#unacuriositàvenezianapervolta
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I vestiti dei poveri …
sulla Marittima del Porto di Venezia nel 1977
… quasi ieri.
Verso
la fine degli anni ’70, arrivavano numerose chiamate al Rettore del Seminario di
Venezia … Il Seminario per chi non lo sa, era ed è ancora oggi la “fabbrica-fucina”
dove s’inventano e costruiscono i Futuri Preti Veneziani … Fra quelli c’ero
anch’io “in gestazione” in quegli anni … Le telefonate insolite,
dicevo, provenivano da alcuni Reverendi, Rettori e Preti-Piovani di chiese e
parrocchie della nostra “Città Bagnata”. Avevano bisogno di qualche
volonteroso che non riuscivano a trovare, per liberarsi finalmente dai numerosi
sacchi e sacchetti gialli pieni di abiti e indumenti usati donati dai Veneziani
alla Charitas. Ne avevano dei veri e propri mucchi rimasti a giacere inevasi e accatastati
negli angoli delle chiese ... Non era di certo un “bel vedere”
per turisti e Fedeli che mugugnavano infastiditi: “Quèa ròba fa
sporcizia, e ciàma anca bèstie.” raccontava un pingue e rotondo
Monsignorotto preoccupato: “Da qualche tempo gho parfin e pantegane in
cièsa ... Bisogna sbolognàr via tutta quèa ròba spussolente e malciapàda … E
anca in fretta ... Sjor Rettor ? Nol pòl minga prestàrne qualchedun de i so
giovanotti ?”
I
giovanotti “di buoni propositi” saremmo stati noi, di solito chini
giorno dopo giorno sui libri, e in alternativa a “sparàr preghiere verso
il Cielo di Venezia”… Era vero: eravamo quasi tutti arzilli e pimpanti
oltre che giovanissimi, e pieni d’energia da vendere e regalare se serviva …
Perché non utilizzare noi ? … “A gratis” ovviamente … come gesto
spontaneo di Carità da parte nostra e di quel Seminario che di solito riceveva
parecchia beneficenza dai Veneziani.
“C’è
qualcuno che si offre spontaneo per quel lavoretto ?” disse il Rettore
Silenzio
come risposta …
Il
Rettore aspettò da consuetudine un rispettoso minuto, poi col suo solito sorrisetto
da furbo disse senza ammettere repliche:“Sabato pomeriggio: tu, e tu, e
tu ... e anche tu … Vi recherete a dare una mano nelle chiese del vicinato …
C’è da sgombrare qualche sacco di vestiti della Charitas … Sarà una cosa
veloce, un affare da poco: toccata e fuga … Sarete di sicuro di riorno per cena
… Prendetelo come un pratico e sano diversivo … Vi farà bene un po’ di
movimento fuori da queste mura.”
Di
solito il Rettore comandava tutto e tutti … e noi si obbediva: chi più e chi
meno, chi poco e chi tanto.
Fra
quei “tu … e tu … e anche tu.” come avrete di certo già intuito,c’eravamo anch’io col mio fido compagno di classe Paolo, e qualche
altro “fortunato selezionato” più o meno della nostra età.
A
noi due in fondo garbava abbastanza la cosa, perché era un’altra occasione per
poter uscire e andarcene a “ficcanasare e intrufolarci” in giro
per Venezia … Lo facevano ogni volta che potevamo, in senso benevolo ovviamente,
e non perdevamo occasione per andare a infilarci dentro a quelle chiese di cui
tanto si parlava, e a incontrare una volta di più “sul posto”
quei Preti a cui tanto avremmo dovuto ispirarci ... più o meno in verità.
Venendo
al dunque della storia: dietro al cortile del Seminario, in fondo alla
Fondamenta delle Zattere verso la Dogana, quel sabato pomeriggio si presentò a
prenderci un attempato tuttofare di una delle chiese della zona. Guidava una
malandata barcaccia (una toppetta scassàda), che a vederla pareva
intenzionata ad affondare entro sera.
Con
Paolo mentre salivamo dentro ci scambiammo uno sguardo: “Finiremo in
fondo al Canale della Giudecca entro sera ?”
Ci
ridemmo sopra ovviamente, e salpammo arzilli come grilli dentro alla
traballante imbarcazione: “Andiamo allora ! … Mollate la cima dalla riva … che si va.” ci disse l’ometto col
cappello sghembo calcato in testa portando al massimo i giri del motore … La
barchetta sussultò, ansimò, fremette tutta, e alzò la prua sull’acqua
affrontando l’onda controcorrente: “Faremo tappa nella chiesa dei
Gesuati, poi passeremo per San Trovaso, San Sebastiano, l’Anzolo Raffael, i
Carmini e i Mendicoli.” ci urlò l’ometto da dentro il frastuono scoppiettante
del motore governando il timone di quella bagnarola galleggiante.
