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“VENEZIA … TOP SECRET …”

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“Una curiosità veneziana per volta” – n° 62.

“VENEZIA … TOP SECRET …”

Esistono a Venezia certe zone per la verità scarsamente o per niente accessibili, e in un certo senso un po’ “top secret”. Niente di misterioso e arcano, vi deludo subito, ma solamente aree di pertinenza oggi militare, quindi precluse ai comuni mortali e in un certo modo anonime e quasi assenti.
Ciò non significa però che quei posti non siano esistiti affatto, e che soprattutto in altre stagioni storiche non abbiamo vissuto momenti importanti e ospitato eventi davvero significativi … e come piace dire a me, appunto: “curiosi e da ricordare”.

Fra i tanti posti finiti ormai da secoli totalmente “in pasto” al Demanio ossia allo Stato, ve ne cito un paio che si trovano proprio nel cuore di Venezia, a pochi passi dalla mitica Piazza San Marco. Mi riferisco al complesso del Monastero di San Zaccaria, e al vicino ex Convento del Santo Sepolcro.
Di San Zaccaria, oltre alla splendida chiesa ancora fruibile e aperta, si sa e si è detto tantissimo, anche se i suoi splendidi chiostri rimangono preclusi, non visitabili, e riservati ai militari. Si conosce molto bene che San Zaccaria era uno dei più ricchi e potenti Monasteri Femminili di Venezia, forse il primo in assoluto, dove le famiglie Nobili più in vista e lo stesso Doge amavano ed erano soliti rinchiudere le loro prestigiose fanciulli in ritiri doratissimi, spesso comodi … e talvolta licenziosi e trasgressivi.

Il secondo posto, invece, era un Convento ancora Femminile. Quindi fin già dalla titolazione comprendiamo che apparteneva ad una categoria di posti per Monache di levatura economica, politica e sociale sicuramente di rango inferiore. Non che le Francescane Clarisse del Santo Sepolcro fossero delle morte di fame, ma certamente sfiguravano di molto a confronto con le “toste” e pingui Benedettine di secolare e potente memoria residenti nel San Zaccaria … Quelle stavano di certo a un livello superiore, anzi, qualche livello più su.

Ma che cosa possedeva di così curioso quell’ex Convento ? … Provo a scrivere qualcosa per ricordarcelo.

Qualche giorno fa, ho detto che Venezia Serenissima è stata maestra, al pari di altre città Italiane e straniere, nel ricreare al di qua del mare Mediterraneo le atmosfere, “le qualità” della Passione del Christo, le copie dei Luoghi Santi e dei Riti che si sarebbero potuti incontrare ed esperimentare giungendo all’agognata Terrasanta. Senza bisogno di affrontare la difficoltà sostanziosa della traversata impervia del mare, si potevano trovare a Venezia “montagne” di buone reliquie, con tutto quanto era loro concesso in termine d’indulgenze da lucrare e spezzoni di Salvezza da conseguire per se e per altri.

Non dimentichiamo, ad esempio, che i Pellegrini erano entusiasti di recarsi fino a Venezia, perché lì trovavano anche le insigni reliquie di San Marco. Per chi l’avesse dimenticato, San Marco era il numero “2”nella gerarchia dei Santi importanti, e veniva subito dopo San Pietro (e guarda caso subito dopo la gloriosa Roma del Papa … che furbi i Veneziani !).

Roma comunque aveva ben poco da temere dalla concorrenza di Venezia … perché batteva tutti in quantità di Reliquie originali e importanti, prima fra tutti quella della famosa “Veronica”, che attirava da sola migliaia di Pellegrini da ogni parte d’Europa … ma questa è un’altra storia.
Dal punto di vista devozionale quindi, recarsi a Venezia non era una faccenda di secondo piano, ma era certamente per diversi motivi una convenienza, e di certo un gran privilegio.
Si aggiunga, che passare per Venezia era estremamente comodo per i Pellegrini anche per almeno altri due o tre motivi. Primo e importante, un notevole taglio della strada da percorrere a piedi o per i pochi fortunati a cavallo. Andarsi a imbarcare per la Terrasanta a Venezia significava tagliar fuori dal proprio itinerario praticamente tutto lo stivale dell’Italia … e non era poco per chi proveniva da molto lontano, dal Nord della Germania e dell’Europa o dall’Inghilterra, o dall’Irlanda.

