“UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA” – n° 54.
“PIZZOCCHERE … A VENEZIA!”
E dopo i luoghi della Venezia di un tempo … scrivo delle persone, che sono quelle che danno un senso ai posti.
Casualmente giorni fa ho ascoltato i discorsi di alcuni turisti che bighellonavano in giro per Venezia.
“Corte delle Pizzocchere ? … Saranno state forse delle merlettaie, delle artigiane dei pizzi …” dicevano ignari e poco curiosi di saperne di più.
Macchè ! Sbagliato del tutto ! Niente merlettaie dei pizzi.
Bisogna considerare che personaggi nobili, mercanti, Dogi, condottieri, artisti e Santi hanno lasciato a Venezia vistose tracce e vicende, inducendo ancora oggi tutta una schiera di ricercatori a produrre cascate di studi, scritti e informazioni … Altri personaggi, invece, sono rimasti quasi anonimi, perché sono stati vite ignote e nascoste, quasi anonime, ma per questo non insignificanti.
Le Pizzocchere appunto, appartenevano a queste categoria di persone poco significative. Sono state persone che hanno vissuto un’esperienza ibrida, popolare e di Contrada, a cavallo fra religioso e laico qualsiasi. Un piccolo esercito industrioso sparso per la città, che però ne è stato come l’anima, la parte “buona e generosa”, mi verrebbe quasi da dire: “la parte migliore”, seppure rivestite di una semplicità e identità qualsiasi.
“Zitelle ? ” direte.
No. Ben di più. Una vera e propria presenza sussidiaria, talvolta eccentrica, che ha integrato per secoli l’economia e le vicende della città Serenissima. Le Pizzocchere o Pinzochere, che dir si voglia, non sono state un fenomeno esclusivamente veneziano, ma diffuso in gran parte dell’Italia e dell’Europa sotto denominazioni e diciture simili o analoghe. Esistevano anche a Firenze, per esempio, e si possono assimilare facilmente alle Beghine nordiche che però erano più irreggimentate, facoltose, e regolate e chiuse dentro alle loro cittadelle. Qui a Venezia, invece, si trattava di solito di donne non più giovanissime, seppure non ancora bacucche, affiliate ai vari Terz’Ordini religiosi dei Francescani, Domenicani, Agostiniani, Carmelitani, Serviti, Orsoline o filoni spirituali similari presenti in città e nelle isole della laguna in abbondanza.
Il concetto, l’identità di “Pinzochera”non era di certo sinonimo di “bacchettona”e “bigotta”, anzi. Si trattava quasi sempre di donne con una certa tempra interiore, che avevano anche vissuto parecchio. Talvolta erano nobili decadute, figlie misconosciute, “malmaritate”, mogli di carcerati, ex prostitute, mogli sostituite accantonate e sostituite da amanti giovani e avvenenti, vedove dalla famiglia numerosa o provate da avversità personali e familiari. Erano donne decise a voltar pagina della loro vita decidendo di dedicare se stesse alla cura dell’Animo e soprattutto alla carità disinteressata verso gli altri più bisognosi. Vanno pensate soprattutto come volontarie dell’assistenza che cercavano e aiutavano le varie realtà di miseria presenti a quell’epoca in massa anche a Venezia. Nella pratica concreta finivano con l’occuparsi di malati, orfani, vedove, moribondi, vecchi, carcerati e realtà similari.
Non erano sempre “fior di farina”, nè sessuofobe spente, ma sapevano vivere spesso da spartane e austere penitenti solitarie. Niente zitelle, quindi, anche se assumevano e conservavano spesso quello stile aspro, essenziale, quasi acido nel proporsi e rapportarsi con gli altri tipico di quella categoria di donne. In realtà si trattava di donne in autodifesa, attente a non rimanere irretite e impelagate in nuove relazioni difficili da cui erano già uscite, o per le quali provavano una certa legittima ripulsa.
Le Pizzocchere erano laiche, non monache e religiose, ma talvolta assumevano voti, ed erano caratterizzate se non da un vero e proprio abito distintivo ma sicuramente da un “modus vivendi” povero e diciamo virtuoso, con solo un tetto sulla testa, la minestra quotidiana, e pochi effetti personali. Si pensa, infatti, che il nome di Pinzocchera derivi dal tessuto grezzo non tinto, ossia: “bigio” o "bizzo" o grigio, ottenuto tessendo insieme lana bianca e nera. Quindi dal tessuto "pinzo" o “binzo”derivò il nome popolare di: "Pinzocchera"o "Binzocchera".
