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“Due Fiolèri di Santo Stefano de Muran del 1300.”

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“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 187.

“Due Fiolèri di Santo Stefano de Muran del 1300.”

Oggi portandovi in Fondamenta dei Vetrai o di San Giovanni dei Battuti, o andando per Viale Bressagio, o in Riva Longa a Murano, o ancora andando in Rio Terà San Salvador, in Via San Mattia o in Ramo della Pescheria, in Calle del Paradiso piuttosto che in Calle delle Conterie, in Calle Marco o Quirizio da Murano, e in Calle San Giuseppe, in quella del Cristo, di San Cipriano o in quella “drio gli Orti”, “dell’Artigiano”, “del Convento o del Cimitero”… o se proprio vorrete spingervi fino al “fondo”di Murano in Sacca Serenella, conterete ancora quasi 130 nomi fra Aziende, Società Vetrarie, Botteghe Artigianali antiche o nate solo da qualche decennio. Diverse le vedrete sorte su siti e Fondamente e Calli di Murano che portano ancora oggi i nomi delle illustri famiglie Nobili Muranesi: Venier, Manin, Navagero, Colleoni, Radi, Santi, Da Mula, Miotti, Bigaglia, Vivarini o Baroviero… e tutte affermeranno di vendere Vetri d’Arte al dettaglio o all’ingrosso, essendo: Vetrerie, Fornaci, Cristallerie, Bigiotterie e produttrici di Murrine e Lampadari quasi tutti fatti a mano e secondo le antiche tradizioni vetrarie originali Muranesi.

Tutto vero ? … Vetro vero ? … Vero vetro ? … Chissà ?

“Bisogna vèdar ed “bollin” … informàrse ben, e aver un certo òcio …”mi ha detto qualche giorno fa un carpentiere che ha lavorato “per una vita intera” nell’isola di Murano.
“Murano non è più l’Isola del Vetro di una volta,” mi ha raccontato ancora, “Le è rimasto soltanto il nome e la fama, perché adesso la “Cittadella del Vetro” è morta e sepolta: è solo un fantasma di quel che è stata … Non è più quella che fino alla nostra infanzia dava ancora lavoro con le sue fornaci, vetrerie e  conterie a tanti uomini e donne Veneziani, Muranesi e Buranelli … Adesso è rimasto solo lo scheletro di quel che è stata per secoli: sono rimaste solo sei-sette nomi attivi per davvero … Il resto sono solo “mostre”, perché le attività vere sono state trasportate fuori, altrove nelle Terraferma … Io lo so bene, perché per anni e anni ho provveduto alla costruzione e riparazione di tante fornaci e fabbriche … Ne ho viste nascere, crescere, deperire e tramontare più di qualcuna … Ho partecipato a costruirle, ne ho fatto i tetti e le vasche … Poi, un po’ per le spese di gestione, un po’ per le leggi Europee che vogliono certi parametri contro l’inquinamento e per la sicurezza, è convenuto praticamente a tutti andare a mettere in piedi un bel capannone moderno in mezzo ai campi della Terraferma lasciando morire o agonizzare i vecchi posti di un tempo dove si è fatto il vetro per i secoli dei secoli.”

“Murano però è rimasto ancora famoso per il Vetro e le sue fornaci ... Vengono da tutto il mondo per vederle, e per osservare curiosi come si fa il Vetro … e anche per comprarlo.”

“Sì … E’ rimasto lo spettacolo del Vetro: c’è almeno una decina di posti in cui si fa vedere a pagamento come il Vetro viene fatto, e ci sono le esposizioni scintillanti per i turisti ... Ma non ci sono più i vetrai all’opera come un tempo: l’attività lavorativa del Vetro a Murano è ormai morta e sepolta da un bel pezzo.”

“Ho sentito, infatti, che costa cinque-sei euro entrare a vedere come s’inventa il Vetro.”

“Sì … E’ come ti dicevo: è rimasto solo lo spettacolo … Murano è un cinema-teatro del Vetro ... ma le Maestranze non ci sono più.”

“I Fioleri ?”

“Chi ?”

“I Mastri Vetrai di un tempo … I Verièri … Li chiamavano anche: Fiolèri.”

“Ah si ? … Mai sentìo … Gho sempre sentio parlar de Bocche da Forno, Vetrai da Conterie, da Specchi e tutto el resto … ma sto nome no o gho mai sentìo.”

“Eppure è stato quello il nome con cui i Vetrai Muranesi hanno fatto la Storia ... Una Storia millenaria, se non di più … Ho sentito dire di famiglie storiche di Vetrai che per secoli si sono battagliate e fatte concorrenza in isola per poi andare a vendere vetro in tutta l’Europa, e perfino in Cina e anche in America … in tutto il mondo, insomma …”

“Adesso il Vetro lo comprano solo i ricchi possidenti Russi o Mediorientali … Qualche Australiano o Amaricano ricco … quelli delle armi o del petrolio ... Il Vetro è un prodotto di nicchia e di valore, un’opera unica e firmata … Vale quasi quanto l’oro.”

“Murano nei secoli passati era piena d’attività e di famiglie di Fioleri …”

“I Verièri … i Vetrai.”


