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½ chilo di Nobiltà … il Foscarino.

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½ chilo di Nobiltà … il Foscarino.

A chiunque capita di vivere sensazioni … Siamo fatti così. A volte sono cose specialissime, altre volte sono umili, normali, quotidiane, che però ti rimangono radicate dentro.

Durante i cinque anni che ho vissuto da Prete nella chiesa di Campo Santa Margherita di Venezia, nessuno mai, neanche una volta, ha nominato o fatto accenno al Monumento Foscarinicollocato a riempire il fondo dell’antico chiesone Carmelitano ... Pareva non esistesse proprio ... Eppure era là: monumentale ... scurissimo.

Solo tempo dopo ho saputo che era stato realizzato dall’italo-svizzero Francesco Contin, così come ho scoperto spulciando in giro per conto mio, che quell’uomo“infisso pietrificato in parete” era stato davvero un “grande uomo” …Un Ammiraglio Generalissimo da Mar della Flotta Veneziana, che aveva abitato tutta la vita nella Cà, cioè il Palazzo proprio di fronte alla chiesa dei Carmini, giusto al di là del Ponte e del Rio ... Lì aveva vissuto anche un Doge: Marco Foscarini … il centodiciassettesimo Doge della lista dorata dei Serenissimi.

Venendo a me … Ero abituato a circuitare spesso di sera e di notte meditabondo e riflessivo in solitudine dentro al chiesone chiuso e spento. Me ne stavo là dentro avvolto nel mio tabarro d’inverno, e a sudare d’estate leggendo e inseguendo le mie idee e i miei progetti pretenziosi a volte ... Gira e rigira, a volte avulso dal Tempo, passavo e ripassavo sotto al Monumento del Foscarini, e mi sentivo osservato dall’alto da quell’ombra pietrificata che stava appiccata su in parete. Ogni volta che gli passavo di sotto, provavo sempre la sensazione che quell’uomo per me ignoto, carico di cento avventure e storie, avrebbe avuto molto da dire su quanto andavo e non andavo facendo in quella che era stata la sua personalissima “chiesa e Contrada di Famiglia”.

Taceva però pietrificato e barbogio in alto, col suo bastone del comando in mano … Ed era un male … Mi sarebbe davvero piaciuto ascoltarlo, almeno qualche volta ... Chissà che mi avrebbe detto se avesse potuto parlarmi anche solo per un attimo ?

Quante Galee di Mercato e da Guerra aveva condotto per se, per il suo Nobilissimo Clan Familiare, e per Venezia … e quanti uomini, persone e situazioni aveva affrontato e incontrato. Chissà quante storie aveva vissuto ? … Adesso però se ne stava là in alto al buio e all’umido dimenticato da tutti, pietrificato e distratto, a guardare l’acqua alta a volte, che ogni tanto di notte invadeva silenziosa tutta la chiesa.

Fantasia “da giovane Pretino” direte … Si … In confidenza lo chiamavo fra me e me: “il Foscarino della parete”.

Gli “parlavo” ogni tanto, rivolgendomi a lui passandoci di sotto: “Che vuoi farci Foscarino ? … “Sic transit gloria mundi” (così passa la Gloria del Mondo)… Hai toccato l’apice di Venezia e fatto la Storia, ma adesso te ne stai là incastrato, e nessuno ti bada più ... Un giorno sei tutto: indispensabile, insostituibile … Un altro non conti più niente, e ti buttano nel cesso e nel dimenticatoio ... E’ la vita che è fatta così ... Bisogna accettarla, e questo vale anche per te.”

Qualche volta pareva annuire avvolto tacito nell’ombra: “E’ sempre così Foscarino … Puoi aver fatto di tutto, essere stato un eroe come te, ma dopo un po’ la Storia ti scavalca, e nessuno ti pensa più … Qui nessuno parla di te, né gl’interessa di chi sei stato, e di che cosa hai fatto … Qui pensano tutti solo a se stessi e al loro presente, a che mangeranno o faranno stassera, o al massimo a ciò che dovranno per forza fare domani mattina ... La Storia è fatta come di lampi di un temporale, che neanche lo badi se proprio non ti scravàssa (piove forte) addosso ... No ?”

Uno scricchiolio in parete ! ... Mi stava forse dando ragione il Foscarino ? … S’era scosso e dinoccolato un attimo ?

No di sicuro … Un giorno poi, capitarono in chiesa due tizi distinti accompagnati da una giovane restauratrice entusiasta. Entrati, hanno cercato e trovato il Piovano, il“mio capo”(ero il ViceParroco), dicendogli: “Siamo venuti a restaurare il Monumento del Foscarini.”

“Chi ? … Ah … Foscarini ... già.” rispose il Piovano guardandosi intorno con l’abituale entusiasmo al 0,5% che esternava sempre per qualsiasi cosa succedesse: “Si … La tomba là in fondo … No ?”

“Si: quel Monumento in fondo alla chiesa.” gli indicarono.

“Già … Quello … Si … Fategli pure quel che gli dovete fare … E’ tutto vostro.”

E non se ne parlò più, neanche una sola volta a cena: niente di niente … Per il Piovano era un’altra delle notizie del tutto ininfluenti, che non contavano niente … Non gl’interessava del Foscarino in parete ... Che cosa contava per lui ? … Boh ? … Gli bastava ascoltare in religioso silenzio il TG di Rai 1 della sera con le nuove della Politica a cui gridava contro sempre imbufalito da dentro la sua nuvoletta di fumo che gli faceva strizzare gli occhi … Tutto il resto ? … Qualsiasi cosa: poteva aspettare … Non meritava più di tanto attenzione: il Tempo e le situazioni si potevano bellamente lasciarle fluire così com’erano … tanto ? … Per certi versi assomigliava molto al Foscarino “in parete”: pietrificato ... Giudizio severo … ma corretto secondo me.

Da quel giorno però, e per un paio d’anni, cambiarono le cose per me, perchè non vidi più in chiesa il monumento del Foscarino del tutto coperto dai teli dell’opera di restauro. Era come se avessi perso un interlocutore, una specie di “amico e confidente pietrificato della sera e della notte”… Mi dispiaceva un po’ non riuscire più a distinguere i suoi tratti nel buio.

Fu da allora, che m’interessai un po’ su che cosa era accaduto dentro a quel gran palazzone dei Foscarini che stava appena giù del Ponte dei Carmini, cioè proprio di fronte alla Canonica dei Preti dove abitavo io.

I Nobili Foscarini ? … Boh ? … Chi erano stati ?

Adesso il vetusto palazzone di un tempo era malmesso e tutto frammentato in appartamenti … Neanche quelli che ci abitavano sapevano qualcosa dei Foscarini: risiedevano là in quel posto e basta … Era casa loro, non più dei Foscarini. Su chi ci abitava un tempo: notte profonda … Niente di niente, neanche un nome.

Qualche volta, vagabondando benedicente di casa in casa nella Parrocchia, mi capitava d’infilarmi col mio sottanone nero bottonuto lungo fino ai piedi, anche dentro a quello che era stato il Palazzo dei Foscarini dei Carmini. Entrando nel portico e negli androni, su per le scale, sbirciando il giardino, e accedendo a quelli che erano stati i suoi saloni, come potevo non pensare al Foscarino” pietrificato e sospeso in chiesa ? … Mi tornava di continuo alla mente il suo Monumento “incartato”dal restauro ... E lo ripensavo ancora il “Foscarino”, anche quelle volte che nelle prime ore dei pomeriggi assolati o gelidi m’intrattenevo a impallonare “ragazzino con i ragazzini” i muri esterni della chiesa inventandomi in atletici gesti calcistici tenendomi stretto e infagottato il tonacone in mano … Che tempi ! … Qualcuno, chissà quando, aveva dipinto di bianco i tratti di una porta da calcio sulla parete principale della chiesa … Il Campo dei Carmini quindi, ogni tanto diventava una specie di microcampo da calcetto disponibile a tutte le ore ... anche per il “Prete”, che ero io.

Picchiando e cannoneggiando la facciata della chiesa col pallone, ogni tanto riandavo col pensiero al Foscarini, che se ne stava all’interno, giusto al di là della parete del chiesone: neanche da morto lo lasciavamo in pace … e le nostre fragorose pallonate entusiaste facevano rimbombare l’aria e i dintorni giusto nell’ora della siesta ... Ricordo ancora quella Signora, che compariva puntualmente ogni volta sulla finestra del palazzo accanto: “Ma insomma ! Ci si mette anche lei Reverendo a far casino a quest’ora ! … Sono le due del pomeriggio: l’ora del riposino … Come si fa se fate tutto questo chiasso ? … Il Campo non è mica il Patronato ! … Andate a giocare là dentro piuttosto ! ... Lasciateci tranquilli ... Non mi costringa a chiamare i Vigili.”

Non posso riportarvi quello che le rispondevano gli scanzonati ragazzini con cui giocavo, ve lo lascio immaginare: “parole da lacrime agli occhi”, che mi facevano crepare dal ridere … Da dentro il mio gonnellone da Prete, e col collare candido stretto in mano, mi scusavo con la Signora a nome di tutti … Poi, come se niente fosse, riprendevamo imperterriti a giocare divertiti il nostro “microcalcio”: “Dai Don ! Passa quèa bàea ! (quel pallone) … Làssa stàr quea vècja in fresca ! … Dai: tira ! Pàssa ! Cròssa !”

Finchè poi finalmente suonava su in alto il campanone delle tre del pomeriggio, che martellando col solito motivetto “dell’AveMaria di Lourdes”, ricordava a tutti che dovevamo dedicarci anche ad altro: “Andèmo a far e lessiòn Don … A dopo.”“Si: a dopo, in Patronato pal Catechismo e a cantàr … Vado anca mi a far qualcosa da Prete intanto.”

Mi aggiustavo allora il collare sotto al mento, mi strofinavo via la polvere dalla tonaca, e mi avviavo “busta per le elemosine sotto al braccio”, a suonare di porta in porta, odoroso e scompigliato, per visitare e benedire i miei Parrocchiani.

A tarda sera, di nuovo, se non ero ancora in giro da qualche parte o a casa di qualcuno, tornavo nel chiesone buio e gelido … e il “Foscarino incartato e invisibile”, se ne stava sempre là al suo posto “ad aspettarmi” ... Altre volte, se pioveva, o non stavo a “pallonare”con i ragazzini, salivo su nella “pergoladell’Organo dei Carmini” (la cantoria). In quella stessa ora della canicola mi scatenavo abbandonandomi a strimpellare melodie antiche e nuove … Rimbombava e vibrava la chiesa, la calle accanto, e anche le case dei vicini.

Altre proteste e contestazioni allora, che non mi giungevano mai direttamente in faccia e all’orecchio, ma andavano telefonicamente dritte al Piovan “mio superiore”: “Il suo Pretino deve proprio suonare il Rock e Roll a tutto volume alle due del pomeriggio buttando giù chiesa e vicinato ?”

Il Piovano sapeva bene che non lo ascoltavo, ma fra una notizia e l’altra del Tg mi pigolava da dentro la nuvoletta di fumo i suoi minuti richiami senza neanche guardarmi ... e tutto procedeva come prima ... La sua parte di richiamarmi “all’ordine” l’aveva fatta: lui era a posto con se stesso, davanti a Dio, e al Mondo intero … Chissà che avrebbe detto il “Foscarino”in fondo, sentendomi produrre tutta quella chiassosa Musica così strana ? … Taceva ovviamente … Secondo me gli sarebbe piaciuta.

L’avete capito: quel“Foscarino” imprigionato in parete nel suo Monumento Tombale mi era diventato simpatico ... Sbirciando il profilo elegante delle sue Galee scolpite sul muro, fu gioco forza andare un po’ a frugare nelle sue gesta, e in quelle della sua Clarissima quanto Nobilissima Famiglia.

Poi, purtroppo, giunse per me il “tempo di andare”: appiccai il tonacone al chiodo, e con quello anche la curiosità per il “Foscarino”e dintorni: avevo altro d’urgente per la testa a cui dedicarmi.

Il “Foscarino” eraJacopo Foscari, cioè Giacomo Foscarini detto“dal Banco” (1523-1603). Ignoravo chi fosse, perciò inizialmente pensai per deformazione professionale “da Prete”, che fosse soprannominato “dal Banco” per via che fosse un Nobile bigotto da chiesa, uno sfegatato basabanchi conservatore e bacchettone … Invece: no … Jacopo Foscarini era “dal Banco”per via che aveva e gestiva una Banca tutta sua, “de Casada”: di famiglia … Altro che flesso e chinato bigotto ! “Foscarino” era diverso da come lo immaginavo. Era di certo anche un Veneziano “di chiesa”come tutti allora, e non poco, visto i rapporti che intesseva lui e la sua Famiglia con i Frati dei Carmini che stavano appena al di là del Ponte davanti a casa sua. “Foscarino” però, era stato soprattutto un gran Mercante, un azzardato Imprenditore che prestava e investiva grandi somme di denaro, tanto da avere una Banca personale che agiva non solo a Venezia, ma sull’intera piazza Mediterranea ed Europea ... Non era robetta il “Foscarino”: era tanto per i suoi tempi.

Figlio di "Senator Ragguardevolissimo", Jacopo Foscarini era partito giovanissimo nel 1539 da Venezia al seguito di un’Ambasceria Cappello-Grimani, ed era rimasto a Parigi per 16 anni … mica una settimana … Lì era diventato abilissimo non solo a smanacciar Politica, ma soprattutto gli affari ... Parlava correttamente: Francese e Spagnolo … Da Parigi poi era passato a Londra, dov’era diventato grande amico e socio del Veneziano Giacomo Ragazzoni, col quale avviò una Compagnia Mercantile che prosperò a lungo non solo in Inghilterra, ma in tutto il Mediterraneo e il Nordeuropa. Fino al 1568 circa, le navi di Foscarini & Ragazzoni solcarono i mari, e trasportarono merci affrontando ogni sorta di rischi e avversità … Più volte avevano perso il carico, o naufragato, o subito sequestri, ma non si erano mai fermati. Francesco Molin descrisse un viaggio della nave "Giustiniana"dei Foscarini-Ragazzoni: “… che aveva fato il caricho al Zante tutto d'uve passe di raggion di Ser Giacomo Foscarini et Jacomo Ragazzoni che mi parve cosa segnalata il caricar navi di mille botti di tal mercantia".

Più tardi, lasciati i traffici al fratello Girolamo e ai figli GianBattista e Foscarina, Jacopo lasciò Londra per Venezia, dove avviò il ramo creditizio del Banco, che lo vide speculare in fondi e immobili in tutto il Veneto e Friuli ... Poi, da buon Nobile Veneziano, decise si buttarsi in Politica a favore della Patria... e di se stesso ovviamente … Sposò Elena Giustinian, che gli portò in dote 5.000 ducati, sette figli, e una parentela prestigiosa legatissima alla Chiesa di Roma: Barbaro, Trevisan, Priuli, Mocenigo e Corrers’imparentarono col “Foscarino” tramite i matrimoni dei figli ... Niente male … Niente male come entourage di supporto.

Già dal 1544 Jacopoaveva estratto da giovanissimo la “Balla d'Oro” anticipando la sua entrata nel Maggior Consiglio, ma fu quasi a quarant'anni, cioè “tardivo”, che si dedicò alla Politica per davvero accedendo via via a cariche sempre più prestigiose e importanti. Fu tutta una scalata a salire continuo: Savio alle Acque, Provveditore alla Sanità, Senatore Ordinario, e tra i Sessanta della Zonta… due volte Savio alla Mercanzia, Giudice sopra gli Atti, Podestà di Verona, Savio di Terraferma.

Quando i Turchiintensificarono i loro attacchi nell’Adriatico, Venezia Serenissima si mosse … e si rivolse a chi ?

Il “Foscarino”si prese il centro dello scenario storico togliendo il posto e la preminenza all’irruento quanto audace Nobile Sebastiano Venièr. Fu il “Foscarino”a diventare per l’esperienza che aveva in campo marittimo: Provveditore Generale in Dalmazia-Albania, e poi Capitano Generale da Marsubito dopo Lepanto… Jacopo Foscarini comandava la Flotta Veneziana di 108 navi-Galee.

Furono poi le strategie politiche della Serenissima a frenarne l’iniziativa mantenendolo inattivo a pattugliare le acque tra Corfù, Creta e l’Adriatico. Non era troppo cauto Jacopo Foscarini come si diceva di lui a Venezia, era piuttosto la Guerra col Turco che non conveniva alla Repubblica. Il Dominio da Mar in Levanteera troppo costoso da mantenere, e i vantaggi commerciali che offriva era sproporzionati rispetto a quanto costava rivaleggiare col Turco ... Questa era la verità storica del periodo al di là di ogni chiacchiera, pettegolezzo e diceria che si faceva a Venezia sui protagonisti e i successi o insuccessi delle Battaglie e delle Spedizioni Veneziane.

Jacopo Foscarini quindi venne dipinto come: “attendista, tradizionalista, e finto moderato schierato contro il Partito dei Giovani Veneziani” ... Avrebbe voluto spazzarli via i Turchi, se avesse potuto, così com’era contrariato di fronte al comportamento ambiguo, attendista e infruttuoso degli Spagnoli e del Papa, che parlavano parlavano, ma poi non muovevano un dito quando bisognava agire per davvero ... Preferivano mandare sempre avanti Venezia, e la lasciavano da sola a dissanguarsi col Turco ... Foscarini però seppre contenersi, e mediò sempre fra Venezia, Spagna e Chiesa, salvando ogni volta: Papa, Cardinali, Inquisizione e gli invisi Gesuiticon la loro Compagnia di Gesù, dal furore con cui alcune fazioni dei Patrizi Veneziani avrebbero voluto investirli.

Noterella curiosa riferita proprio al “Foscarino” a fine novembre 1573: “Una parte del Senato stabilì, che avendo riportato Jacopo Foscarini Capitano General da Mar sopra la sua Galea 151 uomini in ferri prigionieri sopravanzategli dall’interzare le 17 Galee forzate, era opportuno aggiungendovi altri 3 uomini ai ferri della Galea del Commissario Vendramin, armare una diciottesima “Galea sforzata” ... Con la stessa “parte” si deliberò anche di armare un’ulteriore Unità la Squadre delle Forzate, essendovi nelle Fuste del Consiglio dei Dieci, e nelle Prigioni Cittadine: ben 242 “condannati al remo” in attesa.

Stando poi di nuovo a Venezia: Savio del Consiglio, Provveditore Generale, Sindaco e Inquisitore con poteri straordinari a Candia ... Nel frattempo, nel luglio del 1574, Enrico III Re di Francia passò per il territorio Veneto. Chi secondo voi fu incaricato d’accoglierlo e scortarlo durante tutto il suo soggiorno Veneziano ?

Il “Foscarino”ovviamente … ritratto puntualmente con tutti i grandi nomi nella tela di Andrea Vicentino a Palazzo Ducale.

Tornato con successo da Candia a Venezia, s’era portato dietro statue e reperti che collocò nel suo Palazzo dei Carmini e nella sua stupefacente Villa di Strà. Provò poi a diventare Procuratore di San Marco,ma senza riuscirvi, venne però eletto quasi subito alla Procuratia de Supra: la carica più prestigiosa in assoluto dopo quella Ducale ... Per altri vent'anni Jacopo Foscarini mosse le manovre dello Stato Veneziano alternandosi in mille funzioni pubbliche rivaleggiando alla pari col NobilissimoLeonardo Donà, che divenne poi Doge ... Insieme a Marcantonio Barbaro fu anche uno dei protagonisti della famosa Renovatio Urbisdi Venezia ... Partecipò e promosse il restauro di Palazzo Ducale incendiato, creò l’attuale Piazza San Marco così come la vediamo oggi: Libraria Marciana, Torre dell’Orologio, Procuratie… Promosse il nuovo “sobrio progetto” della Fabbrica del Ponte di Rialto, riattò la Caxa dell’Arsenale come Provveditore ... Fu sempre presente nelle Ambascerie più prestigiose presso i Papi… Quando (1585) la Spagnapropose alla Serenissima l'appalto in esclusiva del Pepe Portoghese, il Senato di Venezia si rivolse al “Foscarino” per valutare la questione, e lui “da buon Mercante”, si dimostrò favorevole all’operazione per togliere Venezia dal ristagno commerciale in cui stava finendo.

Zonta dei Procuratori, Riformatore allo Studio di Padova, Depositario, Conservatore e Provveditore in Zecca, Capitano Generale da Mar, SopraProvveditore alla Sanità, Savio alle Acque e degli Otto sopra la riparazione dei lidi, Sopra la francazione del Monte Novissimo e del Sussidio, Savio all'Eresia e Savio Grande in Collegio… Il “Foscarino”non si fece mancare niente, e non mancò di prodursi e affermarsi puntualmente ed efficacemente in mille modi ...  Già anziano e in non più “in ferma salute”, accusato di speculazioni e d’interesse privato, a metà 1602 inviava ancora relazioni al Collegiosuggerendo come muoversi per affrontare i cambi di “buona monetad’oro e d’argento difendendola da monete adulterate emesse da zecche di piccoli principi italiani.. Suscitando un vespaio fra altri Nobili come: Zorzi, Da Ponte e Prezzati, e incurante delle sollevazioni di 300-400 persone dell’Arte della Lana e della Seta di Venezia, che protestavano per la lesione dei loro interessi minacciando di licenziare un mucchio di gente, Foscarini a nome della Serenissima fece imporre il pagamento di ogni operazioni superiore a 100 ducati attraverso il Giro di Banco Pubblico… In realtà il Banco Pubblico era gestito da lui con i suoi uomini di sua fiducia … Il Banco gli procurava interessi del 6-7% su ogni operazione di mercato.

Però ! … Il vecchietto ?

Non era comunque l’unico Nobile a fare i propri interessi nell’ombra a spese dello Stato Serenissimo: il Senatore Alvise Bragadin e Soci acquistava partite di monete di rame fuori commercio dallo Stato Pontificio, e ci speculava sopra col cambio a discapito delle Casse PubblicheVeneziane Andrea Dolfin finì assassinato in quegli stessi anni forse proprio per i suoi tramacci finanziari sulla Piazza Veneziana.

Il “Foscarino”morì a inizio 1603, dopo undici giorni di febbre, stanco e un po’ amareggiato e deluso della sua Venezia. Vennesepolto ai Carmini, dove aveva disposto che gli fosse eretto un monumento funebre con la sua effigie in veste di Capitano Generale da Mar ... Per testamento lasciò un immenso patrimonio ai figli, numerosi lasciti ad amici … e buone somme ai Frati dei Carmini: “il chiesone fuori casa” ... dove finì col trovarsi “pietrificato” di fronte a me negli anni 1982-87.

Che ve ne pare ?

A quasi quarant’anni di distanza da quando ronzavo notturno ai piedi del Monumento Funebre del Foscarino, m’incuriosiscono ancora le vicende dei Nobili Foscarini ... Jacopo Foscarini “dal Banco” fu solo uno di loro, sul cui Casato si potrebbero dire e ricordare infinite cose tanto da rimanere qui fino a domani ... Mi odiereste … Ne ricorderò allora solo un pochetto: ½ chilo soltanto, sottolineando solo qualche piccolo aspetto della formidabile, singolarissima e curiosissima Nobiltà Venezianache sono stati i Foscarini.

I Foscarini dei Carminisono stati uno dei Rami, cioè una parte del nutrito Clan dei Foscarini di Venezia. I Rami erano quello di San Stàe del Sestiere di Santa Croce originato dal Ramo di San Polo, da cui diramò anche il Ramo di Santa Fosca o Santa Sofia di Cannaregio traslocato poi ai Carmini. C’era poi il Ramo dei Foscarini della Carità, cioè di Sant’Agnese sulle Zattere, o “della Frescàda”, che era un Ramo del Patriziato minore solitamente escluso dal giro delle Cariche di Stato più importanti ... Ce n’erano poi anche altri rami dei Foscarini presenti a Venezia: “nel Rio della Canonica” a San Marco, a Castello, a San Tomà, alla Madonna dell’Orto, e anche altrove.

Quella dei Foscarini fu una Famiglia-Clan Nobiliare ricca, potente e famosa fin dal lontanissimo 1297, quando divenne “di Casa Nuova” e dei “Curti” all’atto dell’ammissione “fra i Grandi di Venezia” al tempo della Serrata del Maggior Consiglio: “I Foscariniera un Casato di antichi Tribuni, numerosi Procuratori di San Marco illustri, e di una lunga serie d’Ambasciatori, Cavalieri e Senatori spuntati fuori all’inizio forse da Altino o Padova, e finiti nell’Isola di Mazzorbo già nel 456 ... Da lì si dice che si trasferirono ad Eraclea, a Metamauco (Malamocco), e infine a Venezia nel 965 Avevano terre a Bovolenta e a Ponte Longo nel Padovano, ed erano considerati fra i fondatori della Città Lagunare, e di diverse chiese Veneziane: San Polo, ad esempio.”… Venivano comunque presi in giro a Venezia, forse per invidia, definendoli “casetta” per il fatto che non avevano mai avuto qualche Doge in Famiglia.

Marco Foscarini: “letterato e politico clarissimo” divenne finalmente Doge sfatando quella negativa storica nomea solo nel 1762 … Si era ormai quasi alla fine dell’intera Epopea Veneziana.

Fra 1300 e 1700, ci sono stati a Venezia almeno una trentina di Foscarini “grandi e famosi”… Tutti Veneziani “di ieri”davvero curiosissimi. Lungo i secoli ci sono stati Rami dei Foscariniche andarono “su” fortunati in ascesa, mentre ce ne sono stati altri che andarono via via “giù” in decadenza e discesa. Il Ramo di San Polo, ad esempio, ebbe grande successo, mentre quello di Sant’Agnese o della Carità andò giù in declino ... Era essenziale saper cavalcare, e soprattutto rimanere sulla cresta dell’onda economico-politica del successo Veneziano. Era tutto un immane gioco di spinte e controspinte, spalla contro spalla, abili sgomitate date nel modo giusto per prevalere, raccomandazioni, corruzioni, oliature, occhiolini, finanziamenti e finte quanto opportune simpatie e imparentamenti ... Chi non riusciva a cavalcare “l’onda”a suon di soldi, forza, determinazione e potere, era destinato ad affondare inesorabilmente.

Ai Nobili Foscarini vennero appioppati spesso detti curiosi:“il Caliginoso”, “il Maggiore Pazzo” (1230), “lo Zoppo” (1768), “il Negro”(1371), “Vespa”(1300),“Ciera” (1391), “dal Barro”(1529), “il Conte o il Contino”, “lo Schiavo”, “el Dottòr”, “il Bianco” (1379), “del Pezzo” (1567), “Naso” (1567) ed altri ancora ... Sono stati quasi sempre uomini “in carriera” e di successo: politici quasi ossessionati dalla ricerca della Cariche “a servizio” della Patria Veneziana… e soprattutto di se stessi e del Casato … Successo, denari, guerra … Viaggiavano parecchio spostandosi di continuo: Ambasciatori a Ferrara, presso l’Imperatore e a Vienna, dal Patriarca d’Aquileia, in Lorena, Parigi e Francia, all’Aia, in Spagna, Ungheria, Inghilterra,  Bologna, Roma, Genova, Mantova, Milano, Cremona, Brescia, Crema, Torino, Costantinopoli … E poi una lunghissima lista di Cariche Istituzionali: Governatori, Rettori, Balì, Luogotenenti, Capitani, Sindaci, Castellani, Commissari e Podestà sia nella Capitale Venezia, che Territorio Veneto, che nel Dominio da Mar della Serenissima Andavano a guidare la lotta e la resistenza contro il Turco, realizzavano la Mercandia nel Mediterraneo e in Europa, contribuivano a sbrogliare complicate crisi del Grano, fornivano finanziamenti e prestiti a grandi e piccini. 

In Laguna poi, i Foscarini ricoprirono praticamente ogni Carica di Governo: dalle più umili alle più prestigiose: Savi in Collegio, dell’acqua, alla Mercanzia, di Terraferma, Deputati al Commercio, Cavalieri della Stola d’Oro, Avogadori da Comun, Uditore Vecchio, Ufficio de le Cazude, Ufficiale alla Messetteria, al Frumento, alla Dogana da Mar, ai Forestieri, Provveditori d’Armata, all’Arsenale, alle Biade, alla Sanità, sopra Rialto, alle Beccarie, al Sale e alle Saline, alla Legna e ai Boschi, sopra ai Conti e ai Banchi, sopra ai Gastaldi, alle Ragioni Vecchie e Nuove, alle Pompe, alla Ternaria degli Oli, al Vino, ai Lidi, alla Tavola dell’Insida, Esecutori alle Acque, Correttori della Promissione Dogale, Riformatori dello Studio di Padova, Consiglieri di Sestiere, Inquisitore sugli Ori e Argenti, Massèri alla Zecca d’Oro, Censori, Segretari alle Voci, Deputati alla provigione di denaro e Conservatori di Dazi e Decime, Visdomini al Fontego dei Tedeschi.

Che lista vero ? … E poi: il meglio del meglio, il massimo della scalata politica: Governatori alle Entrate, Camerlenghi, Signori di Notte al Criminal, Quarantia e Ufficio dell’Usura, Procuratori, Generali contro Genova, i Milanesi, gli Ungheresi, Senatori, Consiglio dei Dieci, Grandi Elettori… e alla fine: il Doge Marco nel 1762.

I Foscarini furono Patròn e Governatori di Galee, Mercantinavigatori per mare e per terra: Sopracomiti, Capitani del Viaggio per Beirut, o della Muda per Alessandria o di Fiandra, Officiali al cottimo di Damasco e Londra, Consultori per i commerci con Napoli, Consoli in Egitto, Feudatari in Grecia… ma anche naufraghi presso Psarà, conduttori delle Galee dei condannati… Nel 1431 Dardo Foscarini non adempiendo agli ordini del Governo, del Capitano della Flotta, e del Patron della Galea, scaricò ad Alessandria 255 sacchi di sapone e tre balle di panni. Nel far questo assalì lo Scrivano di bordo che cercava di fermarlo, poi caricò in nave per suo conto 7 balle di panni contravvenendo alle regole. Il Senato lo condannò a pagare 1.500 lire, e lo escluse per 5 anni dal Patronato delle Galee.

I Nobili Foscarini morirono assassinati, in battaglia contro i Turchi, di febbre malarica e gialla, di peste, annegati per mare navigando verso Capodistria, ma anche più semplicemente traghettando nel Canale della Giudecca, giustiziati e impiccati, banditi ed esiliati, condannati al Confinio, esclusi dai Pubblici Uffici, e dallo stesso Patriziato.

Vennero sepolti quasi sempre a Venezia nelle prestigiose Tombe di Famiglia ai Frari, San Sebastiano, San Stae, alla Maddonna del Giglio, ai Carmini, e a Santo Stefano: dove una moglie dei Foscarini: Marietta Bragadinvenne sepolta ancora viva per errore nel 1598.

Erano Religiosi e Devoti i Foscarini, ma non troppo, non da fanatici … Furono: Piovani a San Leonardo di Cannaregio e a San Polo, Abati e Vescovi a Cittanova, Foglia Nuova, Chioggia e Tine; Monaci, Frati ed Eremiti, Canonici e Cappellani sia della Basilica Ducale di San Marco, che di quella di San Pietro di Castello.

Anche le Foscarine non furono da meno. Furono spesso costrette a farsi Monache, e agirono da Prioresse e Badesse prestigiose e determinate nei Monasteri delle Vergini, San Zaccaria, Santa Maria Celeste e San Lorenzo di Castello, a Santa Marta, nel Santa Chiara della Zirada, a San Girolamo e Santa Caterina di Cannaregio, a Santa Maria degli Angeli di Murano, a San Mattio di Mazzorbo, San Giovanni di Torcello, San Lorenzo di Ammiana… e da vedove andarono a volte a farsi Monache a Sant’Antonio di Castello.

Foscarine e i Foscarini si maritarono soprattutto: una, due, tre, quattro volte ... sempre con uomini e donne di Casati altisonanti e con pingui doti favolose, ma anche di nascosto in nozze segrete, o da vedove, con la figlia di un semplice Farmacista, di un Drappiere di Rialto, o con una Dama di Palazzo, perfino con una“plebèa” rimasta ignota ...  Nel 1517 circa, le nozze di un Nobile Foscarini vennero annullate perché la sposa all’ultimo momento, poco prima di presentarsi davanti all’altare, risultò palesemente ermafrodita ... Un altro matrimonio dei Foscarini andò, invece, all’aria perché lo sposo Foscarini intesseva “stretti affari di cuore con la suocera”.

Furono donne madri le Foscarine: “sfornatrici” formidabili di tanti figli e figlie … a raffica a volte: uno all’anno … con figli naturali sparsi in giro dai maschietti Foscarini, riconosciuti magari solo all’ultimo: in punto di morte … I Foscarini poi furono anche Nobili finiti dentro al “coule-de-sac”dell’estinzione, con la dinastia dei Foscarini rimasta senza domani pur di salvare l’integrità di capitali indivisi, e di grandi patrimoni di famiglia, a volte lasciati a Rami paralleli con i quali neanche quasi si conoscevano, oppure allo Stato Veneto, o alle Orfanelle.

I figli dei Foscarini erano più che spesso viziati dall’agio della Nobiltà, orfani a volte fin da subito in tenerissima età, con tutto l’onere del Casato sulle spalle, o lanciati “a forza” nella giostra infida del “Mondo della Balla d’Oro” e della Nobiltà del Maggior Consiglio, della Politica, della Guerra e dell’imprenditoria, costretti ad essere “grandi” nell’Economia, nella Cultura, nei rapporti sociali, e nelle Armi anche se non ne avevano voglia ... “Noblesse oblige”.

Alcuni dei Foscarini però seppero rimanere anche “stanziali in Laguna”, dove si produssero come acculturati Dottori in Legge e Diritto, come Medici, Notai, Pubblici Storiografi, Deputati alla Pubblica Libraria, Filosofi e Scrittori ... Diversi Foscarini furono arguti “testonibus” dediti alla Cultura, con grandi passioni e propensioni per lo studio, la Poesia, l’Arte, la Musica … Furono uomini e donne capaci di alimentare il Grande Mito di Venezia, di buon gusto, eleganti, fini nei modi, rinserrati in Palazzi, Ville e Cà dorate.

Erano ricchi e potenti: si potevano permettere un po’ tutto, lecito e non lecito … Già nel 1574, era accaduto che giungesse in visita a Venezia un “visitatore di lusso”: Enrico III° Re di Francia: “… avendosi da fare la Guerra dei Ponti alli Carmini con bastoni (senza però la usata punta) vi si volle ritrovare presente la Maestà sua, siccome avea desiderato più volte, per godere ancora quest'altro trattenimento e sollazzo; e si ridusse sul tardo, con li Principi e Signori in casa del Clarissimo Jacomo Foscarini Ambasciatore, per mezzo il ponte … Fu fatto subito bando pena la galea, che tutti quei che montassero sul ponte tagliassero prima le puntite a loro bastoni, e pena la vita a chi tirasse sassi, mettesse mano alle armi e causasse alcuno tumulto o altro inconveniente, come altre volte è accaduto, e li Capitani per ordine de' loro Signori vennero armadi in guardia per vietare ai scandali ... Sua Maestà, fattasi vedere alle finestre le quali erano apparale di panni d’oro con suoi guanciali del medesimo, comparvero in campo dall'una parte e l'altra da circa duecento combattenti e quivi montati sopra il detto ponte a due a due or una parte ora d’altra a fare la mostra, poi a solo per solo cominciarono a tirarsi alquanti colpi sino a tanto che s'attaccò dipoi tutta la folla, che durò più di mezz'ora, scacciandosi ora gli uni et ora gli altri giù del ponte, e talora rimettendosi abbassando gli adversarii, che gli avevano scacciati dandosi più volte la carica in diverse frotte I'una parte e l'altra e rimanendo anche talora patroni del ponte: talché la Maestà sua vide benissimo questa pugna, e la godè con suo grandissimo gusto e trastullo. In quale riuscì benissimo per le belle frotte che più volte vi si fecero, e per la gran moltitudine de' combattenti nel cacciarsi cadevano molli per terra, et altri precipitosamente in varii modi nell' acqua d’ambe le parti ... et in segno di gratitudine, che si fossero diportati bene, furono premiati tutti, dandosi ad ambedue le parti cento cinquanta ducati per una, e venticinque di rinfrescamento, li quali dinari spesero gli uni e gli altri in fare feste di balli, caccie di tori, fuochi artificiali ed altri simili trattenimenti, cadauna parte nel suo Sestiero”.

Eccolo là: era lui il prestigioso Foscarini … il “Foscarino“dal Banco”  sepolto ai Carmini” !

Insomma andò in scena anche una Corsa dei Tori nel Rio dei Carmini, e una “puntata”delle famose Guerre dei Pugni fra Castellani e Nicolotti sul Ponte dei Carmini sottocasa … La “lotta a bastoni” venne appositamente messa in scena a pagamento, usando gli “storici antagonisti sestieraliper dàrsele de santa rasòn” come comuni comparse da teatro privato dei Foscarini.

Palazzo Foscarini dei Carminifu anche in altre occasioni location ideale per grandi feste con ospiti illustrissimi … Nel 1739, ad esempio, la Cà dei Carmini ospitò per mesi Federico Cristiano, figlio dell'Elettore di Sassonia, mentre a inizio agosto 1749 abitava proprio là nello sfarzoso Palazzo dei Carmini il futuro Doge Marco Foscarini, che aveva a disposizione: 42 servitori e 5 gondole ...  24 domestici erano disponibili solo per lui, mentre altri 17 stavano al servizio di Elisabetta Corner, sua amante, vedova del defunto Procuratore Pietro Foscarini col quale si estinse la linea dei Foscarini(Il ricco e importante Ramo dei Foscarini dei Carmini lasciò i suoi cospicui beni ai Foscarini del Ramo di San Stae con i quali non c’erano mai stati grandi rapporti … Il Ramo di San Stàe aveva passato brutti momenti subendo un grosso crollo finanziario nel 1595 durante la Guerra di Cipro. Poi in Famiglia c’erano stati i casi di Alvise e Nicolò: il primo morto a Mantova in esilio per via di un delitto passionale, il secondo morto ammazzato per motivi banali da un Nobile Mocenigo ... Per fortuna Sebastiano figlio di Alvise rialzò le sorti del Casato andando a sposare la sorella del Doge Carlo Ruzzini … Ci pensò però lo scandaloso Giacomo, confinato dagli Inquisitori di Stato nel Castello di Brescia, a mandare di nuovo i Foscarini di San Stae sul baratro del fallimento costringendoli a vendere gran parte del loro patrimonio).




Nel 1749, a metà estate, la “vedovella del Proveditor Foscarini” diede a Palazzo dei Carmini un’altra formidabile Festa da ballo con musica e canti per la Serenissima Famiglia di Modena di Francesco III d'Este.

Era risaputo da tutti che il Duca di Modena era un gran festaiolo amante di banchetti, viaggi, divertimenti e bella vita, per cui i Foscariniin quell’occasione superarono se stessi mettendo in piedi un evento: “Lussuosissimo e sontuosissimo più della volta col Re di Francia”. Ne fecero perfino memoria i reportages e le Stampe dell’epoca “a perpetua memoria”.

Gli invitati arrivarono al Palazzo dei Foscarini dei Carmini dalla facciata illuminata da quaranta fiaccole poco prima di mezzanotte. Vennero realizzate brillanti esecuzioni ed esibizioni musicali nel giardino, e grandi balli nel Salone protrattisi fino all'alba. 

Cà Foscarini: “… era un portento: sale a damaschi colorati, ricoperte di stucchi, velluto cremisi e cuori d'oro alle pareti, poltrone di velluto a fiori intagliati e dorati, specchiere, tavolini di marmo e pietre colorate … E ancora: Pinacoteca nella Galleria di Palazzo rivestita in pelle con decorazioni a cuori d'oro, sale d’armature: un suggestivo sancta sanctorum militare col busto marmoreo di Giacomo di Alvise Foscarini (il “Foscarino” della tomba dei Carmini)illuminato con meravigliosa attenzione, creando un'atmosfera di orrore: perfetta per questi indumenti militari ... e poi: studioli, arredi sfavillanti, grandi candelabri d'argento, fregi affrescati, dipinti, statue, arazzi in lana e seta con gli “Episodi della Gerusalemme Liberata” creati a Roma per abbellire la Cancelleria Papale, ma poi probabilmente venduti all’Ambasciatore Marco Foscarini futuro Doge, per pagare i debiti di più di 170.000 scudi del Cardinale Veneziano Pietro Ottoboni morto nel 1740 (ora sono finiti in buona parte nei Musei Americani)… E dopo del dopo: boiseries, grandi vasi di porcellana, cassapanche in ebano e basi d'argento: il tutto illuminato da preziose “cjòcche”: i lampadari di vetro e cristallo del vicino artista-vetraio Giuseppe Briati ... una sorta di labirinto infinito di saloni dei ricevimenti e camerini illuminati da più di cinquemila lampade.”... Il trionfo dell’opulenza guidato da finissimo intelletto. 

Il ballo fu preceduto dall'esecuzione della Cantata elogiativa-celebrativa a quattro voci: “La Pace”, serenata eseguita nel Giardino da apprezzati virtuosi dell'epoca nei ruoli di Adria e Proteo: Divinità Marinare Protettrici di Venezia ... Cantavano: Giovanni Carestini uno dei castrati più famosi dell’epoca, e il soprano ormai settantenne Francesca Cuzzoni“che aveva ancora voce gioviale, chiara e acuta da giovinetta, che risuonava per tutto il giardino: vero e proprio teatro naturale, per gli alberi di agrumi disposti liberamente, le meraviglie vestite di verde, i vari fiori e giochi di ginepri e bossi, e il illuminazione vaga e ben intenzionata.”

Alla Festa era presente “il meglio del meglio di Venezia”: la cerchia più colta e famosa dei Patrizi Veneziani, i membri più illustri della Signoria e del Dogado, Letterati, Storiografi Ufficiali della Repubblica, Nobili e Cavalieri di ogni livello e sorta ... Un gran festone insomma, tanto che il Principe Estense riconoscente tornò di nuovo a Venezia per partecipare come spettatore all'elezione del Doge Carlo Ruzzini sedendosi nel Maggior Consiglio tra i Cavalieri della Stola d'Oro.  Quando gli Imperiali occuparono Modenanel 1742 nell’occasione della successione Asburgica, il Duca abbandonò Modena con la famiglia trovando rifugio prima nel Castello del Catajo di Padova, e poi si trasferì a Venezia calorosamente accolto proprio nel giardino del Palazzo dei Foscarini dei Carmini

I Foscarini poi, come tutta la categoria dei Nobili Veneziani, vivevano e coltivavano assiduamente “la Villeggiatura della Vita in Villa”. In Terraferma possedevano almeno una ventina di Ville fra grandi e piccole ... I vari Berlusconi di oggi sbiadirebbero “piccoli”al confronto con i Nobili di allora: Villa Foscarini a Strà, a Pontelongo, Corte Foscarini a Bovolenta, a Paviola; a Villa del Conte; Monselice; Castel di Godego; Gorgo al Monticano; Piove di Sacco; “la "Rebecca" a Sarmeola; "Villa Padovani" a Valdentro; Villa "Laghi", la “Foscarina” e la "Palazzina" a Pontecchio Polesine; a Mogliano Veneto; Fossolovara; Oriago e Mira Taglio dove ospitavano splendidamente i loro illustri ospiti, e orchestravano le sorti del loro impero economico e sociopolitico Familiare e Veneziano.


Infine, il Casato dei Foscarini toccò finalmente l’apice del successo andando ad occupare il Soglio Dogale… Quell’apice che portava il nome di Marco Foscarini, fu però anche l’inizio della trista e decadente storia e fine dell’intero Casato.

Come dicevamo, i Foscarini come dentro a una magica fiaba: “stettero molto su”, considerati “insigni” agli occhi di Storici e Veneziani, ma andarono anche “giù e poi giù” perdendosi fra debiti, mediocrità e pettegolezzi.

Cinque Veneziani: Tommaso Foscarini, Marco Zeno, Giovanni Badoer(proprietario di un castello nel Padovano, non politico ma avezzo a commercio ed investimenti fondiari, erettore di chiese e dotatore di Monasteri), Marino Morosini futuro Doge, e Filippo Corner: tutti ex Podestà di Treviso e con vasti interessi da difendere, uccisero sul Terraglionel febbraio1233: Marino Dandolo ex Podestà di Treviso pure lui. Lo fecero perché col suo atteggiamento anti Caminese aveva leso i loro interessi … Faide fra Nobili, compreso uno di Casa Foscarini.

Nel 1491, invece, Benedetto Foscarini fu a capo di una congiura elettorale. Con i suoi amici e alleati politici, come si usava spesso a Venezia, vagavano fra i banchi del Consiglio chiedendo voti per padri, amici e protetti del loro clan … I Dieci rinviarono il Foscarini al Collegio per sapere chi fossero quei candidati e alleati così cercati e favoriti ... Foscarini si scagliò contro il Consiglio dei Dieci lasciandosi andare incontrollato in pesanti invettive. Venne allora condannato a 5 anni di esilio da Venezia, e ad altri 5 di allontanamento dai Consigli e da ogni Pubblica Carica … Qualcuno addirittura propose di esiliarlo a vita a Cipro ... Foscarini era in realtà solo a capo di un gruppetto di Nobili chiamato gli “Svizzeri”, che non solo appoggiava amici e parenti, ma anche vendeva in blocco i voti da aggiudicarsi in Consiglio e Senato. Foscarini fu anche accusato di aver minacciato Paolo Barbaro Luogotenente di Udine, dicendogli che se non gli dava sufficiente denaro, gli avrebbe scatenato contro 100 voti contrari alla sua elezione ... Brogli, soliti brogli dei Nobili di Piazza San Marco e Palazzo Ducale … Ogni tanto qualcuno che eccedeva finiva per pagare per tutti.

Nell’aprile 1518: Luca Tron insieme all’Inquisitore Giovanni Dolfins’impegnò in una risoluta “rènga” a favore del rientro in Patria del tesoriere Vettore Foscarini accusato d’aver sottratto fondi dalle Casse dello Stato Serenissimo fuggendo poi via dalla Città e dalla Laguna. Il Doge Loredan cercò di zittirlo, ma lui appellandosi alla Legge cercò ancora di più di difendere i diritti dello Stato e del secondo lui innocente Vettore Foscarini ... Finale ?

Dopo i rimbrotti del Doge e di Giovanni Venier suo cognato Capo dei Dieci, a Luca Tron venne intimato il silenzio, e il Foscarini venne definitivamente incriminato.

Nel 1537, MarcantonioFoscarinidichiarava di possedere 539 campi frazionati in 5 “possessioni” a Pontecchio in Polesine: però talmente invasi e alluvionati dalle acque che: “di giorno in giorno andavano in malora” ... Si piangevano spesso addosso i Nobili Veneziani minimizzando le loro risorse facoltose … Con altri Nobili: Badoer, Bernardo, Bon, Contarini, Diedo, Dolfin, Priuli, Sagredo e Sanudo, i Foscarinisi erano comprati migliaia di campi da bonificare nel Vicentino... Nel solo anno 1591, Andrea Foscarini prestò a Venezia 15.500 ducati attivando ben 19 contratti distinti.

All’epoca i Foscarini erano protagonisti in Laguna del Mercato dei Panni Lana, del Pepee delle Spezie, tanto da trattare direttamente con la Spagnaa nome della Serenissima circa le più opportune modalità da utilizzare nei traffici con le Indie Orientali ... Non se ne fece nulla però, perché Venezia temeva troppo che gli Spagnoli potessero in qualche modo sopravalerla e condizionarla … Preferirono continuare ad agire in proprio conservando la loro libertà di manovra commerciale.

Nei primi decenni del 1700, i Foscarini erano ancora inclusi fra le Case Vecchie delle Nobiltà Veneziana, ma dal 1646 nei Casati Nobilinon s’era sposato quasi più nessuno ... A Venezia si contavano ancora 216 Famiglie Nobili Patrizie con 667 Casate, e 2.851 Patrizi Maschi. S’erano ormai già estinti 233 Nuclei familiari Nobilidi cui però rimaneva ancora il nome del Casato … 51 Famiglie Nobili, di cui 33 di recente aggregazione, erano già scomparse del tutto … Altre 20 Famiglie erano prossime ad estinguersi, ridotte a un solo individuo ultra settantenne, e altre 36 Casade da almeno sessanta anni non avevano successione: un disastro insomma ... Dei Foscarini: 7 nuclei familiari finirono beneficiati dallo Stato Serenissimo con 32 “provvigioni” perchè considerati “Nobili Poveri”. Rimasero poi 5 Famiglie in tutto, di cui qualcuna perdette talmente tanti colpi e pezzi da sfiorare la miseria totale ... Gian Antonio Foscarinieletto Conte di Zara nel 1735, non potè immettersi in Carica ritirando la Nomina Ducale, perché oberato da un debito di famiglia non pagato per 30 anni da suo padre presso il Magistrato de Provvisori Sopra i Dazi ... Pur di avere la Nomina di Zara, si dichiarò disposto a pagare almeno un terzo della somma subito, promettendo di pagare la rimanenza durante la Reggenza ... Giacomo Benedetto Foscarini del Ramo di San Martin di Castello, Rettore di Noale nel 1746, presentò con la moglie Marina Balbi una supplica agli Inquisitori di Stato per favorire il figlio Girolamo Castellan in Castel Nuovo, in quanto dichiarò il suo: “un matrimonio esterminatore di mia povera Casa, havendo quattro figlie nubili e altri tre maschi da mantenere .”

Anche se Nicolò Foscarini andò ancora a Parigi come Ambasciatore Veneziano insieme a Lorenzo Tiepolo (1723), e Zuanne Foscarini fu fra gli Esecutori alle Acque che approvarono e guidarono la realizzazione dei Murazzi a Zoccolo da Mare di Chioggia progettati da Zendrini (1740), i tempi a Venezia e in Laguna andavano facendosi difficili oltre che magri sia per la Serenissima che per i Nobili, che per i Foscarini stessi.

Solo il ricco e potente Marco Foscarini pareva procedere a gonfie vele. Fu di sicuro l’ultimo grande squillo del Casato dei Foscarini: Nobili di I° Classe, perché seppe raggiungere finalmente il Dogato sbaragliando ogni concorrenza … Uomo di talento, brillante, viaggiatore e più volte Ambasciatore per Venezia in giro per il mondo, eruditissimo Bibliotecario della Marciana, Magistrato, Scrittore, Storiografo Ufficiale di Stato, Procuratore di San Marco, Poeta in Italiano e Latino,Riformatore dello Studio di Padova per ben quattro volte… Nella sua Cà dei Carminiaveva raccolto un vero e proprio tesoretto di libri, manoscritti e Cronache Patrie ponendole dentro alla sua monumentale Biblioteca personale collocata in fondo al suo giardino ... Esiste ancora oggi la Biblioteca, anche se vuota.

Da Doge però, morì secondo alcuni, soltanto dieci mesi dopo: “per l’imperizia e la discordia di una turba di Medici divisa in due partiti che l’avevano troppo lusingato non avvertendolo per tempo del vicino pericolo”.

Dopo del Doge Marco, iniziò per i Foscarini l’inesorabile declino … Fu la sequenza trista del tramonto di uno dei Clan Familiari più significativi di Venezia … Eppure nel 1773-89 Giovan Antonio Foscarini fu tra i Patrizi Veneziani maggiormente coinvolti negli acquisti dei beni degli Ordini Monasteri soppressimessi in vendita dalla Serenissima: un capitale valutato almeno 1.569.041 ducati.

Nel 1793 Nicolò Foscarini fu l’ultimo Ambasciatore Veneziano a Costantinopoli ...  Ancora nel 1797, Pietro e Zuanne Vincenti Foscarini, Nobili a Zara dal 1790, erano due dei 25 Segretari del Senato … Francesco Vincenti Foscarini era uno dei 50 Notai Extraordinari di Palazzo Ducale ... Poi“cadde il Cielo su Venezia”, e in Laguna e altrove tutto andò frantumato dall’arrivo dei francesi e dal passaggio successivo degli austriaci: la Storia della Serenissima si fermò ... Inmaggio: si raccontò che Giacomo Foscarini, figlio zoppo di Sebastiano, era per primo comparso in pubblico con la coccarda tricolore francese, ed aveva dopo l’ultima seduta del Consiglio calpestato le insegne Patrizie con infami espressioni ... Brutta mossa … La folla dei Veneziani inferocita aiutata dagli stessi “sbirri di Palazzo” assaltarono il Palazzo dei Foscarini dei Carmini saccheggiandolo e gettando tutto fuori dalle finestre. Non si risparmiarono terrazzi, erte di marmo delle porte, si tagliarono e stracciarono i quadri, si fece scempio di specchi, pitture e mobili riducendo tutto a totale squallore.

La celebre Biblioteca del Doge letterato Marco, una delle più famose di Venezia dopo le “sette superlative” di CasaGrimani e Corner di San Polo, Nani di San Trovaso, Pisani di San Vidal, Zeno dei Gesuiti, Querini di Santa Maria Formosa, e Tiepolo di Sant’Aponal, per fortuna si salvò. Ma ci pensarono gli austriaci a prendersi tutto portandolo a Vienna ... Oggi è rimasto il semisconosciuto edificioneoclassico in fondo al giardino detto “dei Ragusei” ... Neanche più in nome dei Foscariniè rimasto: è andato perduto perfino il toponimo del luogo.

I fratelli Giacomo e Giuseppe Foscarini, poi, discendenti diretti del Doge Marco, scrissero una delle pagine più brutte della storia del Casato dei Foscarini. Possedevano ancora oltre alla Baronia di Corfù, diverse tenute a Caorle, Cà Cottoni e Ragadura, e possedimenti quasi per 40 km ininterrotti lungo il Livenza a Sant’Elena, Bocca di Fossa, Torre di Mosto, San Stino di Livenza, Latisana, Corbolone, Gorgo al Monticano e Oderzo ... Un patrimonio immenso.

Secondo Molmenti, il primogenito Giacomo Foscarini nacque: “… allorchè il Patriziato si manteneva ancora riverito, era cresciuto pieno di fumi ed era stato assuefatto da bambino a ritenere la sua volontà come unica e suprema legge.” ... Il Sensale di fiducia dei Foscarini: GiovanniDavanzo li descrisse in sintesi:“… aristocrazia degenerata dai matrimoni consangunei, dall’ozio e dall’egoismo…”

In breve tempo le proprietà dei Foscarini di Caorle e Torre di Mostopassarono da 1.858 ettari a 162 ettari in tutto ... Fu destino comune della maggior parte degli ex Nobili Veneziani finire in situazione praticamente fallimentare. Capitò anche ai Querini, ai Pisani di Santo Stefano, Corner, Tiepolo di Sant’Aponal, Contarini e Savorgnan: tutti oberati da tasse, mancanza di credito, espropri e devastazioni varie. I Nobili Veneziani, compresi i Foscarini, provarono a mettere in piedi per sopravvivere un debito d’insolvenze per ben 280.000 ducati: un disastro ... Non fu sufficiente … Furono costretti a svendere tutto ciò di cui ancora disponevano finendo più che spesso in miseria … Nel 1816 il Cavalier Giuseppe Foscarini uccise la sua fittavola Maria Polidoro dopo aver cercato di violentarla. Uccise anche suo marito, e poi fuggì via andando a nascondendosi in un bosco. Di notte poi scappò via da Venezia e dalla Laguna andando prima a Caorle e poi a Capodistria. Infine si recò ad Alessandria d’Egitto dove mise in piedi un altro pastrocchio avendo una storia con la moglie del Bey del Cairo. Anche in questo caso, fu costretto a fuggire di nuovo, trovando riparo nell’Isola di Corfù, dove si recò accompagnato dal fido Sensale Davanzo... Personaggio indomabile, anzi: incontenibile, il Foscarini dall’isola che gli stava stretta, si recò a Parigi dove rimase affascinato dalla ballerina Amalia Bertiny, che letteralmente si comprò dando 100 zecchini al suo impresario. Tornò quindi di nuovo a Corfù, dove rimase per 9 anni avendo dalla donna 4 figli. Nel frattempo gli sequestrarono tutte le proprietà residue di Famiglia, perciò perse le rendite con cui di continuo lo riforniva suo fratello Giacomo da Venezia. Provò allora a tornare alla Villa di Oderzo rimandando a Corfùmoglie e figli, che non rivide mai più … Morì nel 1839 in una lurida, buia ed umida stanzuccia della villa a pianterreno, fra stenti e squallida povertà, con ipotecato tutto ciò che gli rimaneva, ma continuando a divertirsi e a far bella vita fino all’ultimo, del tutto dimentico della sua lontana famiglia abbandonata.

Che misera fine dei Nobilissimi Foscarini… Ho sempre intravisto nell’ombra, scolpiti sul volto del “Foscarino” di pietra del chiesone dei Carmini: dei tratti di mestizia ... Non capivo perché: un uomo così grande, ricco, potente e di successo … Poi sbirciando la Storia, e considerando lo spogliato Palazzo Foscarini oltre il Ponte e il Canale: ho capito.

 


Noterella simplex: i Guòro dei Carmini

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#unacuriositàvenezianapervolta 314

Noterella simplex: i Guòro dei Carmini

“Eccoeo là … A xè quèa a casa del Moro de Venessia … de Othèo: quèo de a Desdemona … El xè queo sull’angolo de  a casa: picà in muro, e vestio da guèra ... El xe el Moro de Shiàspir ...” ha spiegato il Gondoliere ai turisti estatatici abbandonati a sedere nella Gondola del tutto inebriati di Venezia … Il remo stava quasi in magico equilibrio sulla forcola … e la Gondola scivolava in avanti lenta, quasi come dentro a una fiaba.

Niente di più falso … Quello sul Campo dei Carmini non è mai stato il Palazzo dei Nobili Moro, né tantomeno di Cristoforo Moro di Lorenzo, Nobile Veneto ricordato prima dal commediografoGiraldi Cintio negli “Hecatommithi” del 1565, e poi a ruota da William Shakespeare nel suo famoso tragico Othellodel 1604.

L’Otello Moro di Venezia lo era più di cognome che di pelle, ma abitava da tutt’altra parte: in Contrada di San Zàn Degolà(San Giovanni Decollato), poco distante da San Giacomo dell’Orio. Come si usava fra i Nobili Veneziani “in carriera”, venne inviato dalla Serenissima prima come Luogotenente a Cipro nel 1505, e dopo come Capitano di 14 Galee a Candia. Rientrò poi in Laguna “per riferire”, e fu allora che perse la moglie durante il viaggio.

Non sembrò deprimersi molto però per la perdita, tanto è vero che meno di dieci anni dopo si risposò in seconde nozze col “Demonio Bianco”, alias: una delle figlie del NobilissimoDonato da Lezze… Dalle sue vicende sentimentali poi ne venne fuori, forse, la storia della “Desdemona” ?

Quindi niente: Moro ai Carmini, come raccontava il Gondoliere agli abbindolati turisti entusiasti, ma bensì: Guoro ... Quello in Rio dei Carmi è stata Cà Guoro.

Come ricordavo di recente, giù del Ponte dei Carmini sorgeva la splendida Cà dei Foscarini dei Carmini, che su quel Rio e Ponte inscenò a pagamento sia le “Guerre di Pugni e Bastoni”, che le “Corse dei Tori”per allietare i loro gran festoni di Palazzo.

Quello stesso Ponte dei Carmini o dei Foscarini, si chiamava in precedenza: Ponte dei Guori… Ovvio il significato: prima dei Foscarini primeggiavano in Contrada i Nobili Guoro, che con Pietro Guoro si comprarono nel 1502 il Palazzo da uno zio: il Consigliere Luca Civran. Il Palazzo venne poi riattato e quasi rifatto lavorandolo per cinque anni … La statua del 1400 che ancora oggi “guarda” il Canale dei Carmini, tiene, infatti, in mano lo stemma del Casato dei Civranprecedenti proprietari … Il “Ramoso scudo” non c’entra affatto con i trofei di caccia che si dicevano appesi nell’androne del Palazzo, era semplicemente “l’arma araldica” dei Nobili Civran.

I Guoro non hanno di certo brillato nell’Olimpo della Nobiltà Veneziana. Come altri: Honoradi, Greco e Semitecolo, ad esempio, non comparivano affatto fin dall’inizio fra le “Prime Case Grandi” presenti nel Maggior Consiglio nel 1200-1300.

Marcantonio Michiel e Marin Sanudo nei loro “Diari”raccontano una curiosità circa la Cà Guoro dei Carmini: “il22 Marzo 1519 ... Et preseno di retenir il Reverendo Domino Zuan Lando Arzivescovo di Candia, incolpato di monede false, il qual sta ai Carmini in Cha Zivran al Ponte di Guori, et cusì in questa sera, over note, dicto Arzivescovo fo preso, et posto in Caxa di Bernardin di Maschio Capitano di le Prexon … Quantunque corresse fama che gli si fosse ritrovata in casa una botte di monete false, non si diede luogo in Venezia ad ulteriore procedimento contro il medesimo perché el Consiglio di Dieci volse licenza dal Papa per spazzarlo, et parve che el Papa ghe la concedesse, come fu divulgato, et poi alla fine, ad istantia del Cardinal Cornaro suo cugino, revocò la licenza, et volse che li fusse mandato a Roma” ... e bravo l’Arcivescovo di Candia ! … S’è salvato proprio per il rotto della cuffia, la Serenissima stava per fargli “la festa”.