Qualcun’altro spiega la dizione “Pinzochera” facendola derivare da “bizza”, ossia “Bizzocchera”, ad indicare un genere di donne bizzosa, bisbetica, permalosa, pettegola e irascibile insieme, come appunto usano essere certe zitelle.
A Venezia le Pizzocchere erano numerose, un piccolo esercito, e vivevano spesso aggregate in “caxette”messe a disposizione da Nobil Homini e Nobil Donne filantrope e munifiche. Questi, concedevano gratis, ossia “Amore Dei”, alcune loro proprietà e risorse col fine di accumulare meriti presso il Cielo, e salvaguardarsi così l’Anima per l’eternità. Qualche secolo fa ci credevano moltissimo a queste cose, non solo a Venezia, e chi più possedeva e offriva più poteva garantirsi “un posto al sole” nell’Aldilà.
Altre volte le Pizzocchere vivevano ospitate direttamente in casa di nobili facoltosi, oppure affiliate e aggregate ad Ospizi e Ospedaletti nei quali prestavano in continuità il loro servizio caritatevole. Di frequente le Pizzocchere soggiacevano alla guida autorevole di un Priore o una Priora, e avevano spesso come guida spirituale un qualche Prete o Frate, o facevano riferimento e partecipavano alla vita di qualche vicino convento o monastero.
Le Pizzocchere, seppure non tutte, erano donne molto devote, disposte a correre nella chiesa più vicina ad ogni campanella che chiamava, partecipavano e cantavano alle celebrazioni dei matrimonio, alle processioni, e ai funerali di chiunque viveva nella loro Contrada. Pulivano, addobbavano gli altari e le chiese, e fungevano da veri e propri 007 nell’aggiornare Frati, Monache, Piovani, ma anche i Magistrati della Serenissima sulle situazioni più difficili e piccanti che accadevano in ogni angolo della città.
Un piccolo esercito discreto e silenzioso, fedelissimo alla Serenissima, sempre pronto a “ficcanasare” e “saper tutto di tutti” in cambio di un po’ di considerazione, sussidio e protezione. Per questo motivo le Pizzocchere erano di frequente soggette a dicerie calunniose di ogni tipo, e più di qualche volta godevano di fama ambigua e di una certa nomea talvolta viscida e ingannevole. Erano pur sempre “occhio e orecchio, e longa manus” dei poteri costituiti come il Potere Dogale e la Chiesa dei quali venivano considerate alleate e in combutta… e qualche volta era anche vero.
Col passare dei secoli, le Pizzocchere di Venezia si sono confuse e incrociate con l’antica tradizione delle “Cameriste”, ossia di vedove ospitate in Ospizi e Ospizietti, mogli di reduci al servizio della Serenissima, mezze dame di compagnia di graziose e generose donne nobili, matrone benefiche e virtuose. Venezia pullulava di istituzioni e realtà simili, ce n’erano davvero tante, sparse quasi per ogni Contrada e Sestiere cittadino.
La lista per censire la realtà delle Pizzocchere veneziane sarebbe lunghissima. Di Pizzoccheresi parla nel Sestiere di Castello, nelle Contrade di Sant’Anna, San Domenico, San Pietro e San Giuseppe in Calle Secco Marina e Calle delle Furlane.
Nel 1564 le Pizzocchere Terziarie di San Domenico di Castello spesero e contribuirono per 2 ducati e soldi 16 alla festa di Santa Caterina da Siena nella Scuola Grande di San Marco, e offrirono 3 ducati per acconciare la chiesa, e 4 ducati e soldi 8 per il pasto comune dei congregati.