“Sì … Ho letto che nel maggio 1224 il Doge e il Minor Consiglio hanno imposto il bando a 30 Fiolèri rei di aver violato gli obblighi assunti giurando sul Capitolare dell’Arte rivelando i segreti del mestiere ... Fra quei Fiolàri c’erano: Leonardus frater de Viviano de Peraga, Gracianus de Galera e Iohannes de Vigonca … In seguito però vennero perdonati e riammessi in Laguna …”

“Certe cose le so anch’io … So che si distinguevano fra Verieri, Specièri e  Stazionieri, che erano quelli che di mestiere provvedevano a distribuire e vendere in giro gli oggetti di vetro … I Verieri Suppialume e i Perlèri stavano nell’isola di Murano dove avevano la loro Schola d’Arte e Mestiere di San Nicolò dei Verieri in Contrada di Santo Stefano de Muran.”

“Esatto: almeno fin dal 1255, giusto giù del ponte davanti alla chiesa di San Pietro dei potenti Padri Domenicani rimasta in piedi ancora oggi … L’Arte dei Specchieri, invece, stava a Venezia, a parte … e provvedeva alla “spianadùra e lustradùra” delle lastre di vetro dando lavoro indotto anche a Battiloro, Indoradori e Corniciai … Fatalità, ho letto proprio in questi giorni di due Fiolèri di Santo Stefano de Muran del 1300: uno fortunato … e uno parecchio sfortunato …”

“Do Verieri antichissimi !”

“Già … Ho letto un paio di quei documenti curiosi che sembrano essere forse qualche decina in tutto ... Sono come dei “lampi” dal Passato, dei scenari originalissimi, dei “Colpi di vita” che raccontano dei Vetrai e dei Muranesi di ieri … Il Fiolèro-Vetraio Muranese di ieri “fortunato, cioè benestante” era Guglielmo Deolài (Dio l’aiuti) detto “da li Verisèli”, che nel maggio del 1325 fece chiamare presso di se Marco Arpo Prete Notaio di Santo Stefano di Murano e suo Piovano per redigere col suo aiuto il proprio testamento ... Qualche anno prima Giovanni Deolài figlio di Guglielmo l’aveva lasciato in isola a Murano trasferendosi a Venezia in Contrada di Santi Apostoli, dove aveva aperto per conto proprio una nuova fornace “de verisèi e vetri colorati per finestre” (gemme di vetro) poco distante dalla chiesa di Santa Maria dei Crosichièri (Gesuiti delle Fondamente Nove) ... Guglielmo Deolài era “un nome”, ed era già conosciuto negli ambienti della Podesteria di Murano perché in precedenza era già stato convocato negli ambienti del Consiglio della Comunità dell’Isola per rendere conto di una partita di Allume di Siria che non aveva pagato … Anche lo stesso Prete Notaio Arpo era dell’ambiente dei Vetrai Muranesi, perché pure la sua famiglia era quasi tutta di Fioleri e proprietari di fornaci.

Guglielmo, insomma, dichiarò di proprio pugno di ritrovarvi infermo a casa sua nella Contrada di Santo Stefano di Murano: zona di riferimento e di concentrazione della maggior parte dei Fiolèri Muranesi … Disse e scrisse: d’essere vigile e sano di mente, cioè in pieno possesso delle sue facoltà, e per prima cosa nominò propri Esecutori e Commissari testamentari i figli Zane e Leonardo insieme a Donna Viola sua moglie ... Poi per seconda cosa ordinò di compiere “dòe caritade” (due distribuzioni di viveri: pan, vin e carne ai poveri della Contrada), e per terza dettò che intendeva lasciare alle figlie Cecilia, Donata e Tomasina 5 soldi di grossi ciascuna, ribadendo che se fossero rimaste vedove senza possedere casa propria avrebbero sempre potuto trovare ospitalità in casa sua “vita natural durante”... Per quarta cosa lasciò 3 soldi di piccoli ciascuno ai figli e alle figlie della sua figlia Caterina che fu moglie di Mafio Placito, cioè a: Donato, Benedetto, Margherita e Bartolomea; così come lasciò ai figli e alle figlie di Donata: Antonia, Beatrice e Maddalena altri 5 soldi grossi ciascuna in caso si fossero maritate ... Come quinta cosa decise ancora di lasciare a Pierina, figlia di sua figlia Tomasina e a Francesco suoi nipoti: 5 soldi grossi da corrisponderle quando si fosse maritata.