Gli stessi danarosi Nobili Guoro, qualche anno prima: nel 1511, avevano finanziato la costruzione nel chiesone dei Carmini della loro Cappella e Tomba di Famiglia, riconoscibile nella Cappella absidale di destra titolata a San Pietro in memoria proprio di Pietro Guoro... Solo dopo le venne cambiata la dedica imponendole il titolo di Sant’Elena.

Documenti attestano, che per almeno un paio di secoli i Guoro sbaruffarono non poco con la Schola Grande dei Carmini per via di testamenti e case lasciate in Campo Santa Margherita.

Lo stesso Diarista Marin Sanudo ricordava poi nell’estate 1527 fra mille cose curiosissime, che: “… almeno 150 Nobili Veneziani occupano Cariche di Governo in Terraferma, ed altrettanti nei Domini da Mar della Serenissima ... Alle riunioni solite del Senato partecipano solo 180 su 300 membri dei Nobili, col quorum di 70 individui ...Su un totale di 2.700 membri Patrizi eleggibili con quorum di 600 persone, in Maggior Consiglio sono presenti in media 1.000-1.500 Consiglieri che salgono di qualche centinaio solo in occasioni particolari ... Numerosi Nobili stanno abitualmente fuori Città per affari pubblici o privati. Alcuni pur risiedendo in Città non hanno mai messo piede a Palazzo Ducale … Altri: almeno 46, non vi si recano da almeno 20 anni ... I Nobili Veneziani appartengono a 134 Clan diversi, e solo 9 Gruppi Familiari non hanno maschi in età da poter entrare nel Maggior Consiglio ... Alcune Famiglie Piccole o Medie godono di posizione di prestigio perché uno dei loro membri glielo conferisce col successo personale o commerciale, o acquisendo benefici importanti … 30 Clan, cioè il 59% dell’intera Nobiltà Veneziana è costituito ciascuno da oltre 30 membri ... 19 sono le “Case Grandi”: il 45% del Patriziato, con più di 40 individui ciascuna ... La Signoria e i 50 Consiglieri Ducali sono rappresentati dalle Grandi Casate, mentre i Capi dei Quaranta provengono, salvo eccezione, da Famiglie considerate “Piccole” come: i Lippomano, i Bon, i Calbo e i Grioni.

Alcuni Clan che comprendono solo 17 membri ciascuno, raramente presentano le proprie candidature per Incarichi importanti di Stato. Sono i: Baffo, Cocco, Civran, Da Mezzo, Manolesso, Pizzamano, Semitecolo e Viario ... Altri Nobili, invece, vengono eletti solamente con la Carica di Sovraintendenti al Fontego dei Tedeschi, o ad uno dei Tribunali minori di Palazzo Ducale, comparendo raramente nelle liste dei Dieci o del Collegio: Briani, Girardo, Zancani, Nadal e Belegno ...”

Infine Sanudoricordava che fra i 19 Clan Nobiliari Veneziani ormai prossimi ad estinguersi, perché rimasti solo con uno o due rappresentanti in età più che matura:“non più in grado di darsi da fare”c’erano con i vari:Avonal o Aponal, Balastro, Battaggia, Calergi, Celsi , Caotorta, D’Avanzago o Davanzo, Lolin, Honorati, Ruzzini e Vizzamano o Pizzamano … anche iNobili Guoro dei Carmini.

Ultimissima nota … Cronache Veneziane ricordano ancora, che nel più recente 1729 a Guorodei Carmini venne inaugurato un Teatro, che però con le sue commedie e melodrammi riuscì a rimanere sulle scene del panorama Veneziano solo per tre-sei anni, non di più.

 


Gamberi Rossi e Ombre da Morto

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#unacuriositàvenezianapervolta 315

Gamberi Rossi e Ombre da Morto 

Tempo fa sono finito col rileggere il motivo delle secolari lotte fra Castellani e Nicolotti … Fra Rossi e Neri, fra Arsenalotti del Sestiere di Castello contrapposti ai Pescaòri della Gastaldia di San Nicolò col Sestiere di Dorsoduro che gli andava appresso.

Sono quelli delle famose “Guerre dei Pugni sui Ponti”, e di tante altre disfide Veneziane finite spesso “a botte e sangue”, ma anche allegramente in Osteria.

Ve lo ricordate l’inizio di tutto ? Il motivo di quella secolare contrapposizione Sestierale ?

“Gamberi Rossi !” gridavano quelli di Castello.

 “Ombre da Morto !” rispondevano quelli di Dorsoduro.

Quando vincevano le sfide quelli di Castello chiamavano gli altri in modo spregiativo: Nicolòtti, cioè: poveracci, morti di fame.

Quando vincevano, invece i Nicolotti, i Castellani venivano incalzati e derisi chiamandoli: “Bragolòtti”, cioè “fangosi”, riottosi e bassi come un porco nello stagolo … “Merdosi” insomma ... Erano espliciti i Veneziani di un tempo ... Non se le mandavano tanto a dire: si buttavano le parole in faccia, e con le parole arrivano subito dopo anche le mani, oppure le canne, i bastoni, i pugni, i calci, le sciòmpe in acqua ... e i coltelli qualche volta.

Nel 1311 quando Ramberto Polo divenne Vescovo di Castello-Olivolo, cioè di tutta Venezia, come successore di Bartolomeo Querini, non gradì affatto l’esenzione concessa dal suo predecessore a diverse Contrade di Dorsoduro. Aveva visto ridursi notevolmente le entrate delle sue casse, per cui decretò che quelli di Dorsoduro dovevano nuovamente pagargli la solita Tassa Funeraria ... Chi moriva: pagava … punto e basta ... Si trattava di soldi: e non erano pochissimi.

Apriti cielo ! … I Veneziani di Dorsoduro finsero di non sentire: quel privilegio d’esenzione era stato loro concesso in perpetuo secondo loro ... e avevano ragione.

Diversamente convinto rimase però il Vescovo di Castello, che forte dei suoi di Castello, si presentò da quelli di Dorsoduro a “bàtter cassa” con tono severo, minaccioso e pretenzioso, rivolgendosi dritto a Prè Bartolomeo Dandolo Piovan de San Pantalon, ma volendo ottenere insieme a lui anche da tutti quelli delle Contrade limitrofe dell’AnzoloSan Basilio, San Trovaso, Santa Margherita, San Barnaba, San Nicolò e altri.

I Veneziani della zona non furono di molte parole col Vescovo di Castello. Gli insorsero contro in un gran tumulto, e semplicemente lo ammazzarono saltandogli addosso in “un Cantòn” della Contrada. Da allora quel luogo venne chiamato: “il Malcantòn”, zona ancora oggi vicina ai Carmini e a San Pantalon, poco distante da Piazzale Roma.

Tutto accadde quindi per via di quella Tassa Mortuaria che nessuno voleva pagare … Mezza Venezia quella volta venne immediatamente scomunicata, giudicata rea e meritevole della Dannazione Eterna, mentre l’altra metà di Venezia, quella “buona e obbediente”, si contrappose a quella “cattiva” … Ecco quindi da una parte i Castellani “buoni”: rossi come il cuore e i buoni sentimenti, mentre dall’altra stanno i Nicolotti“cattivi”: neri e fetenti, reprobi, riottosi e deplorevoli, malevoli come la Morte e la Peste.

Sono orgoglioso di abitare a Santa Marta: terra dei Nicolotti della Mendigola di San Nicolò … dei “neri cattivi” Veneziani … Nell’aria aleggiano ancora spumeggianti quanto invisibili certe belle memorie storiche che continuano a farci sentire Veneziani.

Una mattina qualsiasi del febbraio 1848 si rinvennero sui gradini dell’altare della Madonna della Salute due sciarpe rosse e nere: Castellana e Nicolotta annodate insieme ... Venezia stava lottando unita contro gli Austriaci “Peste di turno” calati a ghermire Venezia.

Anche oggi Venezia soffre di Peste … non mi riferisco al Covid … ma una Peste più sofisticata e mortifera che la sta piano piano soffocando, e subdolamente uccidendo … Sperèmo de no.


Io … e i Nobili Bàdoer

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#unacuriositàvenezianapervolta 316

Io … e i Nobili Bàdoer

“Butto l’occhio” sulla luce e la gaiezza semplice del vivacissimo “Mercato a Badoère” dipinto a cavallo fra 1800 e 190 da Guglielmo Ciardi … Che luce c’è qui ! … Sembra sprizzi vita da ogni pixel riprodotto, da ogni pennellata data dall’artista per imprigionare la scena: un’emozione rapita e incastrata dentro al dipinto.

I Badoer di Badoère: Nobili Veneziani … uno dei tanti Casati: Nobili di Casa Vecchia, Tribunizia o Apostolica … A Venezia erano detti “i Longhi”, forse perché i Badoer esistevano da tempi immemori: quasi da sempre.

In realtà erano arrivati a Venezia probabilmente da Pavia come Badovàri, mentre altri azzardano addirittura dall’Ungheria … Poco cambia: erano considerati anche discendenti dei Parteciaci o Partecipazio, un Casato che aveva avuto un’infinità di Dogi lungo i secoli. Orso II Partecipazio fra tutti: detto “Paurètta o Baduàrio”, ma i Badoer sono stati anche Generali, Procuratori, Ambasciatori, Rettori e Capitani di città e Cardinali … e chi più ne ha: più ne metta.

Quando il “Bizantineggiante” Paoluccio Anafesto venne eletto ad Eraclea come primo Doge della futura Serenissima: i Badoer erano presenti. Era insomma fra “i Nobili più Nobili”, fra i Casati più ricchi, affermati e potenti … e con i fatti seppero dimostrare bene quella loro specie di essenza: ebbero ben sette Dogi in Famiglia.

Già dai tempi dell’antica congiura contro Venezia messa in atto nel 1310 da Bajamonte Tiepolo insieme ai Nobili Querini, i Badoer, considerati a torto di sponda Guelfa vennero coinvolti. In realtà i Badoer badavano solo a se stessi: erano i maggiori proprietari terrieri Veneziani con numerosi possedimenti oltre che a Venezia, Murano e Chioggia, anche nel Vicentino e nella Marca Trevigiana: a Stra, Peraga, Bottenigo, Fiesso e Fossalovara, boschi a Oriago e alla Bastìa di Mirano, Morelle, San Bruson, Montagnana, 200-300 campi di bosco a Loreggia, e mulini sul fiume Musestre, e terre, vigne, poste da pecore, osterie, fornaci e casali Trisigallo di Ferrara città di cui furono anche Podestà … Avevano perfino un Feudo in Puglia e nel Regno di Sicilia concesso da Carlo I d’Angiò che li nominò “Miles” … NeIl’occasione della Congiura però Badoero o Baldovino Badoer finirono condannati a morte.

A Venezia esisteva un modo di dire per indicare straricchezza e abbondanza: “Ti xè pièn come el Badoèr”.

Badoère dipinta nel quadro da Ciardi era la loro “Dimora di Campagna”: la loro Fattoria per la Villeggiatura nell’ampio fondo bonificato della Vespàra a Fratta Polesine che divenne grande quasi quanto un’intera cittadella. Fu un borgo-villaggio-paese intero dove si convergeva settimanalmente per il Mercato nella Rotonda delle Barchesse curvilinee della Villa create nella vicina località Bràgola di Zeruol di Sopra. A braccia aperte ad accogliere i visitatori” era lo scopo voluto dagli stessi Badoer nel 1556-1563 he costruirono tramite Palladio sul sito di un antico Castello di Salinguerra da Este.

Il mercato frequentatissimo si svolgeva ogni lunedì nel piazzale e sotto i Portici della Barchessa “a 41 archi e volti” che ospitava a metà abitazioni, e per l’altra metà altrettante botteghe di Artigiani e Mercanti tutti affacciati a convergere sulla chiesa e il Palazzo Dominicale dei Badoer (ora sede municipale) che era apicale a tutto.

A conferma la vocazione economico-mercantile dei Badoer, la villa-borgo “Badoèra o Fabrica del Magnifico Signor Francesco Badoèro in Polesine", sorse proprio su un luogo strategico sulla sponda di un Ramo dell’Adige: lo “Scortico” canale navigabile attraverso il Canal Bianco e il Po fino a Venezia.

Immaginate allora come a Badoère o Badoèra i Badoer fossero considerati quasi come “un Dio in Terra, alieni da un altro Mondo di cui erano Padroni.” … Il paese era un po’ la loro creatura.

Per dirvi chi erano i Badoer … Sentite un po’: solo un assaggio …

Nel Libro dei Conti di Jacomo Badoer Mercante e Agente Commissario a Costantinopoli anche per conto di molti altri Mercanti Veneziani. si legge circa il 1438: Al nome de Dio e del bon guadagno, Libro de mi Jachomo Badoer del viazo da Costantinopoli, nel quel luogo zunsi a di 2 setenbre 1436 a mezo zorno chon le Galie del Chapetanio Misier Piero Contarini … Pani bale 8 de raxon de Misier Piero Michiel per la mità, e de Jeronimo e de mi Jachomo Badoer per l’altra motà, dixe esser pani 66 de qual ne sono pani 48 bastardi averti e pani 18 bastardi seradi, recevudi per le galie chapetanio Misier Lorenzo Minio, diè dar a di 2 hottobre per el commerchio … spese de merchandia … nolo … boleta e chortexia ai Barcharuoi e a quei de la porta … Chamali … Sansaria … hostelazo 4.505 Perperi x per carati 6 …”

Tutta quella “mercandìa” venne venduta in seguito “al retorno della Muda delle Galee” a Ser Nicholò Da la Chola attraverso il Sensèr Maistro Zorzi per 889 e 290 Pèrperi ... o barattata con Joxep Salia Zudio de Pani de più raxon, per pani 4 de grana tramite el Senser Pulixoto Xudio anca li par 246 Pèrperi, e po ancora per Pèrperi 482 e 334 … con Zuan Zen tramite el Senser Maistro Pietro Zimador con pagamento a termine al ritorno delle Galee ... ancora per barato fato con Miser Lunardo Spinola tramite el Senser Zorzi da Gavi e con Joxep Satia Zudio … Una chassa pani 2 di cui 1 bastardo furono venduti a un Bulgaro tramite el Senser Todorin Zimador … a un Vlacho, e il 9 zener 1439 per Andrea Chimano e Michali Chatafiorti per 5 pani bastardi averti con termine “al zònzer de le Galie” tramite el Senser Todorin per perperi 496.

Non voglio tediarvi con l’epopea, né con gli affari e le genealogie dei Badoer … Dio liberi dalla noia !

A Venezia i Badoer erano divisi in ben 8 Rami o Casati distinti ciascuno con i propri Palazzi sparsi in giro per le Contrade della Città Lagunare. Risiedevano e avevano Cà o Palazzo, ad esempio, ai Frari in Calle della Passion dove c’era un paludoso “Lacus Badovarius” donato ai Frati Minori per costruirvi la chiesa, alla Bragora, e San Giacomo dell’Orio e da altre parti ... Ancora oggi ai Frari si può passare per il Sottoportico, Ramo e Corte Badoer.

Nel 1472 i Consiglio dei Dieci smascherò Elisabetta Zeno sorella del Papa Paolo II Barbaro, madre del Cardinale Giambattista Zeno e zia di altri due Cardinali, che teneva un salotto frequentatissimo da Senatori Veneziani. Dietro a un paravento c’erano nascosti degli Scrivani che registravano ogni conversazione dei Senatori provocati su molti argomenti delicati e scottanti della Serenissima, che poi venivano spediti puntualmente a Roma dal Papa ... Spionaggio ieri come oggi ! … La Zeno venne esiliata a vita a Capodistria, e si rafforzò il Senato Veneto aggiungendovi un organo di controllo formato da un’apposita Zonta di 25 membri. I parenti Cardinali della Zeno persero ogni beneficio detenuto nei territori della Serenissima Repubblica, e si arrestarono anche i fratelli Pantaleone e Alvise Barbo condannati a un anno di prigione, all’esclusione dalle cariche e dai consigli per 10 anni, e Geronimo Badoer del Consiglio dei Dieci condannato a 6 mesi di prigione ed esclusione permanente da cariche e consigli e alla privazione di tutti i diritti di Patrizio Veneto, mentre si rilasciarono in quanto semplici ospiti della Zeno: il Savio Grande Domenico Zorzi e il Nobile Andrea Trevisan.

Verso metà 1500, quando Badoer Zuan Alvise viaggiava come Patronus Galearum Flandrie onorando le patrie economie, ma anche gli interessi commerciali di Famiglia: “perché conta chi ha denari” ... Corona e Cherubina Badoer erano fra le 28 “Mùneghe Professe da Coro e Messa” del Monastero di Santa Caterina di Mazzorbo sotto la Badessa Benedetta Michiel, che contava anche 11 Monache Converse “da bassa Scàffa” (lavatoio) ... Federico Badoer, in quegli anni Ambasciatore Veneziano prima ad Urbino e poi a Madrid presso Carlo V, fallì per migliaia di ducati di debito con l’Accademia della Fama, che aveva fondato insieme al poeta Domenico Venier, Giustiniano e Alvise Badoer, Bernardo Tasso e Alvise Mocenigo. Venne denunciato, arrestato e processato, e anche interdetto dai Pubblici Uffici per 5 anni con l’accusa di aver svolto “pratiche disoneste per la Repubblica” insieme col Duca di Brusnewick Protestante stabilitosi in Venezia. Il Badoer venne alla fine assolto, ma l’Accademia della Fama non venne riaperta più … Enrico Badoer, invece, perse 3 navi con 300 uomini armati a sue spese durante l’assedio di Naupatto dove fu fatto prigioniero dai Turchi per due anni. Sfigato davvero quel Badoer, perchè mentre era prigioniero dei Turchi la sua casa a Santi Apostoli venne distrutta da un incendio … Nel 1557 ancora: un NobilHomo Badoer fu tirato a coda di cavallo, tagliata la lingua e un orecchio, e decapitato e squartato per ordine del Consiglio dei Dieci venne “perché avendo giocato e perso li dinari, iniziò a bestemmiare e ferì l’immagine di Maria Vergine”.

Durante lo stesso 1500, l’avvenente e prospera Cortigiana Andriana Badoer, figlia di un domestico di Casa Badoer, sposò in pompa magna nella chiesa di Santa Maria Formosa: il Nobilissimo Marco Dandolo. Il matrimonio venne considerato scandalosissimo a Venezia: “non se dovaria elevàr Cortigiane al Rango Fortunato dei Patrizi” … E non fu tutto: Andriana sopravvisse alla disastrosa Pestilenza del 1576 che aveva decimato Venezia e Laguna rubando la scena a tutte le altre Cortigiane morte.

Le sue fortune e le varie cose che era riuscita a mettere insieme non piacquero a molti, ma soprattutto suscitarono l’invidia di tanti a Venezia, perfino fra i suoi familiari. Andriana venne accusata “d’essere Spiritàda”: fu per primo il Guardian Grande del rinomatissimo Convento della Cà Granda dei Frari, dove i Badoer “erano di casa” ad iniziare col dire che quella donna aveva bisogno d’essere Esorcizzata. Poi sulla scia del Frate piovvero testimonianze e accuse: Barcaroli de Casada si presentarono a dire che Andriana si recava di nascosto nei Cimiteri a prendere “ossa da Morto e a tagjàr teste” … Alcune Cuciniere di Cà Dandolo aggiunsero che le faceva bollire per ottenerne “Sataniche pozioni e filtri d’Amore”. Altri giurarono e spergiurarono che l’avevano vista in Piazza San Marco “fra le Colonne” a raccogliere sangue dei condannati decapitati. Infine si presentò ad accusarla perfino il Conte Avogadro, che secondo alcuni lei aveva rifiutato, dicendo che sua moglie era morta per colpa della Badoer con la quale aveva avuto conflitti e l’aveva stregata.

Ne nacque insomma “un gran pastrocchio” con compravendita anche di “Ostie Consacrate” che passarono segretamente di mano in mano, in cui vennero coinvolti anche lo stesso Frate Accusatore, il Nobile marito Dandolo, e servi e servette.

Andriana venne allora “esaminata a Processo per Stregoneria” dal Patriarca in persona e dall’Inquisizione Veneziana“faceva Sortilegi, invocava il Demonio, compiva Riti Satanici, profanava le Cose Sante della Chiesa”.

Divenne palese però che testimonianze e le accuse erano contradittorie e menzognere: erano solo pettegolezzi e chiacchiere “da barca, e da strada de Contrada”. La moglie dell’Avogadro secondo i Medici si era spenta “di Morte Naturale”, e le Serve di Cà Dandolo fornirono alibi di ferro a difesa di Andriana che non si muoveva mai di casa, tantomeno di notte per andare a Cimiteri ... Il Santo Uffizio non si attivò quindi “a procedere”, e Andriana venne assolta e condannata a “Semplice Penitenza”.

Erano davvero “spròti e pettegoli, oltre che rognòsi e impiccioni che non pensavano mai ai fatti loro” i Servi di Cà Badoer … “Una sera di novembre 1574 ad ora tarda, due Famigli di Casa Badoer passando pel Campo San Tomà videro un uomo con un sacco in spalla che si aggirava furtivo intorno alla chiesa. Insospettiti chiamarono le Guardie di Rialto che colsero l'uomo medesimo in atto di sforzare le porte del Sacro Recinto”.  Venne ovviamente arrestato trovandogli addosso: “tanaglie, scalpelli, leve, una piccola mannaja, un piccolo fanale, esca, pietre focaje, ed altro ... Tradotto in carcere, venne riconosciuto come Nadalin da Trento, figlio d'un Sarto, Garbelador, e Ligador al Fontego dei Tedeschi, domiciliato in Contrada e Parrocchia de San Lio. Nella sua abitazione, oltre alla moglie Cassandra, trovaronsi diversi preziosi arredi sacri rubati insieme a una buona quantità d'oro e d'argento già fusi colati” ... Confessò alla fine: erano gli esiti di diversi furti perpetrati in diverse chiese e ai danni della Schola Grande di San Marco il mese precedente. Si trattava di calici, croci, un gonfalone adorno d'argento alla Perugina, l'anello di San Marco e alcuni Palii d'altare. Intendeva rubare anche la Reliquia della Santa Spina di Nostro Signor Gesù Cristo, ma con quella in mano era inciampato davanti alla porta dell'Albergo della Schola. Allora l'aveva abbandonata ed era desistito scappando via … Giorni dopo attraverso una tomba era entrato anche nella Schola Grande di San Rocco dove aveva rubato un Crocefisso intarsiato con una corona d'argento: “Invano il ghiotto ladro provò ad abbindolare e commuovere con tali pappolate l'animo dei Decemviri, che con sentenza 3 decembre 1574 lo condannarono ad essere appiccato, ed abbruciato in Piazzetta dopo i consueti tormenti. Con deliberazione dello stesso giorno il Consiglio dei Dieci comandò che tutti gli oggetti rubali da Nadalin fossero restituiti a chi era stato derubato, e che se non si trovava a chi appartenessero, fossero venduti e il ricavato dato un soldo per lira alle Chiese e Schole offese; e che si consegnassero a Caterina Serva di Nadalin i danari ch'egli nel suo costituto disse avere a costei appartenuto; e che finalmente la moglie di Nadalin fosse liberata dal carcere, e che se avesse dimostrato di posseder dote, venisse compensata coi mobili e vestimenti di casa.”

Mi fermo qua …




 

NE FODIAS !

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#unacuriositàvenezianapervolta 317

NE FODIAS !

Non scavare qui ! … Sono sepolti gli appestati.

Il caso dell’Isola di Poveglia nella Laguna di Venezia nel giugno 1793.

Mancava proprio un niente, solo un attimo, alla fine della Serenissima. Si era proprio agli sgoccioli del suo storico successo millenario … anche se Venezia non lo sapeva, o meglio: forse fingeva di non aspettarselo continuando a sussistere intorno al suo ultimo Doge Ludovico Manin(1789–1797).

Tutto accadde una mattina qualsiasi d’inizio estate di quell’anno. Come si era soliti a Venezia, le navi entravano dalla Bocca di Porto di Malamocco, venivano valutate e controllate dall’Ammiraglio, e poi condotte lungo il Canale Fisolo fin nei pressi dell’Isola di Poveglia. E lì espletate le formalità burocratiche e i controlli, si dava il via all’attività commerciale di scarico per cui le navi erano approdate fino in Laguna.

Quasi come Formiche attorno a un’appetibile mollica di pane, una piccola folla di Bastazi (Facchini)Venezianisi avvicinò alla Tartanella Turca “San Nicolò” comandata dal Greco Zuanne Mechxì, arrivata da poco ad affacciarsi in Laguna con 30 uomini d’equipaggio a bordo. Per un giorno intero si calarono giù nelle barche lungo gli scivoli (le gòrne) di legno della nave le merci che si stavano aspettando: 9.000 pezze di formaggio salato, ma giunto il tramonto s’era optato per concludere l’operazione il giorno dopo.

Arrampicatosi di nuovo il Sole in Cielo la mattina seguente, i Bastazi tornarono ad avvicinarsi alla Tartanella per continuare l’operazione.

Fu allora che accadde il “patatràk” ... Cioè: si videro i Marinai appesi agli alberi della nave che urlavano e mandavano via chiunque provasse ad avvicinarsi. Era successo qualcosa di grave a bordo nottetempo: un Marinaio, si seppe dopo, aprendo un fagotto d’abiti s’era sentito male, e dopo una veloce crisi di dolori e vomito era rimasto morto stecchito sul fondo della nave. Altri gravi malori avevano colto ulteriori tre Marinai in seguito ... e c’era anche un Bastazo Veneziano, che aveva fatto la spola il giorno precedente fra le barche e la nave, che non si sentiva affatto bene.

Scattò l’allarme … A riprova che la Serenissimaera ancora viva ed efficiente, anche se pareva dormire sulle sue glorie come un gattone paffuto piuttosto d’essere il feroce Leone di un tempo, in pochissimo tempo si attivò una specialissima e quasi spettacolare reazione. La squadra dei 5 Provveditori dell’Ufficio di Sanità(i Nobili: Lippomano, Marcello, Zen, Minotto e Tiepolo) si mise in moto, e in brevissimo tempo l’Isola venne considerata come una bocca dell’Inferno da cui bisognava assolutamente difendere tutta Venezia e i Veneziani.

Per nessun motivo sarebbe dovuta succedere in Laguna un’altra Peste simile a quella della Salute e del Redentore… Erano bastate … e anche l’episodio recente di Pellestrina del 1716 aveva indotto tutti a tenere gli occhi ben aperti e a non abbassare mai la guardia.

A differenza forse di quanto abbiamo saputo fare solo parzialmente noi di oggi col Covid, Venezia trasformò un’altra volta in un battibaleno l’Isola di Poveglia in un efficiente Lazzaretto.

Mandò subito a chiamare il maggior esperto in materia rintracciabile allora “sul mercato”: il Conte Costantin Dalla Decina, che risiedeva e praticava come Priore nel Lazzaretto di Spalato, e lo invitò a precipitarsi subito in Laguna.

Allo stesso tempo si bloccarono tutti i traffici in entrata e uscita dalla Laguna e dall’Adriatico… La voce-notizia del probabile contagio scappò via comunque e si diffuse in un attimo, perciò lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana prima di altri proibirono a qualsiasi naviglio e persona Veneziana e Veneta di navigare dalle loro parti e attraccare dentro ai loro Confini.

Era un gran peccato, perché in quei giorni era imminente la grande Fiera di Senigaglia: l’appuntamento annuale economico-commerciale più prestigioso che c’era allora. Un gran guaio, insomma, per i Mercanti e le Economie della Serenissima ... Mai disperare però: il Papa “patròn della Fiera” fin da subito si dimostrò speranzoso e possibilista accennando a un eventuale prolungamento dell’appetitoso appuntamento commerciale.

L’Isola di Poveglia intanto, con tutte le paludi e le acquee limitrofe, venne trasformata in un vero e proprio Fortino. Si attuò un triplice cordone d’isolamento militare di sorveglianza dando all’Ammiraglio Michiel Vitturi il comando dell’Operazione e dei soldati “Oltremarini”.

L’Ammiraglio di Malamocco diede ordine di chiudere le Bocche di Porto a qualsiasi natante, e di allontanare ogni nave dagli approdi dell’Isola di Poveglia ormeggiandole nel vicino Canale Fisolo. I Provveditori a loro volta, ordinarono d’evacuare ogni residente dell’Isola eccetto l’Oste, e d’inviare al loro posto oltre a Medici e Chirurghi Specializzati (Dr. Drimi, Dr. Lotti, Dr. Urbani Protomedico di Marina), un paio di Preti (Don Moscopulo Elissandro: Padre Greco, e Don Stefano Vianelli Cappellano della chiesa di San Vitale e del famoso Cristo Miracoloso di Poveglia) per l’assistenza spirituale e giuridica-testamentaria, nonchè una Squadra di sette Arsenalotti e Rimorchianti guidati da un Perito dell’Arsenale, e una di Addetti all’Assistenza dalle idee piuttosto chiare.

Erano morti intanto altri due Marinai della nave: uno dei quali quattordicenne con un bubbone che gli prendeva mezzo volto e tutto il collo, ed altri sei Marinai s’erano ammalati uno dopo l’altro ... S’ammalò in fretta e morì poco dopo anche uno dei Bastazi-Facchini Veneziani che avevano partecipato allo scarico della nave, e un altro Bastazosi trovò alle prese con spasmi, emicrania e febbre … La Tartanellaaveva fatto scalo in Siria, dove aveva arruolato alcuni Marinai, fra i quali: quelli morti di Peste.

Per accedere all’Isola superando quel triplice controllo acqueo, serviva uno speciale permesso. Erano autorizzati a passare fra i pochi: l’Oste di Malamocco e quello dell’Isola di Poveglia, un Sarto, un Fornitore di legna da fuoco, un altro di catrame, uno di lenzuola e ferramenta, uno di tele, un Tagjapiera, un Marangòn (falegname), un Fabbro e un Fornitore di Caldière, due Fornitori d’acqua dolce, un addetto alle fornaci, un Burcjèr e un Peatèr, alcuni Murèri (Muratori), e un Fornitore di Macchine Idrauliche.

Su indicazione “dell’esperto” entrato in azione, l’Isola intera venne scombussolata, modificata e attrezzata allestendovi appositi padiglioni e rifornendola di ogni materiale considerato necessario:“corredi di camicie, scovoli, berrette, stramàssi (materassi), coperte e imbottite, sacchi”… L’intera Tartanella ogni cordame compreso, insieme a persone e merci dovevano essere lavati e del tutto sanificati e spurgati.

Si allestì su una porzione estrema dell’Isola un nuovo Cimiteriettoapposito: “selciandolo tutto, irrorando tutto il terreno d’acqua salata, e cingendolo di muro”, e siabbandonò il vecchio Cimitero di Poveglia. In mezzo alla nuova area con le tombe coperte da mattoni, si issò una colonna con cartelli minacciosi col monito: “NO FODIAS ! VITA FUNCTI CONTAGIO REQUIESCUNT”“Non scavate qui! Perchè qui riposano e sono sepolti i morti del contagio” ... Più chiaro di così ?

Addirittura si contornò tutta l’area del Cimiterietto con una palafitta protettiva per impedire che le maree, o eventuali “burrasche” andassero a intaccare le tombe.



L’ampio tesone dell’Isola e il cantiere di rimessaggio che accolse la Tartanella vennero chiusi ponendovi robuste sbarre: “doppie sprangonàte” alle finestre, cancelli, reticolati e steccati tutto attorno all’isola e al “campo del Pozzo”. In tre aree distinte vennero collocati:  gli affetti dal morbo in quarantena (fatti uscire all’inizio nudi dalla nave), l’equipaggio della Tartanella e i Bastazi Veneziani rimasti illesi ma considerati “di rispetto” da tenere controllati, e i Guardiani che vigilavano e assistevano gli appestati.

Ulteriori aree distinte poi accoglievano i “contumaciali guariti dal Morbo” in convalescenza, mentre in un’area distinta a parte soggiornava “la Milizia”, cioè i Militari che vigilavano sull’Isola e acquee limitrofe: o imbarcati su uno Sciabecco, e su Galiòttee Feluche, o affacciati come sentinelle di guerra da apposite “Garritte”e “Caselli” da dove sovraintendevano sulla situazione.

Nei cortili e nei magazzini “a tramontana” si depositarono “le ròbe del carico e gli attrezzi infetti”, che una nutrita Squadra di 12 Guardiani di Sanità e Bastazimovimentava con ogni cura ogni giorno nel “Serraglio degli Espurghi”e negli “Steccati delle Ventilazioni” secondo i precisissimi ordini del Sovraintendente agli Espurghi: lo stesso Costantin Dalla Decima ... Apposite vasche piene d’acqua erano indicate per contenere gli effetti del Primo Espurgo, mentre in un capannone apposito si provvedeva al lavaggio, bollitura, vaporizzazione e disinfezione di ogni cosa ... Si abbrustoliva di continuo perfino l’ortaglia e l’erba dei prati dell’isola.

Chi operava con due enormi caldière(caldaie)per l’espurgo e l’arieggiamento delle merci, o assisteva i contagiati doveva denudarsi e lavarsi prima d’indossare: guanti e abiti catramati.

L’Isola veniva rifornita di continuo con una grande quantità di: China, Canfora, Zolfo, Catrame, Aceto, Calce e di Balsami e Profumi. Ogni giorno arrivava il rifornimento “d’acqua dolce” potabile con apposite betoline serbatoio che andavano ad attingerla direttamente alla Fonte della Seriola di Liza Fusina sul bordo della Laguna, e arrivavano poi in quantità: pane, verdure, vino e sciroppi corroboranti.

Burchielle di ogni sorta trasbordavano persone e cose attraccando su un apposito pontile con cavana che introduceva all’isola attraverso un foro controllato del muro perimetrale di cinta. Il Gastaldo delle Barche Giovanni Tosarin vigilava su tutto, e annotava ogni arrivo, partenza o spostamento dei natanti.

E poi c’erano giorno e notte: fuochi e affumicamenti, quasi un attacco sfegatato e mai stanco di Venezia all’invisibile Mostro-Morbo che veniva combattuto con tutti mezzi che si aveva a disposizione.

La Tartanella dei Greci, cioè il “bastimento infetto” venne letteralmente preso e ribaltato in tutti i modi. Dopo 50 giorni dall’approdo a Poveglia, persone ricoperte di abiti catramati vi salirono a bordo, abbrustolirono tutta la coperta lignea della nave, incatramarono dal basso all’alto tutti gli alberi e le sartie delle vele. Le corde vennero abbrustolite a loro volta, o portate a terra e “spurgate”insieme a pennoni e antenne, mentre diverse legature sospette vennero tagliate e date alle fiamme. Per tre giorni poi si riempì il sottocoperta di forti profumi, poi con pompe idrauliche si riempì d’acqua, ogni volta per 24 ore, l’intero bastimento per quattro volte consecutive. Infine uomini “ben approntati”visitarono ogni angolo della stiva della nave sventrando ogni fodera e frugando in ogni ripostiglio, dando così alle fiamme qualsiasi cosa ritenessero di qualche pericolo. Infine tutto venne raschiato e intonacato con Fior di Zolfo e Acqua di Calce.

Risultato ?

Morirono in tutto: 12 persone, cioè 4 Marinai(Apostoli, D’Anagosti, D’Andrianò, Sarandachi) e 8 Bastàzi-Facchini(Bagatin, Biseghin, Dalla Pietà, Osvaldin Bortolo e Pietrantonio, Tonetti e Venere detto Massaria: Bastazo  Beccamorto). Con loro morì anchePietro Missero: morto per sfinimento eccessivo e troppa fatica per l’intenso lavoro svolto nel gestire e approntare l’Isola, e scavare le buche per seppellire i Morti ... Commovente la supplica alla Serenissima dei suoi genitori anziani, che chiedevano un sussidio in quanto la Peste li aveva privati del figlio loro unica fonte di sussistenza … Si ammalarono ma guarirono, sopravvissero e si salvarono fortunatamente altri 17 Bastazi Veneziani(Chiesura, Trentinaglia, Sgualdin, Coana, Peresin, Dal Borgo, Pastori, Minotto, Miani, Da Poz, Fiorito, Folin Osvaldo e Zorzi, Marcantonio, Lazzari, Galetto).

Commoventi da leggere le note testamentarie di qualcuno di quei semplici Bastazi Veneziani: tutta gente semplice, lavoratori qualsiasi molto “alla mano” ... Lasciavano le loro poche e povere cose ai vivi, pregavano di sanare i debiti lasciati irrisolti, e supplicavano di ricevere un po’ di “Pietas” per le loro “Anime da Morti”, sperando in orazioni e Messe: “per aver almeno in Morte un po’ di serenità e pace”… Parole da brividi.

Poi già verso metà luglio di quello stesso anno terminò tutto, e si concluse per il meglio …  Veneziasi salvò, e il contagio non si propagò più … L’operazione Pestilenza di Poveglia venne dichiarata conclusa dalla Serenissima, e si diede ordine di tornare alla più completa normalità.

Il Senato della Serenissima elogiò un po’ tutti, destinò perfino 460 ducati per fare un gran festone conclusivo per lo scampato pericolo. Si fece una gran sfilata di barche con spari d’artiglieria, suono di campane a distesa e “Gran Messòni Cantati” … Si coniò anche un’Osellad’argento commemorativa, e si commissionarono ai Preti centinaia di Messe di Suffragio per i Morti offrendo loro anche un prezioso Ostensoriod’argento-dorato fatto apposta per la chiesa dell’Isola … Si volle anche che tutta questa storia venisse scritta in un Diario, e che si ponesse una lapide sui muri dell’Isola a perpetua memoria dell’accaduto ... Si pensò infine anche di supportare in qualche modo le famiglie dei Morti, e l’equipaggio della Tartanella finito del tutto in miseria.

21 settembre 1793: “In Poveglia tutto respira Salute, ed ai 15 del prossimo ottobre scade la pratica che anelano quei giulivi contumacianti.”

La Tartanella Turca “San Nicolò” girata e voltata come un calzino, quasi irriconoscibile per quanto le era stato fatto per sanarla, potè finalmente rirendere il mare con a bordo quanto rimaneva del suo equipaggio … Era il 13 ottobre 1793, e il Conte Della Decimadopo 151 giorni se ne ritornò a Spalato.

I Veneziani seppero così contenere ed evitare l’ennesima epidemia … Complimenti ! … Davvero bravi visti i mezzi limitatissimi di cui erano dotati allora … Di sicuro in quell’occasione Venezia riuscì ad evitare un’altra moria di migliaia di Morti di Peste.

Da imparare direi, e non credo d’esagerare nell’affermarlo.

 

I Della Torre a Venezia, e il Pinzoccheraio di Sant’Agnese sulle Zattere

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I Della Torre a Venezia, e il Pinzoccheraio di Sant’Agnese sulle Zattere

Provo a farla breve … A Venezia fra i tanti Nobili “grandi e piccoli” c’erano anche i Dalla Torre, cioè i Torriani ... Nobili: “un po’ d’importazione”.

Come tutti i Nobili Veneziani “ne hanno fatte di cotte e di crude: un po’ di tutti i colori”… Diciamo che nel contesto della Storia Veneziana sono stati “significativi e famosi” soprattutto per il loro “darsele di santa ragione e in tutti i modi” con gli altrettanto Nobili Savorgnan: entrambi dediti “Anema et Core” al controllo-dominio delle Terre della Patria del Friuli sottomesse alla Serenissima.

Savorgnan e Dalla Torre non hanno risparmiato colpi nel cercare di scalzarsi e sopravalersi, e le hanno tentate tutte, ma proprio tutte, sotto gli occhi attenti della Serenissima che non ha mai permesso che uno dei due prevalesse sull’altro.

Venezia era furba, lo sapete, e di volta in volta si è premurata elegantemente e diplomaticamente di “dare un colpo al cerchio e uno alla botte” per tenere tutti bassi, buoni e sottomessi ... così che alla fine su tutto e tutti prevalse solo l’interesse dellaSerenissima Repubblica e non dei “particolari”.

Sarebbe secondo me curioso sta qui a raccontare di quanto accadde nella Patria del Friuli quando Savorgnan e Dalla Torre s’azzannarono mille volte fra loro mettendo in piedi di continuo “tàje de armati”… In mezzo ai due contenenti c’era sempre la “gente del Friuli” che non mancava mai di mettersi di volta in volta al servizio dell’uno o dell’altro, sperando sempre d’essere pagati, o di poter approfittare di qualche buon saccheggio o favorevole evento ... In realtà ilPopolo del Friuli odiava apertamente tutti quei Nobili, tanto è vero che appena poteva li scannava con mogli, amanti e figli, e dava fuoco volentieri ai loro palazzi privandoli di tutto: “Si convocavano con campana a martello … Folla furente reclamava a gran voce vendetta, decisa a farla colle proprie mani ... Incontenibile irrefrenabile s'avventava contro i palazzi dove stavano asserragliati i presunti traditori … e si saccheggiava, distruggeva, bruciava ...”

I Nobili erano: “da ognuno odiati, che il popolo in tumulto, in preda a smania omicidia, li vuole morti ... Né c'è pietà pei Della Torre: ucciso il protervo Niccolò, fracassato di botte Isidoro, suo fratello, invano riparato nella casa d'Ascanio Sbroiavacca e quivi scovato mentre, già ferito, giaceva in un letto … trucidato "crudelissime" pure anche un altro Della Torre scoperto nello scantinato della dimora del vicario patriarcale.”

Insorgevano i Contadini contro i castelli: quello dei Della Torre dei Villalta dove si sentiva urlare: "Austria, Austria!" ... Antonio Savorgnanvenne ucciso a Villacco, e tra gli "interfectori"c’era un cugino dei Della Torre: GianEnrico di Spilimbergo, che lo colpì per primo alla testa … Sempre a Villacco, e sempre per mano degli stessi Nobili Friulani Della Torre, il 2 aprile 1518, venne ucciso anche suo figlio naturale Niccolò.

I Dalla Torre o De la Turre, prima d’essere Patrizi Veneti erano stati una nobile famiglia Guelfa di Milano Porta Nuova, che aveva dominato in lungo e in largo la Lombardiae buona parte dell'Italia Settentrionale tra 1100 e 1300. Si dicevano discendenti di Carlo Magno, e con quella scusa-pretesto giunsero a tenere in mano la Signoria di Milano, e vasti territori che arrivavano fino al Canton Ticino con la Contea di Valsassina e il Borgo fortificato di Primaluna, ma curarono grandemente interessi anche a Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Monza, Novara, Varese e Vercelli, controllarono Brescia tramite alleanze e intrecci parentali, e si sparsero in diversi rami come Cavalieri, Baroni, Conti, Marchesi, Vescovi, Duchi e Principi in Friuli, Veneto, Romagna, Toscana e Piemonte giungendo fino “ad operare, possedere e governare” in Sicilia.

Non male vero ?

I Della Torre quindi, non potevano non figurare anche nella Laguna Veneziana ... Infatti nel 1405-1408, si diedero parecchio da fare sulla “Piazza di Venezia” mobilizzando certi loro investimenti che avevano fatto nei titoli del Debito Pubblico Veneziano. Investirono quei capitali per acquistare le terre che erano state dei Carraresi, e prima ancora dei Della Scala e Visconti, e poi messe in vendita quando vennero assoggettati dalla Serenissima.

I Della Torre in Laguna fecero anche altro … Un Marco Della Torre fu per ben due volte, nel 1506 e 1510-1511, Guardiano della Cà Grande dei Frari di Venezia: il Convento dei Frati Minori Conventuali forse più potente, ricco e famoso di Venezia … e anche il più chiacchierato dell’epoca … Nell’estate 1549, invece, l’Abate Luigi Dalla Torre venne ucciso da Tristano Savorgnan della storica Famiglia rivale, e venne seppellito sopra la porta del Chiostro dei Frari in un’anonima bara di legno.

Nel 1619 ancora un Tommaso Torre fu Guardian Grando della Scuola Grande dei Carmini: altra grandissima realtà ricca di successo in Città, e in fortissima ascesa in quegli anni ... Era un punto d’arrivo giungere ad occupare a Venezia una Carica del genere, lasciando perdere le Cariche di Stato Superiori riservate in esclusiva a quei Nobili che contavano per davvero.

Si potrebbe continuare ancora a lungo con le vicende dei Della Torre: Lucio della Torre Signore del Castello di Villalta fu famoso per le sue efferatezze e le scorribande esercitate per anni a capo di una banda di bravi e briganti che imperversarono nei territori della Serenissima ... Inviso a tutti, anche alle “basse popolazioni”, già che c’era, uccise anche sua moglie: Eleonora di Madrisio… Finchè Venezia si stancò dell’alterigia e delle angherie di quel “spudorato ometto”, e lo giustiziò a Gradiscail 3 luglio 1723 … Aveva solo 28 anni.

Martino Della Torre detto “il Gigante”, Conte di Valsassina, andò a combattere in TerraSanta al tempo delle Crociate finendo a morire sotto alle mura di Damasco nel 1148 ... Suo nipote Raimondo fu Vescovo di Como, catturato nel 1269 da Corrado Venosta Von Matsch feudatario del Castello di Boffalora in Valchiavenna, ed esposto in una gabbia al pubblico ludibrio a Sondalo in Valtellina. Venne liberato dalle milizie di suo fratello Napo dei Torriani che non ci pensò due volte a radere a suolo il Castello dei Von Matsh ... Poi, sbollita l’ira, i Della Torre si diedero “alla pace” dedicandosi per un poco a fare il Patriarca di Aquileia.

Un altro Della Torre:Paganino, nominato Podestà di Vercellivenne assassinato da una banda diNobili Milanesiaiutati daNobili Pavesiinviati dalMarchese Oberto II Pallavicino. Anche in quell’occasione scese in campoNapo dei Torrianiche sistemò tutti a modo suo decapitando 53 persone fraVercelli, Milano e Trezzo: tutti Nobili della fazione avversa alla sua.

Dicevamo che soprattutto in Friuli sia i Della Torre che i Savorgnan furono a lungo: "castellani e pretendenti … i primi de la Patria", sempre pronti ad essere "capi delle taje Udinesi con 300 cavalli ben in ordine""che in Goritia, per quelo tignieva cadauno 1500 fanti"“poi a Mariano s'unirono 6.000 uomini delle ville assai in puncto … mentre Amaseo agli ordini di Loredan riunì poco più di 2.000 uomini nella maggior parte vilani mal in ordine … servos et homines de masnata a piedi et a cavalo … con falconeti 6 cum li soi polveri … e pastadòri de fosse … sempre pronti a trasformarsi in briganti e ribelli.”“Troppo viva la discordia tra le loro sette-fazioni contrapposte … S'ingrossavano e fronteggiavano li due partiti: quello degli Strumieri costituito da li castellani quasi tutti, con pochi Macedoni e alcuni plebei, e quello degli Tamberlàni che dalla sua aveano tutti li cittadini, la plebe e la città co alcuni castellani ... Capeggiava i secondi Antonio Savorgnan: ricchissimo, e in grazia del Senato Veneto …”

I Savorgnan muovevano contro i Della Torre accuse terribili: “additato come filoimperiale e traditore: nemico della Repubblica, Giorgio Della Torre era Gran Maestro appresso lo re dei Romani … I Contadini lo accusano de voler mudàr stado"… I Della Torre da parte loro accusavano a loro volta apertamente i Savorgnan: “di sobillare contro i Nobili la feccia cittadina e la bestialità rusticana.”… a Udine si urlava: "Torre, Torre! Viva gli Strumieri !"

Antonio Savorgnan in un’occasione: “accusò d’avventatezza e violenza il più bestial Niccolò Della Torre che con sette dei suoi sorprese l'adolescente Francesco Savorgnan picchiandolo selvaggiamente … L’intero Borgo di Udine rumoreggiò alla notizia, e corse a dar fuoco al Palazzo Della Torre … Solo l’intervento deciso di Antonio Gìustinian ViceLuogotenente del Friuli riuscì ad impedire il peggio … Qualche giorno dopo, ancora Niccolò Della Torre con quindici suoi a cavallo, ingiuriò un gruppo di contadini che secondo lui parteggiavano per i Savorgnan … e nottetempo, s'aggirò fieramente presentandosi armato di fronte al portone del Palazzo d'Antonio Savorgnan.”

E ancora: “Un Della Torre rientrato da Venezia venne assalito in piazza a Malazompicchia da una piccola folla di contadini vociferanti … La sera stessa a Udine, i suoi servi attaccarono briga virilmente con gli uomini dei Savorgnan, che, non paghi d'aver ammazzato Morgante un famèglio dei Della Torre, al grido di "al sacho, al sacho" accorsero in circa 200 fra mechanici, miseri et mendici, et giottoni portandosi di fronte al Palazzo Della Torre ... Dovettero intervenire di nuovo i soldati del Giustinian per costringere tutti a desistere.”

Il Senato Venezianosi scocciò finalmente di tutto quel “rissoso tramestio violento” fra Nobili, perciò convocò il Collegio a Venezia sia Savorgnanche Della Torre… I Savorgnan si presentarono gridando in viso ai Dalla Torre: “Traditori ! ... Rebelli !", e si dovette sciogliere l’assemblea … Il giorno dopo il Doge Leonardo Loredan li convocò di nuovo, e impose ad entrambi di "far subito la paxe et basarse insieme" ... Lo fecero entrambi … altrimenti il Doge era già là: “pronto a far la so parte” ... e sarebbero stati guai di sicuro per tutti e due.

Racconta il Diarista Marin Sanudo:“Nel 1515 il Consiglio dei Dieci condannò a morte do presonieri da quattro anni in carcere, che fono a l'amazar di Domino Alovisio Da la Torre ... In questo zorno in Piazza San Marco i due de Friul, per esser stà quando fo amazà il Dalla Torre, vengono decapitati, squartati e appesi alla forca tutta la notte et fin el dì sequente da sera."

Un altro Ecclesiastico Luigi Della Torre finì assassinato a Venezia nel 1549 con suo cognato Giambattista Colloredo. Autore del misfatto, tanto per cambiare: Tristano Savorgnan, che il Consiglio dei Dieci spedì al bando ... Girolamo Della Torre allora, dismise la tonaca da Ecclesiastico indossata a Roma, sposò Giulia Bembo, e poi con un Colloredo e una ventina di bravi andò ad aggredire per vendetta a Padova: Giovanni e Tristano Savorgnan ... A sua volta venne con sentenza del Consiglio dei Dieci relegato per un decennio a Candia.

Non pareva aver mai fine quel batti e ribatti fra Della Torre e Savorgnan.

Beh … Ci pensò la Serenissima a portare a termine tutta quella complicata e contorta quanto violentissima e aspra storia. Della Torre e Savorgnan furono indotti a presentarsi nel 1568 sotto agli occhi del Publico Notarius Vittorio de Maffei, con diversi testimoni e un ragguardevole numero di Nobili Lagunari: “per il conseguimento di santa pace, e invitati tutti ad uno ad uno ad abbracciarsi, rimossi tutti li odii e le passioni ... L’impegno fu celebrato in forma solenne, e rogato nella chiesa di San Giovanni Battista della Giudecca a Venezia.”


A Venezia nel 1432 intanto, dentro a tutto quel ribollente e sanguinolento contesto Nobiliare, una Franceschina Molin Della Torre moglie, anzi: vedova di Bortolomio Della Torre Zogelièr (gioielliere)Veneziano, mise a disposizione una casa nel Sestiere di Dorsoduro in Contrada di San Vio verso le Zattere, per farne un Ospissioper le Pinzòccare de Sant’Agnese.

Sopra alla porta d'ingresso in Fondamenta Bragadin, c’è ancora murata una lapide con l'indicazione: Pizzocchere di Sant’Agnese, e c’è anche un bassorilievo con lo Stemma in pietra d'Istria dei Nobili Della Torre con la scritta: MVLIERIBVS / PIAE LEGATA / ANNO MCCCCXXXII.

A dirla tutta, già fin dal 1383 esisteva in Contrada di Sant’Agnese un Romitorio di Pinzocchereche raccoglieva 12 donne pie laiche: non legate da voti. Franceschina MolinDella Torre fondò l’Ospizio: “affinchè ospitasse in sette stanze con cucina fino a 14 donne timorate di Dio: donzelle nubili o vedove senza figli.” Ci doveva essere anche un vano presso la corte interna al primo piano del Pizzoccheraio, adibito ad Oratorietto …. Un bel gesto di Madonna Della Torre per le donne anziane e indigenti della Contrada sulle Zattere.

Per testamento la stessa Franceschina nominò Commissari dell’Ospissio i Procuratori “pro tempore” della chiesa di Sant'Agnese, e lasciò in beneficio: cinquantadue campi nei dintorni di Trevignano,nonchè la sua quota di proprietà di uno Squero in Contrada di Sant'Agnese, e gli interessi che fruttavano da un piccolo capitale depositato in Zecca a nome dello stesso Ospizio delle Pinzòcare de Sant’Agnese.

Solo più tarde le donnette Pizòcare si raccolsero in comunità abbracciando le Regole del Terzo Ordine, e vennero quindi dette Terziarie: “Abitarono già in un piccolo Romitaggio ricordato dal Sabellico, contiguo alla chiesa di Sant’Agnese alcune buone donne chiamate Recluse, e con voce Veneziana Romite o pur Pizzocchere, dalle quali poscia ebbe origine l’esemplar Monastero di St Maria Maggiore.”

Eccolo là infatti … Nel 1497 Cattarina Pizocchera di Sant’Agnese chiese e ottenne dal Senato Venezianoil permesso di fondare un Monastero sul terreno appena bonificato degli Arzeri Novi di Sant’Andrea dove finiva Venezia. Lì sorse allora la chiesa e il Convento di Santa Maria Maggiore e San Vincenzo (oggi Penitenziario dopo lo scempio napoleonico). Tradizione di quella remota Contrada Veneziana diceva: che lì c’era ancora per strada un’icona della Vergine donata da un Frate Agostino dei Frari, che era ormai ritenuta  da tutti più che miracolosa: “Correva voce poi che un Eremita abitante in quel rimoto angolo della città, avesse veduto più fiate una matrona di grande bellezza passeggiare con un bambino fra le braccia sulla Laguna, e che tale prodigio fosse stato ammirato eziandio da alcuni buoni pescatori dei contorni … Aggiungevasi che il Beato Bernardino da Feltre aveva predetto doversi erigere in questa situazione un convento di Monache Francescane.”

Insomma: a inizio 1500 si mise in piedi Cjèsia e Convento de le Mùneghe de Santa Maria Mazòr in fondo al Sestier de Santa Croxe.

Tre anni dopo, si mise in mezzo anche il Nobile Alvise Malipiero, che offrendo munificenza di denari, permise che il modesto Oratorietto primitivo di tavole fosse trasformato in chiesa e Monastero a imitazione della Basilica di Santa Maria in Laterano di Roma… La chiesa sorta alla fine, tempestata ovunque in ogni angolo dallo stemma dei Malipero, in verità assomiglia pochetto alla grande Basilica Romana ... ma tanto bastava: le cose andarono così ... e nello stesso 1503 su ordine di Papa Alessandro VI le donne provenienti dal Pizzoccheraio di Sant’Agnese sulle Zattere si ridussero come Monache sotto il Serafico Istituto, e rimasero affidate ai Frati Minori fino al 1594, quando furono sottoposte alla giurisdizione dei Patriarchi di Venezia.

Non ci misero molto le Monache ex Pinzocchere a perdere il loro zelo e fervore iniziale, perché solo sette anni dopo: “le Monache di Santa Maria Maggior diedero al mondo, come tante altre, mille fatti scandalosi.” Ancora l’immancabile Diarista Marin Sanudo ricordava puntualmente nell’agosto 1510: “In questi giorni fo ritenuta per il Patriarca con li Avogadori Suor Maria Priola di Santa Maria Major con do altre Monache, le qual se impazavano con un Prete Francesco, stava a San Stae, bel compagnon, et etiam lui ritenuto, hanno confessato uterque quello facevano. Ergo sub specie sanctitatis multa mala fiunt; et fo tolte molte robe in caza di Pre Francesco che deta Suor Maria gel haveva donate, et fo vendute al incanto, e li denari dati alli Procuratori di la chiesa predicta. Of fo condannà P. Franco a X anni in prezon, e Suor Maria confinata in Cypro a pane et acqua, et questo per sententia dil Patriarca, et cussì fu mandada.”

Fine della bella favola delle Cenerentole del Pizzoccheraio delle Zattere trasformate in Principesse a Santa Maria Mazòr.

Dell’amministrazione dell’antico Romitaggio-Pizzoccheraio-Ospizio di Sant’Agnese rimangono ancora ricche tracce in numerose Unità archivistiche risalenti fino al 1823-1954. Ci sono:"Consuntivi, preventivi e bilanci del cessato gestore Balbi-Valier" e "Atti vari, affittanze, assicurazioni del Pio Loco-Pizzoccheraio di Sant’Agnese sulle Zattere."

Esiste ancora la casa che è stata Pizzoccheraio(ritoccata probabilmente nel 1700). Con le vicende rocambolesche Austro-Francesi d’inizio 1800 la proprietà e la gestione è passata di mano in mano finendo in ultimo in quelle della vicina Parrocchia dei Gesuati, che ha continuato a gestire gli ambienti dell’ex Pizzoccheraio, e forse li gestisce tuttora concedendo a piacimento l’uso dell’edificio.

Rimangono ancora in facciata anche le scritte e la lapide con lo stemma dei Della Torre a perenne memoria di quel lontano “gesto Veneziano di carità” di fine 1400.

 

 

Le più che sorprendenti Pàtere Veneziane

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#unacuriositàvenezianapervolta 319

Le più che sorprendenti Pàtere Veneziane

Lo immaginavo, ne ero certo … Mi sembrava impossibile che le Pàtere Veneziane fossero soltanto dei semplici manufatti decorativi immessi sui muri di Venezia, quasi voluttuarie piastrelle decorative da bagno o da cucina. Hanno, invece, uno splendido significato nascosto ... E’ stato bellissimo e interessantissimo scovarlo secondo me.

Non mi convincevano, infatti, le un po’ scontate, scarne e quasi banali definizioni che ho sempre letto sulle Pàtere: “Pietre erratiche … Bassorilievi di Vizi e Virtù”. Mi pareva pochetto: una spiegazione un po’ ridotta “Preteresca, da Sacrestia, da entourage devozionale Cattolico”. I contenuti delle Pàtere sono stati a lungo “letti” come rappresentazione dei Principi della Dottrina e del Simbolismo Cristiano dei primi secoli.  Si diceva che la frequente associazione sui muri delle Pàtere con Croci e Dexterae Domini Benedicenti rafforzasse e confermasse quel loro significato Cristiano-Cattolico ... Chissà perché si tralasciava di ricordare, ad esempio, che più che spesso le Pàtere mostravano anche Luna e Sole oltre che tutta una serie di Animali più o meno fantasiosi. 