Cassandra Fedele fu “Priora del Hospeal de le Donzele appresso San Domenego". Visse fino a 102 anni morendo nell’agosto 1558, e fu donna formidabile, lesse nello studio di Padova dove trattò di cose di medicina, disputò in teologia, cantò versi in latino, e compose opere di un certo spessore letterario. I documenti raccontano che:
“ … diventata d’età decrepita andò a fare testamento in chiesa di San Bartolammeo di Castello eleggendo suoi esecutori testamentari l'Avvocato Benedetto Lio suo nipote, e fra' Zuane Foresto dell'Ordine dei Predicatori Domenicani. Volle inoltre essere sepolta in chiesa di San Domenico (che oggi non esiste più) di cui beneficò il convento. Lasciò i suoi libri ai figli dello stesso nipote Benedetto Lio con la moglie Antonia, al quale lasciò anche una porzione di casa in Calle della Testa a SS.Giovanni e Paolo…” Cassandra Fedele era una Pizzocchera vissuta di fronte alla chiesa di San Francesco di Paola nel Sestiere di Castello.
Sempre a Castello, nel Campo de la Confraternita a San Francesco della Vigna fra 1459 e 1471, per opera di Maria Benedetta sorella del principe Amedeo di Carignano e della Nobil Donna Angela da Canal si raccolsero in un “Ospizio delle Pizzocchere”trentadue donne Pinzocchere Terziarie Francescanededite al sostentamento ed educazione di fanciulle orfane e povere accudite fino alla maggiore età.
Nel 1575-1580 le Pizzocchere di San Francesco della Vignapossedevano anche una casa in Contrada di Sant’Aponal presso Rialto affittata al libraio e stampatore Gasparo Bindoni.
Nel 1612, invece, Ruggeri Ruggero quondam Bortolomio mercante drappier con suo fratello Alessandro con bottega in Drapperia all’insegna dei Tre San Marchi testò a favore delle Pizzocchere di San Francesco della Vigna che possedevano anche dei livelli su dei terreni a Maerne di proprietà di Franceschina degli Accesi o Accenti Pizzocchera di San Francesco della Vigna, che lasciò a sua volta per testamento “un quadro dell’Annunciata” al Monastero di San Giovanni in Laterano in Venezia, ed un “Padre Eterno” al Ministrado o Sala del Terzordine Francescano delle Pizzocchere della Vigna.
Cinquant’anni dopo, le Pizzocchere di San Francesco della Vigna possedevano 91 ducati di rendita annua proveniente da beni immobili posseduti in Venezia per i quali pagavano soldi 8 e denari 3 di tasse. Suor Maria Pelicioli dello stesso Collegio delle Pizoccare pagava, invece, soldi 3 denari 5 per rendite personali.
Solo secoli dopo, nel 1727, le Pinzòccare assunsero il titolo di Comunità religiosa vera e propria riconosciuta dalla Serenissima, che nel settembre 1746 ordinava: “…sia corrisposto un burchio di acqua gratis all’anno alle Terziarie di San Francesco della Vigna…”
Nel maggio 1811 il Demanio della solita bufera napoleonica incamerò proprietà e denari della piccola Istituzione e impose alle undici Pizzocchere di chiudere tutto e ritirarsi con altre Pizzocchere in uno stabile di fronte a San Francesco della Vigna in Contrada Santa Giustina. I luoghi delle Pizzocchere furono destinati a Tribunale Militare e in seguito vennero venduti a privati che ne ricavarono abitazioni fino al 1838 quando i Frati Francescani riacquistarono l'immobile costruendo due cavalcavia (uno oggi residuo e l’altro demolito) che lo univa con l’ex Palazzo della Nunziatura, con la Schola de Devozion de San Pasquale Baylon e con la chiesa. Incredibilmente, nel 1866 si citavano le Pizzocchere ancora presenti e attive nella zona di San Francesco della Vigna.
Nel 1433 Allegranza Bianco per testamento lasciò la proprietà di casa e orto alle Muneghette di Castello in Contrada di San Martin.
Fin dal 1616 si segnalavano presenti delle Pizzocchere o Terziarie Domenicane riunite in un’unica casa ai Santi Apostoli, in seguito associate a quelle che abitavano al Conservatorio delle Pizzoccherete o Muneghette o Venerabili Madri o Terziarie Domenicane di Santa Maria del Rosario in Contrada di San Martino di Castello. Pare che vennero accettate come le Muneghete o quasi Monachelle o Terziarie solo donne ancora vergini di modesta condizione economica per dedicarsi all’esercizio delle “Opere di Misericordia” ed insegnare la Dottrina Cristiana alle fanciulle..