E ancora come sesta cosa, scrisse di lasciare “per l’Anima mia” alla chiesa di Santo Stefano di Murano: 10 grossi per far confezionare una “stricta” (stola, càsula, pianeta da Messa ?) e una dalmatica da far indossare ai Preti tenuti a pregare per lui ... Inoltre donò alla chiesa di Santa Maria di Murano altri 5 grossi per far ricostruire il serramento di una finestra nel Corpo di Cristo (la Cappella del Santissimo)… Lasciò alla sua “Schola dei Fioleri de Muràn”: 10 soldi di piccoli per sovvenire ai poveri infermi secondo come sarà sembrato giusto ai suoi Commissari … Lasciò alla Congregazione dei Preti di Murano: 2 grossi per essere ricordato fra i suoi benefattori … Altri 12 grossi alla Congregazione di San Luca di Venezia … sempre “per l’Anima mia”, e a tutte le Congregazioni di Venezia altri 20 soldi di piccoli per essere sempre ricordato ed essere partecipe dei loro “Benefici Spirituali” … Altre “due carità” dovevano inoltre andare agli ammalati di San Lazzaro … e lasciò da celebrare in Murano: mille Messe “per l’Anema mia” (mille ! … Cavolo ! … Non erano mica poche: un piccolo capitale)“distribuite secondo come sembrerà ai miei Commissari … Si debbano poi ancora far celebrare altre due Messe ai Frati Minori, e altre 100 agli Eremitani di Santo Stefano di Venezia … Altre 200 Messe, sempre “per l’Anema mia”, debbano essere celebrate in San Mattia di Murano.” […] Lascio ancora alle figlie di mio figlio Leonardo: 10 soldi di grossi ciascuna, e 5 a suo figlio … ai figli di Zane: 10 soldi per ciascuno … e agli stessi miei figli lascio la mia casa posta in Contrada di Santo Stefano di Murano (spartendola nelle parti e camere dalla parte della fornace e della calchèra (fossa della calce), e confinante da una parte con la casa vuota che fu di Cà Traenanti data in gestione ai Procuratori di San Marco, e dall’altra con la casa di Thomadello Balestra e fratelli … col Rio comune di Santo Stefano dove c’è l’entrata ensida, mentre dall’altra parte c’è la palude e il Lago di San Cipriano di Murano dove sta l’entrata “en caglasòn” ... Lascio la casa a condizione di non venderla, né d’impegnarla, né di donarla, e di lasciarla di erede in erede alla famiglia. Se non si saranno eredi, verrà allora affittata spartendo il ricavato in tre parti: una per restaurare le chiese di Murano, cioè: Santa Maria, Santo Stefano, San Salvador, San Martin, San Matia e San Mafio ... La seconda parte sia spartita allo stesso modo con i Preti Secolari delle stesse chiese perché possano sempre “commemorare e rendere partecipi dei suoi Benefici Spirituali, sia me che quelli di casa mia” … La terza parte, infine, dovrà essere data ai poveri bisognosi della Contrada di santo Stefano di Murano perché preghino anch’essi sempre “per l’Anema mia et de li miei” … e morti che siano i miei Commissari, voglio che siano miei Procuratori i Preti di Santo Stefano e Santa Maria … Lascio ancora a mio figlio Zane la mia terra  vacua che possiedo in Cà Marisusto (o Marigiusto) in Contrada di Santa Maria di Murano alla condizione che lui debba pagare e soddisfare tutto quanto ho ordinato in questo mio testamento, e debba trovare un Prete disposto a celebrare le Messe che ho detto ... e che doni a Santo Stefano di Murano un doppiere da 6 libbre ogni anno per 3 anni per illuminare “lo Corpo dei Cristo” e far carità come sembrerà meglio a loro … Lascio a mio figlio Leonardo la mia acqua (peschiva)  “de chavo de Rio” che possiedo in compagnia con Thomadello e fratelli … Voglio e ordino ancora che se mia moglie vuole rimanere in questa casa debba avere sempre ospitalità e mantenimento fino a un anno … Voglio e ordino che dopo la mia morte i miei figli Zane e Leonardo spartiscano fra loro pacificamente, e che quanto rimane della dote di mia moglie sia dato a Leonardo senza che Zane recrimini niente …Voglio che tutto ciò sia scritto secondo gli Statuti e gli Ordini di Venezia, e che qualora non fosse così sia modificato fino ad essere coerente con essi … Che queste mie volontà siano perpetue … e che chiunque osi infrangerle e cambiarle incorra nell’ira di Dio Onnipotente …”

Sul documento seguono le firme dell’interessato e dei testimoni: Prete Nicola di Santa Maria di Murano e Marco Pitato Prete di Santo Stefano di Murano.

Ve lo immaginate quell’uomo ? … Quel Vetraio o Fiolèro “Fortunato” ?… Chissà quale volto avrà avuto … e quale Storia avrà vissuto fino a mettere insieme quella fortuna fondata sul Vetro ?


La seconda storia, invece, quella del “Fiolèro Sfortunato”, è accaduta in precedenza … precisamente nella primavera del 1291.E’ la vicenda di un altro Fiolario che ha lavorato tutta la vita intorno al Vetro e sempre a Murano: tale Negro… morto: “desordinatus”, cioè in miseria, e lasciando in giro crediti e debiti da sistemare. Toccò al Notaio Antonio della Curia del Podestà di Murano Marco Zeno porre rimedio a tutta la faccenda ricevendo e sottoscrivendo la lista dei nomi verso i quali Negro era debitore, e soprattutto le cifre pretese da ciascuno: “qui debent recipere a Nigro Fiolario”.

La lunga lista racconta che si presentarono ad esigere quanto loro spettava: Dominus Andrea Pentolo del Confinio di San Giovanni in Bragora di Venezia che avanzava 12 denari di grossi; poi fu la volta di Stefano che dichiarò di avanzare: 5 denari di grossi e altri 3 per aver lavorato tre mesi e diciotto giorni in una fornace di Murano per lo stesso Negro ...Fu poi la volta di presentarsi davanti al Notaio del Fiolario Jacobus Longovardo che dichiarò di avanzare da Negro: quattordici libbre di denari grossi e ventotto di piccoli per un affare che aveva intrapreso con Jacobo Ferro insieme allo stesso Negro.

Dopo comparve ancora: Armelina vedova di Bertaldo, che affermò di avanzare dal solito Negro altri nove denari grossi … e venne: Margherita Donna Greca, che dichiarò di aver consegnato a Negro un barile da mezzo bigoncio, e un altro da una quarta, e due denari di grossi.

