“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 146.
“L'isola di Salina nella Laguna di Venezia.”
E’ una di quelle isole che a sentirne il nome anche i Veneziani autentici rimangono un po’ perplessi, e dicono: “Boh ? … Non saprei ... Sarà forse una delle antiche isole scomparse come Albiola, Gajada, Verni o Olivaria ... oppure …”
Salina è uno di quei posti sulla carta della Laguna di Venezia per i quali ti viene da dire: “Embè … Dunque … vediamo … Dov’è ?”
Solo chi la sa lunga e ha scannocchiato e frugato a lungo fra le carte e gli archivi sa raccontare e scrivere che Salina è stata ed è uno dei pezzetti che rimangono dell’antico e mitico arcipelago di Ammiana dietro a Torcello, verso Lio Piccolo, distante poche remate da Burano. Testi curiosi ci spiegano che proprio lì sorgeva in antico il Monastero dei Santi Felice e Fortunato di Ammiana…
“Cavolo !” esclameremo dopo aver letto un poco, “Quel posto non era mica un bugigattolo perso dentro alla Laguna !”
“Era, infatti, uno dei pezzi forti della Laguna Torcellana dei tempi andati.”
Il Monastero de Santi Felice e Fortunatoera uno dei più ricchi e prestigiosi della Laguna Settentrionale di Venezia: lì i Dogi Orso Badoer e Orso Partecipazio abbracciarono la Regola Benedettina e vennero sepolti come pure altri numerosi Dogi. La zona abitata probabilmente già dal 400 d.C., venne occupata nel 899 dai Monaci Benedettini del Monastero di Santo Stefano di Altino in fuga dagli Ungari. Vi fondarono un nuovo Conventino dedicato ai Santi Felice e Fortunato indipendente dall’autorità del Vescovo di Torcello, probabilmente con tre dipendenze sottoposte nelle vicinanze: San Marco di Ammiana, i Santi Sergio e Bacco, e i Santi Massimo e Marcellino di Costanziaco, e con un vasto patrimonio di possedimenti sia in Laguna che nel vicino agro Altinate.
Tutto compreso la stagione storica dell’isola e Monastero dei Santi Felice e Fortunato fu breve e facilmente riassumibile.
Nel 949 Pietro Longo donò al Monastero un allodio sulla Dolza con prati, campi, boschi, acque e diritti di pesca ed uccellagione in tutto il territorio fino all’acqua salsa della Laguna. Enrico V nel 1116 confermò all’Abazia Benedettina dei Santi Felice e Fortunato la stessa proprietà che comprendeva le isole di Fossato, Ronco e Zuello donate a Longo dal Doge Giovanni II Patriciaco ... Nel 1086 a Musestre Rachinbaldo di Collalto Conte di Treviso confermò allo stesso Monastero la donazione anche della Selva di Paliaga fatta da sua madre all’Abate … Nel luglio 1131 Domenico Valiari Pievano del vicino San Lorenzo di Ammiana alla presenza del Doge Pietro Polani confermò ad Arnaldo Abate dei Santi Felice e Fortunato la proprietà anche delle terre ed acque dette Senegie nonchè dei “Piscis Capti sul Sile”… Sette anni dopo due fratelli cedettero per 40 soldi veronesi allo stesso Monastero la decima prediale sulla terra che stava “… non longe ab aeclesiae Beati Stephani di Altino” … A fine secolo la Badessa Engelmota di San Lorenzo di Ammianafinì a processo contro Leonardo Abate dei Santi Felice e Fortunatoper il possesso di alcuni beni siti sul Lido Bovense e sul Lido Bianco, mentre Innocenzo III pose sotto la sua protezione lo stesso Monastero confermandogli i beni che possedeva: “… nei Lidi e nelle lagune, in Altino, in Istria, a Costantinopoli a Rodi ed in Asia Minore e soprattutto a Venezia dove donò la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo per costruirvi accanto un nuovo Monastero dove andò a risiedere buona parte dei Monaci dell’isola lagunare”.
