo in Siria per 20.000 ducati, per 10.000 a Costantinopoli, e per 5.000 ducati ad Alessandria d’Egitto.
Per trasportare merci da Venezia a Costantinopoli sulla Galea “Perasto” si pagava un tasso del 6% su ogni merce caricata ... Si pagava, invece, il 7% per utilizzare la nave “Silvestra”, mentre si risparmiava l’1% rispetto alla Galea “Agazi” caricando sulla nave “Pirona” tenuta in cattivo conto dagli assicuratori di Venezia dove i Sensali percepivano 4 grossi per ogni 100 ducati assicurati.
Il Nobile Mercante Zuan Francesco Priuli protagonista del risanamento del debito pubblico di Venezia di quell’epoca, spedì fra il 1577 e 1594: “ … panni di lana della sua bottega, roba squisitissima e panni di seta comprati con molta diligenza...” al suo agente di commercio residente a Pera … Ottavio Fabbri abbandonò un importante incarico presso la Corte del Duca di Ferrara mettendosi in società col fratello Tullio con buone prospettive di guadagno … Iseppo da Canal subaffittò ad altri il suo lavoro come Fante al Fontego dei Tedeschi a Venezia, e si trasferì a Costantinopoli per esercitare la Mercatura.
In autunno, una delle Galee di ritorno a Venezia sulle stesse rotte portò a Rialto: “… 223 cai di pepe, 1 cao di peverello, 3 di noce moscata, 2 di chiodi di garofano, 3 di gomma lacca, 1 cassa di cassia, 3 cai di indaco, 1 di asfor o cartamo tintorio, 6 di zenzeri, 3 di aloe, 1 di pennacchi, 1 di penne d’avvoltoio, 3 di senna, 10 di macis, 5 d’incenso, 4 di lingue, 5 di legumi e 4 balle e 1 fagotto di tappeti”…Un Mercante Veneziano Savioni scrisse e raccomandò al fratello residente ad Aleppo di spedire in tutta fretta e segretezza delle pelli d’asino preparate con la granulazione dello zigrino perché vendendole a Venezia si poteva ricavare un guadagno del 100 ... Per Venezia ogni anno passava un milione di ducati d’oro investito in 20.000 panni di lana e 200.000 braccia di panni di seta destinati prevalentemente alla Germania ... Antonio Priuli del Consiglio dei Dieci commerciava in diamanti per migliaia di ducati ... Da Venezia partivano Galee per Tripoli con un carico del valore di più di 2 milioni d’oro. Metà erano contanti e il resto erano: pannina, panni di seta e altre merci ... il Capitano di Galea Uladi s’arricchì frodando l’assicurazione della Segurtà simulando un naufragio ben congegnato ... Sulla piazza di Aleppo alla fine del 1500 il rabarbaro era così numeroso che un mercante doveva affrettarsi a raccomandare ai corrispondenti di Costantinopoli di non comprarne per timore che a Venezia crollasse il prezzo. L’arrivo dele carovane da Baghdad e dalla Mecca era un evento economico, perché scaricava ancora 220 some di chiodi garofano, 200 di noce moscata, 230 di cannella, 230 d’indaco, 70 di macis, 50 di droghe varie, 30 di telerie, 30 di cordovani e 20 di porcellane.
Il 6 marzo 1592: “… una povera cercante morta ne li necessarii de Rialto et non è conosciuta da niuno, di età di anni 26 et è stata molti giorni lì in teco …”
Però, c’era ormai un però, un grosso però … Già nei primi anni del 1600 Leonardo Donà osservava:
“… il commercio col Levante è ormai in man de Inglesi, Francesi e Olandesi e qualche parte anche de Fiorentini…”
Il Nobile Zorzi Emo in una sua relazione dalla Siria accennava a un affare per più di 1 milione e mezzo di ducati annui che nel 1611 era sceso a soli 400 ducati annui per il decadimento della piazza ... Un vascello fiammingo arrivò in Siria con più di 100.000 scudi di reali da spendere sbaragliando la concorrenza ... A Tripoli giunsero 3 milioni d’oro fra roba e contanti, di cui solo la metà era dei veneziani, e mezzo milione ciascuno apparteneva a Francesi e Inglesi che riversavano su Tripoli ingenti quantità di “farisee”, pezze di lontre, cuoi ed altre pelli, e grossi carichi di stagno che saturarono l’intera carovana di 1.100 cammelli ottenendo in cambio: spezie, seta, merci, oro e argento.