Comparve: Giovanni di Paganoto del Confinio di San Mafio di Murano dicendo che Negro gli doveva restituire dodici denari di grossi che gli aveva prestato … e: Giacomo Costantini della Contrada di San Canciano di Venezia, che avanzava venticinque soldi di piccoli … Tiziano “bancharo” di Santa Maria Formosadisse che Negro gli doveva dare 53 grossi … Giovanni (Rubeus) Rossi, Leonardo Celegino e Zanino Bisogno dissero insieme che Negro doveva loro: 7 solidi e 3 grossi per del legname che gli avevano venduto … Si presentò ancora il figlio del defunto Martino Choa per esigere 8 denari di piccoli in quanto era stato a lavorare nella fornace di Negro … e Gerardoche affermava d’avanzare 18 grossi …

Infine, viceversa e come unico caso, il Notaio Antonio ricevette da un Fiolario Padovano: 14 denari di piccoli che Negro avanzava da lui.

Una riga tirata in seguito sopra ciascun nome della lista farebbe pensare che ciascuno dei citati sia stato depennato al tempo del relativo pagamento della somma che gli spettava … Sembra anche d’intravvedere una dizione scritta riconoscibile come: “date” accanto alle singole cifre elencate.

Tutto saldato e sistemato ? … Forse ? … Chissà ?

In ogni caso, alla fine del documento si è scritto ancora che si è provveduto a vendere al miglior offerente i beni ch’erano stati di proprietà del Morto, e col ricavato si è pagato anche l’affitto arretrato di un anno della casa appartenente al Nobile Veneziano Pietro Venier in cui Negro aveva abitato.I soldi che avanzarono, infine, furono messi nelle mani di Ser Luca Maseràn noto proprietario di fornace di Murano, e in seguito affidati a Benvenuto Camerlengo di Murano al tempo del Podestà Nicolò Zorzi.
Come sarà stato quest’altro Fiolèro Muranese ? … Me lo immagino scarmigliato e con la barba incolta, mal in arnese e dall’aria preoccupata durante gli ultimi giorni della sua vita … Non ci citano nel documento: né moglie, né figli, né parenti, né amici … Che sia rimasto da solo con i suoi debiti e i suoi quattro averi ? … Non si fa neanche accenno alla Schola dei Vetrai di Santo Stefanoche era punto di riferimento per tutti i Vetrai Muranesi … Né a Preti, Frati e Monache … né ai poveri e ai Muranesi … Non lasciò niente a nessuno: neanche“un bèzo matto”… Forse era uno di loro … Era proprio un libero battitore ? … Un Vetraio solitario ? … Chissà ?


I Vetrai o Fiolèri Muranesi si distinguevano in due grandi categorie: i “Paròni de Fornàsa” che si riunivano a Santa Chiara, e i “Mastri da Vèro” che facevano capo e avevano Schola a Santo Stefano Protomartire in Contrada di Rio di fronte a San Pietro. Ciascuno si aggregava, votava e agiva per conto proprio decidendo le sorti del Vetro e dell’isola di Murano che da lui dipendeva in tutto e per tutto. Secondo gli originari Statuti e la "Mariegola Phioleri de Muran" del 1271, i Fiolèrisi distinguevano in 4 Colonnelli o sottocategorie: i Verieri da lastre, da Rulli (da finestre legati col piombo) e Quari, i Verieri da gòti e suppiadi o da buffaria, e i Fioleri da Canna e da Smalti.

Murano un tempo era diversissima da come possiamo immaginarla, e soprattutto completamente diversa da come è oggi. Era un’isola difficile, turbolenza, a tratti anche violenta … Non era facile vivere là. Fin da subito la Serenissimavi pose un Podestà con un Consiglio di 25 uomini per tenere l’Ordinee la Giustizia … La grande attività produttiva del vetro portava tanti a tentare la fortuna e ad investire: e c’erano prestiti, debiti, gioco, azzardi e successi di chi s’arricchiva col Vetro … ma anche tanto sudore, lavoro “bruto”, miseria, e alti e bassi di fortuna … che portavano in isola a far succedere un po’ di tutto.

Per secoli “la Cavàda” o spegnimento dei forni di fine luglio segnava con una gran festa in isola l’inizio della pausa lavorativa estiva che giungeva fino all’autunno inoltrato (novembre). Nel periodo di tempo estivo si celebrava il rito del “Comparto”, cioè la Schola dei Vetrai in accordo con la Magnifica Comunità Muraneseassegnava i forni autorizzati e il lavoro per la stagione seguente.

Nel 1387 diversi vetri lavorati a Murano venivano esportati in Germania … poi nelle Fiandree in Inghilterra… Venti anni dopo un Mercante di Pisa venne catturato dai pirati mentre trasportava da Venezia verso la Sicilia 47 casse di Vetro di Murano… Nel marzo 1438 fra le merci portate a Costantinopoli dal Mercante Giacomo Bàdoer c’è una partita di bicchieri di Murano buoni per far regali e per essere venduti ai bottegai della città Anatolica, e da lì partire per il Medio e lontano Oriente Asiatico e l’Africa.