Sarebbero parecchi da citare i documenti e le donazioni effettuate ai Santi Felice e Fortunato soprattutto attraverso lasciti testamentari ... Nel gennaio 1241 a Rialto: il Ministeriale Pietro da Sacco attestò dinanzi al Doge Giacomo Tiepolo e ai Giudici dell’Executor, che Luca Barbani dal Confinio di San Giovanni Evangelista di Torcello, Procuratore di Bartolomeo Abate dei Santi Felice e Fortunato reclamò contro l’investizione conferita a Altichiera vedova di Ottone Vidoso da Costanziaco di una terra sita a Costanziaco confinante con la palude del Vescovo di Torcello, il Canale di Costanziaco e due rii... Nello stesso anno, lo stesso Abate Bartolomeo col Priore Marco Querini e altri cinque monaci, col consenso di Stefano Vescovo di Torcello, vendettero per lire 50 di Denari Veneti ad Umiltà Badessa di San Maffio di Costanziacouna vigna nella stessa isola, confinante col Rio, con la terra dei Santi Sergio e Bacco, con un’altra vigna di San Maffio e le proprietà dei Nobili Dandolo.
Nel 1247 Giovanni Cappello e Nicolò Zanedella Contrada di Santa Maria Materdomini e Donato Fradeletto della Contrada di Santa Margherita iniziarono ad utilizzare l’acqua del Sucaleoconfinante con la Seneza costruendovi argini e sistemandovi dei mulini. Chiesero perciò alla Badessa Giacomina del già soppresso Monastero di San Lorenzo di Ammiana e a Marco Querini Priore dei Santi Felice e Fortunato d’affittare posti e acque iniziando l’attività del più grande aquimolo della Laguna che utilizzava il Sile per il trasporto di granaglie e farine. La zona diverrà la Valle di Ca’ Zane.
Verso la fine del 1200 dopo un lungo contenzioso fra lo stesso Monastero dei Santi Felice e Fortunato col vicino San Lorenzo di Ammiana per “… una petia de terra vinea posta in Littore Albo (ossia Lio Piccolo)”, Gregorio X fece chiudere il Monastero per la prima volta motivandone l’atto con la poca cultura e l’incapacità gestionale del suo Abate. I quattro Monaci più l’Abate rimasti si trasferirono nel Convento dei Santi Filippo e Giacomo di Venezia, e le proprietà con le relative rendite finirono in mano ai Nobili Cappello e Zane. Quella finalizzazione di beni però non piacque molto alla stessa Sede Romana che perciò fece riaprire il Monastero cadente mantenendolo attivo ancora per due secoli.
Ancora nel 1391 il Senatoprovvide a un ballottaggio per assegnare lo stesso Beneficio dei Santi Felice e Fortunato di Ammiana rimasto vacante. Fra i canditi ad assumerlo c’era anche l’Abate di San Leonardo di Malamocco… A cavallo fra la fine del 1300 e i primi anni del 1400, l’isola col suo patrimonio era ancora amministrata da Fra Geronimus Betanio Abate del Monastero dei Santi Gregorio e Ilario di Veneziache aspirava anche a gestire il titolo Abbaziale e le rendite significative di Santa Maria in Sanavalle di Follina. Gli faceva concorrenza in quella caccia ai Benefici il Cardinale di Firenze, ma la Serenissima pensò bene di appoggiare e sostenere il suo Monaco Veneziano.
