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Il Santo Rosso e il Santo Nero

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#unacuriositàvenezianapervolta333

Il Santo Rosso e il Santo Nero

E’ curioso sapere che nella Venezia di ieri, quando non esisteva, come ovunque, né Previdenza, Assicurazioni e Sanità, c’era, invece un modo spicciolo che permetteva che buona parte degli ultimi e dei fragili della Societas Veneziana non si perdessero del tutto.

Credo che in questo Venezia sia stata abbastanza esemplare, anche se non è stata di certo l’unica a inventarsi soluzioni del genere.

Ci sono stati per secoli in Laguna e in Città folle su folle di poveri, indigenti e miserabili di ogni tipo. Gli sconquassi delle continue Guerre, le Carestie, come le Pestilenze invalidavano e immiserivano soprattutto le categorie più basse che letteralmente s’inventavano l’inventabile pur di sopravvivere. I dati parlano chiarissimo: a Venezia c’erano stabilmente più di 27.000 poveri tendenti ad alzarsi di numero, e a questi s’aggiungeva di continuo una seconda folla di vagabondi, avventurieri, e questuanti che vedevano nella Capitale il “Mercato e la Piazza buoni per ogni occasione”.

Venezia faceva fronte a tutto e tutti, e se da una parte la Serenissima ci metteva un niente per ficcare qualcuno a remare o in prigione, o a cacciarlo via con un bando promettendogli il peggio, dall’altra parte tutte le Istituzioni Cittadine cercavano in qualche modo di sopperire a quella grande Indigenza, o chi aveva più mezzi … mica sempre … si dava anche a prodiga beneficenza.

Su tutto quanto di sicuro primeggiava “un metodo sussidiario” utilizzato per secoli da molte Schole Cittadine d’Arte, Devozione, Mestiere e Nazionalità.

Era una modalità abbastanza semplice in se, e credo piuttosto efficace, che se da una parte favoriva e anteponeva i propri iscritti in ogni genere di aiuto e favori, dall’altra parte non dimenticava di cercare, riconoscere e aiutare anche gli altri che per davvero stavano male economicamente, nello spirito e nel corpo.

I Piovani delle Contrade Veneziane in questo caso giocavano di sicuro un ruolo primario in quanto erano il primo anello di una specie di “catena Sanitario-Assistenziale” per la quale rilasciavano una specie di “certificazione di bisogno”. Annotavano la situazione economica della persona, le attitudini e la condotta, lo stato del nucleo familiare, e l’effettivo stato d’indigenza.

Con quel primo documento in mano a Venezia iniziavano ad aprirsi “certe porte”. C’erano, ad esempio, le Schole più Grandi, ricche e famose, che oltre ad avere “i loro poveri iscritti o simpatizzanti”, entravano anche in possesso di “Certe liste dei Poveri delle singole Contrade” messe a disposizione dai Piovani delle chiese Veneziane. Alcune delle Schole più intraprendenti e facoltose avevano dei veri e propri “Registri” che disegnavano lo stato sociale Veneziano, tanto che lo conoscevano come in filigrana.

E siamo al Santo Rosso e al Santo Nero a cui accennavo nel titolo.

Queste Schole più importanti fin dalla fine del 1400 avevano a stipendio fisso annuale alcuni Medici, così come avevano degli accordi ben precisi con alcune Spezierie-Farmacie di Venezia secondo loro affidabili almeno in quel momento.

Chi veniva considerato davvero indigente o ammalato, si rivolgeva allora ai Medici di queste Schole che erano tenuti ad essere sempre disponibili ad ogni ora e in ogni circostanza: dei veri e propri Medici di Base ... di quelli veri però.

Assieme alla Visitadi quelli della Schola che andavano a valutare i termini dell’indigenza economica, il Visitadòr a sua volta andava a visitare gli ammalati col Medico rilasciando loro un “certificato” con un Santo Rosso dipinto sul quale il Medico prescriveva ciò di cui l’ammalato aveva maggiormente bisogno.

I Medici Veneziani prescrivevano un po’ di tutto in Laguna: Balsamo di Sangue, Cerotto “Manus Dei”, Cipolla, Fungo di Malta, Squilla, e poi Sali di tanti tipi, Pasta per vescicanti, Refrigerante di Galeno e le varie Acque di Melissa, Rose, Piantaggine Cannella, Finocchio e Sambuco … e ancora: Canfora, Corno di Cervo Raspato, Cardo Santo, Estratti di Bardana e Genziana, Fiori di Papavero, Camomilla, Arnica, Tintura di Marte, e Oli di Ricino e Radici e Piante, Semplici ed Erbe di ogni genere ... Gomma Arabica, Mirra e Incenso e Legni Profumati-

Tutto aveva un suo perché, una sua Logica e anche una sua efficacia Medico-Sanitaria, delle quali noi di oggi ci sfugge ampiamente i termini.

Con quel Santo Rosso in mano l’interessato poteva quindi rivolgersi a una delle Spezierie di Contrada abilitata a servire le Schole, e dopo aver ottenuto i medicamenti, presentando lo stesso Santo Rosso aveva diritto a ricevere anche un sussidio pecuniario settimanale per procurarsi ulteriore ed eventuale assistenza.

La lista delle Spezieri-Farmacie di fiducia era molto elastica e duttile, cambiava spesso, e comprendeva un po’ di tutto, soprattutto “dispensari” siti in diversi luoghi strategici dei Veneziani. Una delle tante liste un po’ presa a caso indica: “Speziaria all’Anzolo in Contrada di San Bortolo presso Rialto”, “Spezieria Alle Tre Frezze ai Carmini in Contrada di Santa Margherita”, “Speziaria Al Basilisco” nel Sestiere di Castello, “Alle Due Ombrelle in Rio Marin presso San Simeon Grando”, “Al Castel d’Oro in Campo San Tomà”, “Ai Tre Falconi”, “Ai Due San Marchi in Campo San Stin”, e “Alla Fenice” alla Giudecca dov’erano disponibili anche la Spezieria dei Frati Cappuccini del Redentore, e quella meno conosciuta delle Monache della Croxe.

Le Spezierie-Farmacie dal canto loro sulla scorta del Santo Rosso compilavano un Santo Nero sul quale segnavano i prodotti che avevano consegnato agli ammalati-indigenti, per i quali la Schola avrebbe pagato il conto senza battere ciglio … Salvo non ci fosse qualche imbroglio, abuso o eccesso ovviamente ... perché in tal caso le Schole sapevano diventare anche parecchio cattive, e visto che non mancavano per niente di risorse, imbastivano per falsi malati, millantatori, approfittatori o ciarlatani costose cause e processi che costavano di certo caro a chi approfittava delle situazioni.

Anche così “girava” Venezia un tempo … e tanti Veneziani riguadagnavano più volte Salute e Benessere, ma anche autostima e coesione sociale, da dentro quel meccanismo semplice e sofisticato insieme sparso un po’ in giro per le varie Contrade Veneziane grandi e piccole.

 


Una Venezia d'oro ... che però era ottone

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#unacuriositàvenezianapervolta 334

Una Venezia d'oro ... che però era ottone

“Bah ?” diceva un giorno scuotendo la testa perplessa una vecchietta dell’Ospedale, di quelle con mille magàgne eternamente ricoverate: “Secondo mi el xè oro da Bologna, che nasconde la vergogna ... El luccica e l’inganna, el sembra bèo, ma el xè solo ottòn.”

L’ho avvertita come una chiosa azzeccatissima sulle cose che sto leggendo sulla nostra Venezia dell’altro ieri.

Nel 1720 il Segretario del Senato Carlo Alberti del Ramo di Santa Maria Formosa, mentre se ne stava pomposissimo“vestito di paonàsso” a sfilare col Doge in Piazza San Marco nel SolenneCorteo della Festa di San Marco venne arrestato clamorosamente davanti a tutti suscitando immenso clamore e sorpresa … A sua firma era appena stato inviato lo stesso giorno una comunicazione urgente del Senato a Zorzi Pasqualigo Provveditore Generale da Mar … e come il solito il Provveditore aveva dovuto pagare profumatamente per poter ricevere quel dispaccio … In realtà, ogni dispaccio emesso di continuo dall’Alberti in quanto Segretario del Senato si traduceva ogni volta in guadagno sonante all’atto della sua ricezione … Peccato che quella volta il Pasqualigo non riuscì a fare a meno di pensare: “Ma com’è mai possibile che il Senato si riunisca a deliberare nei miei riguardi proprio nel giorno di San Marco ? … O è una faccenda urgentissima della Repubblica … oppure ?”

Infatti … Era la seconda cosa … Il Senato non s’era affatto riunito, e tanto meno aveva deliberato qualcosa d’importante per il Provveditore da Mar… Quel dispaccio dal contenuto insignificante, ma pur sempre legato a dovuto pagamento per poterlo ricevere, era stato emesso falsamente dall’Alberti per guadagnarci sopra … La bramosia di guadagno del Segretario dei Pregadi l’aveva ottuso al punto tale da fargli compiere l’inverosimile … Quell’ennesimo falso prodotto dall’Alberti a seguito di tanti altri, divenne il motivo della sua rovina.

Scoppiò allora lo scandalo con l’arresto clamoroso durante la sfilata, e l’Alberti messo con le spalle al muro non riuscì a negare e giustificare quell’evidenza. Era una di quelle occasioni in cui la “macchina della Giustizia Veneziana” pareva improvvisamente risvegliarsi mostrando a tutti la sua temibile efficacia … Il conosciutissimo e prestigioso Cittadino Originario Alberti venne quindi inquisito prospettando per lui il peggio: addirittura un’esemplare sentenza di morte spettacolare in Piazza San Marco.

Senonchè, ed ecco emergere “il modo e lo stile” reale che adottava più che spesso la Serenissima, insorsero tutte le famiglie del Clan degli Alberti: ben cinque-sei, che vivevano da tempo immemore dei ricchi cespiti ed emolumenti elargiti dalla stessa Segreteria Dogale della Serenissima. Che ne sarebbe stato del loro “Buon Nome” e del loro “Onore” ? … Si sarebbe dovuto procurare la rovina dell’intero Casato per la colpa di uno solo ? … Ecco quindi che ogni fatto addebitato al Segretario Alberti venne industriosamente e velocemente imboscato, insabbiato e dimenticato … L’Alberti se la cavò con un forzato esilio a vita “in campagna” subendo la sola destituzione, mentre figli, nipoti e congiunti scagionati poterono continuare a ricoprire serenamente i loro ruoli continuando con successo le personali scalate dentro agli Incarichi Pubblici della Repubblica Serenissima.

Un esempio fra i tanti possibili quello dell’Alberti, a svelare una Venezia che non riluceva affatto come oro per esemplarità, come voleva, invece, dare sempre ad intendere a chiunque.

Più o meno nella stessa epoca, il Cancelliere Grande di turno presentò un curioso quanto sconfortante resoconto al temibile Consiglio dei Dieci e al Serenissimo Doge circa l’Ordine dei Segretari: “Solo una piccola parte: un 3% forse, dell’Ordine Esecutivo dei Segretari si potrà dire serva dedito e con sincera passione la nostra Repubblica … Il resto ci vive sopra con imperizia e scarso e svogliato profilo con la sola ambizione di nutrirsi delle risorse del Governo ... Non ci sarebbe alcuna meraviglia se un giorno venissimo a scoprire che lo stesso copricapo dorato del Serenissimo sia stato mutato a sua insaputa con un cappello di carta dipinta.”

Fra un’ilarità e un'altra, ne risultò comunque un Giudizio severo, e purtroppo realistico, sull’assetto dell’apparato burocratico dello Stato Marciano-Veneziano ... Quello che in un certo senso si sarebbe dovuto considerare come “l’Animo più intimo della Repubblica”.

Comunque: da quale pulpito veniva quell’amara osservazione accusatoria ! … Quello stesso Cancelliere Grande percepiva di solito un salario annuale di 600 ducati versatigli in due rate dallo stesso Consiglio dei Dieci(il salario base annuale dei Segretari era di solito di 200 ducati), lievitati poi in seguito fino a 900 ducati corrisposti poi dal Magistrato al Sal… Secondo quali documentati meriti ?

Non s’è mai saputo … Il Cancelliere inoltre aveva diritto al rimborso dell’affitto per l’abitazione, a un rifornimento di 24 carri di legna da ardere, al beneficio percentuale della “Casselletta” secondo il suo ruolo, che gli procurava di solito ulteriori 20 ducati al mese, oltre alla fornitura di alcuni Capponi, numerosi pani di Zucchero, mazzi di candele, un sacchetto di polvere da sparo, e perfino copie di Libretti di Musica da Teatro ... In cambio il Cancelliere era tenuto a concedere “liberalità e mance” a diversi suoi subalterni, ai Confratelli della Schole Grandi, e ad alcuni alti Ufficiali dello Stato nelle ricorrenze delle Festività più importanti della Repubblica Serenissima.

Di sicuro gli rimaneva un buon margine di guadagno per se … tale da potersi scagliare contro l’inefficienza altrui … Che era veritiera comunque.

Quella del Cancelliere era la punta emergente di un grande iceberg sommerso, di un sistema “tutto Veneziano” che sussisteva e si autoalimentava da secoli in Laguna … Era tradizione, che quasi ogni occasione fornita dal “Pubblico” potesse tradursi in sicura fonte di guadagno, e distribuzione “d’incerti retributivi” ai soliti pochi raccomandati, fortunati e furbi addentrati stabilmente a oliare e mungere i meccanismi dello Stato badando soprattutto ai “propri personali negozi”.

A tal proposito, esisteva a Palazzo Ducale e nelle Magistrature diRialto un vero e proprio piccolo esercito di più di 100 persone fra Segretari, Avvocati, Legulei del Diritto e Notai Ordinari o Extraordinari … Ciascuno beneficiava non senza frodi e inganni non solo degli “utili” dello Stato, ma anche di tanti “proventi” e sovvenzioni, comprese le entrate percentuali provenienti dalla “Casselletta”(tassa sugli Atti Pubblici) in cui introiti venivano suddivisi fra tutto l’Ordine-Categoria. Si trattava insomma di una piccola folla che parassitava stabilmente e sistematicamente la Serenissima occupandosi e distribuendosi in ben 700 incarichi funzionali diversi occupando le stanzucole, i camerini e le secrete degli organi più importanti dello Stato Veneziano: Senato, Consiglio dei Dieci, Quarantie, Magistrature: “Un servizio più a se stessi che alla Repubblica.”

Ancora nel 1722, infatti, lo stesso fortunato Ceto di quella “Nobiltà subalterna di seconda serie e di Servizio”(solo pochi riuscirono ad assurgere alla Nobiltà Veneziana vera e propria facendo il salto di qualità) supplicava di poter allargare ulteriormente la propria prosperosa e riservata Categoria ... I nomi dei vari già ricchi e influenti risultarono tutti segnati nella Supplica: Businello, Gallo, Giavarina, Nicolosi, Battisti, Fontana, Imberti, Sanfermo, Lio, Bartolini, Celsi, Giacomazzi, Franceschi, Colombo, Schietti, Antelmi, Marini, Vignola, Padavin, Crivelli, Marchesini, Ballarin, Zon, Callegari, Soderini, Cavanis, Verdi, Steffani, Pizzoni, Zuccato, Cavalli, Olivieri e Gobbi

La Supplica però venne respinta dal Consiglio dei Dieci, e quella forse fu la fine della loro secolare ascesa.

Scriveva e diceva apertamente Leonardo Formenti Segretario del Magistrato alle Beccarie fra 1629 e 1647 (giusto negli anni della Peste della Madonna della Salute), senza farsi scrupolo di ammetterlo davanti a tutti in Piazza: “Oltre a percepire il mio salario ricevo ulteriori proventi da Bollettini da Candelle et due Bollettini da Toro, oltre mill’altre regalie, grossi donativi e vantaggi, che esercitando essa carica si cava, cioè d’essentioni, d’aggravi di condur nella Città a quelli Capretti, Vitelli, Porci, et altro di detta natura, et infiniti altri vantaggi con Beccari nel quotidiano vito per casa.”

Girolamo Alberti Cassier della Bolla Dogale, dichiarò di possedere fino al 1730 una dorata carrozza a quattro cavalli … a Venezia !

Si raccontava ancora in giro per la Storica Città sull’Acqua che un altro Segretario al seguito dell’Ambasceria di Costantinopoli s’era indebitato con i Turchi per affari privati tornando poi insolvente a rifugiarsi in Laguna … I Turchi solitamente poco arrendevoli, se ne vennero fino in Laguna a batter cassa cercando di riscuotere il dovuto dal Segretario Dogale ... Che figuraccia fece Venezia con la temibile Porta Ottomana !

Simon Cavalli Residente Veneziano a Napoli nel 1777, finì coinvolto in un grosso raggiro-truffa insieme a un avventuriero Dalmata che s’era impossessato di una grossa somma di denaro a discapito di una Casa Olandese di Gioielli… Anche in questo caso, gli Olandesi si vollero rifare con la Serenissima di cui l’uomo era “pubblico rappresentante”.

Più che spesso, Nobili e Cittadini Originari Veneziani ben foraggiati di personali capitali ci mettevano del proprio per recarsi all’Estero a rappresentare come Ambasciatori la Repubblica Serenissima … Era altrettanto vero però, che facevano diventare quelle Ambascerie dei veri e propri trampolini di lancio per i loro fruttosi privati affari sfruttando al massimo il supporto dello Stato e il blasone Veneziano.

Tornando a casa nostra in Laguna, talvolta curiosamente capitava nelle votazioni in Collegio e Pregadi di Palazzo Ducale, che spuntavano e si conteggiavano “più balòtte del previsto … più numerose dei presenti riuniti a votare in sala”… Altre volte scomparivano perfino sensibilissimi dispacci e resoconti politico-commerciali portati a Venezia dalle Ambascerie rientrate dall’Estero. Si procedeva allora con estemporanee e improvvisate perquisizioni di tutti i presenti, andando a controllare perfino dentro ai berretti e nelle fodere delle maniche delle vesti dei Segretari, dei Nobili e dei Mercanti ... e più di qualche volta si trovava quanto era indebitamente scomparso.

All’inizio di ogni autunno, come d’abitudine: Venezia con i suoi Nobili e Cittadini si spopolava. Si paralizzava quindi ogni apparato burocratico e decisionale dello Stato ... C’erano: la Vendemmia, la Villeggiatura e gli Affari di Campagna da accudire … E la Societas Veneziana ? … Bah ! … Poteva anche aspettare: “perché l’aria di Campagna corrobora menti e corpi … e anche la borsa: si sa … Ogni cosa possiede le sue precedenze.”

Molti potenti Senatori poi, con l’arrivo dell’inverno e della brutta stagione se ne rimanevano rintanati nelle loro Cà-Palazzo per via del freddo, del buio, dell’acqua alta, delle presunte magagne fisiche ... La macchina dello Stato Veneziano in attesa che tornasse il tiepido e il bel tempo rallentava venendo lasciata in mano a pochi volonterosi addetti ai lavori … Erano presenti a Palazzo: tre, quattro Senatori in tutto a volte: “Quindi nella brutta stagione tutto procede a sprazzi e a singhiozzo, salvo accadano importanti ed appetibili novità capaci di calamitare tutti improvvisamente … In certe occasioni c’è perfino chi si fa portare in barella a Palazzo con Domestico e Cirusico al seguito ... Se c’è l’opportunità “di mungere e rimediare qualcosa” non si può assolutamente mancare.”

Ogni tanto nei vari resoconti e controlli previsti per il buon funzionamento dello Stato Veneziano, spuntavano fuori dove dovevano non esserci insospettabili figure aggiunte d’impiegati e burocrati stipendiati profumatamente dallo stesso Stato inconsapevole … Neanche si immaginava che esistessero certe figure ... Chi li aveva scelti, ballottati, valutati, autorizzati e collocati là ? … Eppure risultavano … Il Segretario Franceschi del Consiglio dei Dieci, ad esempio, s’era inventato “d’arbitrio suo” la figura di un apposito Portiere del Collegioaddetto a fornire le balòtte e alcune paroline adatte ai Nobili che entrano per votare.” ... Costui non faceva nient’altro, ed era profumatamente pagato solo per quello … Risultava poi, che c’era chi incassava il doppio-triplo stipendio ricoprendo più ruoli contemporaneamente pur essendo assenti e lontani dallo Stato Lagunare … Non era permesso: ma si faceva lo stesso … A Venezia poi, esisteva un vero e proprio “mercato della Conservazione delle Scritture” che redigeva senza sosta e forniva in regime di completo monopolio: copie su copie, e copia delle copie sulle copie di interi Archivi Alfabetici di Parti, Sommari, Filze documentarie, Lettere, Decreti, Disposizioni, Licenze su Materie dello Stato … Ogni cosa veniva poi concessa sia al Pubblico che al Privato applicando appositi tariffari che si traducevano in pagamento contante e in consenso politico di parte ...  Non esisteva a Venezia Autorizzazione, Supplica, Concessione o Atto di Nomina che non avesse un suo apposito prezzo da pagare … Tutti pagavano di continuo: Cavalieri, Preti, Monaci, Mercanti, Artieri, Forestieri, Dignitari, Popolani … C’erano in Città Uffici deputati solo a quello: su tutti quello della Bolla Dogale… C’era anche chi viveva l’obbligatoria contumacia dopo 4 anni d’Incarico Statale… Semplice: fingeva di lasciare la Carica affittandola in realtà per un anno a un sostituto prestanome di fiducia … Poi era pronto a riprendersi la titolarità l’anno seguente per altri 4 anni consecutivi … Gli affari erano affari ... C’erano Segretari che si vantavano d’aver“servito lo Stato” nello stesso ruolo per venti-trent’anni consecutivi … E che merito e prestigio ne ottenevano ! … La Legge Veneziana in realtà prevedeva giusto l’opposto: proibiva carriere simili.

C’era chi maneggiava, investiva, comprava e vendeva a Venezia e circondario prendendosi a garanzia lo Stato stesso, impegnando guadagni e rendite future, anche da 2.000 ducati per volta, prima ancora di averle conseguite … Un gioco abilissimo di finanze e investimenti sotterranei: “Gira e volta: il SistemaVeneziano lasciava fare”.

Numerosissime erano le raccomandazioni, i nepotismi, i favori agli amici degli amici, le fittizie competenze con ricorrenti giochetti di prestigio e con le finte patenti giuridiche in Diritto certificate a Padova. Si diceva a Venezia che alcuni s’erano laureati “alla Nobilisca”, cioè avevano conseguito titoli di studio surrogati senza vero merito, e riferiti a sole poche ore simboliche di partecipazione in Ateneo: “Alcune teste sono piene solo di vuota ignoranza ... Vere e proprie teste da Amolo, messe a dirigere cose di cui neanche conoscono il significato ... A costoro bastano le rendite del Beneficio.”

Come se non bastasse, il tutto veniva spesso condito anche con ingerenze e minacce: “Si esigevano privilegi, corresponsioni di viatici, provigioni, aspettative, sussidi e benefici riservati e disposti anche per figlie, vedove, parentado, amici, conoscenti e affini.”… C’erano famiglie intere che percepivano indennità e vitalizi dallo Stato: a volte solo per il fatto d‘essere congiunti con una figura insigne preposta, o in possesso della documentata Nobiltà Patrizia o Cittadinesca: “che diventava di per se un diritto a spremere in qualche modo la Repubblica.”

Nel 1775 circa, ci fu un processo intentato dal Notaio Rocco Sanfermo su mandato del Consiglio dei Dieci e dell’Avogaria da Comun contro Giuseppe Mion da Gambarare Oste in Bottenigo reo d’assassinio. Attorno al processo si mosse una vera e propria piccola folla che si profuse in un delirio di sovvenzioni, raccomandazioni, presenti e aggiustamenti offerti a Giudici, Testimoni e coinvolti nella causa ... Il delitto in se passò in secondo piano, e si finì col far spazio a un eccesso di abusi, pettegolezzi, prezzolamenti, corruzioni e sovvenzioni che finirono una volta di più col minare la corretta amministrazione della Giustizia Veneziana.

A farla breve: un Prete Andrea Zanetti si recò dall’Oste Mion chiedendogli il rimborso di alcune spese fatte come intermediario dando regalie di zucchero, caffè e candele “come liberalità” al Notaio Sanfermo per volgere a suo favore il processo ... S’intromise poi nella vicenda il Nobile Lorenzo Molin da San Pantalon conoscente del Gastaldo dell’Oste Mion … Il Nobile Molin contattò a sua volta un Avvocato dell’Avogaria da Comun collega del Sanfermo, che insisteva col rimanere in una posizione decisa contro l’Oste Mion… Sanfermo diede da intendere che ci voleva ben altro … Si sarebbe dovuto “oliare di più” per fargli cambiare idea … Il Nobile Molin allora radunò tutti i convolti nella vicenda in una stanza del Magistrato, e finì con l’accusare pubblicamente il Sanfermo d’essere un corrotto ... e lì si sbrogliò finalmente la matassa a favore dell’Oste Mion… Regali a iosa quindi, presenti e raccomandazioni che andavano e venivano di continuo e ad ogni livello, ad indicare un modus essendi et operandi tipico di certe Categorie Veneziane: “I cani, si sa, non scodinzolano e abbaiano per puro affetto e a difesa del Padrone ... Più che spesso lo fanno per interessata fame e tornaconto ... Così è di alcuni Uomini dello Stato Veneziano, che fra una cosa e l’altra riescono a mettere insieme guadagni cinque-sei volte più del giusto e necessario ... Ogni occasione a Venezia è buona per guadagnare e speculare sugli arcani dello Stato … E chi più è abile a farlo: più ottiene ... Venezia quindi non brilla affatto nelle sue Istituzioni come oro zecchino … Mantiene una correttezza di facciata, mentre si dedica a spremere la macchina dello Stato per i propri scopi e arrivismi familiari … La Splendida Serenissima è assimilabile a una splendida esecuzione orchestrale, con tanti elementi, un grande coro, e un eclettico Direttore d’Orchestra. Di sicuro sa realizzare interpretazioni di successo che le procurano grande seguito e consenso, ma allo stesso tempo riesce a nascondere abilmente sonore stecche, disaccordi e sbavature presenti nelle sue sontuose esecuzioni … Non è così suggestiva e perfetta l’Opera di Venezia come vorrebbe far credere ... Tanta apparenza beltà e perfezione spesso riescono a ingannare occhio e orecchio, ma non potranno mai spacciarsi per ciò che non sono.”

“Da tutto questo emerge una Gloriosa Venezia: Gallinella dalle uova d’oro … grassa e grossa Mucca da mungere… Ieri come oggi: una Venezia vanagloriosa e un po’ fasulla, che antepone interessi personali e di parte a quelli dello Stato e della Societas Veneziana ... Un gran Circone, un Baraccone da Fiera ricco d’apparenza, una Piazza ricca di Ciarlatani e affabulatori dediti a rimpinguare le proprie tasche ammaliando i più, e dimentichi delle esigenze reali dei Veneziani.”

Probabilmente è stato questo più che tutto il resto il vero motivo del declino e del progressivo indebolimento interno che ha portato l’Illustrissima Serenissima ad afflosciarsi fra 1600 e 1700, e a capitolare definitivamente nel 1800.

Non a caso si continuava a dire in giro per Venezia: “All’ingresso della Cancelleria di Palazzo Ducale sono collocate le statue delle Virtù di Governo della “Fedeltà”, “Diligenza” e “Segretezza”, ma manca la più importante: quella della “Lealtà” ... Per questo Venezia s’è affacciata alla novità dei tempi moderni: apatica, inadatta, esausta, retrò, neutralee flessa su se stessa, e soprattutto enfia di ricchezze, ma floscia nelle Istituzioni, priva d’idee e di sinceri propositi lungimiranti buoni per il Comune futuro … Una Venezia fragile quindi, un po’ annacquata, mero spettro di tutto ciò che l'ha resa Grande un tempo.”

Qualcuno probabilmente “mi perdonerà poco” queste cose che vado dicendo su Venezia, perché vanno ad intaccare e diminuire il pomposo e nostalgico Mito che diversi hanno in mente di Venezia … La nostra Città purtroppo non è sempre coincisa con quel gran Mito che si è furbescamente vagheggiato e creato su di lei … Forse non è mai stata quell’esempio di Virtù, Civiltà e Perfezione che le si attribuisce … Né tantomeno è stata ed è un modello da imitare ancora oggi.

Non credo sia giusto, ad esempio, distorcere il senso di alcuni vecchi documenti raccontando di una Venezia accorta, parsimoniosa, morigerata che forse non c’è mai stata. Di recente ho visto scrivere e plaudire a una Serenissima perfettina: tutta sparagnina, attenta ed esemplare, che a Palazzo Ducale decretava perfino sul buon uso della preziosa carta nei luoghi Segreti della Cancelleria e nelle Magistrature Politiche di Governo.

Macchè !

Bisogna raccontarla giusta, senza storpiare la verità Storica delle cose e dei fatti … Il provvedimento sul consumo della carta citato, al pari di diversi altri come quello sull’uso delle candele nei luoghi dei Segretari e dei Notai dello Stato, non furono presi affatto con l’intento di un utile e doveroso risparmio, ma piuttosto per denunciare “garbatamente” e senza compromettere troppo “i grandi di Venezia”, un persistente abuso che si faceva a tale proposito. Era più la carta di pregio, e le candele per illuminare che finivano dirottate in gran quantità nei palazzi privati dei Veneziani a spese dello Stato, che quelle che venivano utilizzate nel Pubblico Servizio ... Lo Scansador e Inquisitor delle Spese superflue scriveva e denunciava a fine luglio 1713, che si consumava lo sproposito di 600 ducati annui per comprare 10.500 libre di cera trasportate direttamente al domicilio per l’uso privato dei Segretari: “Lì solo a Palazzo: Sacro Deposito delle Scritture, dovrà risplendere il lume con la nota Fedeltà di quei Ministri, che altrove usato oscurerebbe.”

Nella realtà spesso taroccata sulla Venezia di ieri, accadeva molte volte giusto l’opposto di quanto si vorrebbe far credere e raccontare.

Siamo seri: non raccontiamo frottole … Diciamo le cose così come sono andate per davvero … Venezia rimarrà comunque Venezia, anche senza raccontare inutili e adulanti nostalgiche finzioni che di storico non hanno niente.


"Assunta di Ferragosto ‘23"

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#unacuriositàvenezianapervolta 335

"Assunta di Ferragosto ‘23"

Vanno quasi sfrigolando consumandosi nel tramonto le ultime luci e i minuti di questo giorno Festivo dell’Assunta di Ferragosto 2023 … Ne sento quasi lo scivolio greve, il sovrapporsi convulso incalzante come di onda, il librarsi in aria come l’acqua prima di rompersi a schiumare sulla riva …Un altro giorno se ne sta andando fra emozioni spicciole ma vissutissime e quotidianità laboriosa qualsiasi.



“Ma che schifezza ha fatto stavolta Tiziano ? Ti sembra roba da andare a collocare in cima a un Altare ? … Il Maggiore per di più …”

“Si … Hai  ragione: proprio un obbrobrio … Mai avrei pensato che arrivasse a tanto un “pennello” così abile ... Peccato …”

“Come si fa a sbattere dentro a un quadro del genere una popolana paciòca, prosperosa, grossolana e tonda come quella … e dirla una Madonna … Non ha niente di gentile, interiore e spirituale.”

“A par ‘na dona de San Polo o de Cannaregio … Altro che NostraDonna: una donna bassa de Contrada.”


“E quell’ispido Padre Eterno in cima ? … El xè vergognoso … Pàr un sparpagiòn sgarufà … Un mendicante co i pedòci in testa e sulla barba.”


“E gli Apostoli allora ? … Sembrano quattro imbriagòni de Rialto … de quelli che nel dopo mezzogiorno spuntano fuori “ròsti” dalle Osterie e dalle bèttole de San Mattio e San Giacometto … Barcaròli e bastàzi (facchini) ordinari … cotti dal sole, sporchi … e odorosi di sudore.”


“Che gli sarà mai preso a Tiziano per aver perso tutta la sua gentilezza raffinata … Che stia male ? … O la vecchiaia gli sta intoccando la testa.”

“Spero che il Guardian Grando della Cà Granda non si faccia tanti scrupoli e faccia presto rimuovere quella bruttura ... Ne guadagneremo tutti nella vista … e torneremo presto a pensare alla Grazia e al Miracolo come merita.”

“Mmm … Sarà difficile che rimuovano quel quadrone alto fino al soffitto: è immenso … E’ stato laboriosissimo metterlo su.”

“Già … e poi lo so: il Guardiano e Tiziano sono amici da una vita … Non gli farà mai quello sgarbo umiliandolo.”


Pressappoco così discutevano due dei cento Frati della Cà Granda dei Frari nel Chiostro Maggiore girando pigri attorno al pozzo inondato dal sole … Le donne della Contrada per antico diritto entravano e uscivano dall’alba al tramonto per attingere acqua buona da quel pozzo, e strada facendo esprimevano pareri di tono del tutto contrario rispetto a quelli che dicevano i due Frati.

Fu quasi un’esplosione d’entusiasmo di tutti i Veneziani quando venne finalmente scoperta, inaugurata ed esposta la grande pala dell’Assunta che ancora oggi campeggia in mezzo alla Cappella Maggiore dei Frari: l’Assunta del Tiziano… E ancora ieri come oggi in tantissimi accorrevano da ogni parte di Venezia per gustare la bellezza che traboccava fuori provocatoria da quella mirabile opera.


Bellissima davvero … Tiziano non poteva esprimere meglio l’emozione e il sentimento dei Veneziani di fronte a un Mistero tanto più grande di loro … Indicibile … Che ne sapevano i Veneziani dei grandi Dogmi Teologici e Pomposi della Dottrina della Chiesa ?

Niente … I Veneziani uomini e donne erano gente qualsiasi che viveva la Vita alla giornata, scevri e lontani da grandi elucubrazioni mentali … In tanti sapevano appena distinguere destra dalla sinistra, non sapevano né leggere né far di conto … Figurarsi se sapevano intendersene di sproloqui Dottrinali … Ah ! … Roba solo per Preti e Frati e Monsignori e Cardinali … Che poteva saperne il Popolo Basso e Bue ?  Solo quel pochetto, quella “làgrema” che cascava fuori e giù dalle contorte parole dei Predicatori che rimbombavano minacciosi e incombenti dentro all’eco delle chiese …


La Madonna Assunta … ieri come oggi: “Ma che è ? … Che vorrà mai dire ?”… Si: un mistero d’accordo … nel senso di una cosa che non si capisce … Come sempre un’altra febbre, l’ennesimo delirio che colava giù incomprensibile e lontano dagli innumerevoli altari.

“Per noi del Popolo dei Veneziani: che sia Santa, Immacolata, Graziosa o Assunta in Cielo che cosa cambia ? … Nulla … Il Cielo resta sempre come un gran tendone che fa ombra su tutta la Storia dell’Umanità … Un manto protettivo come da Chioggia amorosa, che però resta lontano dalla confidenza e dalla comprensione di noi qualsiasi.”

“Noi stiamo da secoli come sulla fiducia … In piedi, muti e rispettosi sulla porta con cappello in mano e il fazzoletto in testa … Che cosa accada lì in fondo in quel Sancta Sanctorum occupato da pochi paludati dorati: chi lo sa per davvero ? … Non è cosa per noi ... E’ una luce troppo potente e dorata che acceca i nostri occhi … Un banchetto imbandito troppo sontuoso per noi che viviamo di briciole e di fame.”

“Mamma mia ! … Stavolta Tiziano ha messo noi dentro a quel quadro … Ha sbattuto in alto sull’Altare dei Frari i Veneziani qualsiasi senza nome: quelli delle Contrade … e perfino la Madonna è una di noi: una Veneziana qualsiasi, che sembra quasi vivere e respirare dentro alla tela sopra alle teste dei Frati e dei Canti Solenni, oltre e più in altro delle volute profumate dell’incenso e della luce flebile delle mille candele … Tiziano ha rotto le misure e l’incanto: ha messo Venezia in Cielo a spiegare i trucchi e le verità di Dio come non mai.”

Sapeste quante e quante volte sono tornato e ritornato a vedere e rivedere quel capolavoro … L’ho fatto estasiato da bambino a mano delle Suore rimanendo a bocca aperta la prima volta che me lo sono trovato davanti … L’ho fatto mille volte ancora in seguito da solo o in compagnia: mai pago di gustare tanto Bellezza così pregna … Rara … Andateci anche voi ad assaporarla.

Stragrande Tiziano Vecellio !


Per anni e anni da giovinetto e poi da adulto non ho mancato di tornare ai piedi di quel capolavoro: sia nel giorno della Festa dell’Assunta fra Musiche, Liturgie solennissime, Canti stupendi e atmosfere indimenticabili vicino a personaggi altrettanto indelebili: Albino Luciani, il Patriarca Ce, che sembravano quasi i continuatori viventi di quel “miracolo” del Tiziano … Altre volte, invece, sono tornato anche da solo a sedermi sugli stalli bui del Coro intarsiato dei Frari … E me ne rimanevo là: rapito, quasi avulso dalla realtà, riconoscendomi quasi in quelle colorate e muscolose figure dipinti oltre i secoli su quel telero immenso.

L’Assunta di Ferragosto oggi … Siamo sinceri: ha perso buona parte del suo appeal antico … Quanti “amano” e sentono vive dentro di se Feste come questa ? … Siamo sinceri: lo ripeto … Stiamo vivendo un’epoca afflitta dal tramonto del Sacro … checcè ne dicano “gli addetti ai lavori”, e gli “affecionados di Chiesa, gli irriducibili delle sacre panche, e i fanatici nostalgici della Santa Parola”… Fuori dal chiuso protetto dei loro cerimoniali riservati a pochi: quasi sempre rimane poca traccia di quel “Vivere da Fede, Speranza e Carità” che tanto strombazzano ma poco interpretano sulla propria carne.

Torno a me … Mi riconosco ieri come oggi in quelle mani muscolose tese al Cielo, quasi ad afferrare quell’Oltre sfuggente che sta più su, e troppo “Aldilà” di noi ... Saremo sempre inadatti e incapaci di esplorare e far nostro quel mistero ultratemporale … Siamo persi in noi stessi, smarriti nella Storia seppur convinti di determinarla … e il nostro vivere è troppo giù per poterci far cogliere ciò che sta troppo su.

Quella braccia gesticolanti e tremanti sono simili a un bimbo che brama di cogliere il regalo o un dolce, esprimono bene la nostra insicurezza e incapacità di capire e leggere il nostro futuro … Ma non solo quello nostro di oggi e domani, ma quello di tutta l’Umanità.

Fa ben sperare, invece, quella Veneziana popolana grassoccia dipinta da Madonna: perché è una risposta che ha saputo darci e dipingere Tiziano.

Ha voluto lanciarci il messaggio che anche per noi gente comune è possibile avere la possibilità di cavalcare le nubi, di ascendere dentro al buio dei misteri, e aprire lo sguardo miope che ci accompagna ogni giorno spalancandolo su una dimensione che ci circonda, ma non sappiamo di avere.

Dico una mezza bestemmia quasi … Tanto: che ho da perdere ? … Siamo noi quella Donna Assunta: i Veneziani di ogni epoca e di oggi … Tutti quelli che non si accontentano di lasciarsi vivere così come viene, ma vogliono e sentono il richiamo di elevarsi un “pellesimo” in più sulla nostra solita esistenza … I Misteri Cristiani o no che siano: sono come una petizione, un appello, uno schiaffo per svegliarci e farci cogliere qualcosa che solitamente ci sfugge.

Dove va il nostro esistere al seguito dei milioni e miliardi di uomini e donne che sono esistiti prima di noi ?

Va su … Assunto … Cioè: trasfigurato … Non perso … Sublimato in un modo che non riusciamo a comprendere perché avvolto dalla nube della nostra pochezza e grande ignoranza.


Quest’anno non mi recherò oggi a sbirciare ancora attonito quella magnificenza di Tiziano ai Frari … Sono troppo stanco di tante cose e per tanti motivi … Non riesco a salire per perdermi dentro alle nubi … Sono come quelli “apostoloni” sfatti dipinti nella parte bassa del quadro, che sono troppo ciccioni e grossi per riuscire a cogliere pensieri troppo più grandi di loro.

Sono Veneziano però, come quelli di allora dipinti … e mi porto dentro il tepore di questa Festa, che per me è sempre stata ricca di esperienze e traboccante di preziosi ricordi.


Che cali pure adesso la sera e poi la notte dell’Assunta … Ricordo che in Montagna un tempo si facevano “i fòghi dell’Assunta”… Ricordo i Cieli tempestati di stelle sopra il nostro grande falò acceso … Ricordo i contorni neri delle cime e l’ombra scura dei monti avvolti dalla notte ... Ricordo i fuochi accesi da qualche volto ignoto sulle cime vicine e lontane a punteggiare il buio di lingue infiammate …Che emozioni che si viveva in quei momenti vegliando e scrutando la notte … Ancora come quegli“Apostoloni de le baràcche e dei sottoporteghi” dipinti dal Tiziano, che cercano di catturare e pigliare il Cielo insieme al senso di se tessi ... Viva il Ferragosto … e un po’ anche quel che rimane dell’Assunta dei Veneziani.



“1310 fra Storia e Leggenda”

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#unacuriositàvenezianapervolta 336

“1310 fra Storia e Leggenda”

La Congiura di Bajamonte Tiepolo e la“vècia del mortèr”(mortaio)… ma anche altro.

Giorni fa proprio per caso, mi sono trovato intruppato dietro a una minutissima miniguida turistica con l’ombrellino rosso alzato in aria che stava conducendo un nutrito gruppo di clienti lungo l’affollatissima strada delle Mercerie dell’Orologio diretta a Piazza San Marco. Giunti quasi ad affacciarsi sulla famosa Piazza, che già appariva in lontananza oltre l’arco della Torre dei Mori, la guida si stoppò improvvisamente predisponendosi a raccontare. Il gruppo annegato nella calura estiva le si affollò e pigiò immediatamente addosso e attorno, quasi vagoni pesanti di un convoglio merci soggetto a brusca frenata. La non larghissima Calle Veneziana quindi s’intasò del tutto: non si poteva andare nè avanti né indietro … Gli agevolatori del flusso turistico ? Quali ? … Non mi è rimasto che attendere pazientemente … Per cui mi sono messo attento ad ascoltare ed osservare.

In mezzo al pigiato ensamble dei turisti curiosi, come nel mezzo di un’amena aiuola fiorita, ho subito notato evidente un prosperoso donnone  vestito con un gonnellone fiorito largo e lungo fino a terra … In mezzo alla calca e alla confusione i piedi non sono riuscito a distinguerli, ma ho visto l’ampio cappello di paglia a volute aperte che la dondona indossava sulla testa … Pareva un nido di cuculo dove un’artista strambo aveva assemblato insieme rami, frutta e fiori a volontà … A completare la figura: un paio di occhiali pacchiani dorati e luccicanti dalla montatura gotica a finestra quadrata, e un ventaglione di merletto che una mano grassoccia sventolava, anzi: frullava più di un nevrotico ventilatore … Non potevo non notarla … Sembrava la custodia vivente della minuscola e fragile guida turistica che stava ipnotizzando tutti.

La guidina, infatti, pigolò trillante dentro al microfono adeso alla bocca: “Mi sentite vero ? ... Si: giusto ?” ... La crocchia delle teste attorno annuì all’unisono sistemandosi alcuni con cura le cuffiette sugli orecchi. La guidetta allora iniziò ruffiana ed efficace il racconto a smanacciando in aria il suo tablet in direzione di qualcosa ... Aveva un bel modo di dire, simpatico e cordiale, perciò iniziò a raccontare come se si trattasse di una storia che stava accadendo in diretta sotto gli occhi di tutti.

Si trattava della vicenda della “donna del mortèr”: la famosa Giustina o Lucia Rossi, che secondo l’antica Leggenda e Tradizione Veneziana, tirò un mortaio di pietra in testa a uno dei rivoltosi Veneziani guidati da Bajamonte Tiepolo diretti ad attaccare Palazzo Ducale e il Doge Gradenigo nel 1310.

Come indicando i particolari di un moderno games di strategia, la donnina-guida indicò la scena scultorea infissa in alto sul muro, ed esordì: “Alzate la testa in alto: guardate là ! … La vedete vero quella donna in scultura pronta a lanciare il mortaio di pietra ? … Dovete sapere che le donne Veneziane di ogni epoca sono sempre state fiere e particolarmente legate alla loro Patria quasi come con un intenso legame affettivo … Qualche anno fa una Veneziana non ha avuto timore di sventolare il tricolore da una finestra alta della Casa della Marinarezza in faccia al Segretario Bossi dei Leghisti Italiani che stava arringando la folla tutta Verde assiepata sulla Riva dei Sette Martiri … E’ accaduto proprio qui: verso i Giardini di Castello, a qualche centinaio di metri più in là lungo la riva … Fiera delle sue convinzioni politiche, sbandierando e dicendo, la Veneziana è riuscita a catturare l’attenzione del Politico toccandolo sul vivo con i suoi semplici ma efficaci gesti … Il Politico le si è rivolto direttamente dal palco in diretta tv … Ebbene, tanti secoli fa, un’altra donna Veneziana ha fatto proprio qui ben di peggio: ha tentato a modo suo di fermare un assalto destabilizzatore al Potere Locale di allora.  Immaginatevi la scena” continuò ancora a dire ispirata … Anche le Mosche, le Zanzare e i Colombi di passaggio s’erano fermati ad ascoltarla attenti.

“Giusto all’alba del giorno di San Vito: il 14 giugno del 1310, tre gruppi di rivoltosi stavano convergendo facinorosi su Piazza San Marco da tre punti diversi della città ... Un primo gruppo guidato dal Nobile Bajamonte Tiepolo, che tutti a Venezia chiamavano il Gran Cavaliere … E lo era forse, perché Bajamonte Tiepolo oltre ad essere stato Podestà di Ferrara, era anche nipote del Doge Lorenzo, e pronipote del Doge Jacopo … Faceva parte anche del Consiglio dei Quaranta di Venezia: mica robetta … un incarico di valore superiore forse a quello di Senatore ... Vero era, che Bajamonte aveva una specie di macchia sul curriculum: una condanna e una multa per alcune irregolarità che aveva commesso quand’era stato Castellano di Modone e Corone. In ogni modo: poca roba rispetto a ciò che avevano fatto molti altri … Bajamonte era alleato dei Nobili Querini della Cà Granda, che avevano la loro Cà-Palazzo presso le Beccarie di Piazza Rialto … Aveva sposato una figlia di quei Querini … Poi era alleato anche dei Nobili Badoer, Dauro o D’Oro, con i Barozzi, Lombardo, Donà e Pedoni … Tutti insieme formavano una specie di “Partito degli Innovatori”, che intendeva contrapporsi all’oligarchico potere in mano ai vari Nobili Dandolo, Ziani, Steno, Giustiniani, Morosini, Michiel, Moro, Grimani e Memmo guidati dal Doge Gradenigo … Propugnatori dello “Status quo”, erano una specie di Partito dei Conservatori …

Insomma, il gruppo armato di Bajamonte s’era radunato a Rialto, poi aveva passato l’omonimo Ponte levatoio sul Canal Grande, ed era venuto di qua per la stessa strada che abbiamo percorso noi poco fa … Strada facendo, il gruppo esaltato e preso dalla foga di ribaltare tutta Venezia, aveva assaltato gli Uffici delle Magistrature al Formento e alla Pace svuotandone la cassa … Poi filtrando per il Ponte dei Dai e la Contrada di San Zulian, stava ormai per sboccare in Piazza come stiamo facendo noi adesso, passando sotto al Sottoportico che sbuca oggi come ieri sulla Piazza … La Torre dell’Orologio che abbiamo di fronte non c’era ancora in quegli anni, perché è stata costruita circa due secoli dopo quella Congiura ... Una seconda colonna di armati, intanto, stava arrivando da Campo San Luca, o forse lungo la Frezzeria, guidata dal Nobile Marco Querini … Anche loro stavano per imboccare Piazza San Marco; dalla parte di Santa Maria in Brolo proprietà dei Cavalieri Templari Veneziani … Un terzo gruppo di armati di rinforzo, infine, guidato dal Nobile Badoero Badoer, sarebbe dovuto giungere e sbarcare via acqua e Canal Grande arrivando dalla Terraferma di Mestre e dall’entroterra Padovano … Sarebbero scesi lungo il Fiume Brenta e il Sile fino in Laguna ... Il Palazzo Ducale col Doge dentro sarebbe stato quindi preso fra tre fuochi: circondato ... Il Doge Gradenigo aveva le ore contate ormai.”