Nel 1661 le Pizzocchere di San Martin percepivano una rendita annua di 154 ducati da immobili posseduti in Venezia, mentre nel 1680 i Preti del Capitolo di San Martin non vollero più celebrare le Messe nell’Oratorio delle Pizzocchere perché: “…ardirono esponere casselle pubbliche, tenir aperto l’oratorio tutto il giorno, farvi dir messa da sacerdoti fuori del capitolo con amministrazione dei sacramenti, benedizione delle ceneri, esporre il cristo per l’adorazione il venerdi’ santo ed latre fontioni, che s’aspettavano solo ai parrochi…”.
I Governatori delle Scuole di San Cristoforo e Sant’Orsola le fecero riprendere, e stipularono una convenzione con le Pizzocchere per spostare l’altare della chiesa, così da risultare fuori dalle chiassose camere sovrastanti delle Pizzocchere.
Il 18 marzo 1750, quando ancora le Pizzocchere di San Martin possedevano una rendita annua di 153 ducati da immobili siti in Venezia, il Senato decretò che: “Il Collegio delle Terziarie Pizzocchere, beni e rendite tutte … rimanessero sotto la protezione pubblica, annesse ed aggregate alla chiesa ducale di San Marco”, ossia le Venerabili Madri venivano tolte dallo jus dei Preti di San Martin per passare sotto il diretto controllo del Doge.
Ovviamente nel 1805 con Napoleone tutto venne chiuso e le Pizzocchere disperse e rimandate a casa dei propri familiari e congiunti. Nel 1884 nell’edificio occupato un tempo dalle Pizzocchere si radunarono tutte le donne anziane, vedove, e povere sparse per gli Ospizietti e gli Hospedaletti della città: Ospizio Querini di San Pietro di Castello, Ospizio Pesaro a San Giacomo da l'Orio, l'Anticher o Ospissio del Moriòn a Santa Ternita; il Della Frescada a San Vio. Ancora oggi quegli ambienti sono stati trasformati in moderno Ospizio capace di ospitare quaranta donne anziane sole.
Passando in altri Sestieri e Contrade di Venezia, nell'estimo del 1661 si ricordano certe donne che abitavano nella parrocchia dell'Anzolo Raffael nell’“Ospedaletto della Maddalena sive Pinzochere … Portano il nome di Pinzochere … e si dedicano ad esercizi spirituali negli Ospizii fondati dalla pietà cittadina pur vivendo nel secolo ...”
Nei pressi di Santa Marta nel Sestiere di Dorsoduro c’erano Pizzocchere Orsoline, esistevano Pizzocchere a San Maurizio vicino a San Marco, Pizzocchere in Contrada di San Cassiano e ai Frari nel Sestiere di San Polo dove il 29 gennaio 1739 un decreto della Serenissima ordinava: “…sia corrisposto un burchio di acqua all’anno gratis alle Terziarie di San Francesco ai Frari…”
Nel Sestiere di San Marco esisteva anche l’Ospizio di San Gallo in Corte delle Orsoline o Pizzocchere Orsoline.
L’Istituzione era l'erede dell'Ospissio Orseolo collocato in Piazza San Marco, il cosìdetto Ospeal da Comun o Hospizio o Spedàl de San Marco collocato presso il campanile. Quando nel 1581 l’Ospizio Ducale fu demolito per costruire le Procuratie Nove sul lato meridionale della piazza, l’Istituzione fu spostata nel Campo Russolo o Orseolo o di San Gallo sempre in Contrada San Ziminian dove esistevano altre proprietà di famiglia Orseolo, divenendo l’Ospizio delle Pizzocchere Orsoline. L’area dell’Ospizio era occupata da 5 caxette in una Corte con pozzo, e da una sesta caxetta riservata al Priore con due finestrelle in corrispondenza dell’altare dell’Oratorio di San Gallo.
Sopravvissuto agli editti napoleonici e agli interventi di riordino urbano degli Austriaci, nel 1867 l'Ospissio venne smembrato e venduto a più riprese per formare il nuovo Hotel Cavalletto. Le Pizzocchere Orsoline furono trasferite in Contrada di Sant’Angelo in Corte dell’Albero presso la Fondamenta Narisi, le 5 caxette demolite, lasciando solo una facciatina esterna, due iscrizioni, e il toponimo di Bacino, Rio e Fondamenta Orseolo.
Fin dal lontanissimo1383 si segnalano presenti le Pizzocchere Agostiniane di Santo Stefano in Calle del Pestrin e Corte delle Pizzocchere in un casa di proprietà della Nobile Famiglia Da Lezze il cui stemma campeggia ancora all’ingresso della Corte e sul Pozzo. Erano chiamate anche Mantellate o Terziarie Agostiniane, e s’incaricavano della vestizione del simulacro della Madonna, e si prestavano anche per la vestizione dei morti che ne richiedevano per testamento il loro intervento. In chiesa gestivano e curavano un altare dedicato a Santa Monica madre di Sant’Agostino, e utilizzavano un arca tombale con l’effige di una donna vestita da Terziaria affittata dai Padri Agostiniani di Santo Stefano posta nel chiostro lungo il muro della chiesa che porta del convento. Ancora nel 1686 le Pizzocchere di Santo Stefano erano 14, e presentarono una supplica per poter comprare lo stabile dove abitavano.
In Corte delle Pizzoccare in Calle del Ridotto a San Moisè esisteva l’Ospissio delle Pizzocchere Terziarie istituito dalla volontà testamentaria del Nobile Francesco Giustinian che abitava alla fine della Calle del Ridotto. La rendita del legato a favore delle otto Pizzoccare era amministrata dai Procuratori de San Marco de Supra che dispensavano alcune caxette nel “Sottoportico e Corte delle Pizzochere” a donne povere.
Nel Sestiere di Cannaregio, invece, esisteva un Conventino di Pizzocchere Servite in Fondamenta di San Girolamo.
Nel 1525 lo stabile era stato loro donato da Matteo figlio di Nicolò Lucchese alle Pizzocchere che si occupavano dell'educazione di ragazze povere. La Storia ricorda che in quel luogo visse la Pizzocchera diventata Monaca Maria Benedetta Rossi fondatrice in seguito (si dice) di ben due Monasteri Veneziani: quello di Santa Maria delle Grazie a Burano, e di Santa Maria del Pianto di Venezia.
In Contrada di Santa Maria Nuova a San Canzian, sempre nel Sestiere di Cannaregio, dove oggi si tiene ogni tanto un mercatino, esiste ancora la “Corte delle Pizzochere”dove altre povere venivano ricoverate in sedici “alberghetti”gestiti dai Procuratori de San Marco de Citra applicando la Commissaria testamentaria di Antonio dal Deserto che volle istituire per sedici Terziarie Pizzoccare delle caxette con piccola cucina e stanza da letto.
Curiosissime sono, invece, le vicende della Contrada di San Marcuola, dove vivevano di preghiera, penitenza ed elemosine le Eremite-Romite di San Marcuola seguendo la regola di Sant’Agostino. Nel loro genere erano una delle realtà più antiche presenti in città. Inizialmente si trattava di tre Pizzocchere che abitavano un solaio situato proprio sopra al tetto della chiesa di San Marcuola. Vi accedevano dal portico antistante attraverso una scaletta appoggiata al muro della facciata. Possedevano un piccolo Oratorio dotato di paramenti e ornato da dipinti di Girolamo Pilotti, Matteo Ponzone e da un “Sant’Agostino e San Gerolamo” di Palma il Giovane, opere tutte finite nella sacrestia delle Romite di San Trovaso nel Sestiere di Dorsoduro. Sopra l’Oratorio di trovava il dormitorio costituito da piccole e modeste stanzucce il cui ampliamento venne sempre contrastato e proibito dai Preti del Capitolo di San Marcuola.
Nel 1486 Papa Innocenzo VIII concesse alle religiose di avere un loro sacerdote che le guidasse, e di poter guardare dentro alla chiesa e partecipare alle liturgie che vi venivano celebrate attraverso due finestrelle prospicenti dall’alto all’interno.
1561 il Patriarca accordò il permesso di alzare il tetto del Romitorio e pochi anni dopo il Nunzio Pontificio concesse loro finalmente la facoltà di svincolarsi dalla giurisdizione del Piovano-Parroco di San Marcuola.
Nel 1669 Clemente IX confermò l’autonomia delle religiose, ma nello stesso anno una grossa infiltrazione sul tetto costrinse all’intervento il famoso architetto Baldassare Longhena inviato dai Provveditori Sopra ai Monasteri.
Baldassare Longhena scriveva ai Provveditori: “…trasferir mi debi sopra locho dalle Reverende Madri Romite, quale confina con la chiesa di San Marcuola et veder la giesola di dette reverende madre, che son in solaro sopra il sottoportico di detta chiesa et veder ogni parte, se son sicure ovvero se minaziase ruvina…ho veduto l’altar in detta chiesola di esse reverende madri è fabbricato sopra la travatura molto debole et in diverse parti offesa verso il muro della scala, asende in detta giesola. Visto la piana over lapide che sopra quella si celebra le santissime messe, qual è calatta dalla debolezza di detta travatura, onde farebe bisogno di riparar tale pericolo, inspesir detta travatura et poner un fillo con modioni di piera viva sotto per sustentar ancho la travatura vechia,a ciio’ l’altar non fazi maggior mossa, et chosi’ si riparerà il pericolo prossimo…”
Fu così, che nel 1679, quando le Pie donne Pizzocchere erano diventate sei, che si chiuse definitivamente il Portico cadente antistante la chiesa di San Marcuola, e le Pizzocchere Romite furono costrette a trasferirsi in Contrada di San Trovaso. Lì, nella bella e spaziosa nuova sede, le Pizzocchere divennero 28 e nel 1740possedevano una rendita annuale di 40 ducati da beni immobili sparsi in Venezia.
L'edificio su due piani con corte interna che accolse l’Ospizio delle Pizzocchere Servite a Santa Maria dei Servi vicino a Santa Fosca in Strada Nova, venne donato nel 1525 da Matteo figlio di Nicolò Lucchese ad alcune Pie donne che vi si rinchiusero sotto la Regola del Terzordine dei Servi di Maria dedicandosi all'educazione di povere fanciulle. La comunità arrivò a contare fino a ventotto Pizzocare. Fra queste visse Maria Benedetta Rossi che fondò il monastero delle Grazie a Burano e la chiesa con monastero di Santa Maria del Pianto alle Fondamente Nove. Riuscì a convincere il Senato della Repubblica di Venezia a sborsare i fondi necessari per la costruzione convincendolo che in quel modo la Beata Vergine Maria avrebbe soccorso la Serenissima impegnata nella guerra di Candia contro i Turchi.
Ancora nel 1887 il piccolo complesso fu restaurato e modificato, e si riutilizzò assieme al “Morion di Castello”come secondo Asilo Notturno per poveri. In seguito si chiuse tutto e si lasciò l’edificio in completo abbandono.
Infine, dall’altra parte di Venezia, a San Giacomo della Giudecca in Fondamenta del Redentore, c’erano le “Terziarie Servite di Santa Maria Vergine” associate a quelle di San Girolamo di Cannaregio.
Ecco qua ! … un po’ raccontate le Pizzocchere di Venezia.
Tutto quest’apparato è sopravvissuto a Venezia per secoli, ed è stato spazzato via dal solito Napoleone che in fretta e furia ha disperso le persone, in tal caso le Pizzocchere, ha indemaniato tutto, incamerato le risorse finanziarie, venduto gli edifici e saccheggiato ogni cosa e oggetto di valore lasciando scheletri in rovina e abbandono. Circa alla fine del 1800 la maggior parte di questa fitta rete di Istituzioni è stata “riciclata negli spazi” e trasformata quasi sempre in abitazioni private cancellando quel poco che rimasto ancora attivo.
Oggi rimane qualche toponimo, qualche documento e memoria, e poco più … Credo che le Pizzocchere a Venezia e altrove non esistano più. La maggior parte delle loro caxette sono state vendute e riattate, o incorporate dagli Enti assistenziali cittadini. Le poche caxette rimaste sono occupate da uomini e donne qualsiasi, spesso soli e autosufficienti ma privi di quell’attitudine caritatevole e di quello spessore interiore che possedevano le Pizzocchere di un tempo.
Sono certo d’aver conosciuto durante le mie precedenti esperienze esistenziali una delle ultime autentiche Pizzocchere di Venezia.