Da più parti ho letto: “Le Pàtere sono oggetti Veneto-Bizantini zoomorfi, fittomorfi o antropomorfi di significato oscuro, o ispirate a Simbolismo Paleo-Cristiano e Mitologia Greca. Rappresentano: felidi, uccelli, pavoncelle o pennuti simbolici affrontati, in atto di bere da un vaso centrale o di beccare sommità di steli interposti a motivi vegetali … Aquile, Leoni o Grifi in atto di ghermire una Lepre o un Coniglio”; “Trampolieri o Uccelli, Pavoncelle, Colombe con colli attorcigliati, affrontate, Grifoni a controdorso o attorcigliati su Canidi, o in atto di darsi un mistico bacio … Sono: “La Colomba che simboleggia l’Innocenza, il candore spirituale, la Santità, l’Amore e molte altre umili virtù” … “L’Aquila, il Leone o un Felide sopra un Agnello o un Equino, o una Serpe con un Pesce nel becco, o un Leone che lotta con un Canide o un altro animale”:  il Coniglio sopra un Leporide è la Lussuria … Un Canide sopra a un Leporide rappresenta: “la Forza Divina che domina la Lussuria”.… L’Aquila ad ali spiegate che sovra un Cervide o un Leporide, è “l’Anima del Credente” o la “Superiorità della Virtù che perseguita il Vizio”….“Galli o Conigli affrontati”: sono i Galli della “Vigilanza e della Luce”… L’Elefante o un Grifone sopra un Elefante, sono: “I fantasiosi Grifoni affrontati con becchi congiunti con due opposti significati: “in senso buono: il Salvatore, Cristo nella sua doppia natura umana-divina); in quello contrario: “il Demonio e gli ipocriti” ... Draghi addossati, e Aquila su Quaglia o pennuto, Leone, Lupi o Leone su Bue o Pecora … due Leoni, tre, quattro con una sola testa” o un “Aquila solitaria o ad ali spiegate” un Centauro che suona flauto, delle Arpie: “Creature mostruose di donna con corpo d’uccello in groppa a cavalli: sono i Sette Peccati Capitali … I Trampolieri rappresentano: “la Pietà filiale e la Riconoscenza” … Il Basilisco “allude al Demonio e ai Peccati della vista”... La Civetta è: “l’Avarizia” … Il Serpente è: “lo Spirito del Male” … Il Leone o un Canide che azzannano un Cavallo o un Bovide, o un Palmipede con pesce nel becco indicano: “la Forza Divina che domina e vince”… Il Pavone è simbolo mistico della “Fede, di Morte, Risurrezione e Vita Eterna” … con coda a ruota sopra a un globo indica: “il Creato”, mentre Oche a becchi congiunti e colli attorcigliati significano: “la Concordia” ... Pavoni affrontati che si abbeverano a Fontana, sono: “le Anime che si dissetano in Cristo Fontana della Vita, il Battesimo e l’Eucarestia.” … Un Uomo azzannato da un Leone rappresenta: “L’Umanità assalita dal Male e dal Peccato”... Una donna a cavallo che lotta contro un Leone; un uomo in groppa a un Leone che suona flauto; un uomo che lotta contro un Leone, sono: “la lotta fra il Bene e il Male” … Uccelli, Canidi o Gallinacei addorsati o affrontati su fogliami, o che mangiano Uva: sono la Pace e Prosperità, o se sopra un Calice o Vaso, o addorsati a un Albero, sono: “l’Albero della Vita” ... o Anime ammesse al Banchetto Eucaristico …”

Non mi convincevano molto queste spiegazioni: sapevano da forzatura … Ma che Albero della Vita ? mi dicevo perplesso ...Le Pàtere credo debbano significare qualcos’altro.

Leggevo ancora: “Le Pàtere sono a motivi zoomorfici spesso lavorati a fiori, con viticci intrecciati e grappoli d’uva, fioroni a forma di Loto, pigne e ramaglie: motivi fitomorfici”… Ramaglie decorative ? … Anche no.



Anche l’opposto entourage culturale laico non ha mai dato chiare spiegazioni sulle Pàtere, si accontentava solo di descriverle: “Raffigurazione di Miti e Simboli Antichi … Lupo che azzanna l’Agnello … Felide che sovrasta Canide … Trampolieri o Pavoni attorcigliati o affrontati e Vegetale … Pavone che beve alla Fontana della Vita …” e tutto il discorso si fermava là.

Nessuna spiegazione plausibile di quei singolari manufatti sparsi ovunque in giro per Venezia: “Le Pàtere Veneziane sono eleganti decorazioni artistiche di completamento e supporto come gli archi, le mensole e i barbacani … Sono formelle, dettagli architettonici di tipologia molto variegata tipiche di Venezia … Solitamente rappresentano complesse figure di animali, o Vegetali-Naturali, simboli d’Arti e Mestieri, Insegne di Botteghe e persone ... Sono rappresentazioni zoomorfiche con funzione apotropaica, superstiziosa e scaramantica, che nella mente dei Veneziani servivano a tenere lontani Demoni e Spiriti Maligni.”

Secondo altri: “Le Pàtere sono rimasugli Romani o tondi scultorei di fattura Romanica o di Scuola Veneto-Bizantina: lapidi funebri, insegne di rivendite di generi d’uso comune quotidiano come il pane, il pesce e la carne … Al pari delle Formelle sono decorazioni di forma diversa e di contenuto analogo risalenti per la maggior parte al periodo fra il 900 e la fine del 1400 ... Sono sculture erratiche che ricoprono la Città Lagunare un po’ ovunque con mera funzione decorativa. Sono “erratiche” per il loro vagare di tempo in tempo di facciata in facciata, e da edificio a edificio, oggetti che nel 1800-1900 hanno assunto un valore vintage con numerose imitazioni.”

 


“Le Pàtere Veneziane sono un numero straordinario di scudetti rotondi o poligonali con figure allegoriche infissi sui muri di chiese e palazzi.Nel suo più semplice e immediato significato la parola Pàtera significa: “disco” per lo più di creta, in forma rotonda … Rappresentano la prima immagine della Terra ... Sorprende vederci incise figure strane di animali, accoppiamenti bizzarri di oscuro significato. Il loro significato probabilmente corrisponde a una Summa Teologica, o appartiene a una Conoscenza Superiore, una Gnosi di Scienze Segrete delle cose … Le ruote sovrapposte rappresentano probabilmente il Mondo Sensibile e Soprasensibile, armonizzato nella figura dell’Arcangelo Michele: mediatore di Luce e del Cristo stesso … Oppure riportano elementi delle Visioni Profetiche, rappresentano i “Quattro Elementi”: il Toro emblema della Terra, il Leone del Fuoco, l’Aquila dell’Aria, il Cherubino dell’Uomo o dell’Acqua ... I Quattro Evangelisti … Oppure l’Intelligenza, l’Amore, la Luce, la Saggezza e il Progresso...”

“Le Pàtere Veneziane rappresentano plasticamente Mostri, Animali ed Eroi fantasiosi fra fogliami, che lottano tra loro simboleggiando il conflitto interiore dello Spirito Umano, la Concordia della Famiglia, o il Catalogo tradizionale dei Vizi e delle Virtù … La Lepre, ad esempio, rappresenta il Vizio Capitale della Lussuria, della Sensualità e della Concupiscenza.”

Sentivo queste spiegazioni sbagliate, o perlomeno incomplete e inesatto ... Talvolta rasenti al banale in qualche occasione.

 


Qualcuno ha provato a contare e classificare i bassorilievi delle Pàtere Veneziane: sono più di 2.000 ... Sono quasi sempre manufatti in Pietra d’Istria o Marmo Greco di forma circolare di dimensione variabile tra 20 e 80 cm di diametro, e fino a 10 cm di spessore … Talvolta sono dentellate o racchiuse in cerchi, o sono “a formella”rettangolare o profilata ad arco. Si trovano spesso concentrate su case e palazzi come se fossero un vero e proprio “catalogo, un campionario, un’antologia di qualcosa” ... Per i Greci la parola “Pàtera” si riferiva di solito a un oggetto-coppa-tazza rituale, una specie di calice da brindisi augurale ... Non potevano avere quindi solo un significato meramente decorativo e ornamentale, o da souvenir devozionale e da Favoletta Catechetica.

E finalmente l’hanno scoperto !

Le Pàtere sono state, anzi sono ancora: delle Mappe Astronomiche e Stellari ... degli Atlanti di significati Cosmici, rappresentazioni di congiunture Astronomiche rilevabili annualmente in Cielo. Mostrano quasi graficamente: raggruppamenti di Stelle e Costellazioni: che appaiono e scompaiono, salgono e scendono e si sovrappongono nel Cielo Sidereonotturno Veneziano e non.

Per intendere: sono oggetti associabili a una Bussola, ai Portolani, alla Rosa dei Venti, a una Meridiana o un Astrolabio. Sono come delle “pagine di un Atlante da leggere e interpretare”, la sintesi di una competenza e di un “sapere viaggiatorio” tipico di categorie soprattutto Mercantili e Marinare ... Sono ancora: delle sintesi Calendariali e Astronomiche, dei richiami all’Orologio Cosmico Stagionale assimilabili allo scandire dei Mesi dell’Anno, segni che richiamano l’orientamento cercato durante la Navigazione o nei Viaggi via Terra-Deserto.

Avete letto giusto … Le Pàtere sono dei Scenari Astronomici, delle sintetiche planimetrie delle Costellazioni del Cielo… molto precise per di più. Delle vere e proprie rappresentazioni molto dettagliate di quanto soprattutto: Marinai, Mercanti, Esploratori e Viaggiatori Veneziani sapevano “leggere e riconoscere in Cielo”. Erano come dei Portolani Celesti: dei “quadri stagionali” a cui far riferimento, che indicavano dei periodi annuali ben precisi: quelli probabilmente più utili e favorevoli al muoversi, navigare e commerciare ... Oppure indicavano luoghi e persone esperti e competenti in quel genere di tematiche e argomenti.

Un Aquila che azzanna un Lèpore, ad esempio: rimanda alle due omonime Costellazioni che si possono riconoscere ravvicinate in alto osservando il Cielo Stellato. Quelli che si notano incisi su certi Animali raffigurati nelle Pàtere: non sono semplici buchetti fatti sulla pietra per evidenziare la pelle o le ali, o richiamare le fattezze del muso di certi Animali. Corrispondono, invece, a precise Stelle del Cielo ... Su alcune Pàtere viene rappresentata anche l’Ecclittica “spartiacque” Celeste mostrandola come un “vegetale verticale che attraversa tutto il bassorilievo dall’alto in basso”. Non si tratta quindi di una vezzosa piantina che adorna e completa la Pàtera, ma della preziosa “Linea”immaginaria di riferimento collocata e riconoscibile in Cielo ... Le Pàtere non si riferiscono quindi al Biblico “Albero della Vita”, ma bensì hanno un significato dal sapore specificamente Astronomico e Orientativoper chi le osservava.

Curiosissimo ! Chi l’avrebbe mai detto ?


Le Pàtere si trovano collocate-assemblate in parete un po’ ovunque in giro per Venezia, ma si trovano anche nelle Isole: a Murano, Torcello, Burano ...  E’ curioso notare che sono spesso raggruppate su facciate di Palazzi-Fondaci di Nobili Mercanti, o su case di Navigatori, Esploratori e MarinaiVeneziani… Sulla facciata di Palazzo Da Mula a Murano si riconoscono insolite Pàtere e Formelle che mostrano navi da carico a vele spiegate, Marinai che governano la nave fra onde e Sirene … e poi cacciatori armati col cane che cacciano Lontre … e Castelli, Uccelli, Grifoni, Aquile, Felini e Pavoni affrontati, attorcigliati e sovrastanti altri Animali, e beccanti Vegetali sovrastando Globi ... Un vero e proprio campionario Marittimo e Celeste-Terrestre.

A Venezia, nel tripudio delle splendide facciate e delle Corti interne delle varie Cà o Palazzi Sestierali e di Contrada, ricchi di balconi a bifore, trifore, quadrifore, pentafore, esafore ed ottafore si possono notare insieme a Croci, fregi, stemmi e rilievi d’ogni genere, numerosissime Pàtere immesse nei muri.

Nel Sestiere di Santa Croxe, oltre “all’antologia” di Pàtere di Casa Torres in Fondamenta del Gaffaro, alle Pàtere di Rio de la Caziola non lontano dai Tolentini, a Casa Bortoluzzi in Rio Marin poco distante da Palazzo Cappello, a Palazzo Zane in Campo Santa Maria Mater Domini; a Palazzo Talenti delle Oche a San Giacomo dell’Orio, c’è forse la raccolta più eclatante di Pàtere Veneziane: quelleinfisse in facciata e sulle torricelle del Fontego dei Turchi in quella che è stata la Contrada di San Stàe-Sant’Isaia(oggi ospita il Museo di Scienze Naturali). Si possono osservare là raccolte più di 60 Pàtere e Formelle provenienti da San Francesco della Vigna, da Meolo, da Palazzo Donà di San Stin, e da diversi altri Palazzi e luoghi Veneziani.Il Fontego dei Turchiè un vero e proprio Catalogo di Pàtere.



Nel Sestier di Cannaregio, invece: si trovano Pàtere in facciata sulla Casa similgotica Gatti-Cavazza di San Marcuola: la casetta rossa affacciata sul Canal Grande accanto all’imbarcadero … Ci sono Pàtere poi sulla Casa Basso al Ponte de le Guglie, in Lista di Spagna, in Rio di San Girolamo, sul Palazzo del 1500 in Rio e Sottoportego de Cà Widmanna San Canziàn, nella corte interna di Palazzo Van Axel ai Miracoli, sulla facciata di Palazzo Falier sul Rio dei Santi Apostoli, e alla Ca’ D’Oro: la “Casa dorata o Cà dei Doro” antica famiglia patrizia forse ? … un Marco Doro della Contrada di San Salvadòr portò da Costantinopoli il corpo di San Teodoro sotto il Doge Renier Zeno … Ancora Pàtere e Formelle si trovano sulle Case dei Polo in Corte Seconda del Milion a San Giovanni Crisostomo. I Polo si spiegano da se ... Gli archi dei portici esterni della Cà dei Polo sono decorati a spire, cerchi, rosette, ramaglie, animali simbolici, croci e numerose Pàtere … Ci sono Pàtere in facciata, e materiali che si dicono provenienti da Altino e Aquileia in facciata diCà Da Mosto o Palazzo del Leon Bianco a Santa Sofia sul Canal Grande. I Nobili Da Mosto oltre ad essere Senatori e valenti soldati, furono anche celebri viaggiatori e Mercanti, esploratori delle Coste Africane,delle Isole di Porto SantoMadera e Canarie, di Capo Bianco e del Senegal. Sonogiunti alle foci del Gambia, alle Isole di Capo Verdenel 1456, al fiume Casamansa, Capo Rosso, e Rio Grande.  I Da Mosto erano compagni e “colleghi” dei Polo, degli Zeno e dei Caboto: tutta gente che viaggiava alla grande, autori di Diari di viaggio e Portolani.



Nel Sestiere di San Polo si riconoscono Pàtere e Croci sulla Casa-Fondaco-Palazzo dei Donà de la Madoneta e dei Donà dalle Trezze a Sant’Aponal ... Anche la Famiglia Tamossi, Casato Mercantile, aveva Fondaco-Cà al Ponte Storto di San Polo contrassegnato da numerose Pàtere e busti d’Imperatori … Su Palazzo Barzizza di San Silvestro affacciato sul Canal Grande ci sono altri bassorilievi-Pàtere … A Palazzo Bosso o Bosco di San Tomàse ne possono notare altre insieme a un monogramma di Cristo del 1400. E poi ancora: aRialto su Palazzo Dandolo in Riva del Carbon, e in Calle della Passion, o in Calle degli Albanesi ai Frari …. Su Cà Soranzo di Campo San Polo.

Nel centralissimo Sestiere di San Marco si può ammirare un vero e proprio profluvio di Pàtere e Formelle tutto attorno alla Basilica di San Marco… Ce ne sono poi a Casa Nardi in Corte de l’Albero, in Fondamenta Narisi, e a Palazzo Magno in Campiello de la Chiesa a San Luca… Da osservare la facciata dellOsteria-Locanda del Salvàdego in Bocca di Piazza a San Marco… e la Fondamenta di Sant’Apollonia sul Rio di Canonica, la Riva degli Schiavoni, e il Rio e dintorni della Pietà.



A Dorsoduro oltre Canal Grande, ci sono Pàtere sulla facciata della Palazzina Stern a Cà Rezzonico: sull’area un tempo occupata da Palazzo Malpaga andato bruciato … Altre Pàtere con Croce si possono vedere sul Campanile di San Sebastiano, e su Casa Brass in Fondamenta SangianToffetti a San Trovaso ... Superbo e bellissimo è l’ensamble delle Pàtere del Protiro del 1300 dei Carminisul fianco della chiesa verso la Schola Grande e Campo Santa Margherita … e poi ancora: a Cà Foscari, San Nicolò dei Mendicoli, in Calle de la Donzella, e sulle Zattere, a San Gregorio e agli Incurabili.


A Castello dalla parte opposta di Venezia, ci sono Pàtere in Fondamenta de la Tana, su Palazzo Gritti-Badoer affacciato sul Campo de la Bràgora, sulla Palazzina Kress in Campo San Zaccaria, sul Palazzetto Bruni sul Rio de la Pietà… Da non dimenticare: la lunetta del Portale di Palazzo Contarini dalla Porta di Ferro in Salizada Santa Giustina, Palazzo Vitturi in Campo Santa Maria Formosa, e Campo San Daniel, Campo San Lio, San Giovanni in Lateràn, la Barbaria delle Tole ai Santi Giovanni e Paolo.

Diverse Pàtere che individuiamo oggi sono molto consumate, dilavate, quasi cancellate a volte … Molte sono state rubate o sono scomparse. Sono un vero e proprio esempio di una “Venezia che quasi non c’è più”, che va smarrendo nel Tempo tanti suoi preziosi arcani e storici significati.



E’ importante distinguere le Pàtere da altri tipi di Formelle, che sono, invece: Stemmi-Scudi Araldico-Nobiliari, Simboli di Magistrature Cittadine collocati su Ponti, Luoghi e Botteghe, o Insegne-Simboli delle proprietà delle Schole Grandi cittadine, o delle realtà Monasticheo Hospitaliere Veneziane che marcavano le Calli, i Pozzi, le rughe di Case e i Palazzi di loro pertinenza e proprietà ... Una “S.R.” dentro a un tondo, ad esempio, corrispondeva a una proprietà della Schola Granda di San Rocco; una “M” o un “Bòvolo co a Croxe” erano “Segnali” delle Schole Grandi della Misericordia o della Carità; un Leone indicava la Schola Granda di San Marco; il Trigramma Eucaristico: “IHS” indicava appartenenza alle Schole del Santissimo; un “San Lorenzo con la Graticola” marchiava le proprietà del Monastero delle Monache Benedettine di San Lorenzo di Castello; una “Croxe Gemmata sotto a una mano” era il “logo” della Schola dei Mercanti; i vistosi San Giorgio MegaloMartire col Drago messi in parete su certe case, segnavano le pertinente dei ricchi e potenti Monaci Benedettini di San Giorgio Maggiore, o dei Greci di San Zaccaria-San Severo ... Non sono da considerare Pàtere neanche le numerosissime immagini presenti ovunque, rappresentanti Santi e Madonne ... Le Pàtere sono un genere a se stante del tutto originale ... unico ... da non confondere neanche con le immagini della “Dextera Domini” (quel dito benedicente rivolto al Cielo, che simboleggiava la Priorità di Dio, o forse l’intenzione di dare in uso quel locale “per Carità-Amore Dei”). Venezia poi era tempestata e marchiata ovunque con Leoni Marciani grandi e piccoli, per la maggior parte scalpellati via brutalmente da francesi e austriaci a inizio 1800 ... Erano i simboli della “Serenissima col suo Leòn”.



Di sicuro le Pàtere rappresentavano e richiamavano in parte anche agli Antichi Miti, e i Culti Misterico-Paganiche il Cristianesimo ha voluto capillarmente cancellare per secoli etichettando il tutto di “fama Malefico-Demoniaca-Peccaminosa”.

Le Pàtere, invece, mostrano e riassumono meticolosamente nei dettagli le Costellazioni del Leone, di Pegaso, Andromeda, dei Pesci, Cane Maggiore e Minore, dei Gemelli, l’Aquila e tutte le altre ... Sono sintetici Cataloghi Stellari dipinti e scolpiti.

Un Leone che sormonta e azzanna un Cane, ad esempio, rappresenta la congiunzione, il sovrapporsi e il susseguirsi in Cielo di quelle due specifiche Costellazioni … Pavoni e Uccelli che bevono alla Fontana, o che mordono “racemi vegetali”: sono rappresentazioni di precise Costellazioni in Cielo. Le Pàtere quindi non erano e non sono solo “materiale erratico decorativo”, ma significavano e richiamavano piuttosto molte conoscenze orientative usuali dei Veneziani Marinai, Navigatori e Mercanti, che noi di oggi, nonostante i Social, le tecnologie e tutto il nostro enciclopedismo “da Google” abbiamo quasi del tutto perduto.

Solo per citare qualche specifico esempio a caso … L’Aquilache piomba sulla preda sugli Arconi di San Marco, o in Rio della Canonica, sul Protiro dei Carmini, in facciata di Cà da Mosto sul Canal Grande, o in Corte Seconda del Milion a San Giovanni Crisostomo, o in diversi altri posti: richiama la Stella Vega.

La stranissima figura di Donna a forma quasi di Sirenao piuttosto da Foca, che tiene in braccio un Pescesulla Pàtera in Calle de le Strazze: è Andromeda, la Principessa d'Etiopia condannata ad essere divorata dal Mostro Marino: Cetus, il Piscis Boreus del Nord, incatenata a uno scoglio in riva al mare. La Donna-Andromeda dall’unico seno tondo scoperto: cioè la grande stella splendente che la caratterizza, è prossima nel Cielo ai Pesci Boreali Zodiacali ... Tra Andromeda e Cetus in Cielo si osservano i Pesci Zodiacalilegati insieme da “una corda”: cioè dalla linea dell'Eclittica tra Ariete e Acquario... I Pesci ruotano attorno ad Andromeda sull'Equatore Celeste: le stanno sul fianco, in cintura, e sul braccio ... Andromeda sta tra i Pescie l’Arpa di Perseo“il suo soccorritore”, che però deve ancora apparire in quel quadrante del Cielo. 



In Fondamenta di Sant’Ana a Castello e in Seco Marina, non lontano quindi dall’Arsenale Venezianodove ci si equipaggiava, si costruiva navi, e si partiva per affrontare le insidie del misterioso e pericoloso Mare: il Grifone delle Pàtere attacca un Cavallo… in un’altra Pàtera: due Grifoni si baciano controschiena divisi da un Alberoverticale. Quello dei due Grifoni è un altro tema ricorrente su portali, pavimenti, chiese, palazzi, libri e mappe stellari, che ancora una volta evoca uno spicchio ben preciso del Cielo: la Mappa delle Costellazioni dell'Acquario e dell'Ariete, che richiamano il passaggio dall'inverno alla primavera. Uno dei due Grifoni corrisponde alla Costellazione di Pegaso, e accanto a lui c’è un altro quadrupede volante: Equuleus, il Cavallino o Equus Prior, il Cavallo che precede e sorge in Cielo alcuni minuti prima di Pegaso … Tra i due Cavalli alati compare il Cerchio Equinoziale cioè l'Equatore Celeste, il metaforico "Albero" che trascina nella sua crescita da Est a Ovest, il Sole e le Stelle che sbocciano lungo i suoi rami invisibili. 



La linea nelle Pàtere in forma d’Albero tra i due Grifoni indica di sotto la rotta verso Est, e di sopra la rotta dell’Ovest.  I due Grifoni insomma: richiamano un movimento, un'azione temporale da compiere …. Equuleus Cavallo Minore appare per primo in Cielo seguito poi da Pegasus o Equus Alter che lo tocca, cioè lo bacia. Il punto di contatto fra le due Costellazioni è la Stella Enif: “il Naso”in Arabo, cioè: Epsilon Pegasi, la stella più luminosa della Costellazione di Pegaso… Più sotto  i Marinai  e i Viaggiatori Veneziani sapevano che appariva e si poteva riconoscere: Algenib, cioè: “Al Janah-l'Ala o il fianco di Pegaso”, e Markab: "la sella", e più sotto ancora: “la testa di Andromeda, cioè la Stella: Alpheraz: l'Ombelico del Cavallo”.  Sulla radice dell'albero-corda centrale, si riconosceva poi la stella Al Risha, che era considerata la Stella dell'Equinozio di Primavera: cioè del tempo buono, la congiunzione astrale adatta per partire. Gli Arabi la denominavano: “la corda del pozzo”, perché l’intendevano come un nodo, una puleggia, una carrucola che alzava il movimento della Costellazione dei Pesci su nel Cielo.

Bellissimi gli Arabi e il Mondo Astronomico Orientale ! Immaginare una carrucola nascosta in Cielo, che tira su altre Costellazionicome il secchio dell’acqua da un misterioso pozzo scuro sotto alle Costellazioni del Leone e di Pegaso ed Equus, non è cosa da poco.

Ci vuole una stupenda immaginazione ! … e grande acume nell’osservare.

Le bestie delle Pàtere quindi non si mordono, e non sono animali, ma Stelle-Costellazioni che “si toccano”, cioè: s’incrociano e susseguono in Cielo ... Sulle Pàtere non c’è rappresentata alcuna lotta fra Vizi e Virtù a suon di morsi, ma solo gli atavici movimenti Stellari dell’immenso Fenomeno Celeste.



Le Pàtera messe in muro a Castello realizzate nel 1100-1200 rappresentano quindi le Costellazioni di Pegaso ed Equus: cioè una rotta commerciale ben precisa da Est a Ovest, parallela al Circolo EquinozialeCeleste... Se non è una mappa questa ? … Gli orizzonti dei processi stellari del Cielo che li procedono, guardano, e scorrono verso Ovest provenendo da Est: rispecchiano altri itinerari da seguire via Mare e Via Terra: di sotto sul Pianeta ... E’ tutto un procedere e susseguirsi quello indicato dalle Pàtere: richiama lo scorrere della Storia anche a Venezia: come succede fra Notte e Giorno, e col Sole e laLuna, e il Tempo scandito dal CalendarioCivico e Religioso…. Certe congiunture-schemi Celesti, erano quindi vere e proprie mappe da consultare, proficue per partire e andare, viaggiare, esplorare e commerciare.

Sono impressionanti certe rappresentazioni particolareggiate delle Pàtere, sono talmente coincidenti e precise nel descrivere le “situazioni Celesti” da far invidia alle moderne mappe astronomiche moderne.

Pensate ! Le apparenti banali fronde vegetali messe accanto agli animali delle Pàtere: rappresentano “in piccolo” le Costellazioni di Pegaso e di Equus confinanti. Non sono vezzi floreali, germogli e racemi di complemento estetico-decorativo, ma il disegno-mappa sintetico delle Costellazioni che confinano con: “Andromeda a braccia aperte ad abbracciare i Pesci, e con la stella Alpheraz rappresentata dal seno scoperto della figura”, col Pesce del Nord, col Cygno, l’Aquilae il Delfino ... Le immagini delle Pàtere richiamano quindi precise “direttive” da seguire nel Cielo, quasi delle ideali Strade, dei “movimenti”da compiere guidati dalle Stelle, che “si muovono e sviluppano” a loro volta, cioè: salgono-appaiono, crescono o decrescono, e scompaiono come fanno ogni giorno in alto il Sole e la Luna.

Nessuna lotta quindi fra Vizi e Virtù in Cielo, ma: scenario Astronomico, precisa direzione-itinerario-percorso dettagliatissimo indicato dalle Stelle ... Altro che semplici Pescatori, Marinaretti, Mercanti e Naviganti i Veneziani di ieri !

Altro che piastrelle da bagno, figurette, o rappresentazioni di superstizioni demoniache o pagane !

Le Pàtere riproducendo quanto i Veneziani vedevano osservando il Cielo, suggerivano la direzione utile da sapere per navigare e viaggiare. Erano come un “Manuale Astronomico e Stradale”inciso nella pietra: un Google Maps antelitteram, un Tom-Tom frutto di conoscenze culturali e di pratica orientativa che noi di oggi abbiamo quasi del tutto perso, e neanche riusciamo a immaginare:“Le patere veneziane hanno un indubbio contenuto astronomico, sono una sorta di mappe del cielo arcaiche, non volgari ma pratiche, attendibili, espressione dell’esperienza cronica di un popolo di marinai e viaggiatori capaci di spingersi e avventurarsi fino agli estremi confini del Mondo di allora: Marco Polo è il più famoso di una lista di Veneziani molto più lunga ...”

Non è incredibile ?

Potremmo continuare a lungo: l'Aquilache piomba sulla preda può essere ancora la Stella Altairdella Costellazione dell’Aquila che vola e piomba, e sussegue a Vega: la stella più luminosa della Costellazione della Lyra.

Stessa spiegazione per i Canidi e gli Uccelli, il Lupo e l’Agnello: tutte configurazioni Stellari che si susseguono … Suggestioni sintesi importate a Venezia dal Mondo Arabo-Orientale che i Veneziani frequentavano assiduamente.

In queste contesto serve precisare che nel Mondo Arabo-Islamico Orientale, per via delle limitazioni e delle proibizioni dettate dall’Islam, non si poteva rappresentare la figura umana, e tantomeno quella Divina. Per cui si sono cambiate anche in Cielo le raffigurazioni antropomorfiche delle Costellazioni sconvolgendo quello che era l’Atlante Classicodella lettura del Cielo eseguita nel Bacino Europeo-Mediterraneo-Cristiano  La Virgo: fanciulla dell’omonima Costellazione venne trasformata in Covone di grano, l’Auriga sostituito con un mulo. E’ sparito anche Bootes “il Pastore” idealizzato nel Cielo Occidentale con la falce alzata a chiamare il tempo della mietitura, i Pavoni presero il posto della figura dei Gemelli, e una Rosa sostituì la “Gallinella delle Pleiadi” ... Ecco spiegato quindi come mai buona parte delle Pàtere Veneziani rappresentano le Costellazioni come Animali che si sovrastano e surclassano.

Il Mondo delle Pàtere Veneziane in conclusione, va compreso e collocato dentro a un “sentire e una consapevolezza” più ampia vissuta dai Veneziani di un tempo. Le Pàtere erano frutto di un intenso scambio culturale vissuto dai Veneziani che viaggiavano e incontravano Culture Asiatiche, Africane e Orientali molto diverse da quella Europeo-Cristiana. I Veneziani divennero allora depositari di diversi contenuti originalissimi, a volte eterodossi, che riversarono in Laguna traducendoli plasticamente anche in maniera visibile nelle Pàtere immesse in muro nei luoghi dove accadeva il Lavoro, la Riflessione, e l’organizzazione degli scambi commerciali e culturali.

In tutto questo Venezia è stata per davvero “Apertissimo Porto di Mare”, capace di far propri “sentimenti” diversi appartenenti ad altre sensibilità culturali molto interessanti, ricche spesso di profondità e originalità di pensiero inimmaginabili e di elevatissimo spessore.

I Mercanti e Viaggiatori, Marinai Veneziani portarono a Venezia tante cose: non solo le Stelle… Si sentiva che avevano viaggiato, incontrato e conosciuto prospettive filosofiche, esistenziali ed economiche “diverse” dal solito creduto, accertato e nomalmente imposto dal Religionismo esclusivo Occidentale Cattolico.

Bella come esempio, l’immagine della Gru che Marinai, Mercanti e Viaggiatori Veneziani vedevano volare viaggiando e navigando oltre l’Oceano Indiano fino a India, Thailandia e Cina.  Il grido delle Gru che migravano sul Bosforo era un segnale stagionale che indicava l’arrivo dell’autunno e della brutta stagione sfavorevole alla navigazione e ai viaggi. Il passaggio delle Gru marcava quindi il Tempo in cui bisognava tornare e rientrare a Venezia in Laguna ... Non a caso in Cielo si notava la Costellazione della Gru, e sulle Pàtere Veneziane c’è una Gru che becca la coda di un Pesce: il Piscis Austrinus o Notius che faceva parte del gruppo delle Costellazioni del Tropico del Capricorno ricche degli Asterismi “degli Uccelli Meridionali”: Gru, Pavone, Fenice e Colomba di Noè, dove si identificava la grande Nave Cosmica naufragata in Cielo ... Gira e volta si era sempre là con la riflessione: Terra e Mare erano sempre “specchio” di quanto accade nel Misterioso e Imperscrutabile Cielo in alto.



E ancora un ultimo richiamo, e poi concludo ... Un altro dettaglio apparentemente banale presente molto spesso nelle Pàtere Veneziane. Gli Animali, i Dragoni, i Serpenti che si vedono rappresentati sulle Pàtere sono spesso intrecciati, avvinghiati e contorti fra loro, come abbracciati all’inverosimile, strettamente: che di più non si può … Anche in questo caso non mancano le reminiscenze da temi d’ispirazione Orientale. In Asia si è sempre raccontano e celebrato il Mito dell’Incrocio dei Cosmi primordiali, e della Creazione che si rinnova di continuo strettamente legata a Nodi annuali dettati dal Cielo, e dal continuo annodarsi interdipendente di Sole e Luna, nonchè dall’ascendere e discendere degli Astri e delle Costellazioni dello Zodiaco.

Si credeva che in Cielo si annodava strettamente e in maniera indissolubile il Destino dei Cosmi e di ogni Umanità possibile … Inizio e Fine, s’incrociano e congiungono saldamente a tortiglione come Teste e Code, in cerchi infiniti senza Tempo, anzi: seguendo la Ruota del Tempo sempre uguale e sempre nuova, che come un Vecchio senza età non finiva mai di girare, rinascere e risorgere da se stesso.

Ancora nella giungla bellissima delle raffigurazioni Astrali si può vedere anche l’Ofiuco che calpesta lo Scorpione sul finire dell’inverno, quando il Sole si risveglia e libera dalle chele e catene nere mortali che lo imprigionano. Risalirà allora in Cielo accendendo ogni anno la rinascita e la ripartenza primaverile ... anche quella dei Convogli di Galee delle Mude Commerciali di Mercato Veneziane.



Quell’eterno accadimento assomiglia anche a un Serpente sinuoso e avvolgente: simbolo del Male e del Caosprimordiale della tradizione giudaico-cristiana, ma anche metafora in Oriente dei Moti Celesti, della Complessità delle cose, e dell’alternarsi creativo e imprevedibile delle Stagioni. Il Serpente del Mitoè quasi il prolungamento del Celeste Ofiuco o Serpentario delle Costellazioni Celeste “a cui si agganciano dalla curva eclittica, che li forza a ruotare insieme a tutto lo Zodiaco lungo il percorso del Sole” ... Nei Miti della Creazione della Tradizione Vedica, Shiva creava il Mondo cagliando per mezzo di un Serpente la sostanza fluida del Mare Primordiale del Cosmo. In ambito Cinese, invece, FuXi e Nüwa, fratello e sorella, erano Gemelli sopravvissuti al Grande Diluvio, e ripopolavano l’intero Pianeta … Erano rappresentati abbracciati e circondati da Stelle, mentre ridisegnavano la Terra, e i loro corpi terminavano a coda di Serpente intrecciata e spiraleggiante ... come lo erano le immagini di diverse Pàtere Veneziane piene di continui e stretti intrecci spiraliformi, a ricordo degli abbracci Stellari e Cosmici in Alto: oltre l’Umanità e la Storia… Le Pàtere in definitiva erano una specie di Inno alla sequenza ciclica del Tempo e delle Stagioni, un’Enciclopedia delle fasi Celesti che le scandivano propiziando sulla “Terra di sotto”: il Lavoro, la Navigazione e il Commercio, ma anche le aspirazioni dell’Animo Umano ... Oggetti stupendi quindi le Pàtere, davvero curiosi, tutti da riscoprire … e si trovano proprio qui da noi: a Venezia.

Qualcuno potrà forse rimanere un po’ incerto di fronte alle cose che ho detto … Capisco ... Quello del significato delle Pàtere è comunque una tematica che si sta ancora studiando e approfondendo. Non mancherà di sicuro di regalarci ulteriori sviluppi capaci d’incuriosire e sorprendere ulteriormente gli appassionati di “Venezianità”

 Ben venga !



Venèssia da Mar …

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#unacuriositàvenezianapervolta320

Venèssia da Mar …

Seguitemi un attimo, e capirete subito dove voglio arrivare … A volte, quand’era presa da quella parte di se stessa rovesciata e imbrogliata, neanche apriva gli occhi, li strizzava chiusi quasi ferita dalla luce. Non pronunciava neanche una parola: pareva come evasa da questo mondo, rapita in un altro che era soltanto suo. Altre volte, invece, quando ne usciva: era una donna anziana amabile, affabile, anche simpatica. Come forse avete già intuito, si trattava di una degente dell’ospedale dove lavoro come Infermiere. In un momento “buono”, come spesso capita con gli Infermieri, avevamo scambiato un paio di parole conoscendoci un pizzico di più: “Da dove sei ?” mi ha chiesto tranquilla.

“Sono Veneziano.”

“Veneziàn ? … Ah ! … Ma Venessiàn  proprio de Venèssia: quèa in mezzo all’acqua … O Venessiàn da Campagna come mi ?”

“So da Venèssia: si … quèa co l’acqua.”

“Venesiàn … Càga in acqua !”…Che fortuna che ti ghà a star là … Mi so Campagnòla invèsse … Dalla profonda Campagna Veneta: stàgo in mezzo ai campi: so un’agricola, col capèo de pàgia in testa, el forcòn, e la bràga con le pèsse sul culo … “Làtte fin a le culàtte … Ossocòlo fin al còlo … Puìna: pochettina …ma de formaggio: me ne tàggio”.

Mi ha sorpreso !“Che bella ! … Bella davvero !”… simpaticissima ... una donna cordiale, espansiva, quasi solare.

Poi sono trascorsi i giorni … Una mattina in cui era, invece, out del tutto dopo una notte difficile, non rispondeva di nuovo a nessuno in preda ai suoi fantasmi ... Niente di niente: non mangiava, non beveva, non parlava, non reagiva, non si alzava, non si lavava … Nulla.  Non assumeva neanche la terapia … Un guaio quindi ... e fatalità: era affar mio quel mattino somministrarle la terapia: “Che faccio ?”

La colazione era ormai quasi fredda lasciata là sul tavolo … Ho provato una, due, tre volte: niente … un muro d’assenza … Poi mi è venuta un’idea.

Col piatto della terapia in mano, mi sono avvicinato, e le ho sussurrato all’orecchio sottovoce: “Làtte fin a le culàtte … Ossocòlo fin al còlo … Puìna: pochettina …ma de formaggio: me ne tàggio”.

Una mano subito mi ha ghermito un braccio senza che uscisse da lei neanche una parola … Teneva ancora gli occhi chiusi a saracinesca, ma sembrava che in qualche modo avessi pronunciato la parola magica:“Sei tu ?” mi ha detto aprendo appena un occhio soltanto. Che cosa dovevo risponderle ? “Si … Sono io … Sono venuto a salutarla e a portarle le sue medicine.”

“Non ho nessuna voglia … Sto malissimo …” tralascio il resto … Ha funzionato però, perché dopo un po’ finalmente le è ritornato “il sereno”, e s‘è seduta sul letto riacciuffando in qualche modo la sua “normalità” ... Bene.

E’ stato poco dopo, quando sono tornato un’altra volta per misurarle la pressione, che quasi spinta da una molla invisibile, ha iniziato a raccontarmi questo piccolo aneddoto davvero “Veneziano”. Catturandomi di nuovo per il braccio, ha iniziato a dirmi: “Quand’erano i bei tempi … Quando, pur essendo Campagnoli, viaggiavamo parecchio col mio povero marito che non c’è più ...”

Ho intuito allora diverse cose su di lei e quel suo “stato difficile”:“Siamo andati una volta anche verso la Grecia per vedere le Isole della Serenissima … A mio marito soprattutto piaceva tantissimo Venezia con la sua Storia e il suo Stato da Mar … Perciò andavamo in giro a vedere posti bellissimi pieni di cielo azzurro, di sole e mare … e bella gente anche … C’è stata una volta un’Isola in particolare, di cui non mi ricordo il nome, ma che mi ha lasciato un ricordo speciale ... Ci hanno raccontato che una volta, tanti anni fa, quando Venezia era diventata sovrana e Padrona di quegli avamposti del commercio per l’Oriente, i Veneziani erano giunti nell’Isola fortificandola, e creando un castello affacciato sul mare … Abbiamo visto i resti di una fortezza robusta, tozza, poco bella da vedere, ma che di sicuro deve essere stata molto efficace per controllare e difendere il presidio dell’Isola e il mare attorno.

Insomma: per controllare meglio la spiaggia, e non solo, i Veneziani hanno proibito il consueto mercato che si teneva da sempre sulla spiaggia in riva al mare ... Era comodo arrivarci: tutti giungevano con le barche, ed era sempre una specie di piccola festa fatta di scambi, piccoli affari e tanti incontri di persone qualsiasi ... I Veneziani hanno tolto tutto: perchè l’approdo dell’isola e l’accesso al Mare doveva rimanere sgombro e libero per sicurezza … Il mercato sarebbe stato spostato dentro al cortile della fortezza ... Così tutti furono costretti a recarsi là dentro: al sicuro … e così il Podestà Veneziano potè anche imporre e pretendere le sue belle tasse d‘ingresso da parte di tutti quelli che entravano lì dentro per il mercato settimanale.

Non è che si potesse decidere diversamente: la Serenissima aveva deciso così … e così doveva essere.


Ebbene un giorno, in mezzo alla lunga fila dei cariaggi e delle persone che ogni volta convenivano alla Porta della Fortezza, c’era fra i tanti anche un contadino qualsiasi dell’entroterra dell’isola. Giunto sotto al Leone di San Marco, che ricordava a tutti chi  comandava, i soldati Veneziani lo fermarono: “C’è da pagare la tassa per entrare: un tanto a carro, un tanto a carico di ròba che entra.”

“Non ho denari.” rispose il Contadino: “Ho solo le ròbe che ho coltivato.”

“Dammi tua figlia allora.” rispose allora spocchioso e irriverente il soldato Veneziano suscitando l’ilarità dei suoi colleghi armati. Tutti ridevano fragorosamente, sguaiati, mentre il Sole in alto stava ormai cuocendo tutto e tutti.

“Non posso … Lo sai.” rispose il Contadino abbozzando appena un sorriso compiacente ma non vero ... Moglie e figlia si strinsero fra loro in cima al carro sovraccarico di sacchi, ceste e fagòtti: “Dammi allora in pegno uno di quei sacchi che tieni là sopra.” disse il soldato tornato serio mentre stringeva dritta la sua lucida picca con lo stemma di San Marco: “A metà mattina passeremo fra i banchi a riscuotere la Tassa ... e allora mi pagherai il dovuto, e ti ridarò il tuo sacco … Intesi vero ?”

Il Contadino privo d’alternative annuì senza rispondere, e un attimo dopo un grosso sacco di sementi passò dal carro ai piedi delle guardie, che con fare sbrigativo lo trascinarono accanto alla guardiola della Porta ... e il Contadino entrò nel mercato col carro.

A metà mattina, come promesso, la soldataglia Veneziana passò fra i banchi insieme allo Scrivano e al Capitano. Il mercato era affollatissimo e vivissimo ... In tanti stavano partecipando a quella specie di piccola Sagra di paese, e per i poveri Contadini dell’isola era un vero affare: riuscivano a racimolare quei quattro soldi necessari per sopravvivere … Anche il Contadino col carro e le sue donne era andato là per questo, e stava facendo un buon guadagno. Infatti quando vide sopraggiungere le guardie, non battè ciglio, e pagò senza discutere la Tassa che doveva ... Solo alla fine, quando ormai il gruppetto armato si stava allontanando passando al banco seguente, il Contadino prese per la gualdrappa l’ultimo dei Soldati, e gli sussurrò timidamente: “E il mio sacco ?”

Il Soldato disinvolto e inespressivo rispose subito: “E’ là dove l’hai lasciato … Quando uscirai te lo potrai riprendere … E che credi ? … Che i Veneziano siano dei ladri ?”

Il Contadino abbasso la testa quasi riverente, poi continuò fino al tramonto a vendere tutto quel che poteva. Solo quando si svuotò la piazzetta della Fortezza raccolse le sue cose vuote stipandole sul carro. Ci mise poi sopra anche moglie e figlia, e diede di briglia al suo ronzino che cominciò a trarre il carro cigolante verso l’uscita della Fortezza.

Il suo sacco stava là sull’angolo della Porta per davvero, giusto sotto alla pesante serranda di ferro che proteggeva l’entrata della Fortezza. Non c’era più però il drappello delle guardie a bloccare il passaggio: chiunque poteva entrare e uscire liberamente. Solo in alto sulla cinta muraria c’era un paio di soldati che passeggiavano attenti avanti e indietro controllando la situazione.

Il Contadino diede di tiro al cavallo, e saltò giù dal carro con inimmaginabile destrezza. Agguantò il suo sacco, e prima di caricarlo lo aprì per controllarne il contenuto ... Un po’ forse se l’aspettava … Dentro al sacco c’erano solo erbacce, sassi e sporca terra fangosa. Tutte le sue preziose sementi erano scomparse: rubate: “Maledetti Veneziani !” gridò il Contadino: “Ladri ! Ladri ! Vigliacchi !”

Moglie e figlia si calarono in fretta giù dal carro per provare in qualche modo a contenere le espressioni e la reazione del congiunto. Già d’intorno diversi s’erano voltati a guardare che cosa stava succedendo, le due sentinelle in alto, attratte dalla confusione stavano convergendo curiose a controllare che cosa succedeva alla Porta di sotto ... La moglie benevola mise una mano sulla bocca del marito, che provò a divincolarsi per gridare ancora … La figlia si mise sommessamente a piangere … Un paio di donne del posto con la brocca dell’acqua in testa si spinsero accanto a loro dal vicino pozzo, e un altro Contadino intuito quanto era accaduto, si avvicinò mettendo una mano sulla spalla dell’irato campagnolo dicendogli: “Lascia stare … Non te la prendere … Non stuzzicare questo nido di vipere … Altrimenti finirai male.”

Il Contadino furibondo finalmente si riebbe … Spinse lontano la moglie … Guardò di sbieco la figlia in lacrime … Sputò per terra, trasse un sospiro, diede un calcione all’ignaro animale del carro, alzò i pugni al Cielo … e si calmò finalmente.

La moglie lo abbracciò stretto senza dire nulla … Una scena tenerissima.


Tutto sembrò concluso … Fu allora, che il Contadino, dopo essere già risalito sul carro, fece di nuovo un balzo di sotto. Sguainò il coltellaccio che teneva fra le ceste, e con l’arma appuntita s’avviò di nuovo verso la Porta e la cinta delle mura. Nessuno lo vide osare, o meglio: tutti finsero di non vederlo ... Non accadde nulla di brutto per fortuna, ma l’irato Contadino incise sulle mura questa frase, che a distanza di secoli si può ancora leggere chiaramente anche oggi: “Venezia càga in acqua … Co una fètta de fugàssa … Co una fèta de agnèo …Veneziani càga anche in mastèo.”

S’era sfogato … La moglie in cima al carro udendo dal marito i dettagli della sua bravata, abbassò la testa e si appose il fazzoletto sul volto per nascondere il sorriso ... La figlia smise di piangere … e il Contadino energico, quasi leggiadro, risaltò in cima al carro e diede di sprono alla bestia allontanandosi dalla Fortezza.

Non sarebbe più ritornato su quel mercato … Anche perché le guardie in alto avevano visto il suo gesto, pur dissimulando indifferenza. L’avrebbero di certo acciuffato se si fosse ripresentato da quelle parti: non si poteva impunemente deridere e offendere la Serenissima.

Un piccolo aneddoto di persone rimaste anonime in un’isola di cui la mia “fonte” non ricordava neanche il nome … Era però il tempo di quando Venezia era Signora del suo Dominio da Mar.

“Ecco perché ti ho detto l’altro giorno: “Venesiàn … Càga in acqua.” ha concluso sorridendo la Signora in camicia da notte stringendomi ancora di più il braccio: “Còssa te pàr ?”

“Bella storia Signora.”

“Già … Sapessi quante altre ne so ... Si sanno tante cose di Venezia, pur stando in Campagna.”

Mi è bastato questo: vederla sorridere ancora, per un attimo di nuovo serena.

Vi sembra poco ?

 

 

 


Rio de le Burchielle … Ci sono sempre le Stelle in alto.

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#unacuriositàvenezianapervolta 321

Rio de le Burchielle … Ci sono sempre le Stelle in alto.

E’ notte adesso a Venezia, proprio buia e profonda ... La linea luminescente e mobile dell’acqua dentro ai canali s’increspa sfiorata leggermente dal vento notturno.  Il tratto bagnato s’insegue, ondeggia, si sovrappone lento contenuto dalle rive: è la risacca di una barca che è appena passata in fondo, e il va e vieni della sessa della marea che cresce e cala ogni sei ore … da sempre.

Gli anelli infissi sul dorso delle rive a pelo d’acqua, giusto sopra la linea verde delle Alghe: riverberano nel buio ... E verzure pendule di ogni sorta tripudiano scure negli angoli, fra i masegni delle Fondamente, sugli archi dei ponti, e ai piedi delle facciate ombrose di caxette e palazzi umidi, sgretolati e mangiati dalla salsedine, dall’incuria umana, e dal Tempo impietoso ... Venezia è così: si sa.

E’ di nuovo notte anche per me che me ne sto tornando a casa dall’Ospedale attraversando ancora quest’angolo remoto e periferico di Venezia. Fa ancora fresco, non è ancora tornata del tutto la Primavera ... Non c’è nessuno in giro, passa frettolosamente solo chi deve andare in giro per forza, o chi porta fuori controvoglia il Cane.

Passandogli di lato, osservo il canale scuro: oggi non c’è più nessuna Burchiella che transita, o che sta ormeggiata qui dentro al Rio delle Burchielle: neanche una sola.

Burchieri e Cavacanali sono cose del passato ingoiate dal Tempo e dalla Storia. Come tante altre sono trascorse e non ci sono più. E’ rimasta solo qualche traccia incastrata e nascosta qua e là in giro da queste parti: qualche raro toponimo, o qualche striminzita nota storica.

Alzo lo sguardo in alto: stassera il Cielo è pulitissimo, è davvero limpido e trapuntato di luminosissime Stelle. Sembra proprio che buchino il Cielo nero in maniera quasi prepotente ... Ve la ricordate l’idea della “Rachia” degli Antichi vero? Pensavano che la notte fosse come un’immane coperta bucata che il Carro del Sole si trascinava dietro tramontando. Essendo bucata, qua e là continuava ad apparire la Luce dell’Universo e del Giorno che attraversava l’immensa rete dei buchetti: ecco quindi le Stelle.

Ieri come oggi: che fascino osservarle ! … Anche se ora s’intravvedono appena per il troppo inquinamento luminoso che c’è anche qui in Laguna e a Venezia.

Mi emoziona sempre e comunque questo buio notturno per il suo mistero. Continuo ogni volta a stupirmi quando butto gli occhi lassù in alto nel buio tempestato di magnetiche luci lontane … Camminando penso … Chissà com’erano un tempo queste Contrade Veneziane senza l’illuminazione pubblica. Doveva essere tutto diverso, ogni cosa di notte doveva essere alterata, cambiata e nascosta. Doveva esserci davvero buio: uno scuro quasi da tagliarlo a fette … E quando c’erano, ci doveva essere il riverbero luccicante delle Stelle e della Luna, che si specchiavano fin dentro al Rio delle Burchielle e sui Rii di Santa Maria Mazòr e Santa Marta ... Ogni tanto ci doveva essere qualche finestra delle basse caxette pallidamente illuminata: una lanterna o una candela, quasi come in un presepio ... E su qualche angolo o svolta di Calle c’era qualche Altarolo-Capitello illuminato da flebili notturni cesendelli … Chi accendeva e pagava quei lumini ? Chissà ?  … Forse erano a spese delle facoltose Monache della Ziràda.

La Ziràda ? … nome strampalato … proprio da Veneziani.

Provo ancora a immaginare: chissà come dovevano essere questi luoghi ieri … Non so … Le barche legate “da notte” alle rive come oggi, la fondamenta polverosa, a tratti fangosa con le pozzanghere dell’ultima pioggia … Nessuno in giro come adesso, la calma della sera alla fine di un’altra intensa giornata di lavoro. A Venezia ci si guadagnava a fatica il pane quotidiano: bisognava industriarsi per farlo, sudarselo per davvero … Niente era scontato e dovuto in Laguna … Beh: un po’ come accade ancora oggi … Ma si era forse più attorniati di Bellezza rispetto ad oggi: si esperimentava forse di più la gratuità, l’immediatezza, la libertà e il valore delle cose e della Vita, s’incontravano e apprezzavano di più le persone che si avevano attorno ... Ci si guardava forse di più intorno, si alzava di più lo sguardo, e si lasciava … forse … che emergessero di più i pensieri … Lo scorrere del Tempo era forse più magico, l’esistente ... forse … era meno scipito.

Romanticume nostalgico ? … Non so … Venezia di certo è sempre stata affacciata sulle acque di sotto, sul Cosmo dei Cosmi in alto, e sulle pagine diuturne della Storia … Una specie di Porta socchiusa sul Cielo, sulla fatalità e gli eventi.

Oggi i Rii Terà, cioè tombati e interrati, nascondono molto, trasformano e mascherano quello che c’era un tempo nel territorio urbano Veneziano. L’imbonimento e la bonifica progressiva di tante aree strappate alle acque e alla barena, hanno cambiato e allargato mille volte Venezia lungo i secoli. Sembra quasi un’altra vedendola così com’è, e si strabuzzano gli occhi dalla sorpresa quando s’intravedono tracce di quello che è stata qualche tempo fa. Rivedo le donne con lo scialletto in spalla raggiungere le loro caxette prima dell’incipiente tramonto ... La lunga fila delle Tabacchine odorose uscire dalla Fabbrica dei Tabacchi…Gli uomini sporchi e sudati armeggiare dentro alle Burchielle per metterle “da notte” terminato il lavoro.

Mi fermo in cima ai Tre Ponti di Piazzale Roma proprio dove inizia il Rio delle Burchielle, e faccio una specie di giochino mentale … Compiendo una serie di clic cancellatori di quanto vedo, provo a togliere dalla veduta d’insieme che ho di fronte, quanto s’è costruito e aggiunto lungo il tempo ... Oggi come ieri, qui terminava e incominciava Venezia … Ma quanto diversa era un tempo questa zona !

Fino al 1800 compreso, quest’area estrema e periferica del Sestiere di Santa Croce era un dedalo di piccoli canali e rii contrassegnati da strette fondamente quasi sempre in terra battuta ed erbosa. Ad ogni pioggia si trasformavano in piccoli e lunghi pantani, che venivano percorsi ogni giorno avanti e indietro dai Pescatori, Barcaroli, Bastazi e Ortolani della Contrada, e dal nutrito numero delle Monache che popolavano i chiacchieratissimi chiostri della zona.

Fra turisti, pendolari e valigie faccio un primo clic cancellatorio. Spariscono nella mia mente il Garage Comunale e il GarageSan Marco. Sullo stesso terreno nel 1785 era attiva la Compagnia con “la marca privilegiata del Ranuncolo” appartenente ad Antonio Duodo e Nicolò Retti che gestivano una Fabbrica Sociale di Saponi “a tre caldaie” con capitale sociale investito di 15.000 ducati … Dieci anni dopo circa, la Compagnia si rinnovò associando al Retti anche il Conte Angelo Maria Revedin e Giovanni Francesco Cappellis ... Tutto scomparso oggi.

Secondo clic cancellatorio, e scompare tutto il Piazzale dei Bus e dei Tram ... Al loro posto c’erano il pantano e la terra battuta dell’ultima periferia Veneziana ricoperta da Catapècchi(capanni), dagli Orti dei Nobili Barbaro e Franceschi, da una Carbonèra, da un laborioso Squero per barche, dalle Sàcche di risulta Zuccolo, Barbaro e Catapàn degradanti verso le rive della Volta-Ziràda del Canal Grande, e dalla Vigna delle Muneghe de Sant’Andrea ... Decisamente questo spazio Veneziano era configurato diversamente.

Altro clic, il terzo, e tolgo il palazzo in primo piano di destra con la Banca, l’area dei Portabagagli, e già che ci siamo anche il cacciaroso chioschetto posto ai piedi del ponte ... C’erano più spazi vuoti allora, forse meno va e vieni, e poco casino rispetto ad adesso.

Quarto clic pulitivo: e sparisce anche la scura Cittadella della Giustizia ancora in costruzione al centro della scena. Un tempo era il luogo della Cereria(Fabbrica di Cere Reali), e del largo complesso della Manifattura dei Tabacchi di Girolamo Manfrin e delle famose Tabacchine Veneziane.

Nel 1786 la Manifattura venne portata qui dalla Madonna dell’Orto e dalla Fondamenta delle Penitenti di Cannaregio, e si fecero gli edifici del Tabacco attorno a un ampio cortile con pozzo centrale dove si distendevano le foglie ad asciugare al sole. Tutto attorno c’erano laboratori, servizi, stalle per gli animali, depositi, macine e stufe per asciugare … Poco distante dal 1877 si realizzò anche un “l’Asilo per lattanti e slattati” voluto dai Giustinian e dalla Direzione della Manifattura a sostegno dei figli delle Tabacchine.

Oggi oltre al grande complesso “a Villa Veneta con Barchessa”, rimangono ancora l’edificio a scavalco del canale che portava a magazzini di stoccaggio e agli uffici affacciati sul Rio dei Pensieri.

Finiti i clic di cancellazione … Che ne è rimasto dell’intera scena ?

Poche cose ... In fondo, isolato al centro fra verzure, canali e lavorio di persone, c’erano affacciati sull’attuale Canale della Scomenzera, e dove oggi sorge il People Mover e gli Uffici della V.E.R.I.T.A.S.: il Monastero della Monache di Sant’Andreade la Ziràda con l’annesso Cimitero, e l’Ospedaletto dei Samiteri e delle stesse Monache.

Più discosto a destra, c’era e c’è la vicinissima Isola-Monastero delle Mùneghe Urbaniste di Santa Chiara della Ziràda(oggi Caserma della Polizia ai piedi del lungo Ponte Traslagunare). L’intera zona era quindi in buona parte in mano alle Monache, ma era conosciutissima e frequentatissima dai Veneziani. Solo oltrepassato l’intrico dei Tre Ponti, che già c’erano, ci si avviava verso il cuore vivido e pulsante di Venezia entrando nelle popolari Contrade di Santa Margherita, dell’Anzolo Raffaèl, San Basilio e San Trovaso che poi si diramavano e allargavano in quelle di San Nicolò de la Mendigolae Santa Marta da una parte, e di San Pantalon dall’altra. Là s’incontravano le Case Fondaco dei Nobili, le illustri e sfarzose Schole Grandi dei Carmini e San Rocco, la nutritissima schiera delle altre Scholette Piccole di Arte, Mestiere, Nazionalità e Devozione, e la trafila dei Monasteri e delle Fraterie, con le Terziarie, i Pizzoccherai, gli Ospizi e gli Hospedaètti ... le botteghe, i Traghetti, le Zattere.

Tolentini di San Nicola, Benedettine e Agostiniane di Ognissanti e Santa Marta, San Sebastiano dei Gerosolomini, i Carmini dei Carmelitani Scalzi, San Ludovico dei Vècci in Calle Rossa, le Orsoline, e le Terese affacciate sull’acqua estrema Veneziana ... C’era un po’ di tutto … e tutto e tutti erano mescolati, quasi conditi con la laboriosa e variopinta presenza del vivere “intenso e accanito” dei popolani Veneziani attaccatissimi al loro Vessillo flottante di San Marco.

Tornando alla mia scena rivista e tagliata … A sinistra rimane ciò che m’interessa di più, cioè: il Rio delle Burchielle, con la Fondamenta, la Calle e le caxette omonime. E’ qui che volevo arrivare col discorso ... Le Burchielle ? … Curiosiamo un poco.

Nel Rio delle Burchielle stazionavano appunto le Burchielle: basse barche coloratissime, che servivano per trasportare cose diverse, molto spesso di risulta. Il colore indicava il tipo di materiale che trasportavano, così che si potevano riconoscere facilmente anche da lontano. L’uso di questa particolare tipologia di barche piatte era riservato ai Lavoranti e Mastri dell’Arte dei Burchieri: una delle tante Arti di Mestiere presenti per secoli in Laguna. I Burchieri erano distinti a seconda delle mansioni che eseguivano e per ciò che trasportavano. C’erano Burchieri da Rovinassi(macerie e calcinacci), Burcjèri Cavafanghi o Cavacanali, Burcieri “da Stiòre”(stuoie), “da Legna da ardere”, ma anche Burcieri Casaròtti cioè “da Frumento” o “da Molino” abilitati ad andare ai "molini per fontego e servizio di Marchadanti, Pistori, Monasteri e Lasagneri".

Nel 1661 i Soprastanti a le Biave puntualizzavano che i 25 Burcj utilizzati dai Compagni della Schola dei Burcèri Casarotti erano di proprietà della Serenissima Signoria. Erano autorizzati a trasportare per ogni viaggio non più di 15 staia di Frumento da macinare … I trasgressori venivano multati "a favore dell'Ospedale della Pietà".

La Schola d’Arte, Devozione e Mestiere dei Burcièri e Burchiellanti faceva riferimento e aveva sede presso il Campo e Convento delle Monache di Sant’Andreade la Ziràda sotto il titolo patronimico della “Madonna Assunta e de Sant’Andrea de le Mùneghe”.  L’Arte esisteva praticamente da sempre a Venezia, ma era nata ufficialmente verso il 1503, quando l’attività venne presa in gestione privativa ed esclusiva da una trentina di Famiglie, che concedevano i lavori come in subappalto a Betolini e Burchieri:“che portavano paltàn, ruinazzi e sabion associati a tutti li patroni de burcj che sono soliti andar a molini per il Fontego et a servir Merchadanti giurando onestà nelle transizioni”… La Serenissima controllava e tampinava di continuo tutto e tutti senza scampo né eccezioni.

