“UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA … DI NATALE.” – n° 82.
“SVAMP ! SVAMP ! … VENEZIA 1800.”
Chiudi gli occhi ! … Immagina il posto diversamente da com’è adesso.
Quale posto ? L’intera zona di Piazzale Roma a Venezia … l’entrata automobilistica odierna della città Lagunare. Però immaginala dall’alto, più in grande, l’intera zona vista “a volo d’uccello”… come se tu fossi uno di quei droni moderni che volteggiano telecomandati in cielo osservando e filmando tutto dall’alto.
Fatto ? … Bravo.
Adesso, però, continuando ad osservare e immaginare, fai un salto enorme indietro nel tempo … diciamo un paio di centinaia d’anni pressappoco ... anno più o anno meno.
Ci siamo ! … è semplice no ? Il posto cambierà quasi del tutto.
Svamp ! Svamp ! … in un attimo scomparirà un po’ più avanti (perchè non esisteva ancora): l’ampia isola del Tronchetto con i suoi parcheggi monumentali, i capannoni, il mercato delle erbe e del pesce e tutte le palazzine moderne. Al loro posto si vedrà soltanto acqua, canneti e basse paludi barenose che cingevano come una collana la fine di Venezia.
Osserva ancora, e di nuovo: Svamp ! Svamp ! … E’ scomparso per intero anche il lungo Ponte Translagunare: niente treni, niente tram e autobus, niente automobili, moto e biciclette. Da e per Venezia si andava e arriva soltanto a piedi, camminando sulle acque se si era capaci, o soprattutto spingendo i remi in barca lungo le vie acquee che costeggiano l’isola di San Giorgio in Alga da una parte, oppure il canale che da San Giuliano della Palada dall’altra, passando accanto all’isoletta delle Monache di San Secondo, portava infine alla Contrada di San Giobbe e al Macello del Sestiere di Cannaregio.
Un tempo esistevano mille maniere e strade diverse per approcciarsi Venezia, tutte rigorosamente vigilate e attentamente controllate dagli uomini del Dazio e della Gabella della mitica Serenissima ... o perlomeno di quel che ne rimaneva un paio di secoli fa.
Si poteva giungere a Venezia, per esempio, scendendo dai boschi del Cadore con le zattere di tronchi lungo il fiume Piave. Dopo lunghe e aspre peripezie intercorse nelle zone ripide dei monti, e dopo aver seguito il fiume ampio e pigro nella pianura, si sbucava finalmente in Laguna non lontani da Venezia … Si affiancavano le isole di San Giacomo in Paludo, Murano e le isole gemelle di San Michele e San Cristoforo della Pace (l’attuale cimitero) per poi giungere ad attraccare in Barbaria delle Tole, Contrada della Celestia e sulle Fondamente Nove poco distanti dall’Arsenale, o viceversa sulle Zattere dalla parte opposta di Venezia di fronte alla Giudecca.
Torniamo però alla nostra zona iniziale: Svamp ! Svamp ! ... di nuovo. Via tutto !
In quell’epoca, due secoli fa, non c’erano neanche i pattini, figuriamoci i primi motori e gli aerei in arrivo o decollo dall’Aeroporto Marco Polo. Anche lì c’erano solo paludi e magri campi infestati dalla malaria, e in giro c’erano solo carretti, carrozze e cavalli per chi se lo poteva permettere … o i piedi, come dicevano prima, i muscoli delle braccia per vogare, o il passaggio a pagamento servendosi di barcaroli e delle “burchielle”.
Svamp ! Svamp ! … ancora una volta: niente Porto e zona della Marittima di Venezia … Niente banchine d’approdo e ormeggio, niente Grandi Navi, niente alte gru possenti, silos e magazzini di stoccaggio, depositi di carbone e merci, rotaie e vagoni. Il porto di Venezia si trovava da tutt’altra parte, sul Molo di San Marco, dove velieri, galee a remi, cocche e navigli a vela di ogni genere approdavano sulle rive, oppure risalivano lungo il Canal Grande fino al ricco Emporio Internazionale di Rialto.
Dove esiste il Porto di Venezia oggi: fra San Basilio, Santa Marta, Piazzale Roma e il Tronchetto c’era solo una lunga spiaggia e una bassa riva soggetta alla marea. Lì approdavano e venivano spiaggiate le barche dei pescatori che abitavano nelle miserrime Contrade di San Nicolò dei Mendicoli e dell’Anzolo Raffael. Non dobbiamo immaginare casupole, ma proprio bicocche, casette posticce, rovinose, un po’“da presepio”, proprio modeste, abitate soprattutto da gente poverissima ai limiti della sopravvivenza, e da famiglie numerosissime che vivevano di stenti e spesso d’espedienti.
Quindi: via tutto anche da quella parte!
Al posto delle ampie zone cementate e delle rive del Porto: solo un altro mare di fango, pozze putride, acquitrini e canali morti rifugio di uccelli palustri e animali selvatici ... quasi come la gente che abitava i posti. Quei posti erano come una specie di zona cuscinetto, infestata da zanzare e miasmi che fungeva da protezione intorno alla Venezia storica e gloriosa di sempre. Da quelle parti chi non era pratico finiva con l’impantanarsi e rimanere bloccato in mezzo al niente.
Svamp ! Svamp ! … Allora: niente Venezianagas con i suoi gasometri tondi e le sue torri tozze … niente Quartiere dei Ferrovieri a Santa Marta costruito solo al tempo del Fascismo … Niente Cotonificio e area attuale dell’Università … solo quelle poche catapecchie miserevoli, qualche osteria o lupanare improvvisato, e due Conventi isolati molto chiacchierati com’erano quelli delle Monache di Santa Marta e quello delle Terese di fronte alla splendida chiesa di San Nicolò dei Mendicoli: ultimo gioiello al confine estremo e periferico della magnifica Venezia.
Tornando ancora al nostro Piazzale Roma iniziale visto dall’alto: … Svamp ! Svamp ! … senza stancarsi d’immaginare.
Via il cemento e i bus in sosta ! … Via gli approdi dei motoscafi e taxi, la biglietteria ACTV … Via perfino l’improbabile quanto infelice Ponte di Calatrava o della Costituzione … Via le grandi e tozze costruzioni dei Garage Comunale e di San Marco … Via il nuovo Palazzo tetro del Tribunale ricavato dove sorgeva il vecchio Tabacchificio delle famose bellicose e industriose Tabacchine Veneziane … Via tutto ! … Anche il neonato tram !
E già che ci siamo, vista l’epoca a cui mi riferisco: Svamp ! Svamp ! … Via anche l’asfalto, la corrente elettrica, il telefono, le antenne e le paraboliche sui tetti e la televisione dentro alle case. Niente riscaldamento, né acqua corrente … l’acqua calda poi ? Ma come facevano in quei tempi ? … Era, forse, la forza dell’abitudine … non ti può mancare quello che non hai mai avuto.
Al posto di tutto quello che si può vedere oggi immaginate solo un’ampia area quasi spoglia, occupata quasi per intero da orti, broli, vigne e tante basse casupole e magazzini senza alcuna estetica. Nella zona che c’interessa non c’erano affatto i bei palazzi del Canal Grande, né le ordinate rughe di case delle altre Contrade cittadine, niente: calli, corti, sottoportici e campielli che di solito riempiono il resto della città lagunare.
Da quella parte terminava Venezia … sorgevano le ultime realtà commerciali, e soprattutto gli ultimi ricchi e potenti insediamenti religiosi di Frati e Monache della città. Infatti, sempre continuando ad osservare la zona “a volo d’uccello”disponendosi a guardare verso la Terraferma e oltre la Laguna, si potranno vedere a destra alla fine e chiusura del lussuoso Canal Grande: i due Monasteri di Santa Lucia della Monache Agostiniane da una parte e quello di Santa Croce delle Monache Francescane Damianiste dall’altra collegati da un animatissimo quanto efficientissimo Traghetto. Non esisteva il taglio del Rio Novo che porta oggi a San Pantalòn, Ca’Foscari e al Canal Grando sbucando a San Tomà.
Subito dopo, come a chiusura di quella scena mirabile aperta, quando il Canal Grande svolta a sinistra e s’infila dentro a quello che è oggi il Canale della Scomenzera … c’erano e ci sono ancora oggi i due Monasteri della Zirada: Santa Chiara delle Monache Francescane dette Urbaniste, e Sant’Andrea delle Monache Agostiniane … altri due siti pieni di storia, dicerie, arte, vita vissuta e tanti pettegolezzi.
Terminava così Venezia … con quello scenario per noi oggi surreale e difficilmente immaginabile.
