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“QUALCHE ALTRA NOTA E CURIOSITA’ SU SANTA CROCE DELLA GIUDECCA.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 58.

“QUALCHE ALTRA NOTA E CURIOSITA’ SU SANTA CROCE DELLA GIUDECCA.”

Come ben si sa, la maggior parte dei monasteri di Venezia era in qualche maniera gestita a distanza e protetta dalle più ricche e prestigiose famiglie nobili della città lagunare. Il motivo era semplice: ci mettevano dentro le proprie figlie non andate in mogli ad altre grandi famiglie della Serenissima. Primo fra tutti, il Monastero di San Zaccaria oltre ad ospitare spesso qualche figlia del Doge, manteneva fra le sue mura le monache dei clan nobiliari: Foscarini, Querini, Gradenigo e Morosini. Nel chiostro di Ognissanti nel Sestiere di Dorsoduro (l’ex Ospedale Giustinian), invece, aveva pieno controllo e protettorato economico il clan patrizio dei Barbarigo, così come alla Giudecca, nella fattispecie del Monastero Benedettino di Santa Croce la prevalenza nobile era quella delle figlie dei nobili Da Molin.

Il complesso di Santa Croce della Giudecca è vecchissimo: le sue prime notizie risalgono addirittura a prima dell’anno mille ... e cento anni dopo era riconosciuto ormai come stabile Monastero di Benedettine e chiamato:Monasterium de Scopolo o dello Scoglio” perché sembra occupasse un’isoletta minore incastonata dentro alla Giudecca.

Fra 1303 e 1309, il Monastero congiuntamente alla chiesa apparivano sulla lista di coloro che dovevano pagare la tassa di “Diritto di Catedrattico” al vescovo di Castello Ramberto Polo, cosa che le monache facevano puntualmente ogni anno a maggio: nel giorno della Festa dell’ “L’invenzione della Santa Croce”.

Circa trent’anni dopo, il Senato della Serenissima concesse in usufrutto alla Badessa Giacomina Paoni del Monastero di Santa Croce una palude antistante con l’obbligo di bonificarla in 3 anni di 50 passi inglobando così l’isoletta con tutto il resto della Giudecca. In cambio le Monache dovevano omaggiare annualmente il Doge con un paio di guanti di camoscio … cosa che puntualmente le Monache esaudirono per secoli.

“…Concessione fatta dall’Officiali et Giudici al Magistrato del Piovego, Ser Marco Da Mula, Ser Marco Boxio et Ser Pietro Marcello al NH ser Canotto Loredan della contrà di Sant’Aponal o San Silvestro de passa 50 per lunghezza et altri passa 50 per larghezza di velma, posta tra il monasterio de Sancta Croxe alla Zuecca et il monasterio de San Zorzi Maggior, in esecution di dover palificar et atterrar detta velma nel termine d’anni tre et obbligatione di contribuire ogn’anno al Ser.mo Doxe un paro de guanti de camozza…”
In Atti di Pre’ Nicolo’ della chiesa de Sant’Agostin Nodaro Pubblico - 1330 luglio 20.

Ma già nell’agosto 1395 “... capitò sconquasso a Santa Croce della Giudecca ...” come spesso sempre accadeva nei monasteri lagunari. Fu giudicato Antonio Vianaro entrato più volte nel monastero della Santa Croce avendo rapporti sessuali con Suor Ursia Tressa.
Per pareggiare le sorti, nel giugno 1426 a soli 17 anni, entrò Monaca alla Santa Croce Eufemia Giustiniani (futura Beata Eufemia)nipote del futuro San Lorenzo Giustiniani, che per l’occasione scrisse e le dedicò il suo famoso: “De Vita Monastica”. Qualche anno dopo, morta la vecchia Badessa Paola, il Giustiniani pensò bene per riordinare i costumi della vita delle monche, di eleggere la nipote nuova Badessa nonostante le contrarietà delle consorelle che s’appellarono subito e inutilmente direttamente al Papa di turno.
La scelta oculata del Giustiniani portò bene, perché le monache diventate esemplari furono inviate in giro per i monasteri a riformarli, iniziando da San Secondo in isola e da Sant’Angelo di Contorta, ma spingendosi in seguito fino a Cipro per fondare anche lì un nuovo monastero.