I Burcièri e i Burchiellanti prelevavano fanghi, macerie, immondizie dalle scoazère” cittadine, e acque residue dalle fosse putride che trasportavano in aree apposite di discarica e bonifica, le così dette: “Sacche” cinte da palade (palizzate), create appositamente dalla Serenissima per salvaguardare strade, Contrade e Canali … e Veneziani: “il Consiglio dei Dieci concesse il 30 dicembre 1529 ai Burceri de burchi ferrati di potersi riunire in Schola per sostegno agli anziani dell'Arte, inabili al lavoro o ammalati, per procurare dignitosa sepoltura ai Compagni, soccorrere con elemosine le figlie o le sorelle che si dovessero maritare.”

La “sanitate et bono terrae”, cioè il buon equilibrio e la salvaguardia dell’ambiente, e la Salute delle persone è sempre stata all’apice degli interessi e dell’attenzione dei Veneziani di ogni epoca.Già nel maggio 1333, infatti, il Maggior Consiglio decretava che i canali Veneziani dovevano essere periodicamente dragati per salvaguardare la bontà, la scorrevolezza e pulizia delle acque “per la salute di tutti i Veneziani”… Per lo stesso motivo nel 1413 durante un’epidemia, e in diverse altre occasioni, lo stesso Consiglio proibì la tintura delle stoffe nelle acque cittadine destinandola in esclusiva alle acque aperte di periferia lagunare. Stessa cosa era accaduta in precedenza anche con i Verieri e Conciapelle, relegati fuorimano a Murano e alla Giudecca ... Sempre per timore di epidemie dovute ad acque fetide e stagnanti, si chiese e ottenne dai Signori di Notte e dai CapiSestiere di segnalare periodicamente i Canali, Rii, Rieli, Laghi e Piscine di Venezia bisognosi di drenaggio o bonifica, e offrendo denaro s’incoraggiò e s’indusse perfino i Giudici e i Funzionari del Piovego e delle varie Magistrature a controllare meticolosamente certi traffici e l’uso delle acque, e a raddoppiare gli sforzi per recuperare dalle acque altro suolo pubblico usurpandolo se necessario anche a Nobili privati, Preti e Monasteri.

Nelle undici Contrade di Dorsoduro e della Giudecca si provvide a scavare: “il Rielo a San Gregorio che ha un capo nel Rivo che va alle Fornaci, e l’altro al Rivo che va al Salarios Comunis.”“Certi dorsi del Rivo maestro di San Vito davanti alla chiesa, le proprietà di Ser Nicolò de le Sevele e del Prete Jacopo Pedegelle.”“un Rivo a Sant’Agnese, una Piscina dietro la chiesa di San Trovaso”“il Lago di San Basegio detto da Molino”, e a prosciugare il Lago di San Pantalon nei pressi di Cà Lin”.

Stessa cosa accadde nelle Contrade di Santa Croxe e Castello: Sestieri estremi di Venezia, apici opposti della Città Lagunare: “con la Piscina di San Zuane Novo verso l’Orto e le Vigne di San Zaccaria da prosciugare e scavare” … e si scavò e asciugò a Santa Maria Formosa e Santa Marina, verso la Crosaria di Santa Giustina, giù in fondo alla Celestia, San Martin, Sant’Anna e San Daniele, e a San Severo, San Lorenzo e Sant’Antonin, fra le proprietà e i Fonteghi di Cà Trevisan, Morosini, Vitturi, Lombardo, Delle Boccole, Giustinian, Badoer e Contarini… Si bonificò anche dove si conducono le zattere del legname per l’Arsenale, si scavò e imbonì anche “al Bressaglio”, e accanto alle caxette nei pressi e all’interno della stessa Casa dell’Arsenale… Era tutto un riportare continuo di rovinassi e fango e terra sottratti dalle acque da una parte, e riversati dentro alle acque da un’altra.

Anche nel Sestiere di Cannaregio s’interrò, scavò e imbonì allargando e stringendo: “in Contrada di San Canciano interrando un Rielo verso la Vigna e le Chiòvere dei Crociferi (Gesuiti), a Santa Caterina dei Sacchiti, a Santa Sofia, a San Marcilian vicino al Rio di Santa Fosca e Cà Diedo, a San Marcuola, alla Maddalena, San Leonardo, e a San Giovanni Crisostomo verso Rialto.”

Nel centralissimo Sestiere di San Marco si lavorò dietro alle Taverne presso il Ponte del Malpasso, e al Ponte delle Ancore ... Si scavò a San Moisè, Santa Maria Zobenigo, San Maurizio, Sant’Angelo e San Luca accanto e attorno alle proprietà dei Nobili Donà, Barozzi, Duodo, Gradenigo e Miani ... Venezia si allargava di continuo traendo dal fango sempre nuovi terreni trasformati in asciutto anche a San Vidal e San Samuel: dietro alle chiese, alle case e alle corti dei Piovani ... E poi ancora: da una parte e dall’altra del Canal Grande, e tutto intorno all’Emporio Realtino… Si scavava e imboniva nelle Contrade di San Cassian verso Rialto, a San Giacomo dell’Orio, San Boldo, Sant’Agostin e Santa Maria Materdomini, e accanto ai posti e alle possessioni di Cà Zane, Gabriel, Venier e Foscarini, Tron, Istrego, Armato, Trevisan e Schiavo ... S’interrò a San Simeon Maggior cioè: Grando, e a Sant’Aponal, San Tomà e San Silvestro presso il Fontego del Frumento e le Case del Patriarcato, nonchè attorno alle proprietà degli Emo, Fabbro, Corner, Orio e Bernardo.

I Burchieri e gli uomini delle Burchielle insomma avevano sempre un gran da fare, così come i Battipalo, e quelli che rinsaldavano le rive e costruivano i ponti … C’è stato un immane quanto interminabile lavoro portato a compimento a Venezia lungo i secoli.

Come dicevo, i Burchieri con le Burchielle trasportavano anche generi alimentari di prima necessità dei Veneziani: il Frumento da macinare, oppure l’Acqua.

Sentite, ad esempio, che cosa recitava questa “partedi metà settembre 1675” emessa dal Magistrato delle Biave della Serenissima, e pubblicata sulle Scalee di San Marco e Rialto ... Marco Molin con Alvise Mocenigo erano: Sopra Proveditori, mentre Vincenzo Da Mula, Gerolimo Giustinian e Ottaviano Pisani erano: Proveditori alle Acque: “Pena di Bando, Prigione, Galera e altre all’arbitrio del Magistrato riguardo alla qualità del delitto e dei delinquenti, Ordini e Capitoli contenuti nei Proclami e Terminazioni dovevano essere prontamente eseguiti … Per colpa di perniciosi disordini, ritardi, abusi e confusioni e accadute nelle Macine dei Formenti della Serenissima causate dai Monari e dai Burchieri delle condotte … Non possano i Burchieri ricevere Frumenti sia dalla Serenissima che dai Pistori prima che il prodotto sia correttamente bollato in piombo, così da non poterne aggiungere o togliere alcuna benchè minima quantità … I Monari devono rilasciare precisa ricevuta del macinato eseguito e della sua provenienza. Così i Burchieri non possano trasportare senza apposita bolletta … Il Soprastante dei Molini nel Trevigiano deve emettere le Bollette, e tener notadei Burchi che arriveranno al Molino e dei nomi dei Burchieri, rendendo conto di mese in mese dei Frumenti arrivati, macinati e delle farine partite… Il Soprastante è obbligato a controllare contraffazioni e intacchi sul Frumento e riferirle al Magistrato… A campione si dovrà macinare il Frumento sotto gli occhi dei Soprastanti … Il Monaro è tenuto a conservare le bollette del giusto numero dei Sacchi di Frumento ricevuto da macinare …Che nessun Monaro dopo aver ricevuto dai Burchieri i Frumenti da macinare nei Mulini, non osi mescolare le farine con altre, ne darne parte ai Burchieri stessi sminuendone il Partidor… Monari e Pistori dovevano tenere le stive delle farine sempre ben separate, e le farine tutte sempre ben esposte così da poterle controllare …”

I Burchiellanti-Burchieri-Cavacanali-Conzarovinassi erano quindi una categoria di lavoratori, un’“Arte di meccanismo” indispensabile, che agiva ovunque in giro per Venezia, facendo “base” nel Rio delle Burchielle, dove in buona parte abitavano nelle caxette fatte costruire e messe a disposizione dalle Monache di Sant’Andrea.

Gli iscritti all’Arte dovevano essere“nazionali”, cioè: Veneziani o Veneti, ed aver prestato quel lavoro in Laguna da almeno 4 anni. Al culmine della loro secolare storia, i Burchieri-Cavanacali regolarmente iscritti all’Arte erano più di 650: con una quarantina di CapiMastri, e oltre 600 Lavoranti e Garzoni addetti … Più di 300 di loro erano addetti a manovrare e guidare le Burchielle. Esisteva a Venezia anche un’altra ottantina di persone dette: Scovolini. Per lo più erano Chiavenaschi provenienti dai Grigioni, non iscritti all’Arte, che vuotavano latrine senza permesso e ignorando le tasse:“Portavano pregiudizio all’arte … gente che davasi la muda un anno per l’altro, e che estraevano circa 8000 ducali all'anno togliendo l’impiego a sudditi.” … Era obbligatorio iscriversi all’Arte, ma siccome costava parecchio, non tutti potevano permetterselo. A fine 1700, cioè al definitivo declino della Repubblica Veneziana, si contavano ancora più di 30 Burchieri regolarmente iscritti, e c’erano altri 400 “Burchieri da Legna”, che assoldavano un loro Medico Fisico: Piero Orteschi, che li assisteva gratuitamente loro e le famiglie … 50 Burcjeri presenziarono a una riunione dell’Arte agli Incurabili sulle Zattere diretta da uno dei Giustizieri Vecchi della Serenissima.

I Cavanali-Burchieri, che avevano propri siti e stazi di carico e scarico in giro per Venezia, non potevano trasportare rovinàzzi” dopo il tramonto: così era comandato affinchè fra le tenebre non si facilitassero le disobbedienze, e non si vuotassero le Burchielle in qualche sito da formarvi scanno o sedimento.”… Le Buchielle si dovevano quindi obbligatoriamente “mettere da notte” ormeggiandole nel Rio delle Burchielle ... L’Arte manteneva e riattava anche le Portesine del Bondante salariandone il custode, con “homeni de le Burchielle e  Capiburcio” partecipava alla Festa della Sensa e ad altri eventi Pubblici facendo spettacolare contorno coreografico alla Signoria e al Doge con le barche e vele coloratissime ... La Mariegoladei Burchieri in pergamena “scritta a grandi lettere e con miniature” cadde purtroppo in tempi recenti in mano a un venditore di canzonette, che la cedette a sua volta a un Oste altrettanto ignorante, che la stracciò e la fece a pezzi incartando bottiglie e liquori. 

Per modernizzare e sostituire l’Arte dei Cavafanghi-Cavacanali s’inventarono in tempi diversi contestatissime macchine per l’escavazione dei canali. Una nel 1545 a cinque cucchiai: “buona, ma tarda al lavoro e nel perfezionamento d'opera”; un’altra di proprietà di Piero Contarini, che agiva tramite una ruota: “ma senza frutto, anzi dannosa, e come tale fatta disfare”. I Burchieri-Cavanali-Cavafanghi temevano grandemente di perdere il lavoro, perciò si rifiutavano di usare le nuove macchine su barca, di mettere a disposizione le Burchielle, e nottetempo affondavano le nuove macchine autorizzate dal Senato assoldando qualche poveraccio disperato che ruotava intorno all’Arte.

Giunsero a Venezia anche dei periti dall’estero con progetti e idee innovative “atte a cavar in ogni fondo sabbioniccio, giajoso, creoso, duro, facendo il tutto piano e prestissimo, scavando 460 Burchielle al giorno a una profondità fino a 50 piedi”. Uno sfortunato Grassino se ne tornò in Francia subito: “per non aver da perder il tempo, la spesa, e l’opera ...Anche qui molte difficoltà insorsero: e finalmente nello spazio di mesi quattro e colla spesa di 15.000 ducati fu fabbricata la macchina; ma per quanto si facesse, quelli dell’Arte de’ Cavacanali, malgrado la obbligazion loro non vollero servire loro burchielle alla prova della macchina. Finalmente senz’aver uopo di quelle dell’arte, fabbricate altre burchielle, fu fatta la prova: con stupore non solo del Magistrato delle Acque et Ministri ma eziandio de’ contradditori capi dell'arte, defraudatori del danaro pubblico e fu assegnato da Savii ed Essecutori alle Acque di far il nuovo canale drio la Zudecha impossibile a farlo a ognuna delle altre tecniche; sebbene siane poi stata sospesa l’esecuzione per la troppa spesa.”

Alla fine “il Pubblico” di Venezia approvò una spesa di 4000 ducati per una macchina capace di cavare e riempire 300 Burchielle al giorno.

I Burchieri e Burchiellanti non gradirono molto la scelta … Si fecero sentire, ma inutilmente.

Con la bufera napoleonica la Confraternita-Schola dei Burchieri venne spazzata via da Sant’Andrea, come tutto il resto, e provò a trasferirsi e radunarsi nella chiesa di San Gregorio, dove per un certo periodo continuò ad avere altare e sepoltura sotto i vecchi titoli dell’Assunta e San Nicolò. Ancora nel 1803, i Burcieri pagavano i Preti per celebrare una Mansioneria Quotidiana di Messe, un Esequiale e 40 Messe per i Burcèri Casaròtti ... poi fu la fine, e i Burcieri-Cavacanali-Burcellanti e Casaròtti scomparvero del tutto.

Le caxette che sono state dei Burchieri in Rio de le Burchielle sono visibili ancora oggi prospicenti il Rio. Vennero fatte “ristorare e riattare” insieme al Campanile di Sant’Andrea nel maggio 1752, al tempo della Nobildonna Elisabetta Maria Diedo: “la Badessa Immortale”, e della Nobildonna Rota Camerlenga, e della Nobildonna LionScrivana del Monastero de la ZIràda.  Per l’occasione si immise in muro una bella statuetta di Sant’Andrea con apposita iscrizione a memoria per ricordare a tutti che quelle caxette erano “di ragione del Monastero di Sant’Andrea”.

Per secoli (1376-1646) i documenti testimoniano di Burchianti e Cavacanali quasi sempre ridotti in mal arnese, indebitati fino all’osso, ma perennemente in lite con le Monache di Sant’Andrea per gli affitti delle sette caxette con orticello delle Burchielle. Senza tante remore le Monache trascinavano ogni volta i Burchieri a processo esigendo da loro fino all’ultimo soldo se non di più ... Capitò, ad esempio, che neanche i Burcieri Fieramonti da Brescia riuscirono a trarre vantaggio dal fatto che Concordia Fieramonti loro parente fosse la Badessa di Santa Maria delle Grazie di Mestre ... Niente da fare: le Monache di Sant’Andrea non guardavano in faccia a nessuno.

I Burchieri del Rio delle Burchielle erano comunque uomini vispi, giovani e aitanti ... C’era modo e modo di pagare le Monache, e sia Burchieri che Monache si diedero parecchio da fare al riguardo creando diverse occasioni e modi per sanare e appianare certi debiti ... Avete già capito come, vi lascio immaginare … Perciò a volte fra Burcièri e Monache di Sant’Andrea scattavano certe storiche scintille, che avviarono inevitabili falò di connivenze e convivenze “di sicuro poco Ortodosse, poco Morali, e poco Ecclesiastiche”.

Nel 1622, al culmine dell’ennesimo litigio, venne intimato dalla Badessa di Sant’Andrea al Gastaldo dei Burcieri di riconsegnare le chiavi della loro sede che ospitava anche molte Arche delle Monache… Vista la “confidenza” assunta con diverse Monache, non le aveva più restituite: “e da quella parte si andava e veniva di giorno e di notte liberamente fin dentro al Monastero”… Poi Burchieri e Monache si riappacificarono un’altra volta, stipularono nuovi accordi per nuove Messe mensili cantate dalle Monache sull'altare della Madonna in chiesa, si ridiede in uso all'Arte i luoghi delle Monache, e la facoltà ai Burceri “di Ridursi lì dentro per i loro Riti e Capitoli” ... e non solo.

Per questo sorrido fra me e me ogni volta che rincaso di sera passando da quelle parti, perché rivado a tutte quelle cose che sono accadute un tempo fra Burchieri e Monache in quella location oggi così solitaria e desueta del Rio delle Burchielle.

Insieme all’Arte dei Burchieri, le Monache di Sant’Andrea ospitarono presso di loro anche “l’Esotica Schola dell’Arte dei Muschieri” con tutte le sue fragranze, profumi e aromi, e l’antica Schola di Sant’Andrea e Giacomo dei Pescatori e CompraVendi Pesce del 1347, espressione del Lavoro delle povere Contrade limitrofe di San Nicolò de la Mendigola, Santa Marta e Anzolo Raffael… In fondo Sant’Andrea Apostolo era un Pescatore … No ?



La Schola dei Pescatori(trasferitasi in seguito ai Carmini) radunava circa 40 lavoratori-artieri a cui annualmente la Schola regalava pesanti gabbani (cappotti) di pelliccia il giorno di Sant’Andrea(30 novembre): giorno ufficiale della chiusura della stagione estiva e inizio di quella invernale.  I Compravendi Pesci percepivano “secondo Mariegola” il 10% sul venduto ... Fin dall’antichità la categoria era esclusa dai Pubblici Uffici, pur tributando annualmente 2.400 cefali ai Giudici del Proprio, e 200 cefali direttamente al Doge a cui spettava anche “il quarantesimo” dei Gamberi ... A Venezia si uccellava e pescava pagando annualmente pegno allo Stato e ai proprietari dei terreni e delle peschiere: Vescovi, Nobili e Monasteri… La pesca nelle acque di Porto Secco e Lio Maggiore era vietata dallo stesso Doge e dal Consiglio dei Dieci da San Martino in poi … Fin dal 1308: “graticci o grisiole e clausuris cannarum”, cioè: le “seràgie da pesca” si potevano porre in Laguna 15 giorni prima della Quadragesima e fino all’Ottava di Pasqua ... A Chioggia era proibito pescare “a Tratta o strascico” da aprile a tutto giugno. Le barche dei Pescatori a loro volta pagavano specifiche tasse per “barche da togna, da fossina, da cappe, da bragozzo o tartana o rete strascico, da tratolina da man o strascico da palude, da cievali o cerberare o comeagne, da trato, da cògoli o cogoleti, o reti da anguille a cappuccio, da bevaroni delli re roversi o zatere, da ostreghe da mar, da cazzo o conchiglie dette bibaraze o bevarase, da ostreghe da canal” ... e altro ancora.

Nel 1239 il Pescatore Filippo Bacari di Malamocco pagava 4 ½ Lire Veronesi l’anno, 2 paia di Anitre selvatiche a Natale, e qualche regalia di Pesce nelle grandi Feste a Ottone e Giovanni Gradenigo di San Giovanni di Rialto per poter pescare e uccellare in 1/8 della Pescaria detta Cancto Grosso ... Nel 1381 il Senato affittò all’incanto le acque di Jesolo col diritto di pesca. Quasi tutto il pescato veniva acquistato all’ingrosso da Sava, Sisto e Basilio Balbi che poi lo vendevano “affisso al palo di Rialto e San Marco” pagando 3 ducati l’anno per l’esclusiva ... Durante il 1600: gli Stazi e i Banchi delle Pescherie di Rialto “col solo selciato e con nulla sopra il capo” erano 41, con una rendita di ducati 417 per lo Stato. La gestione di un singolo Banco da Pesce costava da 6 a 68 ducati ... Il Pesce doveva arrivare al mercato entro poche ore dalla pesca: poteva restare sulle rive di Dorsoduro da un’ora prima del tramonto a un’ora prima del sorgere del sole … Non si doveva insanguinare il pesce per farlo sembrare fresco, né venderlo guarnito d’Alghe … Si poteva salarlo solo dopo che un Fante della Giustizia Vecchia ne avesse costatato la freschezza.

I Pescatori, nonostante le limitate risorse economiche di cui godevano, erano tenuti a corrispondere alla Schola dei Compravendi Pesce di Sant’Andrea di appartenenza una bella cifra: 2 ducati iniziali per la Tassa di Benintrada cioè d’iscrizione, e poi altri 20 soldi annui ... Durante le illuminazioni Liturgiche e le varie coreografie dei Cortei Funebri dovevano pagare altri 2 grossi di Tassa di Luminaria per il consumo di cere e candele … Poi pagavano 4 monete di piccoli i maschi, e 2 monete di piccoli le femmine ogni volta che si riunivano“a Capitolo o Tolèlla”, e altrettanti in aggiunta ogni volta che capitava di partecipare obbligatoriamente a un “Corpo”, cioè: un Funerale ... Che spesa essere semplici Pescatori !

In cambio le Monache di Sant’Andrea garantivano una bella Messa ConventualeCantata con Litanie e Processione l’ultima domenica di ogni mese ... e garantivano con le loro orazioni, una specie di buon assaggio-anticipo sulla probabile Salvezza Eterna che attendeva  in Cielo … per tutti quelli che pagavano ... Gli altri ? … Mah ? … Chissà ?

La Schola dei Pescatori di Sant’Andrea non doveva comunque passarsela tanto male, perché obolo dopo obolo, riuscì a mettere insieme presso le Monache un bel tesoretto. Nel 1430, infatti: “si fece costruire da PierPaolo dalle Masegne un bel bassorilievo col Cristo e i Dodici Apostoli, e nell’Oratorio annesso alla chiesa fece collocare altre dodici tavolette dipinte da mano eccellente”.

Ancora e sempre ospiti “dalle Mùneghe de la Ziràda” c’erano i Muschieri o Profumieridella Natività della Vergine, che avevano comesimbolo dell'Arte: una Croce di Malta con una pomata ... La Schola dei Muschieri si distingueva dagli Unguentari e Speziali cioè dagli Aromatori considerati “i veri Professionisti” della Categoria. I Muschieri erano Artigiani e Bottegai che preparavano e vendevano profumi, cosmetici, oggetti da toeletta e guanti profumati. Fabbricavano, importavano e commerciavano inoltre in: acque odorose, olii profumati, unguenti, saponi, e vendevano anche Polveri di Cipro, cioè: la Cipria.

Durante il 1500 i Muschieri Veneziani, uniti per un certo periodo ai Marzeri e ai Stazionierida Vetro, erano numerosissimi, e stampavano perfino ricettari e manuali descrivendo la composizione delle sostanze odorifere che preparavano e vendevano: dei veri e propri Cataloghi di vendita antelitteram … l’Amazon, la Vestro di allora.

Nel 1773 la statistica Veneziana contava ancora 18 Muschieri attivi in 16 botteghe e 2 mezadi … Le Monache di Sant’Andrea oltre ad ospitarli, erano fra le migliori clienti. Quasi tutte Nobildonne oltre che Donne, andavano matte per tutte quelle proposte presentate dagli abili e avveduti Muschieri: “Le Monache della Ziràda, ma anche le altre di Venezia, credevano che ogni prodotto dei Muschieri era adattissimo, quasi inventato a posta e su misura per loro: cose per cavàr le macchie al volto … Cazàr le cotture del sole, e cazàr via le volàdeghe … A guarir li gossi de ogni sorte, a saldar zenzive e far bianchi li denti; a far il fiato odorifero, a far che li peli nasceranno, a cazàr viceversa li peli che non vi nascano più … A guarir li calli dalli piedi, a far che li capelli non diventeranno canuti … A far acqua de bionda per capelli perfettissima ... A far nascere la barba a un giovene avanti tempo … e molto altro ancora: tutte cose buone a far diventar bella la Donna.”

Sapete poi, che attorno ai Monasteri e ovunque sparso per le Contrada Veneziane, esisteva da sempre un proficuo Mercato del Sesso e della Bellezza offerto e interpretato da una vera e propria folla di Cortigiane, Meretrici, NobilDonne, Popolane … e Monache, che procurava introiti e grandi soddisfazioni a molti. Perché non dirlo ? … In buona parte l’Arte dei Muschieri serviva e riforniva tutto quel mondo rosa, roso, ambiguo, libertino e dorato delle Nobili e dei Monasteri rimpinzandolo di volta in volta con: “Liscii et belletti, Blacca, Solimado, Lume di scaiola, Lume zuccarino, Fior di cristallo, Fior di boraso raffinato, Molle di pane, Aceto lambicato, Acqua di fava, Acqua di sterco di bue, Acqua di amandole di Persico, Sugo di limoni, Rose, Vino, Lume di rocca, Draganti per indurire la carne., Semenze di codogni, Penuria nel lume di feccia. Calcina viva per liscia e farsi i capelli biondi ... e molto altro ancora secondo la Moda del momento, e quanto giungeva a Venezia dall’Estero, dall’Africa e dal lontano Oriente.”

I Muschieri si vantavano d’aver “prodotti e Secreti”, che tali in realtà non erano, ma che facevano parte del “nutrito catalogo” del loro amplissimo commercio: “Profumo da uccelletti: a strènzere le lacrime de gli occhi e a far andare via le lentizine. Pirole finissime contro il puzòre de la bocha. Acqua per far lustro il viso e per far lo volto colorito e bello. Unguento da viso qual usava la Regina d’Ungaria. Polvere di Zibetto e di Muschio a far Polvere di Cipro. Moscardini eletti per bocca. Tintura negra per li capelli et barba, opera de la magnifica Madonna Catarina da Forlì et Signora di Mola. Belletto e Ballottine per donne. Ad restringendum vulva. Oglio odorifero. Ballotte da Barbieri notabile … e altro, molto altro ancora.”

Che commercio ! … E immaginate: che personaggi ! … e che promozioni e proposte commerciali.

E ancora … Accanto al Monastero de la Zirada sorgeva l’Ospissio dei Samitèri usato anche dalle stesse Monache. All’Ospizio così come al Cimiteriolo di Sant’Andrea erano annesse “come realtà sussidianti utilissime quanto opportune”: la Schola dei Morti e quella de la Santa Croxe de Sant’Andrea. Si trattava di altre due realtà aggregative che ruotavano attorno ai decessi e all’infinita catena dei Suffragi per Vivi e Morti che si celebravano senza fine a Sant’Andrea.

I Samitèri erano gli Artieri Tessitori produttori dei Samitti, ovvero: anche i Tintori della Seta. Il Setificio s’era affermato ed era fiorito a Venezia fin dall’inizio del 1300, quando erano arrivati i Lucchesi esuli dalla Toscana. Almeno fino al 1660, a Venezia erano attivi ben 3.000 telai che lavoravano Seta spedita soprattutto nell’Europa di Ponente. Altri 1.000 telai circa, si dedicavano, invece: a soddisfare il bisogno interno della Città e dello Stato Veneto. Alla fine dell’epopea della Serenissima, cioè alle porte del 1800, si contavano solo 350 telai ridotti sempre di più: metà pel il Levante, e metà per le Provincie Venete. Le Schole-Confraternite dell’Arte-Mestiere-Devozione dei Tessitori di Seta erano sparse come gli Artigiani un po’ in tutta Venezia. Facevano però capo e riferimento soprattutto all'Abazia della Misericordia, a quella dei Servi, e ai Gesuiti. Nel 1597 l’Arte sembrò toccare il culmine della sua magnificenza, quando partecipò in maniera importante al solenne ingresso della Dogaressa Morosina Morosini: “Nelle stanze dei Signori di Notte al Criminal di Palazzo Ducale, vennero allestiti due gran pilastri con un grosso architrave sopra, coperto di panni di Seta d'oro variopinti, in forma di portone, e dalle bande del corridoio lunghi teli di raso giallo e di damasco chermesino. Dentro nell'Uffizio c’era: un fornimento di tela d'oro pieno di cordelle d'argento con fregi lavorati d'argento e d'oro. E si coprì la tavola delle argenterie con tabì d'oro, tutto disegnato ed orlato all'interno di tabì d'argento, pieno di fogliami di seta verde e d'oro.”… un successone insomma.

Nella location remota di Sant’Andrea, i Tessitori di Panni e Seta avevano quindi due case attaccate al Monastero usate come Ospizio-Ospitale riservato ai poveri, gli infermi e le Vedove degli iscritti all’Arte. Si ospitavano solitamente “sotto varie discipline”: 18 donne, “alle quali le Monache facevano tutte le spese per ordinazione testamentaria di chi aveva lasciato la maggior parte de’ suoi beni al Monastero stesso…”

Qualche volta attorno all’Ospizio ruotavano e venivano ospitati impropriamente anche degli Esposti, cioè bimbi e bimbe abbandonati, o trovatelli e orfani “inerenti l’Arte dei Testori”... Chissà di chi erano figli ?

I Tessitori attivi a Venezia erano più di 850, e tendevano sempre ad escludere i Foresti che intendevano entrare a far parte dell’Arte Veneziana. Eventualmente preferivano quelli che arrivavano in Laguna con moglie e figli ... Chi voleva tentare la Prova da Mastro Tintore dovevano prima prestarsi per almeno quattro anni come semplice Lavorante o Garzone: alla pari con i figli dei Mastri dell’Arte. Trascorsi quegli anni di lavoro previsto, i Lavoranti che superavano “la Proba” dovevano pagare 3 lire di Tassa di Benintrada ... C’era una specie di lista d’attesa per poter accedere all’Arte e diventare così: CapoMastri Testori… Il Governo della Serenissima e l’Arte stessa ostacolavano molto chi intendeva recarsi a lavorare all’Estero esportando l’Arte. Venivano loro inferte grosse pene pecuniarie, si perdeva il diritto d’esercitare l'Arte, e si finiva un anno in prigione ... Nessuno poteva utilizzare telai fuori di casa, neanche i Mastri: pena diversi ducati di multa e sequestro di telai e panni ... Se si facevano entrare a Venezia panni d’oro o di seta esteri: venivano confiscati, multati di duecento ducati i contravventori, e si tagliavano per lungo e per largo i panni … eccetto quelli preziosi importati dal Levante.  I Consoli dei Mercanti proibirono perfino d’insegnare l’Arte a chiunque, in particolare si vietava d’insegnarla a persone “in Sacris”, cioè a Frati, Preti, Monaci e Zaghi, perché erano solitamente “persone traffeghine” che si davano parecchio da fare, e che viaggiavano e si muovevano spesso.

Furono le guerre colTurco e la Moscovia” che fecero cadere improvvisamente le grandi commissioni per il Levante: “e ciò provocò un vero e proprio incaglio e arenamento dell’Arte e di una gran parte dei lavori. Alcuni Testori si disfecero dei telai; altri disertarono il mestiere gettandosi in altre professioni, o alla questua … Il disordine si fece sentire in tutti gli ordini degli operai dell'uno e dell’altro sesso. La deviazione dei CapiMastri portò inoltre la minorazione degli allievi. Molti si alienarono dall’iniziar i loro figli in un mestiere che loro sembrava incerto, e non atto a dar sussistenza. Vero è che si rimise buona parte del Commercio, ma non fu rimesso il numero degli operai … mancarono particolarmente le Lassariole ...”

Insolitamente, i Samitèri davano spesso lavoro a più di 300 donne, che si prestavano come: Lazzariole, Inviareste, Dioaresse, Binareste, Spoline, Orditrici, Incadiresse, Rimoline, Imbarbaresse, Levaresse e Dropparesse A fine 1700 si contavano almeno 38 CapoMastre dell’Arte.

Secondo tradizione, già dal 1329 quattro Nobildonne: Francesca Corner, Elisabetta Gradenigo, Elisabetta Soranzo e Maddalena Malipiero avevano ottenuto dal Capitolo delle Monache di Santa Croxe il permesso di costruire entro i confini della Contrada un Ospeàl con annesso Oratorio da adibire a Ricovero di povere donne. Alla fine di quello stesso anno, individuarono e comprarono un terreno libero affacciato sulla laguna “in cào de la Ziràda”. 

Non fu facile avviare l’iniziativa, perché le donne si trovarono subito a combattere contro l'aperta ostilità delle Monache Clarisse del vicino Convento di Santa Chara in isola de la Ziràda. Pur professando assoluta povertà, le Monache temevano grandemente di veder ridurre la quota di elemosine che erano solite ricevere dai Veneziani e dalla Pubblica Carità dello Stato … Solo qualche anno dopo, durante il Dogado di Andrea Dandolo, si riuscì con fatica ad avviare il Monastero di Clausura delle Monache Agostiniane di Sant’Andrea de la Ziràda ... e solo più di un secolo dopo, a seguito di grosse donazioni, si mise in piedi la chiesa visibile ancora oggi … Una Congrega di dodici Nobili poi, finanziava nella stessa epoca l’Ospedaletto di Sant’Andrea“per l’utilità dei poveri”.

Poi venne “il maltempo delle Monache” annunciato già in una Relatione di Suor Piera Malipiero del 1651-53. La Badessa definendo l’Ospizio di Sant’Andrea come “parte del Priorato di Sant’Andrea di Ziràda”, diceva: “L’Ospizio-Ospitale, ospita alcune buone e sante donne che si alimentano di giorno in giorno dal Monastero, essendo esse venute quali con duecento ducati per una sola volta, quali con poco più, quali con molto meno ... Si fa notare l’impossibilità di continuare in cotesto mantenimento, anche per l’insubordinazione di talune.”

La Badessa Elena Malipiero poi, durante il suo secondo Priorato del 1657-59 scrisse fra l’altro: “Hora non si trova più in conto alcuno simile Hospedale, nè per le scritture tutte che si sono vedute si sa come si sia perduto … Disordini succeduti, attesa la comunanza indistinta di uomini e di donne povere, non si sarà più voluto accettare esposti et huomini, e si sarà ridotto l’Ospitale nelle persone degne del solo sesso femminile.”

Infine nel 1684 si toccò l’apice di quella vera e propria “bufera”, con l’Ospissio dei Samiteri che divenne “luogo di bistrattamenti e disgrazie”, per cui venne soppresso dal Patriarca Alvise Sagredo“che impose alle Monache di tradurlo in Educandato per Converse e giovani donne sprovviste di dote”.


Da tempi immemori, sempre a Sant’Andrea della Ziràda c’era anche il Cimiteriotto de la Ziràda considerato “area di Pubblico Interesse di Venezia”. Si trattava di un: “Trabocchevole luogo straripante di Arche, Lapidi e Iscrizioni in pietra e rame infisse ovunque fra chiesa, sagrato, portici e stanze delle Monache, dove si seppelliva a iosa in un’infinità di tombe … C’erano Morti ovunque: grandissimo affare per le Mùneghe, che molto ruotavano e guadagnavano attorno a quell’idea.”

Per tradizione diversi Veneziani Nobili, ma anche abbienti e popolani, amavano farsi seppellire in quel tranquillo “loco delle Mùneghe” alle quali lasciavano per testamento più che spesso: beni, terreni, denari e case, ma anche un po’ di tutto: orologi, argenti, libri, abiti, panni, mantelli, suppellettili, mobili, stampe, quadri, cere e perfino numerose galline, che era risaputo: piacevano molto alle Nobili Monache.

Anche Preti e Confessori delle Monache, e i Vicari di Sant’Andrea si facevano seppellire dentro al pavimento della chiesa, sul sagrato, e nei luoghi limitrofi delle Monache che avevano a lungo tutelato e servito. Con loro c’erano i Nobili: Zane, Bembo, Minio, Steno, Corner, Garzoni, Zorzi, Soranzo, Loredan, Marin, Girardi, e i Mercanti Arimondo che avevano una Nave per il Viaggio di Fiandra, e i Nobili Nave fra cui Bartolommeo Nave: “che teneva uno studio di anticaglie, e di gioje che commerciava fra i primi della Citta; e fra queste gioje c’era un diamante grossissimo del prezzo di venticinque mila ducali; e forestieri e cittadini andavano continuamente a visitare quel museo.”

Il Nobile Bartolomeo Barbadico, cioè Barbarigo, sepolto nello stesso Cimitero della Ziràda: “lasciò al Monastero di Sant’Andrea col testamento dell’ultimo di luglio 1471 diversi beni e una casa in Contrada di Santa Malgarita, lasciandone un’altra al suo figlio naturale Fra Simon Monaco nell’Isola di San Zorzi d’Alega, e il residuo dei beni liberi con alcuni mobili alla sua massèra.”

Fra 1500 e 1600, pure i Nobili Barbaro del Ramo di San Samuel avevano “fossa di famiglia” in Sant’Andrea. Infatti: esisteva proprio nel Campo erboso di Sant’Andrea detto già “Arzere”, una Casa-Priorato di Cà Barbaro in seguito “data a pigione a Fabbricatori di Tele Cerate e Ombrellami esitati in parte in Venezia e in parte spediti nello Stato e Luoghi Esteri, che superavano in qualità e vaghezza quelli famosi di Dongia in India.” … I Nobili Barbaro si trovarono spesso a contrastare con le Monache di Sant’Andrea, perché come loro erano interessati ad allargarsi “con novi horti et bonifiche dentro al Confinio de la Croxe”. Il Nobilissimo Marco Barbaro comunque finì lo stesso col scrivere nel suo testamento: “Il mio corpo voglio sia sepelido in la Chiesa de Santo Andrea de Venezia, e che in la stessa cjesia sia fatta un’arca alta da terra, et che in la detta non sia speso manco de ducati della mia sostanza … et il mio corpo sia vestido cum l’habito de San Francescho ...”

Sempre là: “fra le mura amiche delle Mùneghe de la Ziràda de Sant’Andrea” finirono inumati e “trovarono pace e riposo eterno” anche epici eroi di diverse battaglie della Serenissima … C’era lì seppellito anche un curioso “Nobile gobbo”, e un “Prete spione della Repubblica di San Marco”: Don Francesco Zoppala “che vedeva ed osservava tutte le cose dell’Ambasciator di Francia, quasi che ne fosse un esploratore, e che potevasi comprendere havesse de gran negozi nella testa ma che non se no lasciava intendere a essendo accortissimo.”

Nel 1442 pure la Dogaressa Marina Gallina Steno si fece seppellire “nella terra de la Ziràda”, e due anni dopo, anche Marco De Gusmieri Piovano di Santa Croxe del Luprio e celeberrimo Giurisperito, Vescovo di Napoli di Romania in Morea, e Confessore e Notaio dei Capitoli e testimone delle elezioni delle Badesse di Sant’Andrea.

Perfino i Gela di Puglia si fecero seppellire alla Ziràda: “… uno dei quali Horatio di Giulio, Oratore eccellentissimo et fortunato sopra ogni altro dell'età sua, che morendo improvvisamente nell’arengo … lasciò più che cento e settantamila ducali a due suoi figliuoli, i quali nello spazio di otto anni distrussero ogni cosa ... Giulio il maggiore, presa moglie Caterina Bottoni con ducati cinquantamila di dote, non hebbe mai figliuolo alcuno da lei, et havendosi giocato ogni cosa se ne mori fallito …”

Quante storie succedevano a Venezia !

Divenne così tanto, e tale, e grande “il traffico di Morti e cose, e lasciti, e denari, e annessi di Sant’Andrea”, che nel marzo 1528 il Doge stesso “schifato” diede ordine: “… inibito sia il tumular cadaveri nel Cimiterio o sia terreno delle Monache di Sant’Andrea.”

Il troppo stroppia … Le Monache erano subissate di donazioni, lasciti e denari in cambio di Sepolture e garanzie di Perpetuo Suffragio: “Era una vera e propria lucrosa industria dei Morti” ... Le Monache erano diventate una specie di Passaporto per il Cielo a pagamento: “A Sant’Andrea un Sacerdote di buona vita avrebbero celebrato opportune Mansionerie di Messe: quali garanzia efficace per l’Eterna Salvezza.”

Anche il Patriarca Francesco Vendramin si fece più volte sentire visitando la chiesa e vedendo l’immane ammasso delle sepolture: “sparse ovunque ben oltre il bordo del Cimitero diventato troppo grande, allargatosi davanti alla porta Maggiore della chiesa verso tramontana, sui muri, la facciata e il cantone della stessa chiesa, e fin sulla riva e tutto il resto del Campo.”

Per cui ordinò: “che non si debba adoperar più … e che il Cimitero sia confinato, e che tutto il resto del Campo s’intenda come Luogo Sacro, nè si possa seppellir più in esso nè fuori nei pressi.”

Sapeste quanti testarono a favore del Monastero della Zirada”... non lo immaginate.

Preti e Religiosi anzitutto: Giovanni Giustinian Piovano di San Maurizio (1349); Antonio David Prete a Santa Maria Zobenigo (1407); Prete Angelo da Macalò da Gravina Cappellano del Monastero (1495), e Prete Eustachio Calderoni da Gravina detto “ad Angelum”, da Monte Rua sui Colli Euganei, Confessore delle stesse Monache (1518); Moro Tommaso Frate in San Pietro di Murano (1509); Prè Angelo Dei Rossie Caterina sua sorella(1508-1514)… E poi ancora: uomini, donne e personaggi illustri, o Nobili come il Doge Antonio Venier(1411), e Francesca della Fontana sorella del Doge Michiel Steno(1404); Antonio Contarini Procuratore di San Marco(1440) come Orsato Giustinian: Milite e Procuratore(1462), e Girolamo Donà di Andrea(1483); Andrea Dandolo Dottore(1465); Bartolomeo Verde Capitano alle Carceri di Padova(1420); Ser Lorenzo Dolfin del Confinio di Santa Giustina (1475); Ser Marino Corner del Confinio di Santa Marina(1521); Nani Francesco della Contrada di Santa Croce(1513) ... si potrebbe continuare a lungo.

Le Monache di Sant’Andrea ricevettero lasciti e donazioni anche da Artieri e persone qualsiasi come: Alvise Spin Drappiere(1573); Vincenzo di Lorenzo Cimadòr (1588); Giovanni Busato da Maerne (1593); Giovanni di Costantino Mercante in Contrada di San Silvestro a Rialto (1426); Paolo di Gualtiero da Alemagna (1435); Scortega Simone Battioro (1447); Michele di Giorgio Calafàto(1502); Bartolomeo di Francesco detto Bertazi: Fante alla Stimaria del Vin de Rialto (1502); e Michiel Marino da San Marcuola (1546) ... e tanti altri ancora.

C’era poi la folla delle tante donne benestanti ma anche no: Agnesina Soranzo della Contrada di Santa Marina(1411); Maria moglie di Federico Barcarolo della Contrada di San Basilio (1414); Antonia di Bartolomeo Samitario moglie di Pietro pittore(1420); Maddalena Degli Scrovegni già del Confinio di Santa Margherita (1421); Anna De Redolfi(1422); Fiorina figlia del defunto Buona Fruttivendolo (1616); Maria Barbarigo moglie di Paolo dal Confinio di San Geremia (1439); Chiara Papason di San Geremia(1478); Lisa Redolfi uxor del Medico-Fisico Pantaleone Quaian (1479)… e poi le donne per lo più vedove ospitate nell’Ospedaletto dei Samiteri di Sant’Andrea: Caterina Botto vedova di Mastro Giovanni delle Armi del Confinio di San Zulian (1439); Angela moglie di Giovanni Portadòr di pietre(1508); Meneghina vedova di Albertino di Giacomo da San Danieledi Castello (1485); Chiara Doelai vedova di Antonio del Confinio di Santo Stefano di Murano (1494); Antonia vedova di Leonardo Peltrinèr (1465); Agnese vedova di Giovanni Filator de Samitti (1426); Filippa Franco vedova di Giosafat Rosso del Confinio di Santa Croce (1478); e Dorotea Rizzo, Costanza Emo, Lucia Barozzi: ospiti, e Cristina Barbarigo (1457), Samaritana Contarini (1489), Barbarella Zenta(1462), e Maria (1496): tutte Monache in Sant’Andrea … Solo per citarne alcune.

Quello delle Mùneghe Agostiniane di Sant’Andrea “in Cào de la Ziràda o del Bècolo” era un Monastero Veneziano di 2° Classe o Categoria. Cào” significava: estremità, capo estremo, e indicava un posto dove Venezia terminava o incominciava: Dove si perde il Canal Grande e dominano acquitrini, e terra e acqua s'incontrano affacciate sull'ampio spazio lagunare verso la Terraferma.”

Le Monache erano di “seconda categoria”, cioè pur accogliendo donne Nobilissime, era di fatto “seconde” per prestigio, blasone, potere, ricchezza e influenza, ai grandi nomi delle realtà Religiose Femminili Veneziane: San Lorenzo, San Zaccaria e Santa Maria delle Vergini di Castello.

Quante ne hanno combinate le Monache de la Ziràda !

Nel 1334 l'Ospedale “aperto sulla palude alla mercé delle acque, e circondato da semplice palàda (palizzata) de legno”, ricevette una Grazia-sussidio dallo Stato Veneziano in quanto troppo povero e incapace di provvedere a lavori indispensabili. Tre anni prima era già sorto accanto un piccolo Monastero promiscuo abitato da 5 uomini-Frati Minori e da una decina di donne-Monache insieme ... Un bell’intreccio, e una gran confusione … Una decina d’anni dopo, infatti, Nicolò Morosini Vescovo di Olivolo-Castello“per metter ordine” concesse di aggiungere ufficialmente all’Ospedale un regolare Monastero Grigio, cioè di Regola Agostiniana, esente dalla sua stessa giurisdizione, ma soggetto a Juspatrocinio Dogale: “le Monache di Sant’Andrea erano solite offrire in San Marco nella Domenica dell’Olivo a Doge, Dogaressa, Ambasciatori e Primicerio della Ducale Basilica, e dei lavori fatti dalle loro mani formati da bellissime palme con fogliami d'oro, argento e seta riunite in mazzi di vaghissime tinte.”

Capitò quasi subito una delle ricorrenti ondate di Peste, che mietè buona parte delle Religiose di Sant’Andrea ... Elisabetta Soranzo sopravvissuta passò a tenere i conti del Monastero divenendone poi la Badessa, seguita a ruota dalla storica e pluri ricordata Badessa Tommasina Corner:“la Badessa immortale” che morì centenaria … Anche Suor Scolastica non scherzò con gli anni arrivando a contarne ben 105:“Le Mùneghe de Sant’Andrea sa viver con un pie(piede) de già in Paradiso”.

Nei primi decenni del 1400 quando il Maggior Consiglio e quello dei Dieci concessero alle Monache la Grazia di far interrare e bonificare “una piscina-lago” in zona di Sant’Andrea per trasformarlo in Orto, il Monastero s’era già emancipato ulteriormente passando alle dipendenze dirette del Papa con la Sede Apostolica di Roma… Nel 1505 si concesse alle Monache d’interrare un altro piccolo Rio che attraversa il loro terreno “purchè ne facessero e pagassero un altro più ampio in un altro luogo”.

Dal 1445 al 1728 la NobilDonna Chiara Pisani diede ordine di pagare“un annuo livello di ducati 14” a favore del Monastero di Sant’Andrea, e una Mansioneria Perpetua di Messe del valore di 20 ducati, che venne data da celebrare anno dopo anno al Cappellano-Confessore pro tempore delle Monache di Sant’Andrea, che abitava in Fondamenta de la chiesa in una caxetta appartenente al Monastero.

Nel 1482-84 un Frate Vincenzo “apostata dell’Ordine Domenicano” venne degradato dal Giudice Ecclesiastico, e poi impiccato per sentenza del Consiglio dei Dieci “per latrocinii commessi particolarmente nella chiesa di Sant’Andrea de la Zirada” ... Inutilmente l’Avvocato Marco Pesaro provò a difenderlo.

L’8 agosto 1509, invece, il Monastero de la Ziràda accolse mogli e figli di Janno ed Eugenio figli naturali di Giacomo già Re di Cipro fuggiti da Padova. Per l’ospitalità e il mantenimento di quelle sette persone, la Repubblica assegnò alle Monache prima 10 ducati mensili complessivi, e poi 15 ducati annui per ciascuno.

Nel suo testamento del 1605 il NobilHomo Giacomo Bragadin ordinò alla moglie:“… di pagar ogni anno alla mia direttissima sorella Suor Lodovica Bragadin nel Monasterio di Sant’Andrea: ducati 40 et tutto quello che a lei facesse bisogno per la sua persona alla qual mia moglie pregola di haverla e tenerla per sua cara sorella et come se fusse la persona mia propria et questo dico all’anno fin che la vive …”

Lungo i secoli, e ancora nel 1620-60, nel Sant’Andrea primeggiavano le Reverende Monache NobiliDonne di Cà Balbi, Cà Corner e del Casato Malipiero ...E qui vi voglio … Come ben sapete meglio di me, nei Monasteri Veneziani (come ovunque allora) confluì a vivere per secoli il fior fiore delle figlie della Nobiltà Veneziana. Beh … Dicendola tutta: Sant’Andrea de la Ziràda non era una soluzione di primissima scelta, ma era di sicuro un Monastero importante e facoltoso, per cui molte NobilDonne Veneziane finirono internate proprio lì dentro.

Di sicuro le giovani donne Nobili non erano entusiaste d’essere rinchiuse lì, per cui vivevano depresse, “come murate vive”, subendo quell’isolamento dorato, con poca dote, niente uomini, scarse comodità, e poche opportunità e privilegi. Sapete bene come reagirono: se la spassarono lo stesso più che poterono, spesso lottando contro le Regole, aggirando e imponendosi sulle Badesse, esulando le volontà dei Padri e del Casato, e quasi, e senza quasi: sfidando Inquisizione, Serenissima e Patriarchi.

Sant’Andrea della Ziràda entrò alla perfezione in quel ruolo storico di libertinaggio e contestazione inanellando tutta una serie di storie e storiacce diventate Memoria. Le Monache di Sant’Andrea ne combinarono un po’ di tutti i colori mettendo in piedi connivenze, visite diurne e notturne non autorizzate, ruberie e sotterfugi, amoreggiamenti, fughe, intrallazzi e conseguenti indagini, arresti, processi e condanne da parte del Consiglio dei Dieci, Inquisizione e Patriarchi … Soldi e cose di pregio giravano ovunque passando di mano in mano in chiesa e nei Parlatori del Convento, così come allo stesso modo facevano le Galline che vagavano ovunque nel Sant’Andrea: in Chiesa, nel Refettorio, in Capitolo, nella Biblioteca, e fin sotto ai letti nei Dormitori delle Educande e delle Converse, e dentro alle Celle delle Monache.

Nel gennaio 1631 si giunse a processo “per visite di un Secolare a una Monaca del Sant’Andrea” ... Già un secolo prima, nel 1529 e 1579: due Monache del Sant’Andrea erano state più volte processate “per tentata fuga e varie accuse” ... Nel 1566 alcune Monache salirono “allegre” in cima al campanile mostrandosi nude ai vicini ... I Provveditori ai Monasteri dovettero entrare in azione investigando, e il Patriarca Priuli anni dopo, siccome gli episodi non terminavano, diede ordine: “che il campanile debba essere permanentemente chiuso a chiave.”… Nello stesso anno venne intentato contro le Monache un altro processo “per Musiche in Parlatorio”, e un altro ancora due anni dopo “per tresca amorosa” ... Ancora nel 1673 “per frequenza di persone scandalose nei Parlatori di Santa Chiara e Sant’Andrea de la Zirada”… Nella primavera-estate del 1684 si tennero ulteriori processi che non mancarono di destare grande scalpore: si condannò un Capitano del Magistrato Sopra i Monasteri“per infedeltà, e perché riceveva mance dalle Monache del Santo Sepolcro, del Santa Caterina, di Sant’Alvise, Sant’Andrea della Ziràda e diversi altri per lasciar entrar nei Monasteri chiunque a loro piacimento.”

Si processò “per serenate alle Monache di San Daniele a Castello, a San Cosmo della Giudecca, e a Sant’Andrea de la Ziràda … Non si riusciva a dar pace ai Monasteri della Zirada, e neanche agli altri.”

Sbirciando nei documenti, si evince che nel 1567-68 si toccò quasi l’apice dei disordini del Sant’Andrea ... Le donazioni reciproche fra Monache e Laici estranei al Monastero intaccarono fin quasi a prosciugarle le floride risorse e finanze del Convento, e accadde anche una lunghissima serie di disobbedienze, discordie, relazioni illecite e violazioni della Clausura da parte delle Monache. I Provveditori della Serenissima andarono a pizzicare e interrogare fra i coinvolti, anche: Zorzi Barcarolo, che abitava sul Rio de le Burchielle. Si limitò a rispondere: “Faccio tutti quelli servitii che le Muneghe me fa far, et vado de fuora a scuòder quando le me manda … Vado a spender per el Monasterio et anco pel Cappellan.”

Toccò poi a Girolamo Bastàzo(Facchino) d’essere interrogato. Trasportava cose per il Monastero: “Servo anco adesso al Monasterio al formento, alla farina, alle legne et a quel che fa bisogno, et secondo che me vien ordinado …”

S’individuò poi: “un gruppo di donne pettegole che vivevano a spalle del Convento.” Fra queste c’era una certa Zuàna detta Gagiàrda: “Ella tien le galline da otto a diese de Madonna Suor Gabriella a casa sua, et essa Madonna Suor Gabriella la sustenta de pan et de vin et di ogni altra cosa accio la ghe nutrisa queste galline …”

Peggio nel peggio, c’era poi anche una certa Felicita, amante non così segreta del Confessore delle Monache, che non solo conviveva in casa sua a spese del Convento, ma faceva mantenere dal Prete anche i suoi 8 figli. Sua figlia Tesaura veniva impiegata nell’Ospizio delle Vedove collegato al Monastero, mentre Felicita flirtava letteralmente con tutte le Monache.

Il Barcarolo Zorzi raccontò: “Vedo quella Felicita andar dentro della porta, sentarse su quelli banchi in compagnia con queste Reverende Monache, con Madonna Suor Gabriela et le altre, et subito che le sono la vedo darghe la man, una con l’altra basàrse, et Felicita metter le man in sen a Madonna Suor Gabriella, et basàrse una parte et l’altra …”

Il risentimento delle Vedove dell’Ospizio dei Samiteri verso le Monache e le Domestiche che dovevano accudirle divenne altissimo per via delle privazioni a cui erano sottoposte. Alla fine esplose: “Se muor de fame qua dentro, par el mal governo …”

Si raccontò e svelò di “persone losche” che ruotavano attorno al Monastero di giorno e di notte, esplicitamente appoggiate da Suor Anna Giustinian, Suor Gabriella Salomon, Suor Elena Cappello, Suor Beatrice Moro e dalla Conversa Suor Anfrosina.

Elena: una delle Vedove dell’Ospizio dei Samiteri testimoniò: “Vedèmo a portar fuora cesti, sacchi per quelle so femine, per quelle so petegole et certi della villa che porta galàni, et se ghe da: pan, semolei, farina et altro … e a nu: niente.”

Le “pettegole” portavano di continuo notizie ambitissime dalle Monache della Clausura: Donna Felicita raccontava a tutte quanto trapelava nel Confessionale svelato da suo amante: il Confessore. Maria: un’altra delle Vedove dell’Ospizio raccontò:“Et sta continuamente, et li fu anco hieri, et porta parole su et zòzo, che la sta le belle tre hore in celletta a rasonàr con quelle Muneghe che ho ditto, et tolleva ciànce de qua, et le portava de là, et me par che la repòrta le cose de la Confessione, et a ogni Confessiva se feva un scandalo perché la riferiva alle Muneghe quel che se haveva confessà …”

A dir di tutte: le Monache erano disimpegnate, prive di vocazione: un disastro: “Quelle che tende alla porta: sempre stanno là, né mai vanno né in Choro, né in Refettorio insieme con le altre, né danno obedientia alcuna a Madonna la Priora …”

Il Barcarolo Zorzi raccontò ancora come una volta Suor Beatrice gli aveva chiesto di recapitare della farina nascosta tra panni sporchi da lavare a una delle sue sorelle: “Suor Beatrice Moro mi fece barecchiàr la barca, et mi mette in barca, et fece portar via tre corbe de drappi con drappi sporchi, et sotto quelli drappi per ogni corba vi era un sacchetto di farina … et le scargàssemo a Santa Caterina a casa de una sorella di essa Madonna Suor Beatrice …”

Nel luglio 1568 dopo due anni d’indagini dei Provveditori, venne interdetto a 8 donne e 3 uomini, pena “il bando da Venezia”, di recarsi al Convento, di parlare con le Monache, di avvicinarsi al Parlatorio e all’area circostante il Convento, e di frequentare la zona della Croxe. Vennero condannati: “Zuana Gagliarda sta su la Fondamenta Sant’Andrea in calesela, et sua fia Pasqua Furlana che sta a Santa Chiara ... Lucretia Zotta che sta a San Polo, Franceschina vedova che sta al Ponte de legno in chàvo del Campo … Anzola Sartòra a Santa Chiara … Madalena sta a Santa Chiara … Donado Fachin sta alli Frari … Donna Andreinna Filachanevo sta per mezzo la chiesia … Alvise fio de Donna Felicita già bandito dal Convento un anno prima … Zan Francesco Sartòr al Ponte di Legno in cavo il Campo.”

Più volte ancora nel 1592 e 1596 i Patriarchi corsero di nuovo “a visitare d’urgenza il Monastero de la Ziràda” con le sue 70 Monache. Nell’occasione condannarono le Monache trovate piene di ricche lenzuola e coperte ricamate … Molte Monache consideravano le celle del Monastero alla stregua dei loro Palazzi arredandole e addobbandole“nobilmente”… Si condannò il fatto che il giardino del Monastero era diviso in un mosaico di appezzamenti personali dove le Monache coltivavano a piacimento Fiori e Ortaggi … Si sollecitarono le Badesse a ispezionare di sorpresa le stanze delle Monache almeno quattro volte l’anno, andando a cercare dentro alle casse, gli armadi e negli scrittoi di ciascuna che non ci fossero violazione delle Regole con: “libri, abiti, scritture, quadri disonesti, e cani, uccelli, altri animali, e altro ancora di proibito.”… Si consigliò alle Monache Anziane di visitare ogni sera tutte le celle dopo il suono della campana della notte, controllando che le giovani Monache non condividessero celle e letti, che non vi fossero chiavistelli e serrature, e che nei Dormitori si tenessero tutta la notte le candele accese ... Si raccomandò alla Badessa: “Procuri con ogni spirito che sia provvisto alli bisogni delle Monache in sanità et infermità, et che il denaro, l’entrate et le spese siano manegiate come habbiamo ordinato … Si sforzi che le Monache non patiscano per negligenza del suo governo o per sua avarizia, ma prudentemente provveda alli bisogni loro secondo la possibilità del Monastero.”… Il Patriarca non dimenticò d’invitare le Monache “annoiate” a recarsi a frequentare il Coro: “…né ridendo né facendo alcun atto che sia di scandalo … Siate osservantissime della Clausura non uscendo mai fuori di essa per un passo, né in chiesa né in Paralatorii, né ricevendo alcuno in essa, sia di che stato, conditione et età si voglia senza nostra espressa licenza in scritta ... Rendete il vostro Spirito più pronto alla Devozione mortificando la vostra carne.” … Lo stesso Patriarca propose poi di rispolverare i tradizionali Digiuni e le Flagellazioni Penitenziali, e incoraggiò le giovani Monache Nobili a partecipare agli incontri“del Capitolo delle Colpe almeno una volta alla settimana … Dove non si vada escusando i propri difetti, ma liberamente li accusi, et incolpi la medesima.”… La Badessa venne anche incaricata di distribuire le opportune punizioni, mentre “per gli affari extra Convento”, il Patriarca ordinò infine: “che vi provvedessero quattro Converse che passino 40 anni, et che per altre condizioni siano delle più discrete del Monastero…”

Nel 1598: si proibì anche di stendere lane e biancherie ad asciugare nei pressi e sulle mura del Monastero, s’impedì il transito inutile per la zona, e di giocare “al balòn e al pàndolo, a carte, dadi e altri giochi, nonché di fermarsi a tumultàr, strepitàr e biestemàr, o proferire parole oscene e disoneste, o compiere atti scandalosi nel Campo di Sant’Andrea, vicino alla chiesa, e nell’Orto delle Monache ... Pena di bando, voga in Galèa, frusta, berlina e prigione per i trasgressori … e premio di 200 lire e anonimato garantito per i delatori-accusatori .“

Vennero inserite sulle mura esterne del Monastero affacciate sul campo e nel prato erboso prospicente: alcune punte di ferro e rampini triplici, duplici e semplici per impedire che si giocasse al pallone … Dopo le ripetute visite al Monastero dei Patriarchi, il numero delle Monache da CoroNobili scese a 45 “forse per via dei troppi frequenti scandali” ...  Si continuò comunque a registrare “di quattro Mùneghe che se astenevano di cenare con le altre preferendo assumere i pasti nelle celle” ... Una lettera anonima di una Monaca lamentò che non si poteva camminare nel Monastero senza calpestare lo sterco dei Polli che le Monache continuavano ad allevare privatamente ovunque ... A poco erano serviti, anzi: erano stati del tutto inutili i richiami e le ammonizioni del Patriarca di non introdurre Maschere nei Parlatori, e di non tenere animali da compagnia: “ne chizze (cagne) né cagnuoli”… Le Monache non avevano dismesso  l’uso di stoffe fini e colorate e in seta, “né intendevano indossare un alto soggolo, tantomeno una lunga veste a coprire spalle e petto scoperti, nè tenevano i capelli tagliati corti, ma con boccoli o zuffi diabolici fuori dalle tempie e in capo” ... Se ne infischiavano dell’indicazione delle Regole d’indossare solo scarpe basse, e abiti e biancherie del tutto identiche: “… non potendo le Monache per voto della povertà che fanno, tener proprio, si esortano tutte di far quello ch’è consueto in tutti gli altri Monasteri, ossia di metter il denaro in deposito dalla Madre Priora, pregando la Superiora che lo metti da parte, acciò che occorendole per un uso suo proprio bisogno di vestimenti … non havendo le Monache alcun, che il sol uso et non il dominio di quello…”

Nell’agosto 1610 una Monaca del Sant’Andrea venne di nuovo processata “per visite di Secolari” ... L’anno seguente la prostituta Novella venne processata perché frequentava di continuo il Parlatorio della Ziràda, dove aveva fatto gran chiasso in chiesa durante una Funzione Religiosa, ed era entrata nel Convento dov’era attesa da una combriccola di Gentiluomini ammirati per i quali cominciò a litigare con un’altra “Nobildonna del suo tipo” ... Due anni dopo ancora: nuovo processo contro una Monaca del Sant’Andrea “per colloqui illeciti con un Prete”.