Venezia aveva perso quasi completamente il traffico delle spezie e dei prodotti mediterranei, i Francesi avevano messo le mani sulla seta greggia, il cotone era gestito dai mercanti Inglesi e Olandesi che trattavano direttamente le merci con i Turchi e controllavano del tutto la via delle Indie.
I Fiamminghi si erano stabilmente insediati a Venezia con Guglielmo Helman e suo fratello Carlo da dove controllavano e gestivano tutti i traffici e le rotte per Amsterdam-Moscovia-Danzica e l’Inghilterra caricando: riso (7.000 quintali provenivano in gran parte dalle barchesse delle ville patrizie Venete costruite in riva al Brenta e agli altri fiumi che sfociavano nella Laguna di Venezia), uva passa, olio, specchi, vetri e seta grezza … Erano mercanti furbi, accorti e agguerriti: ordinarono, ad esempio, a un agente di Costantinopoli di vendere subito anche in perdita tutti gli smeraldi che aveva in deposito in modo che un concorrente che si stava imbarcando a Venezia con una notevole quantità di quelle stesse merci trovasse tutti i negozi già forniti, e fosse così costretto a disfarsene sotto costo o tornarsene indietro senza mercanteggiare.
Circa trenta velieri olandesi arrivarono a Venezia stracolmi di: lane, stagno, merci varie, e di un ingente quantitativo di pepe … mentre venti navi inglesi scaricavano annualmente a Venezia: colori, tessuti, spezie, 900 quintali di pepe e piombo con cui rifornire anche tutto l’entroterra padano.
Durante il 1600 una settantina di Nobili popolava e animava Rialto con i loro incontri d’affari inventandosi faticosamente la “Mercandia”.
Provando ad individuarli, erano i Sangiantoffettimercanti provenienti da Crema, i Flangini da Cipro come i Finich’erano anche avvocati. I Gheltoff, invece, arrivavano dalle Fiandre come i Van Axel, i Sandi da Feltre, i Manfratti da Padova, mentre i Cottoni erano commercianti Greci.
Mercanti d’Oro e Argento erano i Romierie Rizziveneziani, assieme ai Bergonzi da Bergamo mercanti di seta e oro ... Del mercato meno nobile dei minerali e dei metalli, rame e ferro, si occupavano i Widmann da Villach in Germania, come i Lombria dall’Umbria, i Crottada Belluno, i Giovanelli mercanti da Bergamo, e i Rezzonico da Como.
I Bonfadini dal Tirolo si occupavano di spezie e droghe, come i Lin da Bergamo.
Erano tutti mercanti di seta, i Cassetti da Brescia, Benzoni dalla Lombardia, i Veneziani Contento, Castellie Polveroche vendeva e comprava anche rame. Dello stesso genere della seta s’interessavano i Gozzi da Bergamo, Beregan da Vicenza, Rubinida Asolo interessati anche al sapone come i Veneziani Zolio, che erano anche mercanti di olio, come gli Albrizzi di Bergamo ... Commerciavano dell’antico genere della lana i Veneziani Catti, con i Martinelli da Bergamo, Statioda Milano, Giupponi e Pasta da Padova, Laghidai Grigioni, Fonseca dalla Spagna, e Bonvicini da Brescia.
I Veneziani Raspi mercanteggiavano in panni e soprattutto in vino come i Bettoni da Bergamo, e gli Zambellida Bassano che si occupavano anche di lana. I Manzoni, mercanti provenienti da Padova, per diversificare vendevano e compravano ferramenta, vino e lana ...I Toderini veneziani erano mercanti di merletti e panni, come i vari: Pelliccioli, Persico, Bellotto, Tasca e Maccarelli tutti provenienti da Bergamo.
Cambiando genere ancora una volta, i Curti originari di Milano importavano bestiame, i Minelli da Bergamo vendevano salumi da Bergamo, i Veneziani Cellini mercanteggiavano uva passa veneziani, i Semenzi-Premuda biade, e i Lucca dalla Toscana immettevano zucchero sul mercato come i Bonlini da Brescia.
I Nobili Acquisti erano appaltatori di munizioni provenienti da Bergamo, mentre i Lazzari da Trento fabbricavano spade … I Morelli mercanti da Murano commerciavano in vetro, come i Carminati da Bergamo in conterie. Sempre e ancora da Bergamo provenivano i vari: Fonte, Zanardi, Maffetti, Navee i Correggiomercanti di cuoio.