Il secondo motivo per passare per Venezia era sostanzialmente un motivo di sicurezza.
Venezia oltre ad essere splendida e fabulosa, ospitava lungamente e degnamente i Pellegrini e sapeva proteggere adeguatamente anche i convogli delle Galee che li trasportavano fino in Siria e Palestina, oppure Alessandria d’Egitto. Si sapeva bene che i Veneziani non regalavano niente … Però visto che pur partendo in fondo dall’Italia, giù in Puglia e a Bari, Otranto e Taranto, in ogni caso si doveva viaggiare almeno trenta giorni per mare per raggiungere la stessa meta di Alessandria, tanto valeva farlo con i Veneziani, insieme a una certa sicurezza d’arrivarci almeno intatti e con la testa ancora sul collo, sebbene con le tasche mezze o del tutto vuote.

Non era stato certamente un pettegolezzo la vicenda corsa di bocca in bocca fra le folle dei Pellegrini d’Europa, e puntualmente scritta nei suoi Annales da Lamberto di Herfeld, che raccontava di un’occasione in cui una comitiva di 7000 Pellegrini Tedeschi guidati dal Vescovo di Bamberga erano partiti ingenuamente per la Terrasanta seguendo la via Balcanica e Anatolica di terra. Il Pellegrino disse e scrisse, che:

“… i Pellegrini furono molestati dagli Ungheresi, attaccati dai Bulgari, messi in fuga dai Turchi … insultati dagli arroganti Greci di Costantinopoli. E giunti in Asia, la loro vicenda finì tragicamente perché molti di loro finirono uccisi dalla furia rabbiosa dei Cilici, e poi nei pressi di Cesarea divennero preda di un’orda di fanatici Infedeli che ne uccise ancora altre centinaia …”

Il racconto e l’immagine non erano certamente incoraggianti per i futuri Pellegrini. Perciò: “passare per Venezia sarebbe stata in ogni caso buona cosa …”, anche per via di quell’intesa mercantile e politica che i Veneziani coltivavano da sempre col Turco interessato a cui i Pellegrini pagavano un “testatico” di una moneta d’oro per entrare in Gerusalemme ... E chissà, forse anche con i pirati del Mare e Golfo Adriatico i Veneziani avevano qualche cosa a che fare ...
Non dispiaceva, infine, considerare quella voce che s’era sparsa in giro per l’Europa, che a Venezia certi armatori di Galee erano ben disposti verso i Pellegrini bisognosi, tanto da trasportarli ugualmente oltremare a una tariffa ridotta di soli 30 ducati “pro capite”, tutto compreso e andata e ritorno (significava in ogni caso quanto era guadagnabile in un anno di lavoro da parte di un lavoratore o artigiano medio).

Precisato questo, torniamo ai posti e ai luoghi di Venezia di cui andavamo dicendo.

Le Suore che fondarono il Convento del San Sepolcro l’edificarono … fatalità … proprio a pochi passi dal Molo di San Marco da dove partivano le Galee per la Terrasanta, in quella che oggi si chiama ancora la Riva degli Schiavoni. Un luogo del genere non poteva che essere una vera e propria “manna” per i Pellegrini di ogni genere giunti a Venezia.
Già nel gennaio 1410 Elena Celsi vedova di Marco Vioni lasciò per testamento presso il Notaio Gaspare di Mani, una casa grande sulla Riva degli Schiavoni ed altre prossime casette in Contrada di San Zuane in Bragora perché dovessero servire in parte ad abitazione di alcune povere, e in parte a Ospizio per le pellegrine dirette o di ritorno dalla Terrasanta.
Solo nel 1482 però, le due Patrizie Veneziane Beatrice Venier e Polissena Premarin fuggite da Negroponte conquistata dai Turchi e rifugiate a Venezia diventando Pizzòcare di San Francesco, si trasferirono da San Francesco della Vigna ad abitare nell’Ospizio dando origine al primo nucleo del Convento del Santo Sepolcro.