Nel 1657, quand’era Doge Bertucci Valier, le Monache del Sant’Andrea si spaventarono moltissimo perchè nel contiguo Campo di Sant’Andrea vennero trasportate dal Lazzaretto alcune mercanzie ritenute a sufficienza spurgate, ma scoperte, invece, ancora contagiose. Venne fatto bruciare tutto, e si demolirono perfino alcune caxette attaccate al Monastero dove c’erano stati “degli accidenti pestilenziali” “A fine secolo si abbellirono i vecchi altari di legno della chiesa della Ziràda trasformandoli in maestosi altari di marmo, e decorandoli con statue leggiadre … Si fece sontuosi e belli soprattutto l’Altar Maggiore, quello della Madonna, e quello dello stesso Sant’Andrea.”

Ancora nel 1767, dal testamento del Nobile Gaetano Molin della Maddalena sposato con la Nobile Elisabetta Cappello, si evince che le loro due figlie maggiori si trovavano “in educazione nel Monastero de la Ziràda”, raggiunte in seguito anche dalle sorelle minori ... Il padre stabilì che dopo la sua morte le figlie avrebbero potuto liberamente scegliere del loro futuro secondo la loro vocazione. La figlia maggiore sposò allora un Patrizio di una Casato povero, mentre le altre tre sorelle presero, invece, il velo del Convento della Ziràda dov’erano entrate fin da bambine, e dove risultavano ancora presenti all’atto della soppressione del Monastero del 1806 con altre 26 Monache di cui sei erano Nobili Veneziane.

Nell’occasione della soppressione napoleonica accadde una storica grandissima confusione. Vennero prima buttate in strada e trasferite al Sant’Andrea le 22 Monache Agostiniane del Monastero di Santa Lucia dell’oltreCanale di Cannaregio(dove sorge oggi la Stazione Ferroviaria), che risiedevano là da ben tre secoli con oltre 70 Monache e almeno 20 Educande: “Secolari Donzelle delle Famiglie più illustri di Venezia”. Scoppiarono veementi contestazioni delle Monache di Santa Lucia per la ristrettezza degli ambienti insufficienti del Sant’Andrea guidato dalla Nobildonna Badessa Chiara Foscarini. Alla fine le Monache di Santa Lucia con la loro altrettanto Nobildonna Badessa Luigia Maria Lippomano vennero rimandate al luogo di provenienza ...  Si concentrarono allora a Sant’Andrea le Monache di San Maffio di Mazzorbo, e poi le Canonichesse Lateranensi: le Mùneghe Bianche di San Daniel de Castelo… Altro ingarbuglio: quelle di San Daniel erano Monache di Prima Classe, che non si consideravano adatte a stare né nel Monastero Cistercense della Celestia, né alla Ziràda: Monasteri di classe inferiore ... Alla fine, nel 1810, tutte le 52 Religiose concentrate nel Sant’Andrea vennero buttate indistintamente in strada solo con ciò che indossavano, e l’ex Monastero de la Ziràda venne trasformato in caserma militare, mentre i locali accanto alle absidi della chiesa, usati un tempo dalla Schola dei Burchieri-Cavacanali vennero dati in uso a una Fabbrica di Carta Grossa da Becchèri (Macellai) gestita da Marco Danesi. Per prima cosa costui rimosse e vendette l’Insegna dell’Arte dei Burchieri posta sopra alla porta del posto, e se ne sbarazzò dandola a un negoziante d’anticaglie.

Quanta Storia di Storie ! … e chi tristo finale della tanta ricca Nobiltà Monacale de la ZIràda.

Ricca ? … Beh: le Monache della Ziràda erano ricchissime … Sbirciando i Libri e le carte dei loro Archivi ho provato a farmi un’idea dei Capitali che gestivano ... Da rimanere a bocca aperta … Un vero e proprio tesoretto sparso un po’ ovunque a Venezia, in Laguna, in tutto il Veneto e anche altrove: “Un gran ben di Dio e della Provvidenza”, che le Nobilissime Monache di Sant’Andrea seppero con capacità e arguzia mettere abilmente a frutto per secoli.

Accanto alle “Carte normali” compilate dalla Monaca Camerlenga che segnava le spese per il legname, l’olio, il Luganeghèr, la Pistoria, la Spezieria “alle Tre Trezze”, e il restauro e la manutenzione del campanile, c’era anche tutta una serie di“note di spesa” gestite dal Gastaldo del Monastero, che conduceva a nome delle Monache perfino un’azienda che produceva e commerciava vestiario ... Dettagliatissimi, meticolosi, quasi caparbi e ossessivi erano i dettagli delle Entrate e Uscita, così com’erano di continuo aggiornate le Tabelle del Cambio delle Valute annesse, e i Cataloghi col valore delle merci visionate, seguite, approvate, e comprate e vendute dalle Monache.

Oltre a possedere e gestire un considerevole numero d’immobili in tutta Venezia, le Monache s’erano comprate anche una “Libertà del Traghetto di Santa Maria Zobenigo” vicino a San Marco, cioè gestivano una licenza da Gondoliere per il trasporto di persone e cose ... L’affittavano ovviamente a un Gondoliere, ma era un investimento strategico fra i migliori: in uno “Stazio da barche” non lontano da Piazza San Marco affacciato sul Canal Grande, non lontano dalla Dogana da Mar da una parte, e dall’Emporio di Rialto dall’altra.

E non è affatto tutto ! … Le Monache de la Ziràda per far affari e investimenti arrivarono anche comprare, vendere e affrancare Schiavi. Si … Avete letto giusto: non solo pagavano per liberarli, ma letteralmente li compravano e rivendevano ... Gli affari erano affari.

Donazione dopo lascito, e dote Monastica dopo testamento, le Monache di Sant’Andrea hanno messo in piedi un notevolissimo insieme di proprietà “di Dentro e di Fuori Venezia” che seppero far ruotare, ampliare e integrare di continuo per secoli, come una vera e propria grossa AgenziaImmobiliare di allora.

Dal “Libro Mastro degli Affittuari”emerge un quadro chiarissimo delle proprietà delle Monache, abilissime non solo nella compravendita, permuta e gestione di terreni, case e botteghe, ma anche nella realizzazione e manutenzione di Ponti, Rii, strade, Corti, Procuratie, esenzioni fiscali e conti di fabbriche … in Calle delle Rasse, in Calle delle Ballotte e in Calle della Testa.

Il Monastero de la Ziràda possedeva case con impresso il “logo di Sant’Andrea” nelle vicine Contrade di Santa Margherita e San Pantalon, all’Anzolo Raffael, a Santa Croxe e in Calle del Passamonte ai Tre Ponti dove avevano due case e una bottega appigionate a Giacomo Passamonte Fruttarol a inizio 1700. Avevano poi altre case e caxette a Santa Chiara, San Nicolò dei Mendicoli, San Vio, Sant’Agnese e San Barnaba, e un’altra ai Tolentinidata in uso all’Ortolano del Monastero. Poi ancora: nelle Contrade più lontane del Sestiere di Cannaregio: a San Geremia e San Giobbe, San Marcuola e San Marcilian, Santa Caterina, ai Biri di San Cancian, e a Santa Sofia “zòso del Ponte di Ruga Do Pozzi” dove sorgeva la “ruga di casedelle Reverende Madri di Sant’Andrea” con tanto di bassorilievo dell’Apostolo Andrea ... Nel 1582 le Monache ricavavano complessivamente dai loro immobili in Venezia: 86 ducati annui d’affitto.

Il Monastero de la Zirada era anche proprietario di altri immobili a San Rocco, Sant’Agostin, Sant’Aponal e San Mattio sulla strada per Rialto, e a San Luca, Sant’Angelo, San Paternian, San Salvador, Santa Maria Zobenigo e San Samuel nel centralissimo Sestiere di San Marco. E poi ancora: a San Severo, San Giovanni in Bragora e Santa Marina nel più discosto Sestiere di Castello e del Vescovo dall’altra parte di Venezia … Pure nell’Isola di Murano, nel Confinio di Santo Stefano avevano una proprietà per via di una donazione di Elisabetta Diedo del 1501.

A metà 1600, dopo una settantina d’anni, le rendite annuali d’affitto dagli immobili Veneziani “erano ascese a quasi 2.000 ducati”, e lievitarono ulteriormente a più di 3.000 nel primo decennio del 1700.

Che ve ne pare ? … L’avreste mai detto ?

E questo si riferiva solo ai “beni di dentro”, cioè posseduti a Venezia e in Laguna … C’erano poi le “proprietà de fòra”, cioè quelle della Terraferma. Sfogliando i “Libri e le Filze delle Rendite, Affittanze e Riscossioni” dell’Archivio di Sant’Andrea, le Monache avevano beni in Villa, e in varie altre località dell’Area Trevigiana: 100 campi nel Colmello di San Nicolò del Bosco, a Terzo, e nel Comello di Fontana, Bojòn, Marcon, Scorzàn (Scorzè), Maerne, Martellago, Spinea, Formiga sotto Mirano, Padernello, Villanova sotto Camposampiero, San Prosdocimo, Villafora, Zero, San Donà di Piave… e altri 22 campi a Peseggia venduti poi al Spongèr (affarista ?) Bernardo Gervasoni … e un’Osteria a Marocco di Treviso.

Non è ancora tutto … Sant’Andrea aveva “Molini sotto Mestre”, e affittava beni perticandoli di frequente (misurandoli)“in ville nove e vecchie nella Podesteria di Mestre e in Mestrina”, 15 campi di Bosco a Carpenedo per lo sfruttamento e il taglio dei cui roveri le Monache entrarono in lunga lite (1565-81) col Reggimento di Mestre, che avviò un“processo criminale”, al tempo della Priora Caterina Mauro, contro Luca Botazzo Colono del Monastero di Sant’Andrea. Altre proprietà della Ziràda di Venezia c’erano a Chirignago per i quali il Monastero andò a scontrarsi con i Nobili Contarini; e a Massanzago dove rivaleggiò con i Nobili Cappello. Altri beni ancora a Casale sul Sile, Zermàn, Lugugnana sotto Treviso, Preganziol, Martorigo, e in Villa di San Zulian e Favaro per i quali andò in causa “per debiti d’affitto e altre turbative” recate alle proprietà delle Monache.

Vi pare che basti ? … Invece: ancora no … Sant’Andrea aveva ancora una Vigna al Bosco di Sacco in Saccisica, terre e case a Scaltenigo, Lancenigo, Chioggia, Mirano e Codevigo lasciate da Marcolina Storlato in Trevisan; e poi ancora: a Dolo, Caltana, nei pressi del Portello di Padova, a Campo Cesarano in Zianigo e Fratte. Più lontano da Venezia e fuori dal Veneto le Monache gestivano beni in Villa di Arzeretto e ad Argere di Cavalli sotto Padova, a Vicenza e Lonigo, a Rovato di Brescia, in Val Brembana, Bergamo e in Bergamasca, nel Bosco Vecchio del Polesine, e nel Ferrarese a Villa di Fuora, Saletta, Copparo e Ruina.

Mamma mia ! … Un fiume di guadagni e rendite insomma, che secondo il “Libro dei Capitali presso i Pubblici Depositi” venivano poi puntualmente investiti e tradotti quasi in automatico in “partite dell’Officio ai pro della Zecca di San Marco”, e fatti fruttare ulteriormente impegnandoli all’Officio del Vin, del Sal, alla Ternaria dell’Oglio, nelle Casse Bastioni, all’Officio dell’Uscida e ai Governatori-Revisori-Regolatori delle Intrade, al Bancogiro, alla Camera degli Imprestidi, presso i Tre Savi sopra gli Offizi e la Cassa Decime, nella Scuola Granda di San Rocco, ai Cinque Savi alla Mercantia, alla Màsena e alle Cazude, e nell’Officio degli Argenti in Zecca a Venezia.

Le Monache di Sant’Andrea, come buona parte dei Religiosi dell’epoca, forti del loro blasone e del prestigio fornito dalla loro figura, nonché dall’entità imponente delle loro “economie” non guardavano in faccia, né temevano alcuno. Di volta in volta si scontravano sfacciatamente e apertamente un po’ con tutti: con i potenti Monaci Benedettini di San Giorgio Maggiore di fronte a Piazza San Marco, ad esempio, e con i Carmelitani Scalzi di Cannaregio e dei Carmini, con Casati Nobili come i Querini, e con gli Uffici dei Dieci Savi, e i Provveditori alle Acque della Serenissima per questioni di terreni e paludi pubbliche, e “per la Sacca di Sant’Andrea presso il Campo della chiesa”.

Tornando al Rio delle Burchielle e ai Burchieri-Cavacanali, le Monache litigarono a lungo anche con loro“per Livelli e debiti di fitto” inerenti le 7 caxette poste sul Rio delle Burchielle. Contro Bianchi Zanetto, Arcangeli, Nicolò Donà e Zanco Barcarolo, ad esempio, e contro i Burchieri Fieramonti da Brescia che vi abitavano … Andarono a contrasto anche con l’intera Arte dei Burchieri e Cavacanali per l’uso dei locali della Schola, e contro Piero Squerariòl dello Squero del Campazzo di Sant’Andrea, che sorgeva non lontano dalla Cereria sita a due passi dalla Contrada della Croxe: sulla fondamenta che dai due ponti andava verso Sant’Andrea, proprietà anch’essa del Monastero. C’era sempre stato “odio-amore” fra le Monache e i Squerajoli della zona, che però fecero costruire le balaustrate della Cappella Maggiore della chiesa, e furono anche Gastaldi della Schola di Sant’Andrea.

Mi fermo qua … Credo sia sufficiente per stavolta.

Termino questa lunga “curiosità” con due ultime note sulle Monache di Sant’Andrea, e ancora sul Rio de le Burchielle.

La prima … Il 05 agosto 1849, le Mùneghe rientrate provvisoriamente nel Monastero dopo lo sconquasso napoleonico, si trovavano tranquillamente per la quotidiana “Hora di Coro e la successiva Messa” nel Barco sopraelevato in fondo alla chiesa comunicante col loro Convento. Si sentì soltanto un soffio e un sibilo sottile quasi impercettibile, e una bomba sparata dal Campo Austriaco di Mestre centrò in pieno la chiesa di Sant’Andrea de la Ziràda: “… una palla infocata forò il tetto della chiesa vicino al Coro, e franse due quadrelli allato destro di una sepoltura …”

Immaginatevi solo per un attimo le 42 Monache Clarisse sgomente e spaventate … Qualche ora dopo il Prelato Confessoree Tutore delle Monache le convinse finalmente a non rimanere più sotto la minaccia della pioggia delle bombe, e un’ora prima di mezzanotte abbandonarono il Convento recandosi in Contrada di San Cassian ospiti a casa del Signor Andrea Pinasso Procuratore del Monastero: “Animato della più viva Carità e premura, l’uomo mise a disposizione delle Clarisse la propria abitazione e la Cappella nella quale fu conservato il Venerabile per special privilegio accordato da Sua Eminenza il Patriarca, onde anche in quel tempo non venisse interrotta la perpetua Adorazione dell’Augustissimo Sacramento dalle povere Clarisse, giusto secondo gli umili voti delle medesime ... Dimorarono così le suddette dividendo col l’egregio Procuratore le comuni angustie, fino al 30 luglio susseguente: giorno in cui essendovi capitata un’altra bomba, nuovo ordine gli giunse dal Vigile Prelato di procurare una più sicura abitazione per tutti. Così il 04 agosto, dopo l’Ora Meridiana, le Monache di Sant’Andrea si trasferirono a San Francesco della Vigna presso i Reverendi Padri Osservanti li quali cedettero un loro conventino con Cappella, e là rimasero come nel proprio Monastero finché a Dio piacque si calmassero le insorte civili turbolenze … Solo il 27 dello stesso agosto alle 9 antimeridiane con indicibile giubilo del loro cuore rientrarono le Clarisse in numero di 43, compresa una Novizia, nel loro Monastero ritrovato, si può dire: quasi miracolosamente illeso dalle temute bombe, ad eccezione di una caduta il primo agosto nell’interno del Monastero che non portò gran danno, e di quella poi che fu (cosi permettendolo Iddio) slanciata nel destro angolo della Chiesa il 19 agosto cagionando grave danno come si può vedere dall’esterno diroccamento.”

La seconda e ultima nota … Ancora oggi di giorno è bella, curiosa e amena la zona dei Treponti di Piazzale Roma col Rio delle Burchielle e la zona di Sant’Andrea, anche se diventata del tutto diversa ... Di sera e di notte poi ? … E’ ancor meglio: tutt’altra cosa ... Induce a pensare, e un po’ a sognare, come capita a me quando rientro a casa dal lavoro a sera passando proprio di là ... Ci sono sempre le stesse Stelle in alto da ammirare, quelle che osservavano i Veneziani di ieri.

L’altro pomeriggio, invece, passando ai piedi del Ponte di ferro sul Rio delle Burchielle, quasi come con i “bravi” di Manzoniana memoria, mi sono imbattuto in un gruppo di Poliziotti agghindati di tutto punto in perfetta tenuta antisommossa. C’era nell’aria, e stavano aspettando l’arrivo a Venezia dei facinorosi Anarchici intenzionati a manifestare ed eventualmente mettere a ferro e fuoco Venezia.

Povera Venezia … Diventata palcoscenico di chiunque vuole inventarsi in ogni strampalata maniera ... Non solo Venezialand, ma anche luogo di sfogo di ogni evasione e alterazione scomposta, e di ogni assurda iniziativa e improbabile smargiassata.

Ne rimarrà qualcosa ?

Quasi distrattamente, i poliziotti mi hanno osservato dandomi una veloce “radiografata” silenziosa. Si sono presto convinti che non c’era nulla da temere da quel mezzo rimbambito dal pelo bianco di passaggio. Non potevo di certo essere uno di quei bellicosi che stavano aspettando. Per fortuna poi che non è accaduto niente di particolare a Venezia: nessun insano Barbaro è riuscito stavolta ad approdare. Sono potuto passare tranquillamente quindi, col mio solito zainetto carico di pensieri e forse di nostalgici sogni … Lasciatemi almeno sognare.

Una NobilDonna Veneziana estirpata e bruciata ...

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#unacuriositàvenezianapervolta 322

Una NobilDonna Veneziana estirpata e bruciata ...

ma con discrezione, fuoriporta, dimenticata in fretta.

Una donna persa … Una ? Che vuoi che sia ? … Una più, una meno ? E’ stato solo un peccato veniale, una piccola ombra: meno che un neo sulla pomposa storia dei Nobili Michièl: “La Donna è sede di ogni Malizia e Perversità, subdola maniaca del Sesso, fonte d’inesauribile e insano Sentimento, è la fonte di ogni Doppiezza possibile.”

Diletta… Moglie del Nobile Tommaso Michiel, è stata una Donna eviscerata al pari di un bubbone, un corpo estraneo maligno. Lo svuotamento chirurgico di un ascesso: un’escissione ... Una cosa che andava assolutamente fatta per i subdoli e controversi Nobili Michièl col loro entourage preteresco che li accompagnava ovunque da sempre.

I Michièl… Non erano di certo “robètta” a Venezia … Da “tempo remoto”erano considerati fra i “Longhi”, cioè quei Patrizi di “Casa Vecchia o Apostolica” che erano indicati come i Padri fondatori della Città Lagunare … Oltre a girare il Mondo in nome della Serenissima, i Michièl erano prima di tutto ricchi Mercanti e imprenditori, che nel loro D.N.A. erano filoPapali, cioè un Clan di persone tradizionalmente Devoti e Religiosi, del tutto dediti alla causa di Dio, della Fede e della Chiesa.

In Contrada di Santa Sofia a Cannaregio i Michièl vivevano accanto e s’imparentarono con i formidabili e clarissimi Nobili Contarini della Cà d’Oro, e con i Priuli, che come i Michièl erano un po’ i boss della Contrada. Fra 1300 e 1400, quando Venezia s’era ormai affermata come potenza Europea e Mediterranea, c’era un’oligarchia di 15 Famiglie che prevaleva nel Consiglio dei Dieci. Erano un po’ “l’animo”, la guida e il riferimento dell’intera Serenissima.


Contarini, Morosini, Dolfin, Loredàn, Venièr, Marcello, Cornèr, Trevisàn, Foscari, Molin, Sorànzo, Zòrzi, Falièr, Nàni e appunto i Michièl. Erano tutte Famiglie potenti strettamente collegate e imparentate fra loro, una decina delle quali sopravaleva le altre in quanto a potere, prestigio e ricchezza … Fra quelle dieci Famiglie: cinque fin dal 1200 erano state le “Prime”, le Apostoliche Fondatrici di Venezia: Morosini, Dàndolo (Spato), Giustiniàn, Querini e Michièl (Frangipane)… Alcune restarono, altre scomparvero o passarono in secondo piano come i iBàdoer (Partecipazio), i Baròzzi, Contarini, Falièr, Gradenigo, Mèmmo (Tribuno), Polàni, Sanùdo (Candiani), Tièpolo e Basèggio.

Sembrano quasi i nomi snocciolati dei giocatori protagonisti di una squadra vincente, che di sicuro è stata capace di portare in alto e al successo Venezia.

Curiosissimo lo stemma dei Michièl a strisce alternate e sei “dischetti”. Fu ideato in memoria del Doge Domenico Michièl, che al tempo della lotta per l’egemonia sul Mediterraneo e dell’assedio di Tiro, venuta a mancare la moneta, usò in sostituzione palline di cuoio: i “Michieletti”, che venivano scambiati come oro e argento. Tornati a Venezia, quelle palline di cuoio si tradussero in ducati sonanti.

Nel quinto secolo, secondo la tradizione Veneziana, il ricco Senatore Romano Michele con i suoi fratelli fuggito da Roma invasa dai Galli, trovò riparo e residenza a Venezia in Contradadei Santi Apostoli. Venne qui fin da subito soprannominato: Michièl, forse per paragonarlo per forza e generosità al biblico Arcangelo Michele ... Un Michièl comunque partecipò nel 697 all'elezione del primo Doge Veneziano: Paolino Anafesto, mentre Vitale Michièl fu tra i primi Tribuni nel 869.

Poi per secoli fu tutto in discesa per la Famiglia Michièl, che “viaggiò e visse” passando di successo in successo. Dalla Famiglia uscirono tre Dogi, e si affermò una lunga schiera di Generali, Cavalieri, Senatori, Ambasciatori, undici Procuratori di San Marco, e Cardinali, Vescovi e un Patriarca … Ai Michièl venne attribuita la fabbrica di diverse chiese, Salvador di Luca Michièl(1505) fu Procuratore delle Monache di Santa Caterina di Mazzorbo fondato dalla Beata Anna Michièl, e fu Giacomo Michièl nel 1233 a regalare ai Frati l’Isola di San Francesco del Deserto.

Già nell’estate 1051 a Rialto Vita Michièl vedova di Pietro Longo aveva consegnato a Domenico Abate di San Giorgio Maggiore una vigna in Chioggia Minore lasciata dal marito ai Monaci ... Nella primavera 1064 poi, ancora a Rialto, Badoèro Bàdoer da Spinale fideiussore e Bonofilio Michièl fecero trovare un accordo fra Giovanni Mauro Avvocato dell’Abate della Santissima Trinità di Brondolo di Chioggia e Pietro Orseolo che stavano litigando per beni fra Cèsso de Cànnas e alcune case a Cònche.

Più tardi Vitale I Michièl lasciò che fossero Pisani e Genovesi a supportare la Crociata guidata da Goffredo di Buglione non intravedendone alcun vantaggio per Venezia. Coltone in seguito la portata economica, e per non lasciare il controllo dei commerci nelle mani delle altre Repubbliche Marinare, salpò nel luglio 1099 con 207 navi guidate da suo figlio Giovanni e da Enrico Contarini Vescovo di Olivolo-Castello per supportare finalmente, ma pur sempre poco convinto, i Crocesignati del “Dio lo Vuole”.

A Rodi, strada facendo, la flotta Veneziana badò al sodo e agli interessi della Serenissima: intercettò e affondò le navi Pisane, e nella primavera seguente si diresse in Terrasanta. Lì Goffredo di Buglione, pur avendo preso Gerusalemme, era rimasto privo di aiuti di ogni sorta. Venuti a mancare Pisani e Genovesi, non gli rimase che rivolgersi ai Veneziani, che furbescamente chiesero e ottennero la possibilità di avere quartieri e fondaci in ogni territorio e città, ed esenzioni da dazi, tasse e gabelle ... Caddero quindi in successione: Haifa, Giaffa, Mira e i territori della costa Siriana… e Venezia era lì pronta: a far commercio, ad approfittare della situazione, e a prendersi e portare in Laguna di tutto e di più ... più che poteva.

Fatti analoghi al 1099 accaddero poi nel 1122, quando Domenico Michièlfinito ad assediare Tiro, sospettato di tirare per le lunghe l’assedio e di voler rientrare a mani vuote in Laguna, fece portare a terra le vele e gli attrezzi marinareschi, e rimase là finchè si completò l’opera. Partì poi per la Terrasanta con una grande flotta di 120 navi e 15.000 armati, e liberò stavolta Re Baldovino di Gerusalemme assediato dai Mussulmani. Riportò un’altra vittoria, quindi liberò le coste della Palestina, e non mancò di agevolare ulteriormente i commerci di Venezia con l’Europa ... Strada facendo mise le mani sulla Dalmazia, Corfù e Acri, e già che c’era: massacrò i Fatimidi Musulmani “tanto che il mare rimase insanguinato per due miglia” ... In cambio Re Baldovino riconoscente, concesse a San Marco e al Doge diversi territori e privilegi.

La Cronaca Barba ricorda che lo stesso Doge: “si fece edificare uno bel palazzo con un zardin in Contrà de San Zuane in Bragola in lo qual molte fiate se andava a trastullar”. Lì vi andò anche ad abitare quando nel 1129 rinunciò al Principato prima di ritirarsi a morire nel Monastero di San Giorgio Maggiore in faccia a Piazza San Marco dove venne sepolto.

L’anno dopo, il Giudice Andrea Michiel suo parente, in partenza per una missione diplomatica presso il Re d'Ungheria fece testamento. Nel documento si citano ed elencano le ingenti risorse mobili e immobili dei Michièl site a Venezia e nel Dogado. Si racconta della loro attività creditizia e di prestito, nonché dei possessi che i Michièl detenevano in Terraferma, dei debitori insolventi avevano dato loro in garanzia alcune terre, e di come i Michièl disponevano di diversi feudi fuori Venezia: ad Altino, ad esempio, di cui erano stati investiti dal Trevigiano Almerico da Carbonara dell'Ufficio di Avvocazia per l'Episcopio e dal Capitolo di Treviso. I Michièl avevano anche livelli di terre e prati ad Arzere "infra Fogolanas" presso Chioggia, ottenuti dal Monastero della Santissima Trinità di Brondolo; e un altro feudo in località Torre nel Comitato di Treviso concesso loro dagli stessi Monaci Chioggiotti.

Secondo il “Codice Diplomatico Padovano”, fino alla Pace di Costanza del 1183i Nobili Michièl di Venezia detenevano come feudo anche un’ampia area di Tessèra concessa loro dal Vescovo di Torcello… I figli del Giudice Michiel Pietro: Domenico e Marino concessero in uso il fondamento di Argere della Fogolana a Giovanni Pietro Centranico, Domenico, Steno e Leo Venier, Sambatino e Giovanni Paulo, Viviano Callicario, Leo Blanco, Domenico Bolli e Martino Orio “per due giorni annui di sale per ciascuna salina”.

Qualche anno dopo, nel 1125, l’Abate Faletro di Brondolo rinnovò la concessione agli stessi figli del Giudice Michiel del Confinio di Santa Sofia, aggiungendovi anche un prato nella stessa località presso la Vena Dolce, che di fatto era già stato dato loro “per dieci annui moggi di sale”.

I Michièl avevano case e terreni a Torcello, che diedero ad Amabile Badessa di San Giovanni Evangelista della stessa isola ... All’inizio del secolo seguente, Pietro Michièl del Confinio di San Polo con la moglie Polana donò a Viticlino Priore di San Ciprianodi Murano un manso a Pianiga… I Michièl s’imparentarono con diverse Famiglie Nobili Venete: i Da Lendinara Veronesi, ad esempio, dai quali acquisirono ulteriori beni a Zevio lungo l'Adige.

Che ve ne pare ? … e non è ancora tutto.

Vitale II Michièl, Doge dal 1156 al 1172, intervenne a Zara dopo che il Governatore Veneziano era stato cacciato da una rivolta fomentata dagli Ungheresi messi subito in fuga. Prese quindi il controllo di Dalmazia e Quarnaro mettendo i suoi figli Leonardo e Nicolò a controllare le isole di Cherso, Lussino e Arbe.  Combattè poi contro il Re d’Ungheria e Federico Barbarossa, e invase tutto il Friuli combattendo contro Ulrico di Treven Patriarca di Aquileia, che aveva distrutto la Veneziana Grado.

I Michièl con Venezia ormai avevano preso il largo … Agivano ad altissimo livello, proprio alla pari con i “grandi” dell’Europa e del Mediterraneo di allora.

Nel 1163, lo stesso Patriarca Ulrico con i suoi 12 Canonici-Prelati-Dignitari venne finalmente sconfitto e imprigionato, ma poi liberato per l'intercessione di Papa Alessandro III in cambio di un tributo annuo di 12 grossi maiali, dodici grossi pani, e un toro per il sostegno dei carcerati e del popolo meno abbiente da fornirsi l'ultimo giorno di Carnevale ... Come sapete, da quei fatti derivò la tradizione del Giovedì Grasso, e del detto “tagliar la testa al toro” intendendo la fine che si era fatta fare al Patriarca di Aquileia con i suoi Canonici.

Scoppiò poi un grande scontento in Laguna ... Non poteva andare sempre tutto dritto ai Michièl.  

Nel 1171, a Costantinopoli furono arrestati circa 10.000 Veneziani, rotti tutti i trattati, misconosciute le bolle imperiali, e i beni di Venezia, navi comprese con i loro ricchi carichi, vennero confiscati. Il Doge spedì invano una flotta, ma l'Imperatore d'Oriente aveva già stretto nuovi accordi con Pisani e Genovesi.  La flotta Veneziana finì decimata dalle armi delle altre due Repubbliche Marinare, e dalla Peste.

Non la presero bene a Venezia … Non fu un caso che il Doge Michièl venisse assassinato da Marco Casolo che lo inseguì fino a San Zaccaria durante una sommossa popolare supportata dagli Ambasciatori a Costantinopoli Ziani e Mastropiero… che divennero poi nuovi Dogi. Il Doge Michièl ammazzato aveva disposto di tutti i suoi beni per testamento, compresi i diritti di caccia e pesca in “unam piscariam que vocatur Cornium.”

Nel maggio 1249, il Conte di Zara Giovanni Michièl da Santa Sofia, Podestà anche di Torcello, insieme con Giovanni Michièl eredi di Marino, chiesero e ottennero da Filippo Fontana Vescovo di Ferrara la conferma dell’investitura a feudo con le rispettive Decime di metà di Villanova e Vigonza già goduta da loro padre ... “et hoc sine fidelitate”, cioè senza tante sottomissioni e dipendenze dal Vescovo stesso … I Nobili Michièl gestivano insomma un piccolo impero … Erano potenti, e liberi di fare un po’ alto e basso: quel che volevano.

Vi ho detto tutto questo per rendere un po’ l’idea, dire di quanto erano capaci i Nobili Michièl Veneziani. Non erano un nome da poco nel panorama Lagunare, né gente qualsiasi, o “pane da far ostie”. Erano “tanta roba: una Nobiltà da Primi della classe … Perciò qualche sfizio se lo presero, anche perché di soldi, potere, appoggi e conoscenze ne avevano più di quanto bastava.

La trista storia della Nobildonna Veneziana finita al rogo: la “Strega di Cà Michièl”, va collocata in questo contesto ... Ed è l’efferatezza spietata di quel lontano fatto che mi ha colpito oltremisura, oltre che incuriosito.

Il 6 luglio 1271, a Montona d’Istria(oggi in Croazia), Diletta moglie legittima del Podestà Veneziano Tommaso Michièl, dopo aver ampiamente confessato e confermato le pesantissime quanto inconfutabili accuse nei suoi riguardi, finì condannata dal Rappresentante Ecclesiastico e dal suo stesso marito-Podestà. Venne subito bruciata “con gran contorno di Popolo”, nella Piazzetta di San Cipriano: abituale ritrovo dei Nobili Veneziani a Montona.



Di che cosa era accusata in breve ?

Le accuse elencate nella Sentenza di condanna sono dettagliatissime e inequivocabili: Diletta, “Rea confessa” fra l’altro, non ebbe scampo.

-       “Pratiche ricorrenti di Stregoneria soprattutto nei riguardi del marito Tommaso e del cognato Marco Michièl.”

-       “Accusa d’aver mescolato Calamita nera, Ostie, Olio Santo, Latte d’Infante e sangue mestruale suo e di sua madre col cibo dei suoi uomini per far tornar l’amato e favorir la nascita di un figlio.” ... A tal proposito, era venuto a galla a dire delle Serve-Domestiche di Famiglia Michièl, che la Donna in casa aveva più e più volte abbindolato e coinvolto il marito in giochi perversi, a sua insaputa, al fine di riuscire in qualche modo a renderlo “capace” d’inseminarla efficacemente, ma anche incapace di allontanarsi da lei pur essendo “Donna Infruttuosa”.

-       “Sospetto d’aver soppresso il frutto del suo grembo, ovvero due bimbi nascituri: eredità preziosa della Famiglia, e futuro del Casato Michièl ... Di loro aveva conservato ancora i resti del cordone ombelicale per utilizzarli in qualche malefizio.”

-       “Accusa d’aver lavato il capo del marito con liscia mescolata col suo sangue mestruale, d’aver legato forbici mettendole sotto alla porta della camera nuziale, allo scopo di influire sulla fecondia coniugale.”

-       “Accusa d’aver preso resti di scarpe, di Guarnacca e di camicia del marito e del cognato, e di aver fatto confezionare con quelle dalla moglie anonima di un Tagliapietra, alcune statuette di cera da infilzare con aghi, e su cui recitare macabre allocuzioni infernali.”

-       “Era stata trovata in possesso di una zampa di Maiale, che a suo dire era solita bruciare quando c’erano complicazioni e contrasti in famiglia … Teneva anche polvere di Lucertola.”

-       “Accusa d’aver portato da Venezia una polvere bianca di Verme, che solitamente si usava per fare Malocchio contro qualcuno che si odiava ... Erano state Beatrice moglie di Alberto Dal Muro di Parenzo, e Olivia la Fornaia a consigliarla e procurargliela, catturando per lei anche alcune Lucertole.”

-       “Sempre a Parenzo, la moglie di un Ortolano che serviva il Capitano della Galea della città, le aveva procurato per 10 grossi da una facidòra un potente amuleto da portare sempre addosso sotto ai vestiti per magico scopo.”

 

Diletta (forse del Clan dei Loredan, altro Casato non da poco di Venezia) disperata, confusa e ormai rassegnata alla sua sorteammise tutto … D’altra parte che cos’altro avrebbe potuto fare ? Davanti a lei, e sotto agli occhi di tutti erano presentate le prove circostanziali inconfutabili di quanto aveva prodotto, confezionato e fatto ... Non si poteva avere dubbi al riguardo, così che “Detto fatto, si passò dal biasimare la situazione alla considerazione dei fatti, e alla ricerca di una sapiente conclusione.”

In realtà era stato tutto orchestrato e previsto in anticipo: per Diletta ci doveva essere solo la Morte, e la consumazione nelle fiamme. Non a caso era stata indotta a far testamento prima di partire per Montona.

I due fratelli Tommaso e Marco Michiel, oltre ad essere due uomini furbi e avveduti, erano anche due pezzi grossi della Politica Veneziana … Due dei tanti di allora, coprotagonisti più volte a nome della Serenissima in Terra d’Istria. I due fratelli erano Mercanti-Imprenditori ben avviati in affari, che sedevano abitualmente nel Maggior Consiglio Veneziano. Erano stati anche Ambasciatori e rappresentanti della Serenissima in giro per il Mondo, e avevano esercitato più volte come: Rettori, Podestà, Capitani in diverse Città del Dominio Veneziano di Terra e da Mar ... ed erano molto altro ancora.

Qual’era in verità il problema, l’inghippo di fondo fra Diletta e suo marito Michièl ?

Semplice … Diletta non riusciva ad avere figli, cioè a dare l’erede desiderato al marito Michièl. Nell’economia di un Nobilissimo Casato Veneziano com’era quello dei Michièl, il non riuscire a fornire al Patròn l’erede necessario era di sicuro una brutta faccenda: un vero e proprio guaio. In quei tempi e a quei livelli, molto spesso l’Amore e il Sentimento contavano ben poco. Il Matrimonio era molto spesso “un affare”, una convenienza, un patto economico, legato anche giuridicamente all’usufrutto della Dote: vero e proprio “capitale” tenuto in grande considerazione al momento della Transizione Sponsale. L’affetto era pura formalità. Se c’era: bene, se non c’era: pazienza, faceva lo stesso … Se la Donna non riusciva a partorire: l’affare era riuscito solo a metà, anzi: non c’era proprio, perché si considerava il Matrimonio solo in vista della procreazione ... cioè della garanzia del mantenimento del Capitale.

Un Matrimonio senza figli era una vistosa perdita economica oltre che una grande delusione … Per i Michièl poi, abituati a primeggiar ed ad aver tutto sempre: quella situazione era inaccettabile, corrispondeva a una cocente sconfitta, una figuraccia, oltre che al rischio di non riuscire a tramandare “la specie”, cioè preservare e difendere il Capitale del Clan Familiare … Quei figli dovevano arrivare ad ogni costo. Era ritenuto di primaria, anzi: di vitale e irrinunciabile importanza avere l’erede. Era tutto o quasi, perché era colui che si sarebbe preso cura delle sorti, e fatto carico di proseguire e garantire l’epopea e i successi della Famiglia. Averlo o non averlo non era la stessa cosa … e diciamo che una Nobildonna sposata “serviva proprio a quello”, e valeva in quanto sarebbe stata capace o no di corrispondere a quell’aspettativa.

Niente Figli quindi ? … Ahi ! Ahi ! Ahi ! … Era un bel casino, una vera disgrazia per tutta la famiglia. 

Diletta sapeva bene tutto questo … A dirlo con chiarezza, la povera Nobildonna ce l’aveva messa tutta, ed era riuscita in ben due occasioni a rimanere incinta, ma aveva perso ogni volta i figli prima della nascita … Era stata sfigata, e non poco.

Ci aveva provato, ma aveva perso e abortito due volte per un motivo o per l’altro ... Il matrimonio quindi traballava ... Si: il Michièl era un uomo, un Nobile integerrimo, onesto, amante dei Sani Principi, un rappresentante di Giustizia, però ? ... Diletta viveva in totale dipendenza da lui, e se l’avesse ripudiata e mandata via, per lei sarebbe stata la fine ... I Michièl non erano abituati agli insuccessi e a perdere. Gira e rigira, ogni situazione ed evento doveva per forza volgersi a loro favore perché così aveva decretato per loro il Destino del Cielo e del Tempo.

Diletta quindi doveva in ogni modo riuscire a rendersi propizio quel Cielo e quel Destino misterioso.

In qualche modo ? … Già … e perché no ? Anche con la Magia, visto che le Porte solite del Cielo e della Religione sembravano non volerla aiutare più di tanto fino ad allora.

Fu Frate Leonzio l’Abate amico di Famiglia, a metterci lo zampino insinuando il sospetto sulla donna, e riconoscendo “il malizioso” in quella situazione aversa di Famiglia ... Iniziò col dire che nel Casato Michièl c’era all’opera il Maligno ...  Insomma: il matrimonio non stava funzionando, non andava bene non per disgrazia, ma per un oscuro disegno del Male, che si serviva di quella Donna come biglietto da visita. Era lei la portaiella, e la fonte della negatività che incombeva sul Casato ... Lei, che di sicuro ci aveva messo del suo con l’atteggiamento, dimostrando una stima troppo esagerata per l’Astrologia, e le pratiche peggiori della Magia ... Retaggi tutti dell’antico Paganesimo, di quel Credo Antico sinonimo di Cattività, Superstizione e certa Dannazione che si doveva ad ogni costo cancellare.

Diletta era di sicuro una Strega.

In realtà non era tutta colpa della donna, perché per buona parte della sua vita, fin da giovanissima, Diletta aveva letto tutto quel che le capitava come dettato dal Destino e dal Misterioso Cielo. Era pur vero che Magia, Rimedi, Herbe, Lozioni e intrugli di Speziali, conditi con “stregonèssi, formole e gesti propiziatori” erano considerate in qualche modo un po’ “il toccasana contro ogni Male dell’esistenza”. Si credeva anche che: Spiriti, congiunzioni Astrali, Folletti, Aguane delle acque e delle fonti, e Demoni vari potessero non solo intercedere per la sfera umana, ma essere anche in grado di risolvere del tutto tante faccende e complicazioni inerenti la Vita e il fatto societario.

Per noi di oggi la cosa è un po’ risibile, ha il sapore di Favola, da burla, e da mentecatto raggiro. Per quelli di allora, invece, tutti quei contenuti erano una cosa estremamente seria, al punto tale che ci credevano e si fidavano quasi del tutto rivolgendosi a Stregoneria e dintorni, allo stesso modo in cui noi di oggi andiamo dallo Specialista, o affrontiamo una TAC, un intervento chirurgico o una Risonanza Magnetica. 

I tempi erano quelli, e da secoli si viveva del tutto immersi e dipendenti fin dalla nascita in quel tipo di Cultura … anche a Venezia.

Esisteva poi anche un altro verso della medaglia, in quanto attorno a tutte quelle credenze sia di stampo laico che di stampo Religioso, ruotava un proficuo giro di soldi che ingrassava molti. Gli “aiutini da qualunque Infero o Cielo” non erano gratuiti, così come non lo erano le megere, che non prestavano i loro servizi “gratia et amore Dei”, cioè per pura Carità e Amore disinteressato del prossimo.

La Salvezza del Corpo, e quella Eterna dello Spirito hanno sempre avuto un prezzo in ogni epoca ... salato spesso.

I Nobili quindi, più degli altri erano favoriti nell’accedere a tutti quei contenuti e rimedi psicofisici, tanto che a volte “il miracolo” tanto cercato si realizzava a seconda della tasca e della disponibilità economica di chi lo cercava. Per questo esisteva un intero mondo efficiente di Mammane, Herbarole, Streghe e Fattucchiere: c’era l’imbarazzo della scelta … e la cosa faceva dannatamente arrabbiare tutti quelli che intendevano disporre e provvedere diversamente … Chiesa in primis.

Diletta, la moglie del Michièl, non mancava di certo di risorse. Già durante la Podesteria aParenzo del cognato Marco Michièl, quando col marito l’avevano seguito per supportarlo, s‘era aggirata per il Porto per scovare e comprare “oggetti strani e rimedi”… Tutte cose, gesti e scelte altamente sospette … Anche a Venezia s’era dedicata in precedenza a cose strane, e aveva messo in atto strategie oscure nei riguardi di marito e parenti: “Magari la NobilDonna si fosse rivolta a Santi e Madonne del Cielo facendo Pie Pratiche, Donazioni e Devozioni ! … Niente.” chiosò l’Abate di Famiglia sconsolato.

A sua certificazione: il contorno di quella donna era malizioso, per non dire perverso e ticchignoso, fanatico: “Ha scelto e intrapreso la strada peggiore: quella del Peccato, dell’Eresia e dei gesti Dannati derivanti dal Maligno.”

Fanatico era lui, invece, il Dottissimo ac Reverendissimo Padre Domenicano, perché Preti e Frati andavano a nozze con quelle situazioni bramandole e cercandole, e posandosi sopra come Api sul Miele. Quando subodoravano poi l’odore dei soldi, dei privilegi, delle convenienze e del potere, vedevano il Male e il Diavolo all’opera e incarnato dappertutto. Lungo i secoli, la loro era un’immane quanto inguaribile deformazione professionale cronica. Sapevano abilmente riconoscere e individuare Streghe, Diavoli e Maligno dove in realtà non c’era niente.

L’Abate amico dei Michièl era in realtà uno dei parassiti di casa, l’amico stretto di Famiglia, che godeva di onori e cespiti attivando tutti quei suoi modi zuccherosi e melliflui carichi di ogni ambiguità e falsità ... ma di erudita Sapienza. Era stato lui a non aver dubbi sulla colpevolezza della Donna. Aveva riconosciuto il Malocchio e il Male nascosto in quell’inghippo fisico-naturale-amoroso che indossava le sembianze apparentemente gentili di Diletta:“La Donna è fonte e nasconde ogni Malvagità.”

Era stato l’Abate a soffiare di continuo sotto, dando a quella situazione quel contorno Maligno, e a sommare tutti quei connotati Giuridico-Religiosi che sarebbero stati più che utili e sufficienti per allestire il caso e il processo prima, e arrivare poi a soluzione e sentenza dopo inscenando l’opportunoRogo Purificatore.

Il non riuscire ad aver figli era “un peccato” davanti a Dio, un segno dell’azione iniqua del Maligno dentro alla Storia della Famiglia dei Michièl … Perché dubitare che non fosse così ? … E di chi era la colpa ? … Di quella “porta” attraverso la quale il Male era entrato, s’era fatto strada e radicato fra i Michièl … Diletta era colpevole di tutto.

Che poteva quindi meritare una donna così ? … Una pianta cattiva che soffocava tutto ciò che era Buono … Meritava la condanna, l’eradicazione, cioè la Morte epuratrice.

Insomma l’Abate abbindolò il Michièl ignorante in materia di Stregonerie, Diritto e Religione, ma ansioso di liberarsi di quell’ingombrante fardello. Era importante per un Nobile di successo come lui, essere a posto e in regola col Cielo e con la Terra … Quella donna con le sue deficienze in fondo lo rallentava, tarpava la sua ascesa, e gli obiettivi del Casato.

Tutti lo sapevano: le Streghe andavano arrostite spettacolarmente in Piazza a monito di chiunque. Non esisteva altra maniera per andare fuori da quella trista situazione, e cancellare del tutto i segni dell’Impero del Male che stava operando attraverso quella Donna. Erano quelle le “Linee guida” a cui s’ispirava la Società di allora.

Era di pubblico dominio però, che a Venezia certe manifestazioni crudeli dell’Inquisizione non erano benviste. Si riteneva eccessivo, arrogante e presuntuoso quello strapotere della Religione e del Papato su ogni esistenza per via delle sue Regole e delle sue Dottrine. A Venezia e in Laguna non era permesso processare, condannare e bruciare in modo incontrollato le persone in Piazza. Semmai, se proprio si doveva per opportunità e Diritto Civico e non solo Religioso, lo si doveva fare con discrezione, senza grandi clamori: strangolando qualcuno nel buio di qualche cella, o annegandolo con una pietra al collo nelle acque del Canale dell’Orfano nel silenzio dell’alba.

Certe Verità non serviva gridarle in faccia a tutti nella Contrada, o dalla cima dei tetti del Palazzo, oppure in Piazza “fra le de colonne”.

Ai Michièl quindi, serviva una tranquilla soluzione alternativa ... “fuoriporta”, a debita distanza possibilmente, fuori dal controllo diretto e dall’influenza Veneziana.

Desiderosi quindi di togliersi da tutto quell’impiccio, possibilmente guadagnandoci anche qualcosa, i Nobili Michièl e l’oscuro Abate orchestrarono la fine della donna inscenando la macabra soluzione “fuoriporta”. L’assegnazione dell’Incarico della Podesteria di Montona nel Dominio da Mar della Serenissima, giunse proprio al momento opportuno: “cadde a fagiolo”. Non ci poteva essere occasione migliore per portare a compimento quel truce progetto orchestrato contro la donna. Abate, cognato e soprattutto Marito, le prepararono un’astuta e particolareggiata trappola mortale.

La notizia dell’uccisione della donna, ovviamente volò subito a Venezia. Doge, e Magistrature dello Stato non la presero bene.Considerando la gravità dell’atto, ingiunsero a Michièl di rientrare subito in Laguna per essere arrestato, e rispondere dell’accusa di Femminicidio Uxorale.

Tommaso non si scompose, aveva i suoi piani ben chiari in mente ... Mettendo in azione il suo Avvocato di fiducia, rimase a Montona fino alla fine del suo mandato Podesteriale. L’Avvocato iniziò subito tergiversando, e dichiarando illegittima la facoltà del Doge a procedere contro il Michiel ... Il Podestà di Montona in carica godeva d’immunità in quanto rappresentante della stessa Repubblica.

Figuratevi a Venezia ! … Il Doge non si tocca, non si sminuisce: era il riassunto vivente, la personificazione di tutta la Venezianità, del Diritto e della Giustizia della Serenissima.

Tommaso Michièl, ormai libero dal peso ingombrante della Moglie-Strega, intendeva entrare in possesso delle facoltà elencate nel testamento della Morta, investirle nei Capitali di Famiglia, e proseguire così con la sua carriera e i suoi successi commerciali e mercantili.

Vinse il Michièl alla fine … Rientrato a Venezia in seguito, se la cavò con niente, e proseguì la sua esistenza impunito per quel delitto eseguito “per giusta causa”. Si risposò un’altra volta con Marchesina, che fatalità conosceva e frequentava “del tutto” già da diversi anni … A certi uomini tutto era permesso … Da lei ebbe altri tre figli-eredi, per cui il problema della successione era stato abilmente risolto.

Tommaso Michièl, infine, ricoprì un consistente numero di Cariche Pubbliche di notevole valore e prestigio: tornò ad accedere al Maggior Consiglio, fu Capitano da Mar della Flotta Veneziana, Bailo a Costantinopoli, Console ad Alessandria d’Egitto e Ambasciatore  a Veglia… Poteva bastare ?

Se ne morì impunito una quarantina d’anni dopo. 


E gli affari del Nobile Casato Michièl ?

La Storia di Venezia e dei suoi Nobili continuò a scorrere sulle acque, per terra e sotto il Nome e le Regole del Cielo … Beh: almeno sulla carta. Dopo quella squallida vicenda, la “Storia graziosa” dei Michièl continuò quasi indisturbata come se niente fosse accaduto. Anzi: agli occhi di molti i Michièl incrementarono “la bontà del loro curriculum” aggiungendovi anche il merito e il vanto d’aver saputo lottare con coraggio contro il Male e la Superstizione piovuti sul loro “sfortunato” Casato, incarnati nella figura di quell’oscura malafemmina.

Oltre che nei Palazzi sul Canal Grande e di Cannaregio, i Michièl risiedevano in Calle e Corte de Cà Michièl a San Cassian, in Corte Michièl a San Moisè, in Campo San Polo, e in Contrada di San Barnaba. Facevano anche “la Villa” fuori Venezia:a Mira Vecchia sulle rive del Brenta, a Mirano e Bassano.

Nel 1357 Andrea Paradiso Podestà di Farra e Brazza, cercò di evitare d’entrare in causa col Nobile Alvise Michiel Podestà di Lesina che aveva ucciso Marco Fontana. Infatti: il Paradiso finì col passare dalla parte della ragione a quella del torto. Venne cioè condannato, bandito a vita dal Reggimento di Farra e Brazza, multato di 200 lire, e per 5 anni escluso da ogni Carica di Governo ... Avevano vinto i Michièl: troppo forti e superiori a lui … Per natura loro: prepotenti, oltre che arrivisti, violenti, vendicativi ... e parecchio avidi … I Michièl poi non s’arrendevano mai.

Nel 1385, ad esempio, Pietro Michièl: uno dei Signori di Notte, iniziò a indagare sulla morte di uno schiavo dei fratelli Francesco e Lorenzo Venièr. I Nobili inquisiti provarono allora ad insultarlo e minacciarlo, ma lui, per niente intimidito, portò alla conclusione la vertenza facendo condannare i Venièr dai Quaranta a una multa di 100 lire ... Negli stessi anni: Pietro Paolo Michièl era Decano dei Canonici di Treviso, dopo essere già stato Vicario Generale di diversi Vescovi della stessa città ... Johannes Michièl figlio di Pietro, invece, nel 1410 fu Canonico di Santa Maria di Asolo, molestato non poco per esser riuscito a impossessarsi di quel fruttuoso Beneficio: “Non mollò la preda di un millimetro” ... Nel 1449 Marco Michièl fu Piovano dell’Anzolo Raffaele: “Contrada e Parrocchia miserevole, ma pur sempre meglio che niente, posta sull’imbocco strategico di una delle Porte Mercantili di Venezia.”… Dieci anni dopo Antonio Michièl si fece eleggere Piovano di San Pantalòn poco distante, mentre Leonardo Michièl divenne Piovano di San Giovanni in Bragora dall’altra parte della Città ... Non era tanto la Devotio e la Fede a spingere i Nobili Michièl a diventare Preti-Piovani, ma l’intenzione di occupare posizioni strategiche dentro al tessuto urbano Veneziano. Chi meglio dei Preti-Piovani poteva conoscere la gente, gli affari di tutti, e godere di appoggi, contatti e conoscenze che potevano tornare utili alle economie di Famiglia ? ... Non a caso l’ex Piovano Michièl della Bragora andò a morire da Mercante ad Alessandria d’Egitto.

Una decina d’anni dopo ancora: il Nobile Giacomo Davanzago ex Capo Sestiere di San Polo corse in soccorso con dei compari di due sue amiche Prostitute attive nella zona di Rialto. I Signori di Notte le avevano sottoposte a sfratto esecutivo da una casa in Corte della Pasina a Sant’Aponal di proprietà del NobilHomo Federico Michièl. Il Davanzago alterato andò in faccia al Michièl con la spada strappandogli di mano le chiavi della casa, che ridiede alle due donne ... Pessima scelta: venne processato e condannato a interdizione perpetua dall’Ufficio, e a pagare una multa di 100 lire ... Alle donne fu confermato lo sfratto.

Nel 1401 il Nobile Valerio Zen venne condannato per un anno nei pozzi “per aver avuto di notte commercio con Lucia Tartara serva di Ser Luca Michièl” ... Se il Michiel non intendeva riprendersi “la schiava usata”, lo Zen avrebbe dovuto rifondergli cento ducati d’oro tenendosi la serva. Qualora, invece: il Michièl l’avesse riaccolta indietro, Zen avrebbe dovuto pagargli solo cinquanta ducati.

Nello stesso anno: Antonio Michièl aveva licenza esclusiva di condurre Pellegrini al Santo Sepolcro in TerraSanta ... Quattro anni dopo, il Nobile Bartolomeo Michièl in società col Bechèr Jacopo Marcellin si comprò tutta Noventa “ex Gastaldia dei Carraresi”Nel 1431, Nicolò Michièl era Ufficiale di bordo con Cristofalo Fioravante di una spedizione carica di Spezie guidata da Pietro Querini. Partiti da Creta per le Fiandre con 68 marinai, fece naufragio al largo della Norvegia. Gli undici sopravvissuti approdarono nell'isola di Rost nell'Arcipelago delle Lofoten, portando poi a Venezia il tradizionale Baccalà di cui fecero amplissimo commercio.

Nel 1440 Alvise Michièl si dichiarò disponibile a far da Sopracomito del Lago di Garda per la Serenissima, ma non intendeva per questo trascurare gli affari di famiglia che gestiva un po’ ovunque … Il Senato Veneziano, solitamente poco accondiscendente, gli permise, invece, di andare e tornare liberamente dalla Laguna e dalla Capitale senza chiedere nessun permesso. Questo per dire di quanta stima godevano i Nobili Michièl a Venezia, e di quanto fosse apprezzata la loro competenza e forza politico-economica ... Nel 1470-1482 dal Libro Mastro dello stesso Alvise Michièl si evince che il prezzo del commercio del pepe proveniente dal Levante a Venezia si aggirava sui 53-79 ducati a cargo. Presto il prezzo sarebbe precipitato fino a 49 ducati a cargo ... Chi c’era lì ad approfittarne fino all’ultimo ?

Nel 1477 Antonio Michièl, pur essendo Nobile, ricorse a un prestito a lungo termine dalla Signoria per costruirsi un nuovo palazzo, mentre nel 1499 Vettor Michièl Capitano d’Alessandria, rifiutò di recarsi come Provveditore in Albania contro i Turchi perché doveva badare agli affari suoi.

Come si può leggere nelle note del “Libro dei Conti di Jacopo Bàdoer”fra 1436-39, i Michiel in quegli anni erano davvero grandi e affermati Mercanti. Circa l’anno 1436 si legge:“Pani vervi bale 2 dixe esser peze 41 in questi colori: zelestrini 16, paonazzi scuri 14, verdi color 4, verde gaio 2, fereti 3, negri 2, de raxon de Ser Piero Michiel e Ser Marin Barbo, recevuti per le Galie Chapetanio Ser Piero Chontarini…diè dar a di 4 settembre per spese…perperi 2545…carati 81.” … e ancora: “Stagni fasi 22 de raxon de Ser Piero Michiel fo de Ser Lucha recevudi per le sorascritte Galee…dixe però a Venexia livre 4.800, diè dar a die 4 settembre per spese de marchandia…perperi 1217 x carati 21.”… e dopo ancora dopo ancora: “Ser Piero Michiel do de Ser Lucha die dar per Garofai de son raxon per 303 perperi…carghati in Galia Mora…di dito per inzensi de so raxon…per 96 perperi…per  un cambio fatto chon Ser Alessandro Zen de Ser Piero pe ducati 70 mandati a ricever per la Galia Chapetanio Ser Piero Chontarini per 215 perperi…per 10 pani di Zera Zagona de so raxon…e per un resto per 11 perperi del 7 dicembre assegnatogli per via de Modon per la Nave Patron Todaro Vatazi…per un totale di 1.166 perperi.”

Alla pagina dell’anno seguente: “Pani de Grana fina baleta, dixe esser peze 4 de raxon de Ser Piero Michiel e Ser Antonio da la Cholona recevuti per le presepente Galie…diè dar a di 4 settembre per spese di merchandia…perperi 638 x carati 15.”… “ Chuori de Bo saladi de raxon de Ser Piero Michiel e chompagni diè dar 14 settembre per Ser Ferigo Contarini per l’ammontar de chuori 136 attraverso il senser Antonio Portonari…per spexe marchandia e mia provision…per 230 perperi in carati 15.”

Due anni dopo ancora:“Piper de raxon de Misier Piero Michiel e Ser Marin Barbo diè dar a di 30 dicembre per Elia Flaflama Zudio per l’ammontar de pondi 4 de piper, pexa cantara de sachi…tara de polvere…spese de merchandia…chamali et barcha…boleta…senser…hostelazo…provixion….perperi 457 x carati 10.”

I Michièl s’erano comprati dai Nobili Zen, che a loro volta l’avevano rilevata dai Grimani, la (Cà) Palazzo-Fondaco “delle Colonne” a Cannaregio … Durante il 1500, originalissimo, rinomatissimo e prezioso era l’Orto dei Semplici di San Trovaso dall’altra parte di Venezia, proprietà di Pier Antonio Michièl(Venezia da sola contava più Orti Botanici che l’Italia intera: almeno 24, mentre altri 8 erano siti a Padova, 50 nel Veneto intero).

Nel 1501 i quattro figli di Alvise Michièl “eroe morto contro i Turchi a Modone”, ricevettero per 15 anni dalla Serenissima la Castellania di Mestre valutata 200 ducati annui, e l’anno seguente Michièl e Gradenigo subentrano nella proprietà del Monastero di Santa Maria in Organo di Verona, che gestiva terre boschive e paludose bonificate ex patrimonio dei Dal Verme… Qualche anno dopo, Leonardo Michièl fece costruire un edificio con 3 folli da panni a Nove, dove l’Arte della Lana di Bassano aveva spostato le sue Gualchiere, come a Cittadella e Galliera, in concorrenza con l’Arte della Lana di Padova ... Avevano sempre l’intuizione giusta degli affari i Nobili Michièl: “sapevano fiutarli nell’aria, precorrendone successi e guadagni”.