Inutilmente verso il 1419 Pietro Nani Vescovo di Torcello cercò in estremis di valorizzare in qualche modo l’isola ormai abbandonata per le condizioni ambientali averse dagli ultimi abitanti e dall’ultimo Abate Luca. I pochi Monaci dei Santi Felice e Fortunato si erano già trasferiti a Venezia in Contrada dei Santi Filippo e Giacomo poco distante dalla famosa Piazza San Marco. Nell'isola tutto andò presto spogliato e demolito ... Nell’aprile 1455 un decreto del Senato destinò i marmi dei Santi Felice e Fortunato alla Basilica di San Marco di Venezia… dieci anni dopo, l’Abate dello stesso Monastero residente però a Venezia era ancora proprietario di alcuni boschi e paludi in Paliaga di Mestre di cui si curava scarsamente ... Nel 1472 su richiesta del Doge Nicolò Tron giunse la soppressione ufficiale da parte di Sisto IV sia del titolo Abaziale Lagunare che del Monastero Veneziano presente in Contrada di San Filippo e Giacomo dov’era rimasto un solo Monaco-Abate. Le poche rendite rimaste ad Altino, sul Sile, a Casale, nel Trevisano, a Lio Piccolo e nel borgo-valle Paleazza vennero affidate alla Basilica di San Marco che le affittò ai Nobili Morosini ... Nel 1555: il tristo destino di quell’area lagunare era ormai compiuto: del Monastero dell’isola rimaneva solo la torre campanaria rovinata che rimase per secoli issata e impiantata in mezzo alla Laguna a ricordo di quella presenza andata cancellata.
Solo nel 1842 l’isola ebbe un “nuovo risveglio” tramite il Cavaliere Carlo Astruc da Montpellier, che ottenne in concessione la Motta di San Felice di 690 ettari di superficie abbandonata da secoli sul Canale di San Felice e Canale del Bussolaro(nome di un antico Vescovo di Torcello padrone di quelle acque), di fronte alla Palude Maggiore fra Treporti e Burano … La zona venne considerata favorevole per il commercio perché: “collegata facilmente sia coi Magazzini del Sal di Venezia distante solo 15 miglia, che col mare aperto e l’Oltremare.”
Il Cavaliere Astruc a sua volta fece un accordo per 50 anni con la ditta Pietro Brambilla per produrre sale bianco granito marino a iato di tipo siciliano in una serie di bacini posti a varie quote della Laguna circondati da dighe e chiuse.
Nel dicembre 1845 divenne nuovo concessionario del sito il Barone Salomone di Rotchild che s’impegnò in un lungo contenzioso con l’Erario di Venezia circa l’esatta estensione della concezione. L'impianto per la produzione di sale venne completato solo nel 1857 seguendo un progetto formulato da Antoine Balard: “L’acqua filtrerà in discesa dalle vasche esterne delle acque verdi a quelle interne concentrandosi il sale fino ad un bacino detto “Pezza Maestra” nel livello più basso della salina. Da qui le acque verranno pompate verso i “Bacini Salanti o Cavedini” dove accade la cristallizzazione del sale ... Esisteranno inoltre altri 12 bacini per la Salamoia al riparo dalla pioggia per la stagione invernale ... e dalle acque reflue non riciclabili si potranno ottenere solfati di soda, magnesio e potassio ...”
Nell’isola si realizzò anche un edificio centrale “a forma palladiana” per ospitare una Caserma della Guardia di Finanzache preveniva i furti di sale, si realizzarono inoltre delle barchesse laterali con 300 posti letto in doppia fila per alloggiare i lavoranti stagionali, una casetta per il Direttore con scala esterna, una casa del Controllore, e un’area con Sala Macchine con motori a vapore, cisterne, caldaie e ciminiera collocati a mezzo km dagli altri edifici. Il raccolto del sale si sarebbe conservato sotto tettoie in canna fino a quando sarebbe stato trasportato ai Magazzini-Emporio della Punta del Sale alla Salute a Venezia.
Durante i lavori di livellamento dell’isola riemersero le fondazioni medioevali dell'antica Pieve-Abbazia Monastica dei Santi Felice e Fortunato di cui si realizzò un rilievo. La generica planimetria mostrava forse un chiostro, un’abside circolare, dei cortili, e forse i resti di quello che era stato un antico tempietto dedicato al Dio Felice da cui forse l’isola aveva preso il nome.