Strategica pausa di sospensione e d’attesa … La calle pur nel frastuono di metà mattinata, pareva deserta: pendevamo tutti dalla piccole labbra della brava “contaStorie”… Sentivo perfino il respiro di chi mi stava accanto, e a due metri da me c’era il frullante ritmo del vorticoso ventaglio del fiorito donnone.

“Le cose però non andarono come dovevano andare.” riprese a dire la guida facendosi ancora più piccola e parlando sottovoce fin dentro alle cuffiette di quelli del gruppo. “Giunta proprio qua, la prima colonna dei rivoltosi venne presa a sassate e investita da oggetti che i Veneziani incominciarono a tirare giù di sotto dalle finestre di casa ... La donna che abitava qui sopra, tirò di sotto tutto ciò che le capitava per le mani … compreso il pesante “mortèr” per macinare che teneva in cucina … A caso andò a colpire giusto la testa del portabandiera del gruppo che finì stroncato a terra … Altre versioni dicono che venne colpito, invece, il cavallo montato dal portabandiera di Bajamonte, che venne quindi disarcionato e buttato a terra …  Poco cambia: contò l’effetto … Il gruppo preso alla sprovvista andò in confusione, e fu proprio allora che venne assaltato dai soldati del Doge che lo stavano aspettando nascosti nell’ombra delle callette … Il gruppo di Bajamonte ebbe la peggio: venne sbaragliato, e la Giustina Rossi del mortèr lanciato dalla finestra, alla fine venne premiata dai Procuratori de Supra di San Marco ottenendo per sé e per i propri discendenti di poter pagare in perpetuo un affitto calmierato di 15 ducati per la casa e bottega di specchi che abitava ... Il Doge in persona andò ad accordare quella Grazia … Si racconta però, che i Procuratori Veneziani in seguito si comportarono un po’“alla Pinocchio” ….  come fanno a volte i nostri politici, che dicono dicono, ma poi non mantengono le promesse che fanno … Quando un discendente di Giustina tornò a casa dalla guerra combattuta per Venezia, si trovò l’affitto aumentato a sorpresa da 15 a 28 ducati ... La Procuratia de Supra non intendeva sentir ragione: o si mostrava un documento che attestasse quell’antico privilegio, oppure si sarebbe applicato in nuovo affitto aumentato … Il nipote della Giustina fu costretto a rivolgersi al Consiglio dei Dieci, che alla fine, rispettando la Tradizione Veneziana, riportò l’affitto alla quota stabilita dalla Grazia Ducale del 1310.

Tornando ai rivoltosi diretti a Palazzo Ducale … Si racconta anche che sull’intera scena dell’assalto si scatenò un violentissimo temporale che inondò tutta Venezia … Pareva che anche il Cielo fosse contrario a quell’azione di forza, e che volesse a modo suo dar da intendere che Venezia doveva rimanere così com’era … Più del Cielo poterono però gli uomini armati del Doge Gradenigo e dei suoi fedelissimi Nobili Giustinian, Dolfin e Dandolo, coadiuvati per l’occasione anche dagli uomini della Scuola Grande della Carità e dai Confratelli della Scuola dei Pittori … Spuntati fuori in massa da dov’erano appostati, sbaragliarono del tutto entrambe le squadre dei rivoltosi … Anche quella di Marco Querini arrivato per primo in Piazza, venne brutalmente respinta e inseguita fino in Campo San Luca (dove ancora oggi esiste un pennone per issarvi il Gonfalone di San Marco sulla cui base è incisa la data di quell’antica vittoria della Serenissima sui rivoltosi)… Lo stesso Nobile Marco Querini venne ucciso insieme al figlio Benedetto e ai suoi compagni armati … Quelli, invece, della squadra di Bajamonte incastrati qui di sotto vennero vinti, catturati e rinchiusi nelle Prigioni Ducali … Bajamonte con pochi altri riuscì a fuggire … Della terza squadra di supporto, infine, non si ebbero notizie a Venezia … E sapete perché ? … Perché neanche giunsero ad affacciarsi in Laguna ... Gli uomini di Ugolino Giustinian Podestà di Chioggia e quelli del Podestà di Torcello erano appostati sulle foci dei fiumi in Laguna ad aspettarli … Catturarono tutti come pesci nella rete … I rivoltosi riuscirono a vedere Venezia solo da lontano … Il Nobile Badoero Badoer che li guidava venne portato prigioniero a Venezia qualche giorno dopo, e  decapitato, mentre vennero impiccati i suoi complici:  Saggino, Cecco, Giovanni e Gerardo da Este … Giovanni Candidi  … Jacopo da Conegliano … e qualche altro … Il tentativo d’assalto a Palazzo Ducale fu quindi una debacle totale … un colpo di Stato fallito … Probabilmente i congiurati di Bajamonte Tiepolo erano stati traditi … Forse dal Nobile Marco Donà, si disse, desideroso di riprendersi un ruolo di prestigio che aveva di recente perso per colpa di alcune disavventure economiche di suo padre … Insomma: la Repubblica di Venezia in quel giorno di San Vito venne salvata … e tutti gridavano in giro per Venezia: “Viva San Marco ! Viva Venezia col suo Doge !”

Concluse così la guiderella quella parte della sua performance … Come se fosse giunta a raccontare il buon fine di una bella fiaba.

Scoppiò fragoroso, infatti, un caloroso applauso del suo pubblico pagante … I turisti erano di certo entusiasti d’essere venuti a conoscenza di quella curiosa chicca Veneziana … Perfino il “donnone fiorito” chiuse il ventaglio picchiando in aria sonoramente le manine enfie … Sul viso segnato da un bel sorriso, le colava come un velo traslucido di sudore … Poi poco dopo, fu come se il trenone merci fermo sui binari si rimettesse in moto fra spinte e cigolii … Tutti spingendo e verbando proseguirono finalmente oltre accalcandosi sui più lenti e sfiorando i muri …. Infine, quando Dio volle, al suono della campana dei Mori e del mezzogiorno, sempre entusiasti, sfociammo tutti in Piazza San Marco, quasi come un fiume che si allarga e perde nel mare mescendo salato e dolce … e ciascuno si perse di vista andandosene per i fatti suoi.

Ci sono “rimasto un po’ male” qualche tempo dopo, quando ho letto del filonapoleonico Elia Vivante Mussati da Corfù… Fu quelloche fece collocare in muro nel 1861 la lapide creata dallo scultore Lovandiniraffigurante la “donna del mortèr”. Si scriveva di lui, che rievocando, inventando e probabilmente mettendo insieme qualche antico frammento dell’antica Congiura di Bajamonte, abbia voluto così sottolineare la storia della donna per poter valorizzare ulteriormente l’immobile di sua proprietà posto giusto sul formidabile sito della “bòcca di Piazza San Marco” ... Si diceva che dentro alla casa si conservava ancora appeso sulle travi l’originale Gonfalone di San Marco usato ai tempi della furibonda Giustina… Quella casa così piena di storie, insomma, doveva avere un buonissimo valore sul mercato, o perlomeno si poteva trarne un ottimo affitto.

Elia Vivante era l’ultimo di una lunga secolare lista di proprietari dello stabile ... C’erano sparsi in giro almeno una quarantina di persone che beneficiavano di una quota di quell’antico diritto d’affitto fortunato … Alcuni si trovavano a Bassano e Asolo, e nella Terraferma Veneziana, e perfino a Corfù… Quei vecchi 15 Ducati Veneziani del 1310, nel frattempo erano stati tradotti in 54,70 Lire Austriache … In ogni caso il Vivante fu abile nel saper sfruttare e valorizzare l’immagine della Vecchia del Mortèr tratta dalla Tradizione Veneziana: una buona trovata immobiliare degna di un professionista moderno.

Chissà se alla fine la Giustina del mortèrè esistita per davvero ? … Sembrerebbe di si.

Leggendo però le vicende del business sull’appartamento della “vècia del mortèr”, s’è però un po’ spento in me l’attenzione per quell’antica Congiura Veneziana del 1310 … Pensavo: “Chissà quale sarà stata oltre la Leggenda la realtà dei fatti di quell’antica epoca Veneziana del 1310 ? … Davvero il Doge Gradenigo sarà stato il Buon Doge paterno che difendeva a spada tratta la Serenissima con le sue Virtù e Valori dal Lupo Cattivo di Bajamonte Tiepolo che voleva mangiarsela ? Oppure sia l’uno che l’altro erano due despoti, che si contendevano entrambi il primato su Venezia per continuare a spremerla ciascuno a modo proprio ? … Ci sarà stata sul serio la Congiura ? O era una furba strategia architettata per mettere da parte gli avversari politici di allora ?”

In ogni caso c’erano alcuni particolari curiosi di quella vicenda che allo stesso tempo m’incuriosivano e lasciavano perplesso.

Come mai dopo la Congiura, la Serenissima s’era dimostrata così remissiva e clemente verso Bajamonte Tiepolo, che in fondo era il traditore, il capo, e l’ideatore di tutto quel sovvertimento ? … E’ vero: gli confiscarono tutti i beni, gli rasero del tutto al suolo le case che possedeva collocandovi sopra le pietre d’ignominia ... In Campo Sant’Agostin nel Sestiere di San Polo, dove c’era stata la Casa di Bajamonte Tiepolo, venne scritto a monito: De Bajamonte fo questo tereno e mo per lo iniquo tradimento s’è posto in chomun per altrui spavento e per mostrar a tuti sempre seno.” ... Si dice che con i pilastri della demolita Cà Tiepolo si sia fatto il nuovo portale della cadente chiesa di San Vio di Dorsoduro bisognosa di restauri … Cà Querini di Rialto, invece, nel 1339 venne trasformata nello “Stallone”, cioè nel Pubblico Macello, che venne spostato dalla vicina Contrada di San Giovanni Elemosinario ... Furono scalpellati anche i simboli e gli stemmi Nobiliari dei Congiurati immessi sulle facciate in giro per Venezia. Si attuò insomma la damnatio memoriae”su coloro che avevano osato tentare di arginare, rallentare o spegnere il“sogno Veneziano”.

Però … Come mai Bajamonte Tiepolo venne colpito in contumacia con moglie e figli da bando-esilio così blando e morbido ?

Suona insolita la sua condanna di esilio per quattro-cinque anni a Zara in Slavonia(oggi Croazia), dove in realtà il Tiepolo aveva i suoi possedimenti ... Che esilio era ? Se ne andò in villeggiatura ? … Stranamente poi, quella sentenza di bando da Venezia venne approvata da soli 377 Nobili presenti su 900 … Come mai così pochi ? … Poteva significare forse che molti Veneziani Nobili tifavano per lui e la sua “parte” ? … Cioè: non era così alto a Venezia e in Laguna il consenso di cui godeva il Doge Gradenigo col suo partito ?

Solo cinque anni di bando-esilio a Bajamonte, mentre a Paolo: figlio sopravvissuto di Marco Querini ucciso venne imposto il bando perpetuo “a vita” relegandolo in fondo e lontano a Tunisi… Come mai tanta disparità ?

Dalla Schiavonia poi, secondo alcune Cronache, Bajamonte sembrò uscirsene tranquillamente nel 1315 per rifugiarsi a Padova, per ritornarsene di nuovo in Dalmazia ... Secondo altre Cronache: Bajamontese ne rimase a due passi da Venezia: a Mestre e nel Trevigiano, dove continuò a macinare vendetta e a tramare contro la Serenissima alleandosi con i Da Camino di Treviso, i Carraresi, e i Camposampiero… Nel 1325 Bajamonte risultò presente anche a Bologna, dove sembra che riuscì quasi a procurarsi dal Consiglio Cittadino la carica di Guardiano del Popolo… Di lui si disse ancora che andò anche a contrastare con diversi signorotti in Bosnia e Rascia, e che addirittura nel 1328 sia riuscito a idealizzare un nuovo atto rivoluzionario contro la Serenissima appoggiato dagli alleati di sempre, ma senza riuscire a concretizzarlo ... Alla fine si disse che Bajamonte se ne sia tornato liberamente e bel bello in Istria, dove finì i suoi giorni scomparendo come un anonimo fantasma nei meandri della Storia.

Non è un po’ strano tutto questo ?

Non andò nessuno a prenderlo e ammazzarlo ? … Non gli venne mai appioppata alcuna taglia come ricercato: visto che era uno che intendeva abbattere la Repubblica ? … Chissà in quanti avrebbero voluto di certo intascarla ... Una situazione insolita insomma.

Gli altri congiurati: ammazzati tutti … Lui, il capo, il maggior responsabile: lasciato andare ? … Non è strano ?

Alcune voci dicono che in realtà la rivoluzione di BajamonteTiepolo sia stata più massiccia e complessa di quanto si è voluto raccontare. Si dice che non si sia esaurita nel solo giorno dell’assalto a Palazzo, ma che si sia prolungata in città per un’intera settimana supportata dai Mercanti e dagli stessi Veneziani … Sembra che più volte il Doge Gradenigo abbia dovuto insistere e mediare per portare i rivoltosi di Rialto alla resa … Finchè alla fine Bajamonte cedette, e si allontanò da Venezia, mentre a buona parte dei rivoltosi venne concessa la grazia in cambio di un atto di sottomissione al Doge precostituito.

Niente assalto di Palazzo allora ? … Scaramucce politiche e basta ?

Quante perplessità mi rimaneva su quel lontano fatto storico … Poi un giorno mi sono ricreduto. Mi sono imbattuto in un antico documento Veneziano che raccontava di come alla fine dello stesso 1310, cioè giusto nell’immediato della Congiura di Bajamonte Tiepolo, Jacopo Piovano di San Fantin e Vicario Capitolare della Diocesi Veneziana di Olivolo-Castello, che in quel momento era sprovvista del Vescovo, cioè “sede vacante”, entrò in azione. La nota storica raccontava che a conclusione di meticolose indagini, il Vicario Vescovile di Venezia condannò ufficialmente all’esilio diversi Preti Veneziani in quanto risultarono schierati e sostenitore dei congiurati Tiepolo, Badoer e Querini ... Il Vicario caziò e bandì in perpetuo o temporaneamente ben 23 Preti Veneziani: “Un Canonico di Castello venne cacciato da Venezia e dai suoi territori in perpetuo, altri 6 Piovani e altri 5 Preti subirono la stessa sorte venendo presi mentre dicevano Messa sugli altari e condotti in barca così com’erano ai confini della Serenissima. Altri 3 Piovani e 4 Preti e un Diacono, e un Suddiacono finirono espulsi, privati di titoli e beni per due-sei anni …Infine fece confinare a vita in carcere un ennesimo Prete, mentre un ultimo Ecclesiastico lo lasciò alle cure e decisioni del futuro Vescovo di Castello: “Venezia venne pettinata da testa ai piedi perché nessuno ancora potesse osare e sentirsi in grado di tentare di sovvertire la Repubblica dei Veneziani … Si lasciò perdere, invece, il comune popolo piccolo, quei popolani senza testa né parte che avrebbero continuato a dare retta e seguire chiunque avesse proposto loro in qualche modo di risollevarsi dalla fame e dalla nera quotidiana indigenza e miseria.”

Quella volta quindi fu preso molto sul serio a Venezia la questione della Congiura di Bajamonte con i suoi risvolti. Ci si dedicò capillarmente e meticolosamente a ricercare e indagare su ogni forma di complicità e appoggio che si diede al rivoltoso ... E anche le pene inflitte ai Preti conniventi non furono robetta, ma pene esemplari … Quindi dopo quel tentato golpe del 1310 si fecero cadere diverse teste grandi e piccole, e si andò a pizzicare e correggere ogni forma d’opposizione nascosta fra il popolino e nell’anonimato delle Contrade Cittadine e Lagunari … La Congiura di Bajamonte quindi non venne considerata affatto cosa da poco ... anche se rimane oscuro il perché si fu così clementi con lui.

In quel documento poi si è evidenziato ulteriormente anche quel solito immancabile sottobraccio che c’era anche a Venezia fra Civico e Religioso sempre propenso e disponibile a condividere e spartire … ieri come oggi … interessi, benefici, e bracci attivi di potere, e soprattutto: controllo e influenza redditizia sulla formidabile macchina socio-politico-economica Veneziana.

Com’era Venezia in quel lontano 1310 ?

Era traballante in Oriente e sullo scenario Mediterraneo dove doveva destreggiarsi per terra e per mare fra Genovesi, Bizantini e Bande Catalane piratesche, mentre in Patria era reduce da una sconsiderata guerra-sconfitta a Castel Tedaldodi Ferrara.

Ferrara in quegli anni stava in mano all’altrettanto traballante dinastia degli Estensi, con Folco e Francesco D’Este che contrastavano fra loro per la successione ... C’era poi il Papa Clemente V, che pur relegato ad Avignone, non aveva nascosto l’idea di allungare il suo zampino incamerandosi Ferrara a discapito dei Veneziani desiderosi d’espandersi … Ferrara significava molto allora: il controllo sulle saline di Comacchio e Cervia, e soprattutto sulla Via acquea del Po con l’accesso diretto ai mercati della Lombardia, dell’Emilia e dell’Oltralpe … Il Pontefice non s’era fatto alcun scrupolo di scomunicare non solo tutti i Veneziani di ogni classe e ordine, ma perfino chiunque avesse osato commerciare con loro ... Quel gesto significava anche che i Mercanti e i Veneziani che si fossero trovati in giro per il Mondo in città e ambienti filoPapali: sarebbero stati imprigionati e spogliati di ogni merce e risorsa ... Un grosso guaio.

Fatalità … Sapete chi è stato il Comandante Veneziano che consegnò Ferrara al Papa ? … Proprio quel Marco Querini della Cà Granda di Rialto che risultò poi congiurato, coinvolto, e infine ucciso nell’assalto a Palazzo Ducale con Bajamonte Tiepolo… Secondo lui era meglio salvare Venezia dalle ire del Papa consegnandogli la città di Ferrara evitando così un inutile bagno di sangue.

Salvatore della Patria o vile Traditore quel Marco Querini ?

Alla fine i rapporti di Venezia col Papa si ricucirono, sebben col versamento non indifferente al Pontefice di 50.000 fiorini d'oro.

Non doveva in quei giorni scorrere di certo tanto buon umore in Laguna … Ci doveva essere parecchio attrito fra i Partiti Politici Veneziani: fra gli "homines novi"rappresentati daiTiepolo, Badoer, Querini, D'Oro, Barozzi… e “i vecchi”: Gradenigo, Dandolo, Morosini, Michiel e Giustinian dall’altra parte.

Erano anche gli anni immediatamente seguenti alla famosa Serrata del Maggior Consiglio, e all’istituzione dell’Albo d’Oro della Nobiltà. Eventi straordinari, frutto dell’abilità dei“conservatori”, che in quel modo si erano ulteriormente coagulati, rinforzati e affermati ad altissimo livello: all’apice della Repubblica ... Manovre e contromanovre di schieramenti politici … Sembra sia stato per primo il Doge Giovanni Dandolo nel 1286 a proporre di ammettere al Maggior Consiglio solo chi ne avesse già fatto parte in passato, o avesse avuto il padre o altri antenati elevati a quell'onore … Per qualsiasi “estraneo o intruso” poi, sarebbe servita un’apposita approvazione da parte dei vertici stessi dello Stato ... che non la concedevano praticamente mai.

Tira e molla, volta e para, e strucca strucca … Il Doge Gradenigo & C erano riusciti nell’intento di mettere in piedi un nuovo Corpo Elettorale non più di 100, ma di 210 membri allargando così di fatto il consenso per se stessi ... Il nuovo Maggior Consiglio elevò il numero degli eletti in Consiglio da 317 a 502, portandoli poi dopo i fatti del 1310 a 900 membri.

Ovvio quindi che in Città e a Palazzo in quei giorni ci fosse un clima davvero rovente … Si giunse alle mani in Consiglio quando si trattò di associare anche il Conte Doimo di Veglia sostenitore del Doge Gradenigo, ma sgraditissimo a suoi oppositori … Fatalità … il Conte Doimo soffiò il ruolo di Consigliere Dogale giusto a Marco Querini ... E si giunse ancora alle mani in Maggior Consiglio anche tra Marco Morosini Signor di Notte e Pietro Querini che si opponeva d'essere perquisito ... Querini venne condannato e multato dalla Quarantia… Ovvio che i Querini, e quelli con loro, si sentivano offesi, calunniati, sminuiti e discriminati.

La rivolta era nell’aria insomma … Qualcuno di certo pensava che fosse giunto il momento giusto per far saltare l’Ordine Repubblicano costituito sostituendolo con un altro … Venezia poteva magari trasformarsi Nuova Signoria: come andava molto di moda in quell’epoca sia in Europa che in Italia.

Infatti già nel 1299 ci fu un motto rivoluzionario condotto da Marin Bocconio o Bocco o Boccone, di cui le Cronache Veneziane riportano pochissime notizie: “Huomo audace et facinoroso et pronto a ogni scelerità et grande et bel parlador, et che haveva gran seguito et parentado con molti populani grandi.” ... Si sa solo che i 12 capi ribelli traditi con lo stesso Bocconio vennero impiccati giusto nell’anno 1300: 10 anni prima della Congiura di Bajamonte Tiepolo… Stranamente anche i fatti di Bocconio assomigliano molto nella sequenza dei dettagli a quelli di Bajamonte ...  Anche Bocconio & C intendevano assaltare Palazzo Ducale durante una seduta del Maggior Consiglio, uccidere il Doge, e salire al potere confidando su un diffuso appoggio popolare ... Anche in quel caso “la cosa” non riuscì perché qualcuno svelò anticipatamente al Doge il progetto, e anche allora un contingente armato stava ad attendere nell’ombra di Palazzo Ducale, tutti vennero arrestati, e poi vennero presto impiccati “tra le due colonne della Piazzetta”.

Fra i rivoltosi con Bocconio c’erano: Giovanni o Baldovino Rosso, Alessandro Barbuora, Alessandro Baron, Donà Ciera, Gianmaria o Zamaria Dolce, Pietro Erizzo, Dario Falier, Marco Gussoni, Carlo Peghin, Carlo Regio, Girolamo Sabadin, Girolamo Sebalachi, Sabà Zorzan o Sorian, Dario Zuccuol , e altri quaranta complici circa rimasti fuori in attesa d’intervenire dalla Piazzetta … Alla fine scapparono da Venezia, e su tutti nei giorni seguenti cadde la confisca dei beni, e le sentenze di bando perpetuo da ogni confine della Serenissima.

Pochi anni dopo, allora: nel 1310, arrivò il turno di BajamonteTiepolo e compagni secondo le modalità che ormai conoscete bene.

In conclusione: ci fu allora quella rivolta clamorosa e spettacolare o no ? … Bajamonte fu uno sfortunato patriota eroico al grido di “Libertas !” ? … Un uomo-clan con l’intento di salvare il destino della Repubblica dal tiranno Pietro Gradenigo & C ? … O a sua volta ipotetico tiranno di nuovo corso ?  … Non lo sapremo mai del tutto con chiarezza ... Troppo persi nella nebbia del Tempo quei fatti.

Di sicuro nel 1310 la Serenissima creò il temibilissimo Consiglio dei Dieci proprio col compito di vigilare sulla sicurezza dello Stato Veneziano. Inizialmente il Consiglio venne istituito per pochi mesi, poi confermato di anno in anno, e infine dal 1335 trasformato in magistratura permanente della Repubblica ... Qualcosa d’importante e grave di certo accadde a Venezia quella volta per indurre a inventare un Consiglio del genere.

Allo stesso tempo, quella vicenda quasi leggendaria dei rivoltosi è stata per secoli una sorta di input per i Veneziani: una specie di dictat a difesa dello Stato con i suoi ritmi, figure, obiettivi e principi: “Ognuno deve stare al proprio posto a difendere la Repubblica.” poteva essere il messaggio: “I molti bassi devono rimanere piccoli, obbedienti e rispettosi sudditi accaniti sulle bricciole, mentre i pochi grandi devono essere i potenti tutelati che fanno girare la comune baràcca: la grassa vacca da mungere in cambio.”

Ne risulta quindi un’immagine di Venezia sempre intenta a proporsi come: “Stato Solido e Perfetto”, sempre impegnato a combattere contro il proprio alterego-controfigura vestito da “Leggenda nera”.

Infine, com’è tipico della Tradizione Veneziana… Ogni novità e successo veniva infiocchettato con un’atmosfera celebrativa facendolo diventare Ricorrenza FestivaCittadina… Si finiva sempre col mangiare, bere, danzare e far baldoria in compagnia … Anche nel caso della repressione dell’antica Congiura di Bajamonte Tiepolo si iniziò a celebrare per secoli a Venezia la Festività di San Vito del 15 giugno, quando il Doge, sempre eternamente riconoscente per lo scampato pericolo, visitava la chiesa dei Santi Vito e Modesto (San Vio) di Dorsoduro pomposamente addobbata a spese dello Stato, in compagnia dei Confratelli delle Schole Grandi, delle Congregazioni del Clero, e dei Canonici del Capitolo della Cattedrale di San Pietro di Castello ... Un’altra sfilata di Civico e Religioso insieme.


Mi piace la nostra Venezia … Sempre fascinosa ed enigmaticain ogni caso … Sempre lei … che emerge ogni volta con tutta la sua formidabile, intrigante, e mirabile Storia ... La solita bella donna eterea e ammaliante, sempre corteggiata e contesa ... e quasi sempre altrettanto imprendibile ed effimera … Da ammirare comunque: una volta di più.

 

 

 

 

Venezia 1513: non si immaginava tanto.

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#unacuriositàvenezianapervolta 337

Venezia 1513: non si immaginava tanto.

Venezia Serenissima, si sa: era Capitale, Porto di mare … Accoglieva tutto e tutti, e traboccava di ricchezza e miseria insieme … Insomma: ogni giorno capitava e sarebbe potuto accadere di tutto in Laguna … Era sempre difficile sorprendere i Veneziani con qualche novità.

In giro notte e giorno, ieri come oggi, insieme a gente per bene e volonterosa, c’erano prepotenti, furboni, approfittatori, tagliatabarri e borsaioli. Ripetevano noiose le Cronache Cittadine: “Frequenti sono i ladrocini che succedono in Venezia nel 1513: or questa or quella persona vengono derubate per via, or questa or quella casa svaligiata.”

C’era perfino chi si abbassava a rubare i secchi delle servette mentre attingevano acqua dal pozzo, chi rubava il vino e la minestra di sotto il naso alla vecchia appisolata in Campiello, chi la barca ormeggiata in qualche canale lasciata malauguratamente incustodita in sosta, e chi si serviva degli abiti appesi ad asciugare in qualche Corte recondita.

I più pensavano che buona parte di quei furti e oltraggi fossero dovuti a gente bassa del popolino, o a diseredati forestieri miseriosi investiti senza requie da disgrazia e miseria. Mai si sarebbe pensato che chi era “Lustrissimo” e aveva tanto o tutto dalla vita, sarebbe stato capace di abbassarsi per prendere le briciole di chi aveva poco o niente ... E, invece: … sempre ieri come oggi … anche nel 1513 a Venezia accadde così.

Un giorno, ad esempio, si venne a saper che tre sconosciuti s’erano presentati a nome del Consiglio dei Dieci a casa di una cortigiana residente in Contrada di San Leonardo di Cannaregio. Si fecero aprire la porta dicendole d’avere l’ordine di carcerarla ... E già che c’erano, entrati in casa abusarono di lei, le tagliarono i capelli che poi finirono per pochi spiccioli in mano a un “Parrucchetta”, le tolsero gli anelli dalle dita, e infine se la portarono via per continuare altrove “il divertimento” ... Cosa forse strana in quella circostanza: mentre erano in casa, quei loschi individui stilarono un accurato inventario di tutto ciò che c’era, e poco dopo tornarono a prendersi tutto il bottino.

Ma chi erano ?

Nonostante i Capi Sestiere e di Contrada avessero a lungo indagato e chiesto scrupolosamente in giro, gli autori di quei delitti erano rimasti occultati nell’ombra dell’anonimato … Mai soprattutto si sarebbe pensato di andare a cercarli fra Nobili e Preti.

Invece: stavano proprio là.

Poi finalmente i nomi vennero a galla facendo non poco clamore: Lorenzo Polani, Sebastiano Bollani, Alessandro Navagero e Baldassare Molin… C’erano poi un paio di Cittadini: Vincenzo e Agostino figli di Antonio Mercante da Seta, già emerito Priore di uno dei Lazzaretti Veneziani … I due venivano sopranominati: “i Contarini” per via che erano nati da una donna appartenente a quella Nobilissima Famiglia.

All’inizio sia il Navagero che il Molin riuscirono a farla franca, ma poi vennero pizzicati con i due fratelli Contarini in casa di una Prostituta in Contrada di San Marziàl dove opposero resistenza all’arresto. Subito dopo vennero individuati, catturati e arrestati anche altri della stessa combriccola: Antonio Dolfin e Marco figlio naturale del Nobilhomo Domenico Da Lezze, e perfino l’insospettabile GianMatteo Barbo figlio naturale del rinomato Agostino Canonico della Cattedrale di Padova… con loro finì nella rete anche qualche pesce piccolo del Popolo, mentre qualcun altro riuscì a scappare e ad allontanarsi da Venezia per tempo.

Capiti quel che capiti … I Nobili pensavano d’essere Nobili, e quindi d’ottenere facilmente Grazia facendo buon conto sul loro prestigio, e soprattutto sulla loro famosa impunità.

Si andò, invece, a processo durante il quale Sebastiano Bollani, Girolamo Michiel e Francesco Querini fecero delle significative rivelazioni su tutto quel mondo sommerso che esisteva nelle Contrade Veneziane ...  Servì a ben poco … Ai Giudici e agli Inquisitori Veneziani sembrava quasi impossibile che quegli uomini fossero così ben informati su quel genere di fatti, su quel modo di atteggiarsi e vivere, e su quel mondo così violento e prepotente.

Il Governo della Serenissima… una tantum … non fece sconti decidendo di dare una lezione esemplare per tutti, Nobili compresi. Si volle dare ad intendere che di fronte alla Giustizia Veneziana nessuno poteva ritenersi libero del tutto da obblighi oltre che da diritti.  

Martedì 20 settembre 1513 si deliberò su tutti i colpevoli una sentenza di morte.

E due giorni dopo: il 22 settembre alle tre del pomeriggio nella Piazzetta di San Marco gremita all’inverosimile di gente, comparvero accompagnati dai Confratelli incappucciati di Santa Maria della Giustizia, e dai Frati Confortatori: i Nobili Lorenzo Polani, Baldassare Molin, Alessandro Navagero e Vincenzo e Agostino Contarini vestiti tutti di grezza tela nera e ampie berrette in testa da carcerati … Il primo venne impiccato, mentre tutti gli altri vennero prima uccisi e poi squartati … Fra loro venne issato e spinto a fatica sul palco del boia anche un Prete Veneziano“ladroneccio”.

“San Marco sa fare Giustizia !” si proclamò in Piazza mentre un silenzio di ghiaccio scese sulla macabra scena ammutolendo tutti.

E non fu tutto: il Nobile Agostino Dolfin venne spedito in esilio a Cipro, mentre Marco Da Lezze, GianMatteo Barbo, un Donato Prestinaio di mestiere, e un Janoli da Negroponte Cimadòr: tutti assenti, vennero colpiti da bando in contumacia.

Fra le altre cose si disse e aggiunse, che venne appeso anche un cartello nei pressi delle Porte di Palazzo Ducale: “Felice è questo Stato, e sempre il sia, poiché nelle sue Leggi ed Ordin suoi di Giustizia il sentir mai non obblia.”

 

Don Gatti pizzicato dall'Inquisizione nel 1620 a San Simeon Grando

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#unacuriositàvenezianapervolta 338

Don Gatti pizzicato dall'Inquisizione nel 1620 a San Simeon Grando

Si era nel 1620 a Carnevale… Vi dice niente l’anno ? … Si: vero ? … E’ uno di quelli della Peste della Madonna della Salute a Venezia.

Beh: insomma … Donna Angela uscì di casa quel mattino come ogni giorno, e si recò al Forno di suo marito Mario… E fin qua … Che fece poi ? … Ancora ovvio: oltre a far compagnia e aiutare come poteva il marito, si mise soprattutto a spettegolare, a ricevere e scambiare confidenze come faceva di solito con quelli e quelle che per qualche motivo entravano là.

Stavolta aveva anche una “preziosa chicca nuova” da spargere … Don Alessandro le aveva fatto una confidenza da tenere tutta per se ... E lei ovviamente non aveva visto l’ora di condividerla con quanti più poteva … Era più forte di lei … Certe “verità” non potevano né dovevano rimanere chiuse dentro a quattro muri … La Venezia delle Contrade e delle notizie era quella: le cose si venivano a sapere in qualche modo: da un barcarolo, dal barbiere, al mercato, in campiello o dal fornaio … e poi “prendevano il giro” raggiungendo velocissime ogni angolo di Venezia ... Altro che i Social di oggi ! A certe “spròtte di Contrada” i media odierni farebbero un baffo quanto a tempestività ed efficacia ... migliaia di follower in pochissime ore, e in ogni persona di categoria, sesso ed età diversa.

Don Alessandro le aveva detto che le Monache dell’Isola e del Monastero di Santa Caterina di Mazzorbo s’erano confessate per Natale proprio con lui, fatto venire apposta in barca da Venezia … Come il solito s’erano messe ordinatamente in fila una dopo l’altra nel bel Coro della chiesa, e lui s’era rassegnato ad ascoltarle, sentendo all’inizio le solite cose ... Le Monache gli confidavano che erano stressate per la loro monacazione forzata, che mancavano di tutto: di ogni agio che avrebbero potuto avere nel Palazzo di famiglia, e che poi star rinchiuse lì dentro era un tedio mortale: non succedeva mai niente, c’erano sempre gli ordini e le reprimende della tediosa Badessa … Estate o Inverno era sempre tutto uguale: solo il caldo e le Zanzare facevano la differenza … Il Prete aveva sbirciato la fila delle Monache da dentro il suo cubicolo per gli ospiti sperando che la fila si assottigliasse in fretta … Già pregustava la buona colazione che l’attendeva con i “presenti e le regalie” della Badessa, e soprattutto quella rigonfia borsetta di denari che gli avrebbero fatto così comodo per le imminenti Feste.

Sbuffava ogni tanto, e si asciugava la fronte e il naso … anche se era ormai inverno ... Era nervoso forse.

Poi accadde l’imprevisto che lo fece sobbalzare sul seggiolone ... Il suo cuore si mise a battere alla svelta … Non credeva quasi a quanto sentivano le sue orecchie. Non una soltanto, ma più di una Monaca dopo qualche titubanza e qualche giro di parole, gli raccontò che le Monache del Santa Caterina erano state più volte disturbate dalle profferte e dalle voglie di un altro Confessore che era passato più volte di là durante l’anno prima di lui … Quel che era peggio poi, era che alcune Monache avevano ceduto alle sue provocazioni, e s’erano accordate con lui d’incontrarsi nelle loro celle fingendosi malate ...  E si può immaginare poi come tutto andò a finire: la carne è carne … e spesso la carne è debole … Le Monache sono donne come le altre in fondo: “Anzi: per certi aspetti: sono due volte donne per via di quella reclusione lì dentro”… Insomma alcune Monache avevano più volte peccato carnalmente col Prete, che poi le assolveva dal loro peccato … e provvedeva anche ad aiutarle se rimanevano incinte. Lui conosceva tante persone nelle Campagne Veneziane, che in cambio di qualche soldo non avrebbero fatto alcuna difficoltà ad aggiungere un’altra bocca da sfamare alle tante che già avevano per casa. Con pochi spiccioli in più avrebbe comprato poi anche il loro totale silenzio e riserbo … Non era così difficile quindi risolvere certe questioni: “Quel Prete-Confessore è peggio dei Monachini Veneziani per i quali il Consiglio dei Dieci ha previsto la pena di morte” gli disse un’anziana Monaca: “Invece essendo Prete se ne sta avvolto nel suo segreto, e fa ciò che meglio gli piace rimanendo del tutto anonimo e impunito … Tocca a noi povere Mùneghe di convivere con questo pesante segreto e fardello nell’Animo … La vecchia Badessa poi non è capace di far fronte a questa situazione: finge sempre di non sapere, di non sentire e non vedere ... Soprattutto non vuole che vengano a galla quelle storie per non infangare il buon nome del Monastero, ma anche quello delle Nobili Famiglie di cui ospitiamo le giovani rampolle … Precipiterebbero le entrate del Monastero se si venisse a sapere, e soprattutto se certi Nobili trovassero modo di togliere dal Monastero le loro figliole indirizzandole altrove … Chi sarebbe poi capace di risollevare le sorti del Santa Caterina imbucato e perso qua fra le paludi, barene e acque di Mazzorbo in fondo alla Laguna ?”

Don Alessandro confidò ancora alla Fornaia Angela: “La Badessa con le Monache anziane temono il peggio per la sorte del Monastero … Che poi certi Nobilhomeni parenti delle Monache interessate, non fanno gran caso a ciò che combinano le loro figlie fuori casa. Si accontentavano di dire: “Eh ? … Son vive … A tutto si potrà trovar rimedio … Magari potremmo incrementare la loro dote data al Monastero, così che possano trovare dentro alle sante mura maggior conforto e serenità ... chiudendo occhi e orecchi e mettendo una pietra sopra a qualche storia scabrosa.” … Allora più di qualche volta la Badessa ha chiuso un occhio, o tutti e due, e anche gli orecchi in cambio di qualche buona donazione che non mancò d’arrivare … Le Monache sono andate avanti così completamente immerse dentro a quella turpe e scabrosa esagerazione ... E’ difficile che certe notizie e segreti riescano ad attraversare tutta la Laguna raggiungendo gli orecchi di chi di dovere … Ed è ancora più difficile che gli stessi si degnino di ascoltare prestando la debita attenzione ... Tutto rimane segreto, affossato e irrisolto.”

“E’ vero Don Alessandro: il Mondo gira al rovescio, ed è già da un bel pezzo ormai.”

Pendevano quindi dalle labbra di Donna Angela tutti quelli che entravano nel Forno di Mario in Contrada di San Simeon Grando, e se ne uscivano ogni volta portandosi dietro col pane o la farina anche un’insopprimibile voglia di divulgare quella terribile ma curiosissima vicenda … Che poi ? Non erano così insolite allora situazioni del genere … Anzi … Ma ogni volta erano capaci di catturare la curiosità di tanti e tante.

Con trascorrere dei giorni però, Angela si accorse di non essere l’unica a conoscenza di quelle vicende ... In Contrada c’erano altri e altre che come lei o più di lei spifferavano ai quattro venti i segreti di quel Monastero sperso in fondo fra le Isole.

Con quanti aveva parlato e straparlato Don Alessandro Gatti ?

Parlarono in giro di quei crudi fatti anche Don Geronimo: un altro dei Preti del Capitolo di San Simòn, e anche Giovanni il Nònsolo(Sacrestano-Campanaro), e pure Marietta la Massèra, che andava a far le pulizie e la “lìssia dei panni” a casa dei Preti … Perfino raccontava di tutto e di più anche Maurizio l’Orfanello della Pietà che vagabondava di continuo per ogni angolo della Contrada. Raccontava nelle osterie, sulla porta delle botteghe e dei magazzini, e sui pontili delle barche dove giorno e notte si andava e venica caricando e scaricando merci.

Venezia quindi in breve era percorsa in lungo e in largo dal racconto di quelle storie, che strada facendo s’ingrossavano e ingigantivano arricchendosi sempre più di nomi e piccanti dettagli quasi sempre dettati dalla fantasia ... e chi più ne aveva più ne aggiungeva a seconda della malizia e morbosità, o secondo la voglia di blaterare che si aveva dentro.

Un gran fumaròn insomma … a cui però quella volta non fece seguito niente … o quasi, perché c’era sempre nell’ombra chi era disposto ad ascoltare e considerare attentamente tutti quei fatti, seppure senza intervenire immediatamente ... ma a tempo debito.

Nel maggio seguente intanto, si aggiunsero altri pettegolezzi su pettegolezzi che si aggiunsero “in coda” ai fatti ormai conosciuti e un certo qual modo superati: “Lo ricordi Don Gatti che è andato a Natale a confessare le Monache di Mazzorbo ?”

“Chi ? … Ah si ! … Lui … Lo ricordo adesso.”

“Ebbene: sono venuta a sapere che adesso è lui stesso ad essere considerato un pericoloso Eretico … Uno che compra e legge Libri Proibiti.”

“Don Alessandro Eretico ? … Con i Libri Proibiti ? … E’ mai possibile ?”

“Si ! … Proprio lui … Si scaglia anche contro i confratelli Preti deridendoli e offendendoli perché continuano a praticare i gesti della nostra solita Fede Tradizionale ... Un giorno ha sbeffeggiato davanti a tutti Don Geronimo che stava tranquillamente Rosariando in chiesa con un gruppetto di donnette dopo la Messa ... Lo ha deriso dicendogli che si perdeva dietro a quelle vecchie e inutili superstizioni bigotte: a Strighèssi inutili ... Gli ha gridato anche che se qui fossimo in Inghilterra piuttosto che a Venezia, gli tirerebbero le pietre per quelle sue ottuse pratiche … Le donne mi hanno raccontato che ha gridato ad alta voce in chiesa: “le Orationi son ciance … DomineIddio ha ben altro a cui pensare piuttosto che star lì ad ascoltare le nostre paure e i nostri pettegolezzi.”

“Oddio Mamma ! … Immagino conoscendolo, che Don Girolamo abbia ascoltato rimanendo muto, pietrificato e sorpreso, senza reagire.”

“Si: è così … Poi Don Gatti se n’è andato via per i fatti suoi.”

“Non è la prima volta che sento cose del genere su Don Alessandro … L’ho sentito inveire rabbioso e minaccioso anche con Giovanni il Campanaro per lo stesso motivo.”

“Ci sono anche altre notizie che girano su di lui … Una sera Don Geronimo s’è trovato a mangiare a casa sua con Don Pietro di San Leonardo di Cannaregio e Monsignor Rossi, e c’era con loro anche Don Alessandro Gatti … Hanno fatto una delle loro bisbocce pur essendo tempo di Digiuno e Quaresima … Li impongono a noi i Digiuni e le Penitenze, ma loro le ignorano bellamente senza farsi tanti scrupoli … Tanto sanno che Dio è dalla loro parte … Insomma, dopo mangiato, si sono messi a discutere di cose da Preti: Fede, Libero Arbitrio, Predestinazione, Anima e Sacramenti ... Marietta: la donna di casa che serviva la cena, mi ha raccontato che a un certo punto Don Alessandro s’è inalberato pestando un gran pugno sulla tavola dicendo: “Non servono tante Confessioni ! … Basta il tempo della Morte per confessarsi … La Confessione è un fatto privato e diretto fra le persone e Dio … Non serve che la Chiesa si metta in mezzo fra le Coscienze e Dio ... Macchè Confessarsi almeno due volte l’anno, e mettere all’indice gli Inconfessi della Contrada ! … Sono tutte trovate per ingrossare le saccocce della Ecclesia in barba al Buon Dio che tace, e perciò acconsente.”

“Immagino che gli altri Preti si siano scandalizzati di fronte a parole così … Fossero venute fuori da un Mercante in piazza: pazienza … Ma da un Prete ?”

“E’ vero … La donna che conosco mi ha detto che Don Gatti pareva indemoniato.”

“Ha fatto sue le idee della Riforma Protestante e di Calvino che sono giunte anche qui a Venezia da oltre le Alpi.”

“Mi ha detto ancora la donna, che prima di andarsene sbattendo la porta, Don Gatti ha aggiunto: “Dio non ha bisogno di tutte le nostre Messe e preghiere ! … Ha già determinato o no la nostra Salvezza: non la possiamo comprare ... Siamo tutti una banda di avidi ipocriti"… I Preti sconcertati sono rimasti lì a discutere fino all’alba ... e uno di loro alla fine avrebbe detto che sarebbe andato a raccontare tutto l’accaduto ai Superiori e al Patriarca.”

Detto … fatto …All’inizio dell’autunno dello stesso 1620 … Giusto in tempo e poco prima che gli Zaffi dell’Inquisizione Veneziana entrassero in casa di Don Alessandro Gatti per perquisirla e poi arrestarlo, una vocina anonima benevola verso di lui gli suggerì di bruciare in fretta certi Libri e manoscritti di Magia ed Eresia che teneva sotto al letto. Gli Zaffi, infatti, rovesciarono e rovistarono dappertutto senza trovare nulla di sospetto … Diversi della Contrada avevano visto il giorno prima Giovanni, fratello di Don Alessandro, che bruciava carte in corte e buttava pezzi nel vicino Canale aiutato dalla diciasettenne Massèra e dall’Orfanello della Pietà.

In ogni modo per Natale l’Inquisizione Veneziana avviò un Processo convocando nella sua sede di San Domenico di Castello un po’ tutti: Preti e pettegoli e chiacchierone comprese … Il procedimento si protrasse per più di un anno.

Don Alessandro Gatti intanto finì per quasi dieci mesi in prigione.

Don Geronimo aveva riferito delle discussioni tenute con Don Alessandro a casa sua a San Simeòn, e di come Don Gatti affermava che non servivano le Preghiere, le Messe e le Offerte per meritarsi il Paradiso e la Misericordia di Dio ... Riferì anche di come non s’era più parlato con lui da quando era stato preso in giro davanti a tutti in chiesa, deridendolo mentre esercitava alcune pratiche religiose con i fedeli: “Don Gatti da quando è tornato a Venezia dall’Olanda, Francia e Inghilterra: non è più lui … Ha incontrato i Riformati a Londra, nella comunità dei Veneziani che risiedono e commerciano là ... Ha raccontato che pochissimi in Inghilterra sono rimasti fedeli alla Chiesa di Roma e del Papa … Ricordo che il giorno dei Santi Giovanni e Paolo perfino, quando Don Marsilio Piovan de San Simeòn ha convocato tutti i Preti della Collegiata in Sacrestia, quando s’è messo a sottolineare la bontà del Martirio dei Santi Pietro e Paolo per la Gloria della Chiesa, Don Gatti gli è saltato su dicendo che erano tutte invenzioni e frottole … Che in realtà non si era neanche certi che San Pietro e San Paolo si fossero per davvero recati a Roma ... Forse non sapevano neanche dove si trovava Roma.”

Quella volta scoppiò una vivace lite verbale fra i Preti in Sacrestia.

La Massèra (serva) Marietta, interrogata a sua volta, aveva ammesso d’aver partecipato al rogo dei Libri Proibiti del Prete, e aggiunse anche d’essere stata cacciata malamente dal fratello del Prete, che la minacciò di non rivelare l’accaduto ... Marietta allora, per non tenersi quel “pesante magòn” dentro, era andata a confidarsi e consolarsi da Caterina moglie di Biagio Facchin, che era sua amica, ma che aveva immediatamente spettegolato tutto in giro per la Contrada ... Giovanni allora, il fratello di Don Gatti, l’aveva raggiunta e bastonata … e non solo: sia il Prete che il fratello l’avevano violentata mettendo poi in giro la voce per tutta Venezia e nelle Osterie, che lei era una prostituta che l’avevano usata e pagata.