Per secoli a Murano tutto ruotò intorno all’imprenditoria e alle economie dei grandi nomi delle Famiglie Vetrarie Muranesi che furono  quasi sempre le stesse: i Ferro“All’insegna del San Giovanni Battista”, i Zanetti, i Bertoni o Berton della Fornaza al Liofante D’oro, i Tarlà, i Bigaglia: “Al Campanile”, i Motta, Seguso, Ziminian, Mestre “All’insegna dell’Aquila”, i Molinari “All’insegna della Luna”, o i Santi e Santini “Al San Bonaventura”, e i Dalla VeneziaAll’insegna della Madonna del Carmine”, i Schiavonetto, Sodezzi, Calura, Barovier “All’Anzolo”, i Seguso della Fornàsa dell’Annunziata, i Tòso, i Bortoluzzi della Fornàsa “All’insegna della Nave”… e ancora: iMazzolà, i Morelli della Fornàsa “All’insegna della Colombina Bianca”, i Rossetto della Fornàza “Al segno del San Giuseppe”, i Raddicon la Fornàsa “All’insegna della Pace Trionfante”, i Barbini, i Marinetti della Fornàsa “Ai Do Mori”, i Gazzabin della Fornaza “All’insegna del San Sebastiano”, Fuga, Briati e Miottidella Fornaza “All’insegna del Gesù”… e tanti altri, che sarebbe lunga nominarli tutti ... Fra una crisi economico-commerciale e l’altra, diversi si associavano fra loro per rafforzarsi sul mercato, mentre altri riuscivano ad accentrare su di se buona parte della produzione senza averne tuttavia mai l’esclusiva ... che era prerogativa della Comunità Muranese e monopolio della stessa Serenissima.

Ancora durante il 1700 non si poteva lavorare a Murano il giorno delle feste di San Donato Patrono di Murano e di San Nicolò Patrono dei Fiolèri-Vetrai… Sempre nello stesso secolo, le fornaci restavano accese di continuo per 44 settimane l’anno, e gli operai si alternavano di 6 ore a partire dalla mezzanotte facendo 2 turni al giorno, ossia lavorando 12 ore. Il riposo era solitamente di domenica, eccetto che per i Furlàni (Friulani) che mantenevano accesi i forni ... Le fornaci muranesi godevano del diritto di prelazione su ceneri, manganese, antimonio, ossido di piombo e tutta la “zàffera” che giungevano sul mercato veneziano. I produttori di pietre tenere veronesi (detti pozzi e galtelle) con le quali si costruivano le parti centrali della fornace, non potevano coalizzarsi per accrescere il prezzo ... I Burchieri dell’Adige dovevano eseguire solleciti il trasporto a Murano dei materiali senza abusare sul nolo, e ugualmente dovevano inoltrare via fiume lastre e vetri sia in salita che discesa per Venezia ... Solo Bergamo, Brescia e Verona potevano disporre di fornaci per lastre da finestre e potevano rifondere i vetri rotti raccolti … Nel 1731: il Consiglio dei Dieciintervenne prontamente su delle barche che trasportavano dall’Istria sabbia silicea verso Mantova, Milano e Trieste attraverso le bocche del fiume Po.

Anche nel 1725 il giorno di San Nicolò si distribuirono 590 pani ai Mastridelle 30 Fornaci ancora accese (quelli riconosciuti e autorizzati erano 180, e 35 erano i “sopranumerari”autorizzati a vendere vetri in giro per Venezia e la Laguna), e si fece “bòna regalia de cristalli al Doge” al quale ogni fornace solo per poter esistere e lavorare pagava 4 denari di grossi di Dazio ... Da antichissima tradizione Muranese certificata già nel luglio 1312 sulla Promissione Ducale del Doge Giovanni Soranzo, era previsto che i Fiolarii di Murano offrissero ogni anno il 2 febbraio “ad festum Sanctae Marie Scolarum”, 100 bottiglie grandi, 100 piccole e 200 bicchieri … Nel 1797 alla fine della Serenissima quando ancora le Fornaci versavano all’Arte un ducato per ogni “vaso o padella” accesa, e i Maestri una giornata di lavoro per i Mastri inabili al lavoro, gli iscritti alla Schola di San Nicolò dei Verieri de Muran erano ancora 560 fra: Suppialume, Capimastri Negozianti, Capimastri Operai o Vetrai, semplici Lavoranti o Serventi Fornasieri da Vèro, Paròni de Fornàsa, Maestranze Soprannumerarie e Allievi o Garzoneti o Serventini e Forcelanti. Molti Muranesi entravano in fornace a 10 anni lavorando gratis per 5 anni e poi altri 5 come Garzoni pagati ... In genere si guadagnavano 40 ducati annui pagati in 3 rate: Natale, Pasqua e primo di ottobre lavorando tutto l’anno con la pausa dei due mesi estivi. Lo stipendio a volte sembra venisse pagato anche in vetri, cenere, drappi e tele ed altri materiali utili per la lavorazione che venivano rivenduti … e tutto avveniva, si condensava e aggregava e ricapitolava soprattutto intorno e dentro alla Contrada di Santo Stefano di Murano.



L’antica chiesa del Protomartire della Contrada di Rio de Muran risaliva probabilmente al mille, era ricca di Confraternite, e ospitava soprattutto la Schola di San Nicolò dell'Arte dei Vetrai e quella frequentatissima dai Muranesi dei Santi Pietro e Paolo istituita nel 1529.
La storia di Santo Stefano di Muranoè caratterizzata da un continuo battibeccare dei suoi Preti con quelli della chiesa di Santa Maria per la supremazia e la dipendenza l’una dall’altra.