Furono loro due ad avere l’idea di costruire nel 1484 in mezzo all’Oratorio: “… un Sepolcro in marmo e pitture, in tutto simile e misura, e a imitazione di quello presente in Gerusalemme ...da aprirlo alla visita devota dei Pellegrini giunti in Venetia …”

E per far le cose per bene, affidarono la commissione a Tullio Lombardo, un artista fra i migliori, e di buonissima fama dell’epoca. Il “Sepolcro” riprodusse quindi in tutto e per tutto il disegno dell'edicola del Santo Sepolcro sito in Gerusalemme, ed era costituito da un'enorme finta grotta in pietra grezza a grandi blocchi. Dentro alla "grotta"si trovava sorretto da quattro angeli un altarolo di marmo policromo, e ancora più all'interno della "grotta"si scendeva sotto per una scaletta fino a un ipogeo, considerato il “Sepolcro” vero e proprio. Lì c’era disposta una figura del “Cristo Passo”ossia morto dopo la Santa Passione.

Quel posto fu da subito considerato una “meraviglia” dai Pellegrini che passavano per Venezia, e la fama di quel “Special Sepolcro del Christo posto in Venetia …” si diffuse presto per tutta la Cristianità incrementandone l’afflusso.
Sulla porta d’ingresso del Sepolcro stava scritto: 

“… QUALE ITER AD CHRISTI TUMULUM ? SI SCIRE LABORAS LUMINA CIRCUNFER, MOLES INSCRIPTA LOQUETUR …”

S’insinuava il dubbio su quale potesse essere l’autentico Sepolcro del Christo che valeva la pena di visitare. Non era forse più che sufficiente contornare quello di Venezia con tutte le sue storie raccontate, senza doversi recare per forza fino in Palestina ?
Di certo l’input dell’indecisione dubbiosa veniva percepito dai Pellegrini, visto tutto ciò che vedevano, provavano, toccavano, veneravano, pagavano, compravano, elemosinavano, pregavano e lucravano durante la loro lunga permanenza in Venezia.

Giunto il secolo 1500, le Monache ottennero da Papa Alessandro VI la facoltà d’ingrandire Convento e Chiesa ...  In Contrada di San Cassian presso Rialto vendettero 2 case che erano state lasciate al Monastero assieme a 15 campi di terra a Camposampiero, comprando tutta una serie di edifici e botteghe attigue al Convento, fra cui per 2000 ducati il “… Palazzo Molin dalle Due Torri con Corte et Horto …”. Già che c’erano, le Monache ottennero dallo stesso Papa anche l’esenzione dall’obbligo di dar ospitalità alle pellegrine tradendo perciò lo scopo originario del luogo ... Ma c’era ben di più a disposizione che gestire solamente quattro letti pulciosi per le donne di passaggio … Il posto quindi si trasformò da Ospizio in Convento … e iniziò la lunga trafila dei lasciti dei Veneziani a favore del neonato Convento o Monastero del Santo Sepolcro.

Girolamo Gabriel, Patrizio Veneto, lasciò per testamento a Prete Alvise suo figlio naturale, e a Paola Paradiso sua cugina, alcuni stabili posseduti in Contrada di San Marcuola, che dopo la loro morte sarebbero diventati proprietà del Monastero a  patto che si celebrassero 2 belle Messe quotidiane per la sua Anima ... I Preti della vicina chiesa Parrocchiale di San Giovanni in Bragora, ingolositi dal “giro”spirituale dei Pellegrini, o forse più dal giro d’affari che si stava realizzando intorno al Sepolcro, pretesero di avere giurisdizione su chiesa e Convento, e fecero  perfino ricorso direttamente al Papa per ottenerlo.
Alla fine, facendola breve, il Patriarca Donà sentenziò che il Monastero del Santo Sepolcro doveva rimanere autonomo e libero, e che San Giovanni in Bragora si sarebbe dovuto accontentare solo di un “censo annuale di quattro doppieri di cera bianca” offerto ogni Venerdì Santo da parte delle Monache del Sepolcro.

