“Una curiosità veneziana per volta” – n° 75
“SANTA MARIA DEL PIANTO … LA MONACA DE ROSSI E IL DOGE DA MOLIN … A VENEZIA NEL 1647.”
Esiste un posto completamente dimenticato e quasi sconosciuto di Venezia dalle sorti un po’ oscure e quasi privo di grandi eventi da raccontare. Si trova in una zona discosta del Sestiere di Castello, in fondo e in faccia alla Laguna, verso San Francesco della Vigna, sull’estrema punta finale delle Fondamente Nove.
In quel luogo sito proprio accanto all’Arsenale di Venezia fino al 1800 si ormeggiavano e poi si disfacevano e smontavano le zattere di tronchi che scendevano lungo il Piave dal Cadore per diventare legname utile per costruire le famose Galee della Serenissima.
Oggi è rimasto, invece, un posto solitario, a mio parere bellissimo e carico di mestizia perché sembra una capsula d’altri tempo rinchiusa nel tempo e preclusa a tutto quel che accade oggi a Venezia. Molti dei Veneziani non sanno neanche che esista questo luogo denominato variamente come: Santa Maria del Pianto delle Eremite Agostiniane Servite o delle Monache Cappuccine delle Fondamente Noveperché è un sito appartenente alla storia minore di Venezia, povero d’opere d’arte e architettura superba, e quindi tagliato fuori dai flussi turistici che contano.
Come sempre a Venezia, è curiosissima l’origine di questo antico complesso. Per capirci, il voto pubblico del Redentore costruito alla Giudecca era avvenuto nel 1576 … circa un secolo prima. Al “Pianto”, invece, tutto iniziò circa nel 1630 mentre la Repubblica Serenissima era già impegnata nella costruzione del famosissimo Tempio della Salute a seguito del “Voto Antipeste” che si ricorda tutt’oggi …. La chiesa del Pianto alla fine fu “la brutta copia” in scala ridotta di quel gran progetto realizzato da Baldassare Longhena in Punta alla Dogana e in faccia al Bacino di San Marco.
Erano trascorsi precisamente appena 17 anni dall’evento pomposissimo della Salute che coinvolse tutti i Veneziani di ogni ceto sociale, e il Senato della Serenissima si ritrovò a decidere di costruire un altro Santuario dedicato alla Madonna.
Un altro ? … ma perché ?
Le spiegazioni sono plurime.
Innanzitutto a Venezia non tirava aria buona di successi e vittorie, anzi, i rovesci militari stavano impressionando l’opinione pubblica supertassata e si scaldavano gli animi. Quegli erano anni di concitate alleanze Europee anti Turco, con rimorsi e ripensamenti, grandi spese e sforzi bellici e tanti “nulla di fatto” o vittorie e conquiste labili che lasciavano tutti perplessi.
In secondo luogo, Venezia e dintorni erano di nuovo diventati per la peste un grande cimitero …
Allora la pensata Pubblica e di Stato fu più o meno questa:“ Visto che l’intervento Divino e della Madonna hanno già funzionato una volta, perché non dovrebbero funzionare una seconda? … E già che ci siamo, perché non chiedere direttamente alla Provvidenza Divina un po’ d’aiuto per ottenere finalmente qualche successo contro i Turchi, che in fondo sono i nemici dichiarati della Fede Cattolica ?”
Ne derivò un incrocio di circostanze e personaggi tipici della cultura di Venezia nel 1600.
I protagonisti della vicenda furono soprattutto una Monaca e il Doge che in un certo senso era il suo giusto opposto. Si trattò di una specie di scontro-incontro fra “Animi diversi” che alla fine portò alla costruzione dell’intero complesso di Santa Maria del Pianto.
La Monaca in questione era la Badessa Maria Benedetta De Rossi, Monaca Servita dell’austerissimo Convento di Santa Maria delle Grazie di Burano: “… donna di vivacissima vita intellettuale e spirituale, stigmatizzata, dotata di visioni divine e profezie del futuro … che riteneva utile questo metodo per placare l’ira celeste concausa delle peste per Venezia ...”
Già in precedenza, durante la peste del 1629, la Monaca aveva avanzato una proposta simile al Senato, che non era stata ascoltata, ma di fronte agli incipienti avvenimenti bellici e la nuova pestilenza la Monaca rinnovò la richiesta, inviando una lettera autografa al Doge. Scrisse di aver avuto una visione celeste nella quale le erano state rivelate le cause del male che colpiva Venezia. Guerra e peste erano un castigo di Dio per la condotta peccaminosa dei Veneziani, la corruzione dei costumi pubblici e privati, e anche per l’omissione dei Suffragi per i Morti delle guerre e per le Anime del Purgatorio.