Tutta questa gente con un notevole patrimonio e capitale investito sulla “Piazza di Rialto”, finirono tutti col diventare Nobili Patrizi residenti stabilmente a Venezia, diventandone a tutti gli effetti cittadini originari, membri influenti nel Maggior Consiglio, e investiti d’incarichi dello Stato al pari delle antiche Vecchie Casate di Venezia.
Tuttavia, il traffico delle 5 Dogane della Serenissima diminuì di quasi di ¼, nella Dogana da Mar giunsero merci solo per 94.973 colli da 300 libbre l’uno … La Serenissima decretò perfino l’esenzione dal “Dazio sull’Uva Passa” se il carico fosse passato per Venezia invece che per Livorno … il Porto di Venezia divenne terzo per volume di traffico di merci dopo Livorno e Genova ... Arrivarono a Venezia dalla Spagna 13 navi cariche di lana greggia di cui solo 3 erano veneziane, e l’anno dopo, a causa di un naufragio di una delle tre, l’intera lana giunta a Venezia fu trasportata da stranieri … Non c’erano più navi di Venezia sulla rotta Londra-Livorno-Corfu’-Ragusa-Venezia ... Si perse il monopolio dell’Olio Adriatico a causa del contrabbando sulla via Pontevigo-Ferrara-Germania ... Venezia introdusse inutilmente nel 1617 la “forza speciale” degli Zaffi d’Acqua per combattere i contrabbandi.
Si contrasse sempre più l’attività imprenditoriale ed amatoriale, le navi grosse da carico veneziane erano ridotte solo a 27 ... Tuttavia negli stessi anni, Almoro’ Tiepolo fondò una Compagnia di Commercio della Seta assieme all’ebreo Salomon Annobuono, mentre il nipote del Doge: Domenico Contarini insieme ai fratelli Foscolo investì 2.000 ducati in traffici mercantili ... Antonio Grimani investì 12.000 ducati in un saponificio … Zuanne Dolfin, Agostino Nani e Alessandria Paolo Paruta esercitavano la Mercatura con la Siria; Alvise Mocenigo e Zuan Francesco Priuli con Costantinopoli; Giacomo e Giovanni Battista Foscarini dei Carmini commerciavano in panni di lana; Nicolo’ Longo di Francesco vendeva seta; Nicolò Donà commerciava grano; Zorzi Corner di Giovanni I grani e bestiame, e Antonio Priuli e i Loredan di Santo Stefano ricavavano in media 850 ducati annui dalla vendita del legname … Una lista riporta i nomi di 83 nobili che ancora commerciavano in Levante ... L’industria laniera di Venezia raggiunse la produzione annua di oltre 28.000 pezze, erano in attività più di 2.000 telai che producevano seta, continuava l’attività manifatturiera dei tessili, vetrai, orefici, conciapelli, fabbricanti di saponi, raffinatori di zuccheri e di cera... Per contrastare il controllo degli Asburgo sull’intero commercio europeo, Venezia stipulò un trattato con la Confederazione delle Leghe servendosi della Strada di San Marco o della Priula per incrementare il traffico di latticini, animali, salnitro, grano bavarese ... L’editoria che stampava un numero di libri 3 volte e ½ superiore a quelli pubblicati a Milano, Firenze e Roma messe insieme, trovò grave ostacolo nell’istituzione da parte del Papa e dell’Inquisizione dell’ “Indice dei Libri” ...In soli quattro mesi nel 1595, si ridussero da 125 a 80 i torchi da stampa dei librai.
Nel luglio 1610 fu triste ed emblematica la relazione dei Cinque Savi alla Mercanzia.
“… figura del tutto estinta la Mercanzia e la navigazione del Ponente … scarsa è quella del Levante … Le poche merci giunte a Venezia stentano a trovare acquirenti … Resta poco meno che annichilato l’importantissimo commercio della città un tempo ricolma di tutte le cose mercantili che d’ogni parte del mondo concorrevano in essa con partecipazione di tutte le nazioni …”
A causa dell’inflazione le Banche Veneziane falliscono a catena, soprattutto i ricchi Banchi storici dei Priuli e dei Pisani. S’istituì un Banco Pubblico a Rialto, ma si finisce ben presto a utilizzare i depositi dei clienti.
Nel 1665 una legge veneziana provò a incentivare l’afflusso del grano all’Emporio Realtino di Venezia istituendo la “Decima Verde”. Si proponeva ai Patrizi latifondisti della terraferma di non pagare fino a 2/3 delle imposte consegnando il loro frumento al Magistrato dei Provveditori alle Biave di Venezia che l’acquistava ad un prezzo superiore di almeno 2 lire per staro.