Dieci anni dopo, siccome l’economia del monastero un po’ languiva, le monache ottennero da Papa Eugenio IV di usufruire delle rendite del Monastero Benedettino di San Giorgio di Fossone appena fuori Chioggia, e in seguito quelle di Sant’Angelo di Contorta, del Convento caduto in rovina di San Domenico in Fuscolano, e della chiesa parrocchiale di Nono vicino a Padova ... e già che c’erano … i Papi aggiunsero con speciali bolle apposite l’usufrutto dei beni di San Cipriano di Sarzàn, di Santa Felicita di Romano e di San Giorgio di Castelfranco.

Come altri hanno già spiegato molto bene, durante lo stesso secolo crebbe non poco l’importanza del monastero che s’arricchì di preziosissime Reliquie e Corpi di Santi pervenutigli direttamente da Costantinopoli e dall’Oriente ... Anche alla Giudecca accadde un immenso "giro" di celebrazioni, indulgenze, devozioni ... e bei guadagni che durarono per secoli.

Nel 1464 anno di peste a Venezia le monache del Santa Croce della Giudecca si prodigarono parecchio per confortare e accompagnare a morte serena gli appestati ... E fu in quella circostanza che si verificò il famoso miracolo raccontato dalla leggenda.

Ovviamente fu Suor Eufemia Giustiniani la coprotagonista, e accadde che mentre la monaca stava seppellendo la quinta consorella deceduta per il morbo pestifero la raggiunse Suor Scolastica la portinaia, riferendole che s’era presentato alla porta e alle grate del parlatorio della clausura del monastero un certo Cavaliere per domandare una tazza d’acqua. Era San Sebastiano in persona vestito in velluto nero, Santo Protettore contro la peste, che venne a posta per lodare l’opera santa della Badessa e delle sue Monache. Già che c’era, il Santo assicurò che non sarebbe più morta di peste nessuna monaca, e come suo gesto di omaggio toccò il pozzo del Monastero infondendo alle acque una virtu’ miracolosa perenne.

Niente di che direte … Uno dei tanti miracoli dell'epoca… Mica tanto, perché la Storia racconta che a distanza di più di un secolo, nel 1576, la gente di Venezia e Veneta accorreva ancora a quel pozzo di San Sebastiano per bere l’acqua miracolosa che li poteva salvare dalla peste. Esisteva perfino uno stampato apposito che invitava a bere “l'acqua antipeste” recitando una particolare orazione a San Sebastiano delle Monache della Santa Croce.
Era l’anno della peste del Redentore… e a fine estate si sparse la voce che mentre tutti morivano alla Giudecca nel monastero non era morta neanche una monaca. Accadde tutto un inutile accorrere fin da Treviso, dalle campagne del Padovano, e perfino da Verona ... ma chi doveva morire morì. 
Le Monache del Santa Croce erano talmente assediate dall’afflusso della gente, che furono costrette a far scorrere l’acqua del pozzo attraverso una lunga grondaia facendola uscire fuori dal recinto del monastero … “potendo così vivere in santa pace …”
Nel marzo dell’anno dopo il Doge Alvise Mocenigo e il Patriarca Giovanni Trevisan andarono in processione proprio fino alla chiesa della Santa Croce della Giudecca per partecipare alla Messa Solenne del Voto e benedire e porre la prima pietra del futuro Tempio del Redentore.

Durante lo stesso 1500, le cento (!) Monache del Monastero della Santa Croce della Giudecca litigarono non poco con quelle di San Zaccaria per la proprietà e gestione di certi possedimenti di terra a Monselice, e contemporaneamente decisero di rifabbricare chiesa e monastero. Tutto fu fatto in soli sette anni, tanto che il Patriarca di Venezia Antonio Contarini andò a benedire e consacrare tutto nel 1508 consacrando per l’occasione altre venti nuove monache che offrirono ciascuna un ducato e due candelotti di pregio. Come dicevamo prima, alle spalle delle Monache c’erano i ricchi capitali dei nobili Veneziani, e in questo caso fu il Nobil Homo Francesco figlio di Pietro Pizzamano arricchitosi non poco con la gestione del Dazio del Vino a Venezia, che contribuì all’opera di rinnovo di tutto fornendo 5.000 ducati d’oro.

Per far sentire e mai mancare il suo potente appoggio, la Serenissima beneficò “le proprie figlie” a più riprese, e anche nel 1515 fornendo un quantitativo di 10 stara di frumento obbligando un banchiere Ebreo che aveva diffamato un medico Ebreo a procurarlo a proprie spese. Con la stessa puntualità, la Serenissima autorizzò l’intervento dei Fanti della sua Quarantia al Criminal che espulse dal monastero Zuan Andea Pizzamano nipote del nobile benefattore che procurò i restauri di chiesa e convento, perché voleva spadroneggiare troppo nelle cose delle Monache.