Che disdetta per San Giovanni in Bragora … e che affari per le Monache divenute ormai 60 ! 
Nell’occasione s’allargarono ulteriormente non senza una certa acuta furbizia … Per ottenere, ad esempio, l’ultima casetta vicina al Monastero, le Monache presero come Monaca la figlia del Nobil Homo Zan Andrea Morosini proprietario della casa, percependo invece dei previsti 300 ducati di “dote monacale”, solo 70 ducati e la casetta che interessava a loro.

Nel 1546, il Convento passò dalla dipendenza dai Frati Minori di San Francesco della Vigna a quella diretta del Nunzio e Legato Apostolico residente in Venezia ... Lo zampino a Venezia del lontano Papa si faceva sentire, quando c’era nell’aria odore di qualche guadagno ... Infatti piovevano le donazioni sul Sepolcro: Giacomo Gajetano Dottor Fisico lasciò suo erede il Nobil Homo Piero Cocco con l’obbligo per lui di pagare per far celebrare Messe quotidiane al Santo Sepolcro dove volle essere sepolto, e dare 12 scudi d’oro annui al Cappellano che le celebrerà investendo il capitale al Monte del Sussidio che gli pagherà le rendite ... Fu così che nel 1577, quando nel Sepolcro vivevano ormai stabilmente 80 Monache Clarisse, Piero Cocco offrì al Monastero per pagare quel Mansionario di Messe senza fine, la proprietà di 2 casette a pianoterra in Contrada di Sant’Antonin in Corte del Diner, dalle quale si poteva percepire un affitto annuo di 7 ducati ciascuna ... E così anche le Messe furono pagate adeguatamente.

Anche Girolamo Mezzalingua di fu Damian, di professione: Calafatto in Arsenale, volle essere sepolto in chiesa al Santo Sepolcro. E per procurarsi questo, lasciò alle Monache gli affitti della sua casa grande e di altre piccole case attigue che possedeva in Contrada di Sant’Antonio di Castello. Prima ne avrebbero usufruito i suoi famigliari e parenti in vita, e poi metà delle proprietà sarebbero andate al Sepolcro, e l’altra metà, invece, alla Scuola di San Giorgio degli Schiavoni.

Nel 1567 nacque un putiferio nel Monastero.
Si destituì la Priora cercando di eleggere Suor Daria Navager candidata presentata non dalle Monache ma dai Frati di San Francesco della Vigna rifattasi avanti e sotto nella gestione del Sepolcro. Si riteneva doveroso il cambio della Badessa, perché quella in carica Michaela Beltrame andava considerata responsabile della fuga di una giovane Meneghina dal Convento del Santo Sepolcro, e inoltre aveva litigato con la Nobile Famiglia Navager a causa della costruzione di un balcone privato che andava ad aprirsi sulla clausura del Convento. I motivi sembravano tutto compreso banali, ma si raccontò di prepotenze e pressioni dei Frati per intimorire il Capitolo delle Monache, di Monache che abbandonavano l’assemblea conventuale rifiutandosi di rientrare, di Frati che strapparono il velo dalla testa delle Suore nel gesto di volerle destituire ... Un gran casìno, insomma, finchè si giunse all’eccesso dell’eccesso. Fu rimossa la vecchia Badessa Michaela Beltrame che venne rinchiusa nella sua cella “… perché l’andava facendo intender ogni cosa a seculari …”; e i Frati s’intrattennero nel Convento per ben 17 giorni banchettando lautamente, mentre le monache “contrarie” stavano relegate in penitenza e ristrettezze: “… caponi, colombini, torte, cui de late, malvasia e vin dolce … contro fagioli e olio grezzo che i Frati disdegnavano…”

Andò a finire come spesso le cose andavano a finire a Venezia … A un certo punto si presentò un messo del Doge accompagnato un paio di robusti Fanti, che consegnando un bigliettino di poche parole ai Frati, e sussurrando agli orecchi di qualcuno le parole giuste … in breve tutto fu risolto rimettendo ciascuno al posto che meritava. La vecchia Badessa continuò a governare il Monastero, i Frati in fretta e furia rientrarono a casa propria ... e la giurisdizione e il controllo diretto sul Santo Sepolcro finì nelle mani del Patriarca in persona ... (togliendolo quindi anche all’influenza Papale).

Chissà che cosa avrà mandato a dire il Doge in quella circostanza ?

Intanto, oltre ai fiumi di umani Pellegrini che transitavano per il Sepolcro, “… atquisendo Santo Merito per l’Animo ogni giorno …”, anche il medico Giambattista Peranda ucciso da un parente per gelosia sul Ponte dei Greci che allora si chiamava Ponte della Madonna di San Lorenzo, lasciò un’altra ricca Mansioneria da celebrare al solito Convento del Santo Sepolcro ... Le Monache fecero un prestito considerevole girando una partita di banco a Rialto ad un abitante di Villorba nel distretto di Camposampiero ... Il Patriarca Priuli in visita alle Monache del San Sepolcro si indignò non poco, perché alcune Monache allevavano galline che scorrazzano liberamente nei dormitori del Convento. Le Monache da parte loro denunciarono al Patriarca incredulo: “… povertà, fondi insufficienti, scarsità di pane … spifferi e umidità …” Ma girando lui per le celle le trovò tutte arredate con coperte raffinate, biancheria ricamata, casse di abiti e gioielli, credenze piene di cibo e vino.
Suor Lippomano capeggiava una combriccola di Monache che “… mangiavano sempre fuori del refettorio la sera …” preferendo mangiare in gruppo separato. Al Patriarca destavano preoccupazione le “giovani Converse”delle Monache: “… ch’ogni anno si mandavano fuori a far la “cerca” fino a Porto Gruaro, due in Paduana verso Este, e talvolta in Trivisana a un luoco del Monastero detto Rovese per sunàr alcune entrade delle Monache …”

Le Monache in realtà vivevano nel lusso, ed erano opulente ... Tanto è vero che subito dopo provvidero a nuovi abbellimenti della chiesa e del Convento, ricevendo contributi anche dalla Famiglia Grotta o Crotta, mercanti di ferro da Bergamo ammessi al Patriziato di Venezia pagando la non indifferente quota di 100.000 ducati. Furono loro a pagare le spese per far costruire in chiesa del Sepolcro un nuovo Altar Maggiore dedicato all’Assunta.

E siamo all’inizio del 1600, quando il Monastero del Santo Sepolcro era in perfetta sintonia con le “mode comportamentali” delle religiose di quell’epoca, e le cronache cittadine ricordavano che “… In San Sepolcro si suonava l’arpicordo e si ballava specialmente a Carnevale ...”
Consenzienti indiretti erano i facoltosi Nobili e la Serenissima che anche nel 1610 non mancarono di regalare alle Suore un sussidio di 36 stara di grano.

Nel 1618, Suor Graziosa Raspi scappò dal Convento pagando un barcaiolo per un cambio di abiti da uomo e un passaggio in barca fino alla Terraferma. In seguito spiegò che voleva recarsi al Monte Rua sui Colli Euganei dagli Eremiti Camaldolesi per condurre una vita più austera … Per questo fuggì dal convento portandosi dietro un crocefisso, un Officio della Madonna, due libri di devozione, un cilicio ed una disciplina ... e il denaro per il barcarolo. Ma non si travestì bene, e “… poverina mi e meschina mi … fui tradita …”

Nello stesso anno, s’intentò causa contro Alessandro Branazzini che entrò più volte in contatto con le Monache del  Santo Sepolcro, tanto che per le sue nozze: “… il Sior Alessandro venne là anco in gondola colla sua noviza, et perché vennero a fenestra quasi tutte le Muneghe per vederla …”
Come spesso si diceva anche a Venezia, “Tanto tuonò e lampeggiò … che alla fine accadde il temporale …”, e il Patriarca Tiepolo in visita al Monastero del Sepolcro rimise tutto in ordine, decretando fra le altre cose di rimuovere dalle celle “…alcuni quadri privati di donne in atto et vista davvero lasciva …”

A Venezia andò di moda, e fu considerato molto onorevole farsi seppellire nella chiesa delle Monache del Santo Sepolcro. Lì si feceseppellire la Famiglia Raspi di Pasquino e GianMaria, mercanti di sapone e cordovani venuti da Bergamo a Venezia dove si comprarono il Patriziato pagando allo Stato i soliti 100.000 ducati, e acquistarono inoltre dai Bettinelli il Palazzo al Ponte dei Sansoni a San Cassian vicino all’Emporio di Rialto. Quando morì GianMaria Raspi, lasciò pagata al Sepolcro una Mansioneria di 3 Messe alla settimana ... mentre anche Giovanni Busca lasciò sempre al Sepolcro un suo Legato del valore di 100 ducati.