Nicolò Erizzonel 1854 descriveva così l’isola di Salina nella Gazzetta Ufficiale di Venezia: “… chi si dirige a quella volta per vistare la salina scorge da lungi innalzarsi a fior d’acqua un novello paesetto…non appena il visitator vi approda si trova immerso in un movimento inatteso ad una attività la più operosa … ei riscontra un andirivieni di operai, di doganieri, di artisti, un risuonare di incudini, uno strisciare di pialle e di seghe ed il mormorio di ruscelli, il cupo romor delle macchine per cui sembragli essere nel popoloso sobborgo di una città commerciale piuttosto che in un’isola circondata da acqua …”
Nel giugno 1862 nell’isola dove c’erano diversi “Letti preparatori acquei per l’evaporazione, diversi Riparti per prima e seconda saturazione, e 67 tavole di cristallizzazione”, funzionava una Ruota idrofora a vapore, c’erano abitazioni e depositi d’attrezzi, e si benedì una Cappella dedicata a Santa Maria che venne in seguito ampliata per dar modo ai lavoratori di partecipare alle liturgie festive senza doversi recare per forza fino a Torcello o Burano. L’attività della Salina era coordinata da: un Direttore, da un Controllore, un Assistente, due Commessi e due Capisalinari.
Nel 1863 nella Salina di San Felice si giunse a un’entusiastica produzione di sale di 125.000 quintali venduti a 2,12 lire ciascuno. Il complesso insulare gestito da due funzionari aiutati da un impiegato dava lavoro a tre macchinisti che facevano funzionare due motori eolici, a 34-50 operai salinari che lavoravano da aprile a fine ottobre, e a 800 stagionali da Burano, Mazzorbo e Torcello che venivano assunti al momento della raccolta annuale del sale. Fra gli stagionali si assumevano anche una decina di donne e una quindicina di ragazzini-fanciulli a volte con età inferiore ai 14 anni.
Tre anni dopo la Salina ebbe una produzione di 94 quintali di sale che venne dato all’Erario dello Stato per lire 2,12 al quintale. Il Sale Macinato-Raffinato dallo stesso Stato si acquistava poi a 64,50 lire al quintale, e si rivendeva negli spacci a 66 lire al quintale, mentre il Sale Comune costava 55 lire. In quella circostanza in Laguna e a Venezia ci fu un enorme calo dell’uso del sale comune perché il prezzo veniva considerato troppo elevato.
Nel 1869 quando il Legale Rappresentante della Salina era Carlo Wirtz, gli operai fissi percepivano una media di 2-3 lire d’estate e 1,75 lire d’inverno, quelli avventizi stagionali percepivano 2,55 lire, altri che lavoravano “a cottimo” arrivavano a guadagnare 3-5 lire, mentre “i fanciulli” percepivano: da 50 centesimi a 1 lira al giorno.
Negli anni seguenti la produzione del sale fu altalenante alternando anni di magra (11.988 quintali nel 1877 e 15.811 nel 1889) ad altri di significativa produzione (133.000 e 150.000 quintali nel 1865 e nel 1895). Secondo contratto la salina avrebbe dovuto fornire annualmente al governo: 150.000 quintali di sale, ma riuscì solo in due occasioni a raggiungere quella quota produttiva prevista.
Nel 1880 Salina toccò forse l’apice storico della sua produttività. L’Ingegnere Bermani già Direttore Generale delle Gabelle dello Stato presentò un progetto d’espansione dell’isola di Salina incappando però nell’accanita resistenza sia dei pescatori Buranelli, che dei coltivatori di Mitili della zona, del Genio Civile, del Ministero della Guerra, della Prefettura e del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ... Nessuno voleva saperne insomma di quel nuovo ingrandimento.
Nel 1884 i vecchi motori eolici venne sostituiti con dei nuovi motori a vapore “a 4 timpani e 2 caldaie”che passarono “a 4 caldaie” nel 1891. Nell’ultimo anno del secolo le caldaie a vapore erano 3 con 2 timpani e 1 turbina, e la Cooperativa fra i Pescatori di Burano presentò una petizione alla Camera dei Deputati chiedendo il mantenimento in attività della Salina di San Felice presente nel Comprensorio di Burano.
