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“STIORERI, SEMOLINI, GALLINERI E BUTTIRANTI … A VENEZIA OVVIAMENTE.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 66.

“STIORERI, SEMOLINI, GALLINERI E BUTTIRANTI … A VENEZIA”

I Veneziani di un tempo di certo non mancavano d’iniziativa e ingegno, e dove non esisteva un mestiere andavano a inventarselo spesso dal niente facendolo diventare piano piano un’Arte riconosciuta e regolata. Una di queste era la curiosissima Arte degli Stioreri che riuniva gli artigiani che fabbricavano: stuoie, cannucci, corde di paglia, sporte, sedie impagliate. Era di certo un’Arte povera, nata dall’idea di “arrangiarsi per sopravivere”.Infatti, andare a raccogliere in laguna e nel fango delle barene canne palustri per poi intrecciarle era considerato un lavoro infimo, faticoso e di poco profitto … In realtà era un’attività con poca spesa viva per procurarsi le materie prime, bastava la disponibilità a vogare e tagliare canne e “scjore” ... L’unica difficoltà eventuale era rappresentata dalle: “… saltuarie schioppettate caricate a sale se per caso entravi a frugare e prendere canne nelle acque dei Canonici o del Vescovo … Ma si metteva nel conto anche quello …”

Gli Stioreri si consociarono in Arte e si riunirono davanti a un loro Altare nella chiesa di San Silvestro a due passi dall’Emporio di Rialto, dove ancora nel 1790 versavano ogni anno: 8 lire ciascuno d’iscrizione.A dire il vero, l’Arte inizialmente si congregava obbligatoriamente l’ultima domenica di ogni mese nella chiesa della Contrada di San Antonìn nel Sestiere di Castello di cui infatti assunse San Saba come Protettore.

Dichiarava il Piovano di San Antonìn nel 1564: “… la casa della residenza antichissima è tutta marza … in una parte della quale è situata la Scola del Santissimo et San Sabba quale son tutte due una Scuola istessa, la qual mi da ducati 4 all’anno con questo carico di tener continuamente una lampada accesa dinanzi San Sabba et di dirgli 2 Messe alla settimana …”

Sembra però che la prima Fraglia degli Stioreri sia nata nel lontano 1399 forse nell’estrema Contrada di Santa Ternita: una delle più povere e periferiche dell’intera Venezia … Nel giugno 1610, l’Arte delle Stuore pagava 700 ducati annui per 10 anni per mantenere la Flotta da Mar della Serenissima … prolungati prudentemente dalla Signoria per altrettanti 10 ... Ancora nel 1634 ogni giovedì gli Stioreri facevano celebrare una Messa Esequiale all’altare di San Saba a Sant’Antonin per tutti i loro Morti.

Nel 1773 a Venezia esistevano ancora 55 persone che praticavano l’Arte dello Stioriere in 43 botteghe, di cui 3 erano Garzoni di almeno 12 anni d’età, e 52 Capimastri. Erano ancora associati in Arte e Scuola con tanto di Gastaldo, Vicario, Scrivano e 10 Decani, per associarsi pagavano una “Benintrada” iniziale di1 ducato, e versavano in seguito 16 Soldi annui più 8 Soldi di Luminaria per pagare le spese delle candele usate nelle Funzioni religiose e nell’accompagnate i Morti durante i Funerali.

Quella degli Stioreri tuttavia non era l’unica Arte-Mestiere povero di Venezia … Ce n’erano diverse altre con caratteristiche e iniziative simili, sempre senza gloria e con poca Storia illustre. Arti da “contadini e campagnoli” dicevano i Veneziani di un tempo, poco Veneziana … ma che in realtà aveva una sua precisa fisionomia e utilità dentro al poliedrico Emporio di Rialto e soprattutto negli equilibri economici e vittuari del sostentamento popolare dell’intera città lagunare.

Ad esempio, oltre agli Sturieri, esisteva anche la Scuola dell’Annunziata dei Gallinài o Gallinèri e Buttirànti o Pollaioli, Pollaròli o Polamèri o artigiani “Venditori di Uova o Ova” che si occupavano anche di procurare oche, cacciagione e ovviamente burro e affini. Anche questa era un’Arte legata non solo alla Terraferma e all’allevamento di bestiame minuto da cortile, ma soprattutto era un’arte collegata a quella di andare a cacciare con l’arco in laguna o nelle valli da pesca. Si usavano barchette leggere dal fondo piatto, oppure si cacciava “uccellando” ossia  stendendo delle reti sugli alberi o sui cespugli.