Nel 1521: Nicolò Michièl che aveva figlie e sorelle nel Monastero di San Zaccaria, prese la parola davanti al Doge sottolineando come le Monache Conventuali e i loro parenti avessero fatto grandi investimenti in denaro per finanziare lavori di trasformazione di alcune aree del Convento come il Refettorio, da cui al momento si sentivano espropriati. Il Doge provvide al riguardo ridando al Monastero “i giusti equilibri” … cioè quelli dovuti ai Michièl … Quattro anni dopo, invece, il Diarista Marcantonio Michièl venne espulso dal Maggior Consiglio per un anno per atti di violenza nei confronti di un parente dovuti al conseguimento di un’eredità. I Michièl erano poco disposti a spartire … Nella primavera dell’anno seguente, racconta il puntuale Diarista Marin Sanudo: il Patrizio Andrea Michièl sposò “Cornelia Grifo, vedoa meretrice somptuosa e bellissima … ex mantenuta da altri due nobili, la quale aveva portato in dote migliaia di ducati …. et fu le nozze nel Monasterio di San Zuàn de Torcello, che è stata gran vergogna alla Nobiltà Veneta.”

I Michièl, come altri Nobili Veneziani perdevano il pelo ma non il vizio, non cambiavano mai, e si permettevano sempre di tutto … Dei veri e propri “intoccabili”.

Nel luglio 1527 accadde uno storico “terremoto” all’interno della Nobiltà Veneziana ... A quattro Consiglieri Ducali: Benedetto Dolfin, Antonio Gradenigo, Francesco Marcello, e guardacaso Alvise Michièl, venne in mente d’avanzare la proposta di legge di far partecipare al Maggior Consiglio un unico rappresentante per ogni Nobile Casato Veneziano, a prescindere dal numero dei membri che il casato vantava. Tutti i Nobili sarebbero stati parificati, coagulati ciascuno in un'unica persona di rappresentanza con un unico voto a disposizione. Ne avrebbero rimesso ovviamente quei Casati più numerosi abituati a prevalere sugli altri per via del numero dei presenti e dei candidati.

Scoppiò allora un’immane preoccupazione e un’ansia generalizzata dell’intera Nobiltà, con uno scompiglio che giunse a coinvolgere l’intera classe. Tutti i Nobili si precipitarono in massa a Palazzo Ducale per votare contro quella pericolosissima mozione. Accadde l’inverosimile: votazioni con voti superiori al numero dei presenti, contrapposizioni incazzatissime col Doge, scontri fra Senatori, Consiglieri e Casati … Si andò avanti con le discussioni e con i voti per 17 giorni, indicendo ben 6 riunioni plenarie del Maggior Consiglio, che raggiunse partecipazioni eccezionali quasi mai viste. Si presentarono a discutere e votare più di 1.700 Patrizi, compresi certi Nobili mai visti, e almeno 46 Nobili assenti in Consiglio da almeno 20 anni, c’era anche Marino Pisani Capo della Quarantia che non frequentava mai … Nel Senato, ad esempio, partecipavano solitamente 180 Senatori su 300 membri di diritto ... Fu perfino portato a votare in barella Ser Francesco Marcello che giaceva infermo e malato in casa da anni … Si contarono 15 Contarini sui 176 che formavano il Casato, 20 Morosini in rappresentanza di 102 individui, e i rappresentanti di almeno 134 Clan Nobiliari diversi … Le 19 “Case Grandi” contavano più di 40 individui ciascuna, formando da sole il 45% dell’intero Patriziato Veneziano… La proposta alla fine venne finalmente bocciata in maniera liberatoria, con 914 voti contro, 789 a favore, 3 astenuti e 4 voti “non sinceri”… Tutto rimase quindi come prima, e buona parte della Nobiltà tirò un profondo sospiro di sollievo.

C’erano in ballo le ambitissime Cariche di Governo della Città e dello Stato spesso riservate “ai Primi”, ma anche altre 150 Cariche da occupare nella sola Terraferma, ed altrettante nei Domini da Mar … Immaginatevi quali e quante ricchezze e affari appetibilissimi c’erano in quel momento d’incertezza sul piatto dell’invisibile bilancia della Repubblica Serenissima.

Questo scenario non ricorda forse quello degli intoccabili vitalizi dei nostri Politici e Parlamentari di oggi ? … Sono trascorsi secoli, ma l’uomo rimane uguale: non fa mai tesoro di quanto succede.

Giovanni Michièl fu Ambasciatore a Londra, in Siria, presso l’Imperatore, a Firenze, e più volte a Parigi; Melchiorre Michièl a Roma, e Pietro Michièl in Siria … Verso fine maggio 1574, nel Capitolo convocato dalla Badessa Ludovica Morosini del Monastero di Santa Caterina di Mazzorbo succeduta a Benedetta Michièl, erano presenti 28 Monache Corali e diverse Monache Converse ... Fra le Nobil Corali c’erano: Michela, Marina, Chiara, Benedetta, Regina e Clemenzia: tutteMaDonne Nobili di Cà Michièl ... Quattro anni dopo,il Consiglio dei Dieci processò e condannò Alvise Michièl Vescovo di Spalato per essersi appropriato di un’eredità di cui doveva essere solo esecutore testamentario. Intervenne Papa Gregorio XIII in persona presso la Serenissima, ottenendo la sospensione del processo e la cancellazione della condanna: “Non è accaduto niente.” si disse … anche se nella realtà dei fatti il Michièl la pingue eredità se l’era per davvero presa ... I Michièl avevano vinto ancora, continuavano quasi sempre ad aver ragione in un modo o nell’altro.

Nel 1580-81: Giovanni Michièl Rettore di Cefalonia relazionò la Serenissima sulle entrate della Camera Fiscale dell’isola, che esclusa la “Nuova Imposta” assommavano pressappoco a 27.000 ducati ... Una ventina d’anni dopo circa, toccò a Maffio Michièl Rettore dell’Isola di Zante di relazionare a Venezia sulle Entrate della Camera Fiscale esclusa la “Nuova Imposta”. Riferì che a Zante si erano raccolti 19.000 ducati per la Serenissima ... In quegli stessi anni: Luca Michièl integrò ulteriormente il patrimonio di Cà Michièl comprando 69 campi di terra a Meolo, e tre anni dopo se ne comprò altri undici.

Nel 1658 il Nobile Valerio Michièl fece scavare la “Roggia Michièla sul Brenta”, che dal Brenta andava a sud di Cartigliano, e riconfluiva a Tezze dopo essere passata per Santa Croce Bigolina bagnando e servendo … guarda caso … buona parte delle terre dei Michièl ... Nel 1670: Francesco Michièl, già Ambasciatore presso il Principe di Savoia, a Parigi e nei Paesi Bassi, come da tradizione di Famiglia, morendo lasciò per testamento un bel gruzzolo di annui ducati 20 a favore dei Preti di San Barnaba a Venezia. In cambio gli dovevano celebrare “una valanga di Messe” in Suffragio per la Salvezza Eterna sua e del Nobile Casato dei Michièl … Stessa cosa accadde anche con Giacomo Michièl qualche anno dopo, in quanto lasciò altri 90 ducati con lo stesso scopo, e a favore degli stessi Preti … Si andò così avanti a riscuotere e celebrare fino a tutto il 1758, quando vennero tagliati i fondi, e perciò: basta Esequiali e preghiere ... Ogni cosa ha il suo dovuto prezzo.

A inizio 1700, quando a Dolo sull’alveo principale del Brenta giravano 12 ruote “da cereali”, e altre 4 giravano sul Brentòn, sul Rio Serraglio di Mira c’erano 2 molini a 6 ruote di proprietà Michièl. Nell’arzilla e mai sazia mente dei sempre aitanti Nobili Michièl, frullava ancora, incredibilmente dopo secoli, la smania dei figli e degli eredi per prolungare … forse in Eterno, e nei secoli dei secoli … il lustro e le fortune del Casato:“Fondate relazioni riferivano che Alvise Michièl del Ramo dei Santi Apostoli, stava per sposare Maddalena Veronica: forestiera della Contrada di San Marciliàn ... Venne sfrattata entro 24 ore da Città e Dominio dagli Inquisitori: “E’ in gioco il dishonore del Carattere Patrizio con obbrobrio alla Veneta Nobiltà.” si disse … Alla fine il Michièl non riuscì a sposarsi, ma si verificò più volte che la giovane non se n’era andata mai da Venezia, ma si era rifugiata in una casa vicina all’Ambasciatore di Francia. Venne perciò arrestata il 4 marzo 1702, e liberata solo dopo 6 mesi di camerotto ... Il 6 marzo dello stesso anno 1702, si sfrattò anche il Servitore del Michièl: Ippolito Gardi, che l’aveva aiutata a ripararsi ... mentre il Nobile Michièl ? … Rimase ovviamente libero a inseguire i disegni sulla futura sorte della prole del suo Superbo, quanto sognato Eterno Casato.”

Ancora e infine nel 1725: un Nobile Michièl era Podestà di Rovigo, e quarant’anni dopo, e fino allo “scadere ultimissimo” della Repubblica Veneziana un Angelo Marino Michièl prima, e un Mattio Michièl-Soranzo dopo, facevano parte della turnazione dei 25 Segretari del Senato della Serenissima, che si occupava di pratiche e sedute dei“Deputati della Serenissima Signoria, di Vienna, e del Commissario ai Confini”… Il Potere logora gli uomini: è vero … ma mai abbastanza.

E il ricordo di Diletta  ? … quell’antica moglie, DonnaMadonna dei Michièl ?


Chi ? … Sssss ! … Lascia stare ! … Lascia perdere !

Niente … Roba vecchia del passato, un incidente increscioso di percorso, una maledizione piovuta inopportuna dal Cielo sul Casato, anzi: schizzata fuori dall’Inferno: “Un brutto scherzo del Destino piovuto addosso ai poveri Michièl.”

La “Strega dei Michièl” in tutto quell’immane bailame e sovrapporsi e susseguirsi di cariche, eventi, investimenti, ricchezze e potere, fu sempre e solo una pallidissima memoria quasi trasparente ingoiata dal dimenticatoio senza fondo della Storia del Nobile Casato Veneziano.

Si trattò, invece, di un tristissimo quanto efferato, gratuito femminicidio Veneziano alle porte del 1300 … Rimasto impunito, insabbiato, dimenticato e nascosto… Un po’ come accade a volte ancora oggi, anche se sono trascorsi secoli.

Lo so … Si è imparato poco o niente dalla Storia, anche pur non essendoci più il delitto di Stregoneria.

 

“Sante Patacche” … e la “Domenica di Lazzaro” ai Frari.

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#unacuriositàvenezianapervolta 323

“Sante Patacche” … e la “Domenica di Lazzaro” ai Frari.

Non so dirvi se sia stato perché non sapevano riconoscere e distinguere i segni-sintomi, e i meccanismi reconditi dei danni degli accidenti Neurologici, delle Epilessie, delle  Convulsioni, Autismo, Morbo di Parkinson, Pazzia, dei mille ritardi e deficit congeniti insiti alla nascita, l’Esaurimento Nervoso, o le dinamiche biochimiche del Panico o di una banale crisi d’Ansia … Sta di fatto, che nei secoli andati a Venezia e in Laguna, così come accadeva spesso altrove, quasi tutti erano convinti che quel genere di persone fossero degli Indemoniati-Ossessi, cioè dei posseduti da misteriosi Spiriti Maligni.

Povera gente ! … Quanto è stata strapazzata e smanacciata inutilmente. E che impressione fa pensare a quella piccola folla di genitori, familiari e amici, che andarono per buona parte della loro vita in giro a caccia di qualcosa e qualcuno che fosse in grado di risollevare o sanare almeno la loro situazione sfortunata.

A pensarci bene … Non è che oggi le cose si siano risolte del tutto.

Allora, insomma, si provava con qualche Herba o Rimedio da Spezieria a quietare gli interessati, li si minacciava o ammansiva anche con qualche botta, ma quando le cose si facevano complicate, e si cronicizzavano, la faccenda diventava sempre un grosso guaio, e non sapendo più dove andare a sbattere la testa per uscirne fuori almeno un poco, ci si rivolgeva a chiunque si trovava, che avesse un “qualcosa” di utile da proporre.

Come sempre, quelli che potevano permetterselo spedivano quei “casi clinici d’indemoniati ai Pazzerelli”, o molto più comodamente li rinchiudevano in qualche Ospizio, o in qualche Isola-Monastero della Laguna o della Terraferma dove non potessero nuocere a se stessi e a terzi. Li facevano, insomma, piano piano sparire dalla vista di tutti togliendoli dalla situazione sociale. A volte, i facoltosi e furbi Nobili Veneziani usavano la stessa tecnica e soluzione anche per togliere dalla circolazione certe loro mogli che non volevano più tenere con se. Le rinchiudevano “fuori mano” con la connivenza prezzolata di qualche Monaca, Priore, Badessa o Istituzione, e il gioco era fatto. Certe povere donne blasonate finirono i loro giorni segregate a gridare inutilmente al vento, o annegarono misteriosamente in Laguna in un solo metro d’acqua di profondità.

A Venezia però, come altrove, la maggior parte di quei così detti “Indemoniati o Ossessi” rimaneva a domicilio seguita e contenuta in qualche modo dalle attenzioni di amici e familiari. Ricordo ancora in tempi recentissimi, nel 1985-87, una madre vedova della Parrocchia in cui fungevo da Prete a Venezia, che teneva in casa da sempre un figlio “un po’ così”. Quasi nessuno manco sapeva che lui esistesse. Quando per qualche motivo, qualche raro estraneo/a riusciva ad andare per casa, “la creatura” correva sempre a nascondersi dentro all’armadio o sotto al letto … come fanno i Gatti di solito … Hanno vissuto così insieme quasi l’intera esistenza, senza mostrare mai d’aver bisogno di nessuno, e sicuramente senza bistrattare quel “figlio del Demonio” ... Così la madre lo definì davanti a me. Per fortuna “sorte ha voluto” che quel “figlio speciale della sfortuna” morisse in casa prima di sua madre ... Almeno questo gli risparmiò il suo destino crudele.

Tornando ai tempi andati di Venezia, almeno a una parte di quel particolare genere di persone veniva lasciata aperta la porta di casa, lasciandole andare libere per strada. Potete immaginare che cosa poteva succedere quando fluivano liberamente in giro con i loro limiti e le loro compromissioni. Ne sono capitate di tutti i colori ... andate pure a spulciare le pagine delle vecchie Cronache.

Solo ogni tanto, quanto si raggiungeva o oltrepassava l’eccesso e il comune “buon senso”, e non si riusciva più a contenere gli effetti di qualche provocazione o esuberante eccitazione degli interessati, ci correva allora a rinchiuderli provvisoriamente nelle Prigioni Sestierali, o li si sottoponeva a forza a qualche laborioso e misterioso Esorcismo. Si era più che convinti, che la Provvidenza del Cielo potesse finalmente, magari per ultima, rimediar qualcosa, così da donare a tutti una qualche provvisoria stagione di quiete.

Come sapete meglio di me, tutte le Religioni indistintamente non hanno mai disdegnato d’assumere e interpretare questo ruolo di “guaritrici miracolose”. Dove ogni volta terminavano le normali capacità umane d’intervenire e tamponare le situazioni, si attivava e interveniva il Sacro, che miracolosamente di solito, forniva una sua soluzione più o meno efficace o temporanea ... A pagamento s’intende … Nessuno da mai niente per niente:“ogni cosa ha il suo prezzo”… E si finiva per destreggiarsi fra ciarlatani, Esorcisti e Sciamani di turno.

 A Venezia in modo particolare la Chiesa Cattolica-Cristiana per secoli ha ricoperto questo ruolo. Il contatto diretto col Mistero le conferiva “di Diritto” la facoltà d‘intervenire per provare a sanare quasi ogni situazione.

Come ? … Al “modo preteresco, frateresco ed Ecclesiastico”, cioè a base d’Esorcismi, Benedizioni, imposizioni di Sacrosantissime Reliquie, Novene e preghiere, Unzioni degli Infermi, e acuti discorsi corroboranti somministrati da parte di Preti, Frati e Piovani autorizzati e più che convinti d’avere in tasca quel “quid in più” che risolveva tutto. In ogni Isola e Contrada Veneziana allora, mettevano mano su ogni inghippo familiare e personale del vivere … In cambio di qualcosa s’intende: “Neanche il Cane muove la coda solo per affetto”.

Le Cronache Veneziane di un tempo sono punteggiate di episodi, aneddoti e storie d’Indemoniati e Ossessi che giravano esagitati per Calli e Campielli, e venivano spesso trascinati a forza nelle chiese al cospetto degli “Esperti della Religione” sempre pronti a farsene carico con opportune trovate. In giro per Venezia c’erano alcune chiese più quotate delle altre: San Lio, Santa Maria Formosa, Santi Giovanni e Paolo, i Frari, Santo Stefano, San Fantin, a San Francesco della Vigna, a Santa Croce della Giudecca, e i Carmini: dove i misteriosi poteri e la fama di Frati Esorcisti Forèsti sopra valevano e facevano grande concorrenza agli altri. Nel 1500, ad esempio, i Frati di San Giobbe di Cannaregio riconosciutisi incapaci d’intervenire su certi casi complicati, fecero riferimento proprio ai Frati dei Carmini di Campo Santa Margherita a Dorsoduro. Anche un famoso e capace Ebreo Esorcista del Ghetto non essendo riuscito a risolvere un caso di certi popolani di Cannaregio, finì con l’indirizzarli dai “bravi Padri dei Carmini” ... A Santo Stefano poi una volta, un Esorcismo mal condotto in chiesa finì in rissa, e ci scapparono perfino morti e feriti ... Ci sono state tante curiosissime storie di storie a Venezia.

A tal proposito, c’è da aggiungere che Venezia è stata ben di più. Per l’ingente quantità di “strepitose e uniche SacroSante Reliquie” che possedeva, e per le imitazioni fedelissime in scala di certi luoghi della Terrasanta, è stata considerata a lungo come una specie di “Nuova Gerusalemme”, così “efficiente, somigliante ed efficace” da sostituire quasi quell’autentica d’oltremare in Palestina. Non esagero nel dire, ci sono numerosi documenti al riguardo a disposizione, che diversi Pellegrini diretti in Terraferma, giunti a Venezia, trovavano tutto quanto anelavano di trovare in Indulgenze, Feste, Penitenze, Assoluzioni, Sante Reliquie, Carità ed Espiazioni e quanto altro, che se ne tornavano in Patria convinti d’aver assolto del tutto al loro Voto di Pellegrinaggio per il quale erano partiti.

Finiva per davvero che col “bottino” raccolto a Venezia, ad esempio, durante la Festa della Sensa in Piazza San Marco, si potesse rientrare in Patria appagati e certificati di tutto quanto serviva per guadagnarsi “Espiazione e Salvezza” ... Perché proseguire ancora oltremare rischiando borsa e pelle ? … Venezia bastava: era più che sufficiente.

Venezia Terra di San Marco è stata considerata per secoli come una Seconda Roma: “una Porta Speciale socchiusa, o forse spalancata sul Cielo, capace per davvero di regalare grandi Miracoli”. Convinti più di tutti di questo erano ovviamente gli stessi Veneziani.

In Laguna in Riva degli Schiavoni, ad esempio, giusto sul Molo di San Marco dove s’imbarcavano solitamente i Pellegrini, esisteva un Santo Sepolcro in miniatura con tanto di grotta sotterranea al centro del Chiostro delle Monache del Santo Sepolcro. La visita al Santo Luogo del Sepolcro corrispondeva in tutto e per tutto “negli effetti” a quella effettuata in Terrasanta. E non è tutto … C’erano un po’ ovunque sparsi in giro per tutta Venezia e la Laguna mille luoghi affini e complementari che scandivano notte e giorno la “memoria della Passio Christi” quasi rinnovandone di continuo l’accadimento ... Un buon numero di Schole Grandi e Piccole era capace di rievocare di continuo il “mistico accadimento di quei Giorni Santi” accontentando così qualsiasi attesa e aspettativa di qualsiasi Devotio Spirituale.

E non era solo “roba da bigotti e da chiese” tutto quel diffuso sommovimento, perché pure lo Stato Serenissimo patrocinava e partecipava alla grande, anzi: alla grandissima a tutti quegli eventi, facendo proprio quell’anelito interiore ed esistenziale comune... che furbescamente e quasi altrettanto miracolosamente si poteva tradurre in utili economie.

Tutta Venezia era un immane bazar di Misteri e Soluzioni che calamitava tanti da tutto il Mediterraneo, dall’Europa, dall’Oriente e dal Mondo intero di allora.

Di tutto ciò, trasformato in consueta e tipica Tradizione Veneziana, rimasero numerose quanto vistose tracce anche nelle rappresentazioni dell’Arte Veneziana. A titolo d’esempio: avete presente la serie dei nove teleri raffiguranti “i Miracoli della Vera Croce”, realizzati fra 1494 e 1501 da dei grandissimi pittori: Vittore Carpaccio, Giovanni Bellini, Lazzaro Bastiani, Benedetto Diana, Giovanni Mansueti e Pietro Perugino per la Schola Grande di San Giovanni Evangelista di San Polo ?

Sono uno stupendo quanto gradevole insieme artistico che illustra e riassume benissimo una, e una soltanto, di quelle celebrazioni e ricorrenze e aspirazioni tipiche di Venezia. Erano ogni volta degli annuali eventi che coinvolgevano e aggregavano molti Veneziani di ogni categoria attorno “al fatto religioso”, e c’era in quella stessa occasione anche la possibilità non disdegnabile d’assistere “strada facendo” a qualche strepitoso “miracolo risanatore” ... che non mancava quasi mai.

Nella fattispecie, i dipinti facevano riferimento all’annuale Pellegrinaggio Votivo che si celebrava coinvolgendo moltissimi Veneziani, la Signoria, i Nobili, il Clero, il Doge, le Arti e le Schole attraversando mezza Venezia. Per antica tradizione si partiva dalla Schola Grande di San Giovanni Evangelista, e dopo aver seguito un lungo percorso attraversando anche il Ponte del Quarterolo, cioè di Rialto, si finiva col passare per Piazza San Marco, e ci si recava infine alla chiesa contradariale di San Lio:“luogo primo” dov’era sorta quella Festa-Devozione in quanto lì era stata accolta a Venezia la Santissima Reliquia della Vera Croce. La solenne manifestazione pubblica con “grandissimo concorso di Popolo” durava ore e ore, e si procrastinava poi lungo lo stesso itinerario percorso a ritroso.

Come dicevo, secondo una sapiente regia dell’evento, di solito non mancavano quasi mai “i miracoli”. E quel che è singolare, è che accadevano per strada dentro al tessuto urbano di Venezia, dove accadeva la quotidianità più tipica del lavoro, dei rapporti sociali, e delle manifestazioni uniche della loro esistenza. La Santa Reliquiadella Vera Croce di volta in volta: finiva in Canale recuperata da “Sante Persone Degne”, o entrava in azione guarendo qualche“Ossesso-Indemoniato” strada facendo, o risolvendo qualche complicata situazione ... e molto altro ancora.

La serie dei bellissimi dipinti evidenzia e riassume benissimo con quale pompa magna e assiduità i Confratelli e i Veneziani partecipavano di volta in volta a quell’evento. Venezia era sempre il “contenitore adatto” perché potessero succedere quei prestigiosissimi quanto eclatanti “Miracoli”.

Provate ad andare a posare lo sguardo su quei stupendi dipinti oggi raccolti (otto su nove) nelle Gallerie dell’Accademia. Oltre a gustarvi l’occhio guardandoli, potrete comprendere meglio ciò di cui vi sto dicendo … Sono bellissimi.

Lazzaro Bastiani, ha dipinto l’iniziale Offerta della Reliquia della Vera Croce ai Confratelli della Scuola Grande di San Giovanni Evangelistada parte di Filippo di Mezièrs Gran Cancelliere di Ciproe Gerusalemmenel 1369 ...Protagonista, invece, di una “Guarigione miracolosa” avvenuta durante l’annuale percorso, fu, ad esempio: il Patriarca di Grado Francesco Querini che abitava in un Palazzo in Riva del Vin in Contrada di San Silvestro, giusto a due passi dal Ponte di Rialto, dalla Locanda “allo Storione”, e al Fontego dei Tedeschi.

L’episodio è stato abilmente rappresentato da Vittore Carpaccio.

Giovanni Bellini, invece, ha dipinto in modo mirabile nel 1496 “l’attraversamento di Piazza San Marco della solenne Processione della Vera Croce” avvenuto il 25 aprile 1444. Anche in quell’occasione avvenne un altro “prodigio miracoloso”, cioè la guarigione immediata del figlio di un Mercante Bresciano Jacopo de' Salis, che si era rivolto alla Reliquia mentre passava trasportata a spalla dai Confratelli di San Giovanni.

Lo stesso Bellini dipinse poi nel 1500: “il Miracolo della Vera Croce caduta nel Canale di San Lorenzo e recuperata dal Guardian Grande della Schola di San Giovanni”.

Giovanni Mansueti, ancora, ha dipinto: “il Miracolo della Reliquia della Vera Croce accaduto in Campo San Lio”: capolinea della solenne e magnetica Processione della Vera Croce ...e avanti così.

A Venezia poi come dicevo, non c’era solo la Vera Croce ... Nella Capitale dei Veneziani non mancava niente, c’era qualsiasi cosa a iosa, tutto ciò che poteva interessare ed essere utile ai Pellegrini perché la loro fosse “una tappa indimenticabile” del loro Pellegrinare … la migliore.

Venezia letteralmente: brulicava di chiese, Conventi e Monasteri ad ogni angolo, e tutte erano ricolme di Preti, Frati e Monache disposti di continuo a celebrare, ospitare e fornire Indulgenze, Confessioni e Sacre Funzioni. Venezia era davvero “una Città di miraggi”, e appunto di Miracoli strepitosi ... Quel Leone alato di San Marco era davvero opportunista e capace di volare alto su tutto e più di tutti. Andava alto perfino sopra i Turchi Infedeli, e si alzava furbo anche più del Papa e dei Re d’Europa, che lasciava andare avanti per primi, mentre Venezia Serenissima si schierava in seconda fila in perpetua attesa, ma prontissima a intervenire a proprio vantaggio.

Venezia, insomma, procedeva sempre a testa alta, capace anche di affrontare trattare qualsiasi Nemico del Corpo e dello Spirito… anche fino a farselo ogni tanto Amico (vedi i Turchi) secondo l’opportunità del momento.

Mi ha sempre affascinato questo opportunismo di Venezia.

I Veneziani si rispecchiavano e riconoscevano nella grande Storia di Storie dei Misteri della Passione e della Croce Cristiana, ma sapeva anche condurre quell’interesse a proprio vantaggio. Nell’immagine terminale e mortuaria della Croce, i Veneziani hanno letto per secoli non solo la sintesi della vittoria del Bene su un Male Storico Superiore, ma anche l’espressione della loro possibile vittoria “spicciola” su quelli che erano i loro personali mali e limiti quotidiani, sociali e politici. Nella vittoria del Risorto sul Crocifisso, ciascun Veneziano riconosceva la propria personale possibilità di liberarsi e redimersi da qualsiasi Male dell’Animo e del Corpo e della Storia.

Pensate per un attimo al Tempio del Redentore della Giudecca, o alla Basilica della Madonna della Salute… I Veneziani con in primis il loro Doge in ginocchio e col cappello dorato messo per terra, mostravano fermamente di credere che poteva accadere il “Miracolo” dell’Emancipazione dal Male della Peste… Quella Storia di Miracoli Lagunari continuava sempre insomma.

E non erano pochi a credere in quella cosa, ma tanti: giovani e vecchi, uomini e donne, bambini, fanciulli e giovinetti, Forestieri, Atei, e Pagani, poveri o Nobili, lavoratori e nullafacenti, malati e sani, erano tutti presenti in Laguna intenti a partecipare “immagati e coinvolti” in quelle spettacoli Devozioni.

Venezia pareva sempre pervasa da quel continuo far riferimento a quel genere di contenuti. Sembrava quasi una febbre inguaribile, un’eccitazione che non trovava mai sosta, che si esprimeva ovunque. Oltre agli spettacolari Cortei Processionali, non c’erano “volti di bottega” nelle Contrade, e a Rialto e San Marco, e non c’era Arte di Mestiere che non si concentrasse attorno al proprio Patron Santo Patrono, o che non facesse in qualche modo continuo riferimento alla Croce Redentrice del Cristo… Quando passava un Morto per Venezia: tutto si fermava e chiudeva, e ciascuno magari con la man sànca(sinistra, rovescia) si segnava almeno sbrigativamente richiamandosi a quel segno, cioè a quei contenuti trasfigurati ed espressi in quel singolo decesso … Non c’era Statio di Gondoliere(Traghetto) che non ponesse estrema cura ed attenzione nell’agghindare con fervore e continuità le Madonnetta del Cristo illuminandole dal tramonto con un cesendèllo (lumino) ... Le Gondole a bordo più che spesso portavano una Croce beneagurante e protettrice, che richiamava inequivocabilmente ancora una volta a quel Mistero che non si smetteva mai di celebrare e di fargli riferimento … Altro che i Gondolieri esosi e leggeri di oggi, una volta i Veneziani sembravano quasi ossessionati da questi contenuti.

Il Piovan di San Zuane Novo guidava ogni anno una Processione dalla sua chiesa passando sotto alla finestra dalle robustissime sbarre della Prigione di Palazzo Ducale. Lì attraverso le sbarre infiorate e illuminate da mille moccoli di candele, i carcerati interagivano col Prete facendo riferimento alla Croce. Perfino la dannazione della pena e del carcere era, insomma, visitata dal Sacro e dal significato della Croce, che pervadeva l’intera Comunità Veneziana ... I condannati a Morte “in Piazzetta fra le due colonne”, o annegati all’alba con una pietra al collo nel Canale dell’Orfano, o tenagliati lungo il Canal Grande, o messi alla Berlina a Rialto, o dentro alla Chèba(gabbia) appesa al Campanile di San Marco, e poi decapitati, impiccati o strangolati spettacolarmente in Piazza, venivano pietosamente accompagnati passo passo dalla Croce, e infine raccolti e sepolti all’ombra di una grezza Croce in un Cimiterietto loro riservato presso San Francesco della Vigna:“il Cimitero dei Disperài”… Tutto, bene o male, appariva come interconnesso, visitato, prolungato e facente parte di quell’unica storica Crocefissione.

Una Croce era ancora simbolo dell’Arte dei Mercanti Veneziani, il cui “logo” veniva immesso in muro sulle numerose case, magazzini, palazzi e botteghe di loro proprietà: Croci e Croci dappertutto ... La Croce delle Croci segnava e coinvolgeva tutta Venezia, la Laguna e i Veneziani: “era affar di tutti” Erano parecchio diversi da noi di oggi.

Ogni Contrada Veneziana nel suo piccolo provvedeva a valorizzare i segni di quel grande Mistero ubiquitario. Le numerosissime e insigni Reliquie presenti ovunque, che riandavano alla Passio Christi servivano proprio a questo. Era come se in ciascuna chiesa andasse di continuo in scena, e si ripetesse per sempre e per chiunque quel “Felice, Spettacolare e Miracoloso Evento sovratemporale della Croce Salvifica”.

E’ vero: i Veneziani hanno esagerato lungo i secoli al riguardo … E’ stata proprio una specie di mania … Ma si usava così in quelle epoche.

Come dicevo, più di qualche volta si arrivava a trasfigurare tutto quel miscuglio di Religiosità, Buon senso, e rimando a Segni e Rimedi Salvifici applicandone gli effetti a tutto quanto capitava nella quotidiana società ... Il Sacro sfondava il Profano, e aleggiava su tutta la Storia infiltrandosi e provando a risolvere ogni esistenziale complicazione e situazione.

Si è giunti però quasi al paradosso, per non dire il ridicolo … Se provassimo a mettere insieme tutte le Reliquie del Santo Sangue, della Santa e Vera Croce, e di tutto ciò che concerneva la Passio Christi a Venezia, rimarremmo stupiti e non poco … Il Cristo avrebbe dovuto avere almeno trenta litri di sangue per poterlo raccogliere in tutte quelle Sante Reliquie che dicevano di contenerlo e conservarlo … Così come se mettessimo insieme tutte le “Santi Vesti della Madonna”, o il suo “Santo Latte” raccolto, o i suoi “Santi Capelli”, avremmo un’intera latteria, e più capelli di un’intera bottega di barbiere o parrucchiera ... Doveva avere un cespuglio di capelli “da cappellone”: almeno il quadruplo di Branduardi …  Che aveva la Madonna: un guardaroba da far invidia al più fornito degli atelier ?

I Veneziani quindi, e non solo loro, si sono letteralmente persi, e si sono lasciati andare in maniera fantasiosissima su questo genere di cose. Quasi senza remore, hanno perso il senso del vero e della proporzione, e si sono inventati a iosa Sante Reliquie da ogni parte, capaci di contenere e ostentare di tutto e di più.

Certe “Sante prelibatezze e specialità religiose” a dir il vero, sono state perfino un po’ macabre ... risibili forse ... diciamolo.

Folle di Devoti Veneziani, Forestieri e Pellegrini non mancarono però di accorrere in Laguna, e di convergere apposta per vedere, toccare, ed essere in qualche modo beneficati e partecipi di tutti quei segni che consideravano in ogni caso: “Grazia Divina”.

Poco importava se erano: il “Santo Prepuzio e il Santo Pannolino del Cristo”… Era forse ciò che volevano vedere e ritrovarsi di fronte.

I “Santi Chiodi, i Legni della Croce, e le Sante Spine della Passione”, ad esempio, in Laguna quasi non si contavano. Messi insieme, corrispondevano di sicuro a un intero ferramenta, e a un immane roveto spinoso ... Tutto il “Santo Legno della Santa Croce” messo insieme, a che doveva corrispondere ?  A tutto un bosco d’alberi forse ? … A un’intera falegnameria ?

Il troppo stroppia di sicuro … Ma i Veneziani di allora sembrarono non curarsi affatto di questo “dettaglio”.

Sono un po’ irriverente vero ? … Forse ... Può darsi … o forse: no.

In sincronia comunque con quel modo d’essere dei Veneziani, e con tutti quei contenuti, per secoli nel chiesone dei Frari nel Sestiere Veneziano di San Polo, ad esempio, si è celebrata, come ovunque nella Cristianità, la così detta: “Domenica di Lazzaro” o “di Passione”. Lo si faceva però in maniera particolare:“alla Veneziana”… Nella stessa Basilica c’era e c’è una grande splendida Cappella delle Reliquie dove i potenti e ricchi Frati della Cà Granda di Santa Maria Graziosa dei Frari raccolsero un formidabile insieme di altrettanto formidabili SacroSante Reliquie. Fra tutte spiccava la famosa “Reliquia delle Reliquie”, cioè quella del “Preziosissimo Sangue del Cristo della Schola della Passione dei Frari”. Secondo la “Traditio”, quel Santissimo Sangue era stato:“… raccolto da Maria Maddalena al momento della ricomposizione del Corpo del Cristo Morto deposto dalla Croce, prima della sua storica sepoltura”.

Appena fuori della porta della Basilica dei Frari poi, sorse nell’omonimo Campo una nuova sede per la Schola della Passione a cui era annesso “fin da antico” anche un Ospizio. La Schola era “privilegiata” fra le altre quasi 250 Schole Piccole Veneziane. Era cioè particolare in quanto godeva della diretta tutela del Consiglio dei Dieci della Serenissima, che la considerava: “unica nel suo genere, in quanto concentra in maniera speciale la Devozione per la Passio Christi, cioè l’insieme delle Sofferenze, Torture, Agonie, e Morte patite da Nostro Signore sulla Via Dolorosa della Croce: la Via Crucis.”

Il Pio Sodalizio della Passione, inizialmente forse una delle numerose Schole del Crocefisso Veneziane, aveva trovato sede a San Zuliàn, a due passi da Piazza San Marco. Solo nel 1572 divenne “ospite”della Cà Granda dei Frari andando a comprare e occupare spazi e caxette che erano già stati in precedenza (1437) occupati dall'antica Schola della Madonna e di San Francesco dei Mercanti(traslocati poi dopo controverse vicende alla Madonna dell’Orto di Cannaregio).

Nel 1480 la Schola della Passione aveva accolto con grande entusiasmo “il Prezioso Reperto del Preziosissimo Sangue di Cristo” trafugato dalla chiesa di Santa Cristina di Costantinopoli dal Nobile Veneziano Melchiorre Trevisan: Condottiero e Provveditore del Senato Veneziano, nonché Capitano di Terra e da Mar tornato a Venezia nel 1479. Il Nobile Trevisan era poi morto nel 1500 nell’Isola di Cefalonia, ed era stato quindi sepolto a Venezia in una Cappella dei Frari. Col nobile gesto dell’accoglienza di quella “Santissima Reliquia” la Schola divenne quindi il più importante Ente Devozionale Veneziano dopo le ricchissime e potenti Schole Grandi.

Incredibile tanto successo e devozione … a seguito di un saccheggio e di un furto in se sacrilego ! … Ma quelli erano i tempi e i modi.

I cento Frati dei Frari quindi, iniziarono ad ospitare con gran cura i “Cofrati de la Schola de la Passione”, e il “Preziosissimo Sangue” vene racchiuso in una boccetta di cristallo contenuta a sua volta da un sontuoso Reliquario realizzato dall’Orafo Evangelista Vidulich da Zara trasferitosi a Venezia ... Si dice, che anche a San Marco, per non essere da meno dei Frati dei Frari si custodisse un’altra teca com dell’altro “Santo Prezioso Liquido”.

Crebbe allora enormemente il numero degli iscritti e la popolarità della Schola della Passione Veneziana, tanto che nel chiesone dei Frari era un continuo e quotidiano grande afflusso di Fedeli, Nobili, Clero e Pellegrini. Con tutto quell’andirivieni devozionale, s’incrementò non poco anche la celebrazione di Riti e Processioni ... La Schola gestiva in chiesa l’Altare del Crocefisso a lei riservato, e lo arricchì con dossali, panche e decorazioni pregiate a imitazione del sontuoso Barco dei Frati che troneggiava al centro della chiesa.

Il clou dell’attività della Schola della Passione accadeva ogni anno quando, come d’usanza a Venezia, la Schola insieme a tutte le altre Schole Grandi e Piccole della Città, si portava processionalmente la sera del Giovedì Santo“in visita” alla Basilica Dogale di San Marco, mentre in tutte le Domeniche di Quaresima si recava ugualmente “in visita” processionale a San Pietro di Castello: la chiesa del Patriarca di Venezia ... Patriarca e Doge: a ognuno il suo … e i Cofrati del Preziosissimo Sangue si portavano ogni volta su e giù per tutta Venezia attraversandola andata e ritorno con lunghe, interminabili, coloratissime, spettacolari e musicali Processioni che duravano ore su ore.

LaSchola della Passione possedeva diversi immobili nella zona dei Frari, e alcune case nella Casselleria di Santa Maria Formosa. Era un Pio Sodaliziomolto simpatico ai Veneziani, anche perché dispensava ogni anno diverse“Grazie da 10 ducati ciascuna”date alle giovani donzelle Veneziane.

Ogni anno inoltre, nella “Domenica di Lazzaro”, la supervenerata e preziosissima “Reliquia Mistica” veniva portato solennemente in Processione per tutta la Contrada e fino alla Schola Grande di San Giovanni Evangelista(quella della Reliquia della Vera Croce) facendo accorre ogni volta una grande folla di Veneziani, Forèsti e Pellegrini, mentre i Confratelli intervenivano “vestiti di cappa, e col cappuccio calato sul volto”.

Si praticava poi in quella stessa occasione anche un altro gesto curioso. I Confratellidella Schola della Passione con delle lunghe pertiche processionali che portavano in cima un grosso batufolo di cotone, andavano a toccare da lontano la Santa Reliquia del Prezioso Sangue portata in Processione, e in un secondo momento: le teste dei vari Assatanati, Indemoniati e Ossessi bisognosi di guarigione portati ai Frari da tutta Venezia … Ovviamente c’era sempre un grande accorrere ogni anno … E altrettanto ovviamente: non mancavano mai di accadere “i miracoli”… e ovviamente la Schola intascava ogni volta parecchie elemosine. Andate a leggere e sbirciare i Libri Contabili della Schola dove è riportato tutto.

L’usanza del “Sabato e della Domenica di Lazzaro”, cioè “della Quinta di Quaresima” che precedeva la famosa “Domenica delle Palme”: inizio per i Cattolici della così detta Settimana Santa, cioè la “Settimana Granda”, la “Settimana Autentica” che sfocia nella Festa di Pasqua era un’antichissima tradizione di provenienza Bizantina.  La ricorrenza veniva detta anche “Domenica dello Scrutinio”, perché in quel contesto ogni anno i Neofiti-Catecumeni Cristiani che si trovavano alla fine del loro Itinerario Battesimale Iniziatico, venivano  valutati per l’ultima volta prima dell’Ufficiale Renovatio e Rinascita Sacramentale.

Quella Domenica di Lazzaro insomma, quasi in continuazione con l’episodio del Lazzaro del Vangelo a cui era stata ridata la Vita, poteva essere l’occasione di grandi miracoli e di rinascita fisica oltre che interiore. In quel momento pregno di significato e di Grazia, secondo la sentitissima Cultura Cattolica Veneziana, anche gli Assatanati, Indemoniati e Ossessi sarebbero potuti finalmente guarire ... e perché no ?

Sentite un po’ la descrizione di Girolamo Zanetti scritta il 2 aprile 1743: “Ieri si fece la solita annuale funzione del Prezioso Sangue ch’esponesi nella chiesa dei Frari. V’intervenne al solito il Procurator Cassier della Procuratia de Supra che era Marco Foscarini di San Stae (poi diventato Doge). Era costume che dopo estratta dal Santuario la Reliquia, si toccasse da uomini messi apposta il cristallo che la racchiude con certe bacchette rosse che avevano sulla sommità un bottone rosso. Quindi le bacchette si davano a baciare al Popolo ... Usanza vecchia, rancida ... Il Procuratore, uomo di buon senso, insinuò ai Frati che la togliessero, essendo cosa più strana che devota. Vi fu molto concorso, ma pochi Indemoniati, i quali in misura che la gente si va illuminando in questa Città, diminuiscono di numero e si riducono a que’ pochi che cristianamente e ragionevolmente si può credere ch’esser vi possino …”

Nella “Pallade Veneta dal Sabbato 2 sino al Sabbato 9 gennaro 1723” si legge invece:“La mattina del Venerdì scaduto, sacrileghi ladri entrarono nella Scuola della Passione ai Frari, e mentre il Nonzolo suonava la Messa, e preparavasi il Sacerdote nella Sagrestia, levarono gli empii alcune Reliquie di Santi conservate nei vasi d'argento, e partiti inosservati dal Sacro Luogo, lasciarono con detestabile sprezzo quell'Ossa Venerate sopra una bottega a San Giovanni Evangelista ...”

Ancora una descrizione d’epoca: “La Reliquia del Preziosissimo Sangue era la più importante “posseduta” dai Frari. Consisteva in un'ampolla di cristallo contenente del balsamo con frammiste alcune gocce del Sangue di Cristo cha sarebbero state raccolte da Maria Maddalena ai piedi della Santa Croce sul Calvario. Vera o falsa che sia … la Reliquia venne trafugata e venduta al Capitano da Mar della Flotta Veneziana, che la donò alla Ca’Granda dei Frari ... La Reliquia è conservata a sinistra della porta d’ingresso della Sacrestia in un apposito tabernacolo di fattura Lombardesca con due statue di San Francesco e San Giovanni Battista scolpite da Bartolomeo Bellano. Poco distante c'è il monumento funebre del donatore della Reliquia sepolto probabilmente accanto ad un altro Cavaliere Crociato … Intorno alla Devozione della Preziosa Reliquia è sorta ai Frari la famosissima Scuola della Passione.”

Nel 1587 il fabbricato della Schola della Passione con l’Ospizio presero fuoco, ma tutto venne ricostruito là dov’era e com’era in pochi anni. La sala al primo piano venne ricoperta con una “Rissurrezione in nove scomparti” dipinta da Jacopo Palma il Giovane. Si aggiunsero poi anche “Quattro immagini di Profeti abbinate a quattro Evangelisti” ... Lo stesso Palma dipinse anche l’altarolo della Schola, e il soffitto della Sala Superiore … “Sopra al banco si collocò una “Passione di Cristo” di Antonio Zecchini, e un “Cristo mostrato al Popolo” realizzato da Bartolomeo Scaligero ...”

Non so che fine possa aver fatto l’originale Reliquia del Preziosissimo Sangue (magari è ancora là ai Frari), perché è dovuta passare e filtrare attraverso gli sconquassi prima dei“ladri veneziani”, e poi dei Francesi, che hanno depredato, soppressero e cancellato tutto.

Di certo tutto terminò nel marzo 1808, quando la Schola della Passione venne soppressa, i suoi beni incamerati dal Demanio, e i suoi locali messi in vendita, venduti, e trasformati prima in bottega dello stipettaio Bellato, e poi in abitazione privata.

Ai Frari comunque non accadde solo tutto questo … Dentro allo stesso chiesone durante tutto l’anno, si “utilizzava” l’efficacia della “Preziosissima Reliquia del Prezioso Sangue” praticando di continuo numerosi Esorcismi sempre sui poveri Indemoniati Veneziani… Poveri … A margine delle Cronache Veneziane si può leggere di come venivano trascinati a forza in chiesa, e sottoposti ai riti e alle pratiche d’Esorcismo … volenti o nolenti:“… e anche con qualche buona strattonata e sonora drizzata se la pratica rituale pareva non funzionare per la ritrosia dell’interessato/a”.

Miracoli, illusioni e credulonerie ? … Ha commentato qualcuno leggendo di queste cose.

Mah ? … Forse un po’ e un po’ ... Certe epoche “chiamavano e funzionavano” così ... Non avevano altro a cui far riferimento e a cui affidarsi. Credevano davvero nell’efficacia di certi interventi. Non sapendone di più, si curavano con quel che avevano … Ed è per questo che continuavano a ricorrere alle risorse misteriose “piovute dal Cielo”, o attingevano “dalla Santità di Santi e Madonne e di Preziosissime Reliquiecapaci di regalare Grazie su Grazie: Salvezza e spicciola Sanità.”

Ho terminato … Se avete coraggio e pazienza, e siete disposti a perdervi un poco dietro a questa particolare “tematica devozionale Veneziana”, vi posso raccontare di alcuni particolari curiosi tipicamente Veneziani … Provate a leggere ancora, e poi provate anche a riflettere.

Ecco qua … Esisteva in Venezia una preziosa cassettina con un “Santo Chiodo dei piedi di Nostro Signore” donato dal Re di Francia ai Veneziani nel 1262 insieme a un altrettanto prezioso anello (andati rubati e dispersi) che passarono a lungo di mano in mano fra Santa Croce, San Pantalon, Santa Chiara e Sant’Andrea della Zirada, che già si vantava d’avere una “Santa Reliquia di Maria di Cleofe”:una delle tre donne descritte dai Vangeli come presenti ai piedi della Croce e davanti al Sepolcro vuoto del Risorto … A San Pantalon c’era anche la Reliquia di un “Prezioso Legno della Santa Croce”.

Nell’Abbazia dei Servi di Cannaregio si conservava e venerava, invece: una “Parte della Santa Colonna dove venne fustigato Nostro Signore” insieme ad altri due frammenti della “Santa Croce” ... Un altro “Santo Legno della Croce” era in possesso delle Monache del Corpus Domini, e per non essere da meno, ce n’era un altro nel vicino Monastero di Santa Lucia ... Un ulteriore “Legno della Santissima Croce” stava nel Convento di San Bonaventura presso Sant’Alvise, dove c’era “una Spina della Santa Corona di Nostro Signore”, e l’intero Convento era stato ideato e progettato come immagine e ricostruzione del percorso della Via Dolorosa della Cruce percorsa dal Crocifisso.

Un “Pezzo Prezioso della Santa Croce” c’era ancora nella chiesa della Maddalena insieme a un “Santo Dito” della stessa Santa, mentre la chiesa di San Girolamo era fornitissima con un “Santo pezzo del Sudario”, un “Santo Pezzo della Colonna della Flagellazione”, e  “Cinque Spine della Santa Corona di Nostro Signore”.

Ancora agli Scalzi, affisso su una Croce c’era un “Santo Legno della Croce: ragguardevole porzione della Santa Croce istessa”… Un altro “Legno della Santa Croce” insieme a “Quattro Sante Spine della Corona di Nostro Signore” si conservavano e veneravano a Santa Caterina Monastero Patrocinato dai Nobili Contarini… Una “Santa Spina della Corona di Nostro Signore” era stata portata direttamente dalla Terrasanta ai Crociferi(Gesuiti) a soli cinquantina di metri di distanza.

Un’insolita serie di Sante Reliquie c’erano poi a San Giovanni Crisostomo sulla strada per Rialto, dove insieme alle “Sante Ossa dei Tre Re Magi”, a una “Santa Costola di San Giovanni Battista con un osso di sua madre”, e a un “Santo Dente di San Francesco d’Assisi”, c’era anche il “Braccio di Sant’Anna”. Nella stessa chiesa si conservava e venerava soprattutto un altro “Legno della Santa Croce”, e un “Santo Capo di una delle Tre Marie presenti al Santo Sepolcro” ... C’era un altro “Santo Legno” in San Giobbe, a San Leonardo, e a San Canzian dove non mancava anche una “Santa Spina della Corona di Nostro Signore”, e una “Parte della veste di San Giuseppe”, mentre in San Felice si ostentava un raro “Grumo di terra intriso del Sangue Prezioso di Cristo Signore”.

Anche a San Marcuola avevano un quasi immancabile “Santo Legno della Croce”, ma avevano anche un “Santo Dito della mano destra di San Giovanni Battista con cui indicava: “Ecco l’Agnello di Dio” portata da Sebaste a Venezia nel 1109 da Vitale I Michiel Vescovo di Castello” … Per quel “Santo Dito del Battista” quelli di San Marcuola avevano discusso e litigato mille volte con quelli della Contrada di San Zan Degolà OltreCanale che pretendevano d’aver loro la stessa Reliquia autentica.

La chiesa di San Geremia di Cannaregio veniva considerata un gradino più in basso rispetto alle altre, perchè conservava “solo” un “Santo Dente del Profeta Biblico” di cui si titolava, una “Santa Costola della Maddalena”, e qualche “Santo Frammento di San Giovanni Battista” ... e niente di più ... Poco ròba insomma.

Nel Sestiere di San Polo, invece: dall’altra parte di Venezia, un “Legno della Santa Croce” c’era a San Tomà; il “Preziosissimo Sangue di Cristo”, come dicevamo, si conservava in un’ampolla in Santa Maria Graziosa dei Frari, e come ormai ben sapete nella Schola Grande di San Giovanni Evangelista si ospitava la Reliquia delle Reliquie della Vera Croce insieme a una più modesta Reliquia della “Santa gamba di San Martin”… di cui si aveva metà della “Santa Veste o Mantello” nella chiesa di San Martino di Castello a lui dedicata.

Con una “Santa Parte delle funi che strinsero i Santi Martiri”, a Sant’Angelo vicino al grande e potente Convento Agostiniano di Santo Stefano nel Sestiere di San Marco, si deteneva un altro “Santo Legno della Croce” insieme a un “Santo Pezzo della Colonna su cui venne flagellato il Salvatore” … Un altro “Legno della Santa Croce” stava in San Beneto a pochi passi: chiesa notoriamente stracolma di Reliquie di ogni sorta ... Una “Parte del Legno della Santa Croce” stava ovviamente nella chiesetta di Santa Croce degli Armeni; un “Legno della Croce” con “Due Sante Spine di Nostro Signore” c’era in San Luca; un “Legno della  Croce” stava in Santa Maria del Giglio; un altro a San Moisè insieme a una “Parte della Santa Veste inconsutile di Nostro Signore”;  e un “Pezzo di Legno della Santissima Croce” esisteva in San Ziminian in Piazza San Marco, dove a pochi metri di distanza, giusto “in bocca di Piazza”, sorgeva Santa Maria in Broglio dei Templari ai quali il Doge Giovanni Dandolo nel 1286 aveva donato un “Pezzo della Santissima Croce”.

Nella distrutta chiesa di San Paternian (oggi Campo Manin) c’erano alcune “Sante Spine di Nostro Signore” però ancora da autenticare con lettere adatte. Secondo le antiche Cronache Veneziane si diceva: “Le Sante Spine adesso ci sono, ma ora dobbiamo procurare le lettere ufficiali per autenticarle”… Incredibile … ma: vero ! … E’ andata proprio così.

Nella Basilica Dogale di San Marco non poteva mancare una super raccolta di Reliquie della Passio Christi. C’era, e si conserva ancora oggi un vero e proprio Tesoro di Reliquie ancora oggi visibile ... Tralascio i dettagli e l’elenco lunghissimo.

Un “Santo Frammento della Santa Croce” si conservava ancora a Sant’Antonio Abate di Castello (distrutta da napoleonetto, e sostituita dai Giardinetti Pubblici); una “Porzione del legno della Santa Croce” era in possesso poco distante dei Domenicani Predicatori e Inquisitori di San Domenico di Castello; una “Spina della Santa Corona del Redentore”, e un “Legno della Santa Croce” non potevano mancare ovviamente a Sant’Elena: la Santa che secondo la Leggenda era stata protagonista dell’Inventio della Vera Croce.

Una “Santa Spina della Corona” insieme a “una porzione notabile dei capelli della Santa Vergine Maria” c’erano nella chiesa della Madonna della Consolazione alla Fava; una Reliquia della “Spina della Santa Corona di Cristo” venne donata nel 1378 alla chiesa di San Biagio di Castello, mentre diverse “Sante Spine della Corona” erano in possesso delle Monache di San Lorenzo tappa importante dell’annuale Processione della Vera Croce, e sito di uno di quei “Speciali Miracoli della Vera Croce”.

Un “Legno della Santa Croce” insieme a “Una particella del Santo Sudario”, a “una Santa Spina”, e ai “Santi Capelli della Beata Vergine Maria” c’erano ai Gesuati sulle Zattere del Sestier di Dorsoduro insieme all’ennesimo “Santo Dito della Maddalena”. Un altro “Santo Legno della Croce” stava alle Terese di fronte a San Nicolò dei Mendicoli, che ne aveva un altro … Una “Spina della Corona di Nostro Signore” c’era presso i Padri Gerolamini di San Sebastiano in Contrada di San Basilio, che si vantavano di possedere anche il “Santo Ferro di una freccia che aveva colpito San Sebastiano”.

Al di là del Canale della Giudecca o del Vigano, dove sorgeva il Monastero dei Santi Biagio e Catoldo(oggi vi sorge l’Hotel ed ex Molino Stucky), insieme ad alcune “Sante Ossa dei Santi Innocenti o 10.000 Martiri”, e alla “Santa Mascella di San Giovanni Crisostomo”, al “Santo Braccio di San Biagio”, e a un “Santo pezzo di carne di San Bartolomeo Apostolo”, c’era un’altra “Santa Reliquia della Croce” conservata e veneratissima dalle Monache Benedettine.

Per non essere da meno delle vicine Consorelle dello stesso Ordine Benedettino, le Monache dei Santi Cosmo e Damiano della Giudecca misero insieme pure loro una serie di “Sante Reliquie” assommando il meglio che trovarono in giro, cioè: almeno quattro-cinque “Santi Corpi, Spalle di Santi Martiri, Sante Porzioni di Crani, Sante Teste, e Sante Dita di Santi”… e chi più ne ha: più ne metta.

Qualche passo più avanti, ancora lungo la Giudecca, verso dove sorse ancora oggi il Tempio del Redentore, c’era il Monastero della Croce ancora delle stesse Monache Benedettine (ora Carcere Femminile). Le Monache si vantavano pure loro d’avere oltre al “Pozzo dell’Acqua Miracolosa SalvaPeste”, anche il famosissimo “Santo Corpo di Sant’Atanasio Patriarca d’Alessandria” portato a Venezia nel 1454, ma senza la “Santa Testa”. Le Benedettine comunque, portavano avanti e indietro per tutta la Giudecca in diverse occasioni durante tutto l’anno le Santissime Reliquie esternandosi in solennissime Processioni frequentatissime dai Giudecchini, già da allora “poverissimi, scanzonati, poco devoti e scomposti”.

In mezzo a tutte quelle vanagloriose Monache, quasi nascosta fra quei colossi Monastici delle Giudecca, stava l’unica chiesa contradariale dell’intera “Isola delle Foche”: Sant’Eufemia, che … povera … di altro non poteva vantarsi se non d’avere “le chiavi di casa di San Bellino Vescovo di Padova”… Ognuno a Venezia metteva in mostra ciò che poteva, e considerava prezioso.

Una “Reliquia della Croce” c’era nella chiesa di San Stae; le Suore Francescane di Santa Maria Maggiore detenevano “due Sante Spine della Santa Corona”; mentre l’“Acqua e Sangue di Nostro Signore” si conservavano, ostendevano e veneravano in San Simeon Grando insieme al “Santo Corpo del Profeta San Simòn” portato a Venezia nel 1205.

Perfino una “Santa Sindone” alternativa a quella superfamosa di Torino c’era ai Tolentini !!! … e in giro per Venezia c’era addirittura: “Una Santa Particella del pediluvio di Nostro Signore.”… esiste ancora.

La ricchissima Abbazia Benedettina di San Giorgio Maggiore, infine, che poteva permettersi di fare acquisti di ogni sorta, straripava di un’altra lunga lista di Sacrosantissime Reliquie, che per secoli faceva traghettare i Pellegrini da Piazza San Marco per andare a visitarle ... Una volta si capovolse il barcone che traghettava i Pellegrini a San Giorgio, e un Pellegrino Tedesco finì annegato.

Lascio stare la lista però, altrimenti facciamo notte … Che ve ne pare comunque ?

Tralascio volutamente anche di far riferimento alle numerosissime Sante Reliquie della Croce sparse e ospitate in tutte le chiese e Monasteri delle Isole della Laguna Veneziana: a Burano, Torcello, Murano… e in tutti gli altri luoghi simili.

Potrei aggiungere ancora, quasi per sfizio, di un “Santo Dito di Santa Caterina a San Ziminian”, di un “Santo Braccio” di San Simeon Apostolo allo Spirito Santo sulle Zattere, e di una “Santa Gamba di San Servolo” e del “Santo Capo di Sant’Anna” all’Umiltà sempre in fondo alle Zattere accanto alla Salute (non esiste più)… Aggiungerei poi del “Santo Dente di Sant’Apollonia d’Alessandria” nell’omonima chiesa proprio a due passi dalla Basilica di San Marco; del “Santo Dito di Sant’Agnese proveniente da Roma” conservato a San Luca, e del “Santo Corpo di San Venereo morto nel 610” andato smarrito nella chiesa di Sant’Agnese durante un restauro, e non più ritrovato ... Voci maligne raccontavano che se l’erano preso alcune vicine Pizzocchere, per venerarselo e curarselo in esclusiva in privato.

Mah ? … Chissà ?

Mi verrebbe da aggiungere ancora che c’era a San Barnaba la Santa Reliquia di un “Santo Occhio di San Biagio”… Sempre a San Barnaba, riandando a quanto ho scritto ieri, solo nel 1803 alla Visita del Patriarca Flangini si sospese la Devozione alla Reliquia del “Santo Capo di San Barnaba” perché ritenuta non sufficientemente “sicura e autenticata” secondo quanto aveva già decretato in precedenza il Patriarca Morosini ... Non lontano da San Barnaba c’era e c’è ancora Campo Santa Margherita dove nell’omonima chiesa si ospitava la “Santa Mascella di Santa Margherita”, e il “Santo Grasso di San Lorenzo” donato alla chiesa Contradariale dalle Monache di San Lorenzo di Castello proprietarie di diversi stabili in Contrada.

Potremmo perderci dentro a questo discorso, e non disdegnerei di farlo in questa specie di “strana foresta” di SacroSantissime Reliquie tutte solo Veneziane.

“Creduloni … e sempliciotti !” ha esclamato ieri una leggendo quanto ho scritto … Non so ? … Difficile dirlo. Di sicuro erano tempi diversi dai nostri, in cui c’era gente che partiva dalle campagne del Vicentino, Bassanese e Veronese per recarsi fino al “Pozzo Miracoloso della Santa Croce della Giudecca.” per procurarsi “la Santa Acqua Miracolosa delle Monache della Croce”… Quei contadini Veneti, si sobbarcavano un lungo e faticoso viaggio a piedi e su barche e carretti fino a Venezia, e alla Giudecca si compravano la “Santa Acqua Miracolosa del Pozzo della Croxe” venduta a caro prezzo dalle Monache che la offrivano“pronta-imbottigliata” da una finestrella del muro di cinta del Convento collegata con una grondaia fino al famoso Pozzo Miracoloso.