A metà del 1600 il Convento del Santo Sepolcro ospitava 55 Monache Professe, e ricevette ancora dal Governo Serenissimo 36 staia di buon grano essendo considerato fra i 4 Monasteri più poveri dell’intera città di Venezia insieme a quelli di Santa Maria Maggiore e Santa Croce nel Sestiere omonimo, e a quello “… poverissimo più di tutti …”delle Francescane di Santa Maria dei Miracoli a Cannaregio.

Forse per questo, nel 1660, quando il ricchissimo cittadino mercante Jacopo Galli morì lasciando la somma ingente di 120.000 ducati per far costruire le nuove facciate della chiesa di San Salvador sulle Mercerie, quella della Scuola Grande di San Teodoro, e quella dell’Hospedale di San Lazzaro dei Mendicanti … si ricordò anche di lasciare“un bonus” di 6.000 ducati … alle Monache misere del Santo Sepolcro …”

In realtà non è che le Monache fossero proprio così economicamente “malmesse”,perché l’anno seguente si segnalò un altro “giro di Zecca” di ducati 1.720 proprio a favore del Monastero del Santo Sepolcro che possedeva anche una rendita annuale di altri 208 ducati provenienti dall’affitto di alcuni immobili siti in Venezia.
Infatti, negli stessi anni il Murèr Antonio Visetti, e il Tagjapiera Giacomo da Par costruirono alcune case in Contrada di San Giovanni in Bragora per conto del Monastero di San Sepolcro che sorgeva proprio lì vicino ... Morendo il ricchissimo mercante Donato Damiani figlio di Ludovico, abitante in Contrada di San Cassiano presso Rialto, lasciò erede per metà della sua sostanza il Monastero del San Sepolcro dove viveva sua sorella Claudia, mentre l’altra metà dei suoi beni la destinò all’Ospedale della Pietà di cui era Governatore lui stesso. In aggiunta dispone anche d’essere seppellito nella chiesa del Santo Sepolcro, e per far questo lasciò altri 500 ducati, e per finire lasciò al Monastero ancora 60.000 ducati con obbligo di “ … far celebrare ogni giorno una Messa per lui, et a sua memoria, et per la salvezza dell’ Anima soa ...”

Fra i tanti, e sempre al Santo Sepolcro, volle farsi seppellire il ricco orefice Giorgio Rizzi di Benedetto e Sebastiano, “… che possedeva un palazzo in Riva a Santa Maria Maggiore e una bottega d’orese a Rialto all’insegna del Naranzer ...”, e divenne Patrizio Veneto con fratelli, zii e discendenti dal 1687 pagando alla Serenissima sempre la bella somma di 100.000 ducati in contanti ... E si fece seppellire anche Sjor Vincenzo Colla di fu GianMaria che lasciò al Monastero del Sepolcro una Mansioneria pagata di 5 Messe annue, insieme a un prezioso Cristo d’argento che teneva in casa sua ... e perfino l’intera Famiglia Cittadinesca Combi da Bergamo che si arricchirono a Venezia commerciando libri tanto da comprarsi diversi stabili in giro, e un intero Palazzo in Contrada di Santa Caterina a Cannaregio.

Nel 1700 negli inventari delle Monache del Santo Sepolcro presentati al Patriarca Barbarigo si cita presente in chiesa anche il simulacro di una Madonna Annunziata in legno:

“… vestita con scarpette e abiti bianchi e d’oro uguali a quelli dell’Angelo, e con altri 7 vestiti in garzo d’argento e broccato d’oro. Alla stessa appartenevano anche numerosi gioielli: un fiore e una crocetta di diamanti, perle da collo con pietre preziose, manini d’oro, passetti di zaffiri, e corone d’argento ...”