“Che
bel giretto turistico in barca !”
mi fece Paolo: “Sono sicuro che ne vedremo delle belle anche stavolta.”
Io,
invece, covavo un mio sospettoso presentimento … Ma non ebbi tempo di pensarci
più di tanto, perché qualche minuto dopo già approdammo accanto al chiesone di Santa
Maria dei Gesuati sulle Zattere.
Bussa
e ribussa, e bussa ancora alle due e mezzo del pomeriggio, mentre diversi
passeggiavano passandoci accanto gustandosi il famoso gianduiotto di Nico … Niente:
non ci rispondeva nessuno.
“Avranno
il campanello rotto … Bussa ! Chiama ancora dai !”
“Eppure
sono stati loro a cercarci e chiamarci … Boh ?”
Suonammo
il campanello fino ad affondarlo nel muro della Canonica, e finalmente s’aprì
un balcone in alto al piano di sopra. Spuntò la Perpetua del Piovano con
l’asciugamano avvoltolato sui capelli: “Che volete ? … Chi siete ?”
“Siamo
venuti per caricare i sacchi con i vestiti della Charitas … Ha chiamato il suo
Piovano … e ci servirebbe che …”
“Ah
? Non ne so niente … Adesso il Piovano sta riposando, e non lo vado di certo a
disturbare … Passate più tardi.”
Neanche
il tempo di dire: “ma”, che già lo scuro della finestra era stato
richiuso.
Ci
guardammo perplessi, e incerti sul da farsi ... Finchè fu l’omino a scuoterci: “Non
importa … Passeremo un’altra volta … Andiamo oltre.”
Saltammo
quindi di nuovo in barca, e un’altra volta partì scoppiettando il motore …
Qualche centinaio di metri d’acqua oltre, e già eravamo pronti ad approdare sulla
riva di San Trovaso accanto al famoso e superbellissimo Squero ...
Anche là: tutto chiuso, tutto silente e sbarrato … Nessuno ad aspettarci o
accoglierci … Ovviamente suonammo alla porta di casa del Piovano … Suona e
risuona … e finalmente ci ha aperto il Prete, anche lui evidentemente appena
fuoriuscito dalla siesta pomeridiana: “Ho capito che cosa siete venuti a
fare … Prendo le chiavi e andiamo.”
Ed
effettivamente qualche minuto dopo siamo entrati nel chiesone chiuso e deserto
guidati dal Prete col collare ancora spalancato sul collo:“Non c’è a
quest’ora il Sacrestano per condurvi in magazzino a prendere quanto c’è
ammassato … Prendete però tutti quei sacchi sparsi in giro per la chiesa, che
sono davvero bruttissimi da vedere …
Soprattutto quelli accanto all’altare, e quelli sotto all’organo all’ingresso.”
Detto
fatto … Un attimo dopo già avevamo caricato il nostro sconquassato carretto … e
un attimo dopo ancora: avevamo già tradotto tutto dentro alla barchetta
attraccata alla fondamenta del Rio di San Trovaso.
Ciao
… Ciao … Grazie e prego … e ripartimmo alla volta di San Sebastiano e
dell’Anzolo Raffael.
A
San Sebastiano: la bella chiesa tappezzata dai dipinti del Veronese,
davvero quei sacchetti gialli ammucchiati ovunque alla rinfusa facevano
ribrezzo per non dire di peggio ... Ci aprì una porticina minuta una Suorina
che pareva scappata fuori da una fiaba, e il Rettore aprì il resto poco dopo spalancandoci
il gran portone.
Caricammo
a testa bassa in barca non meno di cento sacchi di vestiario e aggeggerie varie
... e poi via di nuovo a pochi passi: all’Anzolo Raffael gestita
dall’ossuto quanto risaputo scontroso Piovano. Lo trovammo stranamente
accogliente e affabile: soprattutto perché lo liberavamo dall’impiccio dei
sacchi … Avanti e indietro un po’ di volte fino alla barca, e finalmente la
chiesa fu sgombra da quei monticelli di odorosi sacchi gialli.
Neanche
grazie, né un saluto … Il Piovano dell’Anzolo ci chiuse la porta in faccia, e
via: “Lo conosco bene ... Non c’è niente da fare: è fatto così.” ci
spiegò l’ometto conduttore della barca: “Vi garantisco che ci è anche
andata bene: di solito azzanna quelli che incontra.”