La Badessa Maria Benedetta scriveva al Doge:“… La giusta Ira di Dio è concitata verso di noi… Le Anime di tanti morti della guerra chiamano e hanno bisogno di tanto suffragio e pacificazione eterna ... Sono Anime Penanti dimenticate nel Purgatorio … le Monache offriranno la loro vita in olocausto orante di compensazione, espiazione e riparazione a nome di tutti i Veneziani ...”
La Monaca veggente di origine popolana e vissuta da sempre fra il popoloaveva di certo un caratterino, era intraprendente, e possedeva una fortissima personalità. Anzi, a dire di molti: “era spiritata e bizzosa” tanto che volle imporre alla Serenissima oltre la scelta del luogo su cui costruire la sua chiesa e monastero, persino il suo progetto simbolico dell’edificio facendolo costruire a modo suo. In concreto la Monaca mostrò tutta una serie di estrosi ripensamenti e indecisioni:“… Prima scegliamo questo posto qua … No ! Meglio quello di là ... Quella donna è una miscela, un miscuglio esplosivo che fa diventare matti tutti i Procuratori e Senatori cambiando continuamente idea ... All’inizio le bastava un conventino accanto alla nuova Basilica della Salute, poi, invece, volea anche una chiesa esclusiva tutta per se e per le sue Monache ... e fatta proprio alla sua maniera ...”
Al di là delle “pretese Sante della Monaca Buranella”, c’era poco da aspettare e scherzare: la verità era sotto gli occhi di tutti. Non c’era tempo da perdere perché i Turchi nemici per antonomasia della Fede e incarnazione della punizione divina premevano alle porte della Cristianità Occidentale. Ancora nel 1683, infatti, i Turchi Ottomani assedieranno Vienna, e sarebbe mancato un niente perché potessero dilagare attraverso la piana Friulana indifesa e la Terraferma fino alle porte della città Serenissima sul bordo della Laguna. Per Venezia sarebbe stata la fine.
La Monaca incalzava scrivendo al Doge il 23 maggio 1646: “ … adesso vengo la terza volta da parte espressamente di Dio che se vorranno la liberazione della Patria bisogni ricorrere alla Beata Vergine ed un solenne voto che, concedendo la pace e liberatione della persecutione dell’ira Ottomana, costruir si debba un piccolo Monastero overo Romitorio appresso Santa Maria della Salute overo altrove … Bisogna inoltre istituire 5 Mansionerie perpetue di Messe quotidiane “Pro Defuntibus” pagate dalla Signoria Serenissima per 500 ducati annui … (In tutta Venezia se ne celebravano già più di 7.000 all’anno) ... e si debba erigere una chiesa ottagonale con sette altari come i Sette Dolori, le Sette Spade che affliggono la Vergine Addolorata o Madonna del Pianto.”
Alla fine, Doge e Senato di Venezia incaricarono il Provveditore Sopra ai Monasteri Giacomo Foscarini di dialogare con la Monaca, cosa che accadde il 17 giugno. Quattro giorni dopo riferì ai Senatori:“La Monaca vole … una chiesola di soli tre altari: Maggiore, uno per la Madonna ed il terzo per le Anime del Purgatorio … col servizio liturgico delle Mansionerie quotidiane … il Monastero deve essere umile e basso, “luogo sacro e senza apparenza”, non di alta e rilevata architettura e che ella ne averia dato il modello … per accogliere dodici Vergini con la De Rossi e due converse …”
Il 21 giugno con votazione unanime si deliberò in Pregadi di realizzare il desiderio della Monaca affidando il 07 luglio l’incarico esecutivo ai Provveditori Sopra ai Monasteri.
Il 29 agosto si stava ancora discutendo con la Monaca sulla questione del luogo dove edificare il Tempio-Monastero: Prima aveva preferito sul Rio delle Burchielle vicino a San Andrea della Zirada nel Sestiere di Santa Croce (dove sorge oggi il People Mover). Ma poi ci aveva ripensato ritenendo il luogo non adatto. Allora si pensò a un area nel Sestiere di Cannaregio, e a un altro luogo presso l’Ospedale dei Mendicanti nel Sestiere di Castello. La Monaca escluse anche quello perché troppo vicino al Teatro detto di San Giovanni e Paolo alle Fondamente Nove di Giovanni Grimani che avrebbe ostacolato la devozione con la sua presenza. Rimase un posto vicino al ponte di San Francesco della Vigna alle Fondamente Nove: un terreno appartenente alla Scuola Grande della Carità dove già un tempo sorgeva un vecchio Lazzaretto … La Monaca infine, intendeva anche preferire un nuovo conventino edificato accanto alla sorgente chiesa della Salute … Ma stavolta i Provveditori non ne vollero sapere di collocarla proprio lì.
Alla fine si optò per le Fondamente Nove in un’area prossima a quelle occupate da due potenze Religiose ed economiche veneziane: quelle dei Francescani di San Francesco della Vigna e dei Predicatori Inquisitori Domenicani di San Giovanni e Paolo che erano entrambe garanzia di ortodossia e devozione, una presenza costante in città ormai da secoli … Curioso è notare che a poca distanza in linea d’aria sorgeva accanto all’Arsenale anche il Convento e la chiesa delle Monache di Santa Maria della Celestia.
Per inquadrare meglio l’epoca che viveva allora Venezia, bisogna ricordare che in quel tempo in città si contavano bel 31 Monasteri e Conventi fra Maschili e Femminili sparsi in città e nelle isole della Laguna Veneziana. Si calcola che durante il 1600 siano vissuti a Venezia ben 30.000 fra Preti, Frati e Monache con una media di presenze stabile di circa 2500 persone Religiose ed Ecclesiastiche su di una popolazione media Veneziana e lagunare che assommava 150.000-170.000 persone. Tuttavia, bisogna dire come ha scritto un esimio studioso che: “Il 1600 Veneziano fu un secolo senza Santi sebbene a Venezia siano sorte più di 100 Confraternite Devozionali, perché quella specie di popolazione nella popolazione era tutt’altro che tranquilla, devota e dedita sempre alle “cose celesti” … La Storia ricorda che negli stessi anni sono stati processati per diverse “turbolenze” circa 111 fra Preti, Frati e Monache di cui ben 32 dei soli Conventi e Monasteri di Santa Maria della Celestia e del Santo Sepolcro in Riva degli Schiavoni poco distanti da Piazza San Marco ...” e dal nostro Monastero di Santa Maria del Pianto.
Comunque alla fine di dicembre dello stesso 1646 si giunse a una conclusione e a scegliere definitivamente il posto. Il Senato s’era riproposto di spendere in tutto non più di 5000 ducati, mentre il Proto Francesco Contin prevedeva una spesa di 18.791 ducati ossia 8845 per la chiesa nuda senza altari e 9946 per il Monastero e tutto il resto.
La “mitica” Monaca De Rossi però morì nell’inverno seguente, il 13 gennaio 1647, prima che il suo sogno potesse venire concretizzato. Trascorsero appena dieci giorni … e si presentò un nuovo progetto al ribasso portando la somma complessiva della spesa a sole 13.890 ducati ossia 7048 per la chiesa e 6842 per il Monastero tagliando via dal progetto: sacrestie, parlatoi, corridoi inutili e sostituendo con “un semplice tetto di coppi” la costosa cupola prevista.
Era forse già scemato l’interesse per le Anime del Purgatorio ? … o forse il Senato voleva spendere i soldi pubblici più opportunamente per allestire l’ennesima bella guerra ?
Trascorse quasi un anno senza che accadesse nulla, e solo il 24 ottobre il Senato sollecitò il vicino Arsenale di consegnare i materiali previsti e i marmi pregiati per la costruzione, così che il sabato 09 novembre come da volontà della Monaca De Rossi si piantò la prima croce del nuovo Monastero e il 13 il Patriarca Morosini benedì durante una Messa Solenne e il Doge Molin pose la prima pietra con apposita medaglia commemorativa alla presenza di tutti i Senatori, i Capi dei Dieci, gli Avogadori da Comun, i Censori e un infinito popolo di Veneziani entusiasti come raccontano le cronache dell’epoca.
Servirono undici anni per costruire chiesa e Monastero, e solo nell’aprile 1658 dodici Monache Buranelle trasportate in Burchiella da Burano prima dal Vescovo di Torcello e poi davanti ai Vicari del Patriarca entrarono dentro e presero possesso del nuovo Monastero fornite di una adeguata dote annuale di sostentamento di 700 ducati forniti dal Pubblico e guidate dalla Badessa Maria Innocenza Contarini che era succeduta alla Badessa Maria Benedetta De Rossi.
Incredibilmente la consacrazione del luogo, solo come “Oratorio” e non come vera e propria chiesa, a cura del Patriarca Sagredo accadde solo nel 1687: trent’anni dopo ! … Qualcosa s’era di certo raffreddato e spento nel cuore e nella mente dei Veneziani ... In definitiva il complesso monastico di Santa Maria del Pianto non suscitò nei Veneziani quell’interesse e quel successo da potersi considerare come una “Salute o Redentore 2” ... “Una ciambella non riuscita col buco” forse perché da lì non scaturì quell’effetto miracoloso sulla belligeranza che s’aspettavano e auguravano.
La chiesa della “Madonna del Pianto” non si potè considerare un Tempio e un grande Monastero, ma semmai “un tempietto e un conventino lasciati un po’ da parte”, e divenne un altro di quei luoghi tristi dove la Serenissima si leccava le ferite di guerra accogliendo orfani e feriti, mutilati, vecchi, miseri, vedove e diseredati come accadeva in tanti Ospizi sparsi per tutte le contrade della città.
Descrive “Il Pianto” una cronaca cittadina:
“Sull’Altar maggiore c’è dipinta la “Deposizione del Cristo Morto” … Ebbe intenzione l’autore Luca Giordano nel 1653 che siccome questa chiesa non è molto frequentata si vedesse questa tavola in passando sulla fondamenta; onde adoprò in essa una maniera assai forte …”
Il quadro curioso oggi è conservato nel museo dell’Accademia e mostra una Madonna non svenuta e raccolta dalle braccia delle Pie Donne come il solito, ma implorante come lo era Venezia in quei giorni di sconfitta. Infatti Canea e Retino erano già cadute dopo un decennio di guerra, Candia aveva già subito il primo attacco Turco e l’assedio continuava con innumerevoli lutti. Nel 1669 Venezia subì l’ignobile sconfitta della guerra di Candia in cui la Serenissima perse il possesso dell’intera isola mediterranea. Solo diversi anni dopo si celebrò la vittoria di Venezia che conquistò il Peloponneso.
Quando tutto fu fatto e concluso, arrivò anche come ciliegina sulla torta l’11 novembre 1658 la benedizione e approvazione del Papa Alessandro VII con apposito Breve che lodava la bontà “della cosa” ... meglio tardi che mai.
E veniamo al Doge, il secondo personaggio della vicenda. Qualcuno a Venezia lo definì nonostante tutto un “Dogaletto” perché per certi versi sfigurava a confronto con tante altre personalità insigni dei Dogi suoi predecessori e successori … Si trattava del gottoso Doge Francesco Da Molin del ramo “del Molin Rosso”d’ascendenza mantovana. Figlio di Marino di Domenico e Paola Barbarigo divenne dal 20 gennaio 1646 il novantanovesimo Doge della Repubblica di Venezia succedendo a Francesco Erizzo. Poco propenso allo studio, il Da Molin venne istruito dai Padri Somaschi beneficiando d’una rendita annua di 1200 ducati, ma fin da giovanissimo preferì dedicarsi alla carriera navale e militare lasciando al fratello Domenico l’impegnò dello Studio e della carriera Pubblico-Politica.
Francesco fu più volte nominato Capitano di Nave e Provveditore in numerosi porti militari, fino a diventare Patron all’Arsenale e uno degli eventuali 30 Governatori di Galee Sottili da mobilitare in caso di guerra. Inizialmente, rimase insomma semplice Capitano intento a pattugliare l’Adriatico contro i pirati Uscocchi. Nel marzo del 1609 naufragò perdendo uomini e carico nei pressi di Zara, e tornò a Venezia da dove ripartì il 6 maggio percorrendo avanti e indietro fino al 1612 le rotte fra Parenzo-Zara, Spalato-Corfù, Cherso-Chioggia e Lesina-Goro intimidendo le navi Pontificie, “coprendo militarmente” le galee di mercato, perlustrando gli scogli-covi dei pirati, e trasportando somme di denaro e carichi di “pan biscotto” per rifornire l’Armata da guerra di Venezia.
Si racconta di lui, che giunto nell’aprile del 1610 in visita di cortesia presso Carlo Conti Vescovo Cardinale di Ancona, questi cercò di coinvolgerlo in una discussione sulle “difficoltà” esistenti tra il Papa Paolo V e la Repubblica Serenissima soprattutto inerenti al rientro dei Gesuiti a Venezia e sull’opportunità di una buona educazione dei giovani Patrizi Veneziani. Si dice che Francesco Da Molin abbia obiettato: “… di profession son soldato e marinaro, né giurista né theologo … ma sono certo che Venezia sa provvedere ottimamente all’educazione della propria gioventù senza delegarla ad altri, specie a Gesuiti cacciati per l’Interdetto inferto dal Papa di Roma ...”
Trascorso altro tempo, Francesco Da Molin divenne Provveditore Straordinario a Orzinuovi; fu scelto nel gruppo dei 41 elettori del nuovo Doge Bembo, e dal 2 febbraio 1616 fu Provveditore sopra il Lago di Garda con sede a Peschiera, consapevole che: “Sirmione e Malcesine erano prive d’armi, munitioni, e d’adeguato presidiamento di truppe, per cui non fornivano la benché minima garanzia di qualunque difesa dall’arcigno e bellicoso limitrofo Ducato di Milano.”
In seguito fu nominato Commissario in Golfo e a Corfù, poi: Commissario in Armata intraprendendo una “Travagliosissima carica” affiancato da Giacomo Lazzari, perché andò a scontrarsi con tutta una serie di “disordini fraudolenti e d’infedeltà con enormi e scelerate operazioni e rapacità e ruberie di personale disonesto …”perpetrate soprattutto dal Provveditore Generale da Mar Lorenzo Venier che divenne suo acerrimo nemico sul campo, forse anche col consenso tacito della Repubblica Serenissima.
All’inizio del 1618 il Venier pretese dal Da Molin d’avallare presso il suo “ragionato”e complice Giovambattista Badoer alcuni mandati per migliaia di ducati sborsati irregolarmente con speculazioni sul cambio e con favori illeciti concessi a “particolari” attraverso ingenti pagamenti senza autorizzazioni, senza giustificative e ricevute di pagamento. Siccome il Da Molin si oppose non volendo ledere le indicazioni e le disposizioni del Senato, il Venier lo considerò un affronto intollerabile e un’insubordinazione di cui vendicarsi, per cui lo costrinse agli arresti nella sua galea che stazionava a Curzola impedendogli anche di sbarcare per curarsi. Venier fu denunciato e accusato dal Da Molin presso il Senato:
“… d’andar procurando a forza d’incomodi, di patimenti, di farlo perire miseramente … Né con l’andar dei giorni, Venier depone la propria ira continuando nello sdegno e non rallentando le persecutioni … minaccia la morte a lui e pure al Lazzari. Il Da Molin è disposto a dar la vita per la Serenissima ma a dir il vero non in questo modo che gli pesa molto: un conto è morire combattendo per Venezia, un conto soccombere per la perfidia d’un superiore nella revisione delli conti del quale sono emersi debitori di grosse sume, alcuni addirittura suoi congiunti in sangue … Gli si conceda almeno la tante volte ricercata gratia di ripatriare ...”
Gli fu perciò concesso il rientro a Venezia, e il 24 agosto 1618 salpò per Umago sostituito nella carica dalla Serenissima … guarda caso, qui gatta ci cova … proprio da Bernardo Venier parente prossimo dell’accusato Provveditore Generale da Mar Lorenzo che lo voleva morto.
In seguito, il Da Molin figurò nel 1620 tra i 9 Patrizi eletti alla prestigiosa carica di Procuratori del potente Convento Domenicano di San Giovanni e Paolo. Due anni dopo, divenne Provveditor Generale in Dalmazia e Albania dove lo attesero: “oltre due anni di perpetue fatiche dovendo sempre combattere contro abusi e pessime introduttioni de’ Preti e Vescovi…”
Lì sicontrappose a un decreto sulle Monache emanato dall’Arcivescovo di Spalato Sforza Ponzoni che: “ … contraveniva alla volontà pubblica, agl’atti de’ precessori e alla stessa consuetudine antica.”
Anche questa volta il Senato Veneziano lo sollevò dall’incarico inviando di nuovo al suo posto il solito Bernardo Venier.
Poco dopo, il Da Molin divenne Inquisitore del Regno di Candia e Provveditor Generale dell’Armata e delle Isole del Levante col controllo di mezzi e navi dirette e provenienti dalla base navale di Pirano e delle saline di Suda e Spinalonga, dell’amministrazione di Rettimo e Canea, della fortezza di Grabusse e di Castel Chissamo, Bicorno e Urinis.
Il Senato gli ordinò:“… d’intimare ai vascelli carichi di grani a servitio di paesi esteri di portarsi con il carico a Venezia…” e se da una parte esaudì l’Arcivescovo Latino Luca Stella che gli fece sequestrare su suggerimento della Santa Sede di Roma i “Libri Greci polemicamente Anticattolici” fatti stampare a Costantinopoli dal Patriarca Cirillo Lucaris e diffusi dall’Abate Ortodosso della Canea, dall’altra il Da Molin contrastò duramente il Domenicano Agostino da Venezia Vicario et Visitatore Apostolico che: “… senza autorità di farlo s’è messo a introdur novità pregiudicialissime …” e si dimostrò preoccupato:“… pei disegni de Gesuiti i quali con il sagace ardimento delle loro maniere solite macchinano l’erezione d’un loro Collegio nell’isola di Nixia ...”
Nel 1634, tornato a Venezia venne nominato Procuratore e Cassiere di San Marco De Supra e poi Deputato alla Basilica di Santa Maria della Salute; per due volte Provveditore ai Monasteri; Inquisitore Sopra il Campadego ... e poi di nuovo Provveditore Generale da Mar con autorità suprema di Capitano Generale delle operazioni con successi alterni contro il Turco ... E infine divenne Doge, con la Signoria che lo ammonì a non sprecare tempo nel preparare ancora una volta la guerra contro il Turco.
Le casse dello Stato languivano … ed era tornata “quella maledetta moria della pestilenza”… Servivano aiuti da qualsiasi parte potessero giungere … Ecco perché oltre a "vendere" l'accesso al Patriziato Veneto in cambio di 100.000 ducati a persona (60.000 ducati come “regalo” ed altri 40.000 come "prestito") si provò a chiedere aiuto anche alla “Provvidenza Celeste” approfittando dei proclami entusiasti della Monaca De Rossi che andò a bussare insistentemente alla sua porta.
Durante tutto l'arco di tempo del suo dogado il Doge Da Molin proseguì la guerra contro i Turchi, fece fortificare i dintorni di Venezia e della Dalmaziacercando di portare la guerra all'interno del territorio in possesso dei turchi e per il possesso dell'isola di Creta.
Il Doge Da Molin morì attorno alle 13 del 27 febbraio 1655 e fu sepolto nel chiostro del convento agostiniano di Santo Stefano dove la sua famiglia aveva fatto erigere un altare di legno dedicato a San Girolamo. I suoi eredi furono alcuni nipoti: Pietro Molin e Alvise Molin di Alessandro, appena liberato dal bando per aver assassinato la moglie. Al pari della Monaca De Rossi morì senza poter vedere terminata l’opera che aveva finanziato che nell’insieme risultò essere una chiesa monca di cupola e piena di nicchie spoglie accanto a un paio di chiostri semplici e funzionali privi d’esteticità artistica sontuosità e pregiatezza.
Le malelingue fecero notare che gran parte del “merito”della dipartita del Doge Da Molin fu l'eccesso di vino, di cui il Doge era noto bevitore tanto che, scherzosamente, la gente diceva di lui, usando il suo cognome: “L'è un Mulino non da vento, non da acqua, ma da vino!”, e si dice che a causa delle sue abbondanti libagioni si accentuasse la sua predisposizione devota a prolungate genuflessioni “pseudodevote” tanto da ritrarlo inginocchiato in un’Osella al cospetto di San Marco e Sant’Antonio: “il Santo dei miracoli impossibili” per il quale fece erigere il 29 febbraio 1652 un altare nella neonata Basilica della Salute dove accogliere da Padova una reliquia del Santo, al cui arrivo a Venezia con grandiosa processione il Doge non potè partecipare perché ancora una volta malato di “podagra”.
Tornando al complesso di Santa Maria del Pianto, dopo la sua edificazione e inaugurazione ci furono diversi interventi pubblici a favore del Monastero e della chiesa: nel 1683, 1000 ducati nel 1685, nel maggio 1691 quando il Proto Francesco Tuzzato rilasciò una perizia in cui di dichiarava che l’intero complesso aveva bisogno di un restauro per almeno 600 lire.
Il 1 giugno 1686 il Monastero del Pianto s’incendiò e le Monache cercarono di spegnere il fuoco usando inutilmente sulle fiamme le immagini sacre del “Santo Chiodo”, della “Madonna del Carmine” e del “Miracolo della Manna procurato da San Nicolò di Bari” … Valle a capire le Monache !
Anche nel 1700 le cronache avare ricordano una lunga lista di scritture di rifacimenti e restauri del “Pianto”: nel
1701 il Proto Andrea Tirali rilasciò una scrittura per il restauro del Monastero per ducati 380; e altre due nel 1712-1714 per la rifabbrica del coperto della chiesa per una spesa di ducati 350 e 250 ducati.
Nel 1726 febbraio pioveva ancora dentro alla chiesa e ci furono ben 12 sopraluoghi dei Provveditori ai Monasteri con altrettante perizie e scritture dei Proto Andrea Tirali e Rossi Domenico per un restauro di altri 500 ducati pagati ad Antonio Pastori per la copertura malandata di Santa Maria in Pianto… Anche nel 1738-40 il Proto Scalfarotto Giovanni rilasciò un’altra scrittura per nuovi restauri per la spesa di 900 ducati, e “… il Tagiapjera Piero Fadiga ripristinò l’altar maggiore e il pavimento di Santa Maria del Pianto pieno di buchi e perdente pezzi.”
In Santa Maria del Pianto entrò come Monaca anche Eleonora Aloissia Contessa di Zinzendorff nata nel 1677 a Dresda che lasciò le cose terrene per farsi monaca nel 1702 a Venezia professando i voti in Santa Maria del Pianto delle Cappuccine Servite ricevendo le "sacre lane" dal Patriarca Badoer e assumendo il nome di Suor Maria Eletta (Cletta) Antonia. Isabella Piccini, anch’essa Monaca Francescana l’ha ritratta ingioiellata, acconciata, agghindata e ben vestita poco prima di farsi Monaca proprio per evidenziare quanto fosse forte la vocazione di farsi monaca lasciando tutte quelle belle cose terrene. Già nel 1710 la Contessa di Zinzendorff divenne Badessa del Convento fino al 1714 quando fece un viaggio con l’amica Teresa Cunegonda di Polonia Elettrice di Baviera fino a Monaco dove fondò un nuovo Monastero prima di rientrare in quello di Venezia dove venne nuovamente eletta Abbadessa dal 1733 al 1742 quando morì.
Probabilmente fu lei a commissionare e ordinare i lavori di restauro della chiesa e del Monastero eseguiti nel 1734-35 a seguito delle perizie del Proto Andrea Tirali spendendo 819 ducati.
Durante l’assenza da Venezia della Zinzedorff , dal 1715, “… fu Badessa del Pianto illustre per santità, virtù e fama … Maria Angelica Confortinari” che fu una delle venti e più Badesse che si susseguirono alla guida del Monastero: 11 in novant’anni fra 1658 e 1748 quando la sera del 5 gennaio si sviluppò un altro violentissimo incendio in Calle delle Cappuccine perché un garzone entrò con la pipa accesa dentro a un magazzino di merci d'una compagnia di mercadanti appiccando inavvertitamente il fuoco. Nel grave incendio che durò fino al giorno dopo bruciando anche quattro case di proprietà della Nobile Famiglia Morosini, morì sepolto sotto alle macerie e soffocato dal fumo un servo del bottegaio Biagio Alpegher che perse anche 145 colli di cotone pregiato insieme ad altre merci con rilevantissimo danno. Tutto il complesso di Santa Maria del Pianto compresa la chiesa furono coinvolti nel grande disastro con gravi danni alle strutture e agli ambienti che vennero in seguito riattati.
Di buono c’è ancora da ricordare che le Cappuccine delle Fondamente Nove erano conosciute e ricordate ovunque in giro per la Laguna di Venezia e oltre per il loro stile di vita austero e santo, di penitenza e digiuno.
E giungiamo al solito fatidico inizio del 1800 con i Francesi e il “caro” Napoleone indiavolato che soppresse tutto e chiuse ovviamente la chiesa cacciando via le 57 Monache Cappuccine Servite che vi abitavano e operavano dentro.
Già che c’era, Napoleone: “… sequestrò dal Monastero delle Cappuccine delle Fondamente Nove: 7 once e 3 quarti d’argento da cui ricavò fondendole 3 verghe d’argento per suoi scopi …”
Nel 1814 il monastero fu dato in affitto e poi venduto a tale Abate Antonio de Martiis che dirigeva un Istituto privato che s’interessava d’Educazione Maschile. La chiesa fu divisa a metà da impalcature trasformando la parte superiore in teatrino e quella inferiore in fabbrica di pentole e piccole abitazioni private. Per far questo furono abbattuti 4 muri principali, smantellati, tolti e venduti gli 8 altari, distrutti e alienati a poco prezzo: soffitto, pavimento, colonne, archi, croci e opere d’arte.
Il Crocifisso che ornava uno degli altari laterali eretto a spese dei Nobili Van Axel, opera rara in legno attribuita ad Albert Durer, fu comprato da don Giuliano Catullo che a sua volta lo regalò assieme ai resti dell’Altare Maggiore al neonato Monastero delle Clarisse dell’Adorazione perpetua del Sacramento nella chiesetta del Nome di Dio sorto accanto a Sant’Andrea della Zirada vicino a Piazzale Roma (ora ridotto a Casa per Ferie Sant’Andrea).
Nel 1841 l’Abate Daniele Canal acquistò i fabbricati di chiesa e monastero col poco rimasto e riattivò il Collegio destinandolo all’educazione di povere fanciulle. Contemporaneamente acquistò dal governo austriaco 3 degli 8 altari andati dispersi ... Gli riuscì inoltre d’acquistare il pavimento della demolita chiesa di San Biagio della Giudecca (dove sorge ancora oggi il Molino Stucky)e lo collocò in quella di Santa Maria del Pianto con l’intenzione di riaprirla. Vi portò dentro anche alcune reliquie e ilCorpo di San Fausto Martire …. la fece riconsacrare il 21 agosto 1851 riaprendola in settembre dopo aver fatto ridipingere soffitto e ritappezzare di opere le pareti. Collocò sull’Altar Maggiore una Palacol “Buon pastore” di Marco Bernardo, e una“Vergine addolorata” di Anna Marovich assidua benefattrice dell’istituzione, un “Sacro cuore” di Lattanzio Querena che dipinse anche un“Riposo della Saca famiglia”, ed altre opere che raccontavano la storia della Monaca Maria Benedetta De Rossi e del Voto di Venezia Serenissima col Doge Da Molin.
Infine a completare l’opera di recuperò e quasi di ricostruzione della chiesa, che durò ben nove anni, vi collocò anche delle campanelle ottenute dalla fusione di alcuni cannoni di guerra utilizzati a Forte Marghera regalatigli da un Maresciallo Austriaco.
L’anno dopo, ossia nel 1852, l’Abate Canal affidò l’Istituto alle Suore Figlie del Sacro Cuore che si prestarono moltissimo per far funzionare l’Istituzione caritatevole e benefica. Una cronachetta dell’epoca ricorda le iniziative dell’intenso zelo devozionale delle Suore e dell’Abate durante il 1853 e gli anni seguenti:
“Ogni terza domenica del mese di mattina si celebra la Via Crucis ... Per 7 sabati consecutivi si si prepara alla festa dell’Addolorata della quarta domenica di settembre … Ogni mercoledì si celebra una Messa con speciali preci all’altare di San Giuseppe ... Nei venerdì di Quaresima si pratica l’Esposizione del Santissimo con la solenne benedizione, così come se si partecipa almeno per 5 giorni nel pomeriggio degli ultimi 10 giorni di Carnevale all’Esposizione del santissimo con benedizione si otterrà l’Indulgenza plenaria di tutti i peccati commessi ... Il Venerdì Santo si celebra la Devozione dell’Addolorata con 3 discorsi, recita di preghiere e dello Stabat Mater … Il 21 Giugno si celebra la Festa San Luigi Gonzaga: al mattino Messa solenne con panegirico, inno del santo al pomeriggio e spesso prime comunioni alle ore 8 del mattino ripetute nelle 6 domeniche successive dedicate al santo. I giovinetti si presentano con un nastro bianco al braccio e con il velo candido in testa le bimbe e s’iscriveranno alla Compagnia di San Luigi impegnandosi nella Comunione frequente e nella pratica della castità e purezza principali virtu’ del Santo ...”
Altri tempi … altri modi … altre condizioni e convinzioni tradizionali, popolari e sociali ricordati in una lapide ancora presente sul posto che racconta:“Questo cenobio di Monache Servite eretto per voto del Senato con la annessa chiesa infierendo la peste del 1630 per tristi vicende dal 1810 al 1841 deserto e silente , per la munifica carità di Mons Daniele Canal Patrizio Veneto divenuto casa di educazione, alle figlie del popolo nel 1925 col generoso concorso dei cittadini restaurato ed ammodernato si impreziosiva d’incomparabile gemma accogliendo i resti mortali del venerato benefattore trasportati dal civico cimitero il 18 marzo 1926: 42° anniversario di sua santa morte. Le figlie del sacro cuore riconoscenti.”
Comunque, ancora nel 1866 le Figlie del Sacro Cuore erano ancora lì presenti e attive con 21 unità in quello che era divenuto l’Educandato del Pianto ... nel 1881 erano 27 ... e nel 1926 “prestavano ricovero ed educazione” a circa 250 fanciulle esterne e 74 interne per la maggior parte orfane di guerra istruendole nei lavori di ricamo, cucito e confezione di scialli.
All’epoca in cui io ero bambino, nel 1962, nell’Orfanatrofio del Sacro Cuore al Canal del Pianto erano ospitate 70 orfane, e 5 Suore gestivano una Scuola Materna per 25 maschi e 20 femmine, una Scuola Elementare con 4 insegnanti per 65 femmine, una Scuola post-elementare con 20 alunne, e una Scuola Artigianale con 25 allieve.
Niente male !
Solo nel 1970 Monastero, chiesa e Istituto vennero nuovamente alienati e chiusi per il ritiro definitivo da Venezia delle Suore Figlie del Sacro Cuore diventate anziane e senza ricambi vocazionali. Da allora: accadde un altro buco e abbandono totale degli ambienti per altri trent’anni finchè fra 2001 e 2005 l’Uls e il Comune di Venezia dedicarono l’ex chiesa “… chiusa al culto e abbandonata da decenni …”all’officiatura dei funerali laici e gli ambienti dell’ex Monastero parzialmente ad uso burocratico ospedaliero.
La Curia Patriarcale si oppose osservando che la chiesa era ancora consacratae quindi di sua pertinenza, e dichiarò di non avere alcuna intenzione di sconsacrarla per destinarla a funzioni diverse soprattutto di natura laica … Forse avrebbe cambiato idea e posizione se qualcuno inventandosi qualcosa oltre ad informarla e interpellarla le avesse offerto la possibilità di un qualche tornaconto. Ma nel frattempo, visto che non c’era nulla da guadagnarci ... si preferì lasciare tutto chiuso e che andasse pure in rovina.
Ai giorni nostri l’intera area del complesso di Santa Maria del Pianto ubicata all’interno del perimetro dell’Ospedale Civile di San Giovanni e Paolo di Venezia è stata riattata e risanata del tutto a spese dell’ULS locale destinando la parte nord a sede dell’Archivio dell’Ospedale, mentre l’area di sud-est è disponibile come zona Universitaria e Laboratorio di ricerca con annessa foresteria. Gli spazi dei chiostri “dell’ex convento del Pianto” vengono proposti su Internet a Universitari e ricercatori che si recano a Venezia come: “Foresteria con 34 stanze con bagno e aria condizionata che s’affacciano su due chiostri la cui atmosfera che si respira è di un silenzio che rievoca altri tempi. Sono disponibili inoltre: aule per lo svolgimento di riunioni e conferenze, e servizi di catering interni ed esternicon: refettorio, lavanderia, spazi comuni e aree di svago…”
Almeno non si è lasciato tutto in abbandono e in rovina totale … La chiesa, viceversa, infiltrata d’acqua ed erbe e pericolante, rimane ancora oggi chiusa e sbarrata, ed è considerata tra le chiese di Venezia meno conosciute e più inaccessibili.
E domani che accadrà a quest’altro luogo storico che racchiude un altro spicchietto dell’inesauribile e fascinosa Storia di Venezia ? … Chi vivrà vedrà …