Nel gennaio 1903, quando i Bastazi al Saldi San Felice (addetti al trasporto del sale dell’isola che si tramandavano il mestiere di padre in figlio, e presenziavano alla Festa del Redentore col proprio gonfalone) si consociarono nella Cooperativa dei Salineri, sul Giornale di Venezia si potè leggere la notizia: “ Malcontento a Burano … Produce malcontento una disposizione data dalla Direzione della Salina di San Felice presso Burano che soleva impiegare nei mesi di Gennaio e Febbraio un centinaio di Buranelli la qual cosa rimediava in parte alle tristi condizioni nelle quali giaceva pescatori e sandolisti, che in questa stagione difficilmente riescono a guadagnarsi da vivere, perché quest’anno si è chiamato gente da fuori spendendo di più dovendo per questo provvedere all’alloggio di questo personale provvisorio ? Burano sarebbe grata al Direttore che è pure Consigliere Comunale, se volesse prendere a cuore la cosa e far che l’anno venturo non abbia a rinnovarsi questo giustificato malcontento …”
L’anno precedente s’era scoperto un “gonfiamento”dei casi dei pellagrosi da parte di Medici compiacenti per ottenere il sale gratuito dall’apposito Ufficiale di Stato. Il sale veniva barattato con altri generi alimentari, tabacchi e sigari, o rivenduto a prezzo inferiore. Si denunciavano come pellagrosi bambini, vecchi e adulti perfettamente in salute e in grado di lavorare, e alcuni “beneficiati di legge” compravano generi alimentari nelle botteghe di qualche salumiere di Burano dando in cambio il sale gratuito di Stato.
In quegli stessi anni Antonio Furlani(1875) di Domenico e Chiara Ferrer faceva il Saliniere nell’isola di Salina presso Burano con Domenico Giuseppe Vio(1872) di Attilio e Filomena Doni, e Giuseppe Luigi Vio(1872) di Antonio e Regina Rossi detti entrambi: “Zenèvre”. Con costoro lavorava anche Amedeo Giovanni Pagnìn(1881)di Daniele che era “Salinàro” come Angelo Furlanetto(1880) di Antonio e Marianna Corazza nata a Fossalta nel Distretto di San Donà di Piave, e Giovanni Giuseppe Furlanetto detto: “Tacchètto” (1880) di Pietro Giuseppe e Giuditta Enzo anche lui da Fossalta di Piave, che erano entrambi: Fuochisti della Salina.
Nel 1907 si ritornò a utilizzare 2 caldaie a vapore associate e due motori a vento, e alla fine dello stesso anno si definì che dopo la morte di Astruc e la gestione Rothscheld la Salina sarebbe passata in proprietà e gestione diretta dello Stato. In realtà, invece, la salina di 780 ettari venne demolita poco dopo per assicurare il pieno ripristino del Porto del Lido (?).
La Salina Rothscheld nella Laguna di Venezia sopravvisse fino al 1913, e fu l'ultimo complesso autorizzato a produrre sale nella Laguna di Venezia. Si trattò del capolinea di tutta una tradizione salinara Veneziana plurisecolare che interessò l’intera Laguna di Venezia.
Nel lontano VI secolo Cassiodoro scriveva: “… gli abitanti (della Laguna di Venezia) hanno una risorsa, la grande abbondanza di pesce … Il loro lavoro consiste nello sfruttare le saline: invece di aratri e di falci, manovrano dei cilindri. Dalle saline traggono i loro raccolti, grazie alle saline possiedono ciò che non producono. La moneta che vi si batte è alimentare, in verità. La marea collabora alla loro arte. Si può fare a meno di cercare l'oro, ma non c'è nessuno che non desideri trovare il sale, e giustamente, poiché è a esso che, in questi luoghi, si deve il nutrimento ...”
