“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 63.
“UN HOSPEDALETO SCOMPARSO … E UNA CJESA DE SUORE …”
L’Ospedaletto in questione è quello antico e andato perduto di cui certo avrete sentito parlare dei “Testori Todeschi dei Pannilani” di Venezia, mentre la “cjesetta”, persa anch’essa dopo un’esistenza storica di ben tre secoli, era quella del “Gesù e Maria e Giuseppe” soprannominata dai Veneziani “L’Addolorata delle Monache Eremitane Servite” o forse meglio delle “Muneghette Agostiniane”.
In quella zona della piccola Contrada oggi praticamente inesistente a pochi passi da San Simeon Piccolo, vicino ai Tolentini e all’Università d’Architettura, esistono ancora certi nomi di Calle che ricordano all’indifferenza dei più ciò che è stato un tempo quel posto.
Alzando gli occhi si può facilmente leggere: “Calle e Campiello e Rio delle Muneghette”, “Calle del Gesù e Maria”… così come i toponimi recitano: “Campo della Lana”,“Campo delle Chiovere”, “Calle e Ramo dei Bergamaschi”, e “Fondamenta delle Secchere” dove un tempo l’acqua che si ritirava con la bassa marea lasciava un’ampia area di fangoso asciutto … Era quella infatti una zona popolare e periferica della Venezia di un tempo, chiamata dai Veneziani confidenzialmente: “al Gesù e Maria”, tutta dedita e occupata dall’attività degli Artigiani della Lana di Venezia che stendevano ad asciugare appunto nelle loro “chiovere e chioverette” i loro preziosi e colorati manufatti.
Prima ancora, quel Campo Veneziano dove sorgevano appunto una chiesa e Convento del “Gesù e Maria” oggi totalmente scomparso, era chiamato anticamente il “Businello”, forse per presenza di una famiglia di quel nome poi trasferitasi in un palazzo sul Canal Grande in Contrada Sant’Aponal acquistato dai Giustinian.
Ne esisteva una, infatti, d’origine Padovana o Lombarda di un certo Marcantonio che possedeva una prestigiosa collezione con diversi Tintoretto. Era una di quelle famiglie tutte dedite alla causa della Cancelleria Dogale di cui per ben due volte furono Cancellieri Grandi, e per generazioni impegnati nel Senato come Segretari della Serenissima.
Si raccontava perfino, quasi al confine con la leggenda, che uno dei Businello rappresentante di Venezia a Mantova, catturato dagli Imperiali si sia mangiato il codice cifrato segreto usato per corrispondere con la Serenissima piuttosto che lasciarlo finire nelle mani dei nemici. I Businello erano di certo benestanti, perché ancora nel 1450 figuravano nell’elenco di coloro che possedevano e gestivano almeno 70 campi ciascuno a Zuanigo presso “la Bastia” di Mirano… dove anche i Dolfin, i Giustinian, e i Falier avevano dei molini sulla “Fovea Musonis” e sulle acque della Tergola. Quei Nobili di Venezia avevano inoltre: case e ville o “Domus Magnae”, il controllo dei pascoli e delle “poste per le pecore”, delle osterie, delle fornaci, dei boschi residui, fino ad esercitare diritti di Decima sui contadini e su chi risiedeva sul posto.
Da notizie incerte e un po’ confuse, si viene a sapere che solo in seguito la zona divenne la “Contrada della Lana” perché iniziarono ad abitarvi alcuni Lanaioli in alcune caxette prima abitate da certe Monache Agostiniane che avevano una loro vecchia chiesupola dedicata al “Gesù e Maria”.
Già un Decreto della Serenissima del 1272 concedeva alloggio gratuito a tutti quei lavoranti della Lana che fossero venuti ad esercitare la professione nella città di Venezia ... perciò arrivarono in Laguna molti Lanaioli da vari paesi, fra cui la Germania, stabilendosi ad abitare nelle Contrade della Croce, di San Simeone Grando o Apostolo, San Simeone Piccolo o Profeta, San Giacomo dell'Orio, e San Pantalon e lavorando sotto il controllo dei Magistrati e Lanaioli della “Camera del Purgo”.