Angela Fornèra a sua volta, raccontò ancora di come Don Gatti aveva proibito che si tenesse la Dottrina Cristiana delle Putte in chiesa di San Simòn, e le aveva mandate via criticando aspramente le Gentildonne Maestre di Dottrina, dicendo che trasformavano la chiesa in un dissacrante bordello insieme agli “uomini libertoni” che si intrattenevano lì con loro.

Nella primavera seguente Don Alessandro Gatti comparve in giudizio davanti all’Inquisizione Veneziana… Dopo aver negato ogni addebito e accusa, iniziò a inveire contro la schiera dei suoi nemici che avevano messo in giro tutta quell’architettura di calunnie contro di lui … Durante l’interrogatorio raccontò di come a Londra l’Arcivescovo di Spalato aveva predicato affermando che il Purgatorio era un’invenzione della Chiesa per vendere Indulgenze, e che solo Dio è Giudice Misericordioso o di Condanna … non la Chiesa a cui interessa solo il denaro del Diavolo … Affermò poi, che il suo unico peccato era stato forse quello d’essersi messo dalla parte della vera Dottrina di Cristo prendendo le distanze dalle tante falsità interessate della Chiesa.

Precisò poi d’essere stato sempre un buon Prete onesto dovunque era stato … Sia a San Gregorio dov’era stato Cappellano per cinque anni, che dalle Monache di Santa Lucia di Cannaregio, così come da quelle di Santa Caterina di Mazzorbo… Poi era andato all’Estero. C’erano diversi Preti e persone a Venezia che potevano garantire per lui come persona, e sulla bontà del suo operato sempre eseguito in buona fede.

“Anche la violenza e le botte alla ragazza sono state fatte in buona fede ?” ironizzò l’Inquisitore.

“Sono calunnie non verità !” gridò stizzito Don Alessandro.

“E i Libri Proibiti che lei ha bruciato per non essere colto in fragranza di reato dai nostri messi di Giustizia ?”

“Non ho portato Libri Proibiti a Venezia né dalla Francia nè dall’Inghilterra … Arrabbiato per le accuse, ho bruciato solo alcune copie di un libro di Rettorica scritto da Prè Gasparo Almerino Piovan di San Zulian, che ora è morto … Intendeva spedire tramite me 50 copie in Inghilterra a sue spese … Non ho bruciato i miei Libri, anzi: me li sono portati dietro anche in prigione.”

Di fronte ai Giudici Inquisitori perplessi aggiunse ancora: “Non sono contrario alla Dottrina Cristiana, ma non sopporto le furfanterie, i giovani che amoreggiano in chiesa non ascoltando le prediche, né i Preti come Don Matteo che insegnano in modo non affidabile, e predicano noiosi con parole indegne ed eretiche … E’ stato Don Matteo ad aver avuto commercio carnale con le Gentildonne della Dottrina con gravissimo scandalo per i fedeli … Io, invece, ho cacciato fuori a bastonate un matto entrato in chiesa a denudarsi davanti a tutti ... La chiesa non è un bordello.”

“E le Dottrine contenute nei Libri Proibiti ? … L’affermazione della falsità del Martirio di San Pietro a Roma ?”

“Non sono idee mie … Ma solo il punto di vista degli Inglesi … Che non condivido.”

“E i Libri di Magia ?”

“Non è vero che tengo e leggo Libri di Sortilegi e di Magia, né so come “si buttano le fave” ... Non sono uno Stregone o un Mago come si dice malamente di me … Sono bugie dei miei detrattori !”

“E la buona pratica del Santo Rosario ?”

“Il Rosario è una cosa buona in se ... Infatti: ne tengo sempre uno con me … Mi mette rabbia, invece, il fatto che i Preti in chiesa ne tengano due o tre in mano chiedendo elemosine e di celebrare Messe ... Sono già pagati abbastanza: non gli basta mai ? … Chiedete pure: in cella ho insegnato a usare il Santo Rosario a un Infedele che non pregava mai ... Non è poi vero che ho definito “ciance” le Orazioni … Né ho mai detto che serve confessarsi solo in punto di morte ... Io sono quello che è intervenuto il giorno del Corpus Domini ai Frari salvando Don Maurizio sull’altare da un matto che voleva fargli buttare per terra l’Ostia Consacrata ... L’ho bastonato e cacciato fuori della chiesa, mentre gli altri non hanno fatto niente.”

“Un eroe della Religione quindi ? … Quasi un Santo ?”

Venne rimandato in prigione per altri mesi.

In primavera Don Gatti venne nuovamente convocato … Stavolta venne interrogato circa la divulgazione del Segreto Confessionale inerente la vicenda delle Monache del Santa Caterina di Mazzorbo ... Don Alessandro nicchiò e poi negò tutto affermando che conosceva bene il Diritto Canonico e gli obblighi Ecclesiastici … Mai avrebbe osato ! … Non aveva fatta alcuna Sollecitatio in Confessionale per carpire i segreti delle Monache ... Però era vero: forse aveva esagerato con la lingua spargendo in giro qualche confidenza: “Poi si sa come va di solito le cose: le notizie vanno in giro a lievitare incontrollate.”

“E la violazione della giovane Massèra di casa insieme a suo fratello ?”

“I mie peccati carnali sono le mie debolezze.”

Bella giustificazione ! … Un manifesto della Giustizia quasi.

Sapete come andò a finire tutta la storia di Don Alessandro Gatti ?

Provate a immaginarlo … Venne assolto su tutto, e condannato solo a pagare 100 ducati.

A sorpresa, vennero condannati a pagare una multa di 50 ducati ciascuno anche gli altri due Preti della Contrada di San Simeon Grande nel Sestiere di Santa Croxe. Oltre alla multa, avrebbero dovuto concorrere alle spese del processo, e partecipare economicamente alle spese imposte a Don Gatti.

E sapete come si sarebbero dovuti obbligatoriamente impiegare quei soldi della multa pagati da Don Gatti  e dagli altri ?

Altra curiosità anche questa: “Per ricoprire con calcina e Terra da Saonèr i corpi degli appestati … Per rifare il pavimento della chiesa di San Simòn con quadroni tutti uniti, sigillando le fessure delle tombe con mistura bituminosa, o gessa da presa, ovvero impiombandole come s’è fatto a San Giovanni Novo … e per riparare la corticella interna, il pozzo e la strada nel portico della chiesa.”

Completato questo, Don Alessandro Gatti poteva considerarsi libero di tornare a vivere e andare come meglio gli fosse piaciuto.

Fra le altre chiacchiere Veneziane, in quei giorni si diceva in giro, che gli Ambasciatori Inglesi residenti a Venezia affermavano: “Venezia è diventata luogo di Protestanti ... Città più vicina all’Eresia che alla Dottrina dei Papi ... Ciò che contano a Venezia sono le furberie, i giochi politici, e le relazioni fra i Religiosi e Nobili ... E’ tutto un dare per avere.”

Fu detta mai cosa più giusta ? … Ieri come oggi ... Credo di si.

 

Cà Rezzonico … onirico andare.

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#unacuriositàvenezianapervolta 339

Cà Rezzonico … onirico andare.

Esistono ancora alcuni luoghi di Venezia … pochi … sempre meno … in cui ti puoi prendere il lusso di evadere da tutto il resto del vivere, ed entrare come in una capsula temporale di una Venezia di ieri che non c’è più. Sai benissimo che è illusorio, ma è piacevole entrare come dentro a un sogno, e lo si fa consapevolmente lasciando tutto fuori almeno per un po’ … Va bene così.

Cà Rezzonico “risponde” non deludendoti, ti accoglie, e sa darti ciò che vuoi.

Ti regala quell’atmosfera Veneziana del 1700: lussuosa ed elegante, ricca, dorata e luminosa, ma anche quotidiana e spicciola. Una Venezia di persone e famiglie grandi e piccole: d’opulenti potenti e di basso popolino laborioso e servile piegato sui remi, sull’acqua e sulla fatica quotidiana del sopravvivere.

A Cà Rezzonico ti trovi di fronte l’immagine di una Venezia spalancata sul Mondo intero: aperta a tutto e tutti, esotica e dalle mille e una notte, ma anche disposta ad ogni esperienza politica, esoterica, economica, religiosa, sentimentale, gastronomica, godereccia, ludica … Importava tutto a Cà Rezzonico ... A Venezia nel 1700 e nei secoli precedenti c’erano impiantati questi megapalazzi: una sorta quasi di cittadelle dentro alla Città Capitale Lagunare appartenenti a pochi, quelli che erano il clou, l’apice e la sintesi di una Storia desiderabile e solo immaginabile per molti.

I Rezzonico a fine 1600 e durante il 1700 stavano fra costoro, fra i grandi nomi Nobiliari che possedevano tutti gli ingredienti giusti per trovare il successo … la Gloria addirittura. Il loro palazzo era espressione di ciò che erano, di quanto valevano e volevano, e di quel che sapevano fare e costruire … Non erano gli unici a Venezia, ma uno dei Grandi Casati … uno dei tanti.

Ci ripensavo ieri entrando, e ritornando ancora una volta a Cà Rezzonico… Non so perché mi si è presentato in mente proprio quel pensiero … Mi è venuto in mente che il 05 luglio 1758, giorno in cui Carlo Della Torre-Rezzonico divenne PapaClemente XIII° (esattamente 200 anni prima che nascessi io), i Rezzonico di certo toccarono il Cielo con un dito. Ma nello stesso giorno, e in quella stessa circostanza, Vittoria Barbarigo madre del neoletto Papa fece un colpo apoplettico, un infarto per l’emozione forse, venendo a sapere della nomina mastodontica del figlio ... Non arrivò a fine mese.

Per dire quanto contavano i Nobili Rezzonico a Venezia, nell’occasione del funerale della Madre del Papa si costruì un apposito ponte di barche per attraversare dal Palazzo il Canal Grande e traslare così la salma della donna facendo passare l’immenso corteo funebre dei Veneziani.

Successo e dolore insieme quindi: lo splendore massimo e sublime del soglio Papale congiunto insieme con la faccia oscura, definitiva e azzerante della Morte che andarono a bussare insieme alla porta del microcosmo Veneziano dei Rezzonico.

Coincidenze della Storia … ma anche monito a chiunque a considerare ciò che conta e ciò che è solo effimero durante la stessa esistenza.

E’ questa solo una nota circa l’immane storia del Casato dei Rezzonico che non intendo propinarvi.

Papa Rezzonico per le Cronache fu: “uomo mite e affabile, dal carattere retto e moderato, il più onesto del mondo … Un Ecclesiastico esemplare, dai valori puri: devoto, saldo, istruito, diligente.” ... Pudico all'eccesso, tabuista, uno dei Papi così detti “Braghettoni” perché fece ricoprire tutte “le impudicizie” delle statue e dipinti nudi del Vaticano facendo loro sovrapporre e dipingere foglie di fico e mutandoni.

Disturbato dalla richiesta di soppressione del potente Ordine dei Gesuiti espulso ovunque in Europa perchè furoreggiava e abusava in giro per Francia, Spagna, Portogallo, Ducato di Parma e Piacenza, Regno delle Due Sicilie ma anche Sud America dove intendeva istaurare un Regno Papale-Teocratico, Papa Rezzonico si sfogò mettendo all’Indice tutte le opere di quella che riteneva una Cultura troppo Moderna ... Il Re di Portogallo a un certo punto gli rispose richiamando il suo Ambasciatore da Roma, espellendo il Nunzio Pontificio, e “impacchettando” tutti i Gesuiti del Portogallo spedendoli via mare in massa “come dono al Papa” sbarcandoli nel porto di Civitavecchia.

Il Papa Rezzonico Veneziano cercò di barcamenarsi come meglio gli riuscì nella storica faccenda, ma dopo aver convocato un Concistoro per risolvere la questione, se ne morì giusto alla vigilia del grande incontro il 02 febbraio 1769 … Fatalità o avvelenamento ? … Forse anche: si il secondo, anche se provarlo con certezza è un’altra cosa.

Per dirla tutta, i Rezzonico a Venezia si ripresero ben presto dal lutto di famiglia della morte della Madre del Papa. Nello stesso anno celebrarono a Palazzo in pompa magna il matrimonio di Ludovico Rezzonico con una figlia dei potentissimi Nobili Savorgnan ... e così il gran dolore svaporò nella memoria e nei meandri della Storia ... Allo stesso modo passò sotto silenzio anche la scomparsa del Rezzonico Papa.

Il Museo del Settecento Veneziano ospitato oggi a Cà Rezzonico sa davvero offrire singolari emozioni. Davvero dopo le ultime release dell’ambientazione del palazzo, ci si ritrova davanti agli occhi ciò che è stata Venezia in quell’epoca. Si prova quasi la sensazione di passare attraverso, di cullarsi dentro all’atmosfera di quel tempo andato ... E’ piacevolissimo infatti, quasi perdersi lungo l’androne di palazzo, su per gli scaloni che entrano e salgono come nel corpo di quella “creatura”, negli ampi saloni che declinano il vissuto di quella splendida famiglia … Su tutto la Sala da ballo dove ti sembra di udire le musiche e il lieve scalpiccio dei passi leggeri, il fruscio delle vesti, la stretta delle mani fra loro e sui corpi … In alto sul soffitto quasi “esplode” alla vista lo stemma dei Rezzonico: quasi fosse il titolo di quel grande sogno, il nome di quella “regia” dentro alla cui scena si viene a trovarsi … E ancora si percorre l’ombrosa Biblioteca nella parte più discosta, umida e silenziosa del palazzo, e le varie sale, l’Alcova, la Sala dell’Udienza, la Sala da Pranzo… Ce n’è per tutti i gusti: di che perdersi.

I Rezzonico, i Della Torre-Rezzonico ad essere precisini, erano Baroni e Mercantidi metalli originari di Como, con ascendenze Germanico-Teutoniche … Fin da sempre la Famiglia aveva avuto ammanigliamenti religioso-politici con i vertici della Corte Pontificia. Non a caso i Rezzonico divennero Cardinali, Governatori delle Province dello Stato Pontificio, e poi addirittura Papa.  A Venezia non potevano che essere Procuratori, Cavalieri di San Marco, Podestà e Senatori. Insomma anche in Laguna salirono al top del Patriziato Veneziano, al vertice del potere che contava … Anche se in verità lo fecero solo tardivamente: nel 1687.

A dirla tutta: se la comprarono la Nobiltà Veneziana dando a Doge & C i consueti 100.000 ducati, che offrirono parte in contanti e il resto a rate.

All’inizio, fu un certo Aurelio Rezzonico il primo dei Rezzonico ad affacciarsi a Venezia, mentre suo fratello preferì dirigersi a Genova: la concorrenza di Mercato dei Veneziani.

In Laguna Aurelio Rezzonico si fece subito notare non solo per l’abilità commerciale e il patrimonio, ma perché regalò 60.000 scudi all’Hospedàl de San Lazzaro dei Mendicanti: quella che era allora forse la più importante realtà assistenziale di Venezia.  Nello stesso luogo fece costruire anche la Tomba di Famiglia: scelta strategica di sicuro, che non mancò di produrre l’effetto per cui venne fatta.

Nel 1683 Papa Innocenzo XI si servì dei servizi dei fratelli Rezzonico per inviare finanziamenti al Re di Polonia per mettere in scena l’ennesimo episodio della Guerra contro il Turco nemico storico della Cristianità … Nemico vero o fittizio e inventato, sta di fatto che i Turchi in quegli anni stavano assediando Vienna, e “bussando” alle porte dell’Italia.

Non voglio tediarvi … Ogni tanto ieri scostavo appena le pesanti tende delle finestre di Cà Rezzonico ... Fuori c’era Venezia col Canal Grande, con l’acqua, i suoni, le voci e tutte le sue magie. Ieri come oggi: un incanto che si prolunga e conserva, anche se oggi avvilito e sciupato … e questo si sa.

I Rezzonico, che all’inizio abitavano a Cannaregio in Contrada di San Felice in quello che divenne poi Palazzo Fontana, si comprarono e portarono a compimento in seguito lo stupendo Palazzo sul Canal Grande. Accadde nel 1752, un bel pezzo dopo esser diventati Nobili Veneziani, e lo fecero comprando per 60.000 ducati il Palazzo costruito neanche a metà dai Nobili Veneziani Bon ormai andati in rovina economicamente ... Avveduti Mercanti quindi i Rezzonico, ancora una volta … furboni e ricchi ovviamente.

Furono travagliati i lavori di costruzione e completamento del nobile palazzo sul Canal Grande … Nell’estate cadde dall'alto una grossa parte dei cornicioni con cinque uomini sopra. Tre di essi morirono sul colpo, l’Architetto Giuseppe Pedolo si ruppe una gamba e un braccio morendo il giorno dopo, mentre solo uno si salvò dopo avergli amputato una gamba.

Non è tutto … A Cà Rezzonico in questi nostri tempi si è voluto collocare molto di quanto è stato il 1700 a Venezia. Raccolte d’arte, arredi, dipinti sui muri e sui soffitti realizzati da nomi come Tiepolo, affreschi portati dalle Ville Venete di Terraferma, mobili, il giardino, e tanto altro … Tutto concorre a farti viaggiare con la fantasia e l’immaginazione dentro a un mondo barocco e luminosissimo che non è di certo il nostro di oggi.

Mi piace quindi ogni tanto, anche se solo per qualche minuto, tralasciare sulla Riva del Canale di San Barnaba quel che è il nostro abituale “modus essendi, il nostro vestito mentale da 2023” per vestire per qualche istante quella mentalità di ieri: da Venezia del 1700.

E’ illusorio: lo so … Ma è piacevole come Veneziano di oggi leggere il Cosmo dei Veneziani di allora che sapevano abilmente mescolare Religione e Mito Antico, sovrapporre Orientale ed Esotico, e Cineserie, e reperti portati da ogni parte del Mondo … E poi ancora: quei Veneziani di ieri sapevano assaporare bene la Vita in ogni sua forma. Erano smaniosi di Cultura, amavano contornarsi di Bellezza, sapevano divertirsi, sentivano fibrillare la Vita … Apprezzavano anche con i più miseri dei Veneziani il gusto per le Feste, i banchetti e il mangiare, l’amoreggiare e i sentimenti, l’euforia eccitante della danza e dello sballo onirico, l’ebrezza esaltante, estatica ed evasiva della Musica, della Poesia, del Teatro, delle Novità del MondoNovo, e quelle classiche scaturite dalla Religione in tutte le sue forme … Sono tutte sensazioni e capacità d’intendere che noi di oggi con tutta la nostra complessità tecnologica e moderna abbiamo in gran parte perduto, o sappiamo apprezzare poco: solo epidermicamente ... Vedendo tanto a Cà Rezzonico, verrebbe da dire: loro si che sapevano divertirsi, provare sensazioni, leggere tutto quanto accadeva attorno a loro … Insomma: i Veneziani di ieri sapevano per davvero godersi e sentire la Vita.

Bellissima anche la ricostruzione della Spezieria-Farmacia “Al San Marco” collocata all’ultimo piano del Palazzo … Ieri non sapevo più andarmene via tanto ero rapito dal fascino di quel luogo … Davvero un luogo di ieri portato nell’oggi ... E poi attorno c’erano le collezioni d’Arte che ti riempiono gli occhi quasi strappandoti alla realtà … Un tema fra tutti mi ha toccato ieri riassunto nei quadri: il ricorrente riferimento all’Amore in tutte le sue espressioni e forme pagane, occidentali, antiche e moderne: quasi un inno alla carnalità, al Mito e al sapore complesso del Vivere interiore.

Fuori da una finestra improvvisamente mi sono affacciato di nuovo sui tetti di una Venezia spalancata, quasi disposta ad accoglierti appena uscivi fuori da Cà Rezzonico ... Ieri sullo sfondo incalzava, cresceva e lievitava un’incredibile nuvolaglia bianchissima che s’allargava e saliva su quasi come un’enorme panna montata … Spettacolo nello spettacolo che poi a sera si è tradotto in temporale.

Sono uscito infine … più ricco di prima … Chiamatemi pure nostalgico, malato di Venezianità … Fate un po’ voi.

Consiglio però a chiunque di provare emozioni del genere … Da Veneziano ogni tanto mi piace riaffacciarmi a queste realtà Venezianissima. Siamo fortunati ad averla a disposizione, ad averla qua a pochi passi ... I Veneziani si nutrono anche di questo.

Ho finito … So benissimo che in fondo ogni Museo è una finzione, quasi la scena di un set cinematografico.

Però ci sono Musei e Musei ... e quello di Cà Rezzonico è di certo uno “+++”.

Verso metà 1700, le Dame dei Rezzonico erano famose per ritrovarsi spesso nei Casini Veneziani insieme con le Dame e i Mariti Nobili Querini e Zambelli per intrattenersi in conversazione e gioco ... Fra loro presenziava anche il Cancelliere Grande Orazio Bartolini … I Rezzonico avevano in Terraferma diverse Ville a Zianigo, Borella di Bassano del Grappa, Sant’Urbano, e Mira … S’interessavano della gestione della Roggia Rezzonica, che era stata già gestita in precedenza dai Grimani e dai Tommasello. Era la Roggia più lunga di tutte, che scendeva dalla Chiericato sopra Camazzole e passava per i campi di Carmignano, Pozzo, Spessa, Grantorto, Piazzola, Campodoro e Villafranca da dove s’immetteva poi nella Brentella ... I Rezzonico possedevano diversi ettari di terra a Fiesso e Rottanova nel Cavarzerano, e altri a Piacenza d’Adige, e altri ancora in altri distretti del Padovano ... Insieme ai Sagramoso, Miniscalchi, Sceriman, Valmarana, Pindemonte e Buri, i Rezzonico, che avevano allevamenti di cavalli a Legnago, facevano ingenti affari e grandi guadagni fornendo cavalli all’Esercito Asburgico del Quadrilatero.

Palazzo Rezzonico venne scelto per intrattenere a pubbliche spese l'Imperatore Giuseppe II giunto a Venezia nel 1769 ... Nel Salone da Ballo di Cà Rezzonico si allestì “un'Accademia di canto e suono” eseguita da 110 allieve dei quattro Conservatori Veneziani … Immaginatevi solo per un attimo la scena ... da favola.

Infine nel 1810, non prima di aver istituito in proprio favore nella dirimpettaia chiesa di San Barnaba una preventiva ricca Mansioneria di Messe “in sua Memoria, Suffragio e Salvezza”, morì a Venezia nello stesso grande palazzo in Contrada di San Barnaba: Abbondio Rezzonico l’ultimo dei Rezzonico, facendo estinguere il ramo veneto del Casato … La sorella Quintilia, moglie del Nobile Lodovico Widmann, ereditò tutto il patrimonio dei Rezzonico Veneziani.

A Venezia sembrò la fine di una bella fiaba.

Cà Rezzonico secondo me è come un bel film riuscito … di quelli che ami vedere e rivedere. Non ti stanchi mai di riassaporarne i dettagli e le scene, e ne apprezzi il valore, la trama e la bellezza … Mi ritengo fortunato di attraversare a volte sensazioni del genere ... Credo anche di non essere l’unico a farlo: penso sia parte del Vivere … Anche se non è detto che per tutti sia così.

Di certo questa è la“mia” Venezia.

La Compagnia dei Carboneri Veneziani

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#unacuriositàvenezianapervolta 340

La Compagnia dei Carboneri Veneziani

Non immaginavo ieri tanta curiosità su “legna & carbòn” a Venezia qualche decennio fa … Si: non tutta Venezia era arretrata e ancora disadattata, priva di servizi e comodità … Mi riferivo soprattutto alla mia esperienza personale di bambino a Burano: una delle isole più remote … bellissima … in fondo alla Laguna Veneziana. E mi riferivo anche a una buona parte di Venezia che non era del tutto modernissima, ma conteneva ancora diverse “sacche sociali” non del tutto emancipate e modernizzate. Se è vero che tanta parte di Venezia correva dietro al progresso e alla modernità negli anni 60-80 del secolo passato, vi garantisco che esisteva anche una frangia di Veneziani nelle aree più periferiche della Città, che mai è riuscita a stare al passo del tutto col benessere vissuto da tutti gli altri.

Se avete qualche dubbio andare a vedere e sentire come andava in qualche calle o calletta di Castello, di Baja del Re, della Giudecca o di Santa Marta o dell’Anzolo, e delle Isole … Scoprirete che non tutta Venezia splendeva. Un’intera fetta sociale si è trascinata dietro a lungo le privazioni e le povertà della Guerra, e quindi non riusciva a stare affatto al passo con i tempi e col benessere del progresso.

C’erano quindi ancora Veneziani privi di servizi e con poche comodità, e vi garantisco che potete trovare ancora oggi caxette e casupole in qualche parte di Venezia che sembrano “capsule del tempo”, cioè del tutto prive di quanto consideriamo ovvio e indispensabile per vivere la quotidianità.

Sono rarità di oggi, ovvio, ma rendono l’idea di quanto Venezia è sempre cresciuta pianino, e di come certe fasce sociali hanno sempre arrancato dietro ad altre “più fortunate”.


Due parole sui Carboneri VenezianiLegna & Carbon sono stati a lungo “beni preziosi” di prima necessità, che di conseguenza hanno dato lavoro a una bella fetta di Veneziani per provvederli e rifornirli.

Ricordo ancora non solo i Trabaccoli carichi di legna che sfilavano davanti a Burano, ma anche qualche barca carica di travi, infissi dismessi e vecchia legna tratta da case Veneziane e insulari rinnovate. Le ho viste approdare su rive accanto a case dove poi venivano ridotte a pezzetti buoni per l’inverno. Mio Nonno Bepi stesso in fondo all’orto dietro casa aveva la catasta della legna, e ricordo ancora come mio Padre che per un periodo fece il muratore, ottenne una volta di portare al Nonno a Burano un’intera barca di legna tratta da un restauro a Venezia. Tutta la famiglia per un giorno intero andò avanti e indietro tra la barca e la casa a portare pezzi di legna che a lungo alimentarono la stufa della casa dei Nonni … Altri tempi … Così come ricordo i miei fratelli che per anni facevano il giro dell’Isola per raccattare da Fruttivendoli e Bottegai: cassette e cartoni, e anche singoli “stizzetti” buoni “per il fuoco” dei Nonni ... Il Carbone in Isola si andava a comprarlo spesso nelle rivendite di legna, carbon e detersivi con un apposito “bidone da Carbon” fornito di robusto manico.

In quella che è stata la Contrada di San Luca a Venezia, non lontana sia da Rialto che da Piazza San Marco, c’erano e ci sono ancora la Riva, il Traghetto, la Calle, il Ramo e il Sottoportico del Carbon. Qui più che altrove a Venezia sifece spaccio per secoli di quel prezioso combustibile utile a tutti.

In Riva del Carbon abitava fin dal 1551 Pietro Aretino, in una casa vicina al Caffè degli Omnibus” presa in affitto per 60 scudi annui da Ser Leonardo Dandolo di Girolamo… Sapete chi pagava quell’affitto ?

Il Gran Duca di Firenze in persona … chissà perché … L'Aretino abitò là fino alla morte dell’autunno 1556, ricordata da Salvatore Bongi: Il mortal Pietro Aretino mercoledì sera, a hore tre di notte, fu portato all'altra vita da una cannonata d'apoplexia senza haver lassato desiderio e dolor a nissun huomo da bene ... Dio li abbia perdonato!”… e certificata dalPiovan Demetrio di San Luca: “Aretino Pietro morì da morte subitanea giù d'una cadrega da pozo … il Giovedì Santo di quest'anno si è confessato e comunicato nella mia chiesa piagnendo lui estremamente …”

 

Una legge del Magistrato alle Acque di Venezia del 05 aprile 1537 ordinava che le zattere cariche di carbone non possino fermarsi dinanzi le bocche de Rivi, e due solamente per tessera possino trattenersi per vender alla Riva del Carbon”. Sulla stessa Riva del Carbon c’erano soprattutto due botteghe e magazzini di legna & carbòn che appartenevano quasi da sempre ai Nobili Bembo e Donà. Costoro non avevano affatto l’esclusiva del rifornimento cittadino, ma di certo mettevano lo zampino su buona parte di quel commercio essenziale.


I Carbonai Veneziani sono stati a lungo una vera e propria Categoria Lavorativa attiva in Città … così come esistevano in moltissime altre parti … A Venezia i Carbonai si unirono in “Corpo o Compagnia” e si diedero Statuti Lavorativi già dal 1476, e come si usava allora per tutte le categorie di Arti e Mestieri Veneziani, misero su un’apposita Schola di Devozione e Mestiere che trovò sede prima a San Salvador non lontano da Rialto, e poi a San Luca.

Si legge nelle Raspe dell'Avogaria da Comun”, che l'8 settembre 1477, il NobilHomo Daniele Soranzo con un certo suo compareGiacomo da Crema passarono di notteper la Calle del Carbon nei pressi di Rialto. Da una finestra in alto vennero invitati a salire in casa da Maria Scorzupi prostituta del luogo … Gasparo Gozzi scriveva al riguardo: “… la via detta del Carbon (a Venezia) dove abitano in certe casipole terrene le più sozze uccellatrici degli uomini”Molte donne di quel genere abitavano là non lontane dall’Emporio di Rialto equidistante da San Marco.

Mangiato con lei, e fatto tutto ciò che dovevano fare, i due uomini se ne tornarono ciascuno a casa propria dopo aver ben cenato con: “unam coradellam castrati ad suffritum, et unum fegatum unius leporis quem tunc praedictus Daniel interfecerat”Una bella e buona mangiata insomma ... e non solo … Andò però che entrambi poi si sentirono male al punto tale che il Nobile Soranzo morì la mattina seguente, mentre il compare se la cavò rischiando la vita e vomitando profusamente sostanza “verderame”… Omicidio ? Trattandosi soprattutto di un Nobile, e per di più di un certo prestigio, la donna venne immediatamente carcerata e torturata per bene. Non ne emerse nulla, per cui si optò per la casualità del fatto, e la Scorzupio Scorupsi venne rimessa assolta in libertà un paio di mesi dopo.



Storie Veneziane … Il Patrono dei Carboneri era San Lorenzo… I Carboneri Veneziani, a differenza degli altri Artieri, erano curiosamente esentati dal pagare “la Tassa della Milizia” per il semplice fatto che scaricavano gratuitamente il carbone destinato all'Arsenale e alla Zecca dello Stato di Piazza San Marco.

Sapete quanti erano i Carbonai a Venezia ?

25 per la precisione, perché esistevano altrettante “patenti di Mestiere” dette “Còrbe”(grandi ceste-gerle da carbone portate a spalla) che davano il diritto-concessione al possessore di trasportare e vendere carbone in Venezia. Solo più tardi, visto che si trattava di un bene di prima necessità, la Serenissima optò di aumentare il numero dei posti vendita e dei lavoranti del Mestiere ... Esisteva poi tutto un corollario e indotto di servizi intorno al Carbone, che riguardava la consegna a domicilio fino ai piani alti delle case (i Carboneri non erano tenuti a salire le tortuose e ripidissime scale Veneziane), o la gestione del camino, del magazzino di stoccaggio a pianterreno e della stufa.



Curiosamente, era riservata ai Fabbri Veneziani la manutenzione gratuita delle Corbe dei Carboneri… Beh: gratuita ? … Non proprio. I Carboneri in cambio rifornivano gratuitamente i Fabbri riducendo anche il prezzo dello stesso Carbone di cui li rifornivano per le fucine ... Le Corbe dovevano avere misure ben precise in quanto fungevano anche da unità di misura per la vendita ... Si poteva comprare mezza corba, un terzo di corba, e così via … Il Carbone giungeva in Riva del Carbon a Venezia su apposite chiatte-zattere dalla forma curiosa.

Quello dei Carboneri Veneziani era quindi una specie di Mestiere-Servizio-Associazione un po’ d’elite ed esclusiva, a numero chiuso, paragonabile a quelle che sono ancora oggi le fortunate categorie dei Motoscafisti e Gondolieri Veneziani. Si sa poi che era tipico di Venezia, ieri come oggi, di dare in subappalto certi servizi … Un po’ come le bancarelle e le bottegucce dei souvenir di oggi.

Venezia respirava, lavorava, viveva … si trascinava a volte, arrembava altre ... Sempre magica e curiosa, interessantissima Città anche nelle sue cose più piccole, quotidiane o insolite.




La Ziràda del Bècolo a Venèssia

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#unacuriositàvenezianapervolta 341

La Ziràda del Bècolo a Venèssia

Sant’Andrea de la Zirada o del Bècolo… così i Veneziani chiamavano l’attuale zona di Piazzale Roma, che un tempo era totale perifera di Venezia. E’ quella fra i Tre Ponti, il Canal Grande e il Rio de le Burchielle dove finiva o iniziava la Città, ma che allora non era una vera “Porta della Città Acquea” com’è adesso … Un paio di secoli fa qui era tutto diverso: niente Peoople Mover, né Bus e Tram. Non c’erano gli storici megapalazzoni dei Garages e i scarsi parcheggi … Niente anche Marittima del Porto e Tronchetto … Niente di niente insomma: non c’era neanche quella che oggi è la Casa-Albergo di Sant’Andrea, cioè l’ex Monastero di Clausura del Nome di Dio oggi proprietà della Caritas Veneziana, niente Caserma della Polizia di Santa Chiara, niente Bar del Cielo, Casa Rossa e Hub di Biello ... C’erano solo acque lagunari che si traducevano in basse stagnanti, canneti, paludi fangose e canali e canalicoli imbovolati e tesi a finire su se stessi ... Era la zona della Scomenzera di Venezia: già il nome dice tutto, e della Ziràda dove il Canal Grande faceva una secca svolta iniziando o finendo le sue celebri sponde e tragitto.

Un Bècolo, invece, che cos’era ? … che significava ? Forse un becco adunco, un sinistro uccello notturno rapace ... un vaso alchemico forse ? … o un canale che svolta a gomito da assomigliare a un becco ? … Boh ? … Non si sa bene.

Quasi ovunque comunque: viottole strette, franose, invase dalle erbe selvatiche, fangose quando pioveva o cresceva e tracimava l'acqua della Laguna. Più che vere e proprie strade che univano i punti abitati, gli orti e gli squeri cinti da alte e basse palizzate e murette, c’erano spesso vaghe tracce dove passavano pochi ... Quasi sempre gli incerti passaggi andavano a perdersi sul bordo della laguna, accanto a una piatta e leggera barca ormeggiata, o su magre e spoglie rive friabili dove non ormeggiava quasi nessuno ... Perfino il Monasterio delle Muneghe Agostiniane di Sant’Andreade la Ziràda era come un’Isola nell'isola ... Non c'era sempre di traverso la traballante tavolata mobile che fungeva da ponte a collegarlo con tutto il resto di Venezia. Spesso le Monache, i fattori e i frequentatori Nobili parenti andavano e venivano in barca. Qualche volta alcuni inservienti, garzoni o massère che dovevano recarsi là, per la fretta, soprattutto nella bella stagione s’avventuravano scalzi a guadare quell’acqua bassa fangosa e incerta.

E ancora ... poco discosto, là intorno, e tanto diversamente da oggi, nella stessa zona acquitrinosa regno di fugaci pesci e infiniti insetti, sorgevano piccole aree cintate strappate alle acque bonificate della Laguna. Fazzoletti di terra fragile e molle, che valeva e non valeva … Lì sorgeva anche un cimiterietto arraffazzonato e carico di tombe storte e fosse giustapposte buone per ogni tasca e nome. Non a caso chiamavano quel posto anche “il Campo Morto” dove c’erano affacciate sull’acqua anche due-tre piccole rimesse-squeri per piccole barche da poca spesa … Catapecchi traballanti più che veri e propri squeri … Gli orti poi erano striminziti e speso invasi da alte erbacce, Topi e Pantegàne da rio … Si salvavano, invece, ed erano curatissimi quelli delle Monache e dell’unico palazzo che sorgeva in zona ... Beh: palazzo ? … Non proprio un palazzo, ma una grossa casa di pietra che sorgeva là unica e sopraelevata differenziandosi dal mare di stagoli, baracche, stamberghe, magazzini e pollai sparsi per tutta l’area.

Era più o meno così la zona di Sant’Andrea de la Zirada ... Oggi è il Piazzale: del tutto irriconoscibile ovviamente, tutto cambiato, tutt’altra cosa.

Quella volta era del tutto buia di notte quella specie di Contrada estrema di Venezia ... Il sole di giorno illuminava pallidamente quei luoghi traslucendo dalle nebbie autunnali e invernali solo vagamente ... D’estate, invece, l’aria era malsana, torrida, bollente da respirare, e si stava immersi nel sudore dentro a nugoli di Zanzare che facevano da padrone ... Dove abitavano le Monache andava un po’ meglio: c'era qualche lume, spazio asciutto, maggiore comodità ... ma non più di tanto. Il Sant’Andrea del Bècolo o de la Ziràda era uno fra i Monasteri Veneziani più modesti, che pur ospitando parecchie figlie di Nobili Casati, rimaneva pur sempre un Convento considerato di seconda, o anzi: di terza classe ... Non si distingueva affatto … Niente a che vedere con gli splendidi e maestosi grandi Complessi Monastici e Fratereschi Cittadini come: i Frari, San Zaccaria o i Santi Giovanni e Paolo, o San Salvadòr o l’Isola di San Giorgio Maggiore dei Cipressi ... Quelli erano il top dei top.

Sant’Andrea de la Ziràda al confronto: era poco cosa, robetta … e appena uscivi da quelle mura, c'era soltanto quel mare di desolazione tutto attorno ... Un posto “dove stava la Morte in vacanza” diceva qualcuno.

Ed era vero … Perché quel cimiteriolo de la Ziràda, infatti, era davvero un posto da brividi: un tetro luogo gotico, nero, depresso e inquietante abitato forse più dai Morti e dai fantasmi che dai vivi … Non a caso sorgeva là da qualche parte, e ci rimase fin oltre la metà del 1700, la Schola dei Morti e della Croxe ... Anche in questo caso: niente a che vedere con le pompose Schole Veneziane… Parevano gente fuoriuscita da quelle tombe e dall’Aldilà, s’aggiravano foschi e nebbiosi come tutto il resto del luogo … Erano uomini e donne aggregati fra loro … Quasi un paio di centinaia, che a volte neanche si conoscevano fra loro perché molto spesso indossavano cappucci sul volti quando uscivano in parata ... Parata o Processione ?

Mah ?  

Un paio di volte all’anno usciva dalle nebbie di quel posto palustre una lunga colonna di Congregati che si portava dietro a un pesante Cristo Nero appeso a una grezza Croce altrettanto nera … Spesso smunti, ossuti e tirati, quasi febbrcitanti, si portavano, scalzi molti, lungo i margini dei canali e poi lungo Fondamente, Calli e Callette fino a Campo Santa Margherita, i Tolentini e San Pantalon per poi voltarsi e tornare indietro fino a rientrare alla Ziràda. Parevano mugugnavano a volte, sospirare e mancare di respiro … “Agonizzanti che zòmpano e camminano ondulando” diceva qualcuno ... Se ne andavano a volto coperto e vestiti di tonache nere o sbiadite in grigio lunghe fino a terra ...  Sotto a quei cappucci c’erano uomini e donne pii, Nobili e comuni popolani … La Serenissima sapeva tutto … Era tutto permesso e regolare …Quelli della Croxe de la Ziràda avevano anche il permesso del Doge di questuare per tutta Venezia “per i Morti”.

Per i Morti ?

Ma di che avevano bisogno i Morti ? Forse di soldi per sussistere ? … Ma anche no.

Si questuava sulle rive del Porto, sulle Zattere fino alla Punta dei Sali, e sui Moli di San Marco, nei Mercati, sui gradini dei Ponti e delle facciata delle Chiese e Monasteri, nelle Osterie, e porta a porta per sussidiare i vivi rimasti e suffragare i Morti ... Suffragare i Morti ? … Già … Grandi e piccoli a Venezia, uomini e donne, ricchi e poveri avevano la convinzione che non solo i Morti fossero “sofferenti e inquieti” nel loro stato di attesa di Giudizio e Assenza, ma che anche i Vivi dovessero prevenirsi a suon di Messe e Orazioni per finire nell’Aldilà “alla meno peggio … senza tanti danni eterni.”

Se poi avevi commesso qualche marachella, o avevi vissuto un’esisteza sregolata … Ecco che allora era più che necessario premunirsi “a riparare e a quietare l’Eterno predisponendo a suon di palanche che Preti, Frati e Mùneghe orassero e implorassero ogni angolo del Cielo per scamparla e salvarsi in qualche modo”.

In tal caso: chi più aveva e poteva, più spendeva e investiva per l’Aldilà, e chi non poteva, invece … Beh: ci pensavano quei “penitenti de la Croxe itineranti per tutta Venezia” a racimolare qualche denaro per dare a tutti almeno un po’ di conforto e una qualche chanche di “beatitudine oltremorte”, o perlomeno di “sollievo spirituale e interiore”.

Attorno a questo sentimento incontenibile e radicato nell’Animo di tutti i Veneziani e non, l’Ecclesia fece affaroni e s’impinguò per secoli ... E anche alla Ziràda col limitrofo Cimiteriotto quel “sentire suffragante” si concretizzava alla grande con grande dispendio e girar di risorse.

Perfino i massicci e determinati Bombardieri Veneziani della Serenissima, che andavano ad esercitarsi in quelle parti desolate di Venezia, se ne andarono in fretta altrove all’inizio 1500 sottraendosi da quel luogo troppo lugubre e malandato. Pur frequentando la zona per le esercitazioni, andarono a congregarsi “al sole” dall’altra parte della Città: in Contrada di Santa Maria Formosa e a Castello, dove di certo c’era più vita e normalità ... Rimase nella zona de la Ziràda di Sant’Andrea solo il piccolo ma vispissimo gruppetto dei Pescatori della limitrofa Santa Marta, Santa Maria Mazòr e San Nicolò della Mendigola che frequentavano e lavoravano in quelle acque desuete trovando di che vivere.

Fin dal lontano 1347 una quarantina di quei cacciarosi, vivissimi e grossolani Pescatori e  Venditori di Pesce divennero assidui nel frequentare la loro Schola di Sant’Andrea e San Giacomo posta proprio in Sant’Andrea del Bècolo e de la Ziràda… A differenza di quelli de la Croxe, i Pescatori erano solari e tutta vitalità … anche se quasi tutti indebitati con le Monache de la Ziràda, o indotti a chiedere prestiti a loro per via della loro estrema indigenza e delle tante bocche da sfamare che li attendevano a casa.

I Pescaòri ben rappresentati dagli Apostoli Pescaòri pure loro, che pescavano impressi sulla facciata della chiesa de la Ziràda, pagavano le Monache de la Ziràda per far celebrare ogni ultima domenica del mese una Messa ConventualeCantata e partecipata da tutte le Monache … Con quelle si univano a cantare sguaiatamente e pressappoco Litanie in Latino incomprensibile, e si tiravano poi a lungo in processione per le vie, i fanghi, lungo i canali e fra le alte erbe de la Ziràda ... Erano il contraltare allegro alla lugubre processione dei Morti che facevano quelli della Croxe … e la Ziràda si animava brevemente con tutto quell’andare avanti e indietro per un motivo o per l’altro ... Erano stagioni effimere come le vite di quegli Insetti, Pesci e Uccelli che riempivano l’aria e le acque e i fanghi d’intorno.

Anche i Pescatori de la Ziràda erano debitamente controllati a distanza dai Quattro Provveditori della Giustizia Vecchia della Serenissima: niente sfuggiva alla Repubblica … neanche un piccolo sommovimento in Laguna … I Pescatori avevano un loro Gastaldo eletto che li guidava e rappresentava aiutato da cinque Soprastanti… Nel 1610 era Francesco Lautero… E si autotassavano i Pescatori, pur nella loro miseria … Per congregarsi fra loro nella Schola dei Pescatori pagavano 2 ducati d’iscrizione e 20 soldi annui di rinnovo … Pagavano poi da 2 a 4 piccoli a ogni “levar di tolella”(la riunione che si teneva ogni giovedì, e i nel speciale Capitolo che si teneva circa due volte l’anno … Quasi sempre quelle riunioni finivano in volgarotta e sguaiata bisboccia e bubbaràta)… I Pescatori si aggiravano per la Ziràda del Bècolo a “tòcchi e boccòni”, le mogli e i figli andavano a raccattarli per riportarli a casa, o finivano pure loro a dormire “còtti” fra le tombe del Cimiteriolo… Pagavano ancora anche 3 grossi di Tassa di Luminaria per finanziare le cere in chiesa e quelle portate in Processione: “Qua si pesca per pagare.” brontolava qualcuno:“Chissà che serva per morire se non ci serve per vivere.”

I discorsi, gira e volta quindi: erano sempre gli stessi e ricorrenti … Se moriva un Pescatore gli altri si tassavano di 4 piccoli da versare alla sfortunata famiglia del Morto.

I Compravendipesci della piccola Corporazione percepivano il 10% sul pescato venduto ... Erano esclusi dai Pubblici Uffici, anche se tenuti a portare ogni anno 2.400 Cefali come tributo ai Giudici della Corte Criminale-Civile, e altri 200 Cefali al Doge tramite il Gastaldo di tutti i Nicolotti ... e d’altra parte, pur essendo vispi, non sapevano né leggere né tantomeno scrivere, né distinguere la destra dalla sinistra … Al Doge spettava anche il quarantesimo di tutti i Gamberi anche se vietava la pesca“da San Martin in poi” nelle acque di tutta la Laguna e di Porto Secco e Lio Maggior.… Nel 1308 i graticci o grisiole da pesca: i famosi “clausuris cannarum” dei documenti, si potevano collocare nelle acque lagunari 15 giorni avanti Quadragesima, e fino a 8 giorni dopo Pasqua ... e poi in seguito da metà luglio  fino alla chiusura della stagione: a Sant’Andrea… a fine novembre ... Il Senato Veneziano di solito affittava all’incanto le acque da pesca Veneziane, ma anche quelle di Jesolo, Chioggia e Caorle col relativo diritto esclusivo di pesca ... Non si poteva vendere fra Jesolo, Chioggia, Caorle e Treporti se non sotto il controllo dei grossisti del Pesce autorizzati … Nel 1381 quasi tutto il pesce di Venezia veniva comprato all’ingrosso da Sava Sisto e Basilio Balbi che ne avevano l’esclusiva pagante, e facevano rivendere poi tutto il pesce “al palo” nelle Pescherie di Rialto e San Marco ... I Pescatori de la Ziràda erano soggetti e dipendevano da loro: “Pescavano con barche e zattere: Càppe, Bevaràsse, Ostreghe e Cièvali o Cerberare o Comeàgne, e Anguille in acque aperte o palude con cogòli, cogolèti, reti e infilando i bràssi fin dentro ai buchi e le tane del Pesce … Pescavano a bragòzzo, a tartàna strascico, a trattolina da man … e a tògna, e a fòssina.”

Ciascuna categoria di Pescatori doveva pagare apposite tasse alla Serenissima ... ed era vero: “Era tutto un pagare.”… oggi come allora: sopravvivere era un’impresa ... Pesci e Crostacei dovevano arrivare ai quarantuno stazi o banchetti delle Pescherie di San Marco e Rialto entro poche ore dalla pesca ... A Dorsoduro il pescato poteva restare sulle rive da un’ora prima del tramonto ad un’ora prima del sorgere del sole e non di più … Non si doveva insanguinare il Pesce per farlo sembrare fresco, né venderlo guarnito d’Alghe ... Si poteva salarlo solo dopo che era stato certificato per scritto dai Fanti della Serenissima che era effettivamente fresco ….