Buon
viso a cattiva sorte … Ridemmo e ripartimmo infilandoci nel vicino Rio-Canale
diretti alla volta del sontuoso chiesone dei Carmini. La barcaccia
ormai era stracolma di sacchi: il bordo era giusto a pelo d’acqua ... Eravamo
già belli pieni insomma: “Andremo a fondo fra poco ?” mi disse
Paolo.
“Forse
anche no.” risposi io: “Se
questo qua ci saprà un po’ fare ... Potremo anche arrivare intatti alla
Marittima del Porto.”
E
approdammo così sulla riva davanti al bel chiesone dei Carmini che era aperto.
Mai
e poi mai, e ancora mai: avrei immaginato che dopo qualche anno sarei finito proprio
lì dentro “a fare e vivere da Prete”.
Approdammo
dicevo … Beh: non esattamente … Provammo ad approdare col nostro barcotto stracolmo,
perché le rive erano già del tutto occupate da molte barche ormeggiate in
doppia e tripla fila. Il nostro “capobarca” non si scompose:
saltabeccò un po’ qua e un po’ là, sciolse qualche corda, spinse qualche barca,
e in poco tempo fece spazio alla sua barca davanti alla chiesa.
Non
l’avesse mai fatto ! Si spalancò una porta di una delle case di fronte, al di
là del canale, e spuntò fuori un tale Narciso “fittabatèle”(affittabarche)
che pareva un tornado scatenato: “Come ti te permetti de molàr e me
barche senza domandarme ! Aseno !”
E
via ! … Non vi dico il resto: un uragano di parole, alle quali il nostro
barcarolo rispose però ampiamente per le rime.
“Cossa
xè sta storia ? A xè per caso tutta tua Venèssia ?”… e molto altro.
Molla
tira e tira molla … Mise fine alla focosa disputa il Piovano spuntato sul
balcone di casa sua, proprio affacciato sul Campo dei Carmini:“Xè par
un’opera bòna Sjor Narciso ... Lasci fare: faranno presto ... Non si agiti per
così poco.”
L’ometto
esagitato si spense subito, e si ritirò mugugnando in casa sbattendo la porta
che sussultò sui cardini … Via libera.
Entrammo
allora in chiesa guidati dal Piovano sceso di sotto avvolto nel suo gonnellone
bottonuto, lungo e nero … In pochi minuti sgomberammo tutta la zona
dell’ingresso entrando a destra, dove stavano ammonticchiati un bel po’ di
sacchi ... La barca traboccava ... era stracolma.
Pensavamo
già d’aver terminato, quando il Piovano se ne venne fuori: “Eh no ! … C’è
ancora dell’altra roba di qua.”
E
di nuovo: detto fatto … ci accompagnò oltre metà chiesa in un locale nascosto
fra l’organo e le Sacrestie dove c’era per davvero un’altra montagna di
sacchetti di vestiti. Ci guardammo in faccia incerti.
Non
c’era alternativa però: eravamo venuti per questo … Il Piovano ci prese anche
gusto a darci ordini: “Tu prendi quello ! … E tu quell’altro … e tu: quell’altro
ancora … Portate via anche tutti quelli là … Anche gli scatoloni se volete … Quelli
là in fondo.”
Pareva
un direttore d’orchestra … Non toccò né mosse neanche un solo sacco.
L’omino
della barca allora se ne venne fuori: “Monsignòr ! No sèmo minga i
spazzini eh ?”
In
quel momento se ne giunse anche il Sacrestano Giovanni apparso
assonnato e sorridente: “Bravi ! …. Bravi ragazzi ! … Fate un bel lavoro.”… ma pure lui non mosse un solo dito per aiutarci ... Quindi: carrettata dopo
carrettata, portammo via tutto … o quasi … Proprio mentre stavamo salutando, si
spalancò la porta laterale della chiesa, ed entrò un’anziana signora in lacrime
accompagnata da uno smilzo giovinotto, forse suo nipote, che spingeva un altro
carretto pieno di sacchi e vestiti.
“Eh
no !” fece Paolo:“Ancora ? … Dove metteremo
tutta sta ròba ?”
La
sconosciuta donnetta, non ci diede modo di dire neanche una sola parola. Ci
ammansì subito: “Ecco qua ragazzi ! … Questi sono tutti i vestiti del mio
povero marito, che se n’è andato da poco …” e giù a piangere
inconsolabile coccolata dal giovane nipote.