Si era, invece, nel 1566, quando Voltier de Voltier, Gastaldo di Thodeschi dell'Alemagna Alta, et della Scuola della Madonna Santa Maria de Carmeni notificò che la sua Confraternita possedeva “…in contrà de Sancta Croce in Venetia, in loco detto “il Businello” … varie casette, ed un locale con tre camere le quali habitemo noi Thodeschi con la nostra famiglia …”
Viceversa, la “Cronaca Veneta Sacra e Profana”racconta che la chiesa ed il Convento del Gesù e Maria furono fondati nel 1620 o 1623:
“… da due Patrizie Venete Angela Maria e Lucia Pasqualigo sorelle reduci da Candia, le quali con altre sedici donzelle pur nobili, si ritirarono in una casa con terreno vacuo, di ragione dell'Ospitale de' Tessitori Tedeschi, posta in contrada della Croce, in Campo della Lana, in un luogo detto il Businello, ch'ebbero ad affitto dalli Procuratori sopra gli Ospitali …”
Che all’inizio abbiamo comprato il terreno e le caxette le Monache dai Testori o viceversa, poca importa, certo è invece, che il Patriarca Giovanni Tiepolo consacrò la chiesuola del “Gesù e Maria” nel 1623 ponendovi Cherubina Balbi, già tre volte Badessa al Sant’Andrea della Zirada, come nuova Badessa del Monastero. Diventate ben presto 20, leMonache, che i Veneziani soprannominarono subito confidenzialmente “Muneghette”, non mancarono, come il solito, d’allargare le loro proprietà in direzione del Rio dei Tolentini e del Rio e Rielo della Croxe, edificando una nuova chiesa, un Convento con parlatoio, e un bell’orto da coltivare. I Tessitori di Panni Tedeschi da parte loro, edificarono un Ospizio per “Compagni poveri o inabili al lavoro”riattando alcune loro basse caxette, seguendo le regole e con la sorveglianza dei Magistrati appartenenti ai “Provveditori Sopra gli Ospedali, Lochi Pii e Riscatto delli Schiavi”.
Dopo gli anni tristi della peste, le Monache erano rimaste 10, con 6 converse e 3 “fìe a spese” ossia educande ... il Monastero possedeva rendita annua di 40 ducati da beni immobili in Venezia ... e nel giro di pochi anni tornarono nuovamente ad essere: 22, con 9 converse, e le solite 2 educande a spese.
Anche nel 1712 il Monastero possedeva una rendita annua di 50 ducati da pochi beni immobili posseduti e affittati in Venezia ... niente a confronto con le pingui rendite di cui erano dotati tanti altri Monasteri insigni e famosi. Infatti, il Monastero del Gesù e Maria era nella lista di quelli considerati “miseri” a cui la Repubblica riservava una fornitura gratuita d’acqua come per gli Ospedali cittadini.
Nel 1775 Gaetano Callido costruì uno dei suoi famosi organi per la chiesa delle Monache del Gesù e Maria … che avevano raggiunto l’invidiabile rendita annuale di 82 ducati.
Nel maggio 1784, proprio sul finire della storia della Serenissima Repubblica, l’Inquisitore alle Arti Andrea Tron, considerò “in Pregadi” a Palazzo Ducale:
“…il lanificio è decaduto grandemente fra noi …le fabbriche di lana che nei secoli andati producevano sino a 28.000 pezze di panno, e sino al 1559 si riguardavano come il principale sostentamento di Venezia, sono ora ridotte al segno che nel corso d'un anno di lavori producano al più soltanto 600 pezze di pannilana lavorati ...”
Circa una decina d’anni dopo, quando la Venezia Repubblica cadde, e giunse a visitarci quel certo “Napoleon Franzese”, le 23 Monache del “Gesù e Maria” non se la passarono all’inizio di certo molto bene, perché vennero concentrate con quelle del non lontano Monastero di San Andrea della Zirada (la chiesa chiusa accanto al People Mover di Piazzale Roma di oggi). Tre anni dopo però, nel 1810, accadde il peggio a causa della soppressione degli ordini religiosi, e le poche Monache rimaste nel Convento vennero senza tante maniere eleganti secolarizzate e cacciate via. I locali vennero chiusi e venduti a privati che li adattarono a magazzino.