Quasi a voler mitigare tutto il puzzo e la desolazione “del luogo di acque immote e putride de la Ziràda del Bèccolo”, rimasero per un certo presenti e attivi nella remota Contrada anche gli esotici e profumati MuschieriVeneziani. Non rimasero là in quanto amassero particolarmente la zona, ma per l’opportunità strategica del posto dove potevano tenere i loro magazzini dei commerci a Venezia e non lontano dalla Terraferma.

Anche la Schola dei Muschieri o Profumieri o negozianti di oggetti da toeletta e cosmetici, e guanti profumati era quindi ospite stabile delle Monache de la Ziràda… Anzi: lavorava in perfetta sincronia con le Reverende e Nobili Monache stesse, che erano le prime clienti, e a loro volta solerti e abili venditrici alle Veneziane … L'Arte dei Muschieri riuniva gli artigiani che preparavano e vendevano profumi, cosmetici, e Polveri di Cipro (la cipria) per la quale venivano chiamati anche Muschieri da Polveri ... Nel 1535 il Garzoni distingueva i Profumieri-Unguentari dagli Speziali-Aromatori ... Uniti per un periodo con i Marzèri e con i Verièri Stazionieri Ambulanti, i Muschierifabbricavano e fornivano soprattutto: Acque Odorose, Oli Profumati, Unguenti e Saponi, ma non solo … Loro simbolo era una Croce di Malta unita a una pomata ... Loro Patrona era la Natività della VergineMadonna … Durante il 1500 i Muschieri Veneziani erano numerosissimi, e stampavano perfino vari Ricettari e Manuali sulle sostanze e composizioni odorifere ... Nel 1773 la statistica cittadina contava ancora 18 Muschieri presenti e attivi in 16 botteghe e 2 mezzadi sparsi in Città. Era questa nota la sintetica immagine del definitivo e irreversibile declino di quella particolarissima Arte.

A dire degli stessi Muschieri, loro erano: “Saggi-esperti che meglio dei Cirologi sapevano riassumere e trovare Rimedi, Composizioni Odorifere, e Secreti Tesori per la vecchiezza e la siccità del corpo”I Muschieri erano come una fucina della Bellezza e della Cosmesi Veneziana, conoscevano i Notandissimi Secreti dell’Arte Profumatoria e dei Semplici Aromati, così come: “i Rimedi per cavar le macchie dal volto, cazàr via le cotture del sole, le volàdeghe, guarir li gòssi de ogni sorte, saldàr zenzive e a far bianchi li denti, far il fiato odorifero, far che li peli nasceranno, cazàr li peli che non vi nascano più, guarir li calli dalli piedi, far che li capelli non diventeranno canuti, far acqua de bionda per capelli perfettissima, e far nascere la barba a un giovene avanti tempo.”

Per tutto questo sia le basse Meretrici di Venezia, ma anche le sostenutissime Cortigiane Veneziane, le Nobildonne e le Reverendissime Badesse e Monache cercavano senza sosta i Muschieri approfittando di continuo dei loro puntuali servizi ... Si sa: erano donne sempre desiderose di curare la propria bellezza, il candore bianco latteo della pelle, la lucentezza, i riflessi e la tinta delle chiome … Sempre a caccia “di rimanèr in qualche modo giovani” si addizionavano con creme, detergenti, speciali acque, decotti e maschere per il viso ed ogni angolo della pelle … Correvano quindi di continuo a la Ziràda sia a piedi che su barche e barchette da ogni parte di Venezia, ed era lì o a servite a domicilio dai facchini dei Muschieri, che si rifornivano di: “Oli Odoriferi, Profumi da Uccelletti, Paternostri e Liscii, Ballottine e Belletti, Blacca o Cèrusa da donne, Calcina viva per far la liscia o farsi biondi i capelli o efficaci tinture negre per scurire barba e capelli .. Le donne compravano anche Solimado, Polvere di zibetto, di muschio e di Cipro, Lume di Scajola e di Zuccarino, Creme di Bardana per i foruncoli, Lume di Rocca o raro Lume di feccia di Vino, Semenze di Codogni, Farina di Senape, Fior di Cristallo o di Boràso raffinato, Aceto lambicato, Draganti per indurire la carne, e speciali Saponetti per ammorbidirla e renderla lucente.”

Le stesse Monache di Sant’Andrea sapevano procurare e vendevano alle donne:“Incenso maschio, Piante Esotiche e Fiori introvabili di Ninfea e Sambuco … Distribuivano soprattutto: Acque Speciali di fragola, di Rose, di Fiori di Fava, di Rosmarino, di Latte di Capra o  d’Asina, di sterco di Bue, di donna, di bianchi d’ova, di Amandorle e Persico, di foglie tenere di Salice”… Le Monache de la Ziràda insegnavano anche:“Ricette per far buona la pelle”: “Trovate 30 Lumache bianche, due lire di Latte di Capra, tre once di Grasso di Porco o di Capretto Fresco, una dramma di Canfora … Dopo questo: distillate l’Acqua, la quale sarà eccellente in nettàre e far bianca la vostra carne.”

Si diceva anche che le Monache de la Ziràda conoscessero, conservassero e vendessero i Secreti Medicinali del famoso Mastro Guasparino, che era dovuto fuggire da Venezia e dalla Laguna perché sminuito e disprezzato, e anche minacciato … Il Maestro Profumieroe Unguentario s’era dovuto allontanare da Venezia fino a Verona per trovare un po’ di quiete e poter lavorare in santa pace. Nella stessa Città di Verona finalmente, era riuscito a trovare la giusta considerazione e opportuna ospitalità per il suo laboratorio presso il Castel di San Felice.

A Mastro Guasparinorisalivano le famose Ricette “per strenzere le lacrime de gli occhi, fare andare via le lentizine, far fare colorita e bella la pelle” ... e sempre di sua invenzioni erano: “i Moscardini eletti per bocca e le rinomate pirole finissime contro il puzore de la bocha, e l’Acqua per far lustro il viso e far lo volto colorito, l’Unguento da viso qual usava la Regina d’Ungaria, et Madonna Catarina da Forlì, et la Signora di Mola … e sue erano anche le famose pirole ad restringendum vulva che si diceva fossero quasi miracolose.”

In parallelo alle Monache de la Ziràda, anche le Nobildonne Veneziane si davano un gran da fare sull’argomento, cimentandosi nel migliorarsi e prendersi cura scrupolosamente di se stesse e dei giusti prodotti. Alcune di loro più acculturate e propositive si cimentavano perfino nel scrivere Libri di Ricette e Consigli, e piccoli Trattati per suggerire alle altre donne di come farsi più belle: “Per la pelle secca piglia Albume de ova de Gallina, lardo di Porco raspato, Oleo comune, Aceto o varo Agresti et mescola omne cosa insieme a modo de confetione, et con questo ugne la faccia e il collo, le mano diventeranno bianche et lucente come argento.”

Che poi a seguito di tutto questo sommovimento, sul “Confine della Ziràda del Bècolo Veneziano” finiva col capitare un po’ di tutto … Divenendo quasi parte di quello strano clima esoterico che vagheggiava e si respirava in quel “campo morto di confine de la Ziràda”, alcune Nobildonne si spingevano a scrivere d’Alchimia, d’Esorcismi e Scongiuri andando a impattare e inquietare e attrarre le attenzioni dell’Inquisizione Veneziana:“sempre all’erta e attenta a indagare eccessi e concezioni d’ispirazione mortifera, peccaminosa e diabolica.” … Qualche Nobildonna e Monaca finì in disgrazia.

Quante Storie, fatti, accadimenti, circostanze e storiacce che si susseguirono nell’area remota e desueta de la Ziràda del Bèccolo di Venezia ... All'imbrunire, ma anche di notte, all’ombra dei catapecchi, al riparo delle barche rovesciate in secca, o fra le erbe alte nell'ora più calda del giorno, non mancavano anche giovani animosi che andavano a stringersi, sospirare e sognare sotto al Cielo Veneziano.

Poi bastava ogni tanto un colpo di vento, l'alzarsi della marea, due gocce di pioggia, e tutto quel mondo effimero scompariva ... e tornava a prevalere quel modo funesto e abbrunito d’essere tipico della Ziràda ... La zona si svuotava, rimanevano solo quei pochi “scuri o bìgi” timorosi o che riuscivano a far temere e inquietare gli altri … Era comunque Venezia lo stesso.

Le Nobili Monache de la Ziràda intanto, chiuse per modo di dire nel loro Claustro, ne combinavano un po’ di tutti i colori ... Ma si sapeva: Venezia era così, e non solo Venezia in quell’epoca: “Ogni tanto le Mùneghe più giovani salivano fino in cima al campanilotto a cipolla de la Ziràda per ridere e scherzare, per godersi l'ameno panorama lagunare dall'alto, o per far tiri birboni alle vecchie Monache chine nell'orto di sotto col di dietro per aria … A Suor Pasquina soprattutto, che di fatto quasi viveva nel Pollaio, e avrebbe voluto trasformare l’intero Monastero in qualcosa del genere ... Aveva Galline dappertutto: quasi fossero sue creature ... Riempiva il Sant’Andea di Galline ovunque: ce n’erano in Biblioteca, in Refettorio, sotto ai letti delle Monache, nella Sala del Capitolo e della Badessa ... e che affari faceva vendendo tramite le sue serventi le loro ova fresche in giro per tutta Venezia.”

Lo immagino il Sant’Andrea de la Ziràda nel buio fitto del primo mattino di quel ieri lontano … Giusto un po’ più su del campanilotto della Ziràda, ieri come oggi splendeva prima dell’alba o nel cuore della notte l’arcana e bellissima in Cielo Costellazione di Orione: la “magica Farfalla Celeste” tanto inseguita, vagheggiata e sognata dagli Antichi di tutto il Bacino Mediterraneo, Africano e Orientale.

Che bellezza !

Chissà se le Monache del Sant’Andrea alzavano qualche volta gli occhi al Cielo per rimirare tanto arcano splendore ?

Mah ? … Qualche dubbio ce l’ho, perché quelle Nobildonne erano spesso un po’ troppo “terra-terra” anche se ufficialmente edotte, privilegiate e potenti, e tutte dedite “a stare sulla soglia delle cose di Lassù”.

Le Cronache Veneziane sono fitte delle vicende contorte, rosa, e di tutti i colori vissute per secoli dalle Monache de la Ziràda su quel perimetro estremo di Venezia. Le Monache si occupavano di tante cose, intrallazzavano parecchio, e più di qualche Nobile Mercante Veneziano o NobilHomo libertino a caccia di avventure approfittò della posizione strategica e defilata del Monastero per utilizzarlo come “base” utile per i propri affari e aneliti più o meno puliti ... E pure le Monache figlie di tanta Nobiltà, non si tirarono affatto indietro nell’interpretare desideri, scopi, sogni e propositi che avevano ben poco di spirituale e monastico.

Così andavano certi ambienti Veneziani … Però voglio pensare anche che all’alba di ogni giorno, quando ancora d’inverno era notte piena e gelida, almeno alcune delle Monache del Sant’Andrea bene o male, si recassero nel Barco sopraelevato del Coro che stava sopra alla porta principale della chiesa (esiste ancora). Lì: “… come dentro all’Alcova del Convento, le Monache de la Ziràda si dedicavano a quel che doveva essere “il meglio” della loro presenza in quel luogo remoto ma interiore … Le Monache indugiavano a pregare e meditare insomma, e stavano là a implorare Benedizioni, Suffragi e Misericordia su se stesse, e verso la Città Eterna di Venezia, sul Principe Dogale, e sull’intera Serenissima ... Ecco quale dovrebbe essere il senso di tante realtà Monasteriali ed Ecclesiastiche presenti a Venezia: la Città dai mille campanili e campanelle: un immane “Calamita Cosmica” capace d’attrarre ogni Grazia Divina Superiore sulla nostra Specialissima Laguna.”

Tale “sentire”è di certo superato e cosa obsoleta per noi moderni di oggi. Noi fatichiamo a capire e intendere così la Storia: abbiamo un’altra percezione delle dinamiche dell’esistenza e del Mondo e della Società in cui viviamo immersi ... Viviamo altri Tempi: più laici, concreti e fin troppo eterei e corporei.

Cosa curiosa, tornando alla Ziràda del Bèccolo …. In quello stesso luogo ancora prima delle Monache del Sant’Andrea sorgeva l’Ospedàl dei Samitèri: due casette adiacenti in tutto all’inizio, cioè quelle visibili ancora oggi accanto alla chiesa di Sant’Andrea (gli Uffici della Veritas di Venezia)… Credo di non esagerare nel dire che quell’Ospissio de la Ziràda era una delle tante piccole “discariche umane di Venezia” dove si andava a finire miseramente i propri giorni in qualche modo. Chi entrava là, al massimo una ventina fra maschi e femmine: soprattutto vedove di quelli dell’Arte della Seta, terminava d’esserci finendo in mano a volonterose quanto spicce assistenti che badavano ai presenti al modo in cui le Monache accudivano le Galline nel vicino Monastero ... Non era granchè l’Assistenza Sanitaria Veneziana di un tempo.

Già nel 1346, durante il Dogado di Andrea Dandolo, venne meno l'utilizzo di buona parte dell’Ospedale, che venne trasformato in Monastero Agostiniano di Clausura ... Nacque così il Monastero di Sant’Andrea della Ziràda ... Nel successivo 1475 si demolì anche l’Oratorio dell’Ospizio ridotto a un paio di casupole, e si utilizzò una donazione dei Cittadineschi Bonzio per costruire la nuova chiesa dedicata ovviamente a Sant'Andrea Apostolode la Ziràdavisibile ancora oggi.

I Samitteri, che mettevano vedove e vecchi nell’Ospissio-bicocca lurido fumosa posta sui margini estremi di Venezia, erano parte dell’Arte Cittadina dei Panni di Seta Veneziana. Il Samitto era un tessuto molto commercializzato e abbastanza redditizio. La prestigiosissima e ricca Arte della Seta esportava i Samitti prodotti a Venezia sia in Levante che in Ponente, e importava prodotti di pregio da tutto al Mondo facendo arricchire la Serenissima e molti Mercanti. Il Setificio era fiorito a Venezia nel 1300 con l’arrivo dei Lucchesi dalla Toscana. Fra 1300 e 1660 il numero dei telai che servivano all’esportazione della Seta Veneziana toccò il numero di 3.000, e altri 1.000 telai erano dedicati all'uso interno della Città e dello Stato. Progressivamente nei secoli successivi il numero dei telai iniziò a decrescere tanto che al cadere della Repubblica se ne contavano solo 350 e poi 300 in tutto. I Tessitori di Seta Veneziani come “daMariegola” avevano come Patrona: la Vergine Annunziata, e si ha memoria di due Schole di Devozione e Lavorodei Setaioli: una accanto all'Abazia e antico Albergo della Confraternita della Misericordia; l'altra ai Gesuiti sulle Fondamente Nove. Più volte a Venezia l’Arte della Seta mostrò la propria magnificenza … Le Cronache ricordano ad esempio l’occasione del solenne ingresso della Dogaressa Morosini a Palazzo Ducale il 4 maggio 1597: “quando l’Arte della Seta pose nelle stanze dei Signori di Notte al Criminale: due gran pilastri con un grosso architrave a portale ricoperto di panni di seta d'oro variopinti, e dalle bande del corridoio lunghi teli di raso giallo e damasco chermesino, e dentro all'Uffizio: un fornimento di tela d'oro pieno di cordelle d'argento con fregi lavorati d'argento e oro ... Avea coperto poi la tavola delle argenterie con tabì d'oro, tutto disegnato ed orlato all'interno di tabì d'argento, pieno di fogliami di seta verde e d'oro.”

Uno splendore insomma.

Era nato bene e con buone intenzioni all’inizio l’Hospedaletto dei Samitèri “in Cào de la Ziràda affacciato sulla Laguna verso la Terraferma. Nel lontano 1329 s’era fondato con le donazioni delle Nobildonne Pie e Benefattrici che a Venezia non mancavano mai … Piano piano s’era avviato prendendo una certa piega: Francesca Corner, Elisabetta Gradenigo, Elisabetta Soranzo e Maddalena Malipiero: le “benemerite”, ci avevano messo a capo anche un Priore che dirigesse e sorvegliasse “il tutto”… Poi era stato proprio uno di quei Priori a travisare progressivamente le intenzioni originarie del luogo trasformandolo in “luogo-macchina” per i suoi scopi e interessi … Storie Veneziane ... S’erano messo contro l’Ospissio dei Samiteri in maniera inverosimile e ostile con pesanti critiche e contestazioni, e con tutta un’opera di sabotaggio il vicino Monastero di Santa Chiara o Ciàra de la Ziràda che sorgeva su un isolotto a pochi metri di distanza dall’Ospizio de la Ziràda (l’attuale Caserma di Polizia di Piazzale Roma di fronte all’Hub di Bièlo, accanto al distributore sulla svolta per il Tronchetto).

Allora lì sulla Ziràda non c’era nient’altro: solo le Monache del Sant’Andrea e del Santa Chiara della Ziràda, e l’acqua, le paludi e le barene.

Pur professando ufficialmente “assoluta povertà”, le Nobili ed eleganti Monache Urbaniste di Santa Chiara erano famose a Venezia e anche di fuori per la loro raffinatezza e ricchezza. Temevano … avide … che l’Ospizzio dei Samiteri facesse ridurre gli oboli di elemosina che erano solite ricevere in abbondanza dalla Pubblica Carità dello Stato e di quelli che frequentavano la zona … Ancor più temevano che l’Ospizio distraesse le benevolenze e la Carità di Nobili e Mercanti soliti a transitare per il posto e beneficare soprattutto loro nella Contrada de la Croxe e de la Ziràda.

Le vicende dell’Ospizio dei Samiteri s’incrociarono a lungo con quelle delle Monache de la Ziràda. Le Cronache Veneziane sono puntuali nel raccontarci che il Sant’Andrea fu a lungo “luogo di disordini” soprattutto fra1567 e 1568. Le Monache benestanti, poco impegnate e prive di vocazione facevano donazioni ai laici che finirono così per prosciugare quasi del tutto le risorse del Monastero: “Quelle che tende alla porta sempre stanno la, né mai vanno né in Choro, né in Refettorio insieme con le altre, né danno obedientia alcuna a Madonna la Priora.”

Zorzi barcarolo convocato d’urgenza dai Provveditori da Comun della Serenissima che iniziarono a indagare, racconto come una volta Suor Beatrice gli aveva chiesto di recapitare farina nascosta a una delle sue sorelle: “Suor Beatrice Moro mi fece barecchiar la barca, et mi mette in barca, et fece portar via tre corbe de drappi con drappi sporchi, et sotto quelli drappi per ogni corba vi era un sacchetto di farina…et le scargassemo a Santa Caterina a casa de una sorella di essa Madonna Suor Beatrice…”

Cronache e atti giudiziari raccontano di prolungate disobbedienze e discordie delle Monache, di relazioni illecite e frequenti quanto eccessive violazioni della Clausura … Le Monache Veneziane, e non solo loro, si sa: erano sempre intrallazzate, frammiste e intrigate con la piccola folla dei Pescatori residenti, con gli Artieri, e soprattutto con gli aitanti Burchieri e Cavacanali a cui affittavano casupole del Monastero sul Rio de le Burchielle … C’erano sempre continui intruffolamenti nel Monastero, azioni e relazioni nascoste, affari sottobanco e connivenze a tutti i livelli: economico, sentimentale, devozionale ... Si sfiorava di continuo il losco, l’esagerazione, la perversione, l’evasione da ogni regola e legge nel Sant’Andrea ... Che fare ? “Le Mùneghe in fondo son donne … Anzi: due volte donne: una come femmine, e l’altra come Nobildonne Monache insignite del prestigio del loro Casato e Status … e sono donne vive, oltre che giovani e facoltose … Perciò desiderano e possono permettersi un po’ di tutto, e vorrebbero godersi la Vita piuttosto di rimanere chiuse in quello spartano reclusorio … Non possono pensare solo alle Galline che hanno sotto al letto ...” provò a difenderle e supportarle un Nobile Familiare davanti ai Provveditori della Serenissima.

Zorzi barcarolo proclamandosi estraneo ai fatti testimoniò ancora:“faccio tutti quelli servitii che le Muneghe me fa far, et vado de fuora a scuoder quando le me manda…vado a spender per el Monasterio et anco per el Cappellano …”

Venne interrogato poi anche Girolamo facchino risentito perché gli erano state ridotte le commissioni da quando era stato assunto Zorzi barcarolo: “Servo anco adesso al Monasterio el formento, la farina, le legne et quel che fa bisogno, et secondo che me vien ordinado … Un gruppo di donne pettegole vivono a spalle del Convento ...Fra queste sta Zuana detta Gagiarda, che la tien le Galline da otto a diese de Madonna Suor Gabriella a casa sua, et essa Madonna Suor Gabriella la sustenta de pan et de vin et di ogni altra cosa accio la ge nutrisa queste galline … E ci sta anco Felicita, amante del Confessore del Monastero, che non solo vive in casa soa a spese del Convento, ma gli fa mantenere anche i suoi otto figli, e fa lavorare la figlia Tesaura nell’Ospizio dei Samiteri collegato al Monasterio ... Felicita armeggia e briga con le Monache: la vedo andar dentro della porta, sentarse su quelli banchi in compagnia con queste Reverende Monache, Madonna Suor Gabriela et delle altre, et subito che le sono la vedo darghe la man una con l’altra basarse et Felicita metter le man in sen a Madonna Suor Gabriella et basarse una parte et l’altra.”

Secondo Maria: una delle vedove ospiti nell’Ospissio dei Samiteri: “Felicita racconta in giro ciò che l’amante Confessore ha udito nel Secreto del Confessionario delle Monache … Lo svela a lei … et lei sta continuamente et li fu anco hieri, et porta parole su et zozo che la sta le belle tre hore in celletta a rasonar con quelle muneghe, che ho ditto et tolleva ciance de qua, et le portava de la et me par, che la reporta le cose della confessione et a ogni confessiva se feva un scandalo perché la riferiva alle Muneghe quel che se haveva confessà …”

Le Vedove dell’Ospizio erano molto risentite verso le Monache e le domestiche che ritenevano causa di tutte le loro privazioni: “Se muor de fame, per el mal governo qua dentro.” Un certo numero di persone losche ruotavano attorno al Monastero appoggiate da Suor Anna Giustinian, Suor Gabriella Salomon, Suor Elena Cappello, Suor Beatrice Moro e dalla Monaca Conversa Suor Anfrosina.

Elena, un’altra delle vedove dell’Ospizio depose davanti ai Provveditori: “Vedemo a portar fuora cesti, sacchi per quelle so femine, per quelle so petegole et certi della villa che porta golani, et se ge da pan, semolei, farina et altro…”

Alla fine di due lunghi anni d’indagini i Provveditori da Comun emisero sentenza d’interdizione, pena il bando da Venezia e dai suoi confini, per 8 donne e 3 uomini. A loro fu proibita l’entrata nel Convento de la Ziràda, di parlare con le Monache, e anche di avvicinarsi al Parlatorio e all’Ospizio dei Samiteri ... Vennero ufficialmente condannate: “ Zuana Gagliarda sta sula fondamenta Sant’Andrea in calesela et sua fia ... Pasqua Furlana che sta a Santa Chiara ... Lucretia Zotta che sta a San Polo, Franceschina vedoa che sta al Ponte de legno in chavo del Campo ... Anzola Sartòra a Santa Chiara, Madalena sta a Santa Chiara, Donado Fachin sta alli Frari, Donna Andreinna fillachanevo sta per mezzo la chiesia, Alvise fio de Donna Felicita già bandito dal Convento un anno prima e Zan Francesco Sartòr al Ponte di legno in cavo al campo.”

Una gran storiaccia insomma.

Dopo quei fatti l’Ospizio de la Ziràda venne ridimensionato e lasciato languire per un certo tempo sull'angolo sud-ovest del Campo di Sant’Andrea… Continuò comunque ad ospitare “alla buona” poveri infermi d’ambo i sessi e qualche vedova dell’Arte dei Samiteri.

Solo nel 1684 il Patriarca Sagredo dispose la definitiva chiusura dell'antico Ospedàl ordinando alle Monache de la Ziràda di utilizzarne i locali per accogliere 12 giovani donzelle sprovviste di adeguate doti da Monaca Professa: “Diverranno in seguito dopo dovuto ammaestramento, solo sempliciMonache Conversedi Servizio e supporto al Monastero e alle Nobili Monache Professe.

Per la cronaca successiva: il Monastero de la Ziràda venne soppresso nel 1797, e demolito in gran parte dopo il 1810 conservando solo la chiesa de la Ziràda sconsacrata ed adibita ad altri usi. L’ex Ospedàl rimase chiuso e abbandonato fino a quando venne acquistato nel 1840 dall’Abate Lorenzo Barbaro insieme alle case in Calle dei Testori spettanti un tempo all'Arte dei Tessitori di Seta.

L’Abate restaurò e convertì le casupole in “Istituto d'Educazione Femminile per donzelle bisognose e derelitte”, affidato per decreto austriaco alle Suore di Santa Dorotea.

Questa è stata quindi “la Ziràda del Bèccolo”, dove non mancò qualche presenza a volte senza nome che capitò là da altrove, dalla Terraferma o scendendo dalle navi di Levante e Ponente in cerca d’espedienti o fuggendo da qualcosa o qualcuno: “Alla Ziràda presso il Campo Morto si può trovar posto per tutti: basta adattarsi … e si ci potrà imbarcare in qualche nuova avventura.”… anche se la Serenissima sapeva vigilare sempre, aveva occhi e orecchi dappertutto, pur sembrando non esserci.

Solo all’inizio del 1900 con la decisione di realizzare il nuovo grande Garage Comunale si provvide a ravvivare il luogo provvedendo alla quasi completa demolizione di tutti gli edifici preesistenti, compresa buona parte dell’antico Ospeàl e Monasterio de la Ziràda.

Il luogo sembrò scomparire, dissolversi nel nulla perdendosi nelle spire invisibili del Tempo che tutto appiana, ingloba e supera rivestendo di dimenticanza ... Sorse Piazzale Roma… e più tardi il Ponte Littorio poi della Libertà… e poi il Tronchetto, e tutta la vitalità di oggi.

Per fortuna, fra sole e pioggia, buio e giorno, c’era sempre lì a tutte le ore sui luoghi della Ziràda del Bècolo anche un nugolo di bimbi discoli e allegri, ragazzotti perdigiorno che rallegravano come Api sul Miele quelle plaghe un po’ dimenticate di Venezia ... Vedendoli ridere, correre, inseguire le loro fantasie giocando con niente e saltare ronzando come Mosche e Cavallette ovunque, quel posto divenne progressivamente meno tristo e desolato … meno sospeso fra cielo e terra sulle acque Veneziane di quei tempi oggi lontanissimi.

Infine con i Veneziani mandati via svaporarono progressivamente da quei luoghi anche tutti quei bimbi e giovinetti, e con loro le memorie de la Ziràda del Bèccolo che non c’è più.

 

In Osteria ieri … a Venezia

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#unacuriositàvenezianapervolta 342

In Osteria ieri … a Venezia

“In vino veritas”… e poi esiste tutta un’intera cultura e letteratura curiosissima sul Vino e i luoghi Veneziani del Vino … Come il solito: c’è di che perdersi nel scoprire … Esiste almeno una decina di modi diversi per indicare i Luoghi del Cibo, della Compagnia e del Vino a Venezia: Bàcari, Ostarie, Bèttole, Magazèni, Furàtole, Malvasie, Bastiòni, Càneve, Cantine, Taverne, Fràsche… ma c’è molto altro in più.

Non intendo tediarvi … Mi piace, invece, scrivere di un aspetto Venezianissimo di questi luoghi che esisteva fino a qualche decennio fa, e che ora, purtroppo, sta andando a scemare, anzi: si è già perso quasi del tutto … Purtroppo: lo ripeto ... Non sono di certo soltanto io a dirlo.

In Ospedale fra i tanti che vanno e vengono, ho incontrato di recente un’anziana Ostessa Veneziana “in restauro”: una V.I.P. a suo dire, cioè: una “Vècia in pensiòn” … Una vita intera trascorsa a vivere e lavorare in Osteria ... Mi piace un sacco incontrare persone così: sono ricchissime di vissuto, non smetterei mai di ascoltarle … Hanno spesso da condividere in maniera spicciola, immediata e piacevolissima delle vite intere, dei modi e delle esperienze interessantissime.

“Venesiàn de Santa Marta ti xè ? … Ah ! … Me ricordo a Vècia Canòcia … e tutte e Ostarie del Ponte de la Piòva all’Anzolo par andàr ai Mendicoli … Le gho tutte presenti: a una a una … Che liòghi pieni de vita che le gèra un tempo ! … Zò par l’Arzere fin alla Vaccaria e a Santa Maria Mazòr … Quanto lavoro ! … Quanta Venèssia viveva da quelle parti, e quanta vitalità che ghe gèra.”

“Già … Ora è molto cambiata la zona: quasi del tutto ... Non ci sono quasi più quelle persone, e neanche quei modi d’essere e vivere.”

“Lo so … Lo so bèn … Adesso ghe xè tutto studenti, caxe vòde e zènte forèsta (straniera: da fuori)... Non ghe xè più a Venèssia de gèri (ieri): tutta famègie, zènte da lavoro: manovali, portuali, facchini, barcaroli, pescòri e mestieranti … Se viveva in un’altra maniera: in modo  spicciolo, ordinario e spontaneo … e anche e Ostarie gèra come famègie … Si: perché e gèra a conduziòn familiare: vivèvimo e abitavimo in Osteria … Gèra tutta un’altra ròba: tanto diversa da ancùo (oggi)… Quando ti entravi a bèver un’ombretta o a mangiarte un cicchètto … o a pranzàr a mezzogiorno, gèra un fià come tornar a casa propria: in famègia ... Ghe gèra confidenza, amicizia: se conosèvimo.”

“Che tempi ! … Quasi da non crederci.”

“E che modi ! … Se ciamàvino par nome, oppure se disèvimo: fradèo, sorèa pur senza esserlo … Bàrba ai più vèci … Paròn par rispetto …  Ghe disèvo “Fiòi mii” a chi veniva da mi … Ghe gèra un clima diverso: de condivision … e anche più sincero: de fiducia … Anche se dovevimo pensare anche el mestièr co quel fià de guadagno che serviva par andare avanti … L’Ostaria gèra la nostra piccola attività, el nostro lavoro … Però nol gèra tanto diverso da andar a pescàr, o in fabbrica, o a portar ròba in giro … Gèrimo tutti su la stessa barca.”

“Solo chi ha vissuto esperienze dirette come la sua potranno capire certe cose … e possono anche raccontarle … Le nuove generazioni non sanno niente di tutto questo ... anche se sono Veneziani ... E’ come se vivessero un altro mondo, e forse è proprio così.”

“Si … Xè vero … Vedo anche me nevòdi (nipoti): i se stùfa (s’annoiano) a scoltàrme, no ghe interessa più de certe storie: ràba da vèci … Ai nostri tempi ghe gèra in giro per Venessia tanta miseria, ignoranza e semplicità … Oggi i gha tutto invèsse … No ghe gèra tutto el benessere e le comodità moderne de ancùo (oggi)… Gèrimo reduci da le guère: co tanta devastasiòn e disgràssie, giovani non più tornài, e Mantellate e Orfani de guèra … Tutto gèra diffisile, e ghe voleva coraggio par andar avanti ogni giorno … Se doveva vinsèr tante timidesse, tante abitudini de una volta … Tante novità è gèra troppo grandi par noàltri … Soprattutto par le donne … No se savèva come moverse e comportarse … A volte se perdèvimo strada fasèndo, e no gerimo bone de ritrovarse in mezzo a tante carte, complicaziòn, burocrasie e modi moderni ... Non gerimo imbaucàe (sprovvedute) e insulse, ma gavevimo anche un’educaziòn diversa ... antica.”

“Come oggi gira e volta ... Non siamo tanto diversi da ieri come capacità d’emanciparci.”

“No … Quea volta i cambiamenti gèra de più: tanti, troppi tutti in una volta … Tante robe ti e venivi a saver solo sui giornali, o scoltàndo a radio … Solo dopo se gha spalancà tutto el mondo de adesso co sti telefonini, i compiùter e le televisiòn … El xè un mondo nòvo superiòr de sicuro, tanto diverso da quello che vivevimo noàltri ... Mi ghe ne capisso poco ... me perdo fra i bottoni da strucàr.”

“Mi fa venire alla mente mia Suocera con questi discorsi: la Contrada dell’Anzolo gèra tutto el so mondo … Andar dall’altra parte de Venèssia: era come andare in gita fuori porta: una piccola impresa a volte ... mezza avventura ... Mi ha raccontato che certe parti di Venezia non le ha mai viste in vita sua.”

“Si …. Proprio cusì: se viveva sempre dentro alla Corte, in Fondamenta, e stretti nei campi e campielli della Contrada: gèra qua tutta la nostra esistenza … Altro che tutto el Mondo in casa come oggi … Neanche savèvimo che l’esisteva tanto Mondo … El se diseva solo a scuola … e minga tutti andava a scuola da putèi … Tanti andava subito a lavoràr, e famègie gèra piene de fradèi e sorèe: tante bocche da sfamàr e mantener, l’affitto, i debiti notài da pagàr a bottega a fine mese … Noaltri a casa: gèrimo dièse fra maschi e femmine … e do xè anca morti appena nati … Gèrimo in tanti: tutto diverso ... Ancùo se tutto va dritto e ben, i fa un fiolètto unico e vizià a quarant’anni ... Te par modo ? … I fiòi te ciàma Nonno, no Papà.”

“Mio Suocero, che nel suo piccolo non è stato uno degli ultimi, ma fra quelli più dotati, vispi e intraprendenti … Uno che si è fatto una piccola cultura e competenza lavorando e stralavorando, e studiando di sera ... Non si è mai spinto fino all’isola di Torcello, che ha visitato con me solo a 70 anni suonati ... Le pare possibile ? Un Veneziano ? … E, invece: è andata proprio così.”

“Non me meravègio … Se costumàva cusì una volta … Se stava rintanài qua: su e zò par i stessi quattro ponti e campielli par tutta la vita... Già sposàr una de Castèo o de San Polo gèra come traversàr una forèsta: un’avventura da mille e una notte.”

“Altri tempi … altri modi … Vivevate in modo curioso però ... Eravate allegri e speranzosi … Vi accontentavate di poco.”

“Si … Quanto lavoro però … e poco divertimento … Se la passàvimo però con niente … Ridevimo fasèndo ballàr un cavèo … Se andàva a nuàr co a tòla da lavàr in canal sotto casa … Gavèvino e bambole de pèza … Gèra sempre una festa qualsiasi cosa … Un per de scarpe nòve, una còtola a fiori a volte xà usàda dalla sorella più granda: gèra come vinser al Lotto … Me parèva d’esser una regina … Ocio che arriva el ghebi ! ... Sigàva i fiòi che zogàva al balòn in corte e in campo co a fionda in scarsèa … Quante ròbe che gèra proibie una volta … Gèra scritto e se lezèva sui muri: no sta far questo, no sta far quello … Andavimo a sognàr i zogàtoi sul Ponte dei Zogàttoli: ne bastava vardàrli … e speràr che prima o poi arrivasse qualcosa.”

“Da bambino ho chiesto speranzoso a Babbo Natale di portarmi una corazza con l’elmo con le piume, lo scudo e la spada da guerriero … Mia Mamma ha detto subito: “Ho sentito che quest’anno Babbo Natale lascerà il posto a la Befana” … Voleva guadagnare tempo … E all’Epifania mi è arrivato, invece: uno schioppetto piccolo lungo mezzo braccio … “Come mai questo sbaglio ?” ho chiesto alla Mamma … “Eh: Babbo Natale xè andà in confusion … e la Befana gha finio tutti i regali … Contentàrse … Quest’anno: va così.”… E così è andata ... Ero contento lo stesso col mio schioppetto che sparava un tappo di sughero legato davanti.”

“Gèrimo sempre contenti lo stesso … E noàltre zovanètte, balàvimo in Corte a bràsso co a cugina o la sorella sognando el Principe Azzurro … Che poe el xè sta: Anzolètto, ch’el stava proprio de fàsa (di fronte) a casa mia … O gavèvo sotto ai occi da tutta una vita … Tanto par dir come che andava un tempo le storie … Andàr un per de volte in carbòna in un vècio palazzo xè sta a trasgressiòn più granda de a me vita … A dusènto metri da casa: no de più ... Par mi gèra el massimo … Uscendo: andavimo a bèver e rinfrescarse a la fontana ... Altro che l’aperitivo e el spritz !”

“E l’Osteria com’era ? … Com’è andata ?”

“Ah !  ... Ciàmime Càte ! … Anche se no xè el me vero nome … El gèra quèo de me Nonna che xè morta … Ma i me ciamàva tutti cusì in Ostaria … Tante Ostarie gèra dei bùsi fumosi, dei bìgoli stretti e scuri dove bever qualcosa in pie e in compagnia … In fretta spesso: fra un lavoro e l’altro … senza un gabinetto, né un cantòn dove sentàrse un attimo in tranquillità … La nostra a gèra, invesse, un Ostaria de famegia portàda avanti za da me Nonno …Un bel posto dove star tranquilli.”

“A chi no ghe piàse el vin: che Dio che tòga l’acqua.”

“Si: el gèra un detto da Ostaria … Una vita de proverbi, e de modi, de discorsi su discorsi condii con tanti detti, co a politica, le gioie e le preoccupasiòn de ogni giorno, le ròbe del lavoro … e a volte anche tanti strambòtti.”

“Avevate Vini di diverse provenienze giusto ?”

“Si … Gavevimo un fià de tutto … Gèrimo un’Ostaria de periferia, non de lusso … Smerciavimo soprattutto vin sfuso e de casàda … Ma el Nonno e me Papà saveva parlàr e vender anca del Vin da Padova da pasto, del Forèsto de Manduria, del Monselice, dei Vini del Piave, del Modena Dolce … Gavevimo sulle mensole e bottiglie dei vini Romani dei Castelli, che non vendevimo mai … Me ricordo anche del Verona Rosso e Bianco … d’el Vin da Rodi e da Marsala …. L’Aleatico costava da venti a ottanta centesimi in più se servio al tavolo, da venti a novanta in manco s’el gèra da esportasiòn, cioè senza servizio e da portàr a casa.”

“Eravate esperti di vino … come le Enoteche e i Sommelier di oggi.”

“Anca no … Tanti Osti e Ostesse non sempre saveva distinguere par davvero Aleatico da Passito … Se savèva un poco de Vitigni, acini, color e aroma … Se andava un fià a spanna, a pressappoco: se disèva sempre e stesse ròbe … El vin gèra sempre: caratteristico, dolce o liquoroso, de color rosso rubin, bianco o rosato … e se parlava de gradasiòn alcolica alta o bassa, de fermento e genericamente de cantina e locali da tenir arieggiati co poca umidità ... Tutto qua … Tanto chi comprava ne saveva ancora manco de noàltri ... L’importante gèra riuscir a vender qualcosa ... No gèrimo sti grandi esperti raffinati.”

“Quand’ero bambino sentivo parlare spesso del Vermouth e della Cremamarsala …”

“Si … E andava tanto de moda in quei anni … El Vermouth gèra e xè un vin liquoroso da 16-18 gradi, amarognolo e aromatico … Un vin del Piemonte: da Torin e Asti, dal Cuneese … I lo fa inveciàr dopo averghe zònta: zucchero, droghe e aromi varî come: Assenzio, Centaurea, Genziana … e altri come: Timo, Coriandolo, Maggiorana e Cannella … I lo colora col Caramello … Ghe gèra qualche donnetta che tornando dalla spesa se permetteva el lusso de un bicièr bon ogni volta: una Chinètta, o appunto: un Vermouthin e quattro ciàcoe co noàtre a fine mattina prima de tornarsene a casa fin al giorno dopo.”

“Vermuth vuol dire: Assenzio in Tedesco … Mi pare.”

“No so … De sicuro el xè liquoroso, un Moscato co dentro Erbe e Spezie mescolàe in diverse qualità … Ghe xè el Vermouth secco che xè bianco, e quello dolce: che xè rosso.”

“Un vin storico comunque.”

“Si: lo usava el Re del Piemonte ... Ma el nonno disèva ch’el gèra un vin d’importasiòn Tedesca.”

“E dopo ? … Che altro beveva e donne de la spesa ? … Un Ombretta de casàda ?”

“Si e no … L’Ombretta gèra più par i omeni … E donne preferiva aCrema Marsala al gusto del Zabaion e con l’Uovo … Un gusto più sofisticato insomma … Elegante ... A Crema Marsala no xè proprio acquaciuciòn se volemo dirla tutta.”


“Ma no sarebbe un vino da dolci più che da Tavola ?”


“Si … In effetti el xè cremoso, ma el xè anca un Liquor: un aperitivo come el Zibibbo, el Moscato e la Malvasia.”


“Vendevate anche al gòtto al banco, e sfuso … Ricordo che si andava in Osteria a farsi riempire il bottiglione di casa travasando il vino da una Damigiana.”

“Si: vendevimo “al litro” …. E gavevimo Vin da tavola rosso, che costava un fià manco, e Nero da tavola più corposo che costava un po’ de più … el Bianco de solito veniva a costàr de manco … ma dipendeva dalla marca ... Gèra anca meno richiesto.”

“Me piaceva quando entravo nelle Osterie della mia Isola, sentir dire: “el vin Primitivo … o el Vin de Manduria” … Da bambino pensavo che fosse un vino proveniente dalla Cina, da Gengis Khan.”

“Beh … Quello era in bottiglia … Costava de più ... Era un vin da primi piatti, arrosti e carne: da selvaggina ... Un vin da Cacciatori ... Me Papà e me Mamma vendeva soprattutto vin de casàda che i andava do tre volte l’anno a tor in Campagna direttamente dai Contadini … El arrivava co a barca in Damigiana … insieme a qualche bottesella de Vin Bòn, che però nol gèra mai par a nostra Ostaria: costava troppo.”

“Dai … Dimmi altri nomi di vino che vendevi.”

“Non so: el Clintòn, el Rabòso, … e anca el Mòsto quando gèra stagiòn, che i portava direttamente da Valdobiadene.”

“Che odori e che sapori vero ? … Vivevi di continuo dentro a sensazioni e gusti.”

“Beh ... Insomma … Dopo un po’ se fa abitudine, e no se fa più caso a tante cose, che sembrano tutte normalità … Me Nonno comunque diseva che un’Osteria a xè come e mègio de una Farmacia: rimedio par tutti i mali.”

“E certo … e non solo quelli del corpo vero ?”

“Si … Te disevo che l’Osteria a gèra come una famègia, ma anca un porto de mar … Ghe gèra un fià de tutto, e ne passava de tutte e sorta e colori …”

“Se andava in Osteria anche per giocare a Carte: a Scopa, Briscola, Tresette co l’asso …”

“Ma non solo … Gavèvimo anca una delle prime television in sala: un privilegio, un lusso … Tutti intorno bevendo almanco qualcosa: un’ombretta o un caffè coretto, una bibita o una gasòsa ... Se riempiva a sala spesso de zènte che veniva a vardar.”

“Ma eravate un Osteria o una Trattoria … di quelle “da mezzogiorno … da operai” ?”

“Un fià e un fià.”

“Gavevimo ancheCicchetti  … Gerimo una Trattoria un fià bassa, a la bona … appunto: de casada, a conduzione familiare … Sul bancòn ghe gèra tutti i giorni: mezze uova fabbrite, Polpette, qualche Folpetto, i Peveròni ai ferri, i Pomodori al forno, qualche bòna Patata … i Citrioli, le Olive verdi e nere, e le Cipoline (con una “C” soltanto)… Se vendeva anche un trancio de Mortadella … Poi se si voleva, c’erano anche i Formaggi: i Caprini, ma anche qualche bona Canòccia, qualche Peòcio saltà e scaltrio a scottadèo … al momento.”

“E a pranzo ?”

“Mamma non faceva mai mancare ogni giorno qualche buona Tagliatella, i Spaghetti, e Paste e Fasiòi, o el Minestròn … Ghe gèra i Tortelli in brodo volendo, e la Zuppa de trippe … o i Tortellini co panna e funghi  … Volendo se fasèva anca un fià de tutto su ordinaziòn: qualche buon Risotto de Gò o de Carciofi de Sant’Erasmo o de nèro de Sèppa … Dopo ghe gèra i “secondi”: del buon bollito, bistecche, braciole, Faraona o Vitello arrosto, tacchin, anara selvadega, coniccio(coniglio)qualche volta … Mamma cucinava anche selvaggina fresca nostrana, appena cacciata: Ucceletti con la polenta  … Quello era un prezzo a parte … Dipendeva anche chi era il Cacciatore ... e dopo avevamo anche i contorni: sempre cose di stagione … Patate, piselli, Radicio(ancora con una “c” sola), Insalata par sciacquarse a bocca, o le Melanzane … e dopo gavèvimo: Frutta, Dolce fatto in casa e gelato ... Caffè e bicerìn.”

“E Scaloppine, Code de Rospo, Grigliate di Pesce, Fritture miste ?”

“Beh … Facevamo un poco anche de queo … Avevamo menù ordinari, molto alla mano, quotidiani … par scarselle piccole.”

“Servizio e coperto ?”

“Ma no ! … Se faseva prezzi giusti che accontentava tutti … Alla bona ... Direttamente: senza tante storie.”

“Senza ricevuta fiscale.”

“Più o meno … Non esisteva tante casse e bollette … Se pagava el conto: e fine ... e dopo o se tornava in fretta a lavorar, o se stava là a contarsela, a fumar, bever, zogàr e spettegolar de politica, lavoro, fatti e persone ... Venezia era piena di posti del genere: ce n’erano ovunque: nei Campi e Campielli, in Fondamenta, ai piedi dei Ponti, nei Sottoporteghi, nella Salizàde, nelle zone delle botteghe, del mercato e delle pescarie, vicino alle chiese, ai grandi palazzi istituzionali e alle Spezierie-Farmacia … Il Nonno mi raccontava che c’erano almeno una cinquantina di Osterie-Trattorie nel Sestiere di Cannaregio, una trentina a Castello, una quindicina a Dorsoduro, sette-otto a Santa Croxe, una decina alla Giudecca … e che ce n’erano altrettante anche nel Sestiere di San Polo, come in quello nobilissimo de San Marco ... Non mancava el lavoro per tutti se si sapeva accontentarsi.”

“Sono belli i nomi delle Osterie … Certi sono antichi: vengono dal Medioevo come: “la Frasca”, o le Osterie dei Mestieri: “al Marinèr”, “ai Osti”, “ai Fornèri”, “ai Postàli”, “ai Canottieri”, “al Botegòn”, “ai Cacciatori”, “ai Tabacchi”, “al Frittolin”.

“Certe Ostarie e gaveva el nome del posto dove e se trovava: “a la Rampa”, “al Ponte”, “al Teatro”, “al Pontile”, “all’antico Dolo”, “al Campiello”, “alla Rivètta”, “alla Vigna”, “a Santa Giustina”, “ai Biri”, “al Parangòn”, “in Corte Sconta”, “all’Altanella”, “a la Cà d’Oro”, “al Miliòn”, “alla Palazzina”, “alle due Torri” a Santa Margherita, “alle do Colonne” a Sant’Agostin … Me ne ricordo tante.”

“Oppure avevano il nome delle cose della vita quotidiana, del bere e dei giochi passatempo fatti in compagnia: “a la Barca”, “al Ponte del Latte”, “a le Bandierette”, “a la Staffa”, “al Bambù”, “all’antica Mola”, “alla Botte”, “alla Gondola d’Oro o alle do Gondolète”, “alle Canèstre”, “all’aciughèta”, “al Gatoèto”, “al Canestrèllo”, “al Mascaròn”, “ae do Spade”, “a la Bòmba”, “alla Fontanella”, “all’antica Ghiacciaia”, “al Balòn”, “all’antica Bassètta”.