“Ci
tengo molto che questi abiti di tutta la sua vita finiscano in buone mani: ai
poveri possibilmente … Mi fa piacere se qualcuno li indossa: così da prolungare
in qualche modo l’eleganza con cui li portava mio marito … Quanti ricordi su ciascuno
di questi abiti: ognuno ha una storia … Potrei stare qua fino a domani a
raccontarvele … Sono per la maggior parte abiti preziosi: da sartoria … Fatti a
mano e su misura. Vedete questo cappotto di cammello, ad esempio ? Con questo
siamo andati fino a Roma, dove ci ha ricevuto il Papa. Che gran ricordi ! Abbiamo
fatto un bel figurone quella volta io e lui: eravamo proprio la coppia più
bella: lo dicevano tutti … Eravamo sempre a posto: sempre eleganti e ben
messi.”
Un
fiume in piena di parole … e lacrime dappertutto.
Che
dirle ?
Niente:
“Siamo qua per questo Signora” le disse Paolo provando a
consolarla … Non l’avevamo mai vista: “Sarà di sicuro un onore per chi
indosserà questi abiti Signora … Porterà addosso un po’ della vostra storia.”
La
donna se lo mangiò con gli occhi, e lo abbracciò inondandolo di ulteriori
lacrime.
Poi
s’intromise finalmente il Piovano: “Li lasci stare adesso Signora … Che
hanno poco tempo, o faranno tardi col Seminario.”
“Oh
cari ! … I xè dei Pretini ?!? … Che a Madonna ghe benedissa i studi ! … Che
tesori !”
“Già
… I studi !” fece Paolo
guardandomi d’intesa: “Ne avremmo proprio bisogno.”
E
scoppiammo a ridere memori dell’insufficienza in matematica che avevamo appena guadagnato
a scuola la stessa mattina.
“Speremo
proprio che a Madonna dei Carmini fàssa el miracolo.” mi scappò di dirle, col Piovano che mi guardò
storto ... anzi: losco.
Mai
anche lui avrebbe immaginato che quel ragazzotto spiritoso che aveva di fronte
sarebbe diventato dopo qualche anno “il suo ViceParroco.”
“Dai
Dai !” ci fece il barcarolo intrufolandosi
nei discorsi: “Che è già tardi.”
E
infatti lo era … Insomma: caricammo all’inverosimile la barca … e ci guardammo:
“Questa affonda.” dissero sconsolati gli altri nostri compagni: “Io
lì dentro non ci salgo più.” fece uno di loro.
“E
neanch’io.” si aggiunse un
altro: “Non voglio finire in ammollo in mezzo alle navi della Marittima.”
E
di nuovo: “ipso facto”, la maggior parte della nostra combriccola
decise di mettere fine “all’impresa”, e se ne andò via prendendo
la strada del rientro in Seminario ... Rimanemmo soli: io, Paolo e il
barcarolo.
Ci
guardammo perplessi ancora di più … ma rassegnati … Il nostro innato senso del
dovere soprattutto, ci diceva che la cosa andava portata a compimento.
“Dobbiamo
raggiungere la Maritima del Porto di Santa Marta”, ci spiegò l’ometto: “Sulle banchine c’è
parcheggiato un grosso Vagone-Merci dove scaricare tutti i vestiti per i poveri
della Charitas di Venezia ... E’ là che siamo diretti: dobbiamo portare là i
sacchi là, scaricare la barca, e restituirla entro sera.”
“Come
sarebbe che dovremo scaricarla tutta ? … Ma chi ? … Solo noi tre ?”
“Certo
… E chi altrimenti ? … Soprattutto dovremo sbrigarci perché devo restituire la barca ...
Non vorrete mica che mi venga a costare il doppio ?” borbottò il capobarca, che sembrava anche un
po’ divertito ... ma non troppo.
A
me e Paolo prese un transitorio attimo di panico … Non c’era alternativa però:
c’eravamo solo noi tre a disposizione ... Quindi sfidando le onde e l’acqua del
Canale della Marittima, che ogni minuto di più tracimava dentro
alla nostra barca riempendole il fondo, c’infilammo nel Canale della
Scomenzeradel Porto, e finimmo così con l’andare ad
approdare su una banchina sopra alla quale troneggiava un solitario vagone
merci già mezzo pieno di sacchi di vestiti.
“Mamma
mia !” fece Paolo: “Tutti questi
sacchi dobbiamo scaricare ?”
“Già
…” feci io: “Proprio tutti ... e
fin lassù in alto.”
L’ometto
dato un paio di veloci giri di corde imprigionando la barca su grossi anelli
che pendevano dalle banchine, e ad una appariscente e massiccia bitta nera che
spuntava in alto, ci disse perentorio: “Dai ! Diamoci da fare … Che è
tardi ... Io salgo sulla riva, e voi mi passate tutti i sacchi dalla barca.”
C’era
una scaletta metallica infissa dentro al muro di pietra delle banchine della
Marittima ... Insomma: issa, issa … e
ancora: issa pesantemente i sacchi sulla banchina, li spingemmo tutti su ad uno
ad uno accatastandoli dentro al vagone che troneggiava sopra le nostre teste.
Fu
una cosa faticosissima … Noi eravamo abituati a stare per ore e ore sui libri,
con le mani senza calli, quasi mai impegnati in lavori pesanti di quel genere…
In alternativa andavamo a pregare, o a suonare, o a giocare a pallone … ma mai
a sgobbare in quella maniera.
O
meglio: ci capitava raramente di farlo ... Per fortuna che ci venne in aiuto la
forza della nostra freschezza giovanile, e la voglia di fare qualcosa di utile
e buono.
Ogni
volta che passava un vaporetto o una barca era un disastro. Le onde ci
spingevano a sbattacchiare con la barca su per la banchina, imbarcavamo acqua,
e dondolavamo paurosamente. Ci tenevamo stretti come potevamo per non finire in
acqua … La barca sembrava non svuotarsi mai del tutto, né la pancia spalancata del
vagone riempirsi più.
Ve
lo garantisco: fu un indimenticabile pomeriggio … Mi sembra ieri che riempimmo
del tutto quel “vagone con i vestiti dei poveri”.
Ancora
oggi dopo quasi quarant’anni, passando quasi ogni giorno lungo la Marittima
del Porto di Santa Marta per recarmi al lavoro all’Ospedale, non posso
non riconoscere il luogo preciso dove quella volta ormeggiammo il nostro
semiaffondato barcone.
Era
emozionante però … almeno per me … trovarmi dentro a quel che rimaneva del
vecchio Porto di Venezia … Ci trovavamo in mezzo a una foresta di binari e
scambi sparsi ovunque, che andavano a infilarsi dentro a capannoni, tese,
portici e magazzini del Porto … C’erano intorno mille carri merci agganciati in
lunghe file, e barche, rimorchiatori, navi mercantili e chiatte di ogni genere
e grandezza ... Alcune erano lì ormeggiate da giorni, altre erano appena arrivate,
altre ancora: fumanti, erano quasi pronte per partire.
Il
Porto era grande: spalancato e aperto … Vuoto e pieno insieme … Non vedevamo
nessuno in giro, ma allo stesso tempo sapevamo che lì ferveva il lavoro dei
Veneziani … Eravamo davvero piccini con la nostra barchetta stracolma quando
passavamo accanto a quei grossi mastodonti galleggianti di ferro scuri.
Uno
degli ultimi vagoni merci di quel genere è rimasto parcheggiato a Santa Marta per
decenni fino alla fine degli anni '90 ... Ogni volta che lo vedevo ripensavo
sempre a quel nostro vagone di quel pomeriggio.
Non
l'avrei mai detto che 40 anni dopo sarei stato ancora là... Anzi: che sono 40
anni che calco quelli stessi luoghi vedendoli trasformarsi anno dopo anno in
qualcos'altro. Neanche non esisteva quel giorno la strada che percorro oggi ogni
giorno … Il Porto di Venezia allora era ancora una febbrile Cittadella chiusa,
arroccata su se stessa, guardata a vista dalla Guardia di finanza mentre
ferveva delle ultime attività della sua storica epoca.
Solo
alcuni personaggi particolari, come la mitica Suor Angelica,
riuscivano ogni tanto a entrarvi mettendoci lo zampino ... e le mani soprattutto,
su cose dismesse e scaricate destinandole a chi a Venezia ne aveva più bisogno
… Quanti carichi di frutta, verdure, patate e zucca, e tonno e castagne abbiamo
racimolato, trasportato e scaricato nella dispensa del Seminario provenienti
dalle banchine del Porto Veneziano. Stessa sorte accadeva per altri luoghi
cittadini della Carità: Orfanatrofi, Case-Famiglia, Case di riposo o di Vecchi
solitari, Asili di Bimbi, e Conventi di Monache di Clausura dalle economie
stentate.
La
mitica Suor Angelica riforniva un po’ tutti recuperando mille cose dalle navi
del Porto.