Due o tre anni dopo, le Monache del Santa Croce concessero in gestione il Convento di Sant’Angelo in Caotorta ai Carmelitani di Mantova che avevano messo residenza a Venezia, e ogni anno ottennevano in cambio come gesto simbolico il giorno della Solennità dell’Invenzione e dell’Esaltazione della Croce una candela di cera bianca del peso di due libbre.

Raccontano le cronache veneziane, che nel 1521: “… in questa terra è assai malattie, maxime in monasteri; a Santa Croce della Giudecca dove tutte le monache son ammalate … et fu per li caldi stati di quest’inverno…”

Le monache come tutti a Venezia potevano diventare fragili a causa del clima umido e speciale della laguna ... ma per fortuna avevano quel pozzo.

Nel dicembre di tre anni dopo, Sjer Zorzi Pisani Dotor e Cavalier, Savio del Maggior Consiglio venne sepolto vestito d’oro nel Monastero della Santa Croce dove aveva fatto preparare le sue arche o tombe. Lasciò una veste d’oro al Monastero della Santa Croce e un’altra a quello di Sant’Angelo di Concordia ... Il Monastero pagava ogni anno 8 ducati annui a un suo provetto organista, e pagava altri 115 ducati per offrire 15 pasti ai Sacerdoti Mansionari che celebravano per le Feste principali e la Settimana Santa … Non a caso quindi, il monastero venne tassato dallo Stato Serenissimo con 30 ducati e il suo Cappellano privato di altri 10 ducati … Ma era tutto un “Do ut des” fra Monache e Governo perché qualche anno dopo il Consiglio dei Quaranta regalò alle monache “ … una galea sottil da demolire per conzar la Fondamenta del Monastero che ruinava …”

Perfino la famosissima e antica Compagnia della Calza e degli Accesi ricamava lì alla Giudecca la sua calza nel maggio 1562, e faceva celebrare una Messa Solenne e Cantata presso le monache della Santa Croce che nel frattempo erano cresciute di numero diventando 150.

A fine secolo, nel 1595, Bozza Francesco figlio di Giacomo mercante veneto abitante in Contrada di San Gregorio giusto oltre il Canale della Giudecca, fu pugnalato a morte da Zorzi De Masi scrivano di nave per una questione di alcuni sacchi di carrube caricate a Cipro e vendute in Istria.  Dopo la sua morte, la moglie usufruttuaria di cospicue rendite e magazzini in Venezia regalò alle Monache della Santa Croce una preziosissima Reliquia di Santa Marina ... ma allo stesso tempo, il Patriarca Priuli che visitò il monastero condannò la passione smodata di alcune monache che stavano sempre a specchiare la propria immagine su certi specchi e vetri di lusso mancando di presenziare alle prediche. Ordinò perciò che fosse aperto nel Coro delle Monache una finestrella attraverso la quale il predicatore potesse contare le monache presenti.
Ma le Monache, figlie soprattutto dei Nobili Dal Molin, erano furbe … perciò si muovevano nel Coro dentro all’oscurità per cui dalla finestrella non si capiva niente.

La cosa non piacque al Patriarca, ma ancor meno piacque alla Serenissima:
“…non piace il governo temporale del monastero che è nelle mani di alcune scrivane, che sono in effetto già molti anni cioè le Molline, le quali senza consenso del Capitolo hanno affittato alcune case a suoi parenti per buon mercato ne si sa quello che pagano…”

All’inizio del 1600, Zuane di Mascheroni mercante analfabeta di vini, lasciò per testamento alle 130 Monache del Santa Croce della Giudecca, forse sue clienti, e alle Ospiti delle Convertite vicino a Sant’Eufemia, ben 12 barili di vino ciascuna precisando che la donazione era: “… per l’anima sua, et in remission de suoi peccati, dichiarando che a questi monasterii ghe sia datto buon vin…”

Il 18 agosto 1605 Viena Bianchi nominò proprie esecutrici testamentarie le monache di Santa Croce e Santa Giustina con i Procuratori di ciascun convento. Scriveva:“…Voglio esser sepulta dentro del monastero delle ditte Reverende Monache della Croce di Venezia vestita del suo habito et accompagnata dalle Monache Converse … alle quali Monache voglio siano datto ducati 5 per l’habito soperlirmi…”

Alla fine della sua Visita il Patriarca Vendramin nel 1611 commentò: “… le giovani monache del Santa Croce sono troppo gagliarde di cervello et poco obbedienti alla Badessa…”, mentre qualche anno dopola Badessa Suor Lucrezia Morosini supplicò di rimuovere  il Confessore delle Monache perché era: “… vecchio malsano e pelagroso, et malamente può soddisfare al debito suo…”Richiedeva che al suo posto fosse nominato un certo Prete Zorzi Polacco energico riformatore, e che fosse permesso a un Frate Francescano di visitare e offrire guida spirituale a una certa Suor Dionora che rifiutava di ricevere i Sacramenti cercando di suicidarsi.