Le solite Cronache Veneziane antiche e pettegole raccontano della lunga fila di persone in attesa d’essere accolte e accudite dalle Monache della Croce: “Custodi di Preziosissimi e Salutari Doni del Cielo”.

Mi fermo qua: “Venezia è cospicuamente ricca di Sante Reliquie, perché nelle sue conquiste non trascurò di procurarsene, ed in singolar modo nell’Oriente. Per ciò in presso che tutte le sue Chiese se ne trovano, e vi ha pur qualche Tempo ove in ogni altare è depositata la Salma di un Santo … Il Tesoro di San Marco, la chiesa di San Zaccaria, quelle di Santa Maria Gloriosa dei Frari, di San Giovanni Evangelista, di San Pantalòn e la Schola di San Rocco posseggono le più insigni. Guglielmo Wambel, Prete Veneziano, concepì l’idea di formare (soprattutto raccogliendo le Reliquie delle chiese distrutte da napoleone) un Santuario di Reliquie che superasse quanti esistevano in tutto il Mondo Cattolico. Impiegando a tale scopo tutte le sue sostanze, fu secondato da molti con doni e depositi. Poco prima del termine della sua vita, essendo possessore di una ricca raccolta del vagheggiato Tesoro di Sante Reliquie, ne fece la cessione ai Frati Minori Conventuali della chiesa di San Tommaso (vulgo: San Tomà) i quali lo accolsero presso di loro negli ultimi tempi del vivere suo. Allora, sopra disegno del Salvadori, si eresse una grandiosa Cappella Ellittica, alla quale vi è accesso dalla chiesa suddetta, e nella sua fabbrica si spesero: 40.000 Lire Austriache ... Fu poi aperta alla venerazione dei Veneziani nel giugno 1844 ... E’ una ricchissima collezione di Reliquie (oltre 5.000) che richiama potentemente il Cristiano alla Fede professata da quei Santi dai teschi e dalle ossa dei quali è circondato ... E’ pur questo un prezioso Deposito … Merita lodevole memoria poi, il defunto Rettore di San Tomà: Don Vincenzo Zenier per la sua zelante cooperazione all’effetto dell’intendimento religioso del Prete Wambler …”

 

Nel 1847 si chiese addirittura il permesso di realizzare anche un nuovo Convento di Frati accanto a quella formidabile Cappella delle Reliquie detta popolarmente dai Veneziani: “la Casa delle Reliquie”. Quel permesso però non venne mai concesso … La Cappella delle Reliquie di San Tomà rimase accessibile e in attività fino agli anni 60 del 1900, quando venne chiusa e smantellata “di tutto quel Santo ben di Dio” ... Che fine avrà fatto ?

Così come in pochi ricordano di quelle famose antiche “Domeniche di Lazzaro dei Frari”, allo stesso modo in pochi sanno, anche fra i così detti “addetti ai lavori”, i “simpatizzanti di chiesa”, e i poliedrici Preti Veneziani di oggi, delle vicende di quello strano luogo un po’ inconsueto, ma sicuramente singolare ... Oggi è un angolo di Venezia chiuso, desueto, non etichettato e dimenticato del tutto.

Un luogo forse “da Sante patàcche” come avrebbe detto il mio amico antico Rettore di San Barnaba.

 

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 Era il 1984, o forse il 1985 …


 

Gran chiàsso e confusiòn in Piàssa San Marco

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#unacuriositàvenezianapervolta 324

Gran chiàsso e confusiòn in Piàssa San Marco

Grande parapiglia e confusione in Piazza San Marco … Sono accorse subito le Guardie di Piazza, che hanno messo da una parte l’energico e muscoloso Custode di San Marco intervenuto con decisione sulla scena, e dall’altra: Bochassino da Ragusa borseggiatore e vagabondo a cui hanno messo finalmente i ferri ai polsi. Un complice non meglio identificato è riuscito a far perdere le tracce … Si è saputo solo dopo che era Pino da Trau, ma ormai si sarà dileguato scappando da Venezia.

Col gesto coraggioso del Custode della Basilica Ducale, si è messo finalmente fine a una lunga serie di soprusi e borseggi, che decisamente sono andati aumentando negli ultimi tempi. Il Custode aveva seppure da lontano intravista la scena del borseggio della vecchia Lucia: la poverazza che da una vita sta sulla porta della chiesa a chiedere l’elemosina … Perfino di rapinare i disperati come lui s’era degnato … Il Custode allora l’aveva inseguito, e poco dopo, dietro l’angolo della chiesa, l’ha bloccato e colto di sorpresa mentre era intento a contare i soldi che aveva rubato. Niente ha potuto il borseggiatore di fronte alla prestanza e alla determinazione del Custode.

Vittime del Bochassimo sono state di certo: alcune donne scippate in Piazza San Marco: Donata moglie del defunto Andrea da Lucca; Caterina da Sant’Antonin moglie de Paolo Travasadòr; una Venditrice di Pollame di Rialto a cui ha preso la borsa che conteneva il portafoglio e un Rimedio Omeopatico; Antonio da Muran che traffica in Legname; e Vittore Maso l’Oste della Locanda al Cavalletto nei pressi di San Marco  … Tutti avevano da poco sporto regolare denuncia alle Autorità Giudiziarie Veneziane.

Ah ! … dimenticavo di precisare: era il 02 marzo 1403.



Pleiadi Veneziane

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#unacuriositàvenezianapervolta 325

Pleiadi Veneziane

Dire di Pleiadi per noi iperattivi e distratti di oggi, con la mente quasi sempre affaccendata in altre urgentissime faccende, potrà forse sembrare un argomento “un po’ così”: da biblioteca, da vecchie fole per affecionados intrufolati-persi in antichità polverose andate. Attizza poi pochissimo, star lì a provare a “leggere” il Cielo notturno diventato oggi quasi traslucido e troppo illuminato. Se ne vede ormai poco o niente ... Vale davvero la pena star lì col naso all’insù ? … o dover andare a imbucarsi chissà dove per riuscire a individuare decentemente qualcosa ?

Ecco quindi che anche le lontane Stelline delle Pleiadi, potrebbero essere forse una cosa noiosa, un po’ ostica da considerare.

E invece: no … Per i Veneziani di ieri le Pleiadi sono state importantissime.

I Polinesiani davano ad ogni Stella del Cielo un nome: le sapevano identificare tutte fin da ragazzini, e si orientavano abilmente con loro nel navigare. Usavano le Stelle come bussole, come moderni navigatori, a partire dalla Stella Polare di turno, che non era la stessa di oggi. Sapete meglio di me che le Stelle, anche se sembrano ferme, in realtà si muovono nel Cielo. Lungo il Tempo, qualche millennio fa, sono state “Stelle Polari” sia Thurban della Costellazione di Bootis, che K Draconis… e altre ancora.

Sempre secondo i Polinesiani: Lono Dio del Cielo portava la stagione delle piogge, e lo annunciava in Cielo col sorgere delle Pleiadi al tramonto della giornata, quando le Stelle s’arrampicavano faticosamente sulle spalle del Padre per affacciarsi “in alto” a sovrastare il Mondo degli Uomini “di sotto”. Quando apparivano le Pleiadi era meglio non mettersi più per mare e mettere le navi nei porti perché stava per arrivare di nuovo il “Vento Pulitore” che spazzava con insistenza acque e Isole portando via “tutto ciò che era vecchio, debole, Morto e secco”. In cambio avrebbe portato: “Vita, fecondità e novità”.

Di rimando, l’apparizione mattutina delle Pleiadi in Cielo riapriva la navigazione … Le Pleiadi sorgevano in giugno a Oriente segnando anche l'inizio dell’anno nuovo. Erano quindi un potente “segnale orario, stagionale e calendariale” che andava ad influire sulle operazioni quotidiane e commerciali di tutti ... Le Pleiadi venivano usate come riferimento durante la navigazione notturna e negli spostamenti fra isola e isola, e quando tramontavano in Cielo iniziava la ripresa delle attività agricole annuali.

Maòri della Nuova Zelanda, gli indigeni di Tonga, delle Isole Salomone, della Società, e delle Isole Hervey cantavano danzando che le Pleiadi erano: “i molti piccoli occhi delle Sette Sorelle che scrutavano noi di sotto”… Erano gli occhi delle Makara oMatariki o di una donna rifugiatasi in Cielo dopo essere stata violentata da "Wadi Bira": l'Uomo della Luna ... Un’altra tradizione mitologica raccontava, invece, che le Pleiadi erano inizialmente un’unica stella molto brillante, che il Dio Tane invidioso, aiutato da Aumea (Aldebaran)Mere (Sirio), “scacciò di sotto” costringendola a rifugiarsi dentro a un fiume. Mere allora prosciugò il fiume, e Aumea si lanciò contro di lei frantumandola in diversi pezzi. Da allora la Stella divenne: Tauòno, cioè: “Le sei”… Le Pleiadi.

In quella fetta del Mondo quindi, la “Compagnia delle Vergini Matariki” col loro apparire divideva l’anno in due stagioni: Matarii i nia” Matarii i raro”, cioè: “I piccoli occhi sopra e sotto” l'orizzonte erano gli occhi “delle Giovani Ragazze che giocavano con i Giovani Ragazzi, cioè con le Stelle della Cintura di Orione”.

Mi direte: “Ma che c’entrano Polinesia e Polinesiani con Venezia ? … Se ne stavano là in fondo così lontani: dall’altra parte del Pianeta, fuori da tutto e tutti ... Venezia che cos’ha a che fare con loro ?”

E’ vero … ma anche no. Apparentemente c’entrano poco, ma in realtà c’entrano moltissimo con Venezia, perché i Veneziani di ieri hanno vissuto per secoli completamente immersi dentro a culture e convinzioni pratiche molto simili a quelle dei Polinesiani dell’altra parte del Mondo ... Le Culture Umane sono riuscite a incrociarsi e sovrapporsi molto più di quanto immaginiamo, e anche a Venezia quindi si era partecipi di concezioni presenti dall’altra parte del Mondo ... pur senza avere i Sociale, e i cellulari e i mezzi di oggi.

Anche i Veneziani si attivavano e partivano, o si quietavano rimanendo alla bonaccia in porto seguendo la buona o la cattiva stagione … e lo facevano seguendo pure loro il ritmo che “leggevano” scandito nelle Stelle in Cielo. Vorrà forse dir niente il fatto che l’inizio dell’anno Veneziano, con tutte le cose che sapete: lo Sposalizio del Mare, la Fiera della Sensa, la “partenza della Muda” e tutto il resto, veniva giusto a cadere con l’Equinozio di Primavera ? … e, fatalità: con la “presenza” delle Pleiadi in Cielo ?

Non dimentichiamolo: i Veneziani sulle “due Colonne di Marco e Todaro” in Piazza San Marco misero per molto tempo una Chimera con due rubini “infuocati” negli occhi che guardavano le “bocche di Porto”(napoleonino saccheggiatore se li è pappati via). Solo in seguito quella Chimera venne trasformata nel Leone Alato Marciano… e non solo … Todaro sull’altra grande colonna di fronte pestava e pesta un Dragone, sintesi di tutta una cultura di stampo orientale ricchissima di arcani e profondissimi contenuti ... e misteriosi segreti.

Anche le Pleiadi“erano quindi di casa” a Venezia, e lo erano con tutti i contenuti che le contraddistinguevano in quelle epoche e negli altri luoghi del Mondo.

Provate, ad esempio, ad andare in Fondamenta Sant’Anna alla fine di Via Garibaldi nel Sestiere di Castello. Troverete in muro una splendida pàtera(formella) che rappresenta proprio loro: le Pleiadi, che chiamavano anche “le Gallinelle”, “la Chioccetta”, “le Sette Sorelle”, “le Atlantidi figlie di Atlante”, “le Eptàsteros”: “di sette stelle”, “Le Sette Colombe(pelèiades in greco) che portavano l'ambrosia a Zeus”.

Ma non solo là … Anche sugli Arconi del Portale principale della Basilica di San Marco: “antologia di ogni sapere e Mito Veneziano”, troverete le Pleiadi artisticamente rappresentate in modo davvero singolare. Sono mostrate “come ragazzini turbolenti che si arrampicano sugli alberi, depredano i nidi e spezzano i rami.”, e l’artista ha scolpito perfino la polvere interstellare “ad arco” delle Pleiadi per visualizzare: “la Pleiade Maya che scaglia con l’Arco la Freccia dell’Estate” ... Si vede anche la Pleiade Merope, che porta al collo un pendente con la lettera greca Gamma: simbolo dell’Equinozio di Primavera.

Stupenda opera !

Me la sentivo che i Veneziani di ieri non avrebbero mancato di considerare quelle magnetiche e arcane Stelle Pleiadi. I Veneziani di ieri sono stati di certo meno banali e scontati di noi di oggi, più lungimiranti e svegli, capaci di vedere in profondità molte cose. Le Pàtere Veneziane sono espressione diffusa e sparsa di quel sentire e di quella sapienza viaggiatoria, orientativa e astronomica che furono radicatissime nella cultura Veneziana. Gli Arconi di San Marco sono poi di un tale bellezza e pregnanza struggente da far cadere giù la mandibola e la dentiera per la sorpresa e la meraviglia di chi li guarda. I Veneziani sapevano navigare non solo le acque e le terre, ma anche i disegni e gli asterismi del Cielo ... e la sapienza umana.

La Cultura Veneziana ha fatto propria, come altre Culture, la convinzione che tutto quanto accadeva di sotto in Terra era sempre continuazione, specchio e riflesso di quanto succedeva in modo arcano e misterico in alto in Cielo.

Non era affatto una concezione miracolistica e religiosa, si trattava piuttosto della capacità di riconoscere “nella complessità in alto” l’ovvia continuazione di quanto accadeva “in piccolo” nel vivere giornaliero di tutti in Terra. Nel Cielo c’erano nascoste spiegazioni, indicazioni ed energie che potevano tornare utili “per gli ignoranti e quasi ignari di tutto che stavano di sotto e in basso”.

Che poi insieme alle Pleiadi in Piazza San Marco non c’era solo quello: c’era di tutto e di più … letteralmente un traboccare d’immagini, richiami, simboli, Miti, suggerimenti e contenuti. Se affinerete un po’ la vista, potrete facilmente riconoscere sugli Arconi Marciani: Perseo col Cavallo Alato Pegaso, Cefeo col Cinghiale, i Centauri in lotta col Dragone: la grande Lacerta Antica(Lucertola)… E ci sono poi riconoscibili “le Aquile del Triangolo estivo, e i riferimenti alla Stella Deneb: la Croce del Nord” nella Costellazione del Cigno… Vedrete ancora i Dromedari che “vanno e vengono in Cielo nella Costellazione del Toro”, a richiamare la Stella rossa Aldebaran: “il seguace”, “il corteggiatore”, che cercò di conquistare le Pleiadi portando in dono bianchi Cammelli ...  E ci sono poco distanti anche due bimbi paffutelli che litigano fra loro assomigliando adApollocon la lira, e ad Ercole con la clava. Che siano la Costellazione dei Gemini, i Gemelli prossimi alla Costellazione del Toro ?

Credo proprio di si … C’è di che perdersi osservando e imparando a San Marco: un vero film sapienziale d’altri tempi … e non è l’unico a Venezia … Ma quanto acuti, avveduti e sapienti erano i Veneziani Viaggiatori di un tempo ?

Attorno all’immagine delle Pleiadi giostravano molte altre idee e convinzioni. Nell'antichità quelle Stelle hanno sollecitato moltissimo la fantasia di tante Culture generando contenuti e immagini che poi si sono sovrapposte, mescolate, coagulate fra loro e sparse ovunque.

Almeno dal 2.357 a.C, nell’area Orientale-Asiatica delle Culture Cinese, Araba, Persiana, Indiana, Giapponese e dei Nomadi del Nepal, le Pleiadi venivano considerate: “la Chioma”; “le Pervis, Peren Parur” cioè una delle 28 case-stazioni” della Luna della Tigre Bianca dislocate fra le Costellazioni … Erano: Le Sette Sorelle, le Fanciulle dell'operosità”, “Mao, Mau o Maou”, “la Gang”, “Al-Najm” cioè “La Costellazione” per antonomasia ... Con le Iadi erano: “Mas-tab-ba-gal-gal-la”, “I grandi gemelli dell'Eclittica del Sole che si faceva strada fra di loro” ... Per gli Assiro-Babilonesi e gli Ebrei, le Pleiadi erano Kimtu, Kima, Kimah”: “il Grappolo, il Gruppo”… Nel Biblico Libro del Profeta Amos si legge: Lui che fa le Sette Stelle e Orione.”, e nelLibro di Giobbe: “Puoi tu incatenare la dolce influenza delle Pleiadi, o perdere i legami di Orione?”

Nel “Libro delle Chiavi della Conoscenzadi Enoch” si legge ancora:“Le Pleiadi rappresentano la chiave per la protocreazione fisica: sono l’inizio galattico della famiglia Adamica Fisica … la culla e il trono della nostra coscienza.”

Insieme adOrione, pensavano che le Pleiadi fossero “la Porta … la Soglia” ... Nell’Era delle Pleiadi l'anno iniziava a novembre: “Mese delle Pleiadi” che culminavano a mezzanotte, mentre dall’altra parte del mondo la stessa cosa accadeva in Giugno ... I Re di Persia non respingevano le petizioni del Popolo durante “il Tempo Magico delle Pleiadi” ... Le Pleiadi erano ancora: i “Sette Temibili Guerrieri che portavano tempeste e danni sul Mondo di sotto” … “Sette cognate e un cognato", che quando sorgevano di notte aprivano un accesso temporale sulle montagne attraverso il quale si potevano vedere e incontrare gli antichi parenti ... erano: “Nakshatra e Krittika”, cioè "i coltelli" della rabbia e testardaggine delle “sei Madri del Dio della Guerra Skanda… le Stelle del fuoco di Agni: Dio del Fuoco Sacro".

Secondo le scritture Buddiste la nascita del “Sacro Bambino” sarebbe dovuta accadere “quando la stella del fiore brilla ad est” ... Buddha, fatalità, nacque nel 563 a.C. a metà maggio in coincidenza con la le­vata eliaca delle Pleiadi.

Nel 1300 scriveva Hafiz di Persia: Ai tuoi poemi il cielo affisse la Perla Rosata delle Pleiadi come segno d’immortalità.”

Nell’Africa Egiziana e del Sud, nel Deserto, e secondo “il Credo” di molte tribù Africane, le Pleiadi erano “Athur-ai”: “Le Stelle di Hathor dalla testa di mucca, che donava il seme della vita; oppure erano Chu o Chow”, cioè: “la Dea Nit o Nut”,“la Navetta”, la“Dea del Cielo, la Grande Madre Divina col corpo di donna posto ad arco sulla terra che toccava con mani e piedi”. Secondo lo stesso Mito:Nutingoiava il Sole ogni sera partorendolo di nuovo la mattina seguente in un eterno ciclo di Morte e Rinascita ... Le Pleiadi erano le “Stelle dell'aratura” ma anche del Destino di tutti.

Gli stessi contenuti hanno poi viaggiato, e vennero poi trasposti, allargati e attribuiti in Grecia alla Dea Atena, e a Minerva a Roma.

Secondo la Mitologia Greca, le Sette Sorelle figlie di Atlante e Pleione erano le Ninfe delle Montagne: le Oreadi nate sul monte Cillene in Arcadia. Si chiamavano: Asterope, Merope, Elettra, Maya, Taigete, Celaeno e Alcyone ... Erano le nipoti di Giapeto e Climene, e parenti strettissime: sorelle o cugine delle Iadi ... Secondo una versione raccontata da Igino nel I° secolo d.C., le Pleiadi erano, invece: “Le Compagne Vergini diArtemide Dea della Caccia ... Orione, il gigante cacciatore focoso, le inseguì per tutta la terra costringendole a fuggire per tutta la Beozia, finchè gli Dei impietositi le trasformarono prima in Colombe e poi in Stelle del Cielo, dove finì anche Orione condannato ad inseguirle in eterno senza mai poterle raggiungere.”

Il nome Pleiadi probabilmente derivava da “peleiades” ossia: "stormo di Colombe", o più semplicemente poteva significare: pléion” cioè: “di più” perché le Pleiadi erano un gruppo numerosissimo di Stelle ... Il nome poteva riferirsi anche a: “plein” cioè “Navigare”, e questo di sicuro richiamava il fatto che determinavano il tempo meteorologico, e orientavano chi viaggiava ... Euripide nel quinto secolo a.C. le citava come “orologio notturno”.

Tolomeo, Al-Sūfi, Dante e Galileo nel Sidereus nuncius” del 1610 riferirono delle Pleiadi … Scriveva Esiodo nelle sue Le opere e i giorni”: “Quando sorgono le Pleiadi, figlie di Atlante, incomincia la mietitura; l'aratura, invece, al loro tramonto. Queste sono nascoste per quaranta giorni e per altrettante notti; poi, inoltrandosi l'anno, esse appaiono appena che si affili la falce.” … e ancora: Ma se della navigazione pericolosa il desiderio ti prende, sappi che quando le Pleiadi, la forza terribile d'Orione fuggendo, si gettano nel mare nebbioso, allora infuriano i soffi di tutte le specie di venti. E non è più il tempo d'avere la nave sul fosco mare ...”

E il Poeta Arato di Soli nei “Fenomeni e pronosticidiceva: ... e sette vengono quelle chiamate per nome: Alcione, Merope, Celeno, Elettra, Sterope, Taigete e l'augusta Maia ... Un inverno molto burrascoso porterebbero le Pleiadi al loro ritorno.”

In Grecia seguendo “il Ciclo delle Pleiadi in Cielo”, si celebrava la “Festa del lavaggio delle vesti”, e si eleggevano i nuovi Magistrati Achei ... Ippo­crate Medico greco, invece, divise idealmente l'anno in quattro stagioni, cia­scuna dominata da una posizione delle Pleiadi in Cielo: l'inverno iniziava quando le Pleiadi tramontavano nell'alba; la Primavera iniziava con l'E­quinozio e terminava col loro sorgere eliaco; l'Estate durava fino al sorgere della Stella Arturo col Sole; mentre l'Autunno terminava col tramonto eliaco delle stesse Pleiadi.

Nel suo trattato “Sulle epidemie”, ancora Ippocrate, disse che quando le Pleiadi correvano in Cielo nelle ore notturne, accadevano febbri ardenti e molti morivano.

E Omero, lo ricordate nell’Odissea vero ? Quando Ulisse partì dall'isola di Calipso:Lieto del vento, drizzò le vele il luminoso Odisseo. Così col timone guidava sapientemente il cammino, seduto: mai gli occhi cedevano al sonno, fissi alle Pleiadi e a Boote che tardi tramonta ...”

I Greci furono anche quelli che idearono la storia della "Pleiade oscuratae perduta": leggenda che si diffuse anche fra i Giapponesi, i Daiachi del Borneo, gli indigeni della Costa D'Oro Africana del Ghana, e gli Aborigeni dell’Australia … “E’Elettra”, diceva alcuni: “che ha il volto velato in segno di lutto per la distruzione di Troia” ...“E’ Merope” dicevano altri: “Che si vela, nasconde e s’inginocchia umiliata perché siconsiderava meno bella delle altre, e si vergognava d’essere stata l'unica delle Sette Sorelle ad aver sposato un basso criminale mortale: il Re di Corinto” ...“E' Celaeno la Pleiade Velata, che è caduta fulminata in Cielo … o forse Alcyone.”

Mille spiegazioni, ma senza conclusiva risposta … Forse qualche Pleiade si oscurava ogni tanto perché ci passava davanti qualche pianeta.

Forse però … Di certo è significativo che gli antichi si erano accorti di quella Stella che compariva e scompariva ogni tanto.

Virgilio chiamava le Pleiadi: “Atlantidi del mattino” mettendo in guardia il contadino dal semi­nare il grano prima dell'epoca del loro tramonto … Le Pleiadi erano: Vergiliae o Sidus vergiliarum” cioè “Le stelle della primavera … dell'Abbondanza …  della bella stagione dei fiori annunciata dalla Pleiade Maya” quella da cui derivò il nome del mese di Maggio.

Celti Europei associavano le Pleiadi alla Morte, al dolore e al trapasso del Funerale perché mentre festeggiavano il Giorno dei Morti e di All Hallows' Eve”, cioè “Halloween-Vigilia di Ognissanti”, le Pleiadi apparivano in Cielo ad Oriente nel crepuscolo dell’Alba … Nel 1600 a.C., le Pleiadi vennero rappresentate abilmente nel Cosmo del Sole e della Luna sullo Scudo di Nebra ritrovato in Germania: le immaginavano come “pulcini intorno a una chioccia”… Nel Medioevo la sinistra apparizione delle Pleiadi venne dirottata e interpretata come data utile per il Sabba delle Streghe: il “Black Sabbath notturno” con leorge profane e Demoniache che a quelli dell’Inquisizione piaceva tanto immaginare e ipotizzare.


In America poi: Ujuxte e Takalik Abaj del Guatemala e della Cultura di Monte Alto, Seri, Quechua delle Ande e Aztechi di Monte Alban in Messico e dell’America Centrale riconoscevano di sicuro le Pleiadi in Cielo. Inserendole nei loro misteriosi e precisissimi calendari le chiamavano “Tianquiztli”: “Le molte”,  e “Cmaamc”, cioè: “Sette donne che stanno partorendo”, e “collca”: “il magazzino” che richiamava l’abbondanza del tempo del raccolto ... Sulle Pleiadi “girava il Calendario”, che veniva puntato e segnato quando esattamente ogni 52 anni solari le Pleiadi apparivano puntualmente sul quinto punto cardinale” o zenith del cielo a mezzanotte precisa ... Non a caso le Pleiadi si vedono raffigurate e incluse sulla parte bassa della celebre Piedra del Sol”, e si pensa che la Piramide del Solea Teotihuacan siano state costruite in allineamento con la “mezzanotte delle Pleiadi in Cielo”.

Mamma che ròba !

Quando tornavano di nuovo ad apparite le Pleiadi, gli Aztechi costatavano che anche per quella volta il mondo non era finito. Per questo inscenavano allora una speciale cerimonia che chiamavano: la “Danza del Nuovo Fuoco”, con la quale erano convinti di associarsi a quel movimento cosmico di misteriosa rinascita solare espresso dalla presenza delle Pleiadi. 

Anche i Maya consideravano le Pleiadi attentamente, perché circa 60 anni dopo la famosa apparizione ombra del Serpente Piumato di Chichen Itza sulla piramide di Kukulcan nell’equinozio di primavera, riconobbero allineate con lo stesso centro anche le Pleiadi. Era in quelle occasioni che si pensava si aprisse la Grande Porta-Corridoio d’accesso della Via Lattea che spalancava e portava nel Regno dell’Aldilà e dei Morti come passando attraverso una passarella magica  interiore.

Si celebrava e festeggiava la comparsa delle Pleiadi anche alle HawaiiI Lakota, Kiowa e Cheyenne le cantavano danzando legandole alla storia della “Mateo Tepe”: la Torre del Diavolo delle pianure del Wyoming nordorientale. Raccontavano: “Ci furono Sette giovani donne nubili che s’allontanarono per giocare ... Vennero inseguite da Orsi Giganti, perciò per mettersi in salvo scalarono la cima della Montagna pregando lo Spirito delle Rocce di salvarle. Il Dio allora, ascoltando benevolo la loro supplica, permise alla Torre rocciosa di crescere fino a toccare il Cielo, e da lì bastò un niente, e le giovani Vergini saltarono in Cielo diventando Stelle, cioè: le Pleiadi ... Agli Orsi non rimase che rimanere di sotto a grattare le rocce, ferendone visibilmente i fianchi con i loro micidiali artigli.”

Anche gli Indiani Papago dell'Arizona basavano il loro anno e i ritmi della loro tradizione agricola osservando il sorgere eliaco delle Pleiadi che coincideva col tempo della semina. La culminazione delle Pleiadi nell'alba segnava la fine della semina, quando stavano sul meridiano celeste iniziava il tempo della caccia al cervo, e al loro tramonto eliaco si faceva la Festa del Raccolto.

Mi direte di nuovo: “Ma che c’entra l’America oltreoceanica con i Veneziani ? … Prima di Colombo non c’era l’America, non si sapeva che esistesse.”

Già … Ne siete sicuri ? … Le Cronache Veneziane, con la massima disinvoltura, e come se fosse ovvio e normale, dicevano anche di un Mazzorbese tornato in Laguna tutto tatuato dalla testa ai piedi, e con a fianco una donna “Pellerossa abile a trattare pellicce. Il Mazzorbese era reduce dall’aver partecipato alle scorribande della squadra di Erik il Rosso: il Vichingo… Alla fine era dovuto fuggire per salvare la pelle dopo che erano scoppiate velenose faide con i locali per “questioni di donne” … Sempre loro in mezzo lungo la Storia.

Voglio dire insomma: che il Mondo di allora era di certo più piccolo di quanto poteva sembrare, e che i Veneziani erano abituati a spingersi davvero lontano e un po’ ovunque … Pensate a Marco Polo, ma anche al fatto che i Veneziani erano di casa ad Alessandra d’Egitto, in Siria, in Persia, e in tutta Europa, in Russia e fin nel freddo e buio Nord. Erano davvero senza confini … Non avranno quindi conosciuto e assorbito, e portato a Venezia tante cose ?

Venezia lungo i secoli con i suoi commerci, ricchezze e idee è stata per davvero Porta spalancata sul Mondo. Intendeva essere: “Caput Mundi” e “Nuova Roma” alternativa e capace anche di surclassare la vecchia e classica Roma. Se il Papa di Romacon San Pietro erano di certo considerati il “numero uno” nel panorama Occidentale, San Marco di Venezia, che era stato discepolo diretto di San Pietro non poteva essere che “il Secondo” agli occhi di tutti … Anzi: visto che Marco aveva prestato voce e mano a Pietro “vecjo Pescaòr” che non sapeva neanche leggere e scrivere … Figuratevi ! Come avrebbe potuto inventarsi un Vangelo e annunciare la Salvezza ai Popoli senza di San Marco ? … Il giovane Marco Lagunare quindi, poteva degnamente primeggiare col suo Mito su quello dell’analfabeta Pietro.

Era prima quindi Venezia ? … Più del Papa ? … No … o forse anche: si.

Noi di oggi sappiamo molte cose sull’Asterismo delle Pleiadi,pur avendone quasi perso il“significato vissuto” dagli Antichi. Le Pleiadi sono un Gruppo di Stelle Circumpolari nella Costellazione del Toro nell’Emisfero Nord Terrestre dove prevalgono d’inverno, mentre nell'Emisfero Sud sono un oggetto tipico del cielo estivo. Sappiamo che sono un Ammasso Aperto(M45 Messier) distante 440 anni luce da noi … quattro passi …Hannouna massa almeno 800 volte il nostro Sole, e contengono almeno un migliaio di Stelle Giganti Blu o Bianche e Nane Bianche e Brune, che si muovono all’unisono verso sud sud-est a una velocità di 40 km al secondo. Non le vedremo mai sfrecciare in Cielo però, perché serviranno almeno 30.000 anni perché le Pleiadi si spostino alla nostra vista quanto il diametro della Luna. Con le Stelle ruotano e viaggiano nel Cosmo anche diversi protopianeti embrionali che girano al loro interno interagendo e concatenati fra loro dalla stessa forza gravitazionale e mareale. Sembra addirittura che ciascuna Stella sia a sua volta un ulteriore Ammasso-Nebulosa, che noi però vediamo solo puntiforme da lontano ... Le Pleiadi sono un fitto insieme di Nebulose e AmmassiStellari incastonati uno dentro all’altro come una mirabile “scatola cinese cosmica”.

Le nove Pleiadi più brillanti sono Giganti Biancoazzurre di luminosità fra 72 e 1.057 volte il nostro Sole, con masse 3-7 volte, e diametri 2,7-8 volte più grandi della nostra Stella. La maggior parte sono concentrate in un’ampia zona di sette anni luce, mentre l'intero gruppo delle Pleiadi si espande in una zona ampia 12 anni luce.

Si è scoperto poi, che la Stella Alcione, detta “la Madre” dai Babilonesi, perchè amata da Posidone, dal quale ebbe Urieo da cui prese il nome la città di Hyria, è in realtà un insieme di ben cinque Stelle: è una Stella QuintuplaAtlante, invece, è una Stella Tripla come Taigete che partorì Lacedemone dando il nome ai Spartani … Elettra, che con Zeus partorì Dardano fondatore di Troia: è una Stella Binaria grande 6,2 volte il Sole, con una compagna che le orbita attorno … Maya, grande circa quattro volte il Sole: la primogenita, la più bella, “la Sanctissima” delle Pleiadi, che da Zeus ebbe Ermes-Mercurio, veniva venerata come la Grande e Feconda Madre: Rhea-Cibele, che diede il nome al mese di Majus, cioè: maggio … Pleioneè una stella variabile che brilla 101 volte più del Sole … Celeno che generò Euripilo, Tritone e Lico che diede nome alla regione della Licia in Turchia, ha luminosità assoluta 96 volte il Sole, mentre Sterope: madre di Enomao d'Arcadia, Re dell'Elide avuto da Ares, splende 72 volte il Sole essendo il doppio di lui.

Merope, infine, come dicevamo, era la Pleiade “sfigata”: l’unica delle Sorelle a sposare un mortale: Sisifo, figlio di Eolo, fondatore di Corinto, dal quale ebbe Glauco, Ornizione e Sinone. Per questo Merope era sempre umiliata, inginocchiata, mortificata e velata … tanto da sparire dal Cielo a volte. Di qui nacque la Leggenda della Pleiade Perduta, che tanto fece discutere e fantasticare l’antichità.

Si stima che le Pleiadi“siano giovani”, cioè possano avere qualcosa come 100 milioni di anni … milione più milione meno. 

Dov’eravamo noi circa 100 milioni di anni fa ?

Quel che è curiosissimo al di là di tutte queste considerazioni dentro alle quali anche la Civiltà Veneziana viveva sicuramente immersa, è che perfino diversi edifici dell'Antichità erano orientati in direzione del sorgere o del tramontare del fantasmagorico “Nido” e“Culla delle Pleiadi”. Di certo fra 4.380 e 400 a.C., durante l’Era delle Pleiadi”, molti Templi Greci vennero costruiti orientati in relazione al sorgere e tramontare in Cielo delle Pleiadi ... Il Tempio d’Esculapio a Epidauro, ad esempio, il Tempio di Capo Sunio, il Tempio di Bacco ad Atene, il Partenone, ed altri templi precedenti dell'Acropoli di Atene.

Era usuale, non eccezionale, allineare edifici e monumenti con gli Asterismi della Volta Celeste … Una volta gli Antichi, Veneziani compresi, erano un po’ fanatici dei Numeri, della Cabala, delle Geometrie perfette e dintorni ... Come ricordate: la chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia, nel Sestiere di Castello e del Vescovo, è stata costruita e ricostruita ben due volte seguendo i dettami, gli equilibri, le proporzioni, e i rimandi del “p greco”… Stessa cosa vale anche per la Basilica della Madonna della Salute, che è un gran centone di simboli e numeri.

E non è tutto … Sarà stato forse solo un caso che le Madonne più antiche venissero rappresentate con 7 -12 stelle in testa ?

A tal proposito: qui a Venezia e in Laguna si è parlato molto spesso e a lungo delle Sante Marie: le “chiese Sorelle” sparse nell’area della Laguna Veneta: Santa Maria Assunta di Torcello, Santa Maria di Eraclea (spazzata via e cancellata nottetempo dai contadini locali per non essere espropriati delle terre dalla Sovraintendenza ai Monumenti), Santa Maria di Murano, Santa Maria di Jesolo, Santa Maria di Grado, Santa Maria Formosa, Santa Maria di Malamocco, e diverse altre:“Le Sante Marie della Laguna: come Stelle” ho trovato scritto.

Che c’entrassero le Pleiadi ? … Chissà ?


Sarà stato ancora un caso-coincidenza se le Madonne rappresentate su statue, pavimenti e mosaici absidali di quelle “chiese Sorelle” sono state tutte contrappunte “alla Bizzantina” da stelle in fronte, sulle spalle, sulle mani, e sul petto ?

Sarebbe più che curioso sapere con quali asterismi del Cielo furono allineate tutte quelle Sante Marie ... Se lo furono ?

Sapete perché ? … e qui si apre un’ulteriore pagina interrogativa importante … Quasi tutte quelle Basiliche sorsero sopra a Templi Pagani del Passato sui quali si sovrapposero i Nuovi Culti cancellando tutto ciò che era vecchio e “pagano”.

“Pagano” indicava l’abitante del luogo: “il Pàgos”, cioè il residente locale, e non “un Credo Demoniaco malizioso”, come il Cristianesimo ha voluto sempre far credere. Il Paganesimo non era il Demoniaco anti Cristiano, ma la “Religio originale del Popolo del luogo”.

Chissà quali meraviglie di tradizioni e contenuti contenevano e richiamavano quei luoghi ?

Erano forse allineati con gli Asterismi del Cielo, come le Piramidi e i Templi d’Egitto, Stonehenge, le Piramidi Azteche e Maya, Newgrange in Irlanda, i Templi di Angkor in Cambogia, o il Serpent Mound a Peebles in Ohio, e molto altro ?

Vi meraviglierebbe se un giorno saltasse fuori che la Basilica di San Marco di Venezia risultasse allineata pure lei col Cielo ? … Magari con la “mistica e luminosa Farfalla della Costellazione di Orione” … Chissà ? … Spero che prima o poi ci sia qualcuno che andrà seriamente e scientificamente ad indagare su queste cose. Sono certo che ci saranno delle sorprese.

Che si sa, ad esempio, dell’Antico Tempio delle Lagune che veniva raggiunto da tanti nell’antichità per via delle sue vantate qualità miracolose e visionarie ?   … Dove sorgeva ? A Torcello, ad Ammiana forse, o in quale altro sito Lagunare ? …  E che si sa dei luoghi di culto preCristiani di Venezia ?

C’è qualcuno che ne parla e ne ricerca forse ? … Eppure ci sono stati: gli antichi li citavano. Non è vero che Venezia è nata Cristiana pressappoco verso il 1000, e che prima c’erano in Laguna solo acque disabitate occupate dai grezzi pescatori e salinari ignoranti. Non è vero neanche che le Chiese sono state i primi Luoghi di Culto della Laguna … A Venezia si raccontava, ad esempio, che le chiese di San Silvestro, di San Giacomo di Rialto, e anche il Tempietto della Pace, che sorgeva dove oggi c’è la Farmacia dell’Ospedale Civile: l’ex Convento dei Domenicani dei Santi Giovanni e Paolo, cioè San Zanipolo dei “Domines Canes”: i famosi Mastini di Dio, i terribili Padri Predicatori e Inquisitori ... sono state costruite sopra ad antichi Templi Pagani Lagunari ... La Cripta allagata di San Zaccaria, ciò che sta sotto a Sal Salvador, così come le Cripte sommerse o interrate di altre chiese: sono state sovrapposte ad altro ? 

Se si: che cos’era ? Chi c’era ? … Che ispirava ?

Non si sa … La foga della Cristianità nella sua voglia fanatica d’imporsi ha cancellato e azzerato accuratamente quasi tutto, e ogni traccia del “retaggio Passato”è andata ... forse … irrimediabilmente perduta. Pensate, che c’è stata perfino un’epoca, in cui s’intendeva cambiare anche il nome delle Costellazioni in Cielo ribattezzandole e rileggendole in chiave esclusivamente Cristiana … Andate a vedere.

Con tutti questi discorsi voglio dire insomma: che i Veneziani di ieri conoscevano bene, ed erano in un certo senso “affezionati” e forse anche un po’ “dipendenti” al Cielo. Lo conoscevano quasi come le loro tasche ... E sapete bene di come in tasche, borse ed economie i Veneziani fossero afferrati e specializzati: erano dei provetti intenditori.

Sentite, infine, questo vecchio proverbio delle campagne Bellunesi: “Le brave filaresse de genaro le va a dormir co le Sette va al punàro.” Le “Sette”: rieccole ! … Sono ancora loro: le Pleiadi.

Oggi purtroppo, è di moda venire qui a Venezia per tuffarsi di sotto nei canali buttandosi giù da qualche ponte o da tetto di palazzo, o viceversa per scalare ubriachi nel cuore della notte le case di povere vecchie spaventandole a morte, o ancora per vagare nudi, pisciare e importunare ovunque, accendere fumogeni sui ponti, imbrattare muri, campi e palazzi, o scorrazzare con le moto d’acqua lungo il Canal Grande, e tanto altro ancora … Servirebbe che in giro vigilassero come un tempo i temibili Signori di Notte, o i CapiContrada e CapiSestiere di una volta. Non si farebbero di certo alcun scrupolo nel prendere qualcuno “pàl copìn”, e “nel darghe una bèa remenàda” prima di metterli in gattabuia buttando in canale la chiave ... Il troppo è troppo: guasta !

Perché tutti costoro, e noi con loro, non ci dedichiamo piuttosto ad alzare gli occhi per scannocchiare un po’ il Cielo “in alto” uscendo da tanta bassa apatia e pochezza ? ... Le Pleiadi sono ancora là sopra Venezia.

Proviamo a meravigliarci ancora di questo allora !


Un colpo di Peste a Venezia nel 1490

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#unacuriositàvenezianapervolta 326

Un colpo di Peste a Venezia nel 1490

Gli Arimondo o ArtiMondo o Raimondo, o se volete ancora chiamarli: Arlimisti o Arizini furono una famiglia di ricchi e Nobile Mercanti giunti a Venezia dall’Abruzzo passando prima per Aquileia.

A Venezia fin da subito furono capaci di essere presenti fra quelli che contavano: furono Tribuni, e seduti nel Maggior Consiglio al momento della famosa “Serrata” ... Nicolò Arimondo nel 1080 era Capitano delle navi da guerra dell’Imperatore Bizantino Niceforo III Botaniate che andò a combattere in Puglia contro il Normanno Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo.

Si dice che a Venezia gli stessi facoltosi Arimondo siano stati tra i promotori della prima costruzione di San Geremia nell’omonima Contrada di Cannaregio, e che abbiano ampiamente finanziato il suo restauro nel 1280.

Maria Arimondo vedova di Missier Giovanni nell’autunno 1238 regalò una casa sita in Contrada di San Vidal alla Congregazione dei Preti di San Luca, e un’altra in Contrada di San Marcuola ai Preti della Congregazione di Santa Maria Mater Domini, e terre e altre case a tutte le sette Congregazioni dei Preti Veneziani ... Sempre in mezzo il Clero quando si trattava di soldi.

In quegli stessi anni Tommaso Arimondo era, infatti, Canonico di San Marco, SubDelegato di Wido Vescovo di Chioggia e Piovano di Lio Mazòr. Venne scelto proprio lui per andare a calmare e dirimere la furibonda lotta legale sorta fra i Monaci di San Tommaso di Torcello guidati dal Priore Solimano e le agguerritissime Monache di Santa Margherita della stessa Isola.

Lo stesso Tommaso Arimondo, apprezzato per come sapeva comportarsi in quelle situazioni, divenne addirittura Vescovo di tutta Venezia… e si era nel 1260.

Gli Arimondo poi andarono come Cavalieri a Gerusalemme e in Terrasanta con alterne fortune. Da una parte vennero esaltati per le loro gesta e la Carità, dall’altra vennero ingiuriati, perseguitati e messi da parte.

Antonio Arimondo fu uno dei Capitani delle Galee Veneziane durante la Guerra di Chioggia contro i Genovesi.

Piero di Giacomo Arimondo lasciò nel 1382 ben 120 ducati in elemosina agli stessi Nobili, ma soprattutto a Orfani, Vedove e vecchie menomate e bisognose di Venezia: “A loro siano dati due terzi della mia Carità: 3 ducati a persona ... L’altro terzo: un ducato a persona siano dati a popolani … Assicuratevi che siano veri bisognosi, e non fate tramacci, né preferenze per conoscenze e amicizie.”… più o meno recitava così il suo testamento.

Lo stesso Piero Arimondo ancora vivo nel 1399 ottenne facoltà di porre un Banco in Piazza San Marco, e di allestire e armare una sua Galea per condurre Pellegrini al Santo Sepolcro ... anche quello era un modo per far affari.

Tramontato poi quasi del tutto il sogno di Terrasanta, negli ultimi anni del 1400 gli Arimondo risultavano iscritti al Libro Nobiliare della Balla d’Oro con 3 Padri e 8 Figli. Gestivano allora in Città un “Banco di scritta” che portava il loro nome: una Banca insomma, una delle famose quattro che c’erano allora a Venezia: Banco Lippomano, Banco Garzoni, Banco Agostini e Banco Arimondo.

Messi insieme quei Banchi erano capaci di alimentare e gestire un giro d’affari superiore a un milione di ducati … Erano la sintesi visibile della stagione economica fortunata che stava vivendo la Serenissima.

Giustamente siamo abituati a considerare quelle del Redentore e della Salute come le grandi Epidemie di Peste che misero a soqquadro l’intera Città Lagunare mietendo migliaia di morti e mettendo risorse e persone in mano a Pizzegamorti e Monatti che depredavano chiunque, e violentavano le donne buttandole ancora vive nelle “fosse da làsagne” dove stavano impilati i cadaveri degli appestati.

Accanto a quelle storiche immagini tragiche, le Cronache Veneziane raccontano però anche di altre “Epidemie minori” accadute quasi in punta di piedi in Laguna … La Peste era la Peste, ma a volte non riusciva a mettere in ginocchio, fermare e flettere del tutto Venezia.

La Peste vagava di continuo per tutta l’Asia e l’Oriente, e da lì si travasava tramite le Galee, le Carovane e i viaggi d’affari in tutto il Bacino del Mediterraneo giungendo di volta in volta anche in Laguna. Erano gli stessi commerci fortunati a procurare la rovina dei Veneziani, in quanto importavano con la ricchezza anche “il Morbo”.

Nel 1490 Venezia e l’Estuario dei Lazzaretti, Ospizi e Hospedaletti non sembrò in grado di tenere testa alla nuova ondata del Contagio. Come noi di oggi col Covid, gli Hospedali Veneziani andarono presto in grande affanno risultando incapaci di gestire il nuovo flagello.

I Veneziani iniziarono allora ancora una volta a morire “a grappoli”, e chi poteva permetterselo iniziava a fuggire lontano provando a trovare scampo da qualche parte. Così fecero i Nobili Aloisio (Alvise) e Fantino Arimondo che abitavano in Contrada di Santa Maria Nova(vicino ai Miracoli a Cannaregio), che vista la mal parata dell’Epidemia, pensarono di lasciare la Capitale Veneziana per andare a rifugiarsi “fuoriPorta” in Terraferma finchè non fossero tornati tempi migliori.

Fatti i bagagli quindi, pensarono di nascondere il loro tesoro di famiglia in un anonimo magazzino in Contrada di San Trovaso… poi partirono da Venezia.

Un loro fido “Barcarolo de Casada”, che così fidato in realtà non era, era a conoscenza di quei nascondimenti preziosi. Affamato di denaro, contattò due uomini di Treviso: Santo Mascarello “homo iniquo già bandito per omicidio”, e suo cognato Giovanni, e tutti insieme si attivarono andando nottetempo a far razzia e saccheggio del tesoro degli Arimondo.

La cosa ebbe successo: divennero ricchi … ma Venezia Serenissima, si sa: “dormiva sempre con un occhio solo”, le bastava un sommovimento sospetto, un dettaglio, una piccola traccia, l’occhiata sbadata di uno che passava di lì per caso … Infatti dopo breve indagine pizzicò tutti e tre i malviventi.

“Alla Veneziana” li appesero subito alla corda della tortura perché spiegassero e ammettessero “liberamente e spontaneamente” i fatti. Infatti, un tiro di corda dopo l’altro, mentre cedevano dolorosamente spalle e ossa, quelli confessarono tutto ammettendo ogni addebito. Il tesoro degli Arimondo quindi venne salvato.

Solo il Barcarolo de Casàda sembrò non curarsi della dolorosa “tiratura”, perché, come raccontano gli atti del Processo: lo trovarono addormentato appeso alla corda della tortura … Poco cambiò: vennero condannati tutti, e si restituì il malloppo a chi di dovere.

Poi la Peste passò ancora una volta, e ogni cosa tornò al suo posto … eccetto le ossa rotte dei ladri.

Gli Arimondo rientrarono in Laguna riprendendo i loro voluminosi affari. Insieme ai Nobili Trevisan e Priuli nel 1515-1516 acquistarono dallo Stato Serenissimo le terre confiscate ai “ribelli Borromeo” a Lissaro e Arlesega nel Padovano e Vicentino. Stessa cosa fecero i Tiepolo con le terre che erano state dei Lion a Conselve, e i Lando con le terre dei Bagarotto a Lozzo.

L’operazione ebbe un grande successo, perché alla fine gli Arimondo con i Nobili Pisani dal Banco, Cappello e Dolfin si comprarono il 71,8% delle terre confiscate da Venezia in Terraferma, cioè ben 2.200 ettari, versando nelle casse sempre vuote della Serenissima: 85.000 ducati … Venezia con Doge, Senato e Grandi Patrizi gongolarono non poco.

 

Nel 1526 infine, per via della negativa congiuntura economica il Banco di Andrea Arimondo fu costretto a chiudere per fallimento. In luglio la sua moneta di banca valeva un 15% in meno di quanto dichiarava ... Il passivo fu grande: 27.000 ducati di cui 16.000 legati ad assicurazioni, e 11.000 definiti come debiti.

I Nobili Arimondo non si arresero … Come possedimenti “attivi” avevano ancora diverse Mercanzie in viaggio per somme non determinate ... Avevano: Allume e Potassio depositati in magazzino per 1.500 ducati … Titoli di Stato per altri 1.500 ducati, e proprietà immobiliari e gioielli per un valore non determinato ma sufficiente a saldare immediatamente più di 6.000 ducati.

Gli Arimondo insomma in qualche modo riuscirono a salvarsi e a galleggiare lo stesso sul palcoscenico storico Veneziano ed Europe, anche se nell’ottobre di quello stesso anno Andrea Arimondo morì “da melinconia del Banco”.


 

“Vecchiaccia maledetta !” … Venezia 1403.

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#unacuriositàvenezianapervolta 327

“Vecchiaccia maledetta !” … Venezia 1403.

Sapete meglio di me qual è stata la bontà della presenza Fiorentina a Venezia. Nell’Emporio di Rialto e nelle Insule Venezianec’erano Mercanti di Panni, Banchieridel Banco Giro, Argentieri, Cambisti, Assicuratori e Artieri Tessili, Serici e Lanieri della “Nazione Fiorentina” residenti a Venezia.  Fiorentini e operatori Toscani venivano a rifugiarsi in Laguna (vedi la storia dei Lucchesi ad esempio), e in stagioni felici di buoni rapporti fra Venezia e la Toscana riuscivano perfino ad ottenere la “Cittadinanza de intus”: cosa rarissima per i “forèsti” non Veneziani. In altri momenti, invece, la Serenissima non si faceva scrupolo di espellere ogni Fiorentino e rimetterlo per strada ... I Fiorentini però tornavano ogni volta consapevoli del valore della Piazza Veneziana.

La Comunità Fiorentina a Venezia godeva spesso di particolari esenzioni daziarie e fiscali, ed era favorita nella gestione dei commerci col Levante Orientale e il Ponente Europeo. I Fiorentini da parte loro erano abilissimi nell’accordarsi con i Nobili Veneziani: a volte addirittura s’imparentavano con alcuni Clan Mercantili: un Labia sposò, ad esempio: una Baglioni, un altro Labia una Antinori. Non a caso poi, Fiorentini e Toscani abbienti diedero vita anche alla Schola-Compagnia dei Fiorentini ospitata prima dai Domenicani di San Zanipolo, e poi dai Francescani di Santa Maria Graziosa dei Frari. Appena fuori dal portone del gran chiesone nel Sestiere di San Polo, i Fiorentini esponevano nei giorni di Festa il loro “penèlo Gigliato” (gonfalone) e indossavano una veste nera con l'immagine del Battista sulle spalle (patrono dei Fiorentini). ... Ancora oggi se andate ad osservare la facciata dei Frari potrete riconoscere “il giglio Fiorentino” a coronamento di un tondo finestrone a sinistra, mentre all’interno sull’Altare dei Fiorentini si può godere della bellezza del “San Giovanni Battista” realizzato da Donatello.

 


E ancora … Poco prima della Peste della Madonna della Salute del 1620-30, venne a galla con grande scalpore a Venezia un ampio contrabbando di seta che coinvolgeva Carlo Strozzi ricchissimo Nobile, Mercante e Banchiere Fiorentino residente in Contrada di San Canciano.  Il suo fallimento per 500.000 ducati fece inviperire non poco e insorgere molti Nobili e Mercanti Veneziani non abituati a perdere … Strozzi dovette fuggire da Venezia per salvare la pelle, mentre i Veneziani non accettarono più i tassi e cambi di moneta imposti da Strozzi sul Mercato Veneziano, la sua casa venne messa sotto sequestro insieme a mobili, scritture mercantili e ogni merce ivi ritrovata.

Gli Strozzi poi tornarono di nuovo a Venezia commerciando e macinando grano … Diversi artisti Fiorentini lavorarono ancora a Venezia. Di fatto i Fiorentini non se ne andarono mai del tutto dalla Laguna.

Non fu tutto oro però ciò che luccicò a Venezia provenendo dalla Toscana … In Laguna circolarono anche personaggi Fiorentini e Toscani un po’ diversi …  Fra costoro ci fu pure una vera e propria “Banda di Fiorentini” che risiedeva prevalentemente nella Contrada dei Santi Apostoli ... Più che una vera e propria banda, era un gruppetto di persone losche e disposte un po’ a tutto che ruotavano come complici e ricettatori attorno all’attività ladresca di Benedetto di Bernardo da Firenze.

Si era nei primissimi anni del 1400 quando costui giunto in Laguna “senza Arte né parte”, decise di farsi ricco a spese delle pingui chiese Veneziane da sempre ben fornite di ori, argenti, denari e preziosi. Ideò un vero e proprio “Giro delle Chiese di Venezia” per provare di volta in volta“a pettinarle tutte” privandole di qualcosa.

La lista delle ruberie di Benedetto attuate spesso con una certa astuzia fu davvero lunga. Andò avanti per ben otto mesi prima d’essere scoperto e fermato ... Quasi sempre agiva da solo … Qualche altra volta, invece, con l’aiuto di Paolo di Angelo: un inserviente anche lui da Firenze residente nella stessa Contrada dei Santi Apostoli. Altre volte ancora si serviva di Giovanni “servo” residente pure lui ai Santi Apostoli. Entrambi quei complici alla fine affermarono e riaffermarono di non conoscerlo né d’averlo mai visto … Si salvarono dalla Giustizia Veneziana.

Benedetto prendeva i preziosi rubati, li smontava, e li mandava a vendere a pezzi … Non mancavano buoni ricettatori a Padova e Ferrara, ma ce n’erano anche a Venezia: a Rialto e dintorni … Bastava stare attenti, e rivolgersi alle persone giuste. Di solito era Nicola Beco, Fiorentino pure lui, che si occupava di piazzare e vendere la refurtiva fungendo da intermediario e spacciandosi per abile commerciante internazionale.

Benedetto incominciò il suo fruttuoso “Giro delle Chiese Veneziane” con quella di Santa Maria della Carità affacciata sul Canal Grande e non lontana dalla Fondamenta delle Zattere (oggi è inglobata nelle Gallerie dell’Accademia). Lì senza difficoltà entrò in Sacrestia, e si mise un calice dentro alla giubba invernale uscendo con la stessa disinvoltura con cui era entrato ... Cosa fatta … E una !

Andò poi la seconda volta nella chiesa delle Monache di San Zaccaria. Lì ci mise un po’ di più per riuscire a prendere due calici dalla Sacrestia lasciata incustodita. Le Monache erano sempre là guardinghe: non si muovevano … Diede allora fuoco a un drappo che copriva una panca in fondo alla chiesa, e in un attimo tutte quante accorsero come api sul miele … Fu un giochino allora entrare e uscire dalla Sacrestia ... Nessuno si accorse di lui.

Prese poi di mira le chiese sull’itinerario fra San Pantalon e Rialto: due calici dalla Sacrestia di San Pantalon subito dopo della Messa Solenne quando tutti si riversavano nel Campo antistante alla chiesa per chiacchierare … Un calice a Sant’Agostin in Sacrestia. Bastò aspettare che il Sacrestano andasse come ogni giorno alla vicina Osteria fra una Messa e l’altra ... Tutto socchiuso o lasciato aperto, spalancato e incustodito … Benedetto: entrò e uscì … Un altro calice dalla Sacrestia di San Giovanni Evangelista dove Benedetto entrò fingendosi un Confratello della Schola Grande bisognoso di Confessione … Il Sacrestano andò a chiamare il Prete, e a Benedetto bastò quell’attimo.

Un calice d’oro intarsiato con pietre prese poi dalla Sacrestia di San Giacomo di Rialto. In tanti dal Mercato di Rialto entravano da una porta con ceste e sporte in chiesa e uscivano poi dall’altra dopo breve orazioni ed elemosine … Fece così anche Benedetto, che strada facendo prese il calice lasciato sull’altare pronto per la Messa, e lo infilò in una voluminosa cesta che portava al braccio.

Travalicato il Ponte di Rialto poco dopo, s’infilò dentro alla chiesa di San Bartolomeo dei Tedeschi: bottino due calici di pregio.

Pochi passi ancora in direzione di Piazza San Marco, e altro calice preso dalla Sacrestia di San Salvador con la scusa di mandare a chiamare nel Monastero uno zio Canonico da parte di madre … Era stato fin troppo facile.

Ancora lì a Rialto, mentre cercava di far perdere le proprie tracce fra la folla del Mercato, Benedetto s’infilò in Contrada di San Mattio dentro alla Locanda alla Serpa spalancata a chiunque. C’era un gran andirivieni di gente e cose, per cui nessuno si accorse che rubò una preziosa “platenam” d’argento appartenente a una comitiva al seguito dell’Imperatore di Costantinopoli.

Toccò poi al centro nevralgico della Città: la Basilica di San Marco… Qui tutto si fece difficile. Il gran chiesone ducale pullulava di sorveglianza, Preti, Nonzoli, Fedeli, Nobili chiacchieroni in ogni angolo, Donnette devote, e tante Guardie … Il famoso Tesoro di San Marco era cosa Inarrivabile: protetto più di un castello da assaltare.

Gli riuscì solo d’arraffare un prezioso candelotto di valore, che portò via fingendosi un Pellegrino … Stessa cosa fece a Santo Stefano dove i candelotti arraffati furono due. Non avrebbe avuto difficoltà a piazzargli a buon prezzo sul mercato delle cose di chiesa e devozione: Pellegrini, Monache, Frati, Nobili e Preti erano sempre pronti a spendere un patrimonio per certi oggetti di Religione.

Qualche volta il bottino per Benedetto fu magro, come la volta che s’infilò nella chiesa di San Cristoforo alla Madonna dell’Orto di Cannaregio … Lì trovò un Frate Sacrestano scorbutico e sospettoso, perciò dovette nascondersi dentro una cassapanca della chiesa e farsi rinchiudere all’interno per poter poi rubare di notte la Corona della Madonna e la Croce che luccicava in cima all’Altare.

Disdetta grandissima ! … Quando uscì finalmente sulla Riva col sacco pieno, si accorse che sia la Corona che la Croce non valevano niente: non erano d’argento, ma di ottone dipinto ... Tanta fatica per niente: buttò tutto in canale, e se ne andò via accigliato.

Si spostò allora dall’altra parte della Città: verso San Pietro di Castello: la Contrada dei Canonici e del Vescovo. Bottino: tre calici dalla Sacrestia di San Pietro: proprio durante un affollato predicozzo di un Frate istrionico che stava ammaliando tutti. Nessuno s’accorse che lui s’era infilato in Sacrestia, tanto erano rapiti dall’ascoltare quel Frate che pareva isterico e ispiritato insieme.

Altro giretto fruttuoso fece poi Benedetto in giro per il Sestiere di Castello: un calice di buon valore dalla chiesetta dell’Ospedale di San Bartolomeo delle Putte di fronte alla chiesa troppo affollata di San Francesco di Paola, e a quella del Convento di San Domenico dei Padri Inquisitori … Quella la lasciò stare, perché se l’avessero acciuffato là, quelli dell’Inquisizione l’avrebbero messo al rogo in cima al ponte o dentro a una barca in mezzo al canale.

Altro calice prelevò, invece, dalla vicina chiesa di “Sant’Antonio Abate del porsèl”(cancellata da napoleone: oggi Giardini Pubblici)… Nel momento in cui erano tutti indaffarati attorno ai maiali che da secoli imperversavano giorno e notte in ogni angolo della Contrada grufolando, sporcando, e azzannando anche vecchie e bambini, Benedetto si attivò e arraffò calice ed elemosine ... Nessuno badò a quel poveraccio che s’era addentrato in chiesa.

A San Biagio dei Forni sul Molo di San Marco: altro calice di buona fattura che gli procurò buoni denari.