Ricordo
ancora nel Seminario: per una settimana, ad esempio, mangiavamo di continuo
patate provenienti dalle navi del Porto … Poi era il turno dei: fichi … E allora
si mangiava: fichi, fichi, e ancora fichi … Un’altra ancora: zucca, zucca …
zucca barucca ... E avanti così.
Ci
ridevamo sopra allegramente, e mangiavamo “quel che passava il Convento” a
colazione, pranzo, merenda e cena ... Non c'era altro a disposizione, e per noi
giovanissimi straripanti d’energie la fame era tanta … quindi …
Per me,
come per tutti, il Porto era una parte di Venezia “off limits”,
una parte di Venezia un po’ misteriosa e preclusa … Era impossibile entrarci …
Perciò quel giorno in cui vi andammo con la barca, fu una piccola avventura per
me accedervi … Non dimenticherò mai il fascino di quelle navi e di quei luoghi
… né quelle rive altissime che quasi non riuscivamo a salirle giusto nell'ora
della bassa marea.
Comunque:
che fatica alzare tutti quei sacchi stracolmi e fragili sulle nostre teste e
spalle … Spesso scoppiavano e si sfasciavano coprendoci con una pioggia di
vecchie zimarre, palandrane muffose inverosimili, pantalonacci logori, calze,
scarpe e mutande, e gonne fiorite che si usavano mille anni fa.
“Tanto
vale ! ... Per i poveri questo è altro.”
esclamava Paolo ogni tanto provando a motivarci entrambi:“Così ci rendiamo
un pò utili … e facciamo una cosa buona.”
Sentivo
che sotto sotto aveva ragione, ma pareva non terminare mai, che non riuscissimo
mai a scaricare del tutto quel benedetto barcone … Ogni volta che passava un
natante la barchetta mezza affondata continuava ad ondeggiare minacciando d'affondare
… Ci tenevamo stretti sui bordi per poi riprendere a lavorare e scaricare
passata l'ennesima onda.
Salendo
ogni tanto sulla banchina mi guardavo intorno. C'erano ovunque gru di tutte le
fogge e misure, e larghe basi rialzate di cemento: “Lì non c’erano
impiantate vecchie gru rimosse.” ci spiegò il nostro barcarolo: “Durante
la guerra c'era posizionata la contraerea del Porto.”
S’intravedevamo
magazzini pieni di pile di cose, montagne di sacchi, polveri, farine, acciaio, barili,
e mille altre merci giunte a Venezia da chissà quale porto del mondo … Eravamo curiosissimi,
ma il nostro barcarolo ci richiamava subito al lavoro: “Dove andate ? …
Dai che si fa notte ! …. E c’è ancora mezza barca da scaricare.”
Navi
rugginose dipinte di nero si stagliavano attorno sulle banchine dove partendo lasciavano
dipinto un nome e una data a ricordo del loro passaggio … Non c'è ormai più quella
scaletta in ferro che abbiamo salito e disceso mille volte quel pomeriggio col
terrore di cadere di sotto in acqua: se l'è mangiata la ruggine del tutto
durante gli anni.
Già
imbruniva quando spingemmo su sfiniti gli ultimi sacchi gialli traendoli dalla
barca e pigiandoli a forza dentro al vagone ormai stracolmo … Finalmente s’era
sollevata la barca sul pelo d’acqua del canale, pur mostrandoci il fondo
parecchio invaso dall’acqua … Quando passava qualche barca adesso la barca ormai
vuota pareva agitarsi e dondolare sull'acqua impaziente d’andarsene.
Con
la sera gelida e umida giunse anche una pioggerellina fastidiosa ... Già
pregustavamo il fatto di andarcene finalmente mollando gli ormeggi, quando con
uno schiocco e un balzo un sacco giallo si staccò da quelli ammonticchiati
dentro al vagone, e rotolò giù fuori, rimbalzando e finendo direttamente in
acqua.
“Ci
mancava anche questa !” borbottammo
di malavoglia, e ci mettemmo subito freneticamente a recupere il sacco prima
che affondasse del tutto.
Stenterete
forse a crederci … Fatalità: era proprio il sacco che ci aveva consegnato la
donnina in lacrime che avevamo incontrato ai Carmini. L’abbiamo riconosciuto
recuperandolo zuppo dal canale: era proprio quello ... Cadendo in acqua s’era
squarciato ... e gli abiti s’erano sparsi sulla banchina, mentre una parte
galleggiava a pelo d’acqua.