Nel gennaio 1152, ad esempio, si tenne a Rialtoun apposito Sinodo Provinciale indetto da Giovanni III Polani per indurre il Piovano e il Clero di Santo Stefano di Murano a prestare ossequio alla chiesa Matrice di Santa Maria e Donatorecandosi a partecipare all’Uffizio Solenne nella notte dell’Epifania, mentre  a sua volta il Piovano di Santa Maria con i suoi Preti dovevano portarsi in Santo Stefano il giorno del Titolare: “mangiando seco lui e bevendo mela et vino in buona pace e carità” ... Un’altra sentenza di Enrico Dandolo, invece, prevedeva l’ossequio della filiale di Santo Stefano verso la Matrice Santa Maria e Donato nei giorni di: Natale, Epifania, Domenica delle Palme, Ascensione, Pasqua, Assunta, e di mandare “otto giorni avanti la Festa della Purificazione le solite onoranze, e venir ad invitarlo (il Piovano), acciò si porti a cantar il primo Vespro osservando il tutto conforme la vigilia di Santo Stefano …”
E si andò avanti così per secoli su secoli di Storia … Il luogo adiacente la chiesa di Santo Stefano di Murano godeva del privilegio “dell’immunità ecclesiastica”: chi si rifugiava là aveva diritto “al rispetto” da parte della Giustizia Civile … Sempre nella stessa chiesa di Santo Stefano di Murano ogni anno il giorno di Santo Stefano dopo Natale si prolungava la tradizione Veneziana che prevedeva che il Doge a Natale donasse alle Famiglie Nobili più importanti della città alcune “Anitre selvatiche di palude dalle zampe rosse” di solito cacciate in Laguna: “le Osèle”. Prima della metà del 1500, al tempo del Doge Antonio Grimani, quando le Anitre furono più difficili da reperire e acconciare per regalarle, vennero sostituite dal conio in numero ridotto (meno di un centinaio) il giorno dell’Ascensione(la Sènsa) di alcune monete-medaglie d'argento (del valore di un quarto di ducato) e d’oro (valevano lire 88 venete cioè 4 zecchini) che presero lo stesso nome degli uccelli assumendo significato di prestigio, esclusività e privilegio. Murano portò sempre avanti quell’antica tradizione delle Oselle offerte al Doge, e costui a sua volta le regalava ai Nobili Veneziani, e al Podestà, Camelengo, Cancelliere, Giudici, Giustizieri, Comandadori e agli uomini del Consiglio Muranese. Le Oselle erano sempre contornate da iscrizioni beneauguranti e segnate con l’anno d’emissione, portavano lo stemma del “Gallo Ardito con la Serpe nel becco”della Magnifica Comunità di Murano da una parte, e del Doge o del Podestà o del Camerlengo di Murano dall’altra ... e diventavano utili per essere incastonate in oggetti, o venivano portate al collo inserite su collane.

Ancora nel 1707 il Commerciante Muranese Zuanne Cimegotto di 67 anni ordinò che gli fossero celebrare 100 Messe il giorno del suo Funerale lasciando una bella cifra di denaro ai 26 Preti afferenti alla chiesa di Santo Stefano di Murano, la cui Contrada-Parrocchia contava 4.200 abitanti quasi tutti impegnati nel lavoro del Vetro e delle fornaci ... La maggior parte delle donne lavorava bottoni di seta e di filo, ed “impiràva” conterie ridotta in perle, o impagliavano i “lavori di Vetro” da spedire altrove.

In quegli stessi anni quando un’epidemia falciò via quasi il 70% dei bambini dell’isola di Murano, avvenne un generale rifacimento della Contrada di Santo Stefano di Murano. Si demolirono circa 70 vecchie case cadenti e diroccate, di cui 20 al Ponte Longo, altre 14 fra San Zuannee il Bressàgioche appartenevano: 2 ai Seguso, 4 ai Marinetti, 8 ai Dal Moro; e ancora altre 28 al Ponte di Mezzo vicino alla Pescaria... Ben 39 famiglie di Vetrai Muranesi, quasi tutte della stessa Contrada di Santo Stefano, si trasferirono dall’isola non solo a Venezia ma in tutt’Italia: Roma, Ferrara, Vicenza, Torino, Este, Riminie persino all’estero a Gratz in Austria dove avviarono quasi sempre nuove attività vetrarie ... Anche l’antica chiesa a tre navate divisa da colonne in marmo, con sette cappelle e Battistero “conzati per le feste con tappezzerie di valore” venne ritoccata e rimessa a posto perchè malridotta. Si rifece la facciata, il pavimento, il soffitto, le decorazioni, e l’intero Altare Maggiore.

Nel 1725 morì Bortolo Dalla Motta detto MorattoGuardian Grando della Schola di San Zuanne de Muran: “che trasmise un congruo lascito ai Preti di Santo Stefano” ... L’anno seguente venne ucciso Antonio FerrèCapo Contrada di Santo Stefano di Murano, di 65 anni, gestore del Bastion da vin di San Piero in Pescariaper una ferita al fianco sinistro che lo fece sopravvivere ancora 3 giorni … Nel 1749, invece, morì l’eminente Vetraio Zorzi Miotti quondam Vincenzodi anni 68, e il Piovano ne seppellì la salma in Santo Stefano provocando l’ira dei Frati Domenicani di San Pietro al di là del ponte, che ricorsero subito al Magistrato alla Sanità ottenendo che venisse dissepolto il cadavere e portato da loro in San Pietro. A sua volta il  Piovano Morelli di Santo Stefano fece un controricorso urgente al Consiglio dei Diecidella Serenissima che gli diede ragione, perciò di nuovo il cadavere del Vetraio fece un altro viaggio di ritorno nella chiesa di Santo Stefano dall’altra parte del ponte: “Avanti e indrìo … Che bel divertimento !” commentarono i Muranesi della Contrada.

A metà del 1700 quando venne eletto Doge Francesco Loredan, lo stesso Consiglio dei Dieci decretò che il Piovan di Santo Stefano di Muran nella persona di Don Darduin dovesse dare la precedenza nelle Processioni e in tutte le manifestazioni dell’isola a quello di Santa Maria e Donato che era Don Calura… eravamo ancora alle solite … Nel 1753 Don Piero Ziminian quondam Ziminian di anni 27 Prete di Santo Stefano venne eletto Maestro di Scuola dell’isola ... Gli si contrappose Prè Andrea Mestre quondam Vettore sempre dello stesso Clero di Santo Stefano di 69 anni, e dotato di grande prestigio ... Tira molla, tira e molla … Il Prete vecchio alla prima votazione perse per un solo voto, ma qualche mese dopo lo scarto fra i due fu di ben 69 voti, e Prè Andrea dovette rassegnarsi a pensionarsi.

Verso fine secolo, nel 1783 precisamente, il Santo Uffiziodi Venezia intentò un processo contro due Preti di Santo Stefano di Murano: Don Giobatta Andreotta e Don Andrea Pizzocaro denunciati “per eresia” da Paolina Ongaro:“una pia donna che abitava presso il ponte di Santa Chiara”. La donna andò a dire agli Inquisitori che Don Andreotta aveva detto: “… che le Indulgenze non giovano punto ai Morti perché la facoltà che ha ricevuto il Papa si estende ai Vivi e non ai Morti del Purgatorio … e parlando del Perdon per li Morti lucrato nelle chiese dei Francescani: che erano di poco conto, perché erano bolle de li moderni Pontefici, e che contavano solo quelle degli antichi …”

Figurarsi ! … L’Inquisizione Veneziana si sparò subito nell’isola ad accalappiare immediatamente i Preti.

L’ultimo giorno dell’anno 1799, quando ormai la Serenissima era decrepita e caduta, il Piovano di Santo Stefano di Muranoannotava nei suoi diari: “… in questa notte fu rubbata l’argenteria di nostra chiesa e parte dei veladi con galloni d’oro. Ma il primo giorno dell’anno fu portata la nuova consolante che si era ritrovata in Venezia in Barberia delle Tòle a Santa Maria Formosa posta in un sacco da una certa figliola, che era andata per cercare il gatto quale sentendo l’urto chiamò il proprio padrone ch’era Capo Contrada…”

Poco dopo anche nell’isola di Murano tanto venne disperso, quasi tutto: i celebri organi di Santo Stefano e dei Battuti di Murano andarono svenduti altrove, e perfino “le ossa dei Santi vennero sparpagliate”Chiesa e Portico di Santo Stefano vennero ridotti prima ad Oratorio, e poi a rudere e giardino: pitture e statue realizzate all’interno dai principali artisti Veneziani vennero disperse e in parte salvate altrove. (Oggi molte opere di Santo Stefano di Murano [almeno una quindicina] sono conservate nei depositi delle Gallerie dell’Accademia di Venezia).

In Venezia esistevano altre Associazioni o Schole d’Arte, Devozione e Mestiere legate al Vetro: la Schola dei Verieri Stazionieri e Buttigleri si curava, ad esempio, della sola vendita dei Vetri. Lo stazio dei Verieri” poteva essere anche un semplicecasotto in legno posto e assegnato su una riva, in una calle o in un campo dove venivano smerciati i prodotti realizzati a Murano: soprattutto bicchieri, bottiglie e vuoti a rendere … Attività indipendente e regolata a parte era, invece, la vendita degli ambulanti.


La Schola degli Stazionieri di Venezia possedeva tutte le classiche prerogative delle Schole Veneziane: la Mariegola, l’iscrizione col pagamento della tassa di Benintrada, la distribuzione del "pan et candela", la partecipazione ai Capitoli, l’elezione del Gastaldo e della Banca dei Confratelli, gli obblighi verso i Confratelli Defunti, e la partecipazione alle Funzioni Religiose e Processionilungo tutta la Contrada con Penèlode la Schola (gonfalone) e l’Alboro(asta) infisso nel campo per appenderlo il giorno di San Sebastiano Protettore della Schola ... Durante il 1438 il Capitolo Generale degli Stazionieri del Vetro venne ospitato in chiesa di San Zuane de Rialto da dove decisero di passare nella chiesa di San Polodove si costruirono un altare in legno titolato a San Sebastiano, e delle proprie Arche funebri per i Confratelli Morti ... Litigato poi col Capitolo dei Preti di San Polo per via dell’altare collocato troppo in disparte, l'Arte degli Stazionieri si trasferì nella chiesa di Sant’Anzolo nel Sestiere di San Marco portandosi dietro da San Polo: banchi, altare, addobbi e tutto il resto … perfino le ossa dei Morti, che vennero deposti in nuove Arche costruite insieme a un nuovo altare in marmo … Qualche anno dopo, nel 1671, lo stesso altare venne venduto per 225 ducati dagli Stazionieri in crisi economica alla Schola di Sant’Antonio da Padova ospitata nella stessa chiesa, e ancora per risparmiare sulle spese di mantenimento della sede della Schola, gli Stazionieri andarono a farsi ospitare nei locali della vicina Schola dei Zòti (Zoppi)... Ancora nel 1773 gli Stazionieri da Vèro attivi in Venezia erano 18 ripartiti in 14 Casotti o Stazi. 

