“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 67.
“UN INSEGUIMENTO NOTTURNO IN LAGUNA … NEL 1150 !”
Potrebbe sembrare una di quelle scene da film triller … Una di quelle adrenaliniche che ti tengono col fiato sospeso inchiodato sulla poltrona o sul divano ... nella speranza che si concluda presto e possibilmente felicemente. Si potrebbe immaginarla tale, se non fosse che è il fatto è accaduto troppo tempo fa: nel 1150 circa anno più anno meno, cambia poco.
Il set della scena rocambolesca è la Laguna Nord di Venezia … Sì proprio la nostra solita e familiare laguna a cui siamo molto affezionati. Era però una laguna bel diversa da come la possiamo vedere oggi, seppure il posto è sempre più o meno lo stesso.
Recandoci oggi “sul luogo del delitto” vedremmo ben poco, anzi, niente. Proprio niente, perché ci troveremmo di fronte solamente a un’ampia distesa d’acqua solitaria interrotta solo da barene grondanti, ghebbi e canalicoli tortuosi a volte quasi in secca o gonfiati dalla marea montante. Avremmo di fronte un luogo di silenzi e solitudini in cui sembra che il tempo si sia fermato e non accada mai nulla se non l’alternarsi delle stagioni, della luce e dei colori. Vedremmo il posto spazzato dalla pioggia e dal vento gelido dell’inverno, coperto di brina e erbe secche, così come lo vedremmo coperto da peluria fresca e nuova in primavera, da un tappeto soffice sorvolato da migliaia d’insetti d'estate, e da una girandola di tonalità cangianti e calde quando tornerà l’autunno.
Dico lo vedremmo, perché è un posto in cui non passa quasi mai nessuno, se non i lancioni traboccanti di turisti nella stagione estiva, qualche raro pescatore occasionale, e qualche ancor più raro amante degli spazi aperti e della laguna vivida e misteriosa capace di vedere anche quello che non c’è più.
Un tempo non era così, come potete immaginare … perché serve un po’ di fantasia per ricostruire i fatti. L'epoca è poi parecchio lontana, perché il 1150 non si trova proprio dietro l’angolo. Ebbene, tutto accadde in una notte.
Non so dirvi se era una notte chiara di luna piena o una notte oscura di buio pesto. So di certo che in laguna a quell’epoca non esisteva tutta l’illuminazione di oggi, i canali segnati dalle bricole illuminate con i catarifrangenti, tantomeno c'era la segnaletica attuale … Diciamo che i luoghi erano di certo più selvaggi, aperti e naturali, conosciuti bene solo da chi era avezzo a frequentarli spesso o ogni giorno.
E chi c’era ?
C’erano i protagonisti del fatto in questione, ossia da una parte alcuni Veneziani residenti proprio nelle mie Contrade in cui abito oggi a Venezia. Erano pescatori del Sestiere di Dorsoduro che avevano deciso di spingersi di notte, non credo per avventura ma probabilmente per necessità, fin nelle acque peschive che si trovavano dietro l’isola di Torcello. In quei secoli penso che la laguna fosse itticamente più fornita di oggi, e che una battuta di pesca notturna potesse anche essere fruttuosa, capace di provvedere al sostentamento di più famiglie, o capace d'indurti a presentarti all’alba al Mercato e Pescheria del nascente Emporio di Rialto o in Piazza San Marco per vendere e ricavare qualcosa.
Le acque lagunari in quegli anni avevano di certo un valore molto diverso e superiore rispetto a quello odierno. Non erano aperte e di tutti come oggi, appartenevano quasi sempre a qualcuno, e venivano date molto spesso in concessione sia per pescare e cacciare, che per collocare molendini (mulini) ad acqua, e si pagava spesso anche solo per accedervi o transitare ... perché di proprietà privata si trattava. L’acqua lagunare in quanto tale era quindi un patrimonio da difendere e sfruttare. E chi al pari e più di altri poteva esserne padrone e acuto usufruttuario e amministratore ?
I Monasteri e le Pievi ovviamente ... come i Nobili. Quegli spazi della laguna di Venezia in quelle epoche remote, infatti, erano punteggiati da costruzioni e piccoli conventi oggi totalmente scomparsi. Non grandi architetture di Monasteri e chiese sontuose, ma piccole realtà funzionali che però godevano di autorità e molti privilegi, e soprattutto di grandi rendite e possedimenti sparsi ben oltre la stessa laguna.
Sappiate bene che a volte certi Conventicoli e filiazioni di Monasteri e Pievi inizialmente contenevano solo un paio di Monache o poco più. Se poi le cose andavano bene le comunità si allargavano accogliendo novizie e converse, oppure si chiudeva tutto e si lasciavano le pietre e i ruderi tornando alla “Casa Madre” (rendite comprese) da cui si era inizialmente partiti.
Per concretezza, basti sapere che nelle isole scomparse di Ammiana e Costanziaca, proprio accanto a Torcello, esisteva una cinquina ciascuna di queste chiesupole e conventini posti proprio a due passi l’uno dall’altro. Nell’insieme saranno stati almeno una dozzina sparsi in quelle acque stagnanti al confine col paludoso. Oggi ci rimangono i nomi e un pugno di pergamene a ricordarci il tanto che è accaduto e si è vissuto in quegli anni lontanissimi.
Tornando ai pescatori Veneziani, per giungere a pescare in quei luoghi avranno dovuto vogare bellamente per almeno un paio d’ore a partire da dove abitavano. Il posto non si trovava proprio a due vogate dietro casa … E arrivati lì i nostri concittadini si sono messi alacremente a pescare utilizzando luci e lanterne per attirare e accalappiare il pesce. Avranno forse anche gridato, picchiato l’acqua o fatto inavvertitamente un po’ di casino … forse chiacchierato e anche riso e cantato dopo un buon bichierozzo di vino, questo non lo so. Sta di fatto che hanno immediatamente attirato l’attenzione di una di quelle persone diciamo un po’ energiche e decise che aveva il compito di sorvegliare la zona.
Me lo immagino questo personaggio, che si chiamava: Mastro Giovanni Leòn, il “Guardiano delle acque delle Monache”. Doveva essere un uomo determinato di carattere, muscoloso, biscottato dal sole e buon conoscitore dei posti. Sapete quelle persone che “dormono con un occhio solo”, e drizzano le antenne appena sentono un fruscio, uno sciabordio strano, o un rumore diverso dal solito. Ebbene era lui il concessionario della palude da parte della Monache e della Pieve di San Lorenzo di Ammiana che erano “i padroni” di tutto quel posto.
Come vi dicevo prima, la gestione e lo sfruttamento delle acque in quegli anni era considerata una cosa seria, anzi serissima, per cui quelle paludi erano un “bene” e in quanto tale andavano salvaguardate e protette da intrusioni di eventuali ladri. E Mastro Leòn era lì proprio per questo.
Non se lo fece ripetere due volte, e appena avvertì la presenza degli intrusi estranei, si mise immediatamente in movimento. Pur essendo nel cuore della notte il Mastro non s’accontentò d’intimare “l’alt” al pescaggio abusivo, nè di mettere in fuga i pescatori, ma si mise al loro inseguimento per recuperare il pescato proibito, e addirittura per catturarli.
Immaginatevi i movimenti e la scena ... Di notte e in laguna, a remi, col buio ... I Veneziani di Dorsoduro ovviamente fuggirono sperando di farla franca e di mettere fra loro e il Mastro quanta più acqua fosse possibile. Ma non sapevano minimamente con quale “osso duro” avevano a che fare, perché nonostante loro fossero più di uno, quello non mollava d’inseguirli vogando, e anzi, man mano che scappavano si avvicina a loro sempre di più. Immaginate anche le barchette leggere, i muscoli tesi allo spasimo sui remi col ripetersi del ritmico movimento della voga, i vogatori sudati e paurosi da una parte e arrabbiati dall’altra.
Scapparono per diversi chilometri … Avranno vogato in fuga almeno per un’ora, e sarà stata la scarsa conoscenza dei posti o forse la minor capacità di resistenza e di voga, o forse la barca più pesante, o l’incagliamento in qualche secca ... sta di fatto che Mastro Leòn li raggiunse e li acciuffò nei pressi di Lio Mazòr, sul bordo della Terraferma costiera, dove forse avrebbero potuto fuggire del tutto, nascondersi e mettersi in salvo.
E non finì lì, perché il Mastro non si accontentò di catturarli e strapazzarli a dovere, ma una volta raggiuntili, recuperò tutto il pescato, sfasciò la loro barca affondandola, e distrusse anche tutte le loro attrezzature per la pesca. Una furia ! … uno scagnozzo !
Doveva essere chiaro a chiunque che nessuno impunemente si doveva permettere di mettere mano sulle cose delle Monache. Vistolo all’opera, non ci doveva essere stato alcun dubbio.
La storia si concluse il mattino dopo, quando il Mastro ancora mezzo inviperito condusse i malcapitati Veneziani davanti ai “maggiorenti di Ammiana”, i proprietari delle acque, e probabilmente di fronte a una qualche Monaca Badessa del posto. I poveri pescatori malconci oltre a profondersi in doverose scuse, dovettero promettere solennemente che mai e poi mai più si sarebbero permessi di mettere piede, ovverossia barca e remo e tantomeno reti, nelle acque delle Monache.
Me li immagino tornare a casa pesti e “a bocca asciutta”, ma anche tremolanti e forse risollevati per lo scampato pericolo. Poteva andare loro peggio se quell’energumeno delle Monache si fosse scatenato ancor di più, e se la Badessa non fosse stata tutto compreso clemente con loro. Di certo avranno considerato attentamente di non tornare più a pescare da quelle parti.
Detto questo, un pensiero lo voglio fare anche sull’ipotetica figura della Badessa. Me la voglio immaginare un poco di rimbalzo a quanto le carte antiche raccontano e fanno solo vagamente intuire.
Se si serviva di “tipini”del genere per salvaguardare le proprie cose, doveva essere una donna altrettanto determinata e con un certo carattere, di certo poco remissiva e accondiscendente. Me la immagino: autoritaria, impettita nel suo abito da monaca, seriosa e austera, allampanata e forse rinsecchita dagli anni e dalla pratica dei rigori della regola monacale. Ma poteva anche essere, viceversa, cicciotta e ben in carne … perché di certo le Monache benestanti e Nobili a quell’epoca non si facevano mancare nulla. Grassa o magra che fosse, di certo era una donna molto attiva e di cultura, perché sempre leggendo le vecchie carte emergono delle sorprese inimmaginabili sulla sua figura.
Pensavo ingenuamente che quelle antiche Badesse fossero donne tranquille e ritirate, che rimanevano a vivere quasi come eremite in quelle isolette sperdute in fondo alla Laguna. Credevo che quelle donne: Hengelmote, Agnese, Berta, Maddalena e tante altre fossero donne placide, un po'
qualsiasi.
Macchè ! Erano l’opposto. Sempre in movimento, in viaggio e a caccia di affari, incontri e novità. Pensate che sbirciando alcune vecchie carte, si può trovare la stessa Badessa intenta a firmare di suo pugno documenti di compravendita, affitti, lasciti e permute un giorno nella sua isola in laguna, un giorno dopo a Venezia stessa, quello seguente a Padova, quello dopo a Treviso e nello stesso giorno in altri villaggi sparsi nella Marca Trevigiana, fino a ritrovarla alcuni giorni dopo sempre intenta a prendere possesso d’altri beni su nella Vallonga del Trentino nei pressi di Bolzano dove venne accolta con grande festa e riverenza.
Altro che eremita !
E tutto quello che non riusciva a fare di persona, la nostra Badessa se lo faceva fare da tutto uno stuolo di Procuratori, Fattori, Notai e rappresentanti del Monastero che percorrevano a tappeto le zone del Veneto e oltre con lo scopo di difendere, controllare e favorire le rendite, le decime, i censi, le contribuzioni in denaro e natura esigibili dal “buon nome” dell’Istituzione Monastica.
Erano potenti le Monache lagunari ! … alle quali non mancava quindi nulla. Sempre le stesse “antiche carte” raccontano che i contadini e i censuari delle Monache erano soliti provvedere a trasportare fino a Strà le cose per le Monache, e da lì, caricate primizie e altri beni in barca, prendevano la via del fiume fino a sfociare in Laguna per poi raggiungere il Monastero delle Monache dove portare “il dovuto”.
Oltre a questo, sempre le solite “vecchie carte” raccontano anche di liti furibonde fra Piovani, Preti, Monache e Monaci per il possesso, il controllo e lo sfruttamento di quelle acqua lacustri. C’era chi si prendeva avanti e imponeva censi e decime personali ai contadini e pescatori su proprietà che non erano neanche sue. C’erano soprusi, imbrogli, sottrazioni … e chi spostava i confini, abbatteva o innalzava sbarramenti, argini, muretti e “palate” per garantirsi questo o quell’introito. C’erano lasciti, testamenti, beneficenze, donazioni politiche lungimiranti con lo scopo di tutelare o essere a proprio volta considerati e riconosciuti … C’erano processi e vertenze che si trascinavano per decenni con risarcimenti, confische, proibizioni, multe e interventi della Serenissima a cui toccava far da paciere o di rimettere in sesto le cose… o prendersene una parte (con falso dispiacere). C’era anche chi s’arrabbiava, perdeva il controllo e menava la lingua e poi anche le mani … Dove oggi non c’è più nulla, esisteva quindi un microcosmo vivissimo ... e talvolta turbolento, ma condito anche di gentilezza e di preghiere.
Dico questo perchè c’è da considerare che la Badessa doveva essere anche una donna di cultura. Era molto interessata ai libri che in quell’epoca priva di internet, video e multimedialità, erano l’unica fonte preziosa del Sapere ... che pochi potevano concedersi. Pensate che in una certa occasione una delle nostre Badesse si è perfino fatta pagare un censo o una compravendita direttamente non in soldi ma in libri. Che donna !
Altri tempi fascinosi … di certo lontanissimo, sicuramente curiosi ...
Attenti quindi ! ... Se vi verrà per caso voglia di recarvi in giro per la Laguna di Venezia per intrattenervi in un’amena battuta di caccia o pesca in acque aperte e sconosciute, tenete gli occhi bene aperti … perché da un momento all’altro potrebbe spuntare fuori da dietro un fascio di canne palustri il volto “spiritato” del Mastro Giovanni Leòn dei giorni nostri … pronto ad inseguirvi ed esigere da voi “quanto gli spetta” ... con la sua "poco garbata" maniera.