Mentre
faticosamente issavamo in barca quei resti, mi struggevano le parole che ci
aveva detto la donnina, di come erano preziosi quegli abiti, e quanti ricordi e
storie aveva ciascuno di loro … Ricordavo anche la speranza che aveva, che quegli
abiti potessero essere indossati dignitosamente da qualcuno ... Adesso li
vedevo là galleggiare bagnati, o sparsi e rovinati, o affondati sott’acqua.
Mi
diede un colpo di mestizia vedere proprio quel sacco scoppiato e sfondato, mezzo
vuoto, che traemmo su a fatica in barca.
Mi
ha fatto riflettere quel sacco con le sue storie connessa ... Tanto è vero che lo
ricordo ancora.
Puzzavamo
come caproni alla fine, ed eravamo zozzi e madidi di sudore, scuri in volto, e
stanchi per quella fatica a cui non eravamo abituati. Quando scese la sera e la
notte ingoiandosi il Porto di Venezia infiocchettandolo di mille luci, quasi
fosse un albero di Natale fuori stagione, la barchetta ci portò scoppiettando e
tremolando nel buio fino alla Zattere.
L’ometto
volontario desideroso quanto noi di mettere fine a quel pomeriggio riconsegnando
la barca, quasi non si fermò accostandosi appena all’imbarcadero di San Basilio
... Ci fece solo un cenno mentre saltammo a terra … Neanche un grazie, né una
parola, o un saluto prima di lasciarci … Non l’abbiamo più rivisto.
Non
ci ringraziò di quella faticaccia neanche il Rettore del Seminario, e tantomeno
i Preti delle chiese Veneziane.
Avevamo
fatto quel che c’era da fare: è vero … Ed è altrettanto vero che la Carità non va
strombazzata, dev’essere muta, quasi segreta e silenziosa, avvolta d’umiltà ...
Tutto vero: ma almeno grazie.
Per
giorni sia a me che a Paolo fecero male le mani, i muscoli delle braccia e delle
gambe, e la schiena … Poi passò tutto, ed è rimasto solo questo pallido ricordo
che conservo e rispolvero ancora oggi.
Le
banchine del Porto di Venezia … Già … Quante storie di storie, e quanti
significati sono accaduti là: qui a Venezia.
Qualche
giorno dopo nella Biblioteca del Seminario mi è capitato in mano un volume che
parlava della storia fascinosa, granda e avvincente del Porto, dei traffici, e
dei Mercanti della Serenissima, che per secoli hanno fatto grande la nostra Città
affacciandosi sui Moli di San Marco e di mezzo Mondo.
Quante
cose sono partite e arrivate a Venezia ! … Per secoli e secoli.
Fino
a qualche decennio fa, quello di Venezia era ancora un Porto vero … Solo più
tardi s’è trasformata nel Porto Croceristico delle Grandi Navi prima di
spegnersi per le proteste e al tempo del Covid … Adesso da qualche anno: non c’è
più niente, tutto è fermo … come morto.
Non
si parte né si arriva quasi più nel Porto di Venezia. E’ terminata, almeno per
ora, la prestigiosissima Portualità Veneziana di successo che è durata secoli.
Leggevo
curioso sulle pagine del libro: “Durante tutto il 1854, sono arrivati a
Venezia 630 Bastimenti di Lungo Corso carichi di 138.545 tonnellate di merci, e
ne sono ripartiti 533 pieni con 115.939 tonnellate ... Ne sono arrivati poi
altri 1492 di Grande Cabotaggio, e partiti altri 727 … Solo 20 sono ripartiti
vuoti ... A questi si sono aggiunti ulteriori 1.614 Bastimenti di Piccolo
Cabottaggio, che hanno portato a Venezia altre 78.933 tonnellate di prodotti,
ripartendo in 16 vuoti, ma altri con 20.497 tonnellate di nuovo carico di merci.”
La
tabella degli anni seguenti mostrava più o meno gli stessi dati, però al rialzo.
C’era stato un ulteriore incremento dei traffici sia in entrata che in uscita
da Venezia. In quegli anni insomma: il Porto Veneziano era ancora più vivo che
mai … Ed era popolato giorno e notte da un’intera folla di Spedizionieri,
Marittimi, Scaricatori, Ormeggiatori, Gruisti, Magazzinieri, Ferrovieri e
Portuali, nonché da Guardie Marittime che sorvegliavano la Frontiera
Internazionale.