Era una donna piccina, minuta e graziosa al confine col fragile, ormai anziana negli anni ma non certamente nell’animo. Una donna di poche parole, riservata ma davvero tosta, che aveva interpretato e vissuto con assiduità e profonda coerenza per lunghe stagioni della sua vita i principi cristiani e anche gli indirizzi politici e sociali del partito politico Democristiano di qualche decennio fa. Una donna salda, depositaria certa di tutta una serie di valori anche semplici che oggi in gran parte sono stati smarriti. Una discendente autentica delle antiche Pizzocchere, insomma. Abitava in una delle dieci camerette del Ramo Cappello una Calletta laterale del famoso Campo Santa Margherita. Si trattava di una delle ultime serie di caxette ancora attive destinate dall’I.R.E. a donne sole di una certa “qualità e serietà”.
Quando l’ho conosciuta aveva ormai già “vissuto e dato generosamente” a causa di quelle qualità interiori che si portava dentro. Aveva servito, curato, assistito per lunghi anni, e in quei giorni in cui l’ho incontrata s’era ormai quasi arrestata per dedicarsi a vivere una tranquilla vecchia. Per capirci era una donna da preghiere più volte al giorno e Messa quotidiana, ma non era per niente bigotta, anzi, era liberalissima su certe tematiche e molto più aperta di tante giovani donne di oggi.
A volte mi stupiva per quanto era lungimirante, critica e spietata nelle sue analisi socioreligiose.
Altre volte mi faceva tenerezza, soprattutto quando mi raccontava delle sue lunghe degenze in ospedale dove trovava allo stesso tempo l’opportunità da degente di servire e accudire chi non aveva nessuno accanto. Una donna da sposare ! Solo che lei non aveva mai sposato nessuno, era rimasta libera: guai a dirle Zitella, s’arrabbiava di brutto.
“Quelle sono donne acide, avvizzite, prive di nerbo e sentimenti … Io sono un’altra cosa …”
Ed era vero, non potevo dirglielo neanche per scherzo, anche se mi piaceva vederla avvampare e incazzarsi in una maniera che solo lei sapeva interpretare.
La salutavo sottovoce a posta quando la incontravo: “Buongiorno zitella !”
E lei avvampava d’ira ogni volta pur sapendo che non la volevo assolutamente offendere.
“E’ più forte di me …” si giustificava, “Solo il pensiero mi fa accendere e infastidire.”
Ma poi ci ridevamo sopra ogni volta, e dopo un attimo era tutto passato.
“Tento te … giovanotto…” mi diceva, “Che una volta o l’altra ti sistemo per le feste nella maniera che manco te l’aspetti …”
E credo sarebbe stata davvero capace di farmi qualche sorpresa, se le vicende della nostra vita non ci avessero portati entrambi altrove ... Ricordo le sue linde camicette a fioretti, il suo profumo di pulito, il suo scialle invernale, le sue scarpine da bambola, il suoi capelli imbiancati raccolti sulla nuca, gli occhi cisposi e socchiusi sopra un eterno sorriso imbarazzato ma sincero. Era talmente riservata, rispettosa e gentile, che quando rideva si metteva una mano davanti alla bocca per non disturbare soffocando i singulti del ridere.
Una bella figura, una persona squisita in estinzione. Mi ritengo fortunato d’averla incontrata e conosciuta.
“Ha mai avuto un moroso ?” le chiesi indiscreto un giorno in totale confidenza.
“Sì. L’ho amato per sempre…anche se non l’ho baciato neanche una volta se non sulla fronte quando è morto.” E dicendo questo estrasse dalla scollatura una catenina con un ciondolo che aprì. All’interno c’era la foto in bianco e nero di un bel giovanotto sorridente dall’occhio vispo.
“L’ho assistito fino all’ultimo istante. Era tisico, ha vissuto per anni in un sanatorio. Ma mai abbiamo scordato quanto abbiamo provato alla sagra di paese quando ci trovavamo tutte le sere per ballare e guardarci negli occhi…”
A ripensarci sembra una fiaba raccontata … Invece era realtà in carne ed ossa che ho incontrato e abitava a Venezia. Diverse volte la trovavo incantata davanti a un dipinto o a disporre un mazzo di fiori in un vaso in un modo che solo lei sapeva predisporre. In quei momenti canticchiava qualcosa, e ogni tanto sorrideva e socchiudeva gli occhi.
Chissà a che cosa pensava ?