Nel marzo 1629, il Senato aumentò le tasse d’urgenza per impellenti bisogni di governo imponendo due nuove “Decime” su tutta Venezia e Dogado ... e otto giorni dopo aggiunse un “prestito obbligatorio allo Stato” sotto forma di altre due “decime” e due “tanse” da pagarsi in agosto e febbraio da tutti coloro che erano presenti in Venezia, senza sconti né esenzioni.
Una prima tassa doveva essere pagata: “… da patroni sopra livelli perpetui, stati, inviamenti de Pistorie, magazeni, forni, poste da vin, banche di beccaria, traghetti, poste, palade, passi, molini, foli, sieghe, instrumenti da ferro, battirame, Moggi da carta, dadie, varchi che si affittano e si pesano, decime di biave, vini ed altre robbe, fornari, hosterie et ogn’altra entrata simile niuna eccentuata…”
La seconda tassa fu imposta: “… sopra tutti Livelli francabili fondati su case, campi o altri beni in qual si voglia luoco, fati con chi si sia ...”
Chi pagava entro aprile aveva in condono un’esenzione del 10%, chi pagava più tardi un aggravio uguale.
Nel 1633 si ricostruì l’Altar Maggiore rialzato, e il presbiterio e la sottostante cripta di San Giovanni Elemosinario. I parrocchiani erano solo 150, ma la chiesa era un gioiellino ricco d’opere d’arte per il gran numero di botteghe, stazioni e volte che vi si trovavano in zona e contribuivano alla vita della Parrocchia associandosi in Arti, Congreghe e Scuole.
I Gallinai o Gallineri e i Buttiranti o Pollaioli, Polameri, Pollaroli e Venditori di Uova o Ovetari che contavano 198 botteghe, furono autorizzati dal Doge Marino Grimani a riunirsi con 190 capimaestri, 30 garzoni e 80 lavoranti nella Scuola Annunciazione davanti all'altare dell'Annunziata dove avevano anche un'arca per seppellire i confratelli defunti. In cambio offrivano al Doge ogni anno “… doi para de fasani"il giorno della loro festa patronale, quando ogni Confratello riceveva "pan et butiro" invece che il tradizionale "pan et candela"delle altre Scuole. In seguito si preferirà donare al Doge una più pratica somma di 99 lire e 4 soldi.
Sebbene l’Arte fosse molto considerata dalla Serenissima perché forniva quei generi di sostentamento necessari alla popolazione più povera, la Schola fu abolita nel 1752 per la scandalosa speculazione operata dai Confratelli sui prezzi di vendita dei prodotti.
Secondo la Promissione Dogale di Giovanni Soranzo, i più di 450 iscritti con 200 Capimastri e 300 Garzoni degli Ovetarii: “…I venderigoli e venderigole non possano vendere altre ova che fresche…”,avevano l’obbligo di fornire al Doge un paio di buone oselle grandi e 30 denari a Natale, una buona gallina a Carnevale, e una buona colomba di pasta farcita da 14 uova a Pasqua.
Assieme a loro si consociavano i Biavaroli o “Fonticariis”nella Scuola della Beata Vergine del Carmine.
Nel 1612 l’Arte dei Biavaroli con i suoi 400 iscritti e le sue 174 botteghe attive, lamentava difficoltà per la difficile congiuntura economica veneziana. Per questo ottennero dal governo uno sconto d’imposta del 25% passando da 24 ducati a 20 ducati ... nel giorno della festa patronale della Madonna del Carmine, che si celebrava a Rialto e San Marco, tutte le botteghe da Biavarol dovevano restare chiuse.
Sempre nella stessa chiesa, i Corrieri Veneti e per Roma si consociavano nella Scuola di Santa Caterina, i Telaroli nella Scuola della Santa Croce, e i Cimadori in quella di San Nicolò… Dopo che l’Arte dei Libreri da Carta bianca e da Conti abbandonò come propria sede la zona di Rialto per trasferirsi vicino a San Marco, intorno agli anni 50-60 del 1600, nella chiesa di San Mattio di Rialto fiorì una serie di Scuole nuove d’Arte, Mestiere e Devozione. Quella dei Cartoleri, e quella di San Giuseppe e San Mattio dell’Arte dei Pestrineri, la Scuola del Rosario, il Suffragio dei Morti sotto il titolo di Gesù Cristo Crocifisso, il Sovvegno della Concezione dell’Arte dei lavoranti Pistori ... quando in Ruga degli Spezieri a Rialto, presso la Calle del Bo, Giovanni Maria Laghi teneva bottegada“Specier al Bo d'Oro” e … Battista fiol de Zuane faceva l’Ochialer in Contrada di San Mattio” … dove c’era la Corte dei Pii o Piedi dai piedi di manzo, vitello e castrato, soliti ad essere cucinati dai Luganegheri chestanziavano in una casa di loro proprietà.