Oggi
è tutto scomparso ... Rimane poco: un pugno di sbiadite e scure foto, che in
qualche modo riassumono i posti, i luoghi, i tempi, e il lavoro di scarico e
carico che accadeva ogni giorno sulle banchine della Marittima e del Porto di Levante
e Ponente, di Santa Marta, della Scomenzera, e di San Basilio. Nel Porto oltre
ai luoghi del lavoro e dello stoccaggio, c’erano anche Refettori, Officine e posti
del DopoLavoro dei Portuali … Un muro alto tre metri e più divideva il Porto
dal resto del Quartiere di Santa Marta e dei Ferrovieri… E
c'erano in giro ancora gli ultimi Portuali veri: quelli che si calavano dentro
alle immense stive delle navi, quelli che spostavano, scaricavano e caricavano
ancora in buona parte a braccia … Molti erano vecchi“lupi di mare”,
o forse meglio: “Topi di porto”, perchè il mare vero forse non
l'avevano mai visto imbarcandosi, nè tantomeno l’avevano solcato ... Erano: “Marittimi”
dicevano, e “grandi lavoratori” aggiungevano ... Ne ricordo
ancora qualcuno, per la maggior parte attempati, spesso prossimi alla pensione
… Qualcuno era anche un po’ marpione e opportunista, perché sapeva entrare “magro”
dentro al Porto per poi uscirne “grasso”, facendo entrare e
uscire di tutto e di più “quasi magicamente” ... Voglio pensare
che spesso lo facessero per necessità, per arrotondare, cioè per riuscire a
sfamare in qualche modo le bocche numerose delle loro famiglie.
Ancora
nel 1923 sulle Banchine della Marittima del Porto di Venezia lavoravano e si
davano da fare più di 5.000 Portuali Veneziani … ed erano irrisori i flussi dei
“Passeggeri-Turisti-Croceristi”.
Il
21 marzo 1945, il Porto Veneziano venne anche tragicamente bombardato e colpito
dagli Alleati affondando il piroscafo
Tedesco Otto Leonhardt carico di munizioni. Sono state alcune
spie Veneziane “a studiare” Venezia e il suo Porto fornendo agli
Alleati i dati con grande puntualità e precisione per bombardare ... Hanno
prestato orecchi e occhi “a fin di bene”: per poter vincere i
Nazisti.
Nell’idea
dei Tedeschi, Venezia doveva essere snodo cruciale della rete di trasporto e collegamento fluviale dell’Adriatico e della Pianura Padana, capace di sostituire il
traffico ferroviario e stradale che era stato gravemente danneggiato e
interrotto. Gli Alleati, consapevoli del valore artistico di Venezia, decisero
di attaccare il porto della città con un’azione
per quanto possibile chirurgica. L’OperazioneBowler venne
addirittura chiamata “bombetta”, ad indicare il copricapo civile che
avrebbero dovuto indossare i militari bombardieri se avessero malauguratamente
fallito la missione danneggiando qualche monumento importante di Venezia.
L’azione
strategica ebbe pieno successo, e recò notevole danno
all’organizzazione logistica dei Nazisti. L'attività del Porto di Venezia venne
bloccata, così che Venezia non poté più essere d’alcuna utilità ai Tedeschi ...
Due settimane dopo l'offensiva alleata attaccò la Linea Gotica Tedesca ... Mancava poco più di un mese alla
fine di quella stupida quanto orribile e inutile guerra.
Disgraziatamente però, gli Alleati non potevano sapere che nel Porto Veneziano c’era anche un notevole magazzino in cui erano stoccate molte mine marine ... Saltò tutto per arialasciando un cratere di 90 metri di diametro sulle banchine,e l’onda d’urto seguente rase al suolo un edificio di cinque piani del mio Quartiere di Santa Marta causando più di venti vittime compresi bambini, donne e anziani inermi ... Vennero affondate due navi mercantili, un naviglio di scorta e altre imbarcazioni minori. Fu danneggiata seriamente anche un’altra grossa nave da carico, distrutti cinque magazzini del Porto e diverse infrastrutture, e la scuola per la formazione di sommozzatori e siluri a lenta corsa ...
Ma quante morti inutili !
Non è vero quanto riportò in seguito il quotidiano britannico The Guardian: "... che i Veneziani durante quel bombardamento si sentivano talmente sicuri da salire sui tetti ad osservare lo spettacolo dell’attacco aereo.”… Nè era verità che la città se l’era cavata solo con qualche finestra andata in frantumi …
Nel
1970 infine si provvide alla demolizione del Silos Isonzo dei Cereali,
cioè “il Silos Granario” costruito attorno al 1947 (?) se non
vado errato … Il resto lo sapete, perché è ormai storia di oggi.