Nel 1660 la rendita annuale dei beni immobili del monastero della Santa Croce della Giudecca, dove vivevano 110 Monache, assommava a 2.573 ducati sui quali pagava una tassa alla Serenissima di 9 lire, 19 soldi e 2 denari.

Nel 1700 le Monache erano ancora 130, e la rendita annuale dai beni immobili posseduti in Venezia era di 1.542 ducati sui quali pagava soldi 3 e denari 6 di tassa.
Il Monastero della Croce della Giudecca restaurato con la chiesa spendendo la somma di 425 ducati, era autorizzato dalla Serenissima a vendere medicinali e riceveva dal Governo gratuitamente la fornitura di un “burcio”d’acqua da bere … E il pozzo ? Che fine aveva fatto ? 
Le Monache fornirono la loro chiesa di un organo nuovo a 60 registri … e il Principe Elettore di poi Re di Polonia in visita a Venezia prese lezioni di caccia in valle da Gian Battista Minozzi sacrestano delle Monache di Santa Croce della Giudecca.

Ancora nell’aprile del 1782 il murer Michieletti Antonio rilasciò una scrittura di ricevuta per una demolizione fatta dentro al Monastero della Santa Croce alla Giudecca per una spesa di lire 482, mentre il murer Mazzon Giuseppe ne rilasciò un’altra per il pagamento di una demolizione costata lire 1.074.

All’inizio del 1800 Papa Pio VII visitò diverse volte il Monastero ricevendo in dono dalle Monache un Messale coperto d’argento, un libro che raccontava la vita di Sant’Eufemia, una stola ricamata in oro, e un “Rocchetto” finissimo da indossare cucito con asola d’oro e guarnito a merletto ... 

"Durante la Quaresima al Santa Croce della Giudecca si predicava quotidianamente il Quaresimale come in altre 37 chiese  di venezia … e il 3 maggio di ogni anno, Festa della Santa Croce si celebravano riti molto solenni con esposizione di tutte le preziosissime reliquie..."

“Poi fu la fine di tutto … e ogni cosa andò storta e a remengo …”scrisse in una sua lettera Suor Paola una delle ultime Monache residenti nel Santa Croce.

Nel luglio 1806 il Monastero della Croce della Giudecca venne soppresso e le 35 Monache Benedettine rimaste furono concentrate assieme a quelle di San Zaccaria. Lo Speziale Giampaolo Baldissera rivendicò presso il Magistrato un credito dalle Monache, ma “… Vista la condizione economica miserevole delle Monache, … s’invita lo Speziere creditore a soprassedere o a rivolgersi direttamente al Direttore del Pubblico Demanio che ha preso tutto e ogni risorsa in carico ...”

Infatti, il Perito Demaniale Pietro Edwards aveva elencato e requisito dal Monastero e Chiesa della Croce alla Giudecca a nome del Governo: 226 quadri, 51 sculture di cui 16 lignee e 8 teste di cherubini. Le numerose e preziose Reliquie vennero portate provvisoriamente a Palazzo Pisani Moretta, e si misero all’asta in diversi lotti 20 parapetti d’altare ceduti per lire 364 a Nicola Brazzoduro; un baldacchino ricamato in oro ceduto ad un Frate Fontanotto per lire 54, vari arredi venduti per lire 312 a un certo Prete Antonio Pappini fra cui si elencavano:“Careghe di noghera, un organo, Christi in avorio e molto altro …”

Infine, come sapete bene, chiesa e monastero divennero sede carceraria e dell’Archivio di Stato ... e in piccola parte magazzino per le carriole della spazzatura dell’AMAV.

“Sic transit gloria mundi !” concluse in fondo alla sua lettera sconsolata e malinconica la stessa Suor Paola rimasta senza il suo Monastero della Croce … Poco dopo fu anche cacciata da Monaca e costretta a dismettere l’abito, "... e relegata "liberamente" e di nuovo a lavorare i campi ed allevare galline presso i suoi parenti di campagna..."


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