Nel 1680 Venezia perdette Candia col mercato della produzione dell’olio e del vino ... Resistette, invece, il mercato veneziano a Costantinopoli … Buono fu anche quello a Smirne con 20-25 nevi annue ... ma più del 45% degli 85.000 colli giunti a Venezia e Rialto via mare furono portati dal Ponente da navi Inglesi e Olandesi.
Rialto non era più il grande Emporio Mediterraneo che riforniva l’Europa intera, ma era diventato solo un porto regionale di transito per il Levante, Germania meridionale, entroterra padano, e per approvvigionamento interno di Venezia e della vicina terraferma.
Nell’ottobre 1697 la“Marciliana Veneta” dal nome “Beata Vergine del Santissimo Rosario e Sant’Iseppo”,del Capitano veneziano Padron Paulo Penzo, partita da Venezia con un carico di telerie fece naufragio su una secca presso San Giorgio all’imboccatura del porto sullo Scoglio dei Guardiani vicino all’isola di Cefalonia ... Nel novembre seguente, un’altra “Marciliana Veneta” col nome di “Beata Vergine di Loreto”, del Capitano Paron Anzolo Carli in rotta verso il Peloponneso con un carico di foraggi ed altri pubblici materiali perse tutti gli alberi in una tempesta nei pressi della spiaggia di Corinto.
Brutti presentimenti e presagi …
All’inizio del 1700 il traffico commerciale col Ponente e col Levante passò stabilmente in mano a 30 bastimenti Inglesi e 15 Olandesi. Cannella, pepe, chiodi di garofano e molte altre droghe non furono più considerate necessarie, ma addirittura si affermò che danneggiassero la salute ... Coronelli nella sua “Guida dei Forestieri per la città di Venezia”, considerava la “Locanda alla Fortuna” fra le 11 migliori di Venezia insieme a quelle di Rialto “Al Gallo”, la “Serena”, il “Gambero”, “Sturiòn”,“Alla Scoa”,“Alla Torre”, “Alle Due Spade”, “Alla Scimmia”, “All’Anzolo”, “Alla Campana”, e quella dei “Re Magi”.
All’inizio del 1700, il Sopragastaldo del Monastero delle Monache degli Angeli di Murano acquistò metà bottega e una volta nella Contrada di San Zuanne Elemosinario di Rialto dove esistevano 549 botteghe (che trent’anni dopo divennero 682) gestite da 234 padroni ... Il Mercato di Rialto si ravvivò un poco, con scarse novità rispetto ad un tempo.
Da Bergamo giunsero i mercanti Fracassetti insieme ai librai Baglioni, e ai Cavagnis mercanti d’oro come i Vezzi da Udine, e i Veneziani Spinelli che erano anche Notai. Dalla vicinissima Chioggia arrivarono i Veronese mercanti d’olio, e i famosi Grassimercanti e appaltatori. Infine, i Veneziani Zini vendevano lana, e i Codognolamercanteggiavano non si sa bene che cosa … forse un po’ di tutto, o quel che capitava.
La nave Veneta “Santa Giustina” del Capitano Anzolo Memmo partita da Venezia con un carico di merci e passeggeri fece naufragio innanzi allo Scoglio dei Guardiani presso l’isola di Cefalonia ... mentre la “Clecchia Veneta” del Capitano Antonio Premuda da Lussino, partita da Smirne per Tripoli in Barbaria con un carico di 800 pezze di tela bambagina, 9 pezze di panno, 20 conce salate di manzo, 18 mazzette di seta, 1 cassa di strazze di seta, 500 legni pregiati e varie altre telerie naufragò sempre a Cefalonia, e ancora presso il maledetto Scoglio dei Guardiani.