Il trucco era quasi sempre lo stesso: approfittare della distrazione di chi c’era … Allontanare in qualche modo chi sorvegliava, agire lesti in punta di piedi, ed il gioco era fatto. Non era mai stato per davvero difficile … Chiunque sapeva, ad esempio, che quasi in ogni chiesa c’era sempre a portata di mano un calice già predisposto per la Messa che doveva iniziare, o rimasto sull’altare alla fine di un Rito appena concluso … Bastava aver pazienza, e approfittare del momento giusto ... C’erano poi i calici belli e preziosi delle Feste, quelli che si usavano solo in rare occasioni … Erano però merce più difficile da prelevare, perché molto spesso erano guardati a vista: difficile avvicinarli.

Benedetto per un certo tempo aveva preso di mira anche la Reliquia delle Monache di Santa Marta… Quello era un grosso capolavoro di una raffinatezza unica. Smontarlo e venderlo gli avrebbe reso di sicuro un bel gruzzoletto … Le Monache però esponevano la Santa Reliquia pochi giorni all’anno, e quando lo facevano c’era sempre una Monaca piazzata davanti a pregare. Come avrebbe potuto fare Benedetto ? ... Aspettare che la Monaca di turno prendesse sonno ? … E poi per scappare  ? …  Sarebbe dovuto fuggire in barca lungo i canneti lagunari oltre la Punta dei Lovi di Santa Marta… Non si poteva dalla parte opposta: era sempre pieno di Pescatori e Popolani …. Se le Monache avessero dato l’allarme: quelli erano capaci di linciarlo … Troppo rischioso … E se poi finiva impantanato in Laguna ?  … Da quella parte poi c’erano sempre troppi Birri su barche che vigilavano sul contrabbando lungo la rotta di Confine e l’ingresso di San Giorgio in Alga e Liza Fusina… Troppa gente: zona troppo trafficata … L’avrebbero beccato facilmente con un Reliquiario massiccio nel sacco ... Se l’avessero fermato e preso poi di notte: sarebbe stato un disastro … A volte i Gabelotti e i Dazieri fermavano la gente anche se avevano la barca del tutto vuota.

Otto mesi dopo quel fruttuoso tira e molla però, Benedetto non era affatto contento. Non riusciva ad avere per le mani quel giro di denaro che sperava … Non si sentiva pago di quanto riusciva a racimolare in giro per Venezia: era troppo poco. Decise allora di smettere con quel modo di fare “da rubagalline” per tentare l’impresa e sistemarsi una volta per tutte … Sognò di fare un gran colpo finale: quello conclusivo che l’avrebbe arricchito e portato finalmente fuori Venezia e di ritorno in Toscana: sua terra d’origine.

Ne parlò spesso con i compari nella abituale Osteria che frequentava a San Giobbe non lontano dal Traghetto delle barche per la Terraferma. … Da quella parte se ne sarebbe andato … I compari però erano titubanti, non se la sentivano stavolta di assecondarlo in quell’impresa troppo impegnativa. Preferivano starsene bassi e vivere alla giornata rimanendo ancora a Venezia: era una Capitale in fondo, e le occasioni non sarebbero di certo mancate.

Benedetto allora: decise di darsi da fare per ottenere “quel di più” da solo. Non avrebbe più spartito la sua ricchezza con nessuno.

Iniziò quindi per qualche giorno a compiere un’attenta ricognizione su “un posto di chiesa” che gli sembrava quello giusto. Aveva individuato il punto debole della chiesa sulle finestre della Sacrestia. Ce n’erano un paio non molto alte e strette dalla parte della Corte del Piovan. Sarebbe bastato addossarci davanti un cassone di legno e salirci … La seconda finestra soprattutto: quella più esposta dalla parte nord, aveva vecchie sbarre rugginose e pietre molto corrose e mangiate dall’umidità e dalla salsedine. Non ci sarebbe voluto molto per intaccarle ed estrarle dalla parete … In alternativa sarebbe stato sufficiente storcerne una issandola da parte … Poi si sarebbe infilato dentro forzando il vetro della finestrella retrostante: una stupidaggine.

Nel cuore di una notte seguente raggiunse allora il posto, recuperò il grosso cassone lasciato in un angolo, e lo posizionò sotto alla finestrella. Tutto nella Corte del Piovan era buio, spento e silenzioso …Venezia pareva dormire “della grossa” stanca.

Salì allora sul cassone con un goffo salto che gli fece ballonzolare la pancia in aria … Estrasse un grosso scalpello dai sacchi che si era portato dietro, e iniziò a intaccare le sbarre e la pietra  … Non sarebbe servito picchiare troppo e far rumore: la pietra sembrava quasi squagliarsi facilmente sotto l’energica scavata del ferro. Poco dopo, infatti, l’innesto delle sbarre fu liberato … Ancora un poco d’impegno, e l’intera grata con un singulto sommesso venne via lasciando il muro e la finestra liberi come un occhio spalancato sull’interno della Sacrestia della chiesa … Ce l’aveva fatta !

Calò allora la pesante grata sul cassone, e dopo essersi guardato attento intorno s’infilò dentro lesto facendo pressione sulla vecchia finestrella retrostante che s’intravedeva appena … Attorno ? … Niente e nessuno: tutto taceva.

La finestrella mezza marcia e tarlata non fece opposizione alle mani esperte e abili del ladro ... Gli bastò smanacciare un poco: spinse e urtò gli angoli del legno, e qualche attimo dopo la finestra cedette spalancandosi arresa verso l’interno. A Benedetto non rimase che issarsi in punta di piedi, e poi calarsi dentro a fatica spingendo il solito voluminoso pancione … Ancora uno sforzo: e fu dentro del tutto.

Si lasciò cadere e rotolare sul pavimento sottostante cadendo morbido … e lì rimase per un attimo immobile in attesa.

Ancora silenzio totale ovunque … e buio fitto. Solo i riflessi della luna inondavano pallidi la stanza: non c’era altro, se non odore da chiesa, da incenso, fiori marci, Preti e Sacrestia. Si alzò in piedi allora intuendo che non gli sarebbe servito scassinare quasi nulla: era tutto esposto a portata di mano … Chi aveva chiuso la sera precedente aveva già preparato tutto per la Messa del giorno seguente: c’era là pronto ben in mostra il grosso calice dorato e intarsiato che aveva visto qualche giorno prima usare durante la Messa: “Meglio non essere troppo avido e rischiare.” si disse Benedetto, e incominciò a infilare febbrile gli oggetti dentro ai suoi sacchi … Uno, due, tre … Li riempì in breve tempo ... Trovò anche una bugia spenta usata di solito per illuminare e leggere i libri da Messa … La accese con l’acciarino che le stava posato accanto, e la stanza si rivestì di un pallido luccicore: adesso avrebbe potuto lavorare meglio.

Aprì dappertutto e frugò ovunque senza far rumore, e gesto dopo gesto riempì altri due sacchi con tante “cose buone”: altri calici dorati, croci, cartegloria, vasellami da Messa, un secchiello prezioso, dei reliquiari d’oro riccamente decorati, e candelabri d’argento e oro … Scovò anche ben nascosti dietro a una finta anta d’armadio il sacco con le elemosine raccolte nei giorni precedenti. Era troppo bisunto, consunto ed usato quell’angolo dell’armadio per non nascondere qualcosa.

Trovò anche il bottigliotto del Vin da Messa in un angolo … Perché non far la guasconata di berlo ? L’aprì di getto sorridendo, e ne bevve avidamente un lungo sorso a garganella. Sorrise di nuovo alla fine divertito asciugandosi la bocca bagnata con la manica della casacca sudata e fetida che indossava ... Tornò allora “ai suoi doveri e impegni” da ladro … Aprì e frugò ancora dappertutto tralasciando ogni cosa troppo ingombrante o di apparente scarso valore … Lasciò stare anche le cose difficili da riciclare ... Per quanto fossero belli, ricamati e preziosi non li voleva nessuno gli abiti da Messa: si diceva che portassero jella e sfortuna … Lasciò quindi tutto là, e cercò altre cose. Ne aveva in mente una soprattutto, che infine trovò.

Stava nascosta nel sottofondo mimetizzato del cassetto dello scrittoio della Sacrestia. Si trattava degli ori e delle collane della Madonna Vestita di chiesa. Possedeva molta roba di valore quella Madonna: più di una ricca Nobildonna Veneziana. Trovò: orecchini, manini, braccialetti, medaglie, fili di perle, collane e qualche anello ... C’era anche piegato accuratamente un velo antico “da testa” tutto ricamato con fili d’argento che luccicavano.

Arraffò tutto avidamente quasi scavando con le mani dentro al cofanetto ... Poi fu tempo di scappare e andare … Soffiò sulla candela, e si affacciò dal finestrucolo scassato guardando attentamente da una parte e dall’altra della Corte. Tese poi l’orecchio rimanendo a lungo in ascolto: niente … silenzio totale … Non c’era nessuno ... Si sentiva solo il bisbigliare della fontana in mezzo alla Corte del Piovan.

Solo di fronte, in alto, s’era illuminata flebilmente una finestra … Una sola però … Sarà stata quella del solito Veneziano insonne.

Non aveva fatto eccessivi rumori oltre a quello di estrarre le sbarre dal muro … Aspettò ancora un attimo per sicurezza: niente di niente.

Allora raccolse tutti i sacchi con la refurtiva e uno dopo l’altro si sporse di fuori calandoli pesantemente sul cassone sottostante alla finestra: “E uno … e due ... e tre, e quattro e cinque: andati !”

Poi tese l’orecchio di nuovo sbirciando intorno … Ancora nulla … la fontana in fondo, e quell’unica finestra accesa.

Guardingo più che mai, e quasi convinto d’esser riuscito nella sua impresa, si issò sulla finestrella infilandosi nel pertugio alla rovescia. Adesso gli sarebbe bastato calarsi di sotto, raccogliere i sacchi e andarsene via fin sul bordo del canale. Sarebbe stato un altro giochetto da bimbi slegare una “battella” a caso, e andarsene via lontano attraverso i canali vogando sui remi dentro alla notte Veneziana.

Poi giunto a casa avrebbe sistemato tutto quel ben di Dio smontandolo e facendolo a pezzi … Infine avrebbe lasciato per sempre Venezia montando sulla Barca a Punta San Giobbe da dove sarebbe partito a metà della mattina seguente.

I Veneziani non avrebbero avuto neanche il tempo di focalizzare ciò che era capitato, che lui si sarebbe trovato già lontano oltre l’Appennino Tosco-Emiliano … Aveva mille idee in testa su come spassarsela una volta arrivato di là in Toscana  … Già pensava alla Locanda sulla strada per Fiesole, dove c’era quella rotonda Villotta sempre pronta ad accogliere chi la pagava bene ... Sorrise nel buio presagendo un sottile senso di piacere, mentre goffo si spingeva fuori e di sotto … Avvertì allora una dolorosa puntura sul fondoschiena … Che fosse uno spuntone delle sbarre divelte ? … Anche no … S’era abbassato e sporto tanto ormai: avrebbe dovuto avvertire il cassone di sotto con i piedi: si eccolo … e di nuovo avvertì quel “punzore doloroso” sul fondoschiena. Ma che era ?

Scese del tutto allora, incurante del lieve dolore … e quando si volse capì tutto finalmente in un attimo: quel dolore sul di dietro era la punta di una spada a procurarglielo … e dietro alla spada c’erano le guardie dei Signori di Notte che lo stavano aspettando ai piedi della finestra.

Era tutto finito stavolta ... Circondato com’era: non aveva alcuna alternativa. Neanche a sognarsi di scappare da nessuna parte. Infatti gli serrarono presto due robusti braccialetti attorno ai polsi, e un fendente pesante gli venne calato fra capo e collo per fargli capire ciò che l’attendeva e chi adesso comandava la situazione.

Piegato e ottuso quasi in ginocchio ancora accanto ai sacchi preziosi, fra le figure dei soldati gli riuscì di vedere una scena. Sulla porta della casa di fronte stava un Prete sgangherato con la veste talare mezza sbottonata, la berretta storta calcata in testa, il tabarro buttato su alla buona, e una lanterna accesa in mano. Teneva strette le mani di una vecchia e lugubre donna sorridente quasi del tutto sdentata. Annuiva contenta la vecchia dentro ai riflessi del lume notturno, e nelle mani congiunte con quelle del Prete compiaciuto, si vedeva che stringeva contenta una borsa di denaro.

Era stata lei a chiamare le Guardie e il Prete: “Vecchiaccia maledetta !” le gridò più volte inviperito mentre lo trascinavano via fin sulla riva della Contrada dove c’era una barca “caponèra” ad aspettarlo.

Accanto alle Guardie e ai sacchi abbandonati spuntò l’Oste della Contrada con già addosso il solito grembiale unto … Dalle finestre intorno altri volti assonnati s’erano affacciati ad osservare la scena … Un’altra donna nottambula passò di là col mastello di legno e il fagotto della biancheria sporca diretta alla fontana che continuava “a cantare” in mezzo alla Corte del Piovan … Le guardie chiacchierarono ancora un poco col Piovano consegnandogli i sacchi recuperati da Benedetto … e fu lì e così che quell’ennesima storia Veneziana terminò.

 


Era il 1984, o forse il 1985 …

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#unacuriositàvenezianapervolta 328

Era il 1984, o forse il 1985 …

Ho postato ieri quel vecchio video che mostra quanto rimaneva nel 1929 dell’antica tradizione Veneziana del Culto e della Venerazione della Reliquia della Vera Croce a Venezia.

Quasi a catena vedendolo la prima volta, si è acceso ed è emerso nella mia mente il ricordo personale di un’esperienza che ho vissuto, sempre qui a Venezia, a distanza di qualche decennio. Era il 1984 o forse il 1985, quando facevo ancora il Prete ai Carmini di Campo Santa Margherita a Venezia. C’era stato un temporalone il pomeriggio precedente, e tornato il sereno, mi ero recato prima delle dieci del mattino nella vicina chiesa di San Barnaba per recuperare la mia inseparabile chitarra, che avevo nascosto dentro a un Confessionale il giorno precedente. Subito dopo, avevo in mente di recarmi nella vicina Scuola Elementare “Renier Michiel”, dove mi attendevano i “miei bimbi festosi” per la consueta ora settimanale di Religione.

Sono sempre stato curioso … difetto o no … e la mia curiosità a volte mi ha ripagato facendomi scoprire tante cose belle bellissime, mentre altre volte mi ha regalato qualche amara sorpresa … E’ la Vita … Entrato nella chiesa insomma, che non era ancora il museetto carabattolesco di oggi, ma funzionava ancora mettendo in piedi qualche sporadico Rito scarsamente frequentato, notai la porta socchiusa della Sacrestia in fondo verso l’Altare Maggiore.

Fin qua: niente di che …  Mi garbava l’idea di entrare lì dentro per salutare in velocità l’anziano vecchio e simpatico “Rettore barbogio” mio bonario amico-nemico-confratello col quale, quasi quotidianamente, condividevo tante battaglie Dottrinali e comportamentali …  “Ròbe da Preti” … Perché no ?

Il Prete anziano era di sicuro molto più esperto e navigato di me, che ero solo un “Pretino implume appena nato”, uscito da pochissimo dal guscio-incubatrice del Seminario ... Era stato fin da subito “odio-amore” fra noi due nella più assoluta cordialità … Più di qualche volta, sorriso alla mano, mi ripeteva “papale papale” davanti a tutti, che avrei meritato d’esser bruciato con uno spettacolare rogo in Campo Santa Margherita“Hai convinzioni Dottrinali e Pastorali troppo moderne ed esagitate.” mi apostrofava: “Sei un moderno Eretico” aggiungeva: “Hai dalla tua parte però la fortuna che l’Inquisizione non funziona più come un tempo.”

E si rideva … Era davvero convinto però, che il mio comportamento avesse ben poco di Sacerdotale ed Ecclesiastico. Ero troppo atipico secondo lui: troppo spinto nelle parole, negli atteggiamenti e nelle convinzioni: “Sei un Prete pericoloso: da temere, e da tenere alla larga, sotto stretta osservazione.”

E dicendo questo: non rideva più, e finiva col mostrare di solito un viso pensoso e accigliato, davvero preoccupato.

Figuratevi se gli davo retta ! … Mi tenevo strette le mie convinzioni, e facevo “buon viso a cattiva sorte”. Pur essendo “Prete Novello” non mi sarei cambiato con uno solo di quei Preti “attempati ed esperti” per tutto l‘oro del mondo.

“Il tuo problema è che sei troppo idealista, troppo convinto.” mi rimproverò alla fine il Patriarca Marco Ce quando decisi di andarmene: “Manchi di praticità, di quel giusto pizzico di diplomazia e di quella capacità di trovare un compromesso per riuscire lo stesso a vivere certe situazioni … Certe persone non si riuscirà mai a cambiarle … Anche se sono Preti … Bisogna accettarli lo stesso come sono, e condividere con loro quel che si può … Ovviamente senza rinunciare alla Verità … Avresti dovuto forse vedere e non vedere, sentire ma non sentire, tralasciando, e chiudendo un occhio o tutti e due su certe cose ... Forse non saresti giunto a questa conclusione.”

“Già …” gli risposi: “Forse poteva andare proprio così.”,

Ricordo poi d’aver aggiunto un po’ spavaldo e sicuro di me: “Perché mai avrei dovrei rinunciare al senso profondo della mia scelta da Prete svendendomi dietro a certe pseudotradizioni e presunti accomodamenti pretereschi ? … Chissà perché, portano sempre a svendere e spacciare al ribasso il fatto della Religione barattandola quasi sempre con soldi, favori, comodità, compromessi e altri interessi che di Dottrinale e Morale non hanno niente … Non fa per me.”

Sorrise allora il Patriarca, quasi compiaciuto, concludendo: “Chissà da chi mai avrai preso questo modo e queste convinzioni ?”

E me ne andai per sempre … Che “anni grandi” però che ho vissuto !

Quel mattino, insomma, mi ero avvicinato alla Sacrestia di San Barnaba, da dove sentivo uscire l’eco di un fitto parlottio: “Che sarà mai successo ?”

Era accaduto il violento temporale del giorno precedente, che aveva fatto scoppiare una vecchia grondaia della chiesa, e l’acqua della pioggia era entrata ovunque invadendo diversi ambienti di San Barnaba dov’erano depositate molte “ròbe di Chiesa”. Tante cose “vecchie” s’erano ampiamente bagnate e guastate, ed era assolutamente necessario intervenire in fretta per evitare il peggio … Ma come ? … E soprattutto: con quali denari ? … Era questo il dilemma.

Spinta la porta della Sacrestia, davanti ai miei occhi comparvero allineati e accatastati alla rinfusa lungo la parete insieme a una “pianta Natalizia che aveva finito di soffrire”: diversi Reliquiari intagliati, Libri da Messa, oggetti e abiti da Liturgia, quadretti devozionali, stoffe e altro ancora. Sopra al largo tavolaccio centrale poi, c’era una raccolta di cose bagnate ammonticchiate. In un angolo c’erano ancora: scatoloni pieni di libri con vistosi aloni bagnati, e: teli, velluti, candelabri rugginosi, e oggetti e carte varie: “una bella mercanzia di cose da chiesa”.

Tutti i presenti riconoscendomi mi accolsero cordiali, e uno di loro, che sfoderava in pianta stabile una specie di sorriso sardonico e accattivante, continuò a dire: “Che volete insomma che facciamo di tutta questa ròba ? … Ormai non vi serve più, s’è irrimediabilmente guastata … Vendetemela: sono qua.”

“Venderla ?” m’intrufolai subito a dire: “E perché mai ? ... Sono oggetti preziosi: espressione della Devozione e della Fede dei Veneziani di questa zona … oltre che pezzi artistici e di valore poi, contengono anche vecchie Reliquie.”

“Ma che espressione ? … Oggetti preziosi ? … Paroloni … Non farla così grande.” reagì l’anziano Prete-Rettore barbogio: “Certe vecchie patacche oggi non servono più … Che poi ? Sei così sicuro che non siano Reliquie fasulle, prive d’autentica certificazione ? … Chi potrà mai dirlo ormai ?... Ti ricordi come dicevano a volte un tempo: “Ecco le ossa … Adesso facciamole diventare Sante: autentichiamole ... Era tutto un mercato.”

“Già … E lo è ancora oggi mi pare.”

Avevo intuito quanto c’era in ballo … Si stavano accordando per vendere e comprare tutte quelle cose. Oltre a due Preti, c’erano il Sacrestano, e un paio di Veneziani che non conoscevo ... Uno, lo scoprii poco dopo, era un antiquario, l’altro un suo socio in affari. Fu il primo a riprendere il discorso interrotto davanti a me: “Va beh … Allora: facciamo un bòcio unico di tutto … Vi faccio un buon prezzo, e mi porto via tutto.”

“Però: senza il quadretto.” reagì furbetto l’altro Prete chiamato a supporto e in consulenza: “Quello ce lo dovrete pagare a parte se proprio lo volete.”

“No … Dai … Mettiamoci dentro anche quello, e non ne parliamo più … Porto via tutto in barca: compresi anche quei vecchi Messali, i libri bagnati, e tutta quella montagna di carabattole odorose e già piene di muffa che avete messo sul tavolo … Semmai una volta o l’altra ci troveremo a bere qualcosa insieme ... Magari pensando a qualche altro affaretto.”

“A bere solo qualcosa ?” bofonchiò il Prete anziano lisciandosi la barba e sussultando nella pappagorgia: “Con tutta la roba che vi stiamo quasi regalando, ci dovete minimo un’intera cena … e ai “Do Pozzi” per di più !”

“Gira voce che lei sia un buongustaio Reverendo … Mi costerete un occhio della testa … Ma per questa roba ormai rovinata vi posso offrire solo questo … E’ anche troppo … Chi vuole che si prenda questo pattume avariato ?... E’ diventato solo vecchiume quasi privo di valore.”

“Ma che vecchiume senza valore ?” s’intromise il Sacrestano disinteressato e affezionatissimo alla chiesa di San Barnaba, ma che odorava in aria la possibilità di guadagnarci qualcosa pure lui: “Sono cose che i Veneziani hanno donato e curato per secoli: non sono la solita robaccia da soffitta che tratti tu nella tua bottega ... Sappiamo bene che c’è gente scheòsa (danarosa) che va matta per questo genere di cose ... Così come sappiamo altrettanto bene, che appena avrai risistemato un poco queste cose, le spaccerai per oggetti antichissime e rari, che ti farai pagare profumatamente ... Non sono robaccia come vorresti dare da intendere, ma cose su cui puoi fare buoni guadagni ... Dai: diciamo giusta.”

“Va beh ! … Lo ammetto … E’ il mio mestiere: sono un Antiquario … e qualificato per di più … Non tratto assolutamente scopàzze, ma solo roba buona, pezzi di pregio, che metto in mostra in bottega e vendo anche nel Mercatino di San Maurizio ... Sono comunque venuto qua per amicizia, e per venirvi incontro … Vi sto proponendo un prezzo equo: onesto ... Se poi non ci state, e pretendete troppo: amici come prima, e me ne vado via a curare i miei affari ... Non è che sto qui a supplicarvi e a chiedervi l’elemosina …  Gli affari sono affari ... Stiamo mettendo in piedi una transizione commerciale ... Anche se un po’ così: alla buona … Fra amici.”

“Mi pare che qua stiamo a tirare troppo per niente ... Stiamo perdendo tempo con questi discorsi.” s’intromise l’altro “compra-vendi”“Va beh l’amicizia … ma dobbiamo pensare anche ai nostri interessi … Ieri sera per telefono sembrava cosa già fatta e conclusa … Adesso state tirando fuori discorsi … Ha ragione lui: chi volete che prenda sta ròba presa così male ? … Adesso intanto si dovrà asciugarla e recuperarla per poterla poi eventualmente rivendere …  E saranno spese prima di poterne ricavare qualcosa ... Non è che il restauro  costi niente.”

“Ma va là piansimòrto !” s’intrufolò di nuovo a dire il Sacrestano“Non far l’Avvocato della situazione ! … Ti conosco da una vita ormai … Sai condurre bene i tuoi affari … Compri cose come queste per una pippa di tabacco mostrando di venirci incontro e di farci un gran favore, e poi, dopo una spolverata, le rivendi a peso d’oro a qualche danaroso compratore straniero, come fossero tutti pezzi d’arredo unici e antichissimi, introvabili … da museo … e ci fai sopra un buon malloppo ... Dai: ti conosco … Non siamo nati ieri … Sappiamo tutti com’è la vostra bottega.”

Mentre li ascoltavo discutere, osservai intanto oltre alle cose allineate lungo la parete, anche due grosse sporte ricolme che pendevano già dalle braccia dei due “compratori” ... Erano piene di “ogni ben di Dio in partenza” ... Fuori sulla strada, infatti, giusto sulla porta della chiesa, avevo aggirato entrando un pesante carretto carico di scatoloni, casse e voluminosi sacchi neri da spazzatura. Non ci avevo fatto caso entrando: pensavo fosse il carretto lasciato provvisoriamente là da uno dei tanti carrettieri che trafficavano ogni giorno fra le barche e la riva di Campo San Barnaba ... Era il carretto, invece, dei due antiquari raccattatori avveduti d’anticaglie.

“Io non venderei.” m’intromisi di nuovo “impiccione”.

“Oh ! … Riecco spuntare l’idealista … L’Eretico !” mi si rivolse il vecchio Prete facendomi un cenno con la mano: “Sei sempre perso dietro ai tuoi celesti principi e valori … Impara ! … Qui ci vuole un po’ di concretezza, invece … Come pensi che si possano pagare i lavori per rimettere in sesto tutto il macello provocato dal temporale ?  ... Solo pregando la Divina Provvidenza ? … I restauratori e gli artigiani vogliono soldi … mica preghiere e discorsi … Non si lasciano affatto imbrombolare da uno dei tuoi contorti temporali dottrinali ?”

Scoppiarono tutti a ridere ... Perciò contraccambiai la battuta accennando ad andarmene: “Non ho voglia di star qui a discutere con lei: Grande Inquisitore ... Spero che la pioggia di ieri abbia bagnato e spento “una tantum” anche le sue velleità da Giustiziere medioevale, e la sua voglia di falò iconoclasti.”

“Non si sono bagnati solo i miei desideri.” rispose sornione l’anziano Prete: “Qui è piovuto dentro dappertutto … Mezza San Barnaba è andata in ammollo ... Al di là di tanti discorsi e batture: qui servono soldi.”

“Ha ragione.” riprese l’antiquario: “Venezia è sempre così: acqua ovunque … E’ tutto vecchio e cadente: basta un alito di vento e un po’ di pioggia in più, che tutto va in rovina, s’ammuffisce e si logora ... e serve sempre una montagna di soldi per risanare e mettere di nuovo tutto a posto.”

“Già … Qui, infatti, ieri s’è rovinato tutto … Guarda quanta roba c’è da buttar via.” precisò il Sacrestano indicando tutte le cose esposte attorno: “E’ un disastro !”

“Qui servono soldi per sistemare.” proseguì ancora “furbetto” mostrandosi preoccupato: “Non crederete forse che si possa restaurare tutto con le elemosine dei Fedeli che non arrivano più ? … Sono cambiati i tempi, lo sapete … La gente non da quasi più niente alla Chiesa … Non ci sono più i benefattori e le elemosine di un tempo … Sono io che vuoto le cassette in chiesa, e sono ancora io ogni volta quello che fa “la conta”: viene su solo una gran miseria ... Quattro bèssi matti (denari di poco conto).”

Compresi distintamente allora la piega ben precisa che aveva già preso tutto quel tramestio. Così come intesi che quel contrattare prima della mia intrusione era già giunto a conclusione. Riposai di nuovo gli occhi sui borsoni appesi al braccio dell’Antiquario. Spuntavano anche le cornici di vecchi Reliquiari intarsiati.

“Ma quelli non sono ciarpame e carabattole !” provai ancora ad aggiungere: “Non sono i vecchi Reliquiari della chiesa ?”

“No ... Cioè: si … Ma sono diventati ormai brutti e rovinati … Sono di poco valore … Non sono preziosi ... Impresentabili ... Non si potrebbe più in ogni caso esporre in chiesa cose del genere …”

“Ma sono pur sempre i Reliquiari della chiesa ... No ?”

“Reliquiari … Reliquiari.” borbottò l’anziano Prete distogliendo lo sguardo … Gli Antiquari da parte loro non aggiunsero una parola, Parevano essersi estraniati del tutto dalla scena, tutti dediti com’era a controllare oggetti, scatoloni, e sacchi e pacchetti.

“Vedi Don.” provò ancora a spiegarmi il Sacrestano prendendomi amichevolmente per un braccio: “Sai meglio di me come funzionano oggi certe cose: “Aiutati che il Ciel ti aiuta” … e: “Una mano lava l’altra” … Certe cose oggi non si usano più. A chi vuoi che interessino i Reliquiari della chiesa di San Barnaba ?  … A nessuno … Qui stiamo rischiando di chiudere “bottega” da un momento all’altro … Neanche ai Preti interessano più certe cose, se proprio devo essere sincero … Le consideriamo tutti: carabattole accessorie, cose che ormai hanno già fatto il loro tempo … E poi non si tratta mica di oggetti d’oro … di cose di pregio dal valore altamente artistico … A che serve lasciarle là ? … A buttar via altri soldi per conservarle ? … Siamo capaci solo di guardarle marcire del tutto prima di buttarle via … Qui si deve avere una mente più aperta ed elastica nel considerare certe cose … Io la penso così … Sarebbe il bene di tutti.”

“Non mi scambi per blasfemo Reverendo.” mi si rivolse chiosando sottovoce uno dei due bottegai alzando timidamente la testa e guardandosi intorno come a non voler essere sentito da qualcuno: “Chi vuole che creda ancora oggi in questi giorni moderni all’efficacia delle Sante Reliquie ? … Siamo seri: sono cose del Passato, che oggi hanno perso il loro significato … Non contano più niente ... Chi vuole che gli dia credito ? … Qualche ultima vecchietta bigotta forse ?”

“Ma sono pur sempre cose offerte dalle persone di questo posto … Hanno anche un valore affettivo oltre che devozionale e storico … Non si possono buttar via così ... Ve la immaginate la gente povera della Contrada di San Barnaba, che per secoli si è a volte privata del poco che aveva, pur di riuscire e confezionare e offrire alla chiesa questo tipo di cose ? … Non si può dire che non valgono niente … Hanno valore solo per questo.”

“Ma va là !” s’intromise di nuovo l’altro Prete: “Si vede che sei appena nato, e non capisci niente di come funzionano certe cose … Hai la testa fra le nuvole … Ti perdi dietro a vecchie tradizioni ormai morte … Qui serve pagare i restauri dei danni procurati dalla pioggia ? Chi vuoi che paghi ? I Santi e la Madonna delle Reliquie forse ? … O i Fedeli che non offrono più niente ? … Vuoi forse che lasciamo lì la grondaia rotta, così che pioverà dentro sempre di più, e poi ci crollerà tutta la chiesa in testa ? … Dobbiamo svegliarci dai ! … Sfruttare al meglio le poche risorse che abbiamo … Dobbiamo vedere le cose nella loro concretezza, senza farci prendere tanto inutilmente da nostalgie ridicole.”

Che potevo rispondere ?

“Capisco il problema … Ma possibile che non esista un altro modo per andarne fuori ?... Non si può andare in cerca di qualche ente munifico, di qualche ricco benefattore straniero, o di qualche banca che finanzi i restauri in cambio di un po’ di pubblicità e di qualche nuovo cliente ?”

“Hai voglia di farci ridere vero ? … Con tutto rispetto: ma in che Venezia stai vivendo Don Stefano ?”

“Questa vecchia Rettoria di San Barnaba non ha nessuna risorsa.” aggiunse il vecchio Prete barbogio: “Certe cose dovresti saperle … Che cosa dovrei fare secondo te ? … Vedi soluzioni diverse percorribili ? ... Qua: temporale dopo temporale, e giorno dopo giorno tutto va in rovina e in abbandono …  O ci s’ingegna, o tutto ci crollerà in testa andando in malora ... Non ti dico neanche di quali urgenti interventi avrebbe bisogno questa chiesa ... Ma non importa a nessuno ... Sai quante volte ho provato a chiedere, domandare ? Quanto ho segnalato, chiesto, fatto presente, relazionato ? … Pensi che qualcuno mi abbia risposto ?”

“I soldi non piovono come “grazia” dal Cielo.” precisò il Sacrestano: “Tu fai da poco il Pretino in giro, ma non sai che cosa costa mantenere in piedi chiesoni come questo ... Laggiù davanti, ad esempio: c’è la facciata che sta camminando verso il Campo … Servirebbero milioni per ripararla, e per fare in modo che non cada giù … C’è qualcuno che se ne sta preoccupando secondo te ? … Nessuno: questa è la verità … Tutti fanno finta che il problema non esista, e che sia competenza d’altri, per non sganciare finanziamenti e soldi … Dobbiamo lasciare allora che tutto vada in malora ?”

“Mah … Da una parte avete ragione, ma dall’altra vedo questo come un discorso con soluzioni ambigue … Con questa scusa allora: vendiamo tutto, disfiamoci di candelieri, opere d’Arte, arredi e abiti liturgici, e di tutto il resto … Non serve più niente: tutto è Passato … e ci sono subito pronti qua: questi, che arrivano immediatamente con barche e carretti, con quattro soldi, e belle idee per riciclare tante cose … Ogni cosa diventa occasione buona per far mercato … Tanto non ci sono inventari aggiornati, e non c’è nessuno che controlla … Ho visto benissimo in giro sulle bancarelle: vecchie chiavi di chiesa, “cartegloria” trasformati in specchi, e calici, pissidi, decorazioni dei Confessionali, e tanta altra oggettistica che può spuntar fuori soltanto da luoghi come questo … E’ uno scempio tristissimo secondo me ... Non è salvare il salvabile come pretendereste di dire voi.”

“Mah ? … E’ tempo perso rimaner qua a ragionare con te … Tanto non vuoi capire … Qui serve raccattare soldi in qualche modo per sistemare  e mettere a posto ... Se non si fa così, fra poco non resterà più niente da sistemare, e neanche da poter vedere.”

“E vendere ...”

“Non c’è alternativa … Serve far così ... Forse capirai di più andando avanti, strada facendo, quando avrai più anni e più esperienza.”

“Spero di non capire e non imparare in realtà.”

“Non vorrei che lei pensasse che noi siamo dei dissacratori e mezzi ladri … Non è così … Cerchiamo solo di renderci utili, anche se fiutiamo l’affare … Serve “dare un colpo al cerchio e una alla botte” per risolvere il problema ... Potremmo ignorarvi, e lasciarvi affondare nel vostro brodo … Se ci pensa: è anche un modo per venirvi incontro e aiutarvi.”

“Mah ? … Lasciamo perdere … Non stiamo qua a farci tanti scrupoli inutili … Don Stefano capirà forse queste cose quando diventerà responsabile come noi del destino di questi ambienti cadenti ... Vedrai: la penserà diversamente ... Lasciamo Tempo al Tempo … Oggi intanto: non mi pare che si possa agire diversamente da così.” concluse il vecchio Rettore, quasi a voler mettere il coperchio finale su tutta la faccenda.

“Mah ? … Rimango della mia idea … Per quanto secondarie e di poco valore artistico, si tratta pur sempre di storiche Sacrosante Reliquie ! … Non sono affatto affezionato a certi contenuti tradizionali un po’ bigotti, ma li considero parte integrante della Tradizione Veneziana da conservare.”

Prese ancora un’ultima volta la parola uno dei due compratori, mentre già i Preti s’erano allontanata confabulando per gli affari loro: “Mi scusi Don … Non la conosco, ma vedo che lei è giovane ed entusiasta … Secondo me hanno ragione loro. Mi scusi se mi permetto, ma le sembra che abbiano davvero valore queste vecchie cose ? … Siamo seri: sono paccottaglia … Roba che un tempo immagava e calamitava in chiesa i Veneziani e le vecchiette della Contrada … ma che oggi non valgono più niente … Non hanno una vera valenza storica ... Io me ne intendo: sono solo oggetti nostalgici … un po’ vuoti, pompati su nel loro significato da rare persone come lei ... Ai più non interessa più niente di queste cose.”

“Ha ragione lui.” s’aggiunse l’altro: “Con tutto rispetto … Le dirò anch’io, che pur non essendo affatto credente, però m’interessa molto il fatto Veneziano ... Io giro e lavoro molto per Venezia, e da tanti anni ormai. Ci sono sparse ovunque e si possono trovare cose incredibili nei palazzi, nei vecchi Conventi e nelle chiese … Però: siamo obiettivi e onesti … A chi vuole che importino certe cose ? Crede che ci siano ancora persone che si affidato a cose del genere ? Un tempo erano specchietti per le Allodole, aggeggi considerati buoni e miracolosi … Oggi non hanno più alcuna valenza cultuale, e forse neanche storica … Servivano una volta per accalappiare creduloni … Oggetti messi in piedi per attirare le persone … Andavano bene per i Pellegrini che passavano di qua ... Ed erano utili per qualcuno per spillare soldi … Ma per noi di oggi ?”

“E così.” precisò ulteriormente il vecchio Rettore tornato indietro: “I Pellegrini devoti venivano qui a Venezia per imbarcarsi o di ritorno dalla Terrasanta. Perciò i Veneziani facevano trovare loro tutto ciò che cercavano e volevano ... Volevano vedere montagne di Sante Reliquie ? Eccole qua ! … Venezia ne era stracolma …Volevano “miracoli” e Indulgenze per la Salvezza Eterna ? … Eccole !  … Qui in Laguna non mancava niente: c’erano Reliquie e soluzioni per tutti i gusti … Se voleva un Pellegrino poteva rimanere qui in Laguna anche per sempre. Non avrebbe mai finito di trovare e gustare la scorta senza fine delle “belle cose” che Venezia aveva da ostentarli e proporgli.”

“Noi Veneziani abbiamo sempre avuto nel D.N.A. in senso degli affari e del commercio.” sghignazzò uno degli Antiquari: “Di fronte a un buon bicchiere di vino: ogni Dio, Religione, Stato, Mercante e Veneziano trovavano sempre un loro proficuo accordo ... e tutti alla fine erano contenti.”

“Già … E i Veneziani di allora, per far contenti tutti: sia Pellegrini che residenti, aprivano la saccoccia e andavano a rapinare Sante Reliquie e Santi Corpi in giro per tutto il mondo … Così che chi giungeva a Venezia, invece, che per un mese soltanto, se ne rimaneva in Laguna per due, tre, quattro … o anche per sempre, ed erano buoni affari per tutti ... Ho letto la Storia: a Venezia era tutta una Funzione, una Messa, una Festa e una Processione continua … Le chiese di Monasteri e Contrade erano dei brillanti tesoretti, e delle “macchine formidabili acchiappasoldi”, e chi più ne aveva più ne metteva … Anche in questo modo Venezia ha saputo diventare grande.”

“Tutto vero … Ho letto anch’io certe cose: oggetti come questi e Sacrosante Reliquie spuntavano ovunque qui in Laguna come funghi dopo la pioggia … Ed era tutto un mercato, un business senza fine durato secoli ... e noi di oggi: siamo qua a raccoglierne i rimasugli, le memorie e qualche coccio.”

“Che vorreste dire ? … Che noi di oggi, visto che i Veneziani di una volta “baravano devotamente” per far Venezia grande, e che siccome non crediamo più a certe cose, né ci serviamo più di certi “affabulanti tranelli da commercio Religioso”, siamo liberi di buttar via e liberarci di ogni cosa per quattro soldi ? … Mi pare un po’ meschino.”

“No … Per carità: non si butta via niente, né tantomeno la Tradizione e le cose buone … ma solo quelle superflue, quelle che non servono più, che sono vistosamente inutili … Le cose dotate di minore credibilità … quelle di minor valore.”

“Mah ? … A proposito di Eretici da bruciare: mi sa che stavolta con questi squallidi discorsi che fate, toccherebbe piuttosto a voi di salire sul rogo in Campo Santa Margherita.”

“Dai !” mi disse infine il vecchio Rettore: “Non farla grande … Tu prendi sempre le cose troppo sul serio … Si tratta in fondo solo di paccottaglie … “Sante patàcche” se vuoi … ma pur sempre patacche: robètta … In fondo non si tratta mica di oggetti preziosi d’oro tempestati di gioielli ! … Ne per queste carabattole ci va di mezzo la Fede che uno ha … o non ha.”

“Povera Venezia … Anche in questo modo, pezzo dopo pezzo, viene smantellata dal suo stesso interno e lasciata andare in rovina ... Quel che rattrista poi, è che siamo proprio noi Preti e genti di chiesa, i custodi di questi tesori, a rifilare al rigattiere tante belle cose ricche di significato … Ed è un vero peccato.”

“Antiquari … Non rigattieri Don … E’ diverso … Siamo dei Professioni seri, degli estimatori … Non mandiamo al macero le cose, ma le rivalorizziamo … Cambiamo loro i connotati e la destinazione d’uso, e così le salviamo … Dovreste forse anche esserci riconoscenti per quanto facciamo … Un vecchio Reliquiario può sempre diventare un bel specchio d’epoca da salotto, così come certi drappi antichi possono arredare ad effetto le pareti di un ufficio: meglio di una tappezzeria ... Non buttiamo via niente, non roviniamo, ma reinterpretiamo l’uso di un’opera ridandole vita nuova … Le pare un male ?”

“Per le vostre tasche: no di certo.”

“Ma no Don … Non la butti così sul tragico: è la vita … E’ il Lavoro, e gli affari … Non veda tutto in modo così piccolo: è sbagliato. Da uomini avveduti che siamo, si cerca sempre di far contenti un po’ tutti: i Preti da una parte che hanno bisogno di soldi, e noi: che lavoriamo sul mercato di questo genere di cose … Se vuole: sono le regole dell’Economia Mercantile che ha da sempre caratterizzato Venezia … Siamo un po’ come i vecchi Mercanti di un tempo.”

“Che hanno saccheggiato tutto il Mediterraneo e l’Oriente in nome di Dio e della Giusta Fede … Gesù Cristo ci butterebbe fuori tutti a pedate e frustate ...”

“E avanti con sta storia … Sei sempre il solito sofistico … Leggi sempre tutto ciò che accade a modo tuo … Non vedi mai l’aspetto pratico e positivo delle cose.”

“Quello del portafogli intende ?”

“Il rogo bisognerebbe accendere … Lo ripeto sempre ... O perlomeno: strapparti la lingua … Ma forse: non capiresti lo stesso.”

Il campanile dei Carmini in fondo al Canale suonò sonoramente le dieci di metà mattina … Ero in ritardo con la Scuola.

Rimessa la mia chitarra in spalla, me ne sono allora andato uscendo da quel discorso surriscaldato inutile … Non esiste più sordo di chi non vuol sentire …  Inutile rimanere lì a discutere a vuoto.

“Viene fuori una sera a cena con noi Don ? ... Quando concluderemo questo affare ? … Ormai siamo in confidenza mi pare.”

“Mah ? … Non so … vedremo …”

Che fine avranno fatto quei vecchi Reliquiari ? … e tutte quelle cose bagnate dalla pioggia ?

Forse l’avrete già capito … E quella grondaia rotta ? … quei locali scrostati e umidi ?

Sapete com’è andata a finire la storia ? A sorpresa la grondaia è rimasta ancora rotta per anni e anni, mentre i Reliquiari e tutto il resto delle “Sante Patacche” hanno preso il volo scomparendo per sempre. Ho provato una volta ironicamente a chiedere al Sacrestano e al vecchio Rettore: “E allora ? Come procedono i lavori ? … Piove ancora dentro ? … Mi sa che servirà ancora vendere qualcos’altro.”

Entrambi mi hanno ricambiato col silenzio e uno sguardo torvo da fulminarmi … Non sono riuscito a fare a meno d’osservare i pugnetti del vecchio nervoso Prete stringersi, mentre il Sacrestano mi ha sorriso furbetto con la sua solita cordialità ruffiana “d’ordinanza”.

Non sono ritornato più sull’argomento con loro … Se non una volta diversi mesi dopo, quando per caso durante uno dei miei giri per Venezia, ho riconosciuto su una bancarella di un mercatino d’antiquariato alcuni degli oggetti visti quel mattino ammonticchiati nella Sacrestia di San Barnaba ... A fine mercatino: non c’erano più: venduti !

“Chissà chi li avrà comprati ? … e che ne farà ?” esordii quella sera a Cena con i Preti seduto ancora una volta di fronte al vecchio Rettore di San Barnaba.

“Ancora avanti con questi discorsi ? … Non ti arrendi mai ? … Perché: non lasci perdere ? ... e ti gusti, invece, questi succulenti bocconi e questo buon vinello ? … Fattene una ragione di certe cose … Non far sempre lo schizzignoso arrogante … Diventi antipatico.”

Riandando nella mia mente a questo vecchio episodio, ho scritto: “Sante Patacche” … e la Domenica di Lazzaro ai Frari”: la “Una curiosità Veneziana per volta.” n° 323 che posterò domani ... Provate a cimentarvi nel leggerla, se ne avrete voglia.

 

Epte e Franceschino delle Contrade di San Samuel e Sant’Angelo

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#unacuriositàvenezianapervolta 329

Epte e Franceschino delle Contrade di San Samuel e Sant’Angelo

La Contrada di San Samuele a Venezia veniva chiamata un tempo anche Confinio di San Matteo, e andava a confondersi e sovrapporsi con quella vicina di Sant’Angelo che si richiamava al famoso Arcangelo San Michele con la Bilancia del Giudizio che pesava le Vite e le Anime di ciascuno… Si richiamava anche a tutto ciò che concerneva quella misteriosa e mistica Via Michaelica che percorreva tutta l’Europa e il Mediterraneo … I Veneziani di allora avevano ben chiare in mente quelle cose …  Nella stessa Contrada si viveva stipati come “vicioneres” contendendosi le piscine d’acqua e le zone appena bonificate col fango ancora molle. Su quei Veneziani laboriosi, analfabeti e semplici, quasi tutti pallidi fantasmi senza nome ingoiati dal Tempo, vigilavano all’inizio del 1300 i Capi Contrada e un “pròbo”Piovano Padre-Pastore: Prè Francesco Carello, che tanto “pròbo”(giusto) non era … Era talmente generoso e buono che venne più volte condannato, multato e messo in prigione per le sue “gesta amatorie e i numerosi adulteri con le femmine de la Contrada” ... Quando Zanin Diedo partì per Corfù, Donna Orsa sua moglie fece fagotto delle sue cose, mollò per strada i figli, e andò ad abitare e convivere col Prete di San Samuel. Non era nuovo il Prete-Piovano di cose del genere: s’era già fatto due anni di Prigione per essere stato colto in fragranza d’adulterio con Lucia moglie del NobilHomo Marco Barbarigo del quale era saltato il matrimonio … al Nobile fu sentenziato di tenersi la dote ... ma sapete com’è: “Il Lupo cambia il pelo ma non il vizio”… e certe categorie già fin da allora erano propense a concedersi liberamente ogni cosa senza tanti ripensamenti né rimorsi.

“E basta co sto Prete intrigaletti !” disse allora la Repubblica ! … Donna Orsa venne condannata “a finir la vita in prigione”, anche se poi “le fu fatta grazia” e venne rimessa in libertà, mentre Prè Francesco Carello venne riconfinato per un altro bel po’ “in gattabuia serrata” ... Avrà cambiato modo ? … Boh ? … Chissà ?

Il clamore dell’episodio comunque si assopì ben presto fra le basse caxette, le botteghe e i cantieri della Contrada di San Samuel… Buona parte di tutto era di proprietà del Vescovo di Castello verso il quale tutti i Veneziani "alti e bassi" erano debitori per aver costruito e messo in piedi la Cattedrale di San Pietro di Olivolo-Quintavalle-Castello: “La chiesa Cattedrale del Vescovo dei Veneziani è di tutti: quindi è bene che tutti paghino !”

Quelli del Confinio di San Samuel, come buona parte dei Veneziani, erano donne e uomini normalissimi, vispi e operosi di cui sono rimaste scarse tracce: neanche il nome a volte … Bisogna quasi immaginarseli un po’ incazzosi verso la loro magra sorte e il Governo Veneziano che li pressava, e un po’ orgogliosi di vivere sotto il vessillo di San Marco & Todaro… Per buona parte si trattava di Pescatori, Salinari, Marinai, Barcaroli, Bastàzi (Facchini), Squerajoli e Artieri delle cose di tutti i giorni: latte e formaggio, il pestrin per macinare, la farina col forno e il pane, le Vigne col Vino e le Osterie, l’Orto e le minestre spesso mangiate per strada, i panni ordinari x vestirsi e i tessuti di pregio di cui rifornire i Nobili, le chiese e i Monasteri, le piccole botteghe fuori casa, e quelle grosse e ricche di Rialto e di Piazza San Marco.

Vivevano anche in dieci-dodici se non di più nei mono o bilocale col fuoco in un angolo, giovani e vecchi promiscui, senz'acqua corrente nè servizi ... con le Galline sotto al letto, i Topi e le pulci indosso, e con quelli che morivano di febbre o peste accanto perdendosi strada facendo ... Le famiglie, infatti, venivano chiamate “fuochi” prima di venire “riqualificate” in “Anime” dagli Archivi degli Ecclesiastici ... Scalzi dall'alba al tramonto per strada, calli, fondamente e campielli umidi e fangosi, saltando da riva in barca e viceversa, sapienti solo del buon senso tradizionale del vivere, avevano però sentimenti intensi come noi, e senza tv, giornali e social interagivano molto fra loro interrogandosi sicuramente più di noi sul senso dell'esistenza e del perché si trovavano là e così.

Il sole intanto sorgeva ogni mattina come oggi, e le stagioni si susseguivano come mai hanno smesso di fare lungo i millenni ... Ogni istante della giornata e dell’intera vita dei Veneziani di Contrada veniva scandito dal suono delle campane che li faceva accorrere di volta in volta nelle “Magnae Cà” del Civico e del Religioso: facce diverse dell’unica medaglia sociale … E se la vivevano rimanendo quasi tutti fermi là dov’erano nati, senza quasi mai andare da nessuna parte ... Solo alcuni s’imbarcavano al seguito di guerre o mercanzie non certi di tornare, e andavano, armeggiavano, vendevano e compravano rischiando la pelle e tentando la Fortuna da qualche parte sperando prima o poi di rivedere la Laguna Veneziana sbarcando sui Moli di San Marco ... magari con qualche soldo in più.

Ieri come oggi nelle più che contigue isolette dell’Arcipelago Veneziano prevalevano: ricchi, potenti, avveduti e furbi ... e c'era chi fra gli altri era più arzillo, determinato e intemperante nell'affrontare la comune sorte … Quei pochi “qualcuno” allora finivano col lasciare il loro nome inciso o scritto da qualche parte, e li trovavi citati nei testamenti o nelle transazioni commerciali, oppure nelle denunce, e sulle liste degli arrestati e dei condannati a pene esemplari: “perché i più non dimentichino le Regole del vivere dentro ai Confini della Serenissima Repubblica”.

I più fortunati si emancipavano mettendo in piedi capitali e patrimoni, e qualche discreta “dota” per sposarsi … Gli altri, invece, per la maggior parte: s’inventavano nei mestieri sbarcando quotidianamente il lunario … Un Nobile Marco Morosini da San Cassian, ad esempio, intendeva estendere il suo zampino a controllare tutta la Contrada di San Samuel a discapito della ventina di NobilHomeni che già vi risiedevano da tempo ... Poi accadde la Storia e la Guerra di Chioggia e dei Genovesi al tempo del Doge Andrea Contarini. Quelli della Contrada di San Samuel si diedero da fare come meglio potevano per sostenere la Serenissima: i Nobili Soranzo sborsarono parecchi soldi: 36.000 lire in due, mentre a Sier Marco dalla Carta riuscì di offrire solo lire 500 ... Lire 400 vennero fuori, invece, dalle tasche e dalla borsa di Stefano dalla Fornaia ...

Quelli furono anni turbolenti per Venezia … tanto per cambiare … Nell’ottobre 1308 Venezia dichiarò guerra al Papa col suo Stato Pontificio della Chiesa beccandosi fin da subito gli immancabili interdetti e le scomuniche papali ... Tutto il Clero, le Monache e le Fraterie Veneziane furono invitati ad abbandonare immediatamente la Laguna: “lasciando che que Veneziani restino in balia di Peccato e Dannazione Eterna”… L'evento aprì profonde e travagliate spaccature fra gli orgogliosissimi Veneziani che non guardavano in faccia a nessuno. Più che altro ne vennero a soffrire i loro affari all'estero, dove i Mercanti divennero invisi e si maltrattarono merci, Fondaci, Porti e Mercati con quelli che li frequentavano … Addirittura il Cardinale Arnaldo Pelagrua annunciò a tutti l’idea di mettere in piedi una Crociata contro i Veneziani“che intendevano prendersi la Ferrara cosa del Papa”.

Venezia alla fine capitolò e si arrese per non vedere compromessa la sua ascendente presenza e fortuna nel Mediterraneo e in Europa. Lasciò perdere Ferrara per il momento, ma essendo sconfitta, in Laguna si accesero deleteri attriti e fazioni fra i Nobili Querini, Tièpolo e Bàdoer da una parte, e Giustiniàn, Dàndolo e Gradenìgo dall'altra … In autunno scoppiarono perfino risse in Maggior Consiglio, e veri e propri tumulti e scontri nella zona dell’Emporio Realtino ... I Tièpolo soprattutto iniziarono a tramare per rovesciare il Governo del Doge Gradenigo con i suoi ... Si finì con l’orchestrare l’assalto a Palazzo Ducale, e col far convergere in città forze armate alternative … Un gran casino insomma.

Come ben sapete il Doge venne informato per tempo e non si fece sorprendere … Le guardie controllarono e respinsero i congiurati, e andarono a prendere quelli che si asserragliarono a Rialto. Il Supremo Tribunale della Quarantia alla fine non ebbe pietà per nessuno, e fioccarono esilio e sentenze di morte, si rasero al suolo case e palazzi dei Tièpolo-Querini-Bàdoer a Rialto, e s’incamerarono le loro proprietà e sostanze ... Nell’occasione s’inventò il Consiglio dei Dieci come straordinario strumento di Governo atto a vigilare e reprimere col supporto di una Milizia Cittadina guidata dai CapiSestiere qualsiasi minaccia contro lo Stato … Gira e volta, Venezia finì col diventare una Repubblica guidata da pochi Clan Patrizi Mercanti e Banchieri che prevalevano di volta in volta gli uni sugli altri in Laguna e nei circuiti economici … Leggi precise limitarono l'accesso alla Nobiltà e al Maggior Consiglio ad altri “Homines Novi”.

Poi “le acque si calmarono”, e per provare a mettere fine all’epoca delle congiure e delle repressioni si elesse Doge Marino Zorzi parente dei Querini perdenti … e anche il Papa di Roma si quietò da parte sua “dopo il disastro di Ferrara” rimuovendo nel 1313 interdetto e scomuniche al tempo del Doge Giovanni Soranzo ... Venezia era prontissima a ritentare la sorte di Ferrara … il Papa era altrettanto pronto a contrastarla e combatterla con le sue armi ... Amici-Nemici sempre con l’orecchio teso, e capaci di dormire con un occhio solo.

Ecco … proprio in quegli stessi anni, finì ad abitare in Contrada di San Samuel anche Filippo: ufficialmente Sabbionaio di mestiere, che risiedeva prima in Contrada di San Simeon Grando dall’altra parte di Venezia … Era stato pizzicato a rubare una barca del valore di 5 lire dalla Riva di San Silvestro non lontano dal Ponte di Rialto ... Lo chiamavano “Septe” di sopranome … Avendo furtato in quell’occasione per un valore superiore a 1 lira, le norme Veneziane parlavano chiaro: era stato frustato a sangue, marchiato a fuoco in fronte, e bandito da Venezia … Tutto finito ?


Macchè ! … Septe se ne tornò bellamente in Laguna incurante del Bando … Si diceva a Venezia: “spezzando il Bando”, e tornò a fare l’unica cosa che sapeva fare: cioè rubare. Nell’agosto 1301, infatti, rubò una giubba di valore in un magazzino di Rialto che andò subito a rivendere per 8 denari di grossi … Non doveva essere molto sveglio, perché anche stavolta lo catturarono subito in flagranza di reato … Venezia questa volta andò giù pesante: gli cavò un occhio prima di bandirlo di nuovo in quanto recidivo … La Legge prevedeva quello.

Povero Septe ! … direte … Già … Nella primavera di due anni era di nuovo a Venezia “spezzando il bando” un’altra volta. E che avrà fatto secondo voi fra Calli e Campielli ? … Le cose di sempre: furti e furterelli, la sua specialità.

Ovviamente si fece beccare di nuovo, più e più volte: settembre 1305, gennaio 1306, luglio 1307, maggio 1308, giugno 1310: “La sua fronte divenne una collezione di marchi a fuoco, e ogni volta venne buttato fòra dalla Laguna con un poderoso calcio in culo”.

Per carità: non era l’unico a vivere in quel modo a Venezia e in Contrada di San Samuel  … Venezia traboccava di miseri e spiantati disposti un po’ a tutto pur di sopravvivere … Negli stessi giorni, ad esempio, nella stessa Contrada di San Samuel venne presa anche Agnesina detta Pizolpeccato, colta proprio mentre tagliava per strada una borsa dal fianco di un’altra donna rubandola di 14 grossi … Anche lei venne condannata al bando da Venezia, e anche lei: “Spezzò il Bando nel 1311” facendosi ripigliare un’altra volta: “Era una ruota continua dell’esistente che non terminava mai di girare notte e giorno sulle acque e fra le terre malferme della Laguna.”

Tornando ancora ad Epte “il monocolo da San Samuel”, pareva fosse una specie di “Ercolino sempre in piedi”… Approfittando dell’incertezza, del subbuglio e della grande confusione che c’era in Città, nell’ottobre 1313 tornò ancora una volta a Venezia dove venne subito preso e catturato “con le mani in pasta”… Stavolta ci rimise l’altro occhio.

Esattamente un anno dopo: “Septe l’orbo di Venezia” venne arrestato ancora una volta mentre rubava … Stavolta la Giustizia gli tagliò una mano … E fu così, che pezzo dopo pezzo, Septe o Epte sparì del tutto mettendo fine a quella sua specie di voglia incontenibile d’autoannientamento … Che fine avrà fatto ? … Possiamo immaginarlo … In ogni caso col prossimo reato gli sarebbe spettata l’impiccagione.

Per carità: Septe non metteva in atto aggressioni, né commetteva omicidi, violenze carnali, o “cose pesanti” del genere … Però di “cose” ne aveva fatte parecchie.

A distanza di pochi anni, c’era poi un altro personaggio che girava a pochi passi dalla stessa Contrada: nella limitrofa Contrada di Sant’Angelo per la precisione. Lì nel 1347, dopo che le campane avevano suonato da sé per il terremoto, era caduto il campanile come diversi altri in Città ... Venne subito rifabbricato com’era e dov’era ... In Contrada c’era Nicoletto Trevisan Fustagnaio, che comprava “dozzine su dozzine di soatti, pellicce di volpe e guarnacche glirorum de squillatis” da Stefano di Libiana … I Nobili Trevisan erano un po’“i boss” della Contrada, ma anche altre persone abbienti come Bertuzzi Pettener, Francesco dalle Màsene e Pasqualin dalla Mesetarialavoravano e vivevano accanto a gente comeZuanne Murèr e Piero e Marco Sonadori… In quegli stessi anni si concesse in uso l’Oratorio della Contrada ai Marinai Reduci e Invalidi della Schola degli Zoppi o Zotti Veneziani.

In Contrada nel 1389 c’era quindi: Franceschino di Ser Luciano, un personaggio insolito … Alla fine finì col confessare d’essere stato l’autore di ben 24 furti compiuti in 4 anni a Venezia. Diceva di far parte del Clero Veneziano, essendo in possesso di un Regolare documento di Tonsura conseguito nel 1372 … In realtà Chierico non lo era affatto, perché risultava coniugato e con numerosa prole a carico.


Con Stella: un Rigattièr suo complice che lavorava nei pressi di Cà Soranzo, avevano intascato un po’ per volta e furto dopo furto un bel gruzzoletto di denari sottraendo: 50, 60, 45, 32, 72 soldi di piccoli, e 4, 11 ducati, e 6, 1, 10 lire, e 50 mezzanini … Niente male come bottino per un “Ladro di Contrada”.

Una volta in Pescaria a Rialto, dopo aver preso dalla barca di un Barcarolo due “gonnellette di grisio”, aveva rubato 2 tazze d’argento e una toga “di berettino” dalla nave di Patron Cristoforo Longo della Giudecca ormeggiata sulla riva della Pescaria di Rialto. Una delle tazze riuscì a piazzarla a un “campsor” di Padova per 11 lire di piccoli, mentre la toga la diede in pegno per 30 lire a un usuraio Padovano Nicoletto Capitano di Rialto lo attese e lo arrestò di ritorno da Padