“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 83.
“Dove ? … Dove ? … Ci sono stati morti ?”
“In Contrada di Santa Ternita …”
“Dove ? …”
“A Santa Ternita … in fondo al Sestiere di Castello … vicino ai Frati della Vigna … dalle parti della Contrada di San Martin …”
“Ah … mi pare d’aver capito pressappoco qual è la zona …”
“E’ tutto un accorrere frettoloso … E’ pieno di curiosi e di gente in ansia …”
“Corro anch’io a vedere …”
Era il 13 dicembre 1880 … e per davvero è caduto il campanile di quel che restava della vecchia chiesa di Santa Ternita. Si doveva chiamare Santa Trinità … ma sapete come sono i Veneziani … Trinità … Triade …Terno …Ternità …Ternita … fa lo stesso … Basta capirsi … e il nome rimase quello: Santa Ternìta. Si trattava del campanile rifatto, un tempo a cuspide conica, che sorgeva all’angolo dell’omonimo Campo, accanto alla Calle del Campanièl. Le campane se l’erano vendute e fuse già da un bel pezzo, ancora al tempo dei Napoleonici … e tolta la chiesa, il campanile venne usato come casa per poveri e sfrattati. A dire il vero era una casa un po’ insolita e adattata … ma era solo una delle tante della Venezia sventrata e depredata di quell’epoca. Non faceva più caso nessuno alla biancheria stesa ad asciugare fuori dalla cella campanaria dove un tempo si mettevano a sventolare il Gonfalone di San Marco e i Vessilli della Chiesa … Poi una pietra tolta qua, un marmo asportato di là … sposta una trave su, e taglia quella parete giù … finchè venne giù tutto.
“Si sapeva ! … Era da vedere ! … Era solo questione di tempo !” commentavano i Veneziani dell’epoca.
Quel giorno del crollo del campanile accorse tutta la gente della Contrada, e accorsero in massa a spostare le macerie anche le Maestranze del vicino Arsenale … Fu forse per questo che dopo tanto impegno e faticariuscirono a trarre fuori ancora vivo e incolume il macchinista Giovanni Baratelli che abitava dentro alla vecchia torre.
Il campanile era una delle ultime cose rimaste di quella vecchia Contrada dopo che anche la chiesa era stata ridotta prima a deposito di legname, e poi, via via, demolita ed asportata pezzo per pezzo, pietra dopo pietra fino a lasciare un unico basso muretto inservibile per chiunque.
Forse anche per questo era morto il vecchio Piovano … Era morto di crepacuore per non aver sopportato d’essere prima buttato in strada, e poi di vedere appianata per intero la sua stessa chiesa.
I Francesi diventati padroni di Venezia non avevano avuto alcun dubbio: quella Contrada poverissima era davvero insignificante, senza volto, stretta in mezzo ai Monasteri illustri, ricchi e chiacchierati dei Frati Francescani Minori di San Francesco della Vigna, delle Monache Cistercensi della Celestia ossia Santa Maria Celeste, e delle Monache Agostiniane di Santa Giustina.
Non valeva niente ! … Troppa roba concentrata in così poco spazio ! Perché conservare ancora intatta quella chiesetta miseriosa ?
Nel 1810, al tempo del Piovano Giovanni Agostini, i Napoleonici decisero: “Via tutto e tutti … Chiudete al culto, sopprimete … e radete al suolo quella chiesupola di periferia ! … Magari prima usatela come deposito di legname o come stalla …”
Così, infatti, accadde … e l’edificio venne demolito del tutto nel 1832, dispersi gli altari e le pregevoli pitture esistenti, le preziose Reliquie di Sant’Anastasio e di San Gerardo Sagredo trasportate nella vicina chiesa di San Francesco de la Vigna ... e il prezioso Crocifisso di marmo scolpito da Francesco Cavrioli trasferito presso i Frati Domenicani di San Zanipolo poco prima che qualche mano sacrilega lo fracassasse … Nella frenesia della grande mobilizzazione epocale, si fece appena a tempo a prendere da sopra il Banco della Schola in chiesa la statua di legno del 1550 della Beata Vergine del Rosario col Bambino chiamata da tutti la “Madonna dei Chierici”… con tutto il suo corredo di 18 abiti da sposa dorati, d’argento e di seta, e portarla e consegnarla in fretta ai devoti associati della Schola della Beata Vergine del Rosario che se la presero e nascosero in casa propria.
Un attimo dopo, Santa Ternita venne chiusa e cancellata … Non esistette più per sempre.
Perfino la casa canonica “… rilevata tramite perizia del valore di lire 2.960 e perciò non molto difficile da poter vendere … confluì al Demanio insieme alle rendite prediali del Parroco appena defunto che possedeva annue 25 lire in beni e fondi, 78 lire in Livelli, 300 lire di redditi di stola ed altro per 66 lire.”
Nel 1840 della chiesetta di Santa Ternita era rimasto solo un basso muro di cinta e le fondamenta massicce … sopra le quali in seguito si pensò bene di costruire l'attuale caseggiato ben visibile (è quello al centro della fotografia qui sopra), dove s’apprezzano ancora perfettamente i gradini d’accesso alle porte della chiesa che non esiste più.
E delle 2800 persone che abitavano la Contrada ?
Ah ! Una delusione e un disorientamento generale: prima vennero aggregati alla vicina Contrada di Santa Giustina … Poi: cambio di programma ! … Tornarono ad essere considerati di nuovo Contrada a se stante … Poi: basta di nuovo ! … e vennero fatti confluire insieme anche stessa Contrada di Santa Giustina nella neonata Parrocchia di San Francesco della Vigna. Anche la Contrada di Santa Ternita venne abolita e cancellata.
Rimasero “non toccati”dai Francesi solo i vari Ospizi e Ospedaletti carichi di pezzenti e gente malandata che non si sapeva più dove sistemare.
In un angolo della piccola Contrada sorgeva l’Ospedaletto Da Molin: un insieme di 24 caxette affacciate sul Rio degli Scudi lasciate secondo testamento per accogliere persone povere e bisognose, e dato in “Commissaria testamentaria” ad alcuni membri della famiglia Patrizia Contarini. Costoro assegnarono invece le case in affitto, con la scusa di ricavarne le spese utili “per mantenere gli immobili in conzo e in colmo".
In un altro angolo, invece, fra la Calle de l'Ogio e Calle Malatina esiste ancora oggi l’Ospizio di Santa Ternita dei Morosinicostituito da altre caxette raccolte intorno alla Corte Morosini. Queste vennero lasciate per testamento nel 1508, dal Nobilomo Marco Morosini, Cavalier e Procuratore de San Marco, e venivano amministrate direttamente dai Procuratori de San Marco de Supra che leassegnavano "gratis et amori dei" innanzitutto a “poveri marineri” e poi a persone bisognose. Lo stesso Nicolò Morosini fece costruire nel 1498 altre 36 casette nella stessa Contrada dove andarono ad abitare senza pagare affitto decine di famiglie di Nobili decaduti.
In Corte Da Ponte c’era ancora l’Ospizio fondato dal NobilHomo Zanne Da Ponte che lasciò altre 10 casette a beneficio di poveri provvedendo anche per un’elemosina annua a loro favore, prestazioni mediche e pagamento delle medicine.
C’era, infine, anche “l’Hospital del Misero Ser Nantichlier da Ca’ Cristian” di cui si parlava già nel 1312, costituito come Ospizio per 20 povere donne inferme presente in Calle del Moriòn sopra un fondo comperato da Filippo Querini. Era diretto dalla Procuratia de Citra a cui era stato lasciato … Si chiamava anche “Hospitale delle Boccole” perché si era lì concentrato un Ospizio più antico fondato dalla famiglia Dalle Boccole abitante nella stessa Contrada di Santa Ternita.
I Nobili economicamente emergenti Dalle Boccole con proprietà a Venezia e in Terraferma fino a Treviso e Ferrara, insieme ai Celsi e ai Sagredo ottennero dalla Quarantia nel 1348 la responsabilità-privilegio-onere di inscenare la festa e le celebrazioni delle Marie in Contrada di Santa Ternita di cui erano le tre famiglie più in vista e i secondi più ricchi dopo Nicolò Stevian … In seguito, Nicolò e Zanino Delle Boccole, “poco lavoratori e parecchio trasgressori”, aiutarono nel 1351 un fratello bastardo ad attaccare le Guardie dei Signori di Notte … Sei anni dopo, un Francesco Delle Boccole venne processato e punito severamente per aver violentato una ragazzina con l’aiuto della madre di lei … Il Nobile Francesco Delle Boccole, divenuto “Bonum Hominem”, assieme ad altri 13 Nobili, contribuì’ nel 1379 offrendo 10.000 delle 91.000 lire totali offerte alla Serenissima dalla Contrada di Santa Ternita per la guerra contro i Genovesi che presero Chioggia al tempo del doge Andrea Contarini.
Nel 1388, infine, il Patrizio Giovanni dalle Boccole si trovò attaccate sulla porta di casa due teste di caprone insieme a una scritta obbrobriosa dedicata alla moglie, alla sorella e alla suocera. Autore del fatto era stato il mal corrisposto Luigi figlio del Doge Antonio Venier, che era amante della moglie del Dalle Boccole, assieme a un suo amico Marco Loredan. Il figlio del Doge venne condannato con l’amico alla pena esemplare di 2 mesi di carcere, 100 ducati di multa, e alla interdizione per 2 anni dall’entrare in Campo Santa Ternita.
La famiglia Dalle Boccole si estinse nel 1403.
Già che ci siamo … parliamo allora della situazione curiosissima degli altri Nobili presenti e residenti in Contrada di Santa Ternita. Più che veri e propri Patrizi Veneziani, erano quel poco che rimaneva di quella categoria illustre.
Negli ultimi secoli della Serenissima vivevano ancora in palazzi più o meno grandi edificati nel lontano 1400-1600, ma che assomigliavano ben poco ai sontuosi palazzi presenti sul Canal Grande … Si trattava di palazzetti in cui il blasone era più una nostalgia e un’appartenenza che un titolo vero e proprio corrispondente a reale valenza politica, e soprattutto economica.
A Santa Ternita abitavano diversi rami cadeti e secondari delle grandi Casate Nobiliari di Venezia.
“La Contrada di Santa Ternita era una specie di Ghetto per Nobili malandati …”
Accanto agli ancora prestigiosi e altisonanti Contarini “De la Porta de fero”,Malipiero, Sagredo e Morosini “De la Sbarra”, c’erano i Celsie i Donàresidenti in Palazzo del 1600 come i Manolesso che ne abitavano uno del 1400. C’erano inoltre i Magno, i Barozzi di Santa Giustina, alcuni dei Foscarinie i Baffo trasferitisi poi in Contrada di San Martin in una casa più modesta e più confacente alle loro flebili finanze ... Quasi tutti questi erano Nobili considerati di Classe o V Categoria.
In un altro palazzotto del 1600 c’erano ancora gli Orio di Santa Ternita, anche loro di Classe V, ma considerati fra le 10 casate più povere di tutta Venezia ... mentre Rigo di Domenico dei Condulmer di Santa Ternita era un Nobile nullatenente che trascorse 53 anni della sua carriera in 19 diversi Reggimenti della Serenissima fuori città per provare così ad evitare l’assoluta miseria.
Ancora nel 1719, i Dandolo di Santa Ternita erano inclusi fra le prestigiosissime “Case Vecchie”, ossia le Casate nobiliari più antiche e rispettabili di Venezia, ma dal 1646 non si era più sposato neanche un uomo del Casato, e si estinsero nello stesso anno.
Tornando all’epoca del crollo del campanile … non è che l’intera zona di Santa Ternita brillasse tanto di luce propria in quella parte remota di Venezia …
Nel 1851: Maria Costantini di 34 anni detta Tibalda, impiraresse, separata da due anni dal marito, madre di due figli, abitante a Castello in Corte Saracina teneva “stazio-bottega”all’aperto in Campo Santa Ternita dove esercitava anche il suo “lavoro”. La comare Santa Malo la querelò due volte accusandola di aver tresca amorosa con suo marito Marco, di averli sopresi più volte insieme in osteria e a casa di lei, e di averlo contagiato di sifilide da cui era affetta … Infatti, la Tibalda venne ricoverata in ospedale ... e si scoprì che aveva anche precedenti per rissa e furto, che portava al collo un fazzoletto reazionario, e si aggiunse anche che ingiuriò la guardia che la scortò dal carcere di San Severo fino all’ospedale. Si propose l’iscriverla al “Ruolo di pubblica meretrice”.
Oltre alla Tibalda, nella stessa Contrada dove c’erano fin dal 1582 anche le case di Bernardo Malatin uomo di Lettere e Mercatura … e quelle del Nobilhomo Antonio Erizzo detto “delle Belle Donne” per via di quelle che frequentava di continuo sedute a lavorare fuori della porta delle loro case … c’erano anche le case di Calle e Corte delle Muneghe che erano proprietà delle Monache del Corpus Domini di Cannaregio… e quelle in Calle del Mandolin appartenute a Giovanni quondam Giovanni Mandolin morto a soli 33 anni … Negli stessi luoghi, nel 1869 esisteva una delle Fabbriche Unite per produrre canna di vetro e smalti con 4 tubi di rotondamento che dava lavoro a una quindicina d’operai ... e ogni 13 giugno una Processione partiva dal Campo dove sorgeva la chiesa di Santa Ternita e si recava fino a un Capitello devozionale dedicato a Sant’Antonio da Padova collocato nel Campiello o Corte della Borsa ... Le case in Corte, Ramo, Corte e Calle della Borsa appartenevano alla famiglia Borsagiunta a Venezia da Cremona con Dusino Borsa fustagnèr che ottenne il privilegio di cittadinanza Veneziana nel 1349. Era Confratello come figura scritto nella Mariegola della Scuola Grande della Carità … come lo fu anche Chabrin Borsa da Santa Ternita … e Andrea Borsa figlio di Chabrin che contribuì con prestiti alla Repubblica nel 1379, all’epoca della Guerra di Chioggia contro i Genovesi.
E questo non è ancora tutto, perché andando indietro a ritroso nel tempo, si può scoprire che Santa Ternita era una Contrada piccola, con sole 558 persone abili al lavoro fra 14 e 60 anni, esclusi i Nobili che erano il 23% dell’intera popolazione lì residente, ma vivissima con 46 botteghe, un forno da pane e una Pistoria, dove pescatori, Arsenalotti, facchini ossia Bastazi, e Marinai e tanta altra brava gente vivevano intensamente stretti intorno alla loro chiesetta.
La chiesa, come in tutte le altre Contrade di Venezia fungeva un po’ da centro di riferimento della vita sociale, e fungeva un po’ da parafulmini dell’intera esistenza che per molti spesso accadeva tutta lì. Più di qualcuno non solo non usciva per tutta la vita da Venezia, neanche recandosi alle isole più vicine, ma neanche s’azzardava a raggiungere le altre Contrade dall’altra parte della città se non raramente o se proprio doveva.
Quando il Patriarca Flangini andò a visitare per l’ultima volta Santa Ternita, nel giugno del 1803, poco prima della sua soppressione e distruzione, trovò 3.000 abitanti e più: “… tutta gente miserabile, per la maggior parte indigente assistite però da 1 levatrice.”
In chiesa non esisteva più la “Cassa-Fabbrica”, ma solo una generica “Cassa-Provvedimenti” con alcune contribuzioni dovute a scarse rendite, e alcuni Livelli utili per le necessità pratiche della chiesa. Il Piovano don Giovanni Antonio Agostini possedeva la casa-canonica e aveva entrate per 204,12 lire, mentre il Capitolo dei Preti si spartiva 248 lire provenienti da Livelli e da affitti di case sparse in giro per la Contrada, che percepivano insieme ad altri 9 Preti in cambio di celebrazioni di Messe e Anniversari. Si spendevano sono 260,4 lire di cui 186 per stipendiare il Curato ospitato dal Parroco ... ed esisteva inoltre un’Associazione della durata di 25 mesi non meglio definita, istituita dallo stesso Parroco, per la quale riscuoteva altre 4 lire al mese a titolo personale.
Apparentemente sembrava che in quella chiesa di Venezia tutto procedesse per il meglio: a conti fatti si celebravano in Santa Ternita ben 24 Mansionarie per un totale di 2.000 Messe … oltre ad altre 2.039 Messe perpetue, 41 anniversari e qualche altra Messa Avventizia.
Santa Ternita a guardarla come chiesa era un bijoux: oltre all'Altar Maggiore c’erano altri sei altari, tre per ciascun lato della navata. Uno di essi era particolarmente ricco di marmi, e gli archi della chiesa erano stati dipinti dal Bambini ... Santa Ternita era un’altra bomboniera Veneziana satura d’opere d’arte prestigiose con tele di Giovambattista Tiepolo, Vittore Carpaccio, Francesco Maggiotto, Pietro Malombra… e Zibellini in Sacrestia, 4 comparti di Giovanni Bellini all’Altar della Madonna … diversi teleri di Cima da Conegliano, Girolamo da Santacroce, Jacopo Palma… e un Gonfalone con “San Francesco” dipinto da Girolamo Pilotto… Però il Patriarca sapeva che qualcosa non andava in quella Congrega-Capitolo dei Preti di Santa Ternita, perciò si mise ad indagare in profondità.
All’interrogatorio, il Parroco confermò d’aver venduto 4 candelieri d’argento della chiesa per un valore di 600 lire per sopperire a quanto “in democrazia” aveva sottratto alla chiesa … e di aver sottratto e impegnato 2 calici presso un parrocchiano per pagare le spese incontrate in una causa civile per allestire la quale aveva anche sottratto dei documenti … Inoltre, lo stesso Piovano riscuoteva e intascava offerte per Messe che non celebrava … “sembra per la sua salute cagionevole” … ed altro ancora. Venne richiamato a comportarsi in modo degno e a recitare ogni giorno per un anno intero il “Miserere”.
Un altro dei Preti: don Francesco Varotto venne accusato in qualità di Prete Sacrista di distrazione di fondi destinati alle Messe. Ammise un ammanco di 2.088,10 lire da lui utilizzate per esigenze personali in seguito alla morte del padre e alla infermità che lo costrinse a letto per 5 mesi ... Accennò anche a furti recati ad altri Preti, e si impegnò a soddisfare i debiti pagando con quote mensili. Il Patriarca lo privò del titolo di Prete Sacrista e gli impose il versamento di lire 30 mensili nella “Cassa delle Messe” e la recita quotidiana per un anno del “Salmo 14”.
Pur cantando una Messa Solenne per la Festa della Madonna del Rosario al cui altare si teneva sempre accesa una lampada come a quello di San Gerardo Sagredo per conto della famiglia Sagredo ... “si deve organizzare meglio la Dottrina Cristiana per le Putte della Contrada … E’ necessario sollecitare l’interessamento di padri e madri alla frequenza dei figli perché è davvero scadente.”… tuono il Patriarca.
Per quella stessa chiesa il 29 novembre 1712 il Proto Domenico Rossi aveva rilasciato una scrittura per un restauro radicale per una spesa di 1.200 ducati … cosa che avvenne puntualmente nel 1721, e poi anche in seguito quando si ricostruì dalle fondamenta la Cappella Maggiore, le due Cappelle laterali e tutta la Sacrestia.
Erano gli Juspatroni votanti che sceglievano ed eleggevano il Piovano per la chiesa della Contrada. Nel 1760 erano 132, e corrispondevano a coloro che erano proprietari degli stabili della Contrada di Santa Ternita. Alcuni degli stessi Juspatroni formavano anche una “Banca”di 21 componenti che gestiva l’economia e le nomine dei Procuratori della stessa chiesa e Parrocchia.
Secondo quanto racconta il Gradenigo nei suoi “Notatori”:
“… domenica scorsa 18 maggio il nuovo Piovano di Santa Ternita don Giobatta Gregori fece il suo ingresso con universale testimonianza d’affetto, essendosi quasi tutti gli abitanti della Contrada affaticati per spiegarle il proprio compiacimento e la festa del loro cuore … Soprattutto il Campo dei Do Pozzi era guernito e la Corte della Vida perché ivi i Confratelli della Madonna del Monte del Santo Rosario oltre un’illuminazione magnifica di torce fecero vedere posto sopra la porta della Cappella di Santa Ternita il ritratto del Piovano giudicato il più somigliante degli altri ... Fu questa un’opera del pennello di Giacinto Pasquali giovine di attività nell’Arte della Pittura…”
In quella Contrada accadeva, quindi, una vita ristretta, dentro a quello che era un preziosissimo microcosmo stretto e chiuso fra sei ponti … Nel 1751 quando si rifabbricò il “Ponte di S. Ternita che va alla Celestia”,trasportandolo sei braccia più a sinistra e unificando le due Fondamenta di Cà Sagredo e Cà Zorzi …. Martino Marin Margariter a Santa Ternita, muto perché gli era stata tagliata la lingua in berlina ed era stato in galera a vogare per 7 anni, venne ucciso da un Marangon ... e il 17 marzo, sempre secondo i Notatori del Gradenigo: “… sei putte popolari della contrada di Santa Ternita con loro maestra vennero portate a Ca’ Mocenigo in Contrada di San Samuel per “impirare e riportare” una prodigiosa quantità di minute e preziose perle secondo il disegno di Giorgio Fossatti su di un sontuoso abito che vestirà la NobilDonna Catarina Loredan nipote di sua Serenità destinata sposa di Giovanni Mocenigo.”
Santa Ternita era una delle tante isolette dell’arcipelago di Venezia, insomma … zona bassa, popolarissima che più popolare non si poteva, ma abbarbicata alla Serenissima, al lavoro, all’esistenza … e a tutto il resto.
Nella Gazzetta Veneta del 1761 Gasparo Gozzi raccontava:
“… nel passato avvenne che un certo garzonastro di mala vita, di anni diciotto circa, passando a Santa Ternita, vide un fruttaiolo occupato in certi suoi fatti, e adocchiata la bilancia della bottega e mezzo ducato d’argento là da un lato, credendosi di non essere veduto, diede su le ugne all’una e all’altro e se ne andò a fatti suoi. Stavano alcuni a vedere quest’atto, ch’egli non se ne accorse, onde, appena ebbe tra le mani la roba altrui, gli furono dietro, ed egli, messasi la via tra le gambe, andava suonando con la bilancia, che parea un cavallo che trotti con la sonagliera: chi usciva di qua, chi di là: chi è stato ? E’ un ladro !
Sempre la gente crescea e avea dietro le torme ... Giunto a San Francesco e vedendo che le gambe non gli poteano più valere, si lasciò andare col capo in giù nel canale per salvarsi nuotando. Le persone gridavano dalla riva, molti erano alle finestre, egli menava le gambe e le braccia: ma fu invano, perché sfuggiti quelli che lo inseguivano in terra, dette nell’armata navale. Erano in acqua alquanti giovani che nuotavano per sollazzo, i quali, andatagli incontra, lo presero e lo diedero in mano a coloro che gli avevano corso dietro lungo tempo. Questi, che aveano già ricoverato il furto da lui gittato via nel fuggire, pensarono per castigo di lui di far conoscere pubblicamente chi egli fosse, perché da indi in poi la gente se ne potesse guardare: e preso un buon graticcio e legatolo bene, acciochè divincolandosi non potesse fuggire né farsi danno, quattro de più vigorosi presero le stanghe del graticcio dov’era disteso e cominciarono a portarlo attorno per tutta la Contrada. Il numeroso popolo che dietro avea, cantava le sue lodi, e fu in quel modo portato vivo sulla bara in trionfo per tutte le Fondamente Nove e finalmente sciolto e lasciato andare con non so quante ceffate e urli e fischi e risate dietro. Io ci giocherei che in cuor suo colui non ha fatto altro proponimento che di furtare un’altra volta con maggior cautela …”
Era comunque sempre intorno ai Preti e alla chiesa che ruotavano notizie e pettegolezzi, ed era spesso lì che succedevano le cose più strane e curiose: nel 1761 durante la frequentatissima Processione del Venerdì Santo che percorreva ogni angolo della Contrada, il portatore del pregiato fano’ (fanale) fatto di canne e pive di contaria dei Margariteri di Santa Ternita: “… s’intoppò e distrusse del tutto il prezioso fanale.” … Fu un disastro, la perdita di un oggetto davvero unico e prezioso.
Qualche anno prima, nel 1752, il primo giorno di Quaresima era accaduto nello stesso posto che il Prete di Santa Ternita GiovanBattista Buogodetto “Chebba”, scappato da Venezia, venisse condannato al Bando da tutti i luoghi della Serenissima. Non avendo potuto soddisfare le sue voglie sulla fanciulla Orsetta, figlia del “Peatèr”Agostino Tuffo della stessa Contrada, l’aveva fatta sfregiare in viso con un coltello mentre usciva dalla Messa in Santa Ternita,
Ma in Santa Ternita accadevano anche diverse cose positive.
Come in tutte le chiese di Venezia anche in Santa Ternita si ospitavano Schole e Associazioni d’Arte e Mestiere e Devozione come la Schola di Sant’Antonio Abate dei Margariteri Impiraperle ePerleri… e la Schola dei Filatori di Seta che secondo la famosa Statistica del 1773 riuniva e contava: 34 capimaestri, 12 garzoni, 36 lavoranti sparsi in 20 botteghe, con 20 mulini in lavoro e 35 disoccupati prevalentemente alloggiati e attivi nella zona dei Biri in Contrada di San Canzian.
Riguardo ai “Confratelli Filatoj” ospitati in un locale rovinoso della chiesa per il quale la Schola pagava al Capitolo di Santa Ternita 3 ducati annui, il Piovano di Santa Ternita attestava nel 1713 che: “… ogni 22 gennaio, festa del martire Sant’Anastasio, i Filatoj compivano una lunga processione per la Contrada, alla fine della quale si celebrava una Messa solenne. Inoltre, ogni anno il giorno di San Martino, la stessa Schola organizzava una seconda processione cantando Salmi in suffragio per i Morti con i Confratelli tutti vestiti di paramenti neri.”
Isolato in Campo Santa Ternita c’era un pilastro di pietra con incisa l’epigrafe:
SCOLLA D. FILATOII ET ARTE FV RIFASTA D. NOVO L'ANNO 1696
Quando la Schola con ancora 63 iscrittivenne soppressa dai Napoleonici il 24 gennaio 1807, risultò dall’ultimo inventario che possedeva ancora l'altare di marmo che si trovava in chiesa, la cassa dove si trovavano le Reliquie e i Corpi dei Santi Patroni, e una bella pala dipinta … però i Preti di Santa Ternita avevano sospeso di celebrare le loro 12 messe annue perché i Filatoj non corrispondevano più la dovuta elemosina.
In Santa Ternita c’erano poi le solite Schole presenti un po’ ovunque in giro per Venezia: la Schola del Santissimo Sacramento, quella della Santissima Trinitàe San Anastasio, quella di San Gerardo Sagredo, la Compagnia delle Quaranta ore … e c’era perfino una Schola stranissima quanto misteriosa, unica in Venezia, detta dei “Fratelli dell’Illuminazione”.
Esisteva inoltre un Suffragio e Compagnia dei Morti o della Buona Morte o Confraternita del Santo Crocefisso o Schola della Croce fondata il 17 novembre 1654. Inizialmente: “… la Schola fu autorizzata a proprie spese possa scurtar li banchi e le cornise delli quadri della scuola del Santissimo per rifare di marmi fini l’altare.”
Ma alla visita del Patriarca Flangini del 1803 si rilevò che la Schola faceva celebrare troppe Messe, e: “… si vietò l’accumulo di denaro per l’acquisto di argentaria, cose, candelieri d’argento … onde evitare i furti in chiesa”. Qualche anno dopo il Consiglio dei Dieci decise di sopprimere quella Schola revocandole la licenza di Confraternita per: “… scandali di manomissione di argenteria … e disordini nella fraternità con scandalo in città …”
La più curiosa e interessante Schola ospitata a Santa Ternita, fu quella, invece, di Santa Maria degli Angeli e di San Francesco dei Coroneri o Fabbricanti di Rosari e Bottoni in legno chiamati dai Veneziani: “Anemeri”.
Si trattava di artigiani che fabbricavano corone di Rosari non di vetro ma con “aneme” ossia bottoni in osso o ordinarie da rivestire. A Venezia le “aneme” si vendevano a dozzine e si distinguevano in: “Aneme da velada”, “Aneme da camisiola”, “Aneme da commesso”, “Aneme da commessetto” e “Aneme da camisa”.
Da documenti della Giustizia Vecchia si evince, ad esempio, che nel giugno 1575: “Lucietta fia de ser Cristophoro da Grizzo, bastazo alli Frari, presente, d’età d’ani 15 in circa se scrive a star e lavorar all’Arte de far bottoni e altro farà bisogno, con Ser Zambattista de Cabriel Mercante de Seda, per anni cinque prencipia adì ditto. E falendo alcun zorno sia obbligada reffar; qual Zuan se offerse farla docile di tal profession, li fa le spese sana e inferma, lì da albergo e la tien monda e netta, e li da per suo salario in ditto tempo ducati 12, a vestir d’essa d’essa Lucietta ...” nel marzo di tre anni dopo però: “… Costituido in Officio Mastro Paolo Lombardo, per nome del contrascrito patron et dise la contrascrita puta essere da lui fuzita zà da un mese circa.”
Chissà perché ?
L’Associazione-Schola dei Coroneri venne comunque autorizzata dal Consiglio dei Dieci nel 1584, e iniziò la stesura della sua Mariegola stabilendo le tariffe di versamento della tassa “Benintrada” d’iscrizione, della tassa “Luminaria” per la spesa delle candele, e i contributi per l’assistenza ai Confratelli e la loro sepoltura.
Nel gennaio del 1673 la Schola venne rinnovata ancora iniziando nuovi registri di Cassa, Inventari e stesure dei Capitoli delle riunioni … i Coroneri si autotassarono per comperare e porre sull'altare della Schola e della Madonna delle belle colonne di marmo per non essere da meno a confronto delle altre Arti Cittadine.
Secondo la solita Statistica del 1773, l’Arte annoverava 162 iscritti con 34 garzoni, 50 lavoranti e 78 capimastri distribuiti in 16 botteghe ... L’Arte era efficiente e bene organizzata:
“A sicurezza del suffragio verso li poveri ammalati dell’arte, va parte che manda l’attual Gastaldo con sua Banca e Sindici, che alli ammalati con febbre ed obbligati a letto venghino contribuiti per il corso di due mesi, obbligati a letto, soldi 30 ossia una lira e ½ al giorno. E dopo li due mesi, continuando infermi aver debbano lire di piccoli otto al mese, restando del pari prescritto che dall’ammalato sia pro tempore ricercata la fede dal Gastaldo e Scuodidor dell’Arte Giustinian Becari, qual fede già sarà in stampa e solo mancante del mese e giorni, d’essere descritti dal medico di Contrada. Qual fede, passata prima alla chiesa parrocchiale per il confronto del sacerdote sacrestano del carattere del medico e sottoscritta dal Gastaldo, allora solaente sarà soddisfatta dal Cassier…”
Ancora nel gennaio 1782 un Proclama Dogale a stampa su terminazione dei Savi alla Mercanzia esecutiva di apposito decreto del Senato, proibiva a chiunque l’importazione di “anime da bottoni” da fuori Venezia.
“… dal giorno della pubblicazione della presente in avvenire siano e s’intendano le anime da botton di ogni qualità e sorte, qui non fabbricate, escluse dall’ingresso e consumo nella Dominante.”
Venne consentito per 6 mesi lo smercio delle giacenze e si fissò un listino delle “anime veneziane” da vendere a dozzina.
Solo verso verso lo “scadere del tempo” della Repubblica Serenissima, nel 1793, i 193 Coroneriiscritti lamentavano la decadenza della loro Arte anche per l’avvenuta apertura cinque anni prima di una nuova fabbrica di corone del Rosario a Loreto nelle Marche. Chiedevano perciò che: “in avvenire, a maggior libertà del commercio, sia permesso poter fare ogni sorta di lavori, tanto fini che ordinari, a genio de committenti e compratori.”
La Giustizia Vecchia provando a salvaguardare in qualche modo il buon nome dell’industria veneziana: “… concesse licenza di eseguire anche i lavori andanti e ordinari per un biennio di prova”.
Ma era ormai tardi, arrivarono i Francesi e l’Arte manifattrice di consumo e commercio venne chiusa.
Non ho finito ancora … Salto ancora indietro nel tempo … ma ve la faccio breve … Promesso !
“Mistro Misser Nicolò conza organi si impegnò a rifare l’organo della chiesa di Santa Ternita per 50 ducati nel 1636”… mentre pochi anni prima il Sudiacono di Santa Ternita venne privato del titolo per via di un furto sacrilego perpetrato in chiesa … e in tempo di pestilenza nel gennaio 1620, scoppiò una lite fra il Primo e il Secondo prete di SantaTernita su chi spettava amministrare i Sacramenti in assenza del Piovano … Dovette intervenire il Patriarca Tiepolo decretando che ciascuno facesse una settimana.
All’inizio del secolo con apposito decreto del Consiglio dei Dieci venne bandito Michele Viti da Bergamo Prete di Santa Ternita perché risultò attentatore insieme ad altri alla vita di Frà Paolo Sarpi residente a Santa Maria dei Servi a Cannaregio dall’altra parte di Venezia … e qualche anno dopo venne arrestato un altro Prete di Santa Ternita per aver scandalosamente praticato in chiese di Monache, mandando e ricevendo lettere e presenti con altre indecenti operazioni. Venne condannato a 2 anni di carcere con divieto perpetuo di parlare con Monache anche sue parenti ed entrare nelle loro chiese.
Nel gennaio 1594 s’era già provveduto a togliere il titolo al Prete Giuseppe Trieste sempre assente in quanto risiedeva come Parroco a Treviso … e quando nel giugno 1581 giunse la Visita Apostolica ispettiva a Santa Ternita:
“… la Contrada di Santa Ternita annovera 2.300 Anime di cui 1400 che facevano la Comunione … La Parrocchia è Collegiata con 4 Preti Titolati sostenuti da altri 5 Chierici che ruotano attorno per la modica cifra di 7½ ducati annui … Si celebrano: 4 Messe Mansionerie perpetue e quotidiane percependo 63 ducati, mentre la Fabbriceria della chiesa raccoglie e mette a disposizione 4 ducati … la Parrocchia paga 8 ducati annui per l’organista, e un altro ducato annuo a Mastro Leandro per tenere l’organo in ordine … Si spendono anche 8 ducati complessivi per la festa del Titolare e di Sant’Anastasio …”
Certificato questo, il Visitatore Apostolico inviato dal Papa di Roma prima di andarsene fece processare e condannare il Prete Giovanni Maria Casali e il Suddiacono Gaspare Leandro per gravi irregolarità dovute a convivenze, rapporti carnali, patrimoni impropri e vizi di gioco ... Oltre a questo, le cose in Chiesa non andavano benissimo perché non c’era nessuno che predicava durante le Messe domenicali, e tantomeno c’era chi lo facesse durante l’Avvento per prepararsi al Natale o in Quaresima per andare a Pasqua … Come non bastasse, l’incaricato del Papa dovette vietare di adoperare una piccola croce associata alle famose reliquie di Sant’Atanasio conservate in chiesa, per curare a pagamento “il mal caduco” ossia l’epilessia.
Era novembre del 1536 quando lo stampatore Francesco Marcolini da Forlì trasportò nelle vicinanze della chiesa di Santa Ternita la sua tipografia trasferendola dalla contrada dei Santi Apostoli. Nel “Petrarca” di Girolamo Malipiero si legge:
“Stampato per Francesco Marcolini da Forlì in Venezia appresso la chiesa de la Trinità gli anni del Signore MDXXXVI del mese di Novembre”.
Il Marcolini era anche letterato, antiquario, intagliatore, orologiaio e architetto: costruì anche il Ponte Longo di Murano nel 1545. Era anche amico-compare di Pietro Aretino che lo andava a trovare spesso, anzi, andava a trovare di più sua moglie Isabella: “… donna tanto impudica da darsi in preda perfino ai lavoranti della stamperia ...”
Per cui, come raccontava il Doni: “… sorti in progresso di tempo alcuni dissapori fra i due amici, eccoti l'Aretino, colla solita maldicenza, vantarsi delle corna fatte al Marcolini, sparger voce che questi, in vendetta dei cattivi costumi della moglie, l'aveva condotta in Cipro, ed attossicata, asseverare finalmente che il Marcolini aveva rubato ad un tedesco il disegno del Ponte Longo di Murano ...”
Nel dicembre 1528, era accaduto invece, che si stava per eleggere come Suddiacono di Santa Ternita uno: “… che venne denunziato lui esser imbriago zafo e far l’officio de zafo e vender carne pubblicamente e ha putane e fioli ... Per querele e per la sua ignoranza si annullò l’elezione al Titolo in Santa Ternita…”
Secondo il racconto del solito Diarista Marin Sanudo, all’inizio del 1500 la chiesa di Santa Ternita era stata completamente ricostruita con lavori che durarono 15 anni. L'edificio dall’antica chiesa a tre navate passò a unica aula con Presbiterio ed altari laterali.
Ancora un secolo prima, il Piovano di Santa Ternita Francesco Gritti era anche Notaio, Cancelliere Ducale, Canonico Vicario della Basilica del Doge, Arciprete della prestigiosa Congregazione dei Preti di San Luca e intervenne perfino al Concilio di Basilea come rappresentante della stessa. In seguito divenne anche Vescovo dell’isola di Corfù, ma conservò ugualmente il Titolo Commendatario di Santa Ternita fino alla morte del 1458.
Saltando ancora fino al 1300 … il Nobile Giacomo Venier residente in Contrada di Santa Ternita nominò Procuratore il Prete Giovanni Gazo Cappellano del Governatore Veneziano di Corone e Modone perche’ riscuotesse il denaro che Enrico Barbarigo gli doveva ... Nel 1362 Bartolameo era Piovano di Santa Ternita … in seguito divenne Vescovo di Cannea in Candia ... consacrò la Parrocchia Collegiata di Sant’Eufemia della Giudecca ... e divenuto Vicario Generale del Vescovo di Castello Paolo Foscari, concesse la facoltà di erigere il Monastero di San Girolamo di Cannaregionominandone la prima Badessa Bernarda Dotto, e nel settembre 1375 permise l’edificazione del Monastero del Corpus Domini dove oggi sorge la Stazione Ferroviaria e il Palazzo della Regione Veneto.
Sempre durante il 1300, GiovanniPrete di Santa Ternitaricevette in Commenda da Pino Vescovo di Castello la chiesa di San Marco in Beirut per un censo annuo di una “Marca Sterlingorum”… mallevadore sarebbe stato Stefano Piovano di Santa Sofia … I Nobili Giovanni e Pietro Orio di una delle famiglie più influenti della Contrada erano i Procuratori della Parrochia … Andrea e Martino Preti a Santa Ternita erano Notai di Venezia … Leonardo Verde, invece, anche lui Prete a Santa Ternita, ricevette un prestito dalla parrocchiana Benedetta vedova di Giovanni Caldera offrendogli il messale in garanzia del prestito ... Si concesse a Bartolomeo Verde di Santa Ternitauna parte della velma o palude di 16 passi di lato posta fra il Monastero di San Michele sulla strada per Muranoe Venezia per costruirvi un mulino a vento per macinare “farina de velma”… Già che c’era, il Verde nel 1352 ottenne facoltà di erigere anche un Ospedale: “in loco in quo erat molendinum a vento.”
A tempo delle Crociate, nel 1223, arrivò a Venezia da Costantinopoli il Corpo di Sant’Anastasio Martire che venne sistemato in apposita Capella di Santa Ternita arredata in seguito da due “Storie di Sant’Anastasio” dipinte da Antonio Aliense. Quelle Reliquie di Sant’Anastasio vennero accudite e venerate dalla gente della Contrada per secoli.
Infine, si perde nell’incertezza dei tempi l’origine della Contrada e della chiesa di Santa Tèrnita… Le prime notizie risalgono al 1030 circa, quando le Nobili famiglie Sagredo e Celsi residenti in zona al tempo del Dogado di Pietro Barbolano o Centranico rilasciarono i primi finanziamenti per costruirsi un’imponente cappella laterale a sinistra dell’altar maggiore con tre statue in pietra d'Istria e otto colonne in marmo con piedistalli e capitelli come tomba-mausoleo di famiglia. Già da qualche tempo la Parrocchia e Chiesa di Santa Térnita era affiliata alla vicina Cattedrale di San Pietro di Castello o Olivolo … e questo è tutto … del prima non si sa più nulla ... o quasi.
Se ne avete voglia e occasione … Provate a passare un giorno per il Campo di Santa Ternita in fondo al Sestiere di Castello … Proverete una sensazione struggente, stranissima … Come spesso accade, non incontrerete probabilmente quasi nessuno … Vi sembrerà d’esservi smarriti per Venezia in mezzo a tutte quelle case e Calli e Ponti e Fondamente tutte uguali e labirintiche … Vi parrà d’essere fuori dal Mondo e dalla Storia … come dentro a una capsula temporale libera dal tempo … Cambierà tutto, invece, se incapperete in qualche vecchia o vecchio Veneziani che abitano là … Vi sembrerà che non siano trascorsi i secoli … e tutto quello che vi ho raccontato vi sembrerà accaduto solo ieri, o forse oggi stesso.