Altra Categoria a parte ma sempre legata al Vetro lavorato a Murano, era quella dei Margheriteri, Cristalleri,fabbricanti di perle o Perlèri, o di Conterie e Paternosteririuniti in apposita Fraterna e Sovvegno di Arte e Mestiere sotto la protezione di Sant’Antonio Abate. Avevano sede, ma anche abitavano e lavoravano nella zona di San Francesco della Vigna (nei chiostri del Convento avevano la sede della Schola), in Salizada e Contrada di Santa Giustina e Santa Ternita nelle estreme periferie povere del Sestiere di Castello di Venezia.
Si trattava di Artigiani che almeno fin dal 1284 producevano e vendevano oggetti semplici in cristallo di vetro, come bicchieri, vasi, cofanetti, croci bottoni e lenti per gli occhiali. I Paternostreri facevano evendevano: Rosari, collane e fiori in perle di vetro distribuendoli in un mercato che arrivava fino a Costantinopoli, Aleppo, Tripoli, Londra e Lisbona ... Nello stesso anno iI “due terzi” di quanto veniva incassato con le multe inflitte a chi si recava a lavorare abusivamente fuori di Venezia era destinato ai poveri dell’Arte e alla sepoltura dei Morti della Schola ... Nel 1611 l’Arte dei Cristalleri e Paternosteripagava 700 ducati annui per mantenere la flotta veneziana, e nel 1672 l'Arte dei Perlèri non era affatto cosa da poco: si divideva in “due Colonnelli”, cioè “da ferrazza” e “da spiedo”, contava ben 194 CapiMastro, 140 Lavoranti, 228 Garzoni e 85 figli di CapiMastro attivi in 11 “mezzàdi o negozi” e in 26 fornaci dove fabbricavano all’anno: 2,2 milioni di libbre sottili di Conteria, e 200.000 libre di Cannette e Rosette “non soggette al fuoco” del valore di almeno 240.000 ducati ... Nel 1720 si quantificò che l’intera produzione dei Margariteri e Paternostrieri poteva avere un valore di circa mezzo milione di ducati … Ancora nel maggio 1788, l’Arte concedeva medico e medicine, e un sussidio di 14 lire settimanali ai Confratelli malati per i primi 3 mesi di malattia, andando poi decrescendo. Ai vecchi impotenti delle Maestranze inabili al lavoro si concedevano fino a 7 lire settimanali. Erano esclusi dai sussidi: “… quei che co’ loro disordini e colle sregolatezze del vivere si fossero acquistati i mali che li travagliano … feriti in risse volontarie…chi non fosse in regola con pagamento delle quote.”Nel 1809 con la soppressione della Schola la pala di Sant’Antonio Abate dei Paternosteri e Perleri che si trovava su un altare di legno nella sede della Schola venne venduta a una Parrocchia di Verona.



Murano col simbolo del Gallo con in groppa una Volpe che tiene nel becco una Serpe, era un’isola straordinaria per diversi motivi: oltre che per il Vetro, per le Oselle, e per il Libro d’Oro delle maggiori famiglie Muranesi che vantavano il privilegio di potersi imparentare con quelle Nobili Veneziane … Per secoli le Fabbriche da Vetri, Cristalli, Candelabri, Lastre, Bottiglie e Lampadari, o le Fabbriche da Margaritaio o da Smalti ad oro e argento o colorati per Mosaici, Calcedonie, Filigrane, Avventurine, Porpore e Canna per Conterie e Perle rimasero attive sparse un po’ ovunque per le Contrade dell’Isola di Murano: San Salvatore, San Matteo, San Giacomo, San Martino, in Riva Longa, San Bernardo, San Giovanni e in Rio dei Vetrai… Fu verso la metà del 1800, quando Murano aveva ancora 4.000 abitanti, che la presenza degli Opifici Vetrai precipitò velocemente da 120 a una quarantina di cui quasi tutti lavoravano “ margheritine”, e subito dopo le fabbriche attive rimasero una ventina in tutto … S’era chiusa definitivamente un’epoca, di cui per altre due secoli rimasero tuttavia “la coda” e le tracce dell’attività.

Se tornate di nuovo a visitare Murano Isola dei Vetri, recatevi alla chiesa di San Pietro… valicate il ponte accanto alla chiesa, e appollaiatevi da qualche parte ai piedi della“Torre dell’Orologio” in quello che è stato il Campo di Santo Stefanodi Murano ... Aguzzate un attimo lo sguardo, e vedrete che accanto e dietro alla torre, sulla destra oltre certi capanni, esistono ancora i ruderi di quella che è stata la chiesa e l’Oratorio di Santo Stefano dei Fiolèri Muranesi.


Poi provate a chiudere gli occhi un attimo … soltanto uno … e pensate un poco a quanto è accaduto in quel Campo Muranese, e come lì per secoli sono convenuti in massa e di continuo uomini e donne dell’isola tutti indaffarati intorno alle sorti del Vetro … Pensate a quanti volti e fisionomie, a quanti bimbi in braccio, e a quanti visi scuriti dal fumo e cotti dalla vampa dei forni … Pensate alle Oselle … pensate che lì si è fatta tanta Storia di Murano … e di Venezia di rimando ... e godetene di questa cosa da buoni Veneziani.




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