A Venezia lo storico Zanetti riferiva:
“… per Decreto del Senato Veneto furono cresciute con nove barche d’Officiali le Guardie che sorvegliavano le pubbliche lagune per i Dazi e pochi giorni prima s’erano armate altre barche con l’oggetto d’impedire i contrabbandi…”
La barca Veneta del Capitano Padron Marco Calichià della Villa di Ploggià di Erso, partita da Santa Maura o Preveza con un carico di grano; il “Caicchio Veneto” del Capitano Padron Panagioti Calicchià da Pgià, partito da Cacogilo diretto alle fortezze di Preveza e Vonizza con un carico di 130 pagliazze d’olio e 50 bozze di vino; e il “Caicchio”del Capitano Padron Caravoghiro Grigori Maurochefalo partito da Leucade per Cafalonia con un carico di passeggeri, subirono tutti l’aggressione da parte di un “legno corsaro” Maltese allo Scoglio di Petalà ... mentre un bastimento partito da Argostoli in Morea subì un’aggressione da parte di una “Galiotta barbaresca ossia lancia Dulcignota corsara” sempre presso l’isola di Cefalonia un tempo sicurissima base navale della Serenissima Venezia ... ma ora in balia di se stessa.
I Patrizi Veneziani Vincenzo Cappello di Andrea, i Gritti di San Marcuola, i Crotta e i Mocenigo possedevano 33 delle 49 cartiere nel Veneto ... il Nobil Homo Benedetto Giovannelli commerciava olio col Trentino ... mentre il ricchissimo Pietro Corner di Giovanni Battista del ramo di San Polo, già Bailo a Costantinopoli, aprì una raffineria di canape a Venezia ... Su un 357 ditte mercantili iscritte sulla Piazza di Venezia solo quattro appartenevano a Patrizi Veneziani: Boldù, Corner, Martinengo e Baglioni ... Sempre il Senato Veneto incentivò la lavorazione del “Corallo Istriano” ai margini della laguna. Il futuro Doge Marco Foscarini ne impiantò una fabbrica nella sua villa di Pontelongo ... Nicolo’ Tron nella sua fabbrica di Follina produsse in un solo mese 3.253 libbre sottili di seta bianca e gialla ...
Nel 1712 in Contrada di San Mattio si contavano 161 botteghe, e nella chiesetta che possedeva una rendita annuale di 200 ducati da beni immobili siti in Venezia, si vestiva una Madonna del Rosario con abiti e ori ... Francesco Massarini, “ … che dipingeva per vivere figure oscene su ventagli, e in avorio sopra e dentro a scatole da tabacco, comprate avidamente in Merceria da forestieri …”, accusò ingiustamente Prè Nicolò Palmerino Piovano di San Mattio di: “… carteggiare coi Principi Esteri in rilevanti materie di Stato …” Il povero Prete fu arrestato, torturato più volte, e condannato a carcere perpetuo. Ma dopo tre anni, si scoprì la calunnia infondata tramite la confessione fatta ad un Frate, e per ordine del Tribunale Supremo il Massarini venne strangolato nei Camerotti e attaccato alla forca, mentre il Piovano venne scarcerato e ricompensato.
In venti anni, il numero delle botteghe scese a 148, come le rendite della chiesa che divennero di 100 ducati annui in totale ... Matteo Biscotello, appaltatore di sego in Cannaregio, celebrò il matrimonio di tre sue figlie sempre in chiesa di San Mattio di Rialto abbellita da 3 bei costosi lampadari di cristallo di Murano, dando loro per dote 2 mila ducati ciascuna testa.
Era il 1740, quando l’ “Osteria alla Donzella” era condotta da Piero dei Pieri che gestiva in Contrada Sant’Aponal un’altra Osteria con lo stesso nome di proprietà del Nobil Homo Filippo Donà … Nel 1743, Carlo Salchi Fattor dell'Arte dei Luganegheri, fu bandito da Venezia per essersi impossessato di gran parte della cassa della sua Arte d’appartenenza … al tempo in cui lo scultore Francesco Gaj con moglie e 3 figli abitava vicino alla chiesa di San Giacometto pagando 36 ducati annui. Lì vicino abitava col fratello, madre, ava e zia anche Domenico Lovisa stampatore e libraio, che aveva “bottega da librer” sotto ai portici pagando 50 ducati annui al Nobil Homo Morosini del Pestrin.
Secondo “Il Giornale” di Gasparo Gozzi, in un mercoledì d’ottobre del 1760 era accaduto che:
“ … poche settimane fa un certo Giacomo Compagnon Oste in Venezia all’ “Insegna della Campana” venendo da Vicenza con 1.200 ducati in una cassetta, fu assalito da 3 rubatori sulla strada ... La cassetta dei denari, oltre ad essere robusta per se, era conficcata nelle assi del calesse con due occulte e fortissime viti. Affaticavansi due dei ladroni per sconficcarla ed il terzo minacciava con l’arme. Intanto il postiglione, uomo animoso per se e che conoscea il fuoco e il cuore de cavalli suoi, diede ad un tempo con una scuriata a traverso agli occhi dell’assassino che tenea in punto l’arme, e con gli sproni punse il cavallo che sotto avea tanto che le due bestie si mossero con tal furia improvvisamente che due degli assassimi cadettero a terra malmenati dalle ruote, il terzo si rimase con le mani agli occhi … e il calesse sparì loro davanti, lasciandone due malconci e mezzo spallati e uno balorodo e quasi cieco …”
Nell’aprile 1773 in Ruga Vecchia di San Giovanni Elemosinario di Rialto, dove abitavano 1057 persone di cui 388 non Nobili e abili al lavoro, scoppiò un grosso incendio nella bottega d'uno speziale di proprietà dei Frati di San Nicolò del Lido ... Nello stesso mese, il Magistrato alle Beccarie di Rialto fece un proclama a stampa sulle “regalie” solite fatte arrivare a Venezia per le feste di Pasqua, cioè agnelli, vitelli, capretti e simili. Si vietò sotto rigorose pene che col pretesto d’essere regalie non si facesse contrabbando di carni, cosa largamente praticata.
Giacomo Casanova raccontò nei suoi “Memoires”, vero o falso che fosse, che una sera di Carnevale del 1745 con un Nobilhomo Balbi avevano adocchiato una bella popolana da San Giobbe che beveva col marito e altri due amici in un magazzino in Contrada della Croce. Desiderosi di possederla, escogitarono fingendosi Pubblici Funzionari del Consiglio dei Dieci di farsi seguire da quel marito e amici di seguirli fino all'isola di San Giorgio in Alga. Lasciatili là, i due tornarono a Venezia e ritrovarono la donna lasciatala in custodia ad altri loro compagni. Allora la condussero all'Osteria delle Spade dove: “… dopo aver cenato insieme, si diedero a buon tempo con essa per tutta notte, prima di rimandarla a casa ...”
Nel 1780 circa, a San Giacometto di Rialto:
“… ad imitazion della Cappella Ducale di San Marco si retribuì con lire 87,20 per cantare e suonare alla Messa Solenne col suono dell’organo il giorno di Natale gli stessi cantori e suonatori del Doge, che giunsero con: violon, violoncello, violetta, primo violin e due violini, un oboe, 2 trombe e il primo tenor, 5 cantori, e un Maestro per Messa e Vespro.” ... Dentro a San Zuan Elemosiniero, intanto, si radunavano gli uomini dell’Arte dei Casteleti e dell’Arte degli Stadieri assieme a quelli della Compagnia di San Giuseppe per la Buona Morte, della Congregazione dei Sacerdoti della Beata Vergine, e della Compagnia dei devoti di Sant’Elena.
In un ultimo sussulto commerciale nel 1787, approfittando della paralisi dei porti francesi e di Marsiglia, s’inaugurarono a Venezia alcune Società d’Assicurazione Marittima. La prima fu la Compagnia Veneta di Sicurtàcon 800 azioni da 500 ducati l’una. Nicolo’ Erizzo ne comperò: 25, Alvise Emo: 20, Antonio Duodo, Ludovico Manin, Pietro Vettor Pisani, Francesco Pisani, Vincenzo Tron, Zuanne Pesaro, Francesco Morosini ne acquistarono:10 ciascuno. Sebastiano Zen e Girolamo Ascanio Giustinian: 5, infine Almoro’ Daniel Pisani solo 1.
“ ... solo 126 azioni su un totale di 800 ? … i Nobili Patrizi di Venezia sono per davvero in totale declino ...” fu il commento di un mercante esperto e navigato.
Fu la fine, perchè non senza una certa mestizia nel 1811 si demolirono a Venezia più di cento navi mercantili per mancanza di mezzi per manutenzione e restauro. Una certa Venezia non esisteva più … e anche l’Emporio di Rialto taceva ormai quasi del tutto ... disertato e silenzioso.
Sempre all’inizio del 1800, quando in Contrada di San Mattio vivevano più di 800 persone, di cui 303 abili al lavoro, nella zona esistevano 148 botteghe di 113 padroni, e due Pubblici Postriboli … e 2 Levatrici. I Preti di San Mattio vivevano in una casa cadente, “poveri”e senza rendite perchè ancora soggetti economicamente al Juspatronato dell’Arte dei Macellai.
Tuttavia, il Parroco-Piovano possedeva entrate per 703 ducati, doti di Mansioneria, 366 ducati dalla Cassa dei Minuzzadori, e altri 80 ducati da “incerti di mestiere”, spendendo in uscita: 309 ducati in totale, di cui 60 li dava al Curato, 32 all’Organista, 10 al Sacrestano, 12 ai Sacerdoti o Zaghi che circolavano nella chiesa, 30 ne spendeva per il vino da Messa, 6 li dava al Portacqua e 30 al Coro dei Cantori durante la Settimana Santa.
Ogni anno, lo stesso Piovano Prè Giovanni Antonio Stoni, che s’interessava anche di predicare di frequente e d’istruire la gente di Rialto sulla Dottrina Cristiana, faceva celebrare in San Mattio 2.400 Messe Perpetue, avanzandone da celebrare 54, 7 Messe Esequiali per i Morti e le Anime Derelitte, e 135 Messe varie e avventizie. Durante tutte quelle Messe si organizzavano almeno 5 tipi diversi di questue per i bisogni della chiesa ... il Piovano ci teneva molto che alcune Messe fossero “Solenni e Cantate”, ed esponeva il “Santissimo in Adorazione” tutte le feste, cantava la Novena di Natale e l’Ottavario per i Morti, e guidava una processione l’8 settembre per tutta la Contrada di Rialto.
Nel gennaio 1817 il Capitolo di San Zuanne de Rialto possedeva un reddito annuo di lire 989,82. Il suo Vicario, Prete Paolo Trevisan, percepiva una Congrua di 246 lire annue di rendita provenienti dall’affitto di una casa ad uso Osteria in Corte della Cerva a San Bartolomeo, 105 lire annue da una bottega in Campo Sant’Aponal, 41,24 lire annue da un fondo di casa in Contrada di San Silvestro riscosse dal signor Giovanni Giacomo Costa commissario del fu Costantin Martora, 50 lire annue da un Livello esigibile dal Parroco di San Giacomo dell’Orio, e 76,8 lire annue da una bottega in Calle della Mandola nella Contrada di Sant’Angelo da un affittale … che non pagava mai.
Giunto su Venezia “il tornado” Napoleonico, la chiesetta di San Mattio fu chiusa e i beni indemaniati. La Parrocchia venne soppressa e incorporata a quella di Sant’Aponàl al cui Piovano andò una “dote d’esercizio” di 368 ducati annui corrisposti dal Ceto o Arte de’ Macellai … che però non pagavano più, anzi, si rifiutavano di pagare.
Nel 1820 si pensò bene di demolire la chiesetta trasformandola in abitazioni private, in cui ancora oggi è visibile (al n° 880 del Sestiere di San Polo e nel Ramo Astori), la porta principale e 2 finestroni laterali della scomparsa chiesa di San Mattio.
Dal 1884 smise di suonare dopo secoli la campana “Realtina” di San Giovanni Elemosinario. Da ottobre al Mercoledì Santo la campana “…per consuetudine antica dava il segno delle veglie …”sempre alla stessa ora di sera, alla terza ora di notte per dare il segno di spegnere i fuochi ... Venne sostituita molte volte perchè “spezzata” nel 1491-1500, 1544, 1572, 1597, 1733 e 1775, e il campanaro era anche il Responsabile dei Fuochi dell’area del mercato ... La Pescheria fu rifatta con una barocchissima copertura in ferro ... Alla caduta della Repubblica i Pescatori erano migliaia, ma i “Compravendi pesce” erano solo centocinquantotto. Il mestiere era riservava ai soli pescatori della povera Contrada di San Nicolò dei Mendicoli e dell’isola di Poveglia, dopo che avessero pescato faticando per almeno 20 anni, o avessero compiuto i cinquanta d'età sfidando il mare.
Basta ! Mi fermo … altrimenti mi mandate tutti “a quel paese”… Queste sono solo alcune delle tantissime cose la cui eco si può ascoltare risuonare ancora oggi sotto le volte di Rialto ... con un po’ di fantasia. E’ solo un’eco lontana che rimbalzando di volta in volta e sotto ogni arco, lentamente va spegnendosi confondendosi con lo sciabordio dell’acqua del vicino Canal Grande ... e più in là e oltre sopra i tetti di tutta la nostra Venezia ... disperdendosi nelle acque lisce e calme della Laguna … forse inascoltate, o quasi …