“Non mancava i nomi de personaggi famosi o fantasiosi: “Ai Do Mori”, “all’antica Adelaide”, “alle Do Marie”, “ai Fradèi”, “alla Vedova” alla Cà d’Oro, “ai Quaranta Ladroni”, “ai do Draghi” ... Oppure le Osterie avevano i nomi dei sogni e dei desideri: come “il Paradiso Perduto”, “alla Stella”, “alle Alpi”, “ai Promessi Sposi”, “alla Serenissima”, “alla Speranza”, “alla Donna Onesta”, “agli Amici” in  Calle dei Bottèri.”

“C’era anche un’Osteria de la Cooperativa …”

“Eh ? … Quella mi pare che non esistesse più da anni annorum.”

“E poi certi locali avevano i nomi degli stessi conduttori delle Osterie e delle Trattorie: degli Osti e delle Ostesse, perché non mancavano mai le donne dentro a tutto quel mondo così vivo colorato, e laborioso ... Spesso erano loro le vere conduttrici: le protagoniste delle cucine, e anche del far tornare i conti.”

“Si … La lista sarebbe lunga: me ricordo “da Carlo” o “da Ernesto” … “da Gigio, Silvio, Neno, Romano, Tòni, Franco, Narciso, Aristide, Sisto: i nomi di una volta … Spesso quei nomi gèra de persone zà morte da vent’anni .. Il titolare se identificava, quasi prolungava el nome fortunato che non gèra el suo, ma che gaveva avvià l’esercizio ottenendo notorietà, buon nome, clientela e un fià de fortuna.”

“Ai Tosi … Era un nome generico che indicava giovani conduttori volonterosi … O forse una nuova gestione ?”

“Non so …  Io ricordo la Cèa e la Marisa, che in realtà e gerà sorelle … morte ancora nel 1800 … Ma per tutti a Cèa gèra a nevòda dei vècci della Cèa … A Cèa gèra ‘na piccoletta giovane de casa … e dopo ghe gèra a Olga: una Russa, o forse una Romena importada e deventàda nostrana par via che a gha sposà un vècio Fritolin rimasto vedovo ... E ghe gèra anca: Reno el Furlàn  … Mai visto ! … e Franz el Tedesco convertio in partigian secondo tanti ...Sarò sta vero ? … Chissà ? … Ghe gèra: Bàcco, che se pensava fosse un nome, non del Dio del Vin, ma dell’Oste stesso … Bàcco gèra come: Sergio, Nàne, Guido, Costante, Bèpi, Erminio e Nina: mario e mugèr a volte, o fradèo e sorèa ... Bàcco stava con Bubàcco e Tabacco probabilmente ... Me Nonna disèva “con Bacco, Tabacco e Venere se manda l’homo in cenere” ... E ricordo ancora: Mansueto, Marchetto fio del vecio Marco … e “da Cicci”: come a Venessia se ciàma uno qualsiasi … Disèmo: “Maestro ! Càpo ! Cicci ! … Còcco !”

“Sento dire ancora: Amore … Sono le donne soprattutto a dirlo … Vecchie nonne e mamme ... ma anche gli uomini usano chiamare così.”

“Sono i modi di esprimersi Veneziani di una volta … Se disèva: “A dodesòna, a disdotòna … e se pensava a barche grosse, ma anca a donne formose: da combattimento, da guèra e battaglia … Prostitute volonterose e passionali a volte … in carne, anche se un po’ passate … a buon mercato: proprio per cavarse a spìssa del desiderio.”

“Ma quante ne sa ?”

“Tante … Vivendo in Osteria gho imparà tante ròbe … Dicevamo: “Vèce decrepite da brusàr su a foghèra” … “Donne: Marànteghe, Zitelle, Màghe, Bàbbe, Vècie in fresca cioè donne un fià cotte, passie, andàe in disgrassia, vedove e sole … Befane brutte come a fame, a volte: spussolòse, co a pissariòla, col scaldìn d’inverno sotto a còttola, co e bugànse sui dèi (dita), sempre co sento (cento) magagne in cantier…. E donne gavèva e calze e i mudandòni de lana, col cocòn in testa, el scialle e el fazzoletto “da testa” par el sol e el vento … Tante vèce dopo tanti patimenti gèra co quattro spernacci par cavèi in tutto … Ghe gèra donne co i baffi da tagiàr, e i peli fòra par e rècce ... co i zòccoli, e le sgàlmare ai pie, e i sàndoli per andar a svodàr a gamèla da notte dalla riva in canal de prima mattina … Par l’Osteria passava: vèce tabaccone, e qualche volta imbriagòne, contaballe e traditore, interesàe … Col vizio del zògo, de a tombola e del Lotto ... pelacamise, imbrogiòne, indebitàe ... rovinafamègie.”

“Le Osterie Veneziani erano un mondo insomma … Anche se avevate i vostri abituè, la solita clientela quotidiana.”

“Si … Ghe gèra un fisso de persone, che gèra quelle che ne dava da viver … Ospitavano ogni giorno, ed erano punti di riferimento di tante uomini e donne eterogenei e soli … Oltre ad essere desiderosi di bere, fumare e cimentarsi in qualche passatempo, avevano bisogno anche di confidenze o di confidarsi, di scambiare due parole sulla Vita, i sentimenti, i fatti, la Città e la Contrada …L’Osteria a volte gèra come un Confessional dei Preti: certi veniva in Osteria par sfogàrse ... e piànser qualche volta.”

“Sono le famose due chiacchiere al Bar che si fanno anche oggi.”

“Le Osterie erano luoghi di ritrovo di amici, di colleghi di lavoro: Gondolieri, Manovali, Barcaroli, di critiche, contestazioni e di politicanti spiccioli … di “numeri, tipi, macchiette” di persone, e di gente che aveva voglia di mettersi in mostra, esibirsi, dir la propria ...  Ricordo soprattutto d’inverno l’Osteria nebbiosa con le eterne partite a carte, ma anche a dama, a biliardo, a bocce che duravano fino a notte fonda … A volte non si riusciva neanche a chiudere e mandarli a casa … Le Osterie erano luoghi de disnàr (pranzo e cena) a bòn prezzo per diversi, che perché incapaci di arrangiarsi, o senza voglia di procurarsi il necessario, preferivano il tutto pronto co poca spesa, e magari condio con un pèr (paio) di saluti e qualche bischerata di contorno… Se venivano aumentare le tasse o i beni di consumo, da chi andavi a sfogarti: in Osteria no ? … Se ti sposavi, trovavi lavoro, vincevi al Lotto, o ti nasceva un figlio … Se ti capitava un dispiacere o una disgrazia, o ti moriva una persona cara, con chi andavi a condividerlo ? … Si: con familiari e amici di sicuro, ma anche all’Osteria dove tutto diventava più leggero e più facile da portare … Dove trovavi altri come te, e altri ancora capaci di dirti magari la parola giusta … Le Osterie avevano di certo anche un loro ruolo sociale.”

“Di certo non mancavano vagabondi, ubriaconi e nullafacenti perditempo per cui l’Osteria era anche un rifugio …una seconda casa, se non la prima.”

“Si: a volte si finiva anche a parole e botte … Il vino alterava gli animi … Si veniva alle mani … La Mamma ci mandava di sopra in casa per non sentire le imprecazioni, le offese e i fiumi delle bestemmie di certi … Ogni tanto alzava la voce e imbracciava il manico della scopa … L’Osteria era davvero una casa: perché spesso fra le casse di birra e i pignattoni di cucina c’erano mogli, figlie, cani e gatti, nonne e zie … e i canarini appesi alle pareti ... Era un Mondo intero che girava … Eccome che girava.”

“Che vivido girare … Era proprio bella quella Venezia.”

Il lavoro chiama … peccato dover andare ... Bisogna però.


“El Carnevalètto de Venèssia”.

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#unacuriositàvenezianapervolta 343

“El Carnevalètto de Venèssia”.

Tutti sanno del Carnevale che iniziava con l’Epifania e finiva col mercoledì delle Ceneri della Quaresima… Oggi: si sa … A Venezia la sensazione commerciale del Carnevale viene fatta durare tutto l’anno a scopo economico e turistico: fa business … Non dimentico una Banda Polacca in costume carnevalesco che qualche anno fa suonava entusiasta in pieno luglio con tanto di mascherine e coriandoli in Campo San Rocco … Oggi: Venezia è il Carnevale, la cui atmosfera è spalmata di sicuro su tutti i 365 giorni dell’anno. Nell’intento commerciale si vorrebbe in qualche modo evocare, prolungare e imitare quelle emozioni e sensazioni tipiche della Venezia soprattutto del 1700, fatte di decadente euforia ed instancabile quanto esuberante evasione libertina.

A tal proposito esiste un particolare curioso poco noto ... Esisteva a Venezia la tradizione diffusa di una specie di “piccolo Carnevale anticipato”: un Carnevaletto, che si teneva in Avvento prima di Natale. Dal momento che era assodato che la Quaresima col suo percorso tormentato andava a sfociare nella Pasqua, così si pensava che le strettoie interiori dell’Avvento come Quaresimetta andassero pure loro sobriamente ad aprirsi nelle Festività Natalizie

“Modo exultante prima di Modo Penitente”… Perciò come il Grande Carnevale precedeva le feste primaverili di Pasqua, così si ideò a Venezia un Carnevaletto collocandolo nel calendario immediatamente prima di Natale … Sempre di Carnevale si trattava, e si sa che a Venezia il Carnevale significava un atteggiamento ben preciso ... Far baldoria e festa insomma: abbandonarsi alla spensieratezza leggera, ludica ed edonistica del corpo e dello spirito.

Al confronto, il nostro concetto moderno di Carnevale è abbastanza modesto, liofilizzato rispetto a quanto s’intendeva e viveva un tempo in Laguna e dintorni. Il nostro moderno è un solo un vago bagordare succinto, ben diverso da quanto s’intendeva col Carnescialare a Venezia che si viveva un tempo ... Sembra quasi che i Veneziani di ieri fossero più bravi di noi di oggi nel divertirsi e-d evadere.

Già la parola Carnevale spiega tutto … Il concetto base era quello di: “sprecare e dedicarsi alla carne in abbondanza”, ossia: scialare carne e abbondare col suo consumo … L’idea di “Carne” soggiacente al Carnevale, andava però intesa in tutta la sua completezza ... Per Carne non s’intendeva solo quella da mangiare, ma ben di più: cioè tutto ciò che corrispondeva al godersi la Vita in tutti i suoi aspetti ed espressioni ... Le persone sono fatte di “Carne”, perciò il CarneVale significava dare libero sfogo anche a tutto ciò che era “il meglio del meglio dell’essere al Mondo” … dell’“essere fatti di Carne”.

Poi era ovvio che quel libero sfogo dipendesse molto dalla “scarsèlla” di ciascuno, ma nei Veneziani di ieri questo non è mai stato un problema. Carnevale era per tutti una stagione breve o lunga di benessere e serenità, di libere emozioni e svagatezza, che anticipava nel contenuto anche quelle che erano, ad esempio: “Le delizie della Villeggiatura Estiva”… Carnevale significava: spensieratezza, emancipazione, morigeratezza messa da parte per un poco, abbandono alla risata, al canto, alla danza, alla presa in giro innocente e burlona che coinvolgeva chiunque ... Uomo o donna, bassi o potenti, ricchi o poveri, vecchi o infanti: il Carnevale era di tutti.

Venezia era Maestra in tutto questo perché anche sfruttando la sua struttura urbana labirintica e arcana, sapeva donare quegli spicchi di serenità condivisa e spicciola che di certo allietavano le crudezze spartane di tante epoche ricche di guerre e pestilenze, ristrettezze, lutti e miserie … Il Carnevale nella sua immediatezza popolare, e nella sua capacità coinvolgente a volte semplice, era una specie di contraltare emotivo, un toccasana che andava a supplire a tante fatiche e mestizie dettate dal vivere quotidiano.

“Musica !” quindi: “Che si aprissero le danze e si lasciasse scatenare la Festa Carnescialando anche prima di Natale !”

Serenate, recite, teatrini e cantàde, le commedie recitate o in Musica venivano allestite nei Campi, nei Palazzi, nei numerosi Teatri grandi e piccoli, e nei Parlatoi dei Monasteri. Le Mùneghe, e a volte anche i Nobili, non disdegnavano affatto d’ospitare eventi ... Anzi: aderendo essi stessi allo spirito trasgressivo e liberatorio del Carnevale, si prestavano come attrici e protagonisti eludendo per un po’ l’asfissia della Regola Claustrale del Convento o l’etichetta impettita della presenzialità ufficiale di Palazzo o del ruolo … Carnevale era tutto questo…. Ovviamente ogni volta ne succedevano di tutti i colori, e in quelle circostanze spesso venivano a cadere tante remore tabuistiche, e tante distinzioni e separazioni che contraddistinguevano le categorie sociali.

Spesso nei momenti di Carnevale, i Monasteri Veneziani come certi Palazzi diventavano per consuetudine Luoghi Pubblici, cioè posti aperti di cui potevano servirsi tutti, e Monache, Frati, Monaci, Nobili e Mercanti erano considerati come fornitori benefici di un“servizio sociale”: “quello del divertimento, del spassàrsela, e del godimento dell’incontro in compagnia col màgna e bèvi”.

“A Morte la Morte ! … Almeno a Carnevale !”

Durante il Carnevale e il Carnevaletto Veneziano c’erano gruppi di persone festanti che vagavano per la città, e sostavano notte e giorno senza fretta alle porte, nei canali e nei pressi di Monasteri e Palazzi in attesa che Monache e Signori li coinvolgessero in qualche maniera rifocillandoli ed abbeverandoli gratuitamente aprendo i loro cortili e chiostri dove s’allestiva qualche festa o garanghèllo.

Accadeva proprio dentro a quel particolare pseudoconcetto di servizio e assistenza pubblica, che buona parte delle Monache avessero modo di esagerare nel proporsi e aprirsi, in modo che Veneziani e Forestieri, soprattutto Nobili o Avventurieri ma anche gente comunissima, approfittassero in ogni senso di loro e della loro prospera femminilità.

Durante Carnevale, e quindi anche nei giorni del Carnevaletto si attivava anche il gusto e l’ingegno gastronomico dei Veneziani. Anche la Cucina Veneziana offriva occasione d’ingegnarsi e inventarsi fantasiosamente sfruttando la ricorrenza: “… c’erano le Frittole a San Benedetto, e nel mese di maggio le Frittole con le Erbe, da San Michele: i Maccheroni, le Smergiàsse a Nadàl, e la Polenta ben aggiustàda a Carnevaletto …”

Si diceva ancora a Venezia: “A Carnevaleto se sposa el fioèto, mentre la figlia del contadin se sposa a San Martin ... Sia la bella pùtta Veneziana, che la prospera femmena campagnola deventarà de volta in volta: Sjora Maria de tola.”

E quindi:“Carnevaletto gèra … prima che le Feste de Nadàl prossime se fasèva.”


Storiaccia del 1624 a San Pietro di Castello Contrada del Vescovo di Venezia.

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#unacuriositàvenezianapervolta 344

Storiaccia del 1624 a San Pietro di Castello Contrada del Vescovo di Venezia.

Lo sapete tutti: San Pietro di Castello si trova ancora oggi in fondo oppure all’inizio di Venezia dalla parte del Lido e del mare. Era detta anche la Contrada del Vescovo o del Patriarca, perché risiedeva proprio là il Vescovo di Venezia con i suoi potentissimi quanto ricchi Canonici. La Basilica di San Marco un tempo era, invece, semplicemente la Chiesa Privata del Doge diretta dal suo Primicerio: un Prelato di sua diretta nomina. Il Primicerio gestiva anche un apposito Seminario Ducale dove il Doge si creava i suoi Preti Privati “su misura”, che gestivano anche una serie di Parrocchie limitrofe a San Marco.

Insomma: per secoli è esistita in Laguna sia una ridotta Venezia Ecclesiastica prettamente di stampo Dogale, sia una tradizionale Venezia tutta Cristiana Cattolica legata ai modi e alla giurisdizione del Papa di Roma… Tipicità e storia di Venezia … Alla fine le “due Venezie” per i Veneziani finivano per sovrapporsi e confondersi nella normalità quotidiana.

Nel febbraio 1624: giusto negli anni della terribile pestilenza con lo storico quanto sorprendente Voto della Madonna della Salute, accadde nel Sestiere di Castello un grande scandalo con notevole scompiglio. Uno dei tanti direte … Si … Ma stavolta fece molto clamore perché andò a coinvolgere alcune categorie di intoccabili: cioè alcuni Frati e Nobili Veneziani: gente che solitamente era libera di fare un po’ tutto ciò che voleva rimanendo del tutto incontrollata e impunita … Oggi come allora.

Protagonista di tutto fu l’ultracinquantenne Paolo Zanardi, che da molto tempo era diventato Frate Michele. Era sempre stato un uomo ambizioso, oltre che vizioso e autentico gaudente. Non era Veneziano d’origine, ma importato in Laguna da Urgnano di Bergamo dopo che era diventato Frate Predicatore Domenicano a Milano.

Lo sapete vero ? … I Frati Domenicani Predicatori erano i famosi “Mastini di Dio”, cioè quelli che gestivano l’implacabile e feroce Santa Inquisizione.

Frate Zanardi aveva studiato a lungo nel Convento delle Grazie di Milano, dove aveva ottenuto “il Brevetto” di Predicatore, Dottore e Lettore in Teologia e Filosofia … Era un esperto in materia quindi, e con quel titolo aveva vagabondato in giro per l’Italia prima di approdare a Venezia. In Laguna aveva pensato che quello doveva essere il trampolino di lancio giusto per diventare pure lui un prestigioso Inquisitore ... A Bergamo magari, visto che era impensabile poterlo diventare a Venezia. Aveva fatto di tutto quindi per mettere in mostra le sue abilità di provetto Confessore ed esperto in Diritto, e piano piano stava ottenendo la giusta fama che gli sarebbe servita per ascendere nella gerarchia dei Domenicani e quindi dell’Inquisizione.

E fin qua … Niente di che: un normale iter da Frate Domenicano “in servizio” a Venezia nel 1600.

Frate Michele risiedeva normalmente nel Convento di San Domenico di Castello prospicente l’omonimo Rio-Canale oggi interrato diventato Via Garibaldi. Sul Ponte che portava lo stesso nome collegando le due rive, ogni anno a primavera si bruciavano spettacolarmente tutti i libri eretici scovati e sequestrati in giro per Venezia durante tutto l’anno … Doveva essere un gesto di grande monito per tutti … Quel bel falò attirava sempre molti Veneziani, che erano quindi indotti a riflettere sulle conseguenze del seguire o no i Precetti della Vera Dottrina della Chiesa.

Che ambiguità ! … e da quale pulpito veniva quel monito ! … Ma lasciamo perdere.

Quello che inguaiò Frate Zanardi non fu tanto il suo essere Religioso Domenicano, ma tutto il resto del suo improprio vivere: “La goccia delle sue malefatte era traboccata dal vaso, e in tanti a Venezia erano finiti col parlare e straparlare di lui, e di quel suo modo d’essere vizioso e inopportuno.”   Si pensò allora che: “Dove ci sono Galline ci saranno anche uova”, che cioè ci doveva essere una qualche verità dietro a tutto quel spettegolare e sussurrare incontrollato.

E infatti: c’era.

L’accusa era gravissima: da almeno dieci anni, Frate Zanardi approfittando del suo ruolo, e soprattutto dello stato di semplicità e miseria di alcune famiglie della Contrada del Vescovo di Castello, se ne era resa prossima e ingraziata soprattutto una alla quale aveva offerto denaro, viveri e regali. Si trattava della famiglia di Giacomo Bressagio Marangòn nel vicino Arsenale dei Veneziani. Piano piano Frate Michele aveva circuito le donne della famiglia piegandole ai suoi desideri corporei prettamente umani. Le donne alla fine avevano ceduto, e s’erano concesse più volte, e ne erano derivate tante conseguenze.

La ventenne Paolina figlia del Marangòn (falegname da navi) frequentava da almeno tre anni Frate Michele incontrandolo nella chiesa di San Pietro di Castello, ed era rimasta incinta di lui ... Non esistevano dubbi al riguardo. Alla fine Paolina era finita col partorire d’inverno nel portico di casa sua ... Si sapeva che i due s’incontravano a ore improbabili soprattutto a casa di Pasquetta: la Zia di Paolina: “Donna onorata, sposata con figlioli, e brava cucitrice di panni”… Frate Michele e Paolina andavano a dormire e a peccare nel grande letto di casa usato da Pasquetta, dai figli, dalla stessa Paolina, e dalla sorella Marièta ... Il Frate Domenicano a volte dava poi alle donne un cesto di verdure e dolcetti, o un fiasco di vino per il Marangòn … e aveva promesso a Paolina una dote qualora avesse avuto un bambino.

Tutti sapevano anche, che lo stesso Frate Michele aveva avuto rapporti pure con Franceschina: sorella di Pasquetta… e anche con Marina la Greca: una vedova che abitava povera in Calle delle Ancore non lontano da San Marco. Costei aveva perso figli giovanissimi, ed era stata messa a sua volta incinta dallo stesso Frate. Poi aveva partorito un figlio ... Frate Michele era andato a trovarla subito dopo il parto, e le aveva parlato a lungo convincendola ad abbandonare il neonato “alla ruota degli Esposti della Pietà” sulla Riva del Molo di San Marco.

Il troppo stroppia: “Quel Frate era davvero un galletto arzillo fuori controllo”.

Frate Michele Zanardi venne quindi invitato dall’Inquisitore Francesco Guiotti a presentarsi in Giudizio davanti al Tribunale della Fede per rendere conto del suo scandaloso modo di vivere.

A proposito: “bòn paròn” anche quel Frate Francesco GuiottiInquisitore di Venezia: “Guardando le mele marce ai piedi dell’albero, si capisce da dove sono cadute”.

L’Inquisitore era diventato tale solo per consenso Dogale ma senza la dovuta conferma Papale… Si trattava di un fatto molto insolito e sospetto. Si diceva non a torto in giro, che una sera a cena dal Patrizio Piero Diedo, il Guiotti aveva avvelenato con un vino adulterato il precedente Inquisitore FratePaolo Canevari.  L’Inquisitore ucciso s’era opposto alla pubblicazione di un libro da parte del Guiotti: “Storia del Morosini” ... Il nuovo Inquisitore era stato anche denunciato anonimamente per quel fatto, ma non era accaduto nulla ... Figurarsi ! … Chi avrebbe mai potuto procedere contro un Nobile e un Inquisitore ?

L’Inquisitore Guiotti comunque convocò a Processo Frate Michele Zanardi insieme a diversi testimoni che comprovarono le accuse.

Innanzitutto si presentò furibondo a testimoniare Giacomo Bressagio: il Marangòn dell’Arsenale, padre della ventenne Paolina rimasta incinta. Il Marangon davanti all’Inquisitore gridò di tutto contro Frate Zanardi: “In atto di Confession ha tirato mia figlia alle sue voglie, havendola ingravidata … Can ! Sassin ! A chi devo credere ? A Martin Lutero forse ?”

Il Marangòn confermò poi che il Frate frequentava di continuo la sua famiglia da diverso tempo, e che gli aveva fatto un prestito per aiutarlo. Lui, infatti, aveva anche Vincenzo da mantenere, e non era per niente facile andare avanti vivendo con la sola paghetta dell’Arsenale. Il Frate all’inizio era stato davvero una Provvidenza per lui e la sua famiglia … Paolina portava spesso a casa le elemosine che gli dava Frate Michele, e la madre non mancava ogni volta di ringraziarlo per strada per quei gesti di generosa Carità ... Però poi, quello stesso Frate aveva approfittato della sua fiducia mettendo incinta sua figlia ... Era quindi: un ignobile, da non accettare: un reprobo da condannare.

Quando Paolina era rimasta incinta, la madre aveva chiamato il Frate che aveva negato tutto. Le aveva offerto però uno zecchino in riparazione, e poi da quel momento li aveva ignorati tutti: “Vi pare che con uno zecchino si possa levare una donna da parte ?”

Si convocò a Processo anche Marièta sorella di Paolina, che a sua volta aveva avuto in Confessionale corteggiamenti e profferte di Figliolanza Spirituale da parte dello stesso Frate Zanardo: “Perdere la verginità è tutta una bagatella ... Il rapporto carnale non è peccato: commanda Iddio che l’homo andasse con la donna.” le aveva spiegato il Domenicano ...Stanche di tutto quel “commercio carnale” e di tutti quegli imbrogli, le donne erano andate a confessarsi al di là del ponte dai Frati Minini di San Francesco di Paola.

Verso la fine di febbraio 1624 si convocò allora in Tribunale anche Pasquetta zia diMarina e Paolina, che solitamente ospitava il Frate con le sorelle … Da anni anche lei praticava il Frate come Confessore, e disse d’aver cresciuta Marina vivendo nella povera casa con lei … Disse anche d’aver ospitato un altro Frate Converso Giacinto, conosciuto a Chioggia, e trasferitosi poi a Venezia. Era lui a portare spesso in casa: doni, bussolài, fiaschi di vino, dolci e susine dei frutteti dei Frati di San Domenico ... Il Converso Giacinto interpellato, difese comunque ad oltranza l’operato e la figura di Frate Michele definendolo: “Uomo e Frate ricco di ogni onorabilità”, e aggiunse che: “Viceversa quelle putte hanno preso una gran brutta strada dopo che lui s’è trasferito a Roma.”

Pasquetta alla fine non si schierò dalla parte di nessuno: difese sia Frate Michele che le donne ... Disse che si fidava delle nipoti, che secondo lei non facevano del male a nessuno ... Ricordò però che un giorno Frate Michele s’era presentato all’alba a casa sua da Paolina, e che lei aveva dovuto portare i bimbi di sotto vestendoli nel portico lasciando la stanza ai due ... Stessa cosa era accaduta anche con Marièta, e che quando aveva ripreso il Frate, lui s’era messo a ridere andandosene senza risponderle.

Su Marièta la Greca raccontò che s’era sposata giovane con un Marinaio Cretese rimanendo presto vedova. Aveva avuto due figli da lui, che erano entrambi morti in tenera età ... Poi aveva avuto un terzo figlio dopo alcuni anni che aveva portato alla Pietà su consiglio di Frate Michele quando aveva saputo che il padre se n’era andato via per il mondo a cercare fortuna ... I suoi genitori l’avevano buttata fuori di casa a bastonate ... Non era vero però che Frate Michele era il padre del figlio di Marina ... Era piuttosto figlio di Gerolamo De Vecchi: un Bombardiere Veneziano che le aveva promesso di sposarla, e s’era poi imbarcato su una nave annegando in mare.

Paolina interrogata, confermò che andava a confessarsi da Frate Michele a Natale, Quaresima, Pasqua e Assunta … ma che andava anche da altri Padri ... Durante la Quaresima in chiesa aveva avuto uno strano incontro col Patrizio Piero Diedo che le aveva suggerito di restituire l’onore a Frate Michele.

Marièta la Greca a sua volta si presentò pure lei in giudizio dichiarandosi senza figli e non sposata. Riferì che Frate Michele oltre ad averle proposto la Figliolanza Spirituale, l’aveva corteggiata spudoratamente chiedendole espressamente “il suo honore”. Le aveva promesso di sistemarla e maritarla ... Riferì perfino che il Frate le aveva detto: “Mi ve maridarò, ve consarò, ve darò un navegante, che niuno se ne accorgerà, et faremo le nostre cose segrete.”

E anche Frate Zanardi si presentò a Processo ... Ovviamente si difese negando ogni addebito.

Spudoratamente affermò subito: “E’ statoFrate Alessandro Pegolotto a rendere gravida la ragazza.” Peccato che quel Frate era morto da poco.

L’Inquisitore si fece severo … Allora Frate Zanardi continuò: “Dette putte sono su la mala strada da sette anni in qua ... Facevano di ogni herba fazzo andando intorno di giorno e di notte e che tutte doi hanno partorito nell’istesso tempo.”… Confermò poi d’aver visitato più volte la famiglia del Marangon dell’Arsenale… Disse che il Carpentiere da Navi gli voleva mostrare una macchina da guerra dell’Arsenale, e che gli aveva prestato dei soldi: “E’ vero che il Giovedì Grasso di Carneval ho dato dei soldi a Vincenzino per comprare cose e pranzare tutti insieme a casa di Marina … Gavèmo magnà fritole e una bòna galinàzza insieme con le sorelle, che poi dovevano uscire in maschera par divartirse.”

Poi il Frate si dimostrò possibilista: tutte quelle accuse che gli erano state rivolte, secondo lui erano state messe appositamente in scena da alcuni Frati invidiosi: “Frati Diabolici e senza Coscienza, risentiti e suoi oppositori e nemici, desiderosi di vendicarsi di lui” … Quelle presentate nei suoi riguardi, erano quindi solo una serie di malignità, maldicenze e volgari bugie ... Erano stati quei Frati insinceri a pagare quelle donne per accusarlo affermando tutte quelle cose false.

“Fuori i nomi dei Frati !” vociò l’Inquisitore.

“Può essere statoFrate Arcangelo, ad esempio,” spiegò Frate Michele:“che non mi ha permesso di visitare il suo Convento di Padova pieno di Frati Bizzarri … Mi ha anche minacciato di riempirmi di botte se lo avessi fatto convocare a Venezia ... Oppure possono essere stati:Frate Remigio e Frate Annibale, che hoprocessato e condannato da qualche tempo … Potrebbe essere stato anche Padre Eliseo dei nostri stessi Domenicani, che non è stato riconosciuto idoneo alla Confessione dal Consiglio dei Padri del Convento di San Domenico, e gli è stato negato il Sotto Priorato di Bologna per colpa dei suoi difetti e mancamenti ... Forse avrà dato a me la colpa della sua bocciatura, e vorrà vendicarsi.” 

Frate Eliseo venne perciò convocato. Il Padre Domenicano precisò subito che non c’era mai stato “alcun disgusto” fra lui e Frate Michele … Disse poi d’aver ricevuto lo sfogo della famiglia Bressagio, e di averli condotti a San Zaccaria per parlare col Padre Provinciale Lattanzio da Cremona, che venne informato dei fatti: “Quella di Frate Michele è un vero e proprio peccato di Sollecitazio a turpis in Confessionale … Quindi non si può perdonarglielo facilmente.” ... Disse ancora che era di pubblico dominio che Frate Michele aveva intessuto rapporti intimi con Marièta la Grega ... Tutti sapevano che quella donna andava fin troppo spesso a confessarsi da Frà Michele, così come si diceva che ci fossero da tempo fra loro sia rapporti sessuali che figli:“Certe verità sono ineludibili: non riescono a rimanere nascoste.”

Frate Michele continuò a spiegare: che forse aveva avuto un effetto equivoco l’aver offerto un zecchino alla famiglia del Carpentiere: “Quella liberalità credo che facesse prendere ardire maggiore alla madre di farmi per timore di non essere macchiato il mio onore contribuire maggiore quantità di denari. Vi prego invocando la Santa Trinità e la Giustizia non lasciatemi arrivare a Pasqua se dico il falso.”

Era evidente che Frate Michele era parecchio furbo e avveduto ... Era anche ben informato ed esperto nel Diritto Canonico Ecclesiastico. Davanti all’Inquisitore, infatti, non mancò di precisare che lui non aveva eventualmente peccato in Confessionale e in chiesa, ma bensì: fuori … Quindi non c’era stata alcuna “Sollecitatio a turpis in Confessionale” condannabile dal Diritto della Chiesa Cattolica ... Poteva sembrare una sottigliezza, una distinzione da poco, ma non lo era affatto per il Diritto Ecclesiastico… In realtà: cambiava tutto … Non avendo intaccato il Sacramento nel momento del Confessionale, era come se non fosse accaduto niente ... Lui era innocente e intoccabile quindi … Per il Diritto Canonico il peccato e la colpa di Frate Michele non esistevano.

Che malefico ! … E che schifo !

Nel successivo settembre si presentarono a Processo a difesa di Frate Michele: due suoi Confratelli Domenicani. Uno era Domenico Donatelli del Convento di San Pietro dell’Isola di Murano. A suo tempo era stato assiduo frequentatore entusiasta delle lezioni di Frate Michele quando insegnava a Cremona ... Fatalità: l’anno seguente venne chiamato a processo anche lui dall’Inquisizione con la stessa accusa di “Sollecitatio a turpis in Confessionale” Ma non se ne fece niente.

Frate Domenico Donatelli spiegò che non solo aveva accompagnato di persona FrateZanardi a casa dei miseri Bressagiodi Castello, ma che s’era anche incontrato a cena a Murano con lui e un paio di Nobilissimi Veneziani… Che si facesse attenzione quindi ! C’era di mezzo anche l’onore di alcuni Nobili Veneziani del calibro di Pietro Diedo e Zaccaria Priuli… In quella cena s’era convenuto circa l’abituale disonestà di certe donne Veneziane. Si era fatto espressamente il nome di: “do belle puttanelle”, cioè Paolina e Marièta, che per mestiere s’intrattenevano solitamente di notte con diversi uomini … C’era quindi ben poco da aggiungere a difesa di Frate Michele, la realtà dei fatti era evidente: le due donne intendevano adescare e abbindolare Frati e Uomini .... Erano loro le vere“colpevoli in turpitudini” della situazione, non l’onorabile Padre Michele: “Quelle femmine son tutte puttane !”

L’altro Confratello a favore di Frà Michele era Frate Giovanni Antonio Silvestri: il Priore dello stesso Convento di San Domenico di Castello in cui risiedevano entrambi. Costui ribadì innanzitutto: “Frate Zanardiè un Religioso zelante, di vita casta, e di costumi Religiosi esemplari” … Poi il Priore, già che c’era, aggiunse che: “Viceversa tutti ritengono che quelle due sorelle Marièta e Paolina non siano affatto donzelle illibate, ma chevadano la notte a sollazzo da questo e da quell’altro.”… Aggiunse ancora, che stava provando ad escogitare un modo per mettere a tacere tutto quel clamore inutile che era sorto fra il Carpentiere dell’Arsenale e Frate Michele. Disse d’aver offerto alla Famiglia Bresaggio dei manicotti di seta ottenuti in pegno nel Ghetto, un fiasco di vino, ravioli, e 10 zecchini … Li aveva poi incontrati in Piazza San Marco, e il Marangone Bressagio con la moglie Angela s’erano accordati con lui per la cifra di 20 zecchini … S’erano così dimostrati disponibili e soffocare e nascondere tutto quell’uggioso scandalo ... La figlia Paolina avrebbe dovuto giurare davanti a tutti in chiesa di San Domenico la notte di Natale dicendo: “Prego Iddio Benedetto che in luogo di detto comunichino mi entri un demonio in corpo, se altri invece che il detto Padre mi ha tolto la verginità e reso madre.”

Frate Michele ne sarebbe uscito pulito, e la famiglia Bressagio avrebbe avuto la sua partePaolina però aveva rifiutato di giurare in chiesa, ma aveva accettato di firmare almeno la lettera che assolveva Frate Michele ... Si stava quindi andando verso una buona soluzione dell’inquietante fatto.

Si venne a sapere in seguito, che anche i Nobili Zaccaria Priuli, Piero Diedo e Marco Antonio Minotto s’erano presentati a casa del Marangon Bressagio dicendo d’essere a conoscenza di tutte le carte del processo. Davanti a loro la Moglie accusò apertamente Frate Michele: “d’aver deflorato le figlie considerandolo un furbo da non perdonare”… I Nobili allora avevano scosso la testa perplessi invitando Paolina a ritrattare le accuse contro Frate Michele: la colpa di tutto quell’imbroglio sarebbe stata attribuita a un amante di Paolina, che erano certi si sarebbe presentato a testimoniare sotto giuramento ... L’avrebbero pagato loro … C’era da aggiungere poi, che Fra Michele si trovava fuori Venezia quando lei era stata messa incinta: non poteva quindi essere stato lui.

Madre e figlia non si erano arrese: non volevano ritrattare … Perciò i Nobili se n’erano andati minacciandole di stare ben attente a ciò che avrebbero detto e fatto … Erano andati poi a far visita anche a Pasquetta, che a sua volta s’era risentita, e non aveva ritrattato le accuse verso Frate Michele.

In definitiva: ci fu una grande confusione e incertezza a Processo … Nell’insieme si capì subito che si stava allestendo una gran farsa. Erano emerse diverse contraddizioni, ma si stavano trovando mille pretesti per poter svicolare e insabbiare tutta la faccenda.  Frate Michele e i Nobili Veneziani ne sarebbero usciti a testa alta e probabilmente indenni.

Come andò a finire ?

A Venezia non venne emessa alcuna Sentenza contro Frate Michele, protetto com’era dall’influente Alto Patriziato e da alcuni Senatori Veneziani… Frate Zanardi era un vero e proprio intoccabile ... Fece ricorso quindi alla Congregazione Romana, che subito lo accolse a Roma, dove venne imprigionato e interrogato lungamente.

E poi ?

E poi: niente … Dopo qualche tempo, lo stesso Frate Michele Zanardi rispuntò indenne e riabilitato nel Convento Domenicano di Santa Maria delle Grazie di Milano dove non solo si mise a insegnare: Teologia, Logica, Fisica, Matematica e Filosofia, ma perfino si mise a sostenere pubblicamente tesi eterodosse circa la pratica del sesso e la Castità da parte dei Religiosi … Morì a settantun anni: nel 1642, dopo esser sopravvissuto a ben due epidemie di Peste.

Che brutta storia Veneziana ! … Anzi: che schifo !

Si trattò di una delle tante vicende che accadevano di solito in quell’epoca, e non solo a Venezia. I confini fra lecito e non lecito, fra Ecclesiastico e veramente Religioso ed Etico erano non dico labili, ma labilissimi, per non dire spesso volutamente persi e ignorati: “Ecclesia sempre eadem et emendandam et riformandam est”.

“La Chiesa” mi ha ribadito personalmente a suo tempo un amabilissimo Patriarca col quale ho avuto la fortuna di vivere:“in fondo è sempre stata fatta da poveri uomini … che hanno sopravvissuto spesso alle loro stesse meschinità ... Dipende da Dio la Chiesa: non dagli uomini … e per fortuna.”

O forse: anche no ?

 


 

 

Sotto il Cielo di Venezia ... a inizio 1400.

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#unacuriositàvenezianapervolta 345

Sotto il Cielo di Venezia ... a inizio 1400.

A inizio maggio 1403, Giovanni da Spalato, che di professione faceva il “Tiratore di funi”… cioè per tutti: un volgare vagabondo, venne arrestato a Venezia perché imputato di furto. Era stato sorpreso a rubare nella “Barca per Padova” sulla quale stava lavorando ...

Beh ? … Lavorando ? … più o meno … a modo suo.

Vittima del furto era stato Matteo Marinèr da Modrusia, che era stato derubato mentre stava viaggiando in barca di 7 Ducati, cioè di 32,9 Soldi di piccoli.

Il 10 dello stesso mese del 1403, venne processato anche Benedetto di Bernardo: un Fiorentino “trapiantato a Venezia” nella Contrada dei Santi Apostoli a Cannaregio. Da almeno otto mesi era colpevole con altri Fiorentini residenti nella stessa Contrada di recare danni e guastare in giro per la Città … Era ora di finirla … Suoi complici erano: l’inserviente Paolo di Angeloe il servitore Giovanni, che ebbero la fortuna di non finire sotto processo. Complice era anche Nicola Beco: altro Fiorentino, che fungeva sempre da intermediario e ricettatore … Non venne processato neanche lui. La combriccola comunque s’eradata ben da fare in Città. Era accusata di numerosi furti a scapito delle chiese Veneziane. La refurtiva consisteva in almeno 20 calici da Messa rubati, che venivano poi smontati e rivenduti a pezzi al miglior offerente ... Vittime riconosciute erano state: Santa Maria della Carità nel Sestiere di Dorsoduro, derubata di uncalice dalla Sacrestia; e San Pantalon nello stesso Sestiere, dove si furtarono altri duecalici dalla Sacrestia.

Stessa sorte era accaduta a San Zaccaria delle Monache Benedettine dall’altra parte di Venezia nel Sestiere di Castello. Lì era spariti duecalici dalla Sacrestia; e altri due scomparvero a San Bartolomeo e a Sant’Antonio di Castello ... sempre dalle Sacrestie lasciate incustodite. I ladri non risparmiarono neanche la chiesa di San Pietro nella Contrada del Vescovo di Castello, dove prelevarono tre calici … sempre dalla Sacrestia non custodita abbastanza.

Nel Sestiere di San Polo e dell’Emporio Realtino, invece, fu vittima del furto di un ulteriore calice la chiesa Sant’Agostin(sottratto dalla Sacrestia ovviamente); e anche San Giacometto di Rialto venne alleggerita di altri due calici ... dalla Sacrestia.

Sapete dov’era il Sacrestano: il Nònzolo Custode che doveva vigilare ?

In Osteria ovviamente “a innaffiarsi un poco il bècco”.

Non venne risparmiata neanche la chiesa di San Bartolomeo di Rialto, appena giù dall’omonimo Ponte. Anche lì i Fiorentini s’appropriarono di due calici dalla Sacrestia come fecero anche a San Giovanni Evangelista: la chiesa dell’omonima famosa Schola Grande vicina ai Frari. Lì il bottino fu di un solocalice … dalla Sacrestia, dove il custode semplicemente: non c’era.

Lungo le Mercerie del centralissimo Sestiere di San Marco poi: a San Salvador precisamente, venne rubato un altrocalice dalla Sacrestia; mentre nella Basilica Dogale di San Marco, dove la Sacrestia stavolta era per fortuna ben guardata, i ladri dovettero accontentarsi di sottrarre solo “un candelòtto di buon peso e valore”.

Stessa cosa rubarono anche a Santo Stefano: dove ipesanti candelòtti preziosi e decorati da Processione scomparsi furono due.

Procedendo con le accuse, andò bene ai ladri anche la visita alla chiesa di San Biagio sulla Riva degli Schiavoni lungo il Molo di San Marco. Dalla chiesuola affacciata sul Porto Veneziano si portarono via l’ennesimo calice d’oro, e già che c’erano s’intrufolarono nella vicina Locanda alla Serpedov’era ospitata in quei giorni la comitiva del seguito dell’Imperatore di Costantinopoliin visita a Venezia … I loschi Fiorentini riuscirono ad arraffare una patena d’argento di notevole valore.

La chiacchierata e fastidiosa storia dei ladri Fiorentini si concluse a San Cristoforo di Cannaregio: conosciuta come la chiesa della Madonna dell’Orto. Lì i ladri furono scoperti in fragranza di reato, e inseguiti lungo la Fondamenta di Cannaregio. In chiesa s’erano impossessati di una Croce e di una Corona della Madonna che ritenevano fossero d’argento. Li buttarono in canale quando capirono che non lo erano affatto … Ma non bastò. Finirono nelle braccia solide di un paio di Veneziani volonterosi della Contrada, che con un paio di strattoni ben dati, e una a delicata “mazocàda” in testa, misero fine all’improvvida fuga dei Fiorentini.

 

Il 25 maggio ancora, in Corte di Cà Michiel dove Andrea Slavòn vendeva “ràscia”(tessuto lana grossolana), venne truffato di 48 Lire da Angelino: un vagabondo proveniente da Costanza in Allemagna, che era un fetente “trabutadòr”(imbroglione) per attitudine. Era stato aiutato da Enrico Sarto, che gli fece da complice. Tedesco pure lui, gli andò bene perché non venne processato. In realtà era stato lui a sottrarre materialmente il denaro al malcapitato, mentre il compare Angelino lo teneva impegnato in mille chiacchiere provando a cambiare alcuni Ducati.

Meno di un mese dopo, venne imputata stavolta anche Margherita Bossina: schiava di Giorgio da Scutari.

La donna s’era data parecchio da fare alleggerendo Margherita da Treviso che risiedeva nel palazzo dei Nobili Michiel di San Luca. Riuscì a portarle via 18 Ducati, cioè 84.6 soldi di piccoli. In precedenza la stessa donna aveva derubato anche un’altra persona. Disse d’averlo fatto perché le servivano soldi per fuggire dalla casa del padrone insieme a un certo “Francigena” di Cà Corner, di cui s’era innamorata, e che aveva ormai “conosciuto carnaliter” ... Scoperta dalla stessa derubata, Margherita le aveva restituito il maltolto, ma era stata denunciata ugualmente.

Nei mesi precedenti d’inizio primavera erano accadute altri due fatti a Venezia ... A inizio aprile era stato arrestato Nicola di Filippo da Messina, che lavorava da Bottaio in Contrada di San Cassian di Rialtoin Calle dei Bottèri. Dopo un paio di tratti di corda ben dati, non ebbe alcuna difficoltà nell’ammettere dell’essere stato protagonista di ben tre furti. Aveva rubato denaro e oggetti per 16 Ducati dalla bottega di Ugolino Mastro Bottaio da Segna suo datore di lavoro, e aveva sottratto una “vèra” (anello) del valore di 1 Ducato a una Serva dello stesso Padrone. L’anello l’aveva dato poi a una Prostituta delle Carampane di Rialto come ricompensa per i suoi buoni servizi. S’era impossessato anche di un “carnarollo” di cuoio con dentro altri 24 soldi di piccoli … La Serenissima “con i suoi modi efficaci” lo indusse a ricredersi presto e definitivamente sulla bontà del suo modo d’agire e comportarsi.

Avrà imparato la lezione ? … Forse: si … ma non si sa ... Scomparve dalla Cronache Veneziane.

 

A inizio marzo, invece, sempre a Venezia, era stato pizzicato Boccassino da Ragusa: borseggiatore e vagabondo. S’era appropriato di 72,5 Lire di piccoli: “Erano solo: 59 lire e 4 soldi !” ammise e precisò durante il consueto ed efficace interrogatorio … Lo liberarono allora dal “tiro di corda”… Purchè non si continuasse ancora “col trattamento”, ammise anche d’aver scippato alcune donne al Mercato di Piazza San Marco con la complicità di Pino da Trau, che però rimase impunito e non venne convocato in Giudizio. Le vittime erano state: Donata col marito Andrea(morto in seguito): entrambi da Lucca, a cui aveva preso 1 Ducato, 3 Lire e 1 Mezzanino ... Aveva derubato anche Caterina dalla Contrada di Sant’Antonin di Castello, moglie del defunto Paolo Travasadòr, alla quale aveva preso 2 borse con dentro 12 Lire … Anche a una Venditrice di Galline di Rialto ammise d’aver sottratto una borsa con dentro: 7 Lire e una radice di Gengiovo ... Ammise di tutto e di più purchè la smettessero “col tormento”… Era stato lui a derubare Antonio Venditore di Legne da Murano al quale aveva sottratto una borsa con 20 Lire … Aveva derubato di 1 Genovino d’oro, di 1 Ducato, e di monete per 17 Lire di piccoli anche Vittore Maso Oste del Cavalletto vicino a San Marco … Bocassino non s’era fatto scrupolo neanche di borseggiare la poveràzza Lucia Tessitrice, che viveva chiedendo elemosina sulla porta della chiesa di San Marco.

Fu proprio là che Boccassino venne catturato da un energico Custode della Chiesa Ducale, che lo bloccò mentre stava ancora contando i soldi che aveva rubato in giro.

Quante Storie ! … Venezia non era affatto nuova ad episodi del genere … Anzi: era quasi normalità che accadessero ogni giorno fra una Contrada e l’altra. Venezia era cosmopolita, porto di mare, Capitale che calamitava tanti e s’apriva a tutto e tutti … Si prestava quindi anche ad ogni specie di espedienti messi in atto per guadagnare, o più che spesso per sopravvivere.