Il Monastero che ospitò Nobil Donne Monache illustri come Beatrice Venier, Orsola Visnago, Chiara Bugni e Maria Da Canal, possedeva una rendita annuale di 522 ducati provenienti da immobili posseduti in Venezia ... si ampliò il parlatorio, e si restaurarono i muri perimetrali spendendo 2.500 ducati … Gaetano Callido costruì un nuovo organo facendosi pagare 480 ducati  … Il ricco negoziante in Calle degli Orbi nella Contrada di Santa Maria Formosa Girolamo Zanadio di fu Francesco, beneficò per testamento con 50 ducati il Monastero di Santo Sepolcro dove viveva come Monaca sua Sorella Giovanna Maria, e chiese di essere sepolto in chiesa davanti all’Altare del Santissimo … Ancora nel 1770, i musicisti Furlanetto, Galuppi e Grazioli musicarono diverse Cerimonie di Vestizione delle Nuove Suore Professe del Monastero Francescano del Santo Sepolcro.

Nel 1775 il Monastero possedeva ancora: “ … due chiusure di buona giacitura e di terreni mezzani e bassi, con vasta fabbrica e corte, estese 16.1203 campi e accatastate presso Fiesso.”  … e le cronache ricordavano come viva e attiva la tradizione dei Veneziani di recarsi il giorno di Pasqua in pellegrinaggio presso la chiesa delle Monache del Sepolcro ... i Pellegrini erano però ormai spariti da un pezzo.

E giunse, infine, anche per il Convento del Santo Sepolcro la solita bufera Napoleonica distruttiva e devastante.
Infatti, nel luglio 1806, le 35 Monache Francescane rimaste vennero espulse dal loro chiostro, e concentrate prima nel Convento di Santa Chiara nell’isola di Murano, e poi sparse un po’ in quello del Corpus Domini (demolito poco dopo per edificare l’attuale Stazione Ferroviaria) e in altri luoghi incamerati tutti dal Demanio, come ad esempio il Convento di Santa Maria dei Miracoli nel Sestiere di Cannaregio.

La Badessa Maria Rosa Brighenti del Monastero di Santa Maria dei Miracoli scriveva, infatti, in agosto, che i locali angusti del suo Convento potevano ospitare solo 36 persone, o al massimo 40, ma non potevano offrire spazio sufficiente anche per le 35 Suore Francescane del Santo Sepolcro che il Governo vorrebbe fare risiedere da loro ad ogni costo ... E poi c’erano anche altri problemi di stile, regola e ordine interno fra le monache, in quanto alcune non si trovavano a loro agio nel Convento.

“… si segue la medesima regola ma con più rigide accentuazioni… Sommamente ristretto è l’angolo di fabbricato in cui sono state confinate … L’isola era una plaga insalubre … maggiori erano le difficoltà di ricevere aiuti da Venezia … Le Monache chiesero allora d’essere trasferite per situazione più confortevole almeno al San Lorenzo di Venezia a Castello ...”

AlcuneMonache presentarono una Supplica al Governo raccogliendo anche firme false. Alcune rimasero, altre partirono, altre ancora ottennero di cambiare Ordine diventando Domenicane per poter traslocare più comodamente nel Monastero del Corpus Domini a Cannaregio. Una confusione insomma … uno sfacimento totale.

Nel 1808 la chiesa intera, compresa la “grotta del Sepolcro” venne demolita per farne un cortile, e il Convento venne chiuso e adattato a diventare quello che è ancora oggi, ossia la “Caserma Aristide Cornoldi” ... Infine, è del 1832 la notizia che utilizzando le pietre della chiesa e del Santo Sepolcro demoliti si fabbricò un nuovo torrione militare sul Lido di Sant’Erasmo, e in parte si posero come fondamenta di un laboratorio pirotecnico nella zona di Quintavalle presso la Contrada di San Pietro di Castello.


Fu sfasciato tutto insomma, e rimase di quell’idea e di quel posto solo l’altarolo di Tullio Lombardo (quello della foto in cima a questo post) che venne salvato dalla furia distruttiva Napoleonica facendolo finire nel 1807, non si sa bene perché e per come, in chiesa a San Martin di Castello dove sta tutt’ora ... Unico pezzo rimasto di quel complesso originale e certamente curioso, di quell’angolo della Venezia Pellegrina e ospitale di quel tempo andato inesorabilmente perduto ... eccetto che nel nostro comune ricordo.


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