Inizialmente non esisteva disponibilità naturale di sale in Laguna, Venezia dovette inventarselo. L’economia del sale probabilmente fu uno dei primi input commerciali della Serenissima, e uno dei primi strumenti utili per iniziare gli scambi con la Terraferma. Quasi 500 documenti antichi rogati soprattutto nei Monasteri e Vescovadi Lagunari, a Rialto e Chioggia attestano di un progressivo lavorio salinaro accaduto nella Laguna di Venezia fin da prima dell’anno 1000.
Il Monastero di San Giorgio Maggiorepossedeva 90 saline e diversi “salaria” dove immagazzinava sale, il Priore di San Cipriano di Murano riceveva il censo di 113 saline, il potente Monastero femminile di San Zaccaria ne possedeva altre, così come San Michele Arcangelo di Brondolo a Chioggia. Nel Medioevo si contavano più di 120 “fondamenti” che producevano sale in Laguna conalti e bassi produttivi. Ce ne furono diversi ad Equilio(Jesolo), Lio Maggiore, Murano, Pellestrina, Sant’Erasmo, Malamocco, Chioggia Maggiore e Minore, Fogolana, e forse a Torcello… così come nella Laguna Nord tra Ammiana e Costanziaco dove esistenza l'area di Septem Salaria, e dove anche il Monastero dei Santi Felice e Fortunato possedeva “fondamenti di sale”.
Nella stessa Venezia esistevano saline nel Sestiere diCastello dove c’era un “fondamento” fra il Rio dell'Arsenal e il Rio di Castello, nel Sestiere di Dorsoduro non distante dal Canale della Giudecca, nell’area acquitrinosa del Luprio del Sestiere di Santa Croce, e nel Sestiere di Cannaregio sul canale che raggiungeva l'isola di San Secondo.
Intorno al 1000 il Doge Pietro Orseolo concludeva due distinti trattati commerciali con i Vescovi di Treviso e di Ceneda che gli garantivano la franchigia dalle tasse per 300 moggia del suo sale personale esportato a Treviso, e per altre 20 moggia vendute a Ceneda ... Dal secolo successivo diverse prestigiose famiglie Nobili Veneziane come i Michiel, Morosini, Foscari,Falier, Contarini, Flebanico,Polani, Ziani, Orseolo, Da Molin e Gradenigoiniziarono a interessarsi alla produzione e alla commercializzazione del sale che veniva impegnato su tutto il mercato Veneto-Padano.
Fra il 1978 e il 1998 le ultime famiglie di contadini e pescatori abbandonarono l’isola di Salina, le arginature dell’isola scomparvero, e sono rimasti solo resti di case con un cortivo e una piccola sorgente di gas naturale … Solo di recente l’isola e le aree perilagunari sono state recuperate e destinate all’itticoltura, all’orticoltura e all’agriturismo ecologico-naturalistico dall’atmosfera un po’ artefatta e fasulla: “… nutrita è la presenza del pesce in questa zona lagunare: branzini, orate e anguille … Si coltivano ortaggi come i carciofi, alberi da frutto: albicocchi, prugni, peri, peschi, ciliegi, fichi e meli seguendo i metodi dell’agricoltura biologica … Oltre tre ettari di suolo salmastro sono stati “videgati” scegliendo vitigni pregiati di Chardonnay, Merlot e Cabernet ... E’ un luogo delizioso in fondo alla Laguna sul Canale di San Felice che pesca 8 metri d’acqua di profondità … Ci sono due camere a disposizione, per trovare pace e ristoro dell’Anima …”
Le zone più basse di quel che è stata l’isola di Salina sono ora coperte da erbe selvatiche palustri e vengono spesso invase dall’acqua alta della marea. Uccelli lacustri e Zanzare grandi come punte di trapano fanno da padroni insieme a silenzi pesanti come quelli di un cimitero … Il luogo però rimane arcano e denso di Storia che ogni tanto riesce a traboccare e riaffiorare come ritrovamento prezioso.