Pensate ! … In quegli anni si quantificavano presenti a Venezia almeno 27.000 miserabili poveri questuanti sempre all’opera ad ogni ora del giorno e della notte … In realtà dovevano essere molti di più, e i Piovanidelle Contrade stilavano lunghe liste dei bisognosi della propria Parrocchia, nonché un'altra apposita lista separata in cui segnavano la presenza di “miserabili forèsti importati in Città”.

Per raccontarne ancora un paio a conferma di tutto questo, dopo metà novembre 1401, venne arrestato Bartolomeo Furnarèlo: un altro vagabondo capitato a Venezia proveniente da Padova. Era recidivo l’ometto, in quanto già in precedenza era stato preso e frustato dai Signori di Notte per un altro furto … Evidentemente non era stato corretto a sufficienza. Stavolta, dopo un’opportuna “pettinata”, s’era “messo a cantare come un galletto di prima mattina”… Si affrettò a spiegare che aveva messo in atto un paio di furti. Prima aveva derubato il Bergamasco Ambrogio, che lavorava da Bastàzo (Facchino) in Contrada di San Mattio di Rialto. Poi aveva rapinato Zanino Zanassi della Contrada di Santa Croce, al quale aveva preso vari oggetti, e alcuni panni del valore di 5 Ducati e 1/2.

In precedenza, a inizio autunno dello stesso 1401, si arrestò e inquisì a Venezia anche Paolo De Leazaris di Giovanni… Costui proveniente da Reggio, era un vagabondo che andava in giro vestito da militare … Interrogato, disse d’essere un Chierico ordinato a Ferrara, e che quindi non poteva essere inquisito in quanto era un Ecclesiastico ... Giunto a Venezia da Rimini 20 giorni prima, aveva derubato Marta Venditrice di Panni nella sua bottega a San Moisè presso le Case dei Procuratori. Le aveva sottratto due anelli del valore di 11 Ducati, che aveva poi provato a piazzare fuori da Venezia: a Padova. Lì gli anelli gli furono comprati da un Fiorentino per 26 lire di piccoli ... Fu proprio a Padova che il De Leazaris venne scoperto e imprigionato.

A seguire, la Serenissima incaricò Giovanni Boldù Capitano di Piazza di andare fino a Ferrara per verificare se per davvero il De Leazaris fosse stato un Prete o qualcosa del genere … Di tracce non se ne trovarono, e quindi il De Leazaris venne processato appioppandogli la pena che meritava.

Briciole di notizie di una Venezia spicciola che fu sotto il cielo lagunare … Poche briciole d’accadimenti colti a caso fra i tantissimi, che quasi tempestano e punteggiano all’infinito la curiosissima Storia di Venezia.

 

I Gonèlla de San Jòppo a Cannaregio

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#unacuriositàvenezianapervolta 346

I Gonèlla de San Jòppo a Cannaregio

Al Ponte delle Guglie qualche sera fa dentro a una frescura frizzante sentivo parlare Inglese e Israeliano sulla porta del locale Kosher di Cannaregio. “Il mondo è piccolo.” ho pensato: “Ogni luogo è ormai paese e vicino … L’Ebraismo con le sue contraddizioni vecchie e nuove, da sempre a Venezia è stato di casa, e lo è tuttora.”

Era però la Luna l’altra sera che fungeva da protagonista argentando di riflessi speciali il Rio di Cannaregio e la Laguna aperta in fondo, oltre i Tre Archi, avvolta nella gelida notte di fine novembre. Per chi non sa nulla delle fisionomie, delle storie e dei modi dei San Giobbini, e di quelli di Baja del Re, questo luogo silenzioso di Venezia è un altro di quelli tutti da scoprire: un altro posto da favola ... Che lo si creda o no.

Venezia rimane sempre magica: da mille e una notte ... Lo è da secoli: quasi per forza. Solo che bisogna saperla vedere oltre le sue trasparenze immediate, a volte quasi scontate ... da mera cartolina.

Due passi ancora più avanti sulla Fondamenta deserta, ed ecco che il linguaggio di chi usciva abbracciandosi da un localino dalle luci soffuse, musica jazz e profumo di frittura, era stavolta lo Spagnolo ... Si sono stretti forte e baciati nella penombra. Mentre aspettavo il vaporetto avvicinarsi pigro, li ho visti contenti di trovarsi là … Probabilmente un’esperienza unica: da non dimenticare.

E’ proprio così Venezia: unica … da non dimenticare ... e il vaporetto l’ho perso per guardarmi intorno ancora una volta.

E’ stato andando in fondo verso San Giobbe e la punta solitaria, buia ed estrema di Cannaregio, che mi si sono accese in mente tante storie Veneziane … una volta di più.

Sono davvero tante e curiose le storie di questi luoghi … Quasi aleggiano trasudando fuori dalle case, dalle Fondamente, dalle Corti e dai Palazzi di Cannaregio spalmandosi e diffondendosi, per poi perdersi nell’aria ... San Giobbe al Ponte dei Tre Archiè di certo una fascinosa location Veneziana ... È una zona arcana … E’ suggestivo arrivarci, soprattutto di notte, dentro all'atmosfera tipica di Venezia … E’ una scena top del top: un perfetto circuito da non perdere … da autentici appassionati di cose Veneziane, da esploratori curiosi.

“Zona temibile da andàrghe in giro da soli de notte !”

“Si: forse si … Ma qualche volta: anche no.”

A fine novembre Venezia è diversa dal solito ... Di giorno continua ad essere invasa dall'orda smaniosa, febbrile e mordi e fuggi di turisti, studenti e pendolari.  Di notte, invece, sembra quasi recuperare se stessa. Lungo le vie Maestre ci sono locali e localini illuminati e tiepidi, con tanti seduti “in vetrina” chini sui piatti, e tanti giovani ultravispi sopra le righe, belli pieni, a volte scalmanati ... Fuori ai locali, a differenza che d’estate, i plateatici languono deserti con i tavolini già pronti ma disertati. Se poi t'infili dentro a qualche Calletta, i gestori dei locali hanno due tre clienti in tutto, o sono vuoti, e li vedi starsene immobili dietro al bancone illuminato a cincionare chini sul cellulare: “Aspetto l’ora di chiusura ... Che vuoi farci ? … Va come va.” mi ha detto uno.

Furtive pantegane guizzano via scure lungo gli angoli scomparendo negli anfratti delle case ... L’acqua dai mille riflessi bordeggia l’orlo del Canale: Viva San Mòse! … che sta salvando la Città Bagnata rallentandone e posticipandone almeno per un poco la cruda sorte … Nei locali più discosti se ne stanno spesso in pochi, gli ultimi rimasti a Venezia, a spartirsi storie, vecchie memorie, passioni, e le poche Cronache insipide per non dire tristi che affiorano in giro per Venezia: “Quello è andato a casa, ha preso il fucile, e gli ha sparato addosso ... Ha finito di vivere anche lui adesso … La Gondola s’è capovolta … Ma còssa te pàr ? … I gha davvero borèsso … I xè inebetii i forèsti.”

Fra un bicchiere colmo e una buona mangiata, si stringe qualche mano nuova in più, si rimembra i tempi andati, si rincorrono le fisime della Politica, e ci si abbarbica tanto per cambiare allo sport, allo spettacolo, alle macchiette attuali dei personaggi veneziani (senza far nomi)… e si finisce sempre fra una magagna e l'altra col parlare di chi non c'è più.

“Inevitabilmente una volta quando si stava peggio … Si stava meglio.”

Poi invece, di giorno, quando tutto è rallentato o chiuso, in giro per Venezia aleggia la normalità, e allora emergono dalla mente altre storie: “San Giobbe ! … Che ricordi ! Qui durante la mia infanzia esplodeva ogni giorno la vita, traboccava ovunque in modo incontenibile la quotidianità di tante famiglie popolari ... La mia infanzia è accaduta tutta qua.” mi haraccontato un San Giobbino d.o.c. con gli occhi lucidi per l’emozione: “Adesso non c'è più niente e nessuno ... Guarda là: il pozzo è deserto … Non era così un tempo: riempivamo la Calle e il Campiello da mattina a notte fonda … Ora sembra una città fantasma, abbandonata, priva di vita.”

“Di qua c’erano le vecchie Chiòvere di un tempo … e i Gonèlla.”

“Chi ?”

“Si ... I Gonèlla … Quelli del Palazzo prima dei più famosi Nobili Valièr.”

“I Valièr forse li ho sentiti ... ma i Gonèlla non mi dicono niente … Non ne so molto di loro ... Anzi: mai sentiti.”

“Sono stati di sicuro protagonisti in questa zona ... Tanto è vero che esistono ancora Calle e Corte dei Gonèlla.”

“Non ci ho mai fatto casoveramente.”

“Eranoproprietari fra l’altro di molte fabbriche di ceramica qui in Contrada di San Geremia, ed erano padroni di diversi Tiratoi, e di Poste da Chiòvere e Chioverète per Pannilana.”

“I lochi ove si fabbricavano panni ad usanza di Olanda” l’ho letto da qualche parte ... Mi ricordo qualcosa: Chiòvere e Chioverète come Tintorie: una specie di campazzo, horto vuoto con tese e stenditoi di filati e tessuti stesi ad asciugare su corde e chiodi … Non lontano c’erano case e caxette, laboratori e botteghe di tanti artieri popolani dediti alla Lana e alla Tintura.”

“Si: erano spesso piccoli fondi affittati, di proprietà dei Contin e dei Carara, o dei vari Cotoni, Comans e Berlendis ... Tassini racconta che le Ciovère di Cannaregio ospitavano a volte il Gioco del Pallone e le Cacce al Toro.”

“Ah: si ! … Queste si che le ricordo: i Tori a Venezia ! … Beh: d’altra parte qui c’erano le Bèccarie e il Macello: ci sta.”

“Era famosa la Caccia ai Tori che si teneva alle Ciovère di Canaregio: l’ha rappresentata anche in pittura Gabriele Bella, quel pittore attivo a Venezia durante il 1700 … La chiamavano: la “Festa dei Diedi”, perché i Nobili Cavagnis o Cavanis, che facevano i Beccài a San Giobbe avevano le finestre di casa con balconi e altane affacciati sulle Chiòvere di San Giobbe … Per questo avevano l’abitudine d’invitare a Carnevale i loro amici … Soprattutto: i ricchi e potenti Nobili Diedo del Ramo di San Lorenzo di Castello … C’era ogni anno sempre un grande raduno: un gran festone e grandi mangiate e bevute per almeno 80 invitati prestigiosi … E per lo spettacolo finale si coinvolgevano fino a cento tori forniti dagli stessi Cavagnis: sei per turno, che venivano attaccati da cani e persone, con appesi alle corna dei fuochi d’artificio per far ancora più scena.”

“Che spettacolo ! … Sapevano divertirsi i Veneziani di un tempo … Immagino l’evento: le grida d’incitamento del pubblico schierato attorno, i cani aizzati ad abbaiare e mordere, i Tiradòri che tenevano il Toro con le corde per le corna mostrando forza e abilità ...”

“Toccava ai Nobili Diedo di scegliere i Tiradòri ... a pagamento s’intende … e toccava, invece, al Massaro dei Becchèri di uccidere il Toro staccandogli la testa con un solo violentissimo colpo di spadone.”

“Immagino il giro delle spese di ogni anno … A quelle cacce al Toro avranno partecipato di certo molti altri Nobili, e ci sarà stato sicuramente un grande concorso popolare.”

Secondo i Notatori di Pietro Gradenigo del 1773: “In questo dopo pranzo di mercoledì grassovengono eseguite Feste di Tori nel Campo di San Luca; e anche in quello di San Giacomo di Rialto dove a effettuarsi altrettanto, ma li Direttori della caccia, avendo mancato di prima chiedere la dovuta licenza al Magistrato del Sale, che in quella situazione ha diritto primario, fu però sospeso il tutto, e rimosso alla giornata di venerdì ... Item lo stesso spettacolo fu oggi pure goduto dal popolo nelle Chiovarre a San Giobbe, e nella Contrada di San Zàn Degolà (San Giovanni Decollato).”

“Ecco … Oltre a quei Nobili eminenti, c’erano a San Giobbe anche i Gonèlla … Nel loro “armo araldico” avevano una grande Stella.”

“Mai sentiti.”

“Venivano da Cremona … Ci fu, infatti, un capostipite Pietro Gonella: Fisico e Mastro Cerusico famoso, che giunse ad abitare a Venezia nel 1300. La famiglia in seguito piano piano fece fortuna, e fece edificare molte case in Contrada di San Geremia, qui nel Sestiere di Cannaregio … Un Vettor Gonella, divenne addirittura nel 1511: Gastaldo del Doge … Una carica di prestigio …. E i suoi nipoti vennero approvati come Cittadini Originari verso fine secolo ... Quasi un secolo dopo (1683) altri dello stesso Casato: Pietro e Domenico ottennero la stessa Grazia, nonostante fossero figli di un certo Giovanni Gonèlla marito di Agnese Vignoni: uomo esuberante e violento, noto per essere stato bandito da Venezia nel 1656 perché aveva percosso Giulio Vignoni: suo suocero, costringendolo a rimanere a letto per due mesi … Il bando poi gli venne revocato in quanto l’offeso giunse a perdonarlo … Ma lo stesso Giovanni incontrollabile e iracondo, neanche dieci anni dopo menò stavolta sua sorella Marcolina appioppandole un gran diretto in faccia. Stavolta venne bandito da Venezia “in perpetuo”, anche perché fece gran scalpore in tutta Venezia il fatto, che furibondo, cavò un occhio alla sorella buttandolo nel fuoco.”

“Era pazzo ! … Fuori del tutto.”

“Si … Ma era ricco e potente, perciò riuscì in seguito a liberarsi di nuovo anche del secondo bando … Dieci anni dopo precisamente.”

“I Nobili Veneziani erano ricchi e potenti … Potevano permettersi di tutto … Rimanendo poi impuniti e incensurati.”

“I Gonèlla a Venezia divennero una famiglia di successo imparentata con molte altre famiglie Nobili Veneziane … Era notevole il loro patrimonio: possedevano al Ponte di San Giobbe un Palazzo: una Cà Gonèlla bellissima, con dentro un Teatro gestito da una delle famose Compagnie della Calza Veneziane: quella dei Sempiterni.

Nel Carnevale del 1542 la Compagnia dei Sempiterni inscenò presso i Gonèlla la commedia Talànta, la cui scenografia venne curata dal Vasari e dai pittori Cungi, Flroi e Gherardi ... Il Teatro privato dei Gonèlla era a Pianta rettangolare, e misurava 40,80m x 9,35m, ed era alto 10,70m con due ordini di gradoni sui lati lunghi e una scena fissa su uno dei lati corti ... La Compagnia dei Sempiterni organizzò una sontuosa festa con rappresentazioni, banchetti, concerti e balli nel 1546, in occasione dell’ammissione di un Gonèlla alla Compagnia … Il festone durò tre giorni, e venne a costare ai Gonèlla ben 7.000 Zecchini d’oro … Uno sproposito per l’epoca.

Si tenevano di continuo feste del genere a Cà Gonèlla, che era famosissima anche per il suo rinomato e curatissimo Giardino.

I Gonèlla possedevano anche diverse navi con le quali mercanteggiavano in pelli, spezie, seta e lana in giro per il Golfo Adriatico e nel Mediterraneo … e avevano parecchie case e caxette in giro per Venezia: costruite soprattutto fra 1540-1580 nei pressi delle Chiòvere di Cannaregio ... Lì, anzi: qui a San Giobbe, avevano anche un Bastione da Vino che fruttava 123 ducati annui, una tintoria, e la “posta da Chiòvere” … In Terraferma possedevano diversi terreni, e una lussuosa Villa in Riviera del Brenta ... Più di tutto però, i Gonèlla possedevano la “Magnifica Cà” affacciata sul Rio di San Giobbe a Cannaregio, fatta costruire da Alvise Gonella a inizio 1500.

Palazzo Gonèlla per le sue forme armoniche ed eleganti era considerato uno dei più belli di tutto il Rinascimento … e non solo di Venezia. E’ strepitosa la sua descrizione:“… la bella facciata armonicamente proporzionata, con le decorazioni pittoriche del pittore Sante Zago affrescate a chiaroscuri con storie e scene di fantasia, il grande arco d’ingresso, il cortile e gli atri sontuosi, lo scalone ampio e magnifico ... E poi il grandioso salone da ballo: uno dei più spaziosi di Venezia … e le stanze dai soffitti a cassettoni dorati, con i camini de marmoro de Carrara lavorato de figure et de fogliame, la mobilia leggiadra, ricca, intagliata, intarsiata e dipinta, la tappezzeria in panni d’oro, d’argento e in stoffe preziose alle pareti, i lampadari di Murano, le lampade in foggia orientale di rame e bronzo, incise e smaltate ... e molto altro ancora.”

Se non vado errato, il tempo dei Gonèlla corrisponde più o meno a quello di quella curiosa storia della Pasqua 1561 a San Giobbe.”

“Cioè ?”

“Si racconta che la notte del giovedì Santo “i Frati Zocholànti e Descàlzi de Santo Jòp in Campo Canarejo” seppellirono per punizione un loro Confratello ancora vivo.”

San Giobbe con i suoi SanGioppini era quindi anche un luogo di suggestive Leggende e pettegolezzi macabri … Perfino le ombre avevano qualcosa da raccontare se si sapeva tendere l’orecchio ...”

“Si trattava di cose da barricarsi in casa di notte, invocando tutti i Santi del Cielo per la paura.”

“Sara stato vero ?”

“Boh … Chissà ? ... Si dice che esistano documenti comprovanti la vicenda presso i Savi all’Eresia e dall’Inquisizione Veneziana … Con tanto di testimonianze incluse, raccolte da quelli che indagarono sulla faccenda ...Si dice anche che c’era una lettera di un certo Mercante Giulio Olgiato che raccontò i fatti, che cioè un Servitòr de Casàda di Zaccaria Vendramin Procuratore di San Marco andò a confessarsi a San Giobbe, dove durante l’attesa prese sonno in un angolo rimanendo poi chiuso dentro in chiesa … Durante la notte, risvegliatosi, assistette al macabro rito inscenato dai Frati, che non si accorsero della sua presenza … Li vide processionare con doppieri acesi, e cantare Esequie da Morto portando uno di loro, un Frate vivo, legato per mani e piedi, e con uno bavaglio sulla bocca … Li vide poi seppellirlo vivo, e chiudere la tomba prima di andarsene … Una storiaccia  !”

“Forse una fola inventata dal Servitore davanti al padrone per giustificare la sua assenza altrove ?”

“Mah ? … Non so … Sembra comunque che i Signori Capi del Consiglio dei Dieci abbiano riscontrato che il racconto corrispondeva a verità … Ma che essendoci Frati di mezzo, non si sia fatto nulla insabbiando tutta la faccenda … Sembrò inoltre, che cose del genere fossero abituale consuetudine dei Frati Zoccolanti ... A Venezia quindi i Procuratori della Fabbrica di San Giobbe si presentarono davanti ai Savi all’Eresia e all’Inquisizione, e spiegarono che quelle erano solo calunnie vergognose messe in piazza dal volgo “ignaro et credulo” e da altri malevoli invidiosi delle elemosine che percepivano i Frati Zocholanti … In quel modo sarebbero stati screditati, e si sarebbe tolto loro il pan di bocca, il necessario per sopravvivere: “Un vero obbrobrio contro la vera Fede di tanti Veneziani” ...  Fu chiesto allora di ascoltare diversi testimoni della Contrada a difesa dei buon operato dei Frati … Erano tutti abitanti in Corte della Crea in Fondamenta de San Giobbe: Cassandra de Rafael Burchièr, Beta de Bastian Remèr, Margarita mojer de Sier Bartholomeo, Cornelia de Breguòl, Menega de Bernardo Canario, Beta de dona Menega vedova, Gasparina de Rafael, Gierolima de Zanmaria Barcharuol de Marghera, e Margarita vedova.

Il Procuratore di San Marco Vendramin da parte sua negò ogni cosa affermando che nessun suo servitore s’era assentato da casa la sera del Giovedì Santo. Dagli interrogatori dei vari testimoni si risalì fino a un certo Filippo “careghèta” (impagliatore di sedie), che aveva raccontato alle donne della Corte della Crea la storia del Frate sepolto vivo dentro a San Giobbe. Chiamatolo quindi all’interrogatorio, Filippo disse di aver sentito quel racconto da Sjòr Tonolo, che a sua volta l’aveva udito da donna Maria ... Alla fine i Savi all’Eresia con un proclama dichiararono la storia “falsissima” e opera di eretici, e promisero una ricompensa a chi avesse denunciato il colpevole diffusore di quella stupida vicenda ... Note finali del documento che richiamava ennesime voci che giravano per la Città, dicevano, invece, che il venerdì seguente il Frate sepolto venne tirato fuori ancora vivo e vegeto dalla sua provvisoria tomba da alcuni Veneziani della Contrada ... Fola o verità ? … Chi lo saprà mai ?”

“Non conoscevo questa storia.”

Nel 1582: Iseppa Gonella quondam Antonio: “era proprietaria della casa-palazzo in cui abitava, e di un gruppo di case in Campo delle Canne appartenute ai Nobili Pesaro ... 15 alloggi venivano affittati a 4 ducati annui ciascuno; altri 13 a 5 ducati; uno a 8 ducati, altri 3 a 9 ducati; due alloggi erano temporaneamente non affittati, mentre una casa con giardino-orto veniva affittata a 10 ducati annui; un’altra casa con giardino-orto a 30 ducati; una casa con terreno a un Pellicciaio, e possedeva infine altri due luoghi per lavorare la cera con locali annessi.”

Zuane Gonela quondam Marco viceversa, possedeva: “la sua casa-palazzo in cui abitava; 5 alloggi affittati a 6 ducati annui ciascuno; 1 alloggio da 9 ducati annui; altri 2 da 20 ducati annui; 1 da 26 ducati annui; 1 casa affittata per 60 ducati, la Tintoria affittata pure quella, e la Posta da Chiòvere.”

Secondo le Cronache Veneziane, nel 1650 le feste a Cà Gonèlla continuavano ancora, trasformandosi spesso in baraonde, baruffe e pittoreschi alterchi, che a volte degeneravano in veri e propri scontri tra fazioni di Nobili.

Nella primavera 1659 però: Mattio Gonèlla di anni 40 venne tanagliato, poi decapitato e squartato a Venezia per ordine del Consiglio dei Dieci.

Segnò forse l’inizio del declino della Famiglia ?

Infatti i Gonèlla finirono con l’estinguersi con Pietro(figlio di Giovanni) nel 1729. Ormai la famiglia aveva perso quasi del tutto le sue facoltà e il suo primitivo splendore ... La Tintoria con le Chiòvere di San Giobbe vennero chiuse per mancanza di lavoro e di committenze, le campagne in Brenta vennero tutte ipotecate … Negli ultimi anni per sopravvivere e mantenere il tenore di vita alto, Pietro Gonèlla fu costretto a vendere il suo formidabile Palazzo ai Nobili Valièr del Ramo di Santa Maria Formosa ... Era il 1572 … Venne infine sepolto nell’atrio della chiesa di San Giobbe come segno di riconoscenza da parte dei Frati ai quali la Famiglia Gonèlla aveva fatto a lungo numerose e consistenti elemosine.

Nel 1756 in quello che era stato Palazzo Gonèlla, dove aveva abitato anche un prestigiosissimo Cardinale Gonèlla, risiedeva ancora il Senatore Stefano Valièr con la moglie Teodora Giubencovich. A metà ottobre di quello stesso anno, il massiccio e pomposo palazzo prese fuoco, e finì distrutto del tutto. A stento si salvarono i Nobili Valièr, che tornarono ad abitare nelle loro case originarie di Santa Maria Formosa ... Il palazzo non venne più ricostruito, e i ruderi scuri vennero abbattuti a fine 1700-inizio1800. Oggi rimane visibile solo il portale dell’antica Cà Gonèlla attraverso il quale si accede ai recenti edifici delle Poste, e alla Calle-Corte Gonèlla.

“Curiosa questa storia dei Gonèlla.”

“Certo … Di sicuro … Anche se la Contrada di San Giobbe Profeta con i suoi San Giobbini in realtà ha molto altro da raccontare … Innanzitutto: Contrada non era, perché era parte estrema e periferica della Contrada di San Geremia ... Così come non esisteva a Venezia la vicina Contrada del Ghetto, che era considerata un’estensione della Contrada di San Marcuola … Gli Ebrei pagavano incredibilmente “una tassa pro capite di ospitalità” al Piovàno di San Marcuola ... Incredibile ! … ma vero a Venezia.”

Un’antica cronaca terminata nel 1410 riporta: “Canareggio, imperciò che la era chanedo e paludo con chanelle” ... Marco Antonio Cocci, detto il Sabellico, diceva a sua volta su Cannaregio“... in extrema regione, ubi olim naves construi consueverant … et cannarum palustrium fasces ad navalis fabricae usum comparati”.

Bellissima anche un’altra immagine su Cannaregio di Zuane Dolfin, che col suo testamento 19 ottobre 1458, lasciò all'Hospitale di San Job: “terrenum vacuum super quo ponunt harundines” … Bellissimo ! … Cannaregio: le Contrade dove volano e nidificano le Rondini !

Cannaregio in fondo a San Giobbe era Contrada di modeste caxette, spesso pianoterra umidi, con qualche Caneva da Vin, o piuttosto bassi Magazèni, qualche Furàtola col scoperto pergolato, dove si servivano fumose trippe, frattaglie unte e minestroni di fagioli da trangugiare in fretta, Taverne-Osterie “da persone vili”, dove si mescevano pessimi vinazzi nostrani “da pegni” venduti al minuto in bigonzi e secchi ... Tutt’altra cosa a confronto col “Vino navigato” importato dai commerci Veneziani, che si poteva godere nelle Malvasie da parte di chi poteva permetterselo.

Sempre secondo le vecchie Cronache, lì di nascosto, in fondo a San Jòb si potevano frequentare certi camerini: “dove sfogare a bòn prezzo la lussuria” Nel 1500 c’era: Anzola Bechèra, che esercitava da prostituta al Ponte dei Latteri: “pieza Medea, a San Giòppo per scudi uno”In questa zona estrema del Sestiere di Cannaregio affacciata sulla Laguna, c’erano anche i Nobili Pesaro, che avevano alcune proprietà non lontane dalla Calle de le Canne… Probabilmente erano collegate con le attività commerciali che gestivano nell'entroterra Veneziano presso "il Carro e le Porte dei Moranzòni di Fusina”appena al di là del liscio specchio delle acque lagunari … San Giobbe era anche zona di Capitelli votivi, di Pietà e Devozioni semplici, di gente umile e istintiva, ma coagulata, solidale e laboriosa … “Calle delle Canne” ricorda le canne palustri usate in fasci per “per bruscàr navilii”(calafatare), o amalgamate con l’argilla nelle fornaci da pietre di San Giobbe … San Jop o Jòppo era Contrada popolare verso la punta estrema della Città in faccia alla Terraferma ...C’era un mucchio di barche che faceva di continuo la spola fra Venezia e la Gronda Lagunare A San Agiòppo c’erano e ci sono ancora le Calli dei Ciodi e de la Corda, perché era zona periferica di squeri modesti, pontili gettati sull’acqua affacciati verso Terraferma e Isole: “Area assidua di Luganeghèri, Macelli e Beccarie di castrati, vitelli, e suini, e di Fabbriche di Pece, Cremor di Tartaro e Candele dove nel 1549 probabilmente lavorava anche Bortolo da Cataro dito dalle candelle … e di Fornaci da Còpi (tegole), Pière elète (mattoni), e tavelli (pianelle), che dava crudo lavoro a trenta persone nel gelo dell’inverno e nel torrido dell’estate …  San Jòp era anche zona di Chiòvere, Chioverète e Chiovaroli dove si tingeva, e si stendeva ad asciugare pannilana su tratti chiodati in corda”.

Verso fine secolo: nel 1582, la zona delle Chiòvere di San Giobbe era divisa fra proprietà dei Setajoli della Schola della Misericordia, di Alvise e Zuan Antonio Coccina, di Francesco e Vettor Pesaro che possedevano 6 casette di cui 3 a pianoterra e 3 al primo piano, e soprattutto di Zuane Gonèlla e Iseppa Gonèlla, che possedevano un gruppo di 6 case affittate ad Artigiani Tessili, Pellicciai e Scuoiatori della zona del Paludo, e un altro gruppo di 7 caxette di cui 6 in legno con 3 caxoni annessi, dove si preparavano i colori lavorando con i Tessitori della zona Sopra Marina.

Curiosissima una descrizione del 1661, che “dipinge” l’area meridionale delle Chiovere di San Giobbe di Cannaregio. Comprendeva:  “Gli immobili della Schola Granda della Misericordia; quelli di Bernardin Malipiero che aveva: 1 luogo non affittato e altri 15 affittati che gli rendevano 187 ducati annui. C’era poi Antonio Maria Coccina, e il Nobile Suriàn che possedevano diversi immobili alle Chiovere … Iseppa Malipiero, invece, deteneva un alloggio accordato gratuitamente, 4 alloggi temporaneamente non occupati, e 15 alloggi affittati che le rendevano 147 ducati annui. Urbano Malipiero, invece, possedeva 2 alloggi affittati che gli rendevano 14 ducati annui. Un altro Malipiero possedeva ulteriori 6 alloggi affittati che gli rendevano 20 ducati annui.

In tutto alle Chiovere di San Giobbe c’erano: 66 alloggi, 3 Magazzini, 1 Stalòn, 1 Beccaria, 1 Squero, 11 locali non determinati, 1 casa accordata gratuitamente, 5 case non affittate temporaneamente, 1 casa affittata con orto-giardino a 40 ducati annui, 59 case affittate a circa 12,16 ducati annui per un totale di 758 ducati, 32 case affittate da 3-10 ducati e 23 affittate da 11 a 20 ducati annui a circa 10,58 ducati annui di media per totale 582 ducati annui, 4 case da 30-50 ducati annui per un totale di 136 ducati … La maggior parte delle case e caxette venivano affittate ad artigiani e poveri: 6 a Tessitori, 1 a un Tosatore, 1 a un Tagliadore, 3 a Macellai, 8 a Scortegadòri, 1 a un Pellicciaio, 3 a Menuzadòri, 1 a un lavoratore Salumiere, 1 a un Fabbricante di stoviglie, 1 a un Ortolano, 9 a vedove, 1 a un cieco, un’altra a un muto, e 30 ad altri miseri non meglio individuati.

“Mi piace San Jòppo, cioè: San Giobbe … Non si può non ricordare quanto racconta la singolare toponomastica della zona. Dice di storie vecchie e nuove della particolarissima Contrada ... Se passeggi in Fondamenta noterai il Ponte de la Saponella parallelo al Rio di Cannaregio ai Tre Archi. Qui sembra abitasse ancora nel 1712 la famiglia Saponello, con un Francesco Saponello che risultava iscritto alla Schola Grande della Misericordia dei Setajoli ... Nel 1761 secondo i Provveditori alla Sanità apparteneva alla stessa famiglia anche Zuane Saponello: Bechèr de San Geremia, che venne bandito da Venezia nel 1775 per aver accoltellato per gelosia di mestiere in Beccaria Granda a San Marco un altro Beccajo di 24 anni: Francesco Rizzo detto Cjòmpo … Costui mezzo morto era fuggito per Calle del Ridotto gridando: Oh Dio! Son morto!”, e infatti: giunto alla Spezieria in Salizzada San Moisè, esalò l’ultimo fiato morendo per davvero ... A inizio febbraio 1785, invece, i Capi Contrada di San Geremia riferirono che all'una di notte venne ucciso con due coltellate alla gola sul Ponte della Saponella: Giacomo Gabotti da Giovan Battista Teggia bandito poi dalla Quarantia Criminal.... Gabotti aveva scagliato il cane contro Teggia che stava espletando i suoi bisogni sulla Fondamenta di San Giobbe ... Ne era derivata prima un baruffa, dalla quale s’era passati poi alle mani e alle armi.”

Un Decreto del 01 settembre 1798 obbligava a Venezia:“In termine di mesi otto: baccaladi, pesci fumati, salati, cotti e marinati, sbudellami, salamoie e formaggi siano trasportati alla Giudecca o nelle situazioni estreme della città, cioè a San Job, sulle Fondamente Nove, San Francesco della Vigna, Sant’Andrea e Santa Marta ... Affittanze de’ magazzini e case destinate per detti generi, prima di sottoscriversi siano rassegnate al Tribunale onde ottenere la licenza gratis. Effetti di chi non avrà effettuato il trasporto nel periodo suddetto siano fiscati e dispensati alli poveri delle rispettive Contrade, essendo sani ... Muri de’ magazzini siano intonacati e seliciati di pietra, abbiano ruota ventilatoria di lata nelle finestre, e nel più interno siano costruiti scolatoi e condotti che tramandino in soteranee cloache le vecchie salamoie ed altre separazioni ... Venditori da 1 novembre a tutto aprile non possano tenere nelle loro botteghe maggior quantità dell’occorrente per un mese, e da 1 maggio a tutto ottobre per una settimana. Annualmente siano da periti del Tribunale visitati li magazini prima dell’estate per la separazione del sano dal corrotto … Soggetti alla pena di ducati 100 grossi ed altre li trasgressori, siano acettate denunce e premiati denuncianti con la metà della pena suddetta, l’altra metà alla Fraterna de Poveri della Contrada…”

“Più di recente, San Giobbe è stata anche area lavorativa legata in qualche modo alle antiche attività e Mestieri che c’erano in Contrada ... La toponomastica racconta ancora: Calle del Tintòr ovviamente ricorda l'attività dei Tintori di panni attivi nelle Chiòvere dove si asciugavano i tessuti dopo averli immersi in bagni di colore ... Il Campiello de la Grana ricorda piuttosto l’uso della Cocciniglia detta anticamente “grana”, dalla quale si ricava il colore carminio usato per tingere i tessuti … Stesso discorso vale per Calle dei Colori che ricorda quelli che servivano per tingere i tessuti collocati poi sui graticci chiodati delle Chiòvere ad asciugare ... A Venezia esistevano numerose fabbriche che producevano Verderame, Cinabro, Carminio e i vari colori di moda … C’è poi Calle e Campiello del Scarlatto che ricordano ancora l’ulteriore preziosa colorazione usata dai Tintori ... Lo Scarlatto Veneziano era ricercatissimo, e i segreti per prepararlo conservati gelosamente. Leggi apposite stabilivano i modi e le stagioni in cui si doveva prepararlo, e si mettevano apposta in circolazione alcune storielle macabre di Fantasmi, di Giganti che giravano nottetempo con la lanterna, e di Paurosi Figuri dal gran cappello nero per dissuadere spioni e popolino dal carpire i segreti della fabbricazione dello Scarlatto.”

C’è poi Calle del Saòn (sapone), che ricorda il sapone verde e bianco di qualità prodotto un tempo in loco, usato per il lavaggio di panni e biancheria messa poi ad asciugare nelle Chiovere ... A tal proposito, la Calle larga e il Campiello del Lavandèr, e la Calle de la Biancaria, ricordano sia il lavoro dei Tintori con la Lavatura dei Panni, ma anche l’applicazione delle norme Austriache del 1834, che imponevano alle lavandaieVeneziane per il rispetto del Decoro Urbano: “esclusiva esposizione all'asciugamento del bucato e delle biancherie solamente nelle Chiovere di San Giobbe, Anzolo, Sant’Alvise e altro ... pena una multa da 2 a 20 Fiorini, o l'arresto da uno o più giorni.” 

Calle Biscotella si trova tra Campo dei Luganegheri(salsicciai) e Calle de la Cereria mettendoli in comunicazione. Lì aveva impresa Matteo Biscotello a metà 1700, che teneva l'appalto del sego di Cannaregio. L’attività sorgeva in posizione strategica fra le due Beccarie (macelli) della Famiglia Coccina e la Fabbrica di Cere che verso fine secolo apparteneva ad Andrea Bortolotti. Il sego si ricavava dalla macellazione degli animali, ed era ingrediente necessario per fabbricare candele e sapone ... Matteo Biscotello era di certo benestante, visto che il 5 aprile 1761 diede in sposa tre sue figlie a San Mattio di Rialto, dando a ciascuna la cospicua dote di 2.000 ducati.

Quante storie !

“E ci sarebbe ancora dell’altro a San Giobbe … Venezia è stata storicamente quasi unica nel dedicare parte di se stessa a titoli e nomi di personaggi Biblici dell’Antico Testamento ... E’ la riprova di un uso tradizionale tutto Veneziano importato da Bisanzio e dall’Oriente ... Se fosse il caso, ripensiamo a nomi come San Moisè, San Geremia, San Samuele, San Stàe ed Isaia, San Daniele, Santa Sofia, San Zaccaria: maschio … Non Santa Zaccaria come dicono i marinai Chioggiotti dell’ACTV … e San Giobbe appunto ... Sono nomi che trovi solo a Venezia in Europa.”

San Giobbe o Sant’Agiòpo era fino al 1378 zona disabitata e acquitrinosa, dove sorsero in seguito Ospizi e Hospedaètti, e il “Borghetto delle Vecchie o della Carità”: luoghi di fatica, senescenza, cittadelle della Sanità e posti dove salvarsi dalla totale miseria e dalla malattia.

Nei luoghi di San Giobbe: “Si praticava per vivere ogni giorno la biblica meravigliosa pazienza di Giobbe.” … Ma quella dei “poveri Giobbini”è un’altra storia … In fondo a San Giobbe o San Jop o Jòppo, finirono per locarsi in seguito: prima gli Eremiti di San Girolamo: i Girolimini(già presenti a San Sebastiano di Dorsoduro), poi dal 1420 i Minori Francescani Osservanti di Fra Martino Querini, e infine, dopo le predazioni distruttive e vandaliche dei Francesi e degli Austriaci, che hanno perfino bombardato San Giobbe, giunsero i Canossiani nel 1844.

Nella zona remota e popolare di San Giobbe di Cannaregio, i Padri Canossiani hanno realizzato grandi pagine di Storia che non si debbono dimenticare.

Quella di San Giobbe è sempre stata fin dall’inizio zona di Pelizèri, Traghettanti, Bechèri e Scortegadòri. Ancora nel1713:“in Campiello, Calle delle Beccherie a San Giobbe esistevano: due Beccarie grandi con Magazzeni di ragione di Coccina e Ferro da Padova, dove si ammazzavano li manzi, tenute in affitto dai partitanti Beccheri, i quali pagano, secondo l'informationi prese, per affitto soldi 4 per ogni manzo che si ammazza.”

Nel 1740, invece, esisteva efficiente più che mai il “Borghetto della Carità nell’Ospizio di San Giobbe”. Il Borghetto-Ospedale della Vecchie consisteva in 87 locazioni accordate gratuitamente. Una parte erano appartenute a Leonardo Pesaro in Campo delle Canne, un’altra ai Nobili Marcello, che possedevano anche il Bastione da Vin di San Giobbe(già dei Gonèlla) che fruttava loro 63 ducati annui, e una casa affittata a 15 ducati l’anno ... “L’eredità Gonella” metteva, invece, a disposizione 12 case concesse gratuitamente ... L’Ospedale della Croxe consisteva a sua volta di 27 alloggi dati gratuitamente, e la Procuratoria de Supradi San Marco concedeva altre 16 case in Corte di Cà Moro per un totale di 148 locazioni concesse “Amore Dei”, cioè gratuitamente ai Veneziani che ne avevano davvero bisogno.

Anche oggi vero ?

Diverse caxette di San Giobbe erano di proprietà della Schola Grande della Misericordia, di Francesco Trevisan, del Nobile Correr da San Tomà e di Piero Maria Contarini che avevano rilevato le vecchie proprietà di Iseppa ed Urban Malipiero: una schiera di 7 caxette a un piano, 6 case e 1 bottega a pianoterra, e un orto-giardino di proprietà del Nobile MarcAntonio Dolfin.

In zona c’erano inoltre una serie di caxette che guardavano sulle Chiovere: proprietà Rinaldi… Altre erano proprietà del Nobile Daniele Balbi e del Conte Girolamo Benzon, e del Nobile Soranzo al Ponte dell’Arco, che possedeva ulteriori 7 alloggi popolari.

Poi giunsero i Francesi a far man bassa di tutto, compreso il Convento dei Frati che vennero buttati in strada senza neanche un abito di ricambio da indossare ... Certe cose è giusto saperle e ricordarle ... Secondo La Cute, fra novembre 1806 e marzo 1807, furono inviati a Padova: 17.363 volumi prelevati dalla Biblioteca di San Giobbe, dall’Isola di San Giorgio in Alga e da quella di San Secondo, dalla Biblioteca di San Francesco di Paola e da quella dei Padri Inquisitori e Predicatori di San Domenico di Castello(oltre 2.000), da San Nicoletto dei Frari, da San Giorgio Maggiore(oltre 5.000), da Sant’Elena, dai Carmini, da San Giacomo della Giudecca e da San Pietro Martire di Murano.

Altri 24.514 volumi, considerati di scarto, furono venduti dal Demanio insieme alle librerie che li contenevano come legna da ardere. Solo gli scaffali della Biblioteca di San Giorgio Maggiore vennero salvati ponendoli al Liceo Convitto Santa Caterina-Foscarini. I libri furono tutti concentrati nell’ex Monastero dell’Umiltà verso la Punta della Salute(non esiste più), da dove il Morelli sceglieva manoscritti e libri interessanti da collocare nella Pubblica Libreria Marciana ... Molti libri, strada facendo, vennero rubati, venduti, strappati, privati di pagine e miniature, o nascosti dagli stessi Frati, che salvando il salvabile li inviavano altrove ... perdendoli spesso … Una piccola parte dei libri venne data dal Demanio in deposito alla Società Medica di Venezia … Nel 1807 fu depredata anche la Biblioteca di San Michele in Isola, prelevando anche il mappamondo di Fra Mauro e altri oggetti preziosi ... I libri dei Gesuati sulle Zattere vennero confusi con quelli dei Gesuiti, già soppressi nel 1668, e finirono in parte all’Accademia, e in parte sui banchi di frutta, pesce e verdura dei mercati.

In precedenza, a fine autunno 1806, dalla Biblioteca dei Frati Minori di San Giobbe furono inviate a Padova 10 casse di libri con 3.675 libri comprendenti: 11 manoscritti, 26 incunaboli, 141 libri pregevoli, 178 libri non pregevoli, e altri 3.497 libri mediocri, però non da scartare.

Che ve ne pare ? … e questa è solo una delle tante “voci” di quell’immane saccheggio … Che sia da voler bene a francesi, napoleonici e austriaci imperiali ? … Anche: no … Ma non pensiamoci … Continuiamo a guardare al fascino “speciale” che conserva ancora oggi la zona di San Giobbe ... Sa sempre d’autentica e genuina Venezia ... nonostante tutto e tutti.

 


“Mamma li Turchi !” ... l’Islam ieri e oggi a Venezia insomma.

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#unacuriositàvenezianapervolta 347

                “Mamma li Turchi !" ... l’Islam ieri e oggi a                                           Venezia insomma.

Le relazioni della Serenissima con l’Europa, il Mediterraneo, l’Asia e l’Africa sono sempre state intense e fertili, lo sapete meglio di me. E non solo per via degli scambi politico-commerciali ... Venezia Serenissima ha sempre capito che aprirsi recettiva al Mondo sarebbe stata la sua fortuna, e così è stato ... Il suo è stato un approccio-rapporto non sempre facile, talvolta aspro e conflittuale, mai scontato, ma che ha dato numerosi “frutti”… Ai Bizantini, ad esempio, Venezia ha rubato l’autonomia e la Libertà, mentre con i Turchi-Ottomani ha guerreggiato e contrastato, ma anche mercanteggiato per secoli … I Mercanti Venezianie Turchi Musulmani anche in tempo di Guerra e di Epidemie hanno lo stesso navigato i mari, scavalcato i monti e camminato, viaggiato e incontrato lungo le terre. Il loro è stato un lungo rapporto di “odio-amore”… Un altro “trucco-abitudine” della nostra antica Venezia Serenissima, che è stata sempre indomita, mai sazia, incapace di fermarsi e arrendersi, sempre pronta a tutto e tutti ... Anche rischiando qualcosa del proprio … a volte anche tutto … e la Storia le ha dato ragione premiandola per secoli.
Queste cose le sapete bene: Venezia Serenissima è stata non solo una splendida storica e plurimillenaria realtà, ma anche una realtà cosmopolita e un modello d’accoglienza.

I Veneziani importavano: spezie, sete, oro, perle, ambre, incensi, legni preziosi, profumi … ma anche idee e persone ... anche Schiavi e Schiave, nonostante qualcuno fatichi ad ammettere ed accettare questa idea. Non è vero che i Cristiani sono sempre stati dei “buoni”, tutti carichi di sani principi, penitenti e poveri, ricolmi di delicatezze e bontà, tutti rivolti al Cielo … Buona parte delle cose belle di Venezia sono state predate malamente in Oriente saccheggiando e spiccando teste ... Piazza San Marco con la sua insigne Basilica sono in buona parte frutto di spietati saccheggi … Anche i Cavalieri Veneziani e i Nobili Cristiani Veneziani sono andati in giro per il Mondo passando a fil di spada, schiavizzando e violentando … Non siamo ingenui e creduloni: diciamo la Storia com’è andata per davvero.

Le donne Tartare e Circasse erano molto richieste sul Mercato Italiano del 1300: anche su quello Internazionale-Veneziano… Per gli Asiatici la Schiavitù non era cosa insolita, anzi: era un’abitudine secolare considerata positiva, regolata per di più … Capitava nel vivere di poter diventare, per un motivo o per l’altro: schiavi ... I Veneziani hanno preso da loro, oltre che da altri.

Sapete anche bene che a Venezia ci sono stati quasi da sempre diversi Fondaci e Comunità Straniere… Famosi più di tutti sono stati il Fondaco dei Tedeschi, quello dei Persiani, e quello dei Turchi… Non dimentichiamo: il Ghetto degli Ebrei, e i Greci, gli Armeni, gli Albanesi, i Schiavoni, i Protestanti Allemanni e tutti gli altri.

Il linguaggio Veneziano è ancora stracolmo di parole d’origine Arabo-Orientale… Pensate, ad esempio, alla parola Arsenale. E’ un termine Arabo che indica: “una casa da lavoro”… Ma ci sono anche altri termini Arabi che abbiamo fatto nostri: Zecca, cifra, bizzeffe, meschino, e molto altro ancora.


Prima d’essere il
Fondaco dei Turchi, il gran Palazzo costruito dai Nobili Pesaro nella Contrada di Sant’Isaia-San Stàe nel 1200, passò diverse volte di mano in mano: dalla disponibilità dei Duchi Estensi di Ferrara prima, poi di Papa Giulio II che lo regalò ai suoi “compari” Legati Apostolici e Cardinali, e ancora divenne proprietà dei Nobili Veneziani Priuli, che lo comprarono per più del doppio del suo valore: cioè per 25 mila ducati ... Non a caso Antonio Priuli divenne poi Doge ... Soltanto più tardi il palazzo diventò il Fondaco dei Turchi, che ancora oggi ammiriamo trasformato in Museo di Storia e Scienze Naturali… Bellissimo !

Fin dal 1200 i Veneziani commerciavano e interscambiavano culturalmente e di continuo con Sebaste, Trebisonda, l’Armenia e Tabriz importando cera greggia, pellami, lana, tessuti, tappeti e molto altro ancora. La Cultura Orientale-Turchesca-Musulmana ebbe notevoli influssi anche sulla produzione degli smalti e vetri Veneziani di Murano. Durante le Crociate poi, Venezia conquistò le città costiere di Siria e Palestina, e costruì fondaci a Gerusalemme, Acri, Beirut, Aleppo, Damasco in Siria, e al Cairo e ad Alessandria in Egitto. 