Sostiamo qui, allora, fermi in aria sopra a quel che era, o meglio non era, l’attuale zona di Piazzale Roma, Garage vari, People Mover e Tronchetto. Continuiamo a tenere gli occhi chiusi e a immaginare ! … Tanto non costa nulla e può essere anche in qualche modo divertente.
Concentriamoci sulla zona più precisa e limitata, quella specifica di Sant’Andrea della Zirada, quella specie di corridoio dove corre sopraelevato il People Mover diretto al Porto e al Tronchetto … E’ l’area dell’Acquedotto per intenderci, quella intorno alla chiesetta chiusa e abbandonata col campanilotto dalla cuspide a forma di cipollotto ... quella dove di recente la Biennale hanno messo in mostra: “L’Arte racchiusa nei Frigoriferi”.
Due secoli fa, lì era tutto molto diverso da oggi. Innanzitutto esistevano molti più canali e rii che in seguito sono stati interrati. Se passeggiate accanto alla chiesa oggi, potrete vedere il marciapiedi diviso e segnato in due parti: uno era il canale di un tempo. Così se passate accanto all’ex Tabacchificio ora Tribunale, è platealmente visibile il canale che è stato imbonito … Ancora oggi non è pavimentato.
L’intera zona era quindi tutta trapuntata e frammentata da Rii e Rielli: Rio di Sant’Andrea e Rio delle Burchielle, e in mezzo e ovunque: terreni incolti, tante vigne, orti e piccoli giardini divisi e cinti da bassi muretti dove c’era anche qualche piccola attività artigiana: una cereria, ad esempio, e un saponificio … forse. Si conoscono anche i nomi dei proprietari di quel mosaico di piccoli appezzamenti giustapposti: i Nobili di Ca’ Barbaro, quelli di Ca’ Zucolo, di Ca’ Memmo, i Bontempi, Cortivo, Tinto, il mercante Marin dalla Nave, ovviamente le Monache di Sant’Andrea, e la ricchissima Scuola Grande di San Rocco che possedeva ovunque immobili e terreni di ogni genere sparsi per tutta Venezia.
Entrando ancor più nei dettagli della Storia, le cronache d’inizio milleottocento ci raccontano anche che quella zona era nel suo insieme poverissima per non dire squallida. Oltre le mura dei Conventi, vere e proprie oasi di benessere e di ricchezza in quanto ospitavano le figlie dei Nobili e dei più ricchi mercanti che non facevano loro mancare nessun agio; fuori da quelli e dalle loro ricche chiese bellissime simili a bomboniere dorate, capaci di farti rimanere a bocca aperta per la meraviglia; fuori in giro per l’intera Contrada … c’era solo miseria nerissima … “la morte in vacanza” di diceva per via delle condizioni davvero infime e drammatiche di chi viveva in quei posti.
Tuttavia, il posto era vivissimo, e da secoli vi accadeva un po’ di tutto.
Fin dal 1400 nel Barco del Coro sopraelevato della chiesa di Sant’Andrea c’era una statua lignea policrona di un “Cristo Morto” che le Monache vestivano e svestivano secondo le ricorrenze dell’anno, e veneravano portandolo a spalle solennemente in processione lungo le rive scabre e scoscese della Contrada semidimenticata e periferica di Venezia. Quelli che le accompagnavano fino a girare tutta la zona “dei Tre Ponti”, erano appunto da secoli, la stessa accozzaglia di gente popolana e poveraccia, che s’entusiasmava per le performance colorate e sontuose delle Monache di solito rinchiuse ufficialmente nel loro pingue Monastero ... roccaforte inespugnabile, mondo inarrivabile e precluso ai più.
Ai “Tre Ponti” abitava GiovanBattista Piantella di professione: “saoner”.Costui, essendo stato licenziato per furto dalla “Savoneria” di Antonio Biondini in cui lavorava, venne condannato a bando di 20 anni da tutta Venezia.
Un po’ arrabbiato per la sentenza … aspettò che il Biondini passasse per tornare a casa per vendicarsi. Lo spinse, allora, contro la porta di casa, e lo massacrò semplicemente a colpi di mazza. Poi, siccome gli sembrava di non aver fatto ancora abbastanza, indossò gli abiti dell'ucciso, e andò a suonare alla sua abitazione, dove entrò uccidendo l’innocente e ignara serva Lucietta, s'impadronì di tutte le cose preziose che trovò a disposizione, e se ne fuggì infine da Venezia facendo perdere le proprie tracce. Impunito ?
Sapete bene, però, com’era e come funzionava la Serenissima … Dopo un certo tempo, il Piantella venne riconosciuto a Treviso, e giustiziato il 01 febbraio 1710 a Venezia in applicazione d’apposita sentenza che recitava testualmente:
“Sia posto sopra una piata e sopra il palo di berlina, e condotto a Santa Croce, dovendo nel viaggio esserli dato cinque botte di tanaglia infocata in Traghetto per Traghetto … Ivi giunto, per il Ministro di Giustizia, li sia tagliata la mano più valida, sicché si separi dal braccio, e con la medesima appesa al collo, sia trascinato a coda di cavallo al luoco del commesso delitto a Sant’Andrea, dove parimente li sia tagliata l'altra mano, et con la medesima parimente al collo, sia trascinato in Piazza tra le due colonne di San Marco, dovendo nel viaggio, per pubblico Comandador, essere pubblicata la sua colpa, et poi sopra un emminente solaro dal detto Ministro di Giustizia li sia tagliata la testa, sicché si separi dal busto e muora, e diviso il suo cadavere in quattro quarti, siano li medesimi appesi ai luochi soliti sino alla consumazione...”
Perfino Maddalena, la madre del Piantella, sua complice, fu condannata a prigione a vita, dove ammalatasi di febbre morì entro tre mesi. Si racconta curiosamente, inoltre, che il “buon cuore” dei Veneziani dell’epoca fece in modo di gettare per strada materassi e altre cose soffici quando il reo Piantella passò trascinato a coda di cavallo: “… perché gli fosse meno dura la fatale traversata.”
Ma non è tutto … dentro al quel Monastero di Sant’Andrea della Zirada accadde ben di più.
Dipendevano dal Monastero ed erano ospitate nello stesso fin dal 1347 pagando apposito affitto: la Scuola di Sant'Andrea dei Pescatori, e quella dei “Burceri da stiore, legna e rovinassi e dei Cavacanali o Cavafanghidella Beata Vergine Assunta”che stanziavano le loro “Burchielle” nell’omonimo Rio: “… portando in giro: paltàn, ruinazzi et sabiòn".
Il Maggior Consiglio temendo epidemie a causa delle acque fetide, chiedeva di continuo ai Signori di Notte di segnalare i canali bisognosi di drenaggio. Quelli allora facevano intervenire “l’Arte dei Burceri-Cavacanali” che “… dragava pro sanitate et bono terrae”.
Nel 1622 venne intimato al Gastaldo dei Burcieri-Cavanacali, che accompagnavano il Doge con le loro peate il giorno della Festa della Sensa, e faceva celebrare una Messa mensile a Sant’Andrea per la “Sanezza dell’Arte tutta”, di consegnare assolutamente ogni volta le chiavi della loro sede nelle mani della Badessa di Sant’Andrea de la Zirada. Questo perchè nella sala dove si tenevano le riunioni del Capitolo della Schola c’erano molte Arche (tombe)che dovevano essere assolutamente accudite dalle Monache.
Per più di cento anni i Burchieri litigarono finendo a processo con le Monache di Sant’Andrea per l’uso dei locali della Schola, e soprattutto per debiti d’affitto delle 7 case prospicenti il Rio delle Burchielle appartenenti alle stesse Monache. Famoso fu il contrasto con la Badessa Concordia Fieramonti da Brescia e i suoi fratelli che di mestiere facevano anch’essi i “Burchieri”. Fu un caso di aspra concorrenza estera nei riguardi dei Burchieri Veneziani, ma alla fine per la Badessa stessa sembrò più conveniente e prudente trasferirsi da Venezia andando al Monastero di Santa Maria delle Grazie di Mestre.
“Se la troviamo da sola per strada …” avevano minacciato i Burcieri-Cavacanali di Venezia.
Ancora al cadere della Repubblica Serenissima, l’“Arte dei Burchieri-Cavacanali”dipendeva direttamente dal Magistrato alle Acque, e per le tassazioni dal Collegio della Milizia da Mar ai quali giuravano: “onestà nelle transizioni”. In realtà il lavoro era monopolio privato di alcune famiglie, che si servivano di manodopera rigorosamente Veneziana: “… per andar a molini per Fontego, et servir Merchatanti, et asportare dalla città: fanghi, macerie e immondizie d’ogni tipo trasportandole in luoghi appositamente destinati ...” Per far parte dei 300 addetti “Burchieri da Rovinassi e Cavafanghi” si doveva dimostrare la propria cittadinanza, ed aver servito nel ruolo per almeno 4 anni continuativi.
Oltre alla “Schola dell’Arte dei Burchieri e Cavacanali”, con 638 iscritti nel 1773, fra cui 600 Garzoni e Lavoranti, e 38 Capimastri, il Monastero di Sant’Andrea ospitava anche il Suffragio della Santa Croce e dal 1764 l’Arte dei Muschieri che erano dei Profumieri o Negozianti di oggetti da toeletta, cosmetici, polveri di Cipro (ossia la Cipria), e guanti profumati. Erano degli Speziali particolari detti anche Aromatari o Unguentari, e fabbricavano acque odorose, olii profumati e saponi. Pur non essendo tutti iscritti all’Arte apposita, a Venezia erano numerosissimi, e stampavano vari ricettari e manuali per la composizione di sostanze odorifere.
Per quella proposta commerciale a Venezia non mancavano di certo i clienti e soprattutto le clienti. Le principali erano le Nobildonne, seguite a ruota dalla folla numerosissima delle Cortigiane e delle Meretrici. Per tutte l’Arte dei Muschieri metteva a disposizione un ricchissimo e variegato catalogo comprendente:
“Varii liscii et belletti … Blacca … Solimado … Lume di Scaiola … Lume Zuccarino … Fior di Cristallo … Fior di Boraso raffinato … Molle di pane … Aceto lambicato … Acqua di Fava … Acqua di sterco di Bue … Acqua di Amandole di Persico … Sugo di Limoni … Rose … Vino … Lume di Rocca … Draganti per indurire la carne … Semenze di Codogni … Penuria nel lume di feccia … e Calcina viva per liscia e farsi i capelli biondi.”… e molto altro ancora.
Nel 1773, a Venezia si contavano ancora 18 Muschieri che lavoravano in 16 botteghe occupando anche 2 mezzadi.
Il simbolo dell'Arte associata sotto la protezione della “Natività della Vergine”, era una “Croce di Malta con una pomata”. L’Arte dei Muschieri ha goduto poche volte nella storia della Serenissima di autonomia propria essendo spesso accomunata di volta in volta con l’Arte dei Marzeri o con l’Arte degli Stazionieri Venditori di Vetri.
Nella fornitissima Biblioteca dei Muschieri si poteva trovare e leggere cose incredibili:
“Secreti Medicinali” del Magistro Guasparino da Vinexia Medico in Cirologia ... la ristampa del “De Naturali Hystoria” di Caius Plinius Secundus … il “De Pirotecnica” di Biringucci Vannocchio ... la prima traduzione in volgare da parte di Pier Andrea Mattioli, Medico Botanico, dell’opera di Dioscoride: “Commentarii a Dioscoride” ... il famosissimo all’epoca: “Notandissimi Secreti de l’Arte Profumatoria con oltre 300 segreti utili per fare olii, acque, paste, balle, moscardini, uccelletti et paternostri.” del 1555 di Giovanventura Rosetti.
Del 1551-1555 l’Arte dei Muschieri consigliava anche di leggere e studiare: “Opera Nova piacevole per la quale insegna di far Composizioni Odorifere per far bella ciaschuna donna” di Eustachio Celebrino, e i “Secreti nuovamente posti in luce” scritti da Don Alessio Piemontese.
A quelli si doveva aggiungere: il “Tesoro della Vita Humana” di Leonardo Fioravanti Medico Bolognese stampato nel 1570, mentre il “Trattato con tavole di piante esotiche” di Cistoforo Acosta Africano Medico Chirurgo era del 1585.
Infine, a completare la propria cultura e preparazione, si poteva leggere anche l’ “Historya dei Semplici Aromati” del Medico spagnolo Don Gorcia dall’Horto e del medico Nicola Monardes contenente le piante medicinali provenienti dall’America, assieme al “Tesoro della Sanità” di Castor Durante.
Niente male come profilo e credenziali di serietà e qualità del mestiere, vero ?
Sempre secondo i consigli dei Muschieri di Venezia, i rimedi ampiamente descritti da Eustachio Celebrino nella sua opera del 1551, servivano rispettivamente ed efficacemente per:
“Cavar le macchie dal volto … Cazar le cotture dal sole … A cazar via le voladeghe … A guarir li gossi de ogni sorte … A saldar zenzive e a far bianchi li denti … A far il fiato odirifero … A far che li peli nasceranno … A cazar li peli che non vi nascano più … A guarir li calli dalli piedi … A far che li capelli non diventeranno canuti … A far acqua de bionda per capelli perfettissima e A far nascere la barba a un giovene avanti tempo …”
Mentre secondo i “Secreti Medicinali” del Magistro Guasparino da Vienexia habitante però in Verona in Castel de San Felice, si potevano eseguire ricette per produrre:
“Polvere di Zibetto … Polvere di Muschio … A far polvere di Cipro …Moscardini eletti per bocca …Tintura negra per li capelli et barba … Belletto e Ballottine per donne … Oglio odorifero … Ballotte da barbieri notabile e buon Profumo da uccelletti.”
oppure comporre manufatti adatti a:
“A strenzere le lacrime de gli occhi … A fare andare via le lentizine … A far fare colorita e bella … A far Pirole finissime contro il puzore de la bocha … Acqua per far lustro il viso … Per far lo volto colorito … Unguento da viso qual usava la regina d’Ungaria … e perfino ad restringendum vulva.”
E questo in riferimento ad alcuni degli “ospiti consuetudinari” del Monastero di Sant’Andrea.
Ma al di là dell’ospitalità, furono in molti in epoche diverse a Venezia, a testare a favore delle Monache del Sant’Andrea della Zirada. Furono persone le più disparate, a significare che le Monache, tutto compreso, godevano anche di buona fama nell’ambito cittadino e della Serenissima in genere.
Se sbirciamo frettolosamente i testamenti e i lasciti inerenti al Sant’Andrea della Zirada, innanzitutto si noterà un mucchio di Preti, Frati e Monache: Marco De Gusmerii Vescovo Argolicense e di Napoli di Romania… GiovanniGiustinian Piovano di San Maurizio … Antonio David Presbiter di Santa Maria Zobenigo… Pre Angelo Dei Rossi… Angelo Presbiter da Macalo’ da Gravina Cappellano di Sant’Andrea della Zirada… Presbiter Eustachio detto Angelum da Rua … Cristina Barbarigo e Barbarella Zenta, Samaritana Contarini quondam Marino quondam Antonio, Maria, Caterina … tutte Monache in Sant’Andrea della Zirada … Tommaso MoroFrate in San Pietro di Murano… Eustachio Calderoni Presbiter da Gravina Confessore di Sant’Andrea della Zirada.
Oltre a questi, si riscontrerà una lunga serie di persone Nobili e di prestigio come ilDoge Antonio Venier… Antonio Contarini Procuratore di San Marco… Girolamo Donà quondam Marco di Andrea Procuratore… Francesca della Fontanasorella delDoge Michiel Steno… Orsato GiustinianMilite e Procuratore di San Marco… Agnesina Soranzo e Marino Corner quondam Cornelio della Contrada di Santa Marina… Lorenzo Dolfindel Confinio di Santa Giustina… Marino Michieldel Confinio di San Marcuola… Bartolomeo Verde quondam Marco Capitano alle Carceri di Padova… Andrea Dandolo Dottore … Lisa Redolfimoglie del Fisico Pantaleone Quaian.
Accanto a queste c’erano anche persone agiate, dedite ai commerci e attive sull’intero bacino del Mediterraneo e sullo scenario Europeo comeGiovanni di CostantinoMercante in Contrada di San Silvestro e Paolo di Gualtiero di Alemagna ... oppure semplici artigiani e affiliati alle Arti Cittadine e alle Scuole di Devozione come Simone Scortega battioro… Michele quondam Giorgiocalafato… Bartolomeo di Francescodetto Bertazi fante alla stimaria del vino… Fiorina quondam Buonafruttivendolo… Alvise Spindrappiere e Vincenzo di Lorenzo cimatore… o ancora tanta gente qualsiasi, nomi senza volto e privi di storie particolari comeMaria moglie di Federicobarcarolo in Contrada di San Basilio … Antonia quondam Bartolomeosamitario moglie di Pietro pittore… Maddalena Degli Scrovegni del Confinio di Santa Margherita … Agnese vedova di Giovannifilatore… Maria Barbarigo moglie di Paolo e Chiara Papasondel Confinio di San Geremia… Botto Caterinavedova di Mastro Giovanni delle Armi del Confinio di San Zulian… Rizzo Dorotea, Costanza Emo Barozzi Luciabitanti in Sant’Andrea… Antoniavedova di Leonardo peltriner … Franco Filippa vedova diGiosafat Rossoe Francesco Nani quondam Andrea del Confinio di Santa Croce … Chiara Doelaivedova di Antonio del Confinio di Santo Stefano di Murano … Angelamoglie di Giovanni portator di pietre … assieme aGiovanniBusatoda Maerne.
Questo immenso patrimonio pervenuto alle Monache di Sant’Andrea le fece diventare molto litigiose e afferrate in affari economici. Nei vari Archivi di Venezia esistono più di duemila fra pergamene e atti che le riguardano. Già dal 1268 iniziarono a litigare con le famiglie Pozzer e Papacizza e contro il vicino Monastero di Santa Chiara di Venezia per il possesso di alcune case in zona Santa Croce.
Alcuni litigi con processi, indagini, sentenze e continui ricorsi durarono: secoli !
Alla fine le Monache del Sant’Andrea finirono col litigare un po’ con tutti: contro i Provveditori dell’Ufficio alle Acqueper la gestione del Rio di Capo d’Argere e i terreni acquistati dall’Ufficio presso il campo e la Sacca e la palude pubblica di Sant’Andrea … contro i Nobili Mocenigo per alcune case in Contrada di Sant’Agnese ... contro Zanetto Bianchi per un livello su una delle casette del Monastero … contro Nicolò Donà e Zanco Barcarolo per un’altra casetta sul solito Rio delle Burchielle.
Le Monache di Sant’Andrea piano piano misero insieme lungo i secoli una vera e propria “fortuna economica”, un tesoretto importantissimo. Alla proprietà delle prime casette del vicino Rio delle Burchielle ne aggiunsero molte altre sparse un po’ ovunque per le Contrade di Venezia: a San Paternian, Calle della Testa, San Pantalon, San Agnese e San Nicolò ... Alcune case vennero comprate fra 1316 e 1340 dai Nobili Nicola Zuccato e Garzoni … altre vennero acquisite nella vicina zona dell’Arzere accanto alla chiesa di San Nicolò dei Mendicoli, o in luoghi poco lontani come: Anzolo Raffael, San Barnaba, San Trovaso, Santa Margherita e San Vio nel Sestiere di Dorsoduro; Sant’Aponal e San Rocco in quello di San Polo; Santa Marina, San Giovanni in Bragora, San Severo nel Sestiere di Castello lasciati per testamento nel 1426 da Agnese vedova di Giovanni Filatore del Confinio di Santi Apostoli; al Giglio o Santa Maria Zobenigo, San Luca, Sant’Angelo, Calle delle Ballotte, San Salvador e San Samuele nel Sestiere di San Marco; San Marcuola, San Giobbe, San Geremia, Santa Caterina, San Marcilian eredità Maddalena Stella, Birri di San Cancianonel Sestiere di Cannaregio assieme ai beni dei fratelli Ridolfi in Confinio di Santa Sofia ereditati dalla Monaca Anna de Ridolfi nel 1422.
Niente male come patrimonio Monastico in Venezia ! … e anche tutto questo soggette a cause, litigi e processi senza fine.
E non è ancora tutto, perché oltre ai possedimenti in Venezia, le Monache ricevettero da Bona vedova Odorico di Leonardo e tramite eredità da Grana Paruta e Suordamore vedova di Marino Contarini diversi beni patrimoniali siti in Comello di Fontana-Bojòn-Preganziol-Spinea-Villa della Madonna sotto Mestre, Argere di Cavalli sotto Padova pervenuti al monastero anche da Zane Catterizza nel 1615 … e altre terre e campi e fattorie a: Martellago, Peseggia, Carpenedo, Marcon, Villorba, Villa Nova, Zero, Scorzan, Formiga e Villa sotto Mirano, Zero, Chirignago, Scaltenigo sotto Mirano, San Nicolò di Bosco sotto Treviso lasciati al monastero da Agnese Tagliapietra nata De vecchi nel 1448, Rovato presso Brescia, Val Brembana contrada di Gromolto, San Zulian, Favaro e Altivole regolarmente e puntualmente perticati e affittati insieme a quelli pervenuti al Monastero con la donazione del 1520 da parte di Elena vedova di Valentino Marangoni, o acquistati con atto del 1596 e situati in: Maerne-Padernello- San Prosdocimo-Polesine località Bosco Vecchio, oppure a Villanova sotto Camposampiero lasciati per testamento da Paolo Contarini dal Confinio di San Fantin.
Che ve ne pare ?
Sempre dello stesso secolo sono alcune pergamene che raccontano d’affrancazioni e compravendite di schiavi da parte delle Monache di Sant’Andrea, e in un caso le Monache litigarono per 4 secoli (!) dal 1362 al 1722, contro la famiglia Ceccato, contro Lionello Folco da Villafuora di Ferrara e i suoi eredi, Giovanni Francesco da Villafuora, Lorenzo da Arquada per beni in località Saletta, Copparo, Ruina e Villa Fuori nel Ferrarese ereditati da Paolo Contarini.
Litigarono perfino per venticinque anni consecutivi contro la Podesteria di Mestre per dei terreni e dei molini che le Monache possedevano là.
Toste le Monachelle ! … il Monastero di Sant’Andrea era agguerritissimo contro tutti ! … e finiva spesso incredibilmente per vincere perseverando e non mollando mai. Le Monache compravano, dismettevano e vendevano beni immobili in continuità: Altivole, Bojòn, Carpenedo, Bergamasca, Spinea, Chioggia, Lancenigo, Murano, Dolo, Peseggia …
Erano sicure di se, potenti, non avevano paura di nessuno … neanche dei Nobili Veneziani, perché convocarono a processo i Widmann per una casa a Santa Croce, Lorenzo e Giovanni Cappello per beni a Massanzago, i Morosini per una casa a San Geremia, Bernardo Piazza per una casa a Santa Croce … e i Ranzaniciper altri beni a Santa Croce, gli Zamblerper fitto case nella stessa zona, i Marinper una casa in calle delle Rasse, i Bollaniper la restituzione della dote di Chiara Bollani, i Civran per mansionaria Marietta Da Molin, Fuolis e Grioni circa una casa a Santa Margherita, PieroZanardi e fratelli per una casa a Santa Caterina ...
Per non risparmiarsi, coinvolsero in controversie senza fine anche i Confratelli della Scuola del Santissimo di Santa Croce per un “livello passivo”a carico di Sant’Andrea … e Piero Squerariolper lo squero situato in Campazzo Sant’Andrea poco distante dal Monastero.
Non guardavano in faccia a nessuno, neanche ai Correligionari e agli Ecclesiastici preminenti di Venezia: litigarono col Monastero dei Benedetti di San Giorgio Maggiore per un’eredità Curti, istituirono un processo contro Prete Nicolò Farusso per una casa in Contrada di San Giobbe ... i Carmelitani Scalzi per credito di somma … e dal Piovano di San Barnaba pretesero e ottennero 1 miro d’olio come pagamento di un livello di cui era loro debitore.
Ce l’avevano proprio con tutti … Erano una “macchina da guerra”… Soldi erano soldi, anzi: soldi richiamavano altri soldi … allora come oggi.
Nel 1564-65 era Prè Vincenzo dalla TorreCappellano di Sant’Andrea della Zirada a rappresentare le Monache e tenere il “Libro dei Conti” di tutto quell’ingente patrimonio, curava le spese e stime di Pistoria, i campatici di acque, bandi e quietanze, spese di luganegher, polizze di spese per il campanile, contratti di vendita delle case, gestiva “Entrade et Uscide” e pagamenti e riscossioni di tasse e decime presso le Cazude e la Zecca di Stato … Insieme a lui, il Gastaldo del Monastero gestiva un’azienda di commercio di vestiario e merci … e Maria Diana Monaca Camerlenga del Monastero di Sant’Andrea provvedeva alla filza delle varie riscossioni tenendo un apposito “Libro delle Spese e Rendite”.
Le Monache del Sant’Andrea possedevano una vigna affittata accanto al Monastero, e un’altra al Bosco di Sacco… Erano proprietarie della vicina Cereria sita in Contrada di Santa Croce sulla Fondamenta che dai due ponti portava al Monastero … di una bottega da fruttivendolo in Campo San Barnaba affittata insieme alla casa accanto a Nicolò Giustinian … acquistavano legname, e comprarono stabilmente dal 1697 al 1736 una delle “Libertà”, ossia una delle concessioni a numero chiuso per esercitare il mestiere di barcarolo-gondoliere del Traghetto di Santa Maria Zobenigo.
Differenziare gli investimenti era importante e redditizio … come erano importanti e redditizi i diversi Livelli depositati all’Offitio ai Pro di in Zecca, ai Monti, alla Camera degli Imprestidi e alle Procuratie, Offitio del Vin, Offitio del Sal, Offitio della Ternaria dell’Oglio, Offitio Intrade Casse Bastioni, Offitio Uscida, Bancogiro Pubblico, Offitio Governatori Intrade, Offitio Tre Savi sopra Offitii Cassa Decime, Cinque Savi alla Mercantia, Offitio Revisori e Regolatori Intrade Pubbliche in Zecca, Offitio d’Argenti in Zecca alla Masena, e un Livello dovuto dai Cavacanali e Burchieri.
L’Archivio del Monastero trabocca di documenti che attestano il finanziamento di molte Doti Spirituali depositate in contanti presso la Scuola Grande di San Rocco, Procure, Mansionarie di Messe e numerosissime Commissarie di esecuzione testamentaria.
Basta così ! … Mi fermo. Altrimenti rompo e annoio del tutto.
Il Sant’Andrea della Zirada era per tradizione il Monastero in cui si collocavano le figlie dei Nobili Balbi e Corner, una specie di Monastero di famiglia, protetto dal Casato che fungeva da benefattore e protettore, spesso gestore più o meno diretto delle sorti economiche. In qualche maniera questi Juspatronati Nobiliari determinavano anche lo stile, e spesso anche la storia dei “Monasteri di Famiglia” che proteggevano. A Venezia quella era un’usanza molto diffusa e frequente, perché visto che i Nobili doveva provvedere a rinchiudere e monacare le figlie, allora lo facevano in modo conveniente, così che quel reclusorio fosse il più possibile comodo e dorato.
Il Santa Caterina delle Monache Agostiniane, ad esempio, sulle estreme rive delle Fondamente Nove nel Sestiere di Cannaregio era Jupastronato della Famiglia nobile dei Contarini; quello di Ognissanti delle Benedettine nel Sestiere di Dorsoduro, era, invece, retaggio della famiglia Barbarigo; San Giovanni in Laterano sempre delle Benedettine era protetto dalla famiglia Cappello che abitava nel palazzo poco distante; e il San Lorenzo di Castello apparteneva di fatto all’antica famiglia dei Partecipazio. Il Monastero di San Zaccaria a poca distanza da Palazzo Ducale era il luogo dove andavano a risiedere e monacare le figlie del Doge e dei Senatori più prestigiosi e potenti come i Foscarini, Querini, Gradenigo e Morosini, quindi immaginatevi da chi poteva essere protetto e guidato quel luogo. La lista sarebbe lunghissima, praticamente ogni Monastero di Venezia e dell’intera Laguna aveva i suoi “Santi Protettori … i Santoli”, e, come si dice ancora oggi a Venezia: “Chi gha sàntoli … gha bussolài …” ossia chi ha protettori ha sempre regali, buone soprese e aiuti … non gli manca niente.
In conclusione, mi piace ricordarvi le vicende di una donna che si aggirava in quei tempi proprio fra le stradine, le calli, gli orti e le Fondamente di quella zona di Sant’Andrea della Zirada.
Si tratta della “Doda” ... un “nome d’arte” l’avete già capito.
Secondo gli atti delle denunce conservate dalla Polizia: si trattava di una meretrice, una prostituta girovaga senza fissa dimora. In realtà era solo una povera donna.
Snamp ! Svamp ! … era accaduto anche dentro alla testa della “Doda”in quei giorni, nei primi anni del 1800 a Venezia.
Nella città lagunare era accaduto tutto quello che sembrava impossibile e mai e poi mai sarebbe potuto capitare divenendo realtà dentro l’antico sistema Lagunare e Serenissimo. Era giunto quel Bonaparte che aveva cambiato tutto e fatto sparire, e incredibilmente “svampare”l’antica Repubblica Dogale. Come un incantatore, un cantastorie fantasioso, un miracoloso burattinaio della Storia, Napoleone con le sue armate scalcinate ma selvagge e potenti aveva tarpato tutti i fili della Nazione lasciandola come una marionetta inanimata e spogliata per terra.
Era accaduto tutto in fretta, ed era sembrato anche altrettanto facile: “Svamp ! … Svamp !”… Spenta la grande Venezia Serenissima per sempre ! … Era stato come spegnere con due dita inumidite il fragile “pavèro” di una candela ormai consumata. Tutto quel mondo che fino a ieri pareva intramontabile era scomparso. Sembrava che non fosse possibile far esistere una realtà diversa … invece … era successo.
Svamp ! Svamp ! … In un attimo: via Doge, temibile Consiglio dei Dieci, pomposi Senatori e Procuratori, Giudici al Criminal, Signori di Notte, Avogadori da Comun … Via tutti ! Sbattuti giù nella polvere !
Tutti i potenti e ricchi Nobili erano stati gettati a terra facendoli scendere malamente dai loro piedistalli di splendore e ricchezza. Via tutti … fuggiti, privati dei titoli, soldi, palazzi, ville, terre e di tutte quelle facoltà potentissime quasi da Dio.
Per certi aspetti … sembrava quasi un sogno. Un po’ dispiaceva alla “Doda”tutto quel cambiamento perché in fondo quello era stato fino a ieri anche il mondo che la conteneva in cui aveva sempre vissuto. S’era come pareggiata e livellata ogni cosa, svincolato tutto e tutti da una pesante catena secolare … Addirittura sembravano invertite tante parti: tutti uguali e liberi … Pareva che i piccoli fossero diventati grandi e viceversa. Il galeotto incatenato ai remi era diventato Capitano e Nocchiero della nave … Podestà, Vescovo e Patrizio Nobile s’erano trasformati in forestieri confusi e avviliti, ignari di dove sarebbero dovuti andare. Erano cadute figure orgogliose, impavidi comandanti, autorità dispotiche e arroganti di fronte alle quali chinare la testa timorosi.
Le sembrava quasi impossibile che fosse accaduto tutto quel rinnovamento … Tanto era caduto come foglie in autunno, era passata come una potente alta marea, un’alluvione che aveva svuotato tutte le case e anche travolto la gente lasciando alla fine solo una piatta distesa di fango liscio e compatto. Con quella furia devastante s’era gettato in strada e fuori dai loro Castelli, Chiese, Cappelle, Palazzi, Conventi e Monasteri anche la numerosa folla dei Preti, Frati e Monache.
Via tutti ! Svamp ! Svamp ! … Spariti tutti, soppressi e cancellati ! … Era stato stravolto il mondo intero.
La vecchia Venezia non c’era più.
Anche per la “Doda” era difficile capacitarsi e assimilare in fretta tutte quelle novità. Serviva tempo per abituarsi al fatto che: Abati, Badesse, Piovani, Priori, Monache e alti Prelati non contassero quasi più niente. Perfino il Patriarca e il Primicerio di San Marco erano stati deposti e sostituiti con personaggi più accondiscendenti e moderni, favorevoli ai Francesi e poi agli Austriaci Imperiali.
Eppure era accaduto proprio così: tutte le Monache, comprese quelle di Sant’Andrea e di Santa Chiara della Zirada erano state ridotte alla miseria, strappate dai loro ricchi Monasteri e Conventi e buttate mezze nude in strada. Erano diventate donne povere e ridotte a chiedere “la carità” come lei. Tutti i beni dei Nobili, della Serenissima e del Clero erano diventati patrimonio comune e condiviso, appartenente a tutti s’era detto.
In realtà non s’era visto un soldo in giro … S’era incamerato tutto il nuovo Governo. Era stata un’immane illusione che tutto fosse di tutti … Era cambiato solo il nome del grande proprietario, il Signore e padrone di tutto. S’era cambiate le bandiere e i vessilli, s’era innalzato in piazza l’Albero della Libertà, sui vecchi altari s’era messa a ballare una donna nuda … ma in fondo era solo apparenza, per i poveri e i diseredati non era cambiato niente.
Per certi versi tutto quello stravolgimento era stato anche un bene: molti erano stati costretti a rinunciare ai loro privilegi secolari, erano dovuti uscire da quella maniera piena di se e prepotente d’imporsi sugli altri per principio. Sembrava tramontato e cancellato, messo un potente freno a un intero sistema ricco anche d’ipocrisia, falsità, finte verità Celesti inventate per comodo, Santità fasulle create di sana pianta per favorire i propri interessi … Ma la grande miseria diffusa ovunque era rimasta sovrana come prima.
“Quella non è affatto cambiata !” rimuginò la “Doda” per strada.
Quel che era paradossale e incredibile in quei giorni, era che veniva a mancare anche la vecchia minestra fornita gratuitamente ogni giorno dalle Monache e dai Conventi. Buttando in strada le Monache, chiudendo Chiese, Ospizi e Ospedaletti, e spegnendo soprattutto le cucine dei Monasteri, s’era privato tutti quelli che vivevano nell’assoluta indigenza di un rifugio, un piatto caldo e un tetto dove rifugiarsi nei giorni peggiori.
“E’ stato giusto rinsecchire un poco i Nobili, ma non è stato affatto un bene per tutti ! … Ora nell’intera Venezia manca tutto a tutti e del tutto …” si commentava per strada e nelle antiche Contrade diventate fantasmi di se stesse.
“Ci sono rimaste come certezze solo le Stelle in testa … gelide, lontane, mute e misteriose … le foglie sugli alberi che spuntano e marciscono seguendo la loro religione naturale, e le acque salmastre, marine e amare di cui è imbevuta la Laguna e la nostra città bagnata. Di tutta l’antica Gloria non è rimasto più nulla … Solo fango polveroso che connota la nostra triste miseria …”
Svamp ! Svamp ! … Venezia s’era spopolata di Autorità e di Nobili possidenti autoritari, ma s’era riempita di caserme, milizia, e soldati prepotenti e dalle mani lunghe e svelte. Tanti militari … giovani forzuti e arrapati … Non sempre stretti dentro alle loro divise immacolate e aderenti … Spesso oltre le parate e le comparse ufficiali erano solo uomini straccioni, volgari, ubriaconi e a caccia di piaceri e di facili guadagni … o meglio: di saccheggio delle cose, e anche delle persone che incontravano.
Questo in fondo per la “Doda” era stato un bene, perché le si era presentata davanti una fonte pressoché inesauribile di guadagno. Lei era ormai una meretrice, una prostituta pubblica … Era stata perfino iscritta in un apposito registro tenuto dal nuovo Governo. La sua era una vita da sopravvissuta … ma almeno in quella maniera riusciva a mangiare e continuare ad esistere.
Il grande cambiamento doloroso e distruttivo imposto a Venezia Serenissima, era quello che era sempre accaduto dentro alla sua esistenza. Nella sua vita era sempre stato così: un continuo trovare per poi subito disfare, distruggere e perdere. Pareva che per lei la primavera e l’estate durassero sempre un giorno e che, invece, avrebbe dovuto sempre vivere dentro l’appassimento dell’autunno e al rigore crudo dell’inverno.
Svamp ! Svamp ! … dentro alla sua vita era sempre crollato tutto. Così che in quei giorni a Venezia, in realtà non era cambiato niente, s’era ripetuta la regola di sempre, la costante naturale di tutte le cose della vita della “Doda”.
Anzi … era andata ancora peggio perché s’era aggiunta anche quella difficoltà di reperire facilmente un po’ di pane e minestra.
Per “Doda” le chiese quasi sempre aperte di Santa Chiara e Sant’Andrea della Zirada erano state a lungo un ricovero ideale perfetto: un riparo durante le giornate più brutte, un posto dove andare a gustarsi almeno gli occhi nei momenti di tristezza … Bastava gironzolarci dentro a quei posti: erano zeppi, foderati di belle opere d’Arte, di scene mirabili dorate e colorate appesi ai muri e alle colonne. Erano scene piene di storie affascinanti e deliziose, piene di luce … Giusto il contrario di quanto accadeva nella sua vita … Era come ammirare un modello di vita alternativa, Paradisiaca, che s’era perso … ma poteva ancora ritornare, o forse capitare a ciascuno.
E poi c’erano la Monache dalla cui tavola sempre imbandita poteva cadere spesso qualcosa. In fondo le Monache erano donne, femmine … sebbene speciali, dorate e appartenenti a un mondo diverso. Quindi ogni tanto erano capaci di lasciar cadere le briciole … di spruzzare un po’ di Carità in giro per annacquare quel mare di miseria totale che avvolgeva tanti a Venezia.
Le briciole delle Monache per molti era il corrispettivo dell’Abbondanza … Un piatto caldo di minestra corrispondeva a una biblica Manna, se poi c’era anche un po’ di companatico era proprio festa.
Con le Monache bastava dimostrarsi disponibili e servizievoli, disposte un po’ a tutto … e allora ogni tanto accadeva qualcosa di “buono”. A volte era poco: le regalavano un mozzicone di candela per rompere il buio della notte, un ciocco di legno per lottare contro il gelo … Ma in altri momenti le avevano offerto anche di meglio: l’avevano presa a lavorare come serva dentro all’Ospedaletto dei Samiteri che sorgeva accanto al Monastero di Sant’Andrea.
Quello era stato di certo un periodo felice della sua vita a Venezia. Era stato “tempo di Cuccagna”perché nell’Ospizio non le mancava niente: oltre a un tetto sopra alla testa, riceveva ogni giorno pane, cibo, vino, letto e fuoco per riscaldarsi.
Aveva tutto ! Che cosa le poteva ancora mancare ? … il denaro forse ? Quello non glielo davano … La pagavano solo con un soldo simbolico ogni tanto, ma era tutto il resto che era più che sufficiente per permetterle di vivere e continuare ad andare avanti. Avanti per dove ? … Forse non aveva importanza. Bastava “andare” in qualche maniera … non morirci sopra di stenti, fame e malattia come era già capitato a tanti.
La Morte Nera ogni tanto continuava a passare e mietere per Venezia con la sua falce invisibile ma implacabile. Quella che stava accadendo ora non era la solita Pestilenza … ma era sempre lei, la stessa, sebbene indossasse le sembianze della miseria.
La vita della “Doda” era stata sempre un continuo rinunciare e spogliarsi e sciogliersi di tutto come neve al sole. Ma in una maniera o nell’altra, come dopo la violenta bufera di un temporale, tornava sempre a splendere il solito sole tiepido e luminoso. Si ritrovava sempre sbrindellata e inzuppata fino alle midolla. Il suo corpo e la sua mente era di volta in volta più segnati e provati, ma riprendeva a vivere una nuova stagione e una nuova storia o avventura.
Era sempre accaduto così. Era stato così all’inizio quando da bambina aveva perso suo padre. Erano in quattro donne sorelle nella sua famiglia, e poi suo fratello, l’ultimogenito, e sua madre … Come avrebbero potuto affrontare l’esistenza senza la forza e la presenza di almeno un uomo valido ? Tutto era ricaduto sulle giovani spalle gracili del fratello che si era dannato l’esistenza lavorando sui magri campi di famiglia ogni giorno dall’alba fin dopo al tramonto. Lavorava senza fine e interruzione e a poco servivano le braccia fragili delle sorelle.
“Eravamo improduttive e considerate da nessuno …”
Ci aveva pensato poi la carestia, la siccità e la tempesta a far precipitare tutto: s’era perso l’intero raccolto, e allora erano piovuti i debiti sulla famiglia come la grandine dopo la pioggia, e suo fratello s’era abbruttito ed era diventato violento e sempre ubriaco. S’era presentato quell’aguzzino del padrone, che in cambio di un poco di clemenza e pazienza s’era preso e goduto tutte le sorelle compresa l’anziana madre … Non era stato più possibile vivere lì e in quella maniera, perciò erano fuggite tutte e s’erano disperse andando a Treviso o spingendosi fino alla Laguna e a Venezia.
Sua madre non avvezza a muoversi e a vivere di stenti s’era presto ammalata ed era morta. Erano rimaste da sole e senza l’aiuto di nessuno … S’erano perfino allontanate e perse fra loro. Non s’erano più riviste.
Giunta a Venezia, quindi, c’erano stati due uomini che avevano segnato la sua vita.
Il primo era stato l’“uomo, l’Amore” della sua esistenza: un giovane soldato che l’aveva presa in ogni senso e le aveva promesso una certa speranza di cambiare. L’aveva fatta sognare mille esistenze diverse, mille modi alternativi e migliori di vivere. Poi era scomparso nel nulla, partito improvvisamente ... Non era neanche riuscita a scoprire per dove, non l’aveva più rivisto per sempre. Forse aveva attraversato il mare, era andato alla guerra col suo esercito … Non aveva alcuna importanza saperlo ... tanto la realtà rimaneva la stessa.
Il secondo uomo della sua vita sembrò all’inizio capace di prometterle di meglio. Era un uomo maritato e con famiglia e figli, un mercante abbastanza agiato di Venezia. Per un colpo di fortuna era riuscita ad essere accolta come domestica nella sua casa. All’inizio era andato tutto bene, finchè col trascorrere del tempo s’erano destate le voglie prima del figlio grande della casata e poi del padrone stesso. Tutto era diventato più difficile e complicato. Alla fine la moglie aveva scoperto tutto e l’aveva gettata in strada buttandola via come un vecchio cappotto.
S’era ritrovata sola e gravida … ed era andata a sgravarsi e partorire una figliola gracile che aveva abbandonata sulla ruota degli Esposti di Treviso. La sua piccola bambina sembrava un frutto roseo, una pesca matura, ma non aveva scelta: o l’abbandonava lì o le avrebbe potuto dare solo la morte. Non ci aveva più pensato, o meglio, s’era sforzata sempre di non pensare più a quella sua piccola creatura … Anche se ogni volta che rivedeva quella mezza moneta che portava legata al collo, non poteva fare a meno di ripensarla viva da qualche parte … almeno nutrita, e chissà ? … forse anche un po’felice.
In seguito la “Doda” era tornata a Venezia perché non sapeva proprio dove andare. Dove c’è da mangiare per molti, aveva pensato, ce ne sarà anche per una in più. Ed era tornata a vivere faticosamente nella città lagunare prostituendosi, perchè non era riuscita a trovare nessuno che l’aiutasse a lavorare e vivere. E poi ormai la sua fama e nomea la seguiva ovunque si presentava o compariva. Non sapeva fare che quello, e non poteva essere se non quella.
Non le era rimasto che allargare le gambe e offrirsi al miglior offerente in un gesto che le veniva sempre più naturale e spontaneo. Era una faccenda squallida, questo l’aveva saputo da sempre, ma almeno le permetteva di sopravvivere. Non era comunque riuscita neanche in quella maniera a porsi un tetto stabile sopra la testa, né a dotarsi di una qualche stabilità economica … Era stata identificata come: “meretrice vagabonda e itinerante”… il che significava che non sapeva mai dove andare a nascondersi, e girava di lupanare in lupanare a giornata, anzi, nottata, trovandosi poi di nuovo buttata in strada. Le donne e gli uomini che gestivano i tantissimi lupanari di Venezia non volevano tenere sempre le stesse femmine, amavano cambiarle per offrire ai loro clienti sempre “merce nuova e fresca”… e poi non volevano affatto curarsi di donne malate perché si trattava d’ingenti spese, e non erano gradite ai clienti.
Alla “Doda” capitava spesso d’essere malata.
Non poteva permettersi il lusso continuo dei medicinali e degli ospedali. Ogni tanto ci finiva dentro per forza quando la catturavano e arrestavano per strada e l’obbligavano alla degenza … Altre volte si affidava a qualche mammana improvvisata, che si poteva reperire facilmente e ovunque nelle Contrade cittadine, o alla bontà caritatevole di qualche vecchia Monaca, che ricordandosi d’essere donna anch’essa, avesse avuto finalmente un po’ pietà di lei.
Così era sopravvissuta giorno dopo giorno, e s’era abituata a vivere convergendo e rimanendo soprattutto in quella Contrada terminale e periferica dove finiva Venezia. Viveva fra Sant’Andrea e Santa Chiara della Zirada, s’aggirava elemosinando un pasto dalle Monache e spartendo il niente con la gente della Contrada in attesa di qualche raro cliente. Di notte andava a dormire dentro a un casotto che sorgeva in fondo a un orto che apparteneva alla Nobile famiglia Memmo. Non li aveva neanche mai visti i Nobili Memmo. Forse possedevano talmente tante cose e terreni che neanche sapevano di possedere anche quello. Avevano affittato l’orto insieme a una adiacente casupola a un ortolano Ildebrando che fingeva ogni volta di non vederla e di sapere che andava a rifugiarsi lì dentro al casotto.
“Doda” sapeva bene perché quell’uomo faceva quel gesto di permettergli di rimanere nella bicocca. Nel breve periodo in cui le era riuscito di lavorare presso l’Ospedaletto dei Samitteri accanto al Monastero delle Monache di Sant’Andrea, lei aveva accudito a lungo anche sua moglie morente. Era perciò per una forma di riconoscenza che l’ortolano le permetteva di rifugiarsi lì durante la notte.
Al mattino, quando la “Doda”usciva, l’osservava spesso guardandola immobile mentre lasciava il catapecchio umido e sporco, nera e brulla come la terra del campo che aveva davanti. Non le diceva mai nulla, la salutava solo con un cenno muto del capo e basta, ma ogni tanto si dimostrava gentile nei suoi confronti facendole trovare un ciocco di legna nelle giornate più fredde, o cambiandole la paglia della capanna che copriva il pavimento in terra battuta. Era lì dentro che “Doda”riceveva i suoi clienti, soprattutto i soldati acquartierati nelle vicine caserme appena allestite negli ex Conventi dagli invasori Francesi.
“Il cielo è da neve questa sera ... L’aria è tagliente e secca … C’è un pulviscolo bianco leggero che volteggia e aleggia nell’aria … Gli anni scorsi in tempo di Natale nelle chiese aperte delle Monache e dei Preti erano esposti sull’altare i Bambinelli … Erano il simbolo che era tornato a rinascere e rivivere il Christo Santo, che sarebbe significato speranza per tutti … anche quella impossibile, perché ci avrebbe pensato Dio in qualche maniera inventandosi la sua Provvidenza per tutti.
Erano belli come il sole quei Bambinelli delle chiese esposti alla Devozione davanti agli occhi di tutti … Sembravano la mia piccola bambina che ho lasciato esposta a Treviso.
Quest’anno, invece, tutto è chiuso e spento … Le chiese delle Monache sono barricate e non ci sono più Bambinelli per nessuno … Non si può neanche entrare per rubare qualche moccolo di candela. Niente Bambinelli illuminati da mille candele e contornati da mille drappi di velluti preziosi e dorati … C’è solo ovunque questo freddo intenso e buio per tutti … e tanta fame insieme a una soverchiante miseria ancora più trista e intensa di prima.
A che è valso a rovesciare l’intero mondo ? Forse a nulla … “Si stava meglio, quando si stava peggio sotto la Serenissima”… si dice spesso per strada in questi giorni. Me ne sto stracciata, torva e unta a ricoverarmi e a scrivere rinchiusa dentro a questo mio loculo. Mi sembro quasi una bestia corsa a leccarsi le ferite e a rifugiarsi nel fondo più profondo della sua tana.
Stanotte per combattere questo gelo intenso mi sono coperta tutta di paglia. Ho lasciato fuori solo la bocca e gli occhi … e ho provato a proteggere queste mie carni martoriate anche dentro fino alle più profonde midolla. Sono malata, il “Mal Francese Celtico” mi sta divorando fin nel mio più intimo interno ... il mio corpo è come “cotto”, ormai invaso da quel fetente morbo che mi hanno messo dentro i soldati. L’ha detto anche il medico dell’ospedale che ha curato le mie ulcere e quel pendagli fuoriuscenti … Ormai mi dovrò covare dentro per sempre questa malattia infame.
Di certo vi chiederete: “Ma come mai una meretrice pulciosa analfabeta e illetterata come me sta scrivendo ? Com’è possibile un fenomeno del genere … Non sarà mai forse lei a farlo ? … Sarà forse qualcun altro che si diletta a raccontare e scrivere seduto comodo dentro al suo tiepido benessere ? … No. Sono proprio io a farlo, a scrivere. Me l’ha insegnato di nascosto la figlia di quell’uomo Nobile che mi ha usato e poi buttata via per strada come un cencio inutile. Vi garantisco che sono stata una scolara attenta quanto esemplare.
Il mio nuovo giovane amante di questi giorni mi dice che possiedo la dolcezza di un poeta … che il mio parlare è leggiadro, tenero e caldo come il sapore delle mie labbra … So di non essere ancora sfiorita del tutto … So di poter essere ancora bella, o perlomeno una donna piacente … Anche se temo sia spesso la famelica voglia e gli impulsi carnali e incontrollati degli uomini a far ritenere bello quel che non lo è affatto o non lo è quasi più.
Ancora oggi sono passata accanto alla lapide infissa sulla porta dell’orto delle Monache. Sembrava anacronistica, inutile, quasi irrisoria … Fino a ieri era sinonimo del prestigio e della rispettabilità del Monastero e del totale riguardo che meritavano quelle rinchiuse lì dentro. S’era scomodato perfino il Doge con i suo Illustrissimi a promuovere quel riguardo … Oggi è rimasta solo la lapide adesa al muro. Tutto dietro di lei è diventato vuoto, spento e abbandonato. Le Monache del Sant’Andrea sono state cacciate … e tutto quel rispetto riverente non c’è più e non vale più niente. Che strane sono a volte le vicende della vita ! Sono vere sorprese … anche per i potenti che si ritrovano col culo all’aria e col trono rovesciato ...”
Sopra alla porta dell’orto delle Monache del Sant’Andrea della Zirada la Serenissima aveva fatto porre una lapide di marmo visibile e leggibile ancora oggi:
“IL SER PRINCIPE FA SAPER ET PER DELIBERA DELL’ECCELENTISSIMO CONTRO LA BESTEMMIA. CHE NON SIA PERSONA ALCUNA SIA DI QUESTO STATO E GRADO COME DIR SI VOGLIA SENZA ALCUNA ECCEZIONE CHE ARDISCA DI GIOCAR A CARTE DA DI BALLA PANDOLO ET ALTRI GIOCHI IN QUESTO LOCO VICINO ALLA CHIESA DELLE MONACHE DI SANT’ANDREA E FANCO IL GIOCO DI BALON … E LONTANO DALLA CHIESA FERMARSI PER TUMULTUAR ET BIASTEMAR O PROFERI PAROLE OSCENE NE FAR ATTI SCANDALOSI, NE STERNDER LANE PER MEZZO ESSA CHIESA ET ALTRE ROBBE CHE IMPEDISCANO IL TRANSITO A QUELLA SOTTO PENA AI TRASGRESSORI DI BANDO, GALIA, FRUSTA, BERLINA, PREGION A DAL 3 DI SUE EC ONTA ALL’ACCUSATOR IL QUAL SARA’ TENUTO SECRETO DI LIRE 200 DI PICCOLI DEI BENI DI TRASGRESSORI CONVENTI ET CASTIGATI CHE SARANNO. PUB LI X 71640 OPBONAMIN CON PUB PUB NEL LOCO SORAD …”
ANTONIO CANAL
ALVISE MOCENIGO E CLB
PIERO SAGREDO PRO
TOMMASO EMO NODARO
“Una delle ultime Leggi della Serenissima impone di non chiedere più l’elemosina per la strada importunando i Nobili e i passanti, né di andare a bussare e suonare nelle case e nei palazzi per questuare. All’immane folla dei miseri disastrati e bisognosi che formavano quasi la metà della popolazione di Venezia, è stato concesso solo di potere domandare sussidi ed elemosine alla porta delle chiese e dei Monasteri. Ma adesso, che è stato chiuso tutto … Dove andremo a chiedere ? … e da chi ?
Sono tornata inutilmente a bussare all’Ospedale dei Poveri Sartori … Non mi hanno neanche aperto … Fino a pochi giorni fa facevo il giro per trovare una minestra … Santa Chiara, San Andrea, e il neonato Ospizio-Monastero del Nome di Gesù … Ora le Monache sono state spazzate via e ci sono solo caserme.
Gli uomini di notte … fra orti e sterpaglie … non mancano mai. Basta sceglierli come da un mazzo … a piacimento, anche se la concorrenza non manca. Una cenciosa come me non è molto appetibile, anche se la fame dei maschi è sempre insaziabile … soprattutto se mi offro a buon mercato … La gonorrea e l’ospedale sono sempre onnipresenti come fantasmi tenebrosi e incombenti, così come i birri che mi cercano e inseguono chiamati dagli stessi soldati del Santa Chiara mai sazi e a volte prepotenti e vendicativi … Febbre, mancanza di sussidi e denaro mi sono compagne … come la solitudine e la non remissione della malattia … Non è uno scherzo vivere così.
Chi leggerà questa mia uscita, queste mie parole ? Probabilmente nessuno … Questa non è neanche una vera e propria lettera, sono solo pallide memorie scritte al lume di una smoccolante candela sulle pagine bianche dell’unico libro che possiedo.
Scrivo per dire che mi riesce ancora di amare e sperare nonostante tutto … In questi ultimi giorni il bel giovane soldato che mi ammira tanto non s’accontenta di sussultarmi sopra sul mio pagliericcio misero. Mi ha detto che desidera inseguire una carriera dentro all’esercito, e che un giorno prossimo mi strapperà di qui, mi porterà con se e mi sposerà … Mi ha anche detto che mi presenterà presto a suo zio che lavora da impresario di un teatro a Padova …
Stanotte il Canale di Sant’Andrea e di Santa Chiara della Zirada si sono ghiacciati … Sono diventati una lunga lastra liscia e scintillante di ghiaccio dove si rispecchia un Cielo opaco di stelle ... Non c’è più minestra … e neanche moccoli di candela da rubare dentro alle chiese … Per il freddo pungente mi sono di nuovo coperta tutta di paglia … Ho lasciato liberi solo la bocca e gli occhi ... Sto tremando come una foglia anche se è acceso il camino … Ho una gran paura dentro che finisca ancora una volta tutto … Come sempre temo che accada il solito triste risveglio … Ho timore che questa vita e questo mondo finisca col schiacciarmi del tutto … Penso sempre che sia fatto solo di pensieri, sensazioni e fatti che si susseguono sciogliendosi uno dopo l’altro come neve al sole … Cambierà mai il mio destino ?
Vorrei solo che certi momenti continuassero a ripetersi con la stessa puntualità con cui tornano a brillare le Stelle in Cielo, o come il ritorno della nuova Primavera dopo tutto il marciume tristo delle foglie d’inverno … Allora non ci sarebbero soltanto fine e morte, e tutto questo dissipamento assoluto … Ci potrebbe essere ancora e forse un po’ di Speranza … Un po’ di tepore utile a sopravvivere …
Che potrà ancora dire una puttana inutile come me ? Nulla di certo … Comunque sogno possa esistere ancora per me un piccolo barlume di luce … Sognare non guasta, aiuta a continuare a vivere … finchè potrò ...”
Le cronache Giudiziarie di Venezia raccontano che ancora nel 1851 la“Doda” continuava a vivere, “lavorare” e risiedere nella zona di Sant’Andrea della Zirada nel Sestiere di Santa Croce, dove venne pizzicata nuovamente dalla Polizia insieme a sua giovane “discepola”zoppa scappata dall’Istituto degli Esposti di Belluno. Entrambe erano state segnalate e denunciate alla Sicurezza Pubblica per il loro “vivere disordinato da prostitute della zona”. Costrette a visita medica: la “Doda” venne trovata ammalata e quindi rinviata subito in ospedale per poi finire nella Casa di Correzione della Giudecca, mentre la giovane fu trovata ancora “pulita e sana da malattia venerea”, e quindi rispedita alla sua patria d’origine.
Dov’erano finite le speranze e i sogni di quel Natale raccolte e scritte in quell’insolita lettera di diversi anni prima ?
Ripensare ai tempi di quella donna mi ha procurato un certo effetto … La intravedo ancora oggi passare in trasparenza per gli stessi luoghi molto cambiati rispetto a un tempo.
Oggi a Sant’Andrea della Zirada sembra tutto fermo, uguale, morto e abbandonato … Non sembra neanche Natale … Solo più in là ci sono i soliti festoni colorati e le luminarie pendule accese che si rincorrono scintillanti a ricordarmelo. Negli angoli del piazzale del tram e degli autobus ci sono scintillii, luccichii coinvolgenti che infondono un senso di tepore festaiolo … Anche i giubboni dei portabagagli notturni risaltano nel buio.
Stamattina passavano due portabagagli del turno di notte tutti arruffati, stretti dentro ai loro giubboni gialli catarinfrangenti. Si sono infilati, bavero alzato e mani in tasca, dentro al primo bar aperto del mattino, col la vetrina illuminata che guarda verso il Piazzale degli autobus. Li ho visti gesticolare e animarsi in lontananza mentre sorseggiavano la loro bevanda calda. La vetrina del localetto era traslucida e mezza appannata, s’intravvedeva appena sotto al bordo rialzato del piazzale dove rumoreggiava una folla sgangherata di bus in sosta. Ogni tanto ne è partito uno semivuoto con pochi lavoranti come me che vanno a inseguire il lavoro oltre la Laguna e nella Terraferma, oppure ne è arrivato un altro stracarico di pendolari assonnati che si sono subito sparsi e spersi in giro per Venezia.
“Sotto ai miei piedi un tempo qui c’era l’orto dove abitava “la Doda” ... e oggi è quasi Natale … come quella volta ... Tutto continua ad accadere e ruotare … come quella volta … S’incrociano i destini, si suicida il mondo furibondo inseguendo ideali o fatui colpi di testa … Che resterà di tutto questo domani ? ”
Svamp ! Svamp ! … Qualcuno lo vedrà di certo dopo di me.