Un’antica legge Veneziana del 1173 vietava l’acquisto della selvaggina dagli “uccellatori forestieri” per poi rivenderla, anche se la cacciagione proveniente dal Trevigiano non pagava Dazio per entrare in città. L’acquisto e vendita era prerogativa riservata ai Gallinai e Gallinarie di Venezia che poi rivendeva nelle loro botteghe ... dove tuttavia i Gallinacei non potevano essere tenuti al chiuso e al coperto, ma solo sotto a cesti o “Caponarie”obbligatoriamente aperti sui lati …
Già dal 1312, secondo quanto racconta la Promissione Dogale del Doge Giovanni Soranzo, Galineri e Ovetari (venditori di uova) avevano l’obbligo di fornire e omaggiare il Doge con: “… un paio di buone oselle grandi e 30 denari a Natale, una buona gallina a Carnevale, e una buona colomba di pasta farcita con 14 uova a Pasqua ...”
Gallineri e Buttiranti erano considerate un’Arte di Vittuaria.

A Capodistria nel 1347, le galline si compravano a 2 Soldi l’una, i Polli a 1 Soldo e le uova a 1 denaro l’una, mentre fra 1459 e 1464, secondo un listino ufficioso del Mercato di Rialto:
·      Un paio di Colombi costava: Soldi 15, mentre un solo Colombo grosso valeva: Soldi 5.
·      Un paio di “anitrotti”: Soldi 16.
·      Un’anitra domestica o un paio di Anitre da cortile: Soldi 17.
·      Un paio di Polli piccoli ma grassi: Soldi 13.
·      Un’Oca viva e grassa costava Soldi 12, ma morta e spiumata ne costava 13 perché: “… il tempo è sacro”
·      Una Gru morta e grassa valeva: Soldi 16, mentre una Pollastra grassa poteva valere da 7 a 8 Soldi.
·      Un’Anitra selvatica: Soldi 6.
·      Un Cigno magro: Soldi 10, un Gallo selvatico morto: Soldi 1,09, un Faggiano: Soldi 1,06.
·      Un solo Francolino costava: Soldi 18, mentre 6 ottimi Tordi ne valevano 10 di Soldi.
·      Un paio di Quaglie valevano: Soldi 9, mentre un paio di Colombe selvatiche ne valevano: 4, un paio di “Capponelli”: Soldi 17, un paio di ottime Pernici: 19 Soldi, due “Arcaze” grasse: Soldi 10, due Pollastrelle: Soldi 9, un paio di “Gallinacce”: Soldi 12, un paio di Pavoncelli: Soldi 5, un paio di Totani: Soldi 3.
Negli stessi anni, e sempre a Rialto:
·      5 uova costavano: Soldi 2, ma in anni di magra con la stessa cifra potevi portare a casa solo 3. Se tuttavia ne compravi 20 spendevi solo 1 Lira. A fine giornata, poco prima di chiudere bottega … 50 uova potevano valere in tutto: 10 Soldi invece di Soldi 18. L’importante era che fossero uova fresche e non stantie o addirittura secche ossia:“ovis non rezentibus et siccis”, altrimenti il prezzo precipitava in basso.
I controlli della Serenissima erano severi, mentre le multe erano salatissime anche al solo rifiutarsi di aprire la porta per un’ispezione … Tuttavia, i Fanti che si presentavano a controllare si potevano in qualche maniera “addolcire e ammorbidire” … (ieri come oggi).Si raccontava che un Pestrinaio di Santo Stefano fosse furibondo contro i Fanti per le loro “cerche e indagini interessate”, e li avesse minacciati di ferrarli come i suoi cavalli, mentre quelli di rimando gli avrebbero risposto che l’avrebbero volentieri annientato.

Nel giugno 1502 si decretò:“…i venditori di ova o Gallineri non possano vendere cose simili appresso la Pescheria Vecchia in Rialto, permesso soltanto ad uomini e donne forestieri quali capitano alla giornata …” precisando nel novembre di quattro anni dopo che: “… venderigoli e venderigole non possano vendere altre ova che fresche …”

Come per gli Stioreri, quei lavoranti progressivamente si fecero riconoscere come Arte, e si consociarono anch’essi in una loro Scuola d’Arte con sede in San Giovanni Elemosinario proprio nel cuore dell’Emporio Rialtino a pochi passi dall’omonimo Ponte.
Negli ultimi anni del 1500 le Cronache e i documenti cittadini ricordano che i Gallineri:

“… ottennero licenza dal Consejo dei Diese di poter fondare la loro Schola e far Mariegola con un loro: Gastaldo, Aggiunti, Sindici e Scrivano …”, e il Doge Marino Grimani firmò la concessione alla stessa “… dell'uso dell’Altare dell’Annunziata, il primo a "man sanca" entrando in chiesadi San Zuane de Rialto, e dell'arca (tomba) ricavata ai suoi piedi dove poter accompagnare i loro Confratelli Defunti ...” Lì potevano celebrarvi la Festa Patronale il 25 marzo: “... dando in cambio al Dose ogni anno doi para de fasani".

1649 la Giustizia Vechia approvò la decisione assunta dal Capitolo dei Gallineri di contribuire alla spesa per l'acquisto dei damaschi per ornare la chiesa di San Giovanni Elemosinario ... e il 27 novembre 1727: dopo che il Collegio della Milizia da Mar aveva suggerito per incrementare il gettito fiscale di dividere le due Arti, un decreto dell’Eccellentissimo Senato di Venezia rilasciato in Pregadi a Palazzo Ducale confermò l’unione delle due Professioni che componevano l’Arte de Galineri e Butiranti. Non si voleva provocare un incremento dei prezzi di quei generi di largo consumo in città soprattutto da parte della porzione più povera dei Veneziani.

“Sopra il zelante suggerimento del Collegio della Milizia da Mar per coglier qualche profito nella rinnovazione della Tansa Insensibile sopra l’Arte de Galineri col separar questi dalli Mercanti e Venditori di Ovi e Buttiri, si sono intese le informazioni de Magistrati e Proveditori alla Giustizia Vecchia e Giustizieri Vecchi. Da quanto però resta in esse esposto, come non trova la Prudenza Pubblica motivo d’alterar ciò che anticamente fu stabilito dal Colleggio dell’Arti e da tanti giudizi dell’unione di quelle due Professioni, ma bensì di confermarla. Ben certo poi questo Consiglio che il Collegio della Milizia da Mar nell’incontro d’esaminare la Ritansa all’Arte stessa si regolerà bensì col riflesso al Pubblico interesse, ma col riguardo insieme alle forze della mederna, onde con un maggior aggravio non venga ad alterarsi l’abbondanza nella Città di tal specie di Vittuaria …”

Nel luglio 1752 il sodalizio venne abolito a causa di una sfacciata e scandalosa speculazione dei prezzi di vendita sul mercato da parte dei Confratelli Gallineri, ma fu riattivato subito nel maggio seguente dichiarandolo: “… Arte aperta a tutti ...”, ossia si liberalizzò l’offerta e la vendita in città di quel genere di prodotti da parte di chiunque.

Nel 1773 i Gallineri-Polameri e Butiranti sparsi per Venezia si contavano in 308, con 27 Garzoni, 86 Lavoranti e 195 Capimastri attivi in ben 198 botteghe che erano a volte dei negozietti graziosi e lindi, e altre, invece, botteguzze scure o poco più dei sottoscala bassi, bui e odorosi e luridi
Sul finire della Serenissima, gli iscritti all’Arte erano diventati perfino: 446, e tenevano il proprio Capitolo Generale annuale nei locali della Schola dei Oresi di Rialto, versando un contributo per l'uso e un piccolo compenso al Masser dei Oresi per "assettar il luogo" ... Dal “Libro cassa”dell’Arte si evince che pagavano tutti regolarmente la loro Benintrada” d’iscrizione, e una “Luminaria”annuale dilire 4 ciascuno ... Nella Festa Patronale annuale dell'Annunciazione ciascun Confratelli riceveva "pan et butiro" invece che il tradizionale "pan et candela"usato dalle altre arti cittadine … e al posto dell’antico omaggio annuale al Doge di due paia di fagiani gli versavano la più comoda e utilizzabile somma di 99 lire e 4 soldi.

Non pensate in ogni caso che quelle antiche Associazioni popolari siano state accozzaglie di lavoranti cenciosi e morti di fame. Recenti documenti scovati all’Archivio di Stato raccontano che anche i Buttiranti e Gallineri erano stati devoti e generosi. Alla fine della Storia della Repubblica erano stati in grado di trarre dal loro “Scrigno” e di fornire per le esigenze della declinante Serenissima (stava ormai iniziando il saccheggio Francese) un lingotto d’argento del peso di 346 once proveniente dalla fusione dei beni che i Confratelli della Scuola avevano offerto all’altare della Madonna di Pietà Annunziata della chiesa di San Giovanni Elemosinario e dai rivestimenti d’argento con cui avevano coperto il Libro della loro Mariegola.

Ancora nel 1825 si usava vendere cacciagione a “màzzo”o a “mazzòn”nelle botteghe di Venezia ma anche per le strade. Un insieme, un solo “màzzo” comprendeva:
  • 2 Masorini o Anare.
  • 1 Oca granda selvatica.
  • 1 Oca Faraonsina o Granaiola.
  • 1 Sarsegna o Alzavola.
  • 2 Chersi o Valpoca.
  • 2 Bajanti o Strolaghe (giudicati dalla carne infima e troppo amarognola, ma messi insieme per far numero).
  •  2 Serolòn o Smergo Maggiore.
  • 3 Cavriole o Svasso Maggiore.
  • 3 Sèrole o Smergo Minore.
  • 3 Asià o Codone.
  • 3 Arcàse o Chiurlo Maggiore.
  • 3 Ciossi o Fischioni.
  • 4 Campanèle o Quattrocchi femmina.
  • 3 Campanàti o Quattrocchi maschi.
  • 3 Monàri o Moriglioni.
  •  3 Penacini o Moretta o Magassetto Penacin.
  • 3 Magassi o Moretta Tabaccata.
  •  3 Pignòle o Canapiglie.
  •  4 Fòfani o Mestoloni.
  • 4 Morèti o Moretta o Orcheto Marìn.
  • 4 Magassèti o Gobbo Rugginoso o Magassetti foresti o Moretta Codona.
  • Da 4 a 6 Fòlaghe se erano troppo magre.
  • 3 Garzi o Aironi Bianchi, Cinerini o Rossi.
  • 3 Torobusi o Tarabusi.
  • Da 4 a 6 Pissagù o Anzolèti o Muneghette grosse o piccole ossia Pescaiole femmina.
  • 6 Sarsègne o Alzavole.
  • 6 Crècole o Marzaiole.
  • 6 Barùsole o Pivieresse.
  • 6 Paònsine o Pavoncelle.
  • 8 Sgambirli o Cavalieri d’Italia.
  • 12 Totani o Pettegole.
  • 24 Bisignini o Piro-Piro o Piovanelli.


Non c’è che dire ! Una vera e propria intera cacciagione per ogni “mazzo”. Erano in molti a recarsi "in Valle", soprattutto Nobili, per divertirsi a sparare e cacciare. Pagavano profumatamente per quelle prede e per gli accompagnatori che li seguivano nelle “battute”, e facevano a gara a chi ne abbatteva di più … cercando il record sensazionale.

Tornando alle “Arti povere”… Non è tutto ... Poco distante, proprio sui primi gradini del Ponte, in San Giacometto di Rialto esisteva la già più rinomata e considerata Scuola degli Scalchi ossia degli aiutocuochi e egli interni di Cucina, così come nella stessa chiesa di San Zuanne di Rialto si riuniva anche la Scuola della Beata Vergine del Carmine dei Biavaroli, e la Scuola della Natività di Maria dei Semolini e Cruscaroli che raccoglievano e vendevano crusca per Venezia, soprattutto  presso un Fonteghetto de la Farina che si trovava inizialmente in Contrada di San Fantin, distribuendola e vendendola ovunque  fino in Terraferma. 

Ancora nel 1797 i Semolini iscritti all’Arte erano 41, con un loro giovane Garzone-Apprendista e 40 Capimastri. In quegli anni a Venezia era considerata un’Arte ormai inutile, posta sugli ultimi gradini dei Mestieri di Meccanismo, ormai aperta a libero mercato e destinata a sciogliersi e sopprimersi per sempre.


Ci sarebbero ancora tante altre cose curiose da ricordare, potremmo continuare ancora molto … ma le righe scritte per oggi sono ormai tante … Venezia è come sempre un pozzo senza fondo …


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