Nelle “Haitname o Capitolazioni di Pace” Veneto-Ottomane del 1419, si afferma la reciprocità di trattamento per i sudditi dei due Stati Veneziano e Turco ... Per i Mercanti provenienti da Costantinopoli-Adrianopoli, Bastia-Gallipoli, Ragusa, Gianina, Arta e Valona dell’Impero Ottomano i porti d’accesso tradizionali in Italia erano: Ancona, Fano e Pesaro da dove i Turchi andavano a mercanteggiare oltre l’Appennino fino in Toscana con Lucca e Firenze, e poi giù fino a Roma e Napoli. E’ storicamente provato che i Turchi partecipavano regolarmente alle Fiere di Senigaglia, Ferrara e Mantova, ma fu Venezia ad essere la loro base commerciale strategica da dove commerciavano in tutto l’Adriatico e poi verso il resto dell’Europa.

Sembra che a Venezia inizialmente i Mercanti Turchi e Turcheschi facessero riferimento e risiedessero soprattutto nei pressi di Palazzo Barbaro nel Sestiere di Cannaregio, per via del fatto che Marco Antonio Barbaro era Bailo a Costantinopoli… Poi s’erano sparsi in Città, raggiungendo la strategica Contrada di San Mattio dentro l’Emporio di Rialto… Da alcune note storiche sembra che i Turchi evitassero però di abitare nelle numerose Osterie-Locande di Rialto, di proprietà e gestione soprattutto delle Monache e dello Stato, perché considerate ricettacolo d’azzardo, imbrogli e prostituzione. Pare che i Turchi preferissero servirsi direttamente a domicilio di scelte prostitute fidate: “di provata qualità”.

Il solito Diarista Marin Sanudo ricorda nei suoi famosi “Diari” che all’inizio del 1500, quando prese grande avvio e sviluppo il commercio col Levante e i Turchi, il Palazzo di San Stàe, futuro Fondaco dei Turchi, prese fuoco venendo restaurato a spese pubbliche.

In quei secoli a Venezia si studiava: Arabo, Turco, Persiano e Aramaico, ma non solo a scopo economico-commerciale, ma anche per poter cogliere i significati Filosofico-Mistico, Matematici, Medici, Botanici e Tecnologi e Teatrali della Cultura Orientale … A Pera di Costantinopoli presso la sede del Bailo Veneziano esisteva un’altra Scuola di Lingue Orientali Veneziana… L’Editoria Veneziana ebbe poi un grande ruolo Europeo nella conoscenza, diffusione e scambio culturale tra Occidente e Oriente. Nel 1505 Aldo Manuzio provò a interpretare i Geroglifici Egiziani, mentre lo stesso testo del Corano venne sontuosamente stampato per la prima volta proprio a Venezia nel 1537-38, da Paganino Paganini, la cui opera preziosa si può ammirare ancora oggi presso la Biblioteca di San Francesco della Vigna a Castello.

Che ve ne pare ? … Verso fine secolo (1572) quando i traffici vennero interrotti per via delle ennesime ostilità guerresche con gli stessi Turchi, il prezzo della Seta greggia crollò sul mercato diventando la metà, mentre i carichi di Spezie rimasero abbandonati e inevasi da qualche parte, prima di provare ad utilizzare la via alternativa-collegamento con Polonia, Danimarca e Svezia: la “Via di terra” per Costantinopoli e la Moldavia ... I pochi Mercanti Turchi rimasti lo stesso attivi a Venezia trovarono ospitalità, ad esempio: presso i Nobili Gabriel ai Santi Giovanni e Paolo in Calle della Testa ... Altri Mercanti Levantini andavano a stare a Rialto: nell’Osteria all’Angelo di Bartolomeo Vendramin, gestita da Giorgio Lettino come alloggio e deposito. Essendo però un edificio nell’insieme piccolo, vi facevano capo però solo Mercanti Mussulmani Bossinesi e Albanesi, mentre gli altri si arrangiavano in giro, a volte trovando ospitalità, anche se era proibito, presso i Sensali Veneziani con i quali spartivano traffici e affari ... Nel Sestiere di Dorsoduro, ancora oggi, in Contrada di San Barnaba-San Trovaso, collegata con la Calla Larga San Barnaba, c’è oltre il ponte la Calle de le Turchette, che probabilmente indicava un’altra piccola enclave abitata dai Turchi a Venezia.

Chi saranno state, e che cosa avranno fatto quelle donnette Turchette in Laguna ?

E poi ogni anno c’era a Venezia il Carnevale con le sue spettacolari Feste e le Cacce al Toro sparse in giro per le Contrade … Il Giovedì Grasso in Piazza San Marco si organizzavano: “le Forze d’Ercole”, “la Morèsca”, “la Lotta”, e “El svolo del Turco” davanti agli entusiasti Doge, Signoria, Nobili e Popolo dei Veneziani … I Veneziani sapevano bene come divertirsi e spassarsela … Un Turco funambolico saliva fin sul Campanile di San Marco da una barca ancorata nel Bacino, e spargeva poi sui Veneziani stipati in Piazza: confetti e fiori offrendone un bel mazzo al Doge … In cambio il Serenissimo gli offriva: “un buon borsòtto con la mancia”… Secoli dopo quel “tradizionale trasvòlo” a base di corde e carrucole è stato trasformato nel “Volo della Colombina”, e poi nel “Volo dell’Angelo”… Dal 1563, invece, un Turco in carne ed ossa: Alì Assam della Contrada di San Lunardo di Cannaregio, abbandonò le solite corde e le carrucole camminando in equilibrio direttamente sulle funi aiutandosi con un bilanciere. L’anno seguente lo stesso Turco per le sue magiche acrobazie si guadagnò mille ducati sonanti dalla Compagnia della Calza degli Accesi: grandi amanti di estrosità e feste ... In seguito, “durante un Carnovale”: capitò anche che un certo Marco da San Nicolò, arrivato circa a metà dell’aereo percorso, cadde schiantandosi sul suolo della Piazzetta.

Fu un Carnevale tristo quell’anno …

Nel 1499 ancora, i Turchi divennero uno spauracchio spaventoso per molti Veneziani. Disfatta nelle acque di Modone la Flotta Veneziana guidata dal Generalissimo da Mar: il Nobile Antonio Grimani, i Turchi infrancati: “corsero con alcuni di soi squadroni per gran parte del Friuli spingendosi oltre il Tagliamento, ogni cosa devastando e incendiando. E tanto era il terrore del loro nome e delle crudeltà commesse … vere o finte che fossero … che la Terraferma intera ne era tutta spaventata e in allarme giorno e notte.”

Il 10 ottobre si sparse ovunque e fino a Venezia la voce incontrollata: “che migliaia di Turchi erano descenduti a Bassano amazzando li homeni et forzando donne et pute.”

Immaginate il timore e lo sconforto in tutto il Dominio Veneziano e in Laguna: “et chi poteva fuzir, fuzivano”.

A Padova ormai non considerata più sicura, confluì molta gente dalla campagna cercando aiuto, e raccontando cose raccapriccianti sui Turchi. In Piazza davanti al Palazzo del Podestà si radunò una gran folla impaurita, e inutilmente i Rettori Ser Marco Bolani e Sèr Luca Zen cercarono di calmare gli animi. Si diceva in giro “che i Turchi pareano diavoli, et portavano lo inferno brusando tutto”, e che dopo Bassano stavano raggiungendo Castelfranco, Cittadella e Camposampiero. Si sarebbe dovuto trovare scampo in Laguna: “con cavalli e carrette giù per la strada postale, o con barche lungo il Brenta fino a Fusina, e poi a Venezia”… C’era gente che aveva anticipato anche dieci ducati per poter scampare dal pericolo ... Il Consiglio dei Dieci della Serenissima inviò allora alcuni Esploratori, Camerlenghi e Corrieri a Padova, Castelfranco e Cittadella per valutare dal vivo la situazione ... Non si trovò alcuna traccia dei Turchi … C’erano solo pochi Fanti Spagnoli che aizzavano e spaventavano la gente sollevandoli contro la Serenissima ... Si giunse perfino ad emettere un bando con taglia di 500 ducati contro gli anonimi iniqui propagatori di false notizie che spaventavano inutilmente le Popolazioni Venete.

I Turchi per davvero erano entrati nell’Udinese: “dove havevano brusato centotrenta ville” e sparso terrore, tanto che Sèr Andrea Zantani Provveditore degli Stradiotti, si era barricato dentro a Palmanova rifiutandosi di uscire a combatterli: “Non vojo farme amazar da quei cani“ sembrò aver detto ... La Serenissima lo convocò subito a Venezia mettendolo in prigione ... Solo il fatto che era Nobile, e l’abilità del suo Avvocato lo salvarono al processo. Venne comunque rimosso da Palmanova, relegato a Padova, ed escluso da ogni carica pubblica della Serenissima ... A fine ottobre un certo Jseppo da Bassano si presentò davanti al Consiglio dei Dieci esigendo la taglia promessa dal bando. Raccontò che era stato: “el fiol di Sièr Vetor Soranzo: un povero scemo, qual sentido parlar di Turchi li credete vèdar, e si partite da Bassano et fe’ tanto rumor da empir la Terra”. Il Segretario del Consiglio dei Dieci, trattandosi quindi dell’operato di un povero demente non lo denunciò, ma anche non pagò la taglia al contadino, e piano piano passò anche “l’orrida paura dei Turchi”.

Quel tristo episodio venne, infatti, surclassato a fine gennaio 1514 da un altro. Mentre quasi tutti i Grandi d’Italia e d’Europa s’erano coagulati contro Venezia, in quello stesso anno morì il Sultano Baiezid storico nemico della Serenissima. Il figlio Selim suo successore mandò subito un’Ambasciata in Laguna dal Doge Leonardo Loredan per annunciargli che avrebbe preso lui il potere di quella fetta del Mondo che contava … Fu così che: “Alì Bei, Dragomanno, confidente, e Orator del Turco giunse a Chioggia con altri venti Turchi a bordo di una fusta e di un brigantino.”… La Signoria Serenissima gli mandò incontro i Peatòni Ducali con a bordo venti Nobili guidati da Polo Valaresso incaricato di accoglierlo ... Giunto a Venezia il corteo si recò “a la Zueca dove smontòe a Cà Malipiero in Fondamenta San Giacomo: et che li era sta preparado con gran lusso per l’Oficio di le Rason Vechie.”

Il primo di febbraio seguente, Messer Alì vestito “in drappo d’oro” venne ricevuto dal Doge, dalla Signoria, e da quaranta Nobili Patrizi. I Turchi offrirono: “quindise peze di panno d’oro, cremesin, turchesco, paonazo et altri colori, diese peze de panno de seda et tre peze de zambeloti fini scarlate e negre … e una fazuol rosso con oro turchesco. et un tapedo grando et bello.”

Il Turco, anche se sapeva parlare l’Italiano con disinvoltura, fece un bel discorso in Arabo tradotto dall’interprete … Parlò di Concordia, Amicizia e Pace, e alla fine i Nobili Veneziani si spartirono tutti i doni del Turco, e si stabilì di spendere 30 ducati al giorno per mantenerlo a Venezia col suo seguito inviando di continuo a Palazzo Malipiero: pesce, carne, farina, frutta, dolci, vino e olio ... Per giorni l’Ambasciatore visitò quasi tutta Venezia accompagnato dal Nobile Piero Giustinian, fratello di Zuane Bailo a Costantinopoli … Fece colazione all’Arsenale, pranzò a Palazzo Ducale, e cenò di volta in volta nelle case dei Nobili più illustri ... Un giorno il Turco espresse ai Nobili il desiderio di voler comprare:“un diamante pontà per ducati mille, un rubin bello, alcuni panni di seda, do orinali de crestallo per il gran Bassà et altre cose”  Ser Polo Valaresso allora andò a riferire tutto in Collegio, così che due giorni dopo la Signoria fece trovare all’Ambasciatore Turco tutte le cose che desiderava nella sua stanza ... Il Consiglio dei Dieci gli regalò inoltre: “tre vesti, et uno bazil d’arzento con ducati cinquecento”. L’Ambasciatore ringraziò il Doge e la Serenissima affermando in schietto Italiano: “che il suo Signor vol aiutar questo Stado, et non lo lasserà perir.” … Bontà sua … Infine, alla fine di febbraio ripartì da Venezia sulla Galea Trona diretto a Ragusa, lasciando a Venezia un buon ricordo … e la sua costosissima spesa.

Comunque in quell’occasione Venezia e la Porta Ottomana sembrarono essersi rappacificati e riavvicinati … Senonchè, qualche anno dopo, nel 1526, accadde in Laguna un altro truce episodio. Alcuni intraprendenti quanto incoscienti Turchi sbarcarono sul Lido di Malamocco e di Venezia. La Serenissima in quel momento era impregnata nella Guerra di Terraferma, e per questo forse aveva smesso di vigilare a sufficienza sull’Adriatico contando sulla Pace col Turco promossa dal Doge Andrea Gritti e da suo figlio Luigi nato a Costantinopoli.

La sorpresa quindi fu grande a Venezia quando i Turchi assalirono Malamocco… Ma i fatti era fatti: all’alba del 10 luglio due fuste Turche erano entrate in Laguna, e alcuni soldati Turchi ne avevano commesse di tutti i colori: entrando nelle case, saccheggiando, dicendo di voler ammazzare tutti, violentando alcune donne, e trucidando due Pescatori …. A metà mattina alcuni fuggiti in barca da Malamocco si erano presentati davanti al Doge e alla Signoria per chiedere aiuto e riassumere l’accaduto … I Turchi avevano anche intaccato il Palazzo del Podestà Marco Gradenigo, e portato sulla Piazza Maggiore di Malamocco cibo e botti di vino con le quali s’erano messi a banchettare e ubriacarsi ... Il Consiglio dei Dieci non perse tempo. Diede subito ordine di armare alcune barche, che raggiunsero immediatamente Malamocco ... Alcuni Turchi vennero immediatamente presi e impiccati ... I rimanti fuggiti via sulle due navi vennero inseguiti per tre giorni fino a Pola, dove vennero raggiunti, e si affondarono le fuste con i Turchi dentro ... Fine della storia dei Turchi “che invasero” Venezia e Malamocco.

Nel 1571 avvenne la “grande rivincita” della Serenissima sul Turco: la famosa Vittoria di Lepanto... A metà autunno, verso sera,la Galea Veneziana “Angelo Gabrielle” guidata da Giuffredo Giustinian entrò in Laguna diretta al Bacino di San Marco. Trascinava dietro sull’acqua molte bandiere predate ai Turchi portando l’annuncio della loro sconfitta ... Figuratevi i Veneziani ! … “Xè morto el Turco !” gridavano ovunque, e tutti accorsero in Piazza San Marco chiudendo case, Osterie e botteghe … Si spararono cannonate a salve, e le campane di tutte le chiese Veneziane grandi e piccole non smisero di suonare a distesa e Festa fino a notte inoltrata ... Dentro a un’immane folla di Veneziani che si abbracciavano esultanti, il Doge e la Signoria con i Nobili scesero nella Basilica Dogale di San Marco, e s’incominciò a cantare solennissimi Inni di Ringraziamento: “cantando Messe gròsse con grande orchestra e speciali illuminazioni”. Per l’occasione vennero rimessi in libertà diversi carcerati, mentre i Turchi-Islamici presenti a Venezia dovettero correre a barricarsi per giorni in casa: “timorosi per il dubbio che havessero di essere lapidati dai putti, facendo mille segni di mestitia col rotolarsi per terra, battersi il petto, pelarsi li mustacchi et graffiarsi il viso.”

Si proclamarono in Laguna quattro giorni di celebrazioni e feste decretando “Festivo” il giorno di Santa Giustina in cui era giunto l’annuncio della Vittoria ... Si dedicò alla Santa la Basilica e l’Abbazia Padovana in Prà della Valle… Si pose una statua di Santa Giustina sopra alla Porta dell’Arsenale a Venezia … Il Nobile Paolo Paruta commemorò i Veneziani caduti ... Narrano le Cronache Veneziane che i Mercanti di panno di Rialto addobbarono case, strade e botteghe con panni scarlatti, festoni di fiori, e quadri stendendo un immenso panno azzurro ricoperto di stelle d’oro dal Ponte di Rialto fino alla Ruga de li Oresi ... Nel centro della Piazzetta di San Giacometto di Rialto tutta “vestita a festa”, si fece un gran mucchio con armi, trofei e bandiere prese ai Turchi, e si incollarono in giro vignette e cartelli di Turchi mozzati, bruciati e vinti ... I ragazzini Veneziani impazzavano per le strade con tamburelli e bandiere, e si mise in piedi anche un apposito altarolo a San Giacometto, dove non si smise di celebrare particolari funzioni, e da dove partivano e tornavano festose processioni che andavano per tutta la Contrada accompagnate dai Cantori e Musici della Cappella Ducale di San Marco ... I rari Turchi che osavano mettere il naso in giro venivano bersagliati impietosamente con frutta, uova marce, verdura e spazzatura, e un “Balbi matto” insieme ad alcuni facinorosi, circondò le case dei Turchi in Contrada di San Mattiodi Rialto gridando: “Demo fogo ai Turchi cani !” ... Di rimando un Turco Alì Saddo per stemperare e smorzare gli animi agitati, rispose offrendo biscotti, confetti, noci, e “scalette e bagattini” ... e per fortuna tutto finì bene, con le grida minacciose che si trasformarono in gioiose gridando: “Viva li Turchi de Venezia!” … Fine anche di questa vicenda.

Qualche anno dopo, sempre a Venezia: c’era un Francesco di Dimitri Litino, un Greco Mercante in Levante, che brontolava dicendo che era meglio tenere ben guardati e segregati i Turchi con i loro Mercanti in Laguna, perché era palese che erano causa di molti mali ... Secondo lui: non solo praticavano tariffe esose e maneggi commerciali, ma erano anche scostumati, scandalosi, privi di Regole, e andavano contro la Religione ... Era meglio rinchiuderli, e sorvegliarli … Soprattutto di notte, tenendoli ben chiusi in un Ghetto come gli Ebrei.

Forse fu un caso o una coincidenza, ma sta di fatto che nel successivo 1579, la Serenissima scelse una grande casa presso i Santi Giovanni e Paolo dove concentrare i Turchi … Si approvò poi l’idea del Nobile Bortolo Vendramin, che voleva mettere a disposizione una sua casa comoda e separata a Rialto: l’Osteria-Locanda “all’Insegna dell’Angelo” in Contrada di San Mattio La Serenissima gli disse che avrebbe potuto riconvertire la casa in Osteria se i Turchi se ne fossero andati via da Venezia ... Giambattista Bosello, invece, parlava della necessità di realizzare un apposito Fondaco da destinare ai Mercanti Turchi e Turcheschi.

Solo nel 1620 però, pressappoco negli anni della Pestilenza a Venezia col Voto della Madonna della Salute, si pensò di destinare ai Turchi con le loro merci il gran Palazzo in Contrada di San Stàedi proprietà del Doge Antonio Priuli. Si appaltò allora l’ospitalità dei Turchi al Dimitri mettendo suo figlio Giovanbattista come Direttore del Fondaco … Poi si stabilirono tariffe per ogni camera considerandone la grandezza, il numero dei letti, e la provenienza e il giro d’affari dei Turchi distinguendoli fra: Asiatici, Zamberlottieri, Bossinesi e Albanesi ... L’Architetto Veneziano Bernardo Macaruzzi progettò e adattò gli interni del Fondaco ricavandone diverse camere numerate, soppalcate e con camino disposte su tre pianiraggiungibili tramite scale esterne di legno ... Ricavò anche una piccola Moschea: “In una stanza più grande a Levante sul cortile”, e alcuni bagni con povere vasche di legno a pianoterra, dove c’era anche una serie di magazzini per le merci e il commercio: “Il tutto era miserrimo, piccolo e stretto, la Moschea: squallida, senza Cattedra, e con alquante sentenze del Corano scritte sui muri.”

Si volle poi legare a delle Regole ben precise l’uso del Fondaco. Ogni Ottomano-Musulmano presente in Laguna: doveva risiedere là obbligatoriamente … Il Fondaco aveva l’obbligo quotidiano di compilare e consegnare alla Serenissima la lista di chi veniva ospitato. I Turchi non potevano essere ospitati in Osterie, Locande, Ospizi ed Ostelli, nè in singole case, né tantomeno potevano girare liberamente di notte per Venezia, se non con apposito permesso … Non potevano entrare nel Fondaco neanche i 33 Sensèri o Messètti(intermediari commerciali) Veneziani, né Tessitori o produttori e venditori di panni. Solo a Rialto si poteva vendere e comprare scambiando: “a tempo, a baratto e a contanti” Era vietato inoltre a donne e a giovanetti imberbi accedere al Fondaco … intuite perchè … Era inoltre proibito introdurvi armi e polvere da sparo, si pagava “una tassa di deposito” per ogni balla di Mercanzia ospitata … Per maggior controllo e la sicurezza di tutti: si murarono porte e finestre che davano su Calli e Canali vicini, lasciando aperta solo la Porta d’Acqua del Palazzo, e l’entrata principale che dava sulla Salizada del Traghetto ... Negli anni seguenti il Fondaco dei Turchi: “dentro al quale si potevano esprimere e comportare alla loro maniera”, divenne sede di scambi e incontri ospitando Imperatori, Ambasciatori, Principi e personaggi illustri ... Erano tutte occasioni di grandi feste con festoni, balli, Musica, intrattenimenti e grandi mangiate e bevute … Non mancavano mai varie donnette e affini nonostante i divieti, come raccontano puntuali le Cronache Veneziane. Nel Fondaco dei Turchi si creò un ambiente tipico in tutto simile alle fortunate e splendide Cà Nobiliari dei Mercanti Nobili Veneziani.

Nel 1622 i Cinque Savi alla Mercandia ordinarono perentoriamente: “Nessuno ardisca offender, molestar, ingiuriar, usar violenza e in altro modo inquietar con fatti o con parole si de giorno come de notte i Turchi abitanti nel Fontego.”… Sei anni dopo c’erano46 Mercanti Turchi, Turcheschi e Persiani ospitati separatamente nel Fondaco, che con apposito atto notarile nominarono un Fattore per tutelare i loro interessi davanti alla Repubblica.

Dal 1661 i Mercanti Persiani insofferenti delle ristrettezze del Fondaco abbandonano Venezia, mentre gli altri continuarono con le loro transizione commerciali trattando: seta, oro e manufatti Orientali ... Piano piano i Turchi d.o.c. vennero via via sostituiti da “una fècia di nuovi Turchi” provenienti da Scutari, Dulcigno e Balcanici, che insieme ai commerci introdussero a Venezia il contrabbando del Tabacco, del Caffè e di altri generi eludendo spesso i controlli e le esazioni fiscali:“pronti anche a menàr le mani se fosse stato secondo loro il caso.”

E trascorsero così ancora anni e secoli… Nel 1719 una “terminazione Veneziana” stabiliva che: “Le navi Turche devono stare a Rodolo, lontano dalle rive, senza poter metter ponte in terra, dovendo il loro sito esser quello dal ponte in faccia all’Arsenale sino in faccia al Portòn de San Zaccaria ... Le merci degli Orientali vengono portate dai piacenti direttamente nel Fondaco dei Turchi onde evitare contrabbandi …”

In quegli stessi anni, Marietta Formentello con altre due o tre donne della stessa Contrada de San Zan Degolà, entrava spesso nel Fondaco dei Turchi quando scendeva la sera uscendone quasi sempre “al primo suono della campana di San Degolà del mattino seguente” ... Alla fine i Cinque Savi alla Mercanzia  che supervisionavano il Fondaco e tuto il “traffico di Levante”, le condannarono a sei mesi di prigione, e a dodici tratti di corda ciascuna: “per avere ardito mescolarsi con i Turchi del Fondaco”, che a loro volta vennero multati di cento ducati d’oro.

Nel 1720, quando il Mercante Ahmed-Siddi da Scutari risiedeva nel Fondaco dei Turchi con una delle sue belle mogli, il giovane Nobile Piero Morosini della Contrada di San Zàn Lateran: uno dei Savi alla Mercanzia che sorvegliava il Fontego, se ne invaghì perdutamente corrisposto dalla donna ... Forse a causa della soffiata di Sara: una vecchia Ebrea Lavandèra e Massèra della Contrada di San Zan Degolà, che tramestava spesso fra i due, il Mercante venne a scoprire l’intreccio sentimentale della moglie col Nobile ... A metà estate, sorpresi i due in una stanza del primo cortile a pianterreno, il Turco perse il controllo: uccise la donna con una pugnalata, buttò il Nobile Veneziano nel Rio del Megio, e scappò da Venezia ... Il Nobile si salvò, ma venne destituito dall’incarico di Savio alla Mercanzia, ed escluso per dieci anni da qualsiasi altro Ufficio della Repubblica ... Si cercò anche il cadavere della donna uccisa, s’interrogarono gli abitanti del Fontego, si perquisì tutto senza trovare nulla ... Silenzio e mistero avvolsero ogni cosa fino al 1860, quando si restaurò il Fontego malandato saggiandone le fondamenta con l’Ingegnere Federico Berchet, e si rinvenne in un angolo del primo cortile: lo scheletro della donna-moglie del Mercante Ahmed-Siddi da Scutari  uccisa nel 1720 ... Stava ancora avvolta in un prezioso drappo ormai consumato, ed aveva ancora al braccio un braccialetto d’argento con inciso un verso del Corano.

Il resto del 1700 al Fondaco dei Turchiè segnato da una serie di storie d’intrallazzi fra Senseri Veneziani e Turchi. Ogni tanto ne veniva espulso qualcuno per via di qualche bugiardata interessata negli affari … Il tutto continuò fino al 1838, cioè ben dopo lo strapazzo napoleonico che travolse l’intera Laguna e la Serenissima … In quell’anno, l'imprenditore-appaltatore Antonio Busetto detto Petich acquistò il Fontego dei Turchi dal Conte Leonardo Manin Legatario di Pietro dei Nobili Pesaro, a cui era tornata la proprietà del Fondaco nel lontano 1648.

Dentro alFontego rimase l’ultimo Turco: Saddo Drisdi Said-el-Drusi, che venne invitato ad andarsene ... Doveva essere un bel tipo quel Turco, o perlomeno un personaggio singolare, perché non volle andarsene dal Fondaco insieme agli ultimi Turchi dediti al commercio della lana grezza. I Mercanti Turchi passarono il commercio ai Bosniaci, e se ne andarono dalla Laguna per sempre ... Gli ultimi Turchi Veneziani rimasero a lungo impressi nella Pubblica Memoria dei Veneziani: venivano ricordati seduti al Caffè Pignatta di Piazza di San Marco avvolti nel loro turbante bianco, con le zimarre rosse, le lunghe pipe, e il rosario da snocciolare in mano. 

Saddo Drisdi: “l’ultimo Turco a Venezia”, era un uomo di una certa cultura, depositario irremovibile del vecchio modo d’atteggiarsi Turco-Islamico. Rispettava le scadenze dei Riti, portava la testa fasciata dal turbante bianco, e indossava la tunica lunga divenuta ormai: “una vecchia zimarra”… Saddo rifiutò l’invito ad abbandonare il Fontego spiegando che era suo diritto personale, e della sua Nazione, e della sua Religione di occupare il luogo “tutto Musulmano” del Fondaco dei Turchi ... Il Magistrato Girolamo Dandolo provò a smuoverlo senza successo da quelle convinzioni, e ogni volta che appena gli accennava il fatto di dover andarsene, pur rimanendo in Città se voleva, Saddo si agitava e andava in escandescenze dicendo: “Fontego esser stato prima de Duca di Ferrara, po de Priuli, po de Pesaro, po de Manin ... Ma San Marco aver dato Fontego per casa de Turchi, e mi voler star in Fontego.”

Poi un bel giorno Saddo scomparve per sempre e del tutto da Venezia: s’era arreso …  e si raccontò che finalmente era partito perchè non poteva più sopportare quella grande ingiustizia che Venezia aveva fatto contro i Turchi.

Oggi … sono trascorsi altri due secoli ormai.

A Venezia e in Laguna accanto ai Cristiani Cattolici tradizionali e affini, ai Cristiani Ortodossi con smanie faraoniche, e agli Ebrei presenti da sempre fra le nostre Contrade, ci sono ancora gli Islamici, cioè: i Maomettani di un tempo.

Ci sono eccome, sparsi e insediati ovunque fra noi: “I dati parla cjàro … I Musulmani xè ancora qua … Anche se i sta un fià de bàndo … quasi in cantòn … Xè ancora come al tempo de a Serenissima, no xè cambià tanto e ròbe … Quelli del Profeta e del Corano i xè qua un fià in disparte: soprattutto messi da parte dalla mente de più de qualchedun … anzi: de tanti ... e no saria giusto … I Islamici no xèbanalmente solo Burqa, e carne de maiale da evitare, né i xè solo prostrazion fin par tèra, e recitar i versi del Corano al posto de quelli della Bibbia che usèmo noàltri … Gli Islamici gha altri Proverbi, un’altra Cultura, un’altra Sapienza differente dalla nostra Veneta … un altro modo de vèder e intender la Vita, i fatti e le cose ... Mefa un fià rider quando i “nostràni” de stampo Cattolico e conservatore, i banalizzava e critica l’inutilità de tutte le prostrazioni islamiche, e del chinarsi verso la Mecca … Rido perché noàltri Cristiani sèmo come lòri, anzi: sèmo pèso ... Se ti va ad osservare i Monaci Greci dell’Athos: baluardo mondiale della Cristianità, l’unica Teocrazia al Mondo rimasta …. Ti scoprirà che ogni Monaco che se rispetta fa ogni giorno almanco un migliaio de “metanoie”, cioè d’inchini, cioè de prostrazioni fin par tèra pronunciando “el nome de Dio”, o frasi del Vangelo o della Bibbia … Che ignoranti che sèmo ! … Gira e volta: sèmo precisi … Cambia solo l’espressiòn esterna dei Credenti … Gira e volta: sèmo tutti uguali … Perché scagliarse tanto stupidamente contro apparenze futili e secondarie ? … Bisogna lassàr a tutti: libera scelta  … Sèmo mechini a volte … Rischièmo sempre de buttar via co l’acqua sporca, anche el bambin vivo che ghe xè dentro ... Sèmo miopi a volte e più che spesso: màssa pieni de pregiudizi, e criticoni delle Storia degli Altri ... Sèmo limitai ... Egoisti: no savèmo andàr da nessuna parte ... Manchèmo de rispetto ... No savèmo accogliere stàltri.”

Quanta verità nelle parole di questo Veneziano ormai di ieri.

“Ghe xè parfin in giro chi arriva a minacciar gesti inconsulti e morte a chi pratica riti diversi dalla nostra tradizion … Che ridicoli ! … Zènte ottusa e col paraòcci … Proprio meschina ... Alla stessa maniera però xè stupidi, bassi e inutili, anche le contraposizion, le risse e le lotte che ghe capita fra le varie faziòn “Democratiche e Fondamentaliste” degli Islamici … Ottengono solo de allontanar e persone oneste, dàrse botte, offenderse co insulti e vendette scorbutiche … Se ti pensi, xè assurdo anca distinguer fra maschi e femmine, fra coperti e scoperti, fra vestiti lunghi fino ai piedi e donne vestie solo con un filo interdentale fra le cjàppe (natiche)… Sèmo proprio indrio ! … Rinneghemo anche le grandi aperture e accoglienze che gha savuo far a nostra Serenissima un tempo … Venessia xè sempre stàda un Porto Aperto de Mar e de Tèra capace de aprirse a tutti pur fasèndo i so interessi … Dovarèssimo imparàr da la Storia.”

Accanto a queste parole, ci sono però alcune notizie confortanti … A fine Ramadàn c’erano 1.500 fedeli a pregare al Parco Piraghetto di Mestre, mentre ce n’erano molti di più alla Festa al Parco di San Giuliano. Si trattava della Festa dell'interruzione dello stessoMese Sacro dei Musulmani di Mestre: “L’Islam oggi si è espanso ed evoluto, e sta ancora continuando a riempire l’esistenza e il sentimento di tante persone anche qui nelle nostre terre … Non ci sono più in Laguna: i “Mamma li Turchi !” di un tempo, con tutto ciò che significavano. Ci sono però ancora qua gli Islamici di oggi, che vivono con noi … Risiedono a Mestre, Marghera, Venezia, in tutto il Veneto … in tutta l’Italia e l’Europa in realtà … Sono presenti con le loro Sale-Moschee, con i loro  Centri Culturali, le Feste, e le loro particolari preghiere … C’è anche qualche minareto sparso qua e là, a Marghera hanno anche il Cimitero … Certo sono diversi rispetto a una volta, ma la Cultura Islamica gira e volta: è sempre la stessa, e può convivere benissimo con la nostra ... Di solito prima della preghiera i fedeli Islamici pagano una somma di qualche euro, che viene usata per aiutare chi ha bisogno … Anche in questo ci assomigliano … Ho sentito che l'Associazione Veneziana Albergatori ha da tempo raggiunto un accordo con l'Halal Italia lanciando l’idea di una rete di alberghi certificati per ospitare adeguatamente i Turisti Musulmani … Si tratta di un turismo "Muslim Friendly" senza alcolici nei frigobar delle stanze, con segnate le indicazioni della direzione della Mecca, i tappetini per la preghiera, ed altre facilitazioni. Un Centro Culturale Islamico significa anche attività di doposcuola e di studio delle lingue oltre che di cose inerenti alla Religione. E’ anche un punto d’informazione per immigrati, oltre che sala di preghiera collettiva ... Può essere un’occasione per rilanciare un intero Quartiere.”

Diverse volte sono giunti messaggi positivi dai Centri Culturali Islamici di Marghera, Mestre, San Donà, Piove di Sacco, Treviso e Spinea: “Le violenze targate Isis vanno esorcizzate: sono assassini con licenza di uccidere in nome dell'Islam … Nella chiesa della Resurrezione di Marghera si sono tenute prove di duttilità, accoglienza e condivisione fra Imam, Parroco e Fedeli di professioni religiose diverse ... Il Libro Sacro di Maometto trasmette messaggi di Pace e Amore tanto quanto il Vangelo e la Bibbia … Sarebbe bello che entrambi fossero diffusi tra i giovani fedeli spesso annoiati e senza un perché … Bisogna accantonate certe distorsioni che spesso passano attraverso internet e i Social: generano confusione … La corretta conoscenza dell’Islam e del vero Corano portano sempre e solo alla Pace ... Tutta questa paura indotta del Terrorismo estremista non ha alcun fondamento nell’Islam vero … E’ il terrore che vuole dividerci, ma noi sogniamo di vederci tutti uniti insieme (2017).”

Certo … La presenza Islamica è stata a volte complicata per non dire conflittuale, o perlomeno non scontata … Qualche volta: direi sofferta. Leggevo dell’ottobre 2028: “La Comunità Islamica Veneziana di 25.000 residenti Musulmani è ancora senza moschea”… Nel più recente maggio 2023, invece: “La Comunità Bengalese di Mestre è di 40.000 Musulmani su 250.000 residenti in questo Comune …Ciò vuol dire che un cittadino su cinque è di Fede Musulmana … Di questi: i Bengalesi sono ormai 12.000, e mediamente generano 300 figli l’anno ... Questa immigrazione non è più di passaggio, si è stabilizzata, ha scelto questa Città come casa, luogo dove crescere i figli, dove venire sepolta …Ci serve un posto dove pregare, non possiamo più pregare in scantinati e garage ... Servirebbe una Moschea, un Centro Culturale conuno spazio idoneo e ufficiale, o perlomeno dei locali in Città perché la maggior parte dei Bengalesi che non ha la patente, e quindi deve spostarsi con i mezzi pubblici, in bici o a piedi … Inoltre ci sono tanti turisti di fede Musulmana che vengono a visitare Venezia, e ci contattano per sapere dove trovare una Moschea ... Si tratta insomma di un'istanza civile, che arriva da una parte sempre più rilevante della Popolazione e di nuovi Cittadini.”

Va ammessa e messa in conto a volte, o più che spesso, una certa insensibilità non del tutto giustificabile delle Amministrazioni Pubbliche e Politiche, l’eccesso di questioni burocratiche legate alle banche, al cambio di destinazione d'uso degli edifici, l’agibilità, le condizioni igieniche, e la sicurezza dei luoghi … Tutte cose sacrosante, anche se qualche volta vengono vissute in modo troppo esasperato e inutilmente pressante.

Pure i residenti “nostrani” non esternano il massimo della sensibilità e dell’accoglienza. Più di qualche volta sono loro stessi a inscenare attriti prolungati, raccolte di firme, ed estenuanti ansie ingigantite motivate da cose come l’iperafflusso delle persone nei luoghi della preghiera collettiva, o per via del rumore: “Il venerdì non è domenica con le funzioni in chiesa ... Con tali concentrazioni di persone si provoca ulteriore degrado nei quartieri … Di recente ho sentito più di 1.500 Bengalesi a Mestre gridare: "Free Palestine !" ... Mi hanno messo ansia e un po’ di paura ... Si dovrebbe allertare le Forze dell’Ordine: quei Centri Islamici rischiano di scoppiare.”

“Ci sono state anche furibonde incomprensioni, e numerosi botta e risposta e provocazioni da una parte e dall’altra.”

“E’ vero: ricordo ancora il 2015 con la Moschea realizzata dalla Biennale Islandese nell’ex chiesa della Misericordia di Cannaregio a Venezia … Ricordo ancora il tono incazzoso dell’Imam, e il tira-molla con i Politici e le altre realtà Religiose Veneziane, comprese quelle Islamiche stanziate in Laguna ormai da tempo … Non dovrebbe intervenire la Digos quando si tratta di pregare … No ? … Significa che si sta erroneamente mescolando altro, che non c’entra affatto con la Religiosità vera … Sono solo pretesti, fraintendimenti, erronee interpretazioni di parte … Cattiverie gratuite a volte ... Il fanatismo e l’esagerazione sono sempre in agguato … Basterebbe poco a volte per capirci di più: un po’ più di dialogo e accoglienza.”

“A volte c’è poca tolleranza, scarsa accoglienza … Fastidio, anzi: timore dell’alterità … Si confonde fra terroristi e Fedeli, e farfugliamo mille cose su “credo” di cui sappiamo poco o niente … Abbiamo troppo spesso un’istintiva ripulsa e sospetto, non accettiamo la diversità nelle sue forme poliedriche … Chi non è come noi, è contro di noi ! ... Siamo fatti così … Che tristi ! … con poca sensibilità.”

Nel 2017 parlarono ancora gli Islamici:“Non siamo solo stranieri immigrati o clandestini scappati dal mare, o giunti qua di contrabbando nascosti nei container, ma siamo anche professionisti, medici e seri lavoratori … Alcuni di noi vivono qui in Italia da oltre cinquant'anni … Abbiamo il diritto di pregare e di professare la nostra Fede nel ProfetaDiverse migliaia d’Islamici della Comunità Veneziana minacciano d’incrociare le braccia, di scioperare paralizzando i ristoranti di Venezia, Fincantieri, le scuole, l’intera City storica … Se entro domani non avremo un posto per pregare, la gente pregherà in un qualsiasi luogo … e con tante persone è possibile che qualcuno non mantenga la calma"

Sono botta e risposta ormai storici … Qualche volta si è arrivati agli avvertimenti, alle becere piccinerie e alle minacce … Il troppo stroppia … La pacifica convivenza e accettazione ha un altro indirizzo e direzione.

“Ricordo anche l’autunno 2014 con la Festa Islamica del Sacrificio a Mestre … Fatalità: l’episodio di Abramo che sacrifica Isacco è sia di stampo Biblico che Coranico ... Da tradizione durante la Festa ogni fedele paga una quota per sacrificare un ovino, un caprino, un bovino o un camelide, e la carne viene divisa in tre parti uguali: consumata subito, conservata per dopo, o data ai poveri della comunità, o a chi è in difficoltà perché colpito da guerra o carestie … Si sono riuniti 300 fedeli sul piazzale davanti alla chiesa della Madonna Pellegrina del Quartiere Altobello di Mestre … Gli Islamici avrebbero voluto aver a disposizione il Parco del Piraghetto per ospitare un migliaio di persone, il Comune aveva offerto, invece, la disponibilità del Parco di San Giuliano … Alla fine si è optato per il Quartiere di Altobello nel cuore di Mestre per praticità … I residenti della zona svegliati dagli altoparlanti hanno protestato stendendo lenzuola dalle balconate, non sopportavano d’essere svegliati dagli annunci dei turni di preghiera Islamica. Si sono detti contrariati perché si era occupato lo spazio davanti alla loro chiesa ... In realtà non è successo nulla: tutto si è svolto tranquillamente senza problemi e senza alcuna tensione … Sono state solo le parole pronunciate e scritte dopo a risultare pungenti: “Quello degli ospiti Islamici e delle Moschee è da sempre un tema caldo … Che si voglia ammetterlo o no, l'Islam viene per forza associato all’idea del Terrorismo e della violenza ... Si è dovuto allontanare un Imam che incitava all'odio contro gli Ebrei durante i suoi sermoni … Giustamente la Digos teme per nuovi proseliti integralisti radicali ... E’ giusto che controllino ... Di recente si è sventato anche un attentato nei pressi del Ponte di Rialto … Alcuni Kosovari sospettati di far parte di una cellula jihadista frequentavano le Moschee del Veneziano: per fortuna sono stati arrestati … Ci sono casini e indagini sulla presenza di sospette cellule islamiche nel nostro Paese … Bisognerebbe attenersi alle priorità dei Cittadini, che sono spesso disattese, e non star dietro agli Islamici con la loro Religione a scopo politico, perdendo tempo e sprecando risorse in progetti inutili … Ci si concentri piuttosto sui problemi e bisogni reali, sulla delinquenza, il degrado, la disoccupazione e gli sfratti ... Prudenza ci vuole ! … Il rispetto sancito dalla Costituzione … Serve un ripristino di legalità e normalità nei nostri quartieri.”

Si … già … Più o meno … Rispetto per tutti però: senza distinzione ... Che poi ?  Quale sarebbe la “giusta normalità” ? La “nostra” forse, o quella “loro” ? … Nessuna delle due … O meglio: tutte e due coagulate e fuse insieme … E’ così che si tollera e si vive, e non solo con vuoti proclami e parole frolocche.

Sono trascorsi ormai i secoli anche qui in Laguna, ma si ha sempre paura dell’orda dei Turchi invasori, tagliateste e violentatori ... Purtroppo a volte affiora e prevale senza mezzi termini la nostra pseudoradice Veneto-Campagnola, sessista, maschilista, irriverente, razzista, intollerante, e fin troppo esclusiva … Noi Veneti e Veneziani, e non solo noi, a volte siamo troppo sospettosi, prepotenti nell’affermare le nostre idee: vogliamo che siano quelle giuste per tutti, abbiamo la puzza sotto al naso, e tendiamo a sanzionare e mettere da parte chi non è come noi, chi è forèsto o diverso, o non condivide le nostre proverbiali tradizioni e costumanze:“I Terùn del Sud a casa loro … Il Veneto solo ai Veneti.”

2018 … dalle parole dette sottovoce e mormorate dietro agli angoli, a volte si è passati ai fatti: sigilli alla Moschee, sfratti dagli edifici e dai cantieri delle aree di culto con la scusa di calmierare il flusso eccessivo di persone, pluricensure da parte di task force di Vigili del Fuoco, Tecnici dell’Asl e Vigili Urbani per la non perfetta agibilità e sicurezza … Ci sono stati anche Sindaci Veneti impegnati a distribuire Crocifissi da appendere nelle Scuole, intenti a patrocinare la Cultura dei Presepi, a spargere divieti d’affitto di palestre e scuole durante le celebrazioni del “Mese Sacro”: “Niente Burqa, vestitoni e dintorni anche sul bagnasciuga.” qualcuno ha tuonato: “Basta digiuni inutili, osservanze e limitazioni ramadaniche  … Che poi ? … Di notte dopo il tramonto si concedono di tutto e di più ... Bisogna chiudere tutto, ridurre questo disagio: non si può pregare in 300 dentro a un ex negozio … Non ci possono essere Moschee accanto alle case (le chiese Cristiane dove sorgono da secoli ?)… Il Presidente di Regione s’è dimostrato contrario all’apertura di nuove moschee, mentre col Patriarca chiedeva agli Islamici di tenere sermoni in italiano: "per un motivo di trasparenza e maggior fiducia" ... Perché i Cattolici forse dimostrano totale trasparenza e ispirano fiducia da sempre ? 

A volte la Pubblica Amministrazione e la Politica hanno favorito decisioni tanto drastiche quanto bigotte, miopi nella visione socio-politica d’insieme, scelte che richiamano e risvegliano miraggi e fantasmi della Santa Inquisizione, e dei gratuiti soprusi dei Signorotti d’altri secoli … Sono sintomi di pseudo cultura moderna, e di libertà tollerante negata: “Vivi e lascia vivere ! ... E’ di certo la cosa migliore.”

Conosciamo tutti la Storia, e non certo da oggi … Da entrambe le parti si è sempre stati, e si è ancora storicamente malevoli e a volte invasati, con tutti gli esagerati precetti, le esaltazioni secolari, le stupide Crociate, e gli infiniti principi e dettami che neanche chi li dice li rispetta in realtà ... Spesso certe convinzioni e Fedi si rivelano solo come parvenza, esteriorità, finto devozionismo semivuoto tradizionale che non coinvolge per davvero se stessi e l’esistenza ... Quindi: perché dannarsi tanto a straziarsi l’un l’altro inutilmente ? Non sono mai esistiti né mai esisteranno i “Perfetti” capaci d’aver diritto d’imporsi sugli altri e sui diversi.

Ho vissuto e lavorato per molti anni a fianco di Musulmani-Islamici. Sono gente come tutti, persone che lavorano, amano e vivono come tutti noi.  Cambia solo la cornice esistenziale” di un “quadro” che è uguale per tutti sopra questo Pianeta … Perché essere assurdamente meschini e ottusi di fronte all’alterità ?

Li riconosco ogni venerdì: pomposi, vestiti a festa, con l’abito lungo candido, e la calottina ricamata in testa ... Li vedo ogni giorno quelli “trapiantati” qui in Laguna. Li incontro ovunque ad ogni ora, viaggio con loro nel bus del primo mattino o nel tram di tarda sera …

i sono trovato accanto qualcuno che mormorava preghiere o leggeva il Corano viaggiando … Li ho visti a due metri da me: “tirare quel loro Rosario Islamico”: il tasbish o misbaḥah, o Sebha, che usano per la “dhikr”: la recita dei nomi di Dio e la Glorificazione di Allah … Le donne Islamiche le vedo spesse stracolme di figli, coperte in volto, o con i veli, o talvolta con l’Abaya nero lungo fino alle caviglie ... Sono un altro volto di chi vive ormai qui fra noi da anni … E’ diventato uno dei nostri volti, con i quali dobbiamo non solo convivere, ma anche provare a capirci ed apprezzarci.

Perché no ? … Venezia l’ha sempre fatto per secoli prima di noi.


I vestiti dei poveri …

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#unacuriositàvenezianapervolta 348

I vestiti dei poveri …

sulla Marittima del Porto di Venezia nel 1977 … quasi ieri.