Solo nel 1821, su interessamento del Piovano di San Cassiano Domenico Bazzana, il piccolo complesso religioso venne riaperto al culto introducendovi sette Monache Servite Eremitane col nuovo titolo dell'Addolorata.
Le Monache “raccogliticce”, fra cui c’erano 2 ex Suore Francescane, 1 ex Suora Domenicana ed 1 ex Monaca Carmelitana disperse dalla bufera napoleonica, ma ancora desiderose di proseguire per quella “strada”, decisero che la dote necessaria per monacare eventuali nuove Suore era di 6.000 lire italiane … Il riacquisto del Monastero dal Demanio dello Stato era costato al Parroco 11.000 lire venete, e altre 8.000 lire si dovettero spendere per il rifacimento del muro dell’orto abbattuto da un nubifragio, e ben 31.000 lire per la costruzione d’infermeria, cucina, refettorio e 18 camere per le Monache ... Tuttavia, più della metà di quelle somme risultarono già pagate in quello stesso anno.
Quando nel 1830 il Patriarca Monico visitò il Monastero, ne descrisse “l’andamento” nelle sue carte.
“…Le monache sono in tutto 36: di cui 15 professe, 14 converse, 4 novizie, la Badessa, la Vicaria e la Maestra delle Novizie. Inoltre ci sono 2 oblate. Il Monastero, che non accoglie educande, impegna le Monache in una vita corale di preghiera per 10 ore al giorno, lasciando il resto a “Lavori devoti”. La dote necessaria per la professione di una nuova Monaca è di 1.400 lire venete, e le monache vivono “povere”. Se avanza qualcosa in pane ed in denaro si dona ai familiari indigenti ... Le entrate di un semestre sono state di 17.540 lire venete di cui: 9.635 dalla cassa pensioni, 2.008 dalle doti, 807 da elemosine di benefattori, 993 per saldo di dote, 1.240 per professione. Le uscite sono state, invece, di lire 15.830 di cui 3.619 per vestiario ed arredamento, 2.265 per carne e pesce, 2.454 per vino e farina, 2.265 per spese di casolìn e per legna, 171 per medico e medicine ... Nella chiesetta si conserva con decenza il Corpo di Santa Savina Martire, e altre preziose e Sante Reliquie … e in essa è attiva e si raduna fin dal 1653 la “Compagnia di Devozione della Scala Santa”, e dal 1747 anche la “Compagnia di Sant'Adriano del Suffragio per i Morti” che si recava ad Officiare in Laguna nell’isola di San Ariàno la prima domenica di ogni mese di giugno, prima che il Magistrato abolisse nel 1785 le 22 Compagnie interdicendo l’accesso all’isola …”
Non doveva essere brutta la chiesetta del Gesù e Maria, perché aveva su diversi altari pitture di Pietra Mera, un soffitto e altri quadri vari di Angelo Venturini, un'opera “alla maniera di Giovanni Bellini”, e una “Vergine con Sn Giuseppe, Sant’Anna e San Giovanni Battista” dipinto da Domenico Tintoretto.
Ancora nel 1853 quando le Monache del “Gesù e Maria” erano 18, chi visitava in un giorno qualsiasi la povera chiesetta del Gesù e Maria “recitando un solo Pater e un Ave Maria”, poteva guadagnare un’indulgenza non plenaria di 50 giorni per se stesso, per i vivi e per i Morti … mentre se l’avesse visitava devotamente e con elemosina nei venerdì’ di Quaresima, l’indulgenza conseguibile sarebbe stata quella totale ossia “la plenaria”.
E siamo giunti ai giorni nostri, tanto è vero che possediamo addirittura alcune foto di quella chiesa che non esiste più ... Ed è stato solo nel 1955 che la chiesetta venne demolita per consentire l’ennesima speculazione edilizia di un certo Cicogna, che demolì caxette ed edifici religiosi per sostituirli con delle belle abitazioni popolari "moderne" visibili tutt’oggi ... in quel che resta dell’antico “Campo della Lana”.