Verso la fine degli anni ’70, arrivavano numerose chiamate al Rettore del Seminario di Venezia … Il Seminario per chi non lo sa, era ed è ancora oggi la “fabbrica-fucina” dove s’inventano e costruiscono i Futuri Preti Veneziani … Fra quelli c’ero anch’io “in gestazione” in quegli anni … Le telefonate insolite, dicevo, provenivano da alcuni Reverendi, Rettori e Preti-Piovani di chiese e parrocchie della nostra “Città Bagnata”. Avevano bisogno di qualche volonteroso che non riuscivano a trovare, per liberarsi finalmente dai numerosi sacchi e sacchetti gialli pieni di abiti e indumenti usati donati dai Veneziani alla Charitas. Ne avevano dei veri e propri mucchi rimasti a giacere inevasi e accatastati negli angoli delle chiese ... Non era di certo un “bel vedere” per turisti e Fedeli che mugugnavano infastiditi: “Quèa ròba fa sporcizia, e ciàma anca bèstie.” raccontava un pingue e rotondo Monsignorotto preoccupato: “Da qualche tempo gho parfin e pantegane in cièsa ... Bisogna sbolognàr via tutta quèa ròba spussolente e malciapàda … E anca in fretta ... Sjor Rettor ? Nol pòl minga prestàrne qualchedun de i so giovanotti ?”

I giovanotti “di buoni propositi” saremmo stati noi, di solito chini giorno dopo giorno sui libri, e in alternativa a “sparàr preghiere verso il Cielo di Venezia”… Era vero: eravamo quasi tutti arzilli e pimpanti oltre che giovanissimi, e pieni d’energia da vendere e regalare se serviva … Perché non utilizzare noi ? … “A gratis” ovviamente … come gesto spontaneo di Carità da parte nostra e di quel Seminario che di solito riceveva parecchia beneficenza dai Veneziani.

“C’è qualcuno che si offre spontaneo per quel lavoretto ?” disse il Rettore

Silenzio come risposta …

Il Rettore aspettò da consuetudine un rispettoso minuto, poi col suo solito sorrisetto da furbo disse senza ammettere repliche:“Sabato pomeriggio: tu, e tu, e tu ... e anche tu … Vi recherete a dare una mano nelle chiese del vicinato … C’è da sgombrare qualche sacco di vestiti della Charitas … Sarà una cosa veloce, un affare da poco: toccata e fuga … Sarete di sicuro di riorno per cena … Prendetelo come un pratico e sano diversivo … Vi farà bene un po’ di movimento fuori da queste mura.”

Di solito il Rettore comandava tutto e tutti … e noi si obbediva: chi più e chi meno, chi poco e chi tanto.

Fra quei “tu … e tu … e anche tu.” come avrete di certo già intuito,c’eravamo anch’io col mio fido compagno di classe Paolo, e qualche altro “fortunato selezionato” più o meno della nostra età.

A noi due in fondo garbava abbastanza la cosa, perché era un’altra occasione per poter uscire e andarcene a “ficcanasare e intrufolarci” in giro per Venezia … Lo facevano ogni volta che potevamo, in senso benevolo ovviamente, e non perdevamo occasione per andare a infilarci dentro a quelle chiese di cui tanto si parlava, e a incontrare una volta di più “sul posto” quei Preti a cui tanto avremmo dovuto ispirarci ... più o meno in verità.

Venendo al dunque della storia: dietro al cortile del Seminario, in fondo alla Fondamenta delle Zattere verso la Dogana, quel sabato pomeriggio si presentò a prenderci un attempato tuttofare di una delle chiese della zona. Guidava una malandata barcaccia (una toppetta scassàda), che a vederla pareva intenzionata ad affondare entro sera.

Con Paolo mentre salivamo dentro ci scambiammo uno sguardo: “Finiremo in fondo al Canale della Giudecca entro sera ?”

Ci ridemmo sopra ovviamente, e salpammo arzilli come grilli dentro alla traballante imbarcazione: “Andiamo allora ! … Mollate la cima dalla riva  … che si va.” ci disse l’ometto col cappello sghembo calcato in testa portando al massimo i giri del motore … La barchetta sussultò, ansimò, fremette tutta, e alzò la prua sull’acqua affrontando l’onda controcorrente: “Faremo tappa nella chiesa dei Gesuati, poi passeremo per San Trovaso, San Sebastiano, l’Anzolo Raffael, i Carmini e i Mendicoli.” ci urlò l’ometto da dentro il frastuono scoppiettante del motore governando il timone di quella bagnarola galleggiante.

“Che bel giretto turistico in barca !” mi fece Paolo: “Sono sicuro che ne vedremo delle belle anche stavolta.”

Io, invece, covavo un mio sospettoso presentimento … Ma non ebbi tempo di pensarci più di tanto, perché qualche minuto dopo già approdammo accanto al chiesone di Santa Maria dei Gesuati sulle Zattere.

Bussa e ribussa, e bussa ancora alle due e mezzo del pomeriggio, mentre diversi passeggiavano passandoci accanto gustandosi il famoso gianduiotto di Nico … Niente: non ci rispondeva nessuno.

“Avranno il campanello rotto … Bussa ! Chiama ancora  dai !”

“Eppure sono stati loro a cercarci e chiamarci … Boh ?”

Suonammo il campanello fino ad affondarlo nel muro della Canonica, e finalmente s’aprì un balcone in alto al piano di sopra. Spuntò la Perpetua del Piovano con l’asciugamano avvoltolato sui capelli: “Che volete ? … Chi siete ?”

“Siamo venuti per caricare i sacchi con i vestiti della Charitas … Ha chiamato il suo Piovano … e ci servirebbe che …”

“Ah ? Non ne so niente … Adesso il Piovano sta riposando, e non lo vado di certo a disturbare … Passate più tardi.”

Neanche il tempo di dire: “ma”, che già lo scuro della finestra era stato richiuso.

Ci guardammo perplessi, e incerti sul da farsi ... Finchè fu l’omino a scuoterci: “Non importa … Passeremo un’altra volta … Andiamo oltre.”

Saltammo quindi di nuovo in barca, e un’altra volta partì scoppiettando il motore … Qualche centinaio di metri d’acqua oltre, e già eravamo pronti ad approdare sulla riva di San Trovaso accanto al famoso e superbellissimo Squero ... Anche là: tutto chiuso, tutto silente e sbarrato … Nessuno ad aspettarci o accoglierci … Ovviamente suonammo alla porta di casa del Piovano … Suona e risuona … e finalmente ci ha aperto il Prete, anche lui evidentemente appena fuoriuscito dalla siesta pomeridiana: “Ho capito che cosa siete venuti a fare … Prendo le chiavi e andiamo.”

Ed effettivamente qualche minuto dopo siamo entrati nel chiesone chiuso e deserto guidati dal Prete col collare ancora spalancato sul collo:“Non c’è a quest’ora il Sacrestano per condurvi in magazzino a prendere quanto c’è ammassato … Prendete però tutti quei sacchi sparsi in giro per la chiesa, che sono davvero bruttissimi da vedere  … Soprattutto quelli accanto all’altare, e quelli sotto all’organo all’ingresso.”

Detto fatto … Un attimo dopo già avevamo caricato il nostro sconquassato carretto … e un attimo dopo ancora: avevamo già tradotto tutto dentro alla barchetta attraccata alla fondamenta del Rio di San Trovaso.

Ciao … Ciao … Grazie e prego … e ripartimmo alla volta di San Sebastiano e dell’Anzolo Raffael.

A San Sebastiano: la bella chiesa tappezzata dai dipinti del Veronese, davvero quei sacchetti gialli ammucchiati ovunque alla rinfusa facevano ribrezzo per non dire di peggio ... Ci aprì una porticina minuta una Suorina che pareva scappata fuori da una fiaba, e il Rettore aprì il resto poco dopo spalancandoci il gran portone.

Caricammo a testa bassa in barca non meno di cento sacchi di vestiario e aggeggerie varie ... e poi via di nuovo a pochi passi: all’Anzolo Raffael gestita dall’ossuto quanto risaputo scontroso Piovano. Lo trovammo stranamente accogliente e affabile: soprattutto perché lo liberavamo dall’impiccio dei sacchi … Avanti e indietro un po’ di volte fino alla barca, e finalmente la chiesa fu sgombra da quei monticelli di odorosi sacchi gialli.

Neanche grazie, né un saluto … Il Piovano dell’Anzolo ci chiuse la porta in faccia, e via: “Lo conosco bene ... Non c’è niente da fare: è fatto così.” ci spiegò l’ometto conduttore della barca: “Vi garantisco che ci è anche andata bene: di solito azzanna quelli che incontra.”

Buon viso a cattiva sorte … Ridemmo e ripartimmo infilandoci nel vicino Rio-Canale diretti alla volta del sontuoso chiesone dei Carmini. La barcaccia ormai era stracolma di sacchi: il bordo era giusto a pelo d’acqua ... Eravamo già belli pieni insomma: “Andremo a fondo fra poco ?” mi disse Paolo.

“Forse anche no.” risposi io: “Se questo qua ci saprà un po’ fare ... Potremo anche arrivare intatti alla Marittima del Porto.”

E approdammo così sulla riva davanti al bel chiesone dei Carmini che era aperto.

Mai e poi mai, e ancora mai: avrei immaginato che dopo qualche anno sarei finito proprio lì dentro “a fare e vivere da Prete”.

Approdammo dicevo … Beh: non esattamente … Provammo ad approdare col nostro barcotto stracolmo, perché le rive erano già del tutto occupate da molte barche ormeggiate in doppia e tripla fila. Il nostro “capobarca” non si scompose: saltabeccò un po’ qua e un po’ là, sciolse qualche corda, spinse qualche barca, e in poco tempo fece spazio alla sua barca davanti alla chiesa.

Non l’avesse mai fatto ! Si spalancò una porta di una delle case di fronte, al di là del canale, e spuntò fuori un tale Narciso “fittabatèle”(affittabarche) che pareva un tornado scatenato: “Come ti te permetti de molàr e me barche senza domandarme ! Aseno !”

E via ! … Non vi dico il resto: un uragano di parole, alle quali il nostro barcarolo rispose però ampiamente per le rime.

“Cossa xè sta storia ? A xè per caso tutta tua Venèssia ?”… e molto altro.

Molla tira e tira molla … Mise fine alla focosa disputa il Piovano spuntato sul balcone di casa sua, proprio affacciato sul Campo dei Carmini:“Xè par un’opera bòna Sjor Narciso ... Lasci fare: faranno presto ... Non si agiti per così poco.”

L’ometto esagitato si spense subito, e si ritirò mugugnando in casa sbattendo la porta che sussultò sui cardini … Via libera.

Entrammo allora in chiesa guidati dal Piovano sceso di sotto avvolto nel suo gonnellone bottonuto, lungo e nero … In pochi minuti sgomberammo tutta la zona dell’ingresso entrando a destra, dove stavano ammonticchiati un bel po’ di sacchi ... La barca traboccava ... era stracolma.

Pensavamo già d’aver terminato, quando il Piovano se ne venne fuori: “Eh no ! … C’è ancora dell’altra roba di qua.”

E di nuovo: detto fatto … ci accompagnò oltre metà chiesa in un locale nascosto fra l’organo e le Sacrestie dove c’era per davvero un’altra montagna di sacchetti di vestiti. Ci guardammo in faccia incerti.

Non c’era alternativa però: eravamo venuti per questo … Il Piovano ci prese anche gusto a darci ordini: “Tu prendi quello ! … E tu quell’altro … e tu: quell’altro ancora … Portate via anche tutti quelli là … Anche gli scatoloni se volete … Quelli là in fondo.”

Pareva un direttore d’orchestra … Non toccò né mosse neanche un solo sacco.

L’omino della barca allora se ne venne fuori: “Monsignòr ! No sèmo minga i spazzini eh ?”

In quel momento se ne giunse anche il Sacrestano Giovanni apparso assonnato e sorridente: “Bravi ! …. Bravi ragazzi ! … Fate un bel lavoro.”… ma pure lui non mosse un solo dito per aiutarci ... Quindi: carrettata dopo carrettata, portammo via tutto … o quasi … Proprio mentre stavamo salutando, si spalancò la porta laterale della chiesa, ed entrò un’anziana signora in lacrime accompagnata da uno smilzo giovinotto, forse suo nipote, che spingeva un altro carretto pieno di sacchi e vestiti.

“Eh no !” fece Paolo:“Ancora ? … Dove metteremo tutta sta ròba ?”

La sconosciuta donnetta, non ci diede modo di dire neanche una sola parola. Ci ammansì subito: “Ecco qua ragazzi ! … Questi sono tutti i vestiti del mio povero marito, che se n’è andato da poco …” e giù a piangere inconsolabile coccolata dal giovane nipote.

“Ci tengo molto che questi abiti di tutta la sua vita finiscano in buone mani: ai poveri possibilmente … Mi fa piacere se qualcuno li indossa: così da prolungare in qualche modo l’eleganza con cui li portava mio marito … Quanti ricordi su ciascuno di questi abiti: ognuno ha una storia … Potrei stare qua fino a domani a raccontarvele … Sono per la maggior parte abiti preziosi: da sartoria … Fatti a mano e su misura. Vedete questo cappotto di cammello, ad esempio ? Con questo siamo andati fino a Roma, dove ci ha ricevuto il Papa. Che gran ricordi ! Abbiamo fatto un bel figurone quella volta io e lui: eravamo proprio la coppia più bella: lo dicevano tutti … Eravamo sempre a posto: sempre eleganti e ben messi.”

Un fiume in piena di parole … e lacrime dappertutto.

Che dirle ?

Niente: “Siamo qua per questo Signora” le disse Paolo provando a consolarla … Non l’avevamo mai vista: “Sarà di sicuro un onore per chi indosserà questi abiti Signora … Porterà addosso un po’ della vostra storia.”

La donna se lo mangiò con gli occhi, e lo abbracciò inondandolo di ulteriori lacrime.

Poi s’intromise finalmente il Piovano: “Li lasci stare adesso Signora … Che hanno poco tempo, o faranno tardi col Seminario.”

“Oh cari ! … I xè dei Pretini ?!? … Che a Madonna ghe benedissa i studi ! … Che tesori !”

“Già … I studi !” fece Paolo guardandomi d’intesa: “Ne avremmo proprio bisogno.”

E scoppiammo a ridere memori dell’insufficienza in matematica che avevamo appena guadagnato a scuola la stessa mattina.

“Speremo proprio che a Madonna dei Carmini fàssa el miracolo.” mi scappò di dirle, col Piovano che mi guardò storto ... anzi: losco.

Mai anche lui avrebbe immaginato che quel ragazzotto spiritoso che aveva di fronte sarebbe diventato dopo qualche anno “il suo ViceParroco.”

“Dai Dai !” ci fece il barcarolo intrufolandosi nei discorsi: “Che è già tardi.”

E infatti lo era … Insomma: caricammo all’inverosimile la barca … e ci guardammo: “Questa affonda.” dissero sconsolati gli altri nostri compagni: “Io lì dentro non ci salgo più.” fece uno di loro.

“E neanch’io.” si aggiunse un altro: “Non voglio finire in ammollo in mezzo alle navi della Marittima.”

E di nuovo: “ipso facto”, la maggior parte della nostra combriccola decise di mettere fine “all’impresa”, e se ne andò via prendendo la strada del rientro in Seminario ... Rimanemmo soli: io, Paolo e il barcarolo.

Ci guardammo perplessi ancora di più … ma rassegnati … Il nostro innato senso del dovere soprattutto, ci diceva che la cosa andava portata a compimento.

“Dobbiamo raggiungere la Maritima del Porto di Santa Marta”, ci spiegò l’ometto: “Sulle banchine c’è parcheggiato un grosso Vagone-Merci dove scaricare tutti i vestiti per i poveri della Charitas di Venezia ... E’ là che siamo diretti: dobbiamo portare là i sacchi là, scaricare la barca, e restituirla entro sera.”

“Come sarebbe che dovremo scaricarla tutta ? … Ma chi ? … Solo noi tre ?”

“Certo … E chi altrimenti ? … Soprattutto dovremo  sbrigarci perché devo restituire la barca ... Non vorrete mica che mi venga a costare il doppio ?” borbottò il capobarca, che sembrava anche un po’ divertito ... ma non troppo.

A me e Paolo prese un transitorio attimo di panico … Non c’era alternativa però: c’eravamo solo noi tre a disposizione ... Quindi sfidando le onde e l’acqua del Canale della Marittima, che ogni minuto di più tracimava dentro alla nostra barca riempendole il fondo, c’infilammo nel Canale della Scomenzeradel Porto, e finimmo così con l’andare ad approdare su una banchina sopra alla quale troneggiava un solitario vagone merci già mezzo pieno di sacchi di vestiti.

“Mamma mia !” fece Paolo: “Tutti questi sacchi dobbiamo scaricare ?”

“Già …” feci io: “Proprio tutti ... e fin lassù in alto.”

L’ometto dato un paio di veloci giri di corde imprigionando la barca su grossi anelli che pendevano dalle banchine, e ad una appariscente e massiccia bitta nera che spuntava in alto, ci disse perentorio: “Dai ! Diamoci da fare … Che è tardi ... Io salgo sulla riva, e voi mi passate tutti i sacchi dalla barca.”

C’era una scaletta metallica infissa dentro al muro di pietra delle banchine della Marittima ... Insomma: issa, issa …  e ancora: issa pesantemente i sacchi sulla banchina, li spingemmo tutti su ad uno ad uno accatastandoli dentro al vagone che troneggiava sopra le nostre teste.

Fu una cosa faticosissima … Noi eravamo abituati a stare per ore e ore sui libri, con le mani senza calli, quasi mai impegnati in lavori pesanti di quel genere… In alternativa andavamo a pregare, o a suonare, o a giocare a pallone … ma mai a sgobbare in quella maniera.

O meglio: ci capitava raramente di farlo ... Per fortuna che ci venne in aiuto la forza della nostra freschezza giovanile, e la voglia di fare qualcosa di utile e buono.

Ogni volta che passava un vaporetto o una barca era un disastro. Le onde ci spingevano a sbattacchiare con la barca su per la banchina, imbarcavamo acqua, e dondolavamo paurosamente. Ci tenevamo stretti come potevamo per non finire in acqua … La barca sembrava non svuotarsi mai del tutto, né la pancia spalancata del vagone riempirsi più.

Ve lo garantisco: fu un indimenticabile pomeriggio … Mi sembra ieri che riempimmo del tutto quel “vagone con i vestiti dei poveri”.

Ancora oggi dopo quasi quarant’anni, passando quasi ogni giorno lungo la Marittima del Porto di Santa Marta per recarmi al lavoro all’Ospedale, non posso non riconoscere il luogo preciso dove quella volta ormeggiammo il nostro semiaffondato barcone.

Era emozionante però … almeno per me … trovarmi dentro a quel che rimaneva del vecchio Porto di Venezia … Ci trovavamo in mezzo a una foresta di binari e scambi sparsi ovunque, che andavano a infilarsi dentro a capannoni, tese, portici e magazzini del Porto … C’erano intorno mille carri merci agganciati in lunghe file, e barche, rimorchiatori, navi mercantili e chiatte di ogni genere e grandezza ... Alcune erano lì ormeggiate da giorni, altre erano appena arrivate, altre ancora: fumanti, erano quasi pronte per partire.

Il Porto era grande: spalancato e aperto … Vuoto e pieno insieme … Non vedevamo nessuno in giro, ma allo stesso tempo sapevamo che lì ferveva il lavoro dei Veneziani … Eravamo davvero piccini con la nostra barchetta stracolma quando passavamo accanto a quei grossi mastodonti galleggianti di ferro scuri.

Uno degli ultimi vagoni merci di quel genere è rimasto parcheggiato a Santa Marta per decenni fino alla fine degli anni '90 ... Ogni volta che lo vedevo ripensavo sempre a quel nostro vagone di quel pomeriggio.

Non l'avrei mai detto che 40 anni dopo sarei stato ancora là... Anzi: che sono 40 anni che calco quelli stessi luoghi vedendoli trasformarsi anno dopo anno in qualcos'altro. Neanche non esisteva quel giorno la strada che percorro oggi ogni giorno … Il Porto di Venezia allora era ancora una febbrile Cittadella chiusa, arroccata su se stessa, guardata a vista dalla Guardia di finanza mentre ferveva delle ultime attività della sua storica epoca.

Solo alcuni personaggi particolari, come la mitica Suor Angelica, riuscivano ogni tanto a entrarvi mettendoci lo zampino ... e le mani soprattutto, su cose dismesse e scaricate destinandole a chi a Venezia ne aveva più bisogno … Quanti carichi di frutta, verdure, patate e zucca, e tonno e castagne abbiamo racimolato, trasportato e scaricato nella dispensa del Seminario provenienti dalle banchine del Porto Veneziano. Stessa sorte accadeva per altri luoghi cittadini della Carità: Orfanatrofi, Case-Famiglia, Case di riposo o di Vecchi solitari, Asili di Bimbi, e Conventi di Monache di Clausura dalle economie stentate.

La mitica Suor Angelica riforniva un po’ tutti recuperando mille cose dalle navi del Porto.

Ricordo ancora nel Seminario: per una settimana, ad esempio, mangiavamo di continuo patate provenienti dalle navi del Porto … Poi era il turno dei: fichi … E allora si mangiava: fichi, fichi, e ancora fichi … Un’altra ancora: zucca, zucca … zucca barucca ... E avanti così.

Ci ridevamo sopra allegramente, e mangiavamo “quel che passava il Convento” a colazione, pranzo, merenda e cena ... Non c'era altro a disposizione, e per noi giovanissimi straripanti d’energie la fame era tanta … quindi …

Per me, come per tutti, il Porto era una parte di Venezia “off limits”, una parte di Venezia un po’ misteriosa e preclusa … Era impossibile entrarci … Perciò quel giorno in cui vi andammo con la barca, fu una piccola avventura per me accedervi … Non dimenticherò mai il fascino di quelle navi e di quei luoghi … né quelle rive altissime che quasi non riuscivamo a salirle giusto nell'ora della bassa marea.

Comunque: che fatica alzare tutti quei sacchi stracolmi e fragili sulle nostre teste e spalle … Spesso scoppiavano e si sfasciavano coprendoci con una pioggia di vecchie zimarre, palandrane muffose inverosimili, pantalonacci logori, calze, scarpe e mutande, e gonne fiorite che si usavano mille anni fa.

“Tanto vale ! ... Per i poveri questo è altro.” esclamava Paolo ogni tanto provando a motivarci entrambi:“Così ci rendiamo un pò utili … e facciamo una cosa buona.”

Sentivo che sotto sotto aveva ragione, ma pareva non terminare mai, che non riuscissimo mai a scaricare del tutto quel benedetto barcone … Ogni volta che passava un natante la barchetta mezza affondata continuava ad ondeggiare minacciando d'affondare … Ci tenevamo stretti sui bordi per poi riprendere a lavorare e scaricare passata l'ennesima onda.

Salendo ogni tanto sulla banchina mi guardavo intorno. C'erano ovunque gru di tutte le fogge e misure, e larghe basi rialzate di cemento: “Lì non c’erano impiantate vecchie gru rimosse.” ci spiegò il nostro barcarolo: “Durante la guerra c'era posizionata la contraerea del Porto.”

S’intravedevamo magazzini pieni di pile di cose, montagne di sacchi, polveri, farine, acciaio, barili, e mille altre merci giunte a Venezia da chissà quale porto del mondo … Eravamo curiosissimi, ma il nostro barcarolo ci richiamava subito al lavoro: “Dove andate ? … Dai che si fa notte ! …. E c’è ancora mezza barca da scaricare.”

Navi rugginose dipinte di nero si stagliavano attorno sulle banchine dove partendo lasciavano dipinto un nome e una data a ricordo del loro passaggio … Non c'è ormai più quella scaletta in ferro che abbiamo salito e disceso mille volte quel pomeriggio col terrore di cadere di sotto in acqua: se l'è mangiata la ruggine del tutto durante gli anni.

Già imbruniva quando spingemmo su sfiniti gli ultimi sacchi gialli traendoli dalla barca e pigiandoli a forza dentro al vagone ormai stracolmo … Finalmente s’era sollevata la barca sul pelo d’acqua del canale, pur mostrandoci il fondo parecchio invaso dall’acqua … Quando passava qualche barca adesso la barca ormai vuota pareva agitarsi e dondolare sull'acqua impaziente d’andarsene.

Con la sera gelida e umida giunse anche una pioggerellina fastidiosa ... Già pregustavamo il fatto di andarcene finalmente mollando gli ormeggi, quando con uno schiocco e un balzo un sacco giallo si staccò da quelli ammonticchiati dentro al vagone, e rotolò giù fuori, rimbalzando e finendo direttamente in acqua.

“Ci mancava anche questa !” borbottammo di malavoglia, e ci mettemmo subito freneticamente a recupere il sacco prima che affondasse del tutto.

Stenterete forse a crederci … Fatalità: era proprio il sacco che ci aveva consegnato la donnina in lacrime che avevamo incontrato ai Carmini. L’abbiamo riconosciuto recuperandolo zuppo dal canale: era proprio quello ... Cadendo in acqua s’era squarciato ... e gli abiti s’erano sparsi sulla banchina, mentre una parte galleggiava a pelo d’acqua.

Mentre faticosamente issavamo in barca quei resti, mi struggevano le parole che ci aveva detto la donnina, di come erano preziosi quegli abiti, e quanti ricordi e storie aveva ciascuno di loro … Ricordavo anche la speranza che aveva, che quegli abiti potessero essere indossati dignitosamente da qualcuno ... Adesso li vedevo là galleggiare bagnati, o sparsi e rovinati, o affondati sott’acqua.

Mi diede un colpo di mestizia vedere proprio quel sacco scoppiato e sfondato, mezzo vuoto, che traemmo su a fatica in barca.

Mi ha fatto riflettere quel sacco con le sue storie connessa ... Tanto è vero che lo ricordo ancora.

Puzzavamo come caproni alla fine, ed eravamo zozzi e madidi di sudore, scuri in volto, e stanchi per quella fatica a cui non eravamo abituati. Quando scese la sera e la notte ingoiandosi il Porto di Venezia infiocchettandolo di mille luci, quasi fosse un albero di Natale fuori stagione, la barchetta ci portò scoppiettando e tremolando nel buio fino alla Zattere.

L’ometto volontario desideroso quanto noi di mettere fine a quel pomeriggio riconsegnando la barca, quasi non si fermò accostandosi appena all’imbarcadero di San Basilio ... Ci fece solo un cenno mentre saltammo a terra … Neanche un grazie, né una parola, o un saluto prima di lasciarci … Non l’abbiamo più rivisto.

Non ci ringraziò di quella faticaccia neanche il Rettore del Seminario, e tantomeno i Preti delle chiese Veneziane.

Avevamo fatto quel che c’era da fare: è vero … Ed è altrettanto vero che la Carità non va strombazzata, dev’essere muta, quasi segreta e silenziosa, avvolta d’umiltà ... Tutto vero: ma almeno grazie.

Per giorni sia a me che a Paolo fecero male le mani, i muscoli delle braccia e delle gambe, e la schiena … Poi passò tutto, ed è rimasto solo questo pallido ricordo che conservo e rispolvero ancora oggi.

Le banchine del Porto di Venezia … Già … Quante storie di storie, e quanti significati sono accaduti là: qui a Venezia.

Qualche giorno dopo nella Biblioteca del Seminario mi è capitato in mano un volume che parlava della storia fascinosa, granda e avvincente del Porto, dei traffici, e dei Mercanti della Serenissima, che per secoli hanno fatto grande la nostra Città affacciandosi sui Moli di San Marco e di mezzo Mondo.

Quante cose sono partite e arrivate a Venezia ! … Per secoli e secoli.

Fino a qualche decennio fa, quello di Venezia era ancora un Porto vero … Solo più tardi s’è trasformata nel Porto Croceristico delle Grandi Navi prima di spegnersi per le proteste e al tempo del Covid … Adesso da qualche anno: non c’è più niente, tutto è fermo … come morto.

Non si parte né si arriva quasi più nel Porto di Venezia. E’ terminata, almeno per ora, la prestigiosissima Portualità Veneziana di successo che è durata secoli.

Leggevo curioso sulle pagine del libro: “Durante tutto il 1854, sono arrivati a Venezia 630 Bastimenti di Lungo Corso carichi di 138.545 tonnellate di merci, e ne sono ripartiti 533 pieni con 115.939 tonnellate ... Ne sono arrivati poi altri 1492 di Grande Cabotaggio, e partiti altri 727 … Solo 20 sono ripartiti vuoti ... A questi si sono aggiunti ulteriori 1.614 Bastimenti di Piccolo Cabottaggio, che hanno portato a Venezia altre 78.933 tonnellate di prodotti, ripartendo in 16 vuoti, ma altri con 20.497 tonnellate di nuovo carico di merci.”

La tabella degli anni seguenti mostrava più o meno gli stessi dati, però al rialzo. C’era stato un ulteriore incremento dei traffici sia in entrata che in uscita da Venezia. In quegli anni insomma: il Porto Veneziano era ancora più vivo che mai … Ed era popolato giorno e notte da un’intera folla di Spedizionieri, Marittimi, Scaricatori, Ormeggiatori, Gruisti, Magazzinieri, Ferrovieri e Portuali, nonché da Guardie Marittime che sorvegliavano la Frontiera Internazionale.

Oggi è tutto scomparso ... Rimane poco: un pugno di sbiadite e scure foto, che in qualche modo riassumono i posti, i luoghi, i tempi, e il lavoro di scarico e carico che accadeva ogni giorno sulle banchine della Marittima e del Porto di Levante e Ponente, di Santa Marta, della Scomenzera, e di San Basilio. Nel Porto oltre ai luoghi del lavoro e dello stoccaggio, c’erano anche Refettori, Officine e posti del DopoLavoro dei Portuali … Un muro alto tre metri e più divideva il Porto dal resto del Quartiere di Santa Marta e dei Ferrovieri… E c'erano in giro ancora gli ultimi Portuali veri: quelli che si calavano dentro alle immense stive delle navi, quelli che spostavano, scaricavano e caricavano ancora in buona parte a braccia … Molti erano vecchi“lupi di mare”, o forse meglio: “Topi di porto”, perchè il mare vero forse non l'avevano mai visto imbarcandosi, nè tantomeno l’avevano solcato ... Erano: “Marittimi” dicevano, e “grandi lavoratori” aggiungevano ... Ne ricordo ancora qualcuno, per la maggior parte attempati, spesso prossimi alla pensione … Qualcuno era anche un po’ marpione e opportunista, perché sapeva entrare “magro” dentro al Porto per poi uscirne “grasso”, facendo entrare e uscire di tutto e di più “quasi magicamente” ... Voglio pensare che spesso lo facessero per necessità, per arrotondare, cioè per riuscire a sfamare in qualche modo le bocche numerose delle loro famiglie.

Ancora nel 1923 sulle Banchine della Marittima del Porto di Venezia lavoravano e si davano da fare più di 5.000 Portuali Veneziani … ed erano irrisori i flussi dei “Passeggeri-Turisti-Croceristi”.

Il 21 marzo 1945, il Porto Veneziano venne anche tragicamente bombardato e colpito dagli Alleati affondando il piroscafo Tedesco Otto Leonhardt carico di munizioni. Sono state alcune spie Veneziane “a studiare” Venezia e il suo Porto fornendo agli Alleati i dati con grande puntualità e precisione per bombardare ... Hanno prestato orecchi e occhi “a fin di bene”: per poter vincere i Nazisti.

Nell’idea dei Tedeschi, Venezia doveva essere snodo cruciale della rete di trasporto e collegamento fluviale dell’Adriatico e della Pianura Padana, capace di sostituire il traffico ferroviario e stradale che era stato gravemente danneggiato e interrotto. Gli Alleati, consapevoli del valore artistico di Venezia, decisero di attaccare il porto della città con un’azione per quanto possibile chirurgica. L’OperazioneBowler venne addirittura chiamata bombetta, ad indicare il copricapo civile che avrebbero dovuto indossare i militari bombardieri se avessero malauguratamente fallito la missione danneggiando qualche monumento importante di Venezia.

L’azione strategica ebbe pieno successo, e recò notevole danno all’organizzazione logistica dei Nazisti. L'attività del Porto di Venezia venne bloccata, così che Venezia non poté più essere d’alcuna utilità ai Tedeschi ... Due settimane dopo l'offensiva alleata attaccò la Linea Gotica Tedesca ... Mancava poco più di un mese alla fine di quella stupida quanto orribile e inutile guerra.

Disgraziatamente però, gli Alleati non potevano sapere che nel Porto Veneziano c’era anche un notevole magazzino in cui erano stoccate molte mine marine ... Saltò tutto per arialasciando un cratere di 90 metri di diametro sulle banchine,e l’onda d’urto seguente rase al suolo un edificio di cinque piani del mio Quartiere di Santa Marta causando più di venti vittime compresi bambini, donne e anziani inermi ... Vennero affondate due navi mercantili, un naviglio di scorta e altre imbarcazioni minori. Fu danneggiata seriamente anche un’altra grossa nave da carico, distrutti cinque magazzini del Porto e diverse infrastrutture, e la scuola per la formazione di sommozzatori e siluri a lenta corsa ... 

Ma quante morti inutili !

Non è vero quanto riportò in seguito il quotidiano britannico The Guardian: "... che i Veneziani durante quel bombardamento si sentivano talmente sicuri da salire sui tetti ad osservare lo spettacolo dell’attacco aereo.”… Nè era verità che la città se l’era cavata solo con qualche finestra andata in frantumi …

Lo stesso spostamento d’aria ruppe non solo i vetri di tutta la città, ma danneggiò gravemente anche gli affreschi del Tiepolo a Palazzo Labia, e fece danni fino alle isole della Laguna.

Nel 1970 infine si provvide alla demolizione del Silos Isonzo dei Cereali, cioè “il Silos Granario” costruito attorno al 1947 (?) se non vado errato … Il resto lo sapete, perché è ormai storia di oggi.


Noterella simplex: Galline a Palazzo Ducale

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#unacuriositàvenezianapervolta 349

                                  Noterella simplex: Galline a Palazzo Ducale

1629 a Venezia: anni difficili di Peste … I Veneziani però non si fermavano lo stesso ... I Nobili Pisani Moretta vendevano Riso portato dalle loro Risaie del Vicentino nel loro palazzo sul Canal Grande. Donavano ai loro clienti: un sacco o mezzo sacco di Giavone delle risaie per allevare i polli in casa a Venezia.

A Venezia le galline ?
Si ... si !
Fra le NobilDonne Veneziane le Galline erano considerate intelligenti animali da compagnia, come Cani e Gatti di oggi ... Le Cronache Veneziane raccontano di Galline presenti ovunque dentro ai Monasteri: nelle celle-dormitori sotto ai letti, in Biblioteca, nei Chiostri, nella Sala del Capitolo, e perfino sugli altari in chiesa.

Non voglio immaginare quante "schittàe" che c'erano ovunque in giro ... ma l'epoca chiamava così.
Tra le cause che portarono alla morte il Doge Giovanni Corner nel dicembre 1629, ci fu anche un alterco col figlio Francesco proprio per via di certe galline che il Serenissimo allevava disdicevolmente a Palazzo Ducale ... La lite si fece furibonda … e il vècjo vi rimase secco stecchito.

Tutti uguali di fronte alla Morte ?

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#unacuriositàvenezianapervolta 350

Tutti uguali di fronte alla Morte ?

Secondo una tradizione continuata a lungo da alcune comunità Civico-Ecclesiastiche nei riguardi d’“Inconfessi, Scomunicati e Insordescenti” appena Morti, era cosa giusta privarli del diritto alla sepoltura per le loro presunte colpe ... Il Piovan, il Prè o il Fraiter si presentavano allora davanti alla bara dell’“Inconfesso Reprobo abbandonato da Dio”, e manifestavano plasticamente il rifiuto dell’intera Comunità nei suoi confronti percuotendo a bastonate davanti a tutti la bara del defunto come segno di ripulsa, spregio e “messa in fuga” dell’entità malefica lì contenuta.

Si faceva così di solito con gli importuni, i sacrileghi e i ladri che abitualmente sia in campagna che in città venivano presi a sassate e randellate anche quand’erano in vita... Curiosa e trista la cosa.

Venezia è stanca ... ma dorme con un occhio aperto ... e non solo lei

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# unacuriositàvenezianapervolta 351

Venezia è stanca ... ma dorme con un occhio aperto ... enon solo lei

Bellissima Donna Venezia … Le rughe da tempo ormai le hanno segnato il volto, si tinge ogni tanto i capelli, che sempre di più rimangono nella spazzola … Ogni tanto passa anche dall’estetista, si controlla gli impianti in bocca, le unghie dei piedi … Già che c’è va anche a farsi il pap-test, e tutta la serie dei controlli periodici … In Farmacia ogni giorno si fa misurare la pressione, e quel fastidio al torace valutato dal Cardiologo è sempre pungente, così come il respiro, che si fa affannoso ogni volta che sale le scale con le sporte della spesa … e quando c’è umido, nebbia o troppo caldo. Va proprio in affanno quando c’è troppa gente in giro, cioè sempre … Ed è sempre affaticata, sente le gambe pesanti, le gira la testa qualche volta. E’ stanca di tutto e di tutti: di quanto succede, di come vanno le cose, di quelli che partono e arrivano … Ed è anche mesta qualche volta, perché non ci sono più quelli di ieri: quelli a bottega da basso ogni giorno, quando passava in rassegna le bottegucce sotto casa per far la spesa di tutti i giorni … Lattaio, Fornèr, Biavaròl, Fruttivendolo e Pescheria … e c’era il Fiorista due volte la settimana in Campo, il Barbiere sempre pronto a far due chiacchiere sulla porta della bottega, e il Merciaio dei bottoni e delle stringhe perché le cerniere ancora non c’erano … E c’erano tutti gli altri seduti fuori in Corte, e quelli che andavano e venivano dall’Osteria sotto al portico … Un Foresto era una novità: lo individuavi subito se passava in Contrada varcando gli invisibili confini del ponte o della calle ... E poi c’era la campana che scandiva le ore del giorno, e la Vita di chi nasceva, moriva o si sposava … Quante feste … e quanti Funerali … Quante volte avanti e indietro con una scusa o con un’altra in quella benedetta “chiesa delle Sette Madonne” … Quando i bimbi erano piccoli: perché erano da “batizzo, da comunion e da cresema”, e dopo perché erano grandi “da nòzze o da batizzo a loro volta” … e poi i Nonni, gli zii e gli amici portati via uno dopo l’altro come a snoccioloare i grani di un vecchio Rosario, o a strappare uno dopo l’altro i fogli di un altrettanto vecchio calendario lungo una vita intera ... Insomma: quella campana era come il battito del cuore, che scandisce in ogni momento tutta l’esistenza … ben o mal …

Guardo di qua e di là stando sulla porta di casa … Non c’è quasi nessuno in giro a certe ore. Un tempo questi angoli di Venezia trasudavano di vita e di persone … C’era il Mondo dappertutto … Adesso sul bordo della riva le Pantegane continuano a scappare sordide e irsute, oppure corrono lungo i bordi delle case. Non sanno che non ci sono più i Gatti “paròni de Venessia”, con le loro "mamme" gattare che vivevano con loro e per loro … Non c’è più nessuno che insidia i topi: eppure continuano a scappare, ce l’hanno dentro la necessità di fuggire … come noi a volte.

Anche sulle rive di quelle che sono state le Contrade Veneziane bagnate da millenni dall’acqua che: “sie ore a crèsse, e sia ora a càla” non attracca quasi più nessuno ... Gli anelli sono rimasti là rugginosi e mangiati dalla salsedine e dall'acqua ... Le scalinate, i gradini sono immersi, affogati nell'acqua, e ricoperti da lunghe barbe verdi scivolose e grondanti … Non sono saliti e discesi più da nessuno ... Non ci sono più i Fornai che si rifornivano di farina, nè scendono e salgono più i  barcaroli, i facchini e i manovali stanchi pieni di ceste, casse,  remi, reti, pesce e tutto il resto ... Oggi ci sono solo i posti barca delle “barche della domenica”, o di chi le tiene là solo per averle ... come hai il cane e la televisione in casa, e tutto il resto ... Ste rive xè vode come ste case morte.

Perfino la Luna in alto sembra più sbiadita e stanca, e più lontana ed alta del solito sopra la Laguna: “Questo condominio sta quasi diventando un cimitero: una disperaziòn ... Qui c’erano quattro famiglie su ognuno dei quattro pianerottoli ... Ora siamo tre in tutto. C'erano tutti una volta: vecchi pensionati, vedove con i figli scapoli non maritati in casa, e famiglie piene di bimbi piccoli: uno, due  tre  quattro per ciascuna … e c’erano anche altre famiglie senza figli … e senza età, e ognuno era pieno di storie da condividere e raccontare … e da vivere … Qui stava anche quello che entrava e usciva di prigione ... Anzi: qui ne ha abitato più di uno, compreso quello che tutti ritenevano un piccolo bos di questo quartiere … Quanta vita che c’era qua ... e quante discussioni, chiacchiere e pettegolezzi: un alveare umano sempre in moto ad ogni ora del giorno e della notte.

Adesso sulle scale di casa c’è quasi sempre silenzio … Incontro ogni tanto lo studentello che neanche mi saluta se ha le balle giràte, o che mi fa mille moine se ha bisogno di qualcosa … Ogni tanto fa bàgolo fino a notte fonda con altri come lui: sembra un Carneval vanesio e fuori stagiòn che dura solo poche ore … Non gliene frega niente se sono stanca, se non sto bene, e se vorrei starmene quieta a pisolare.

L’altro giorno ho aperto la porta per andare in strada con l’ombrella in mano a far quele do spese ... Mi sono trovata di fronte due mai visti col telefonino in mano e la valigia con le ruote: “Siamo qua.” mi hanno detto in Inglese … Non gho capìo un’ostia ovviamente … Gho dovuo ciamàr in fretta e furia me nèssa (nipote) al telefono: ghe a gho passàda par capir che cosa che i voleva.

Alla fine se semo capii … Gho dovùo spiegàrghe “a motti e atti”, che non gèra casa mia quella che doveva ospitarli, ma la casa di fronte: dove hanno appena aperto un altro “Bed” nuovo di zecca … Un “Bed” ? … Beh: insomma … Xè restà tutto come prima: co i mobili e le stràsse della Giovannina che xè morta l’anno scorso … Solo che non abita più la Giovanna: ma xè tutto uguale a prima ... Anca el gabinetto. So nevòdi che sta a Noàl, gha deciso che a casa de a Giovannina xè: un “Bed” … e va ben … o anca no.

Sti turisti viene dall’altra parte del Mondo, ma no i capisse un’ostrega de Venessia, de come che a funziona … I se perde … Come se i gavèsse anca lori più de ottant’anni.

Xè davvero cambià el Mondo … Lo so: sèmo vèci, e a volte in tòcchi … Sopeghèmo su e zò par i ponti … E no gavèmo quasi più pazienza co nissun … Semo rassegnài a sta Venessia sofisticàda e savariàda: in man de quei pochi, che se sgiònfa el portafoglio, ma senza voler ben a questa Città che i considera come un sogàttolo (giocattolo) de lusso … Quei che comanda ? E dove sèlli ? … I ghe tien solo al caregòn, e a farse sempre più grossi e grassi … No ghe interèssa niente de i Venessiani, anche se i se impenisse a bocca de Venessia e de i so problemi … Venessia sembra che sia sempre tutto: un Mondo de ròbe: el Cinema, e Mostre, a Biennale, el Carneval, e Regàte, a Sensa, a Vogalonga, a Su e zò par i Ponti e tutto el resto … A sembra una trottola a volte, o insemenia: persa come i turisti, o come quei che va correndo de notte in cerca del tesoro co a carta in man e a luce in fronte … Venessia xè un ziògo: un zogàttolo … una barchetta de oro par qualchedun, da far dondolàr su e zò col ziògo del Mòse.

Vènessia xè deventàda “come una fiòla da Comunion” co tanti sàntoli, ma senza bussolài ... Troppa zènte gha un bràsso longo e uno curto … I gha i grànsi in scarsèlla … I vol portàrse tutto in tomba.

Basta … so stanca de discutèr e pensàr: gho sonno … Vago a fàrme un pisolo: cusì no penso e no vedo, e no stàgo mal … No me rattristo par sta Venessia in zavàtte co i pie gonfi … Nà vècia: come so mi … Non rincojonia del tutto par fortuna … ma quasi.

Discorsi da vècia imbalsamàda ? … Si … forse … Bisogna però aver rispetto dei vèci: capirli e no strapassarli … Parchè forse nissun de oggi sarà capace de far una Venessia bella quanto a xè stàda ieri … Bonanotte allora … o Bongiorno: parchè a volte sembra che sia scomparse anche e ore, e no ghe sia più neanche giorno e notte, né anni, né feste, né scadenze … né niente … Bon prò ve fassa allora … Fassè bon viàzzo … No ste andar a remèngo del tutto … Ve strùco e ve bàso … anche se no ve conòsso … Con un fià de timidessa e riguardo, ma lo fasso lo stesso: parchè so fatta cusì … Notte notte Venessia ... Continua però a dormire co un òccio (occhio) solo: come ti gha sempre fatto … Ti sarà sempre un Leòn cara Venèssia … anche se vècio e sbarossà … ma pur sempre un Leòn: che rugisse e sa sbranàr.

Galline ancora … e non solo a Venezia

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#unacuriositàvenezianapervolta 352

Galline ancora … e non solo a Venezia

Già vi dicevo del Doge con le Galline a Palazzo Ducale … e delle Monache Veneziane con le Galline sotto al letto, e le uova nella Sala del Capitolo e in chiesa …

C’era dell’altro a Venezia …  Da tradizioni antiche più della “Notte dei Tempi”, a inizio estate nella Notte di San Giovanni si accendeva un fuoco come all’Epifania … E niente … Si era convinti da sempre, che passando almeno tre volte attraverso le fiamme del falò se ne assorbisse l’energia aumentando la propria fertilità e la propria Fortuna … Ballavano attorno al fuoco indossando Artemisia e Verbena, e poi correvano i moròsi fra le braci del fuoco lanciandosi Fiori: chi li prendeva al volo si sarebbe maritato presto ... Quelli di Campagna soprattutto, saltavano e passavano attraverso il fuoco pensando che quella calorifica forza avrebbe adiuvato non solo la loro personale Salute, ma anche quella della loro Casa e Famiglia, e di tutte le loro cose e animali che facevano passare con loro attraverso il fumo e le ceneri … Così li avrebbero liberati e protetti da infezioni, malattie o segreti ed oscuri malefici sempre in agguato … Si facevano rotolare ruote di paglia date alle fiamme sopra ai campi e i vigneti, poi si spargevano le ceneri come una coperta sopra al terreno per proteggerlo, fertilizzarlo e favorirlo.

E le Monache di Venezia ? … e il Doge ?

Presto detto … Di loro raccontano le Cronache Veneziane di Abbazie, Monasteri e Palazzi, che le Monache andavano a mettere e frammischiare le ceneri del Fuoco di San Giovanni con la paglia del Pollaio e dei Nidi presenti nel Monastero: “E Gajne sarà de sicuro più vispe … e le farà tante ova in più” ... E perché no poi ? … A San Giovanni si spegneva ogni foghèr de casa, Convento e Palazzo, e poi lo si riaccendeva con un tizzone prelevato dal “fogaròn de fòra de San Zàn o Juanni.” ... Non guastava poi far mettere anche un tizzoncello nero e spento sui tetti della chiesa, sopra al Capitolo, al Dormitorio, all’Infermaria e alla Biblioteca … per proteggere tutto e tutti da fuoco e fulmini … e anche nelle splendide Cà Nobiliari di Venezia non si disdegnava di fare la stessa cosa ... Meglio essere prudenti: non si sa mai … Forse funzionava.

Sapete perché ricordo queste cose ? … Perché mi è capitato, molto tempo fa, di rinvenire degli strani legnetti abbrustoliti infilati nei sottotetto e fra le tegole … Significato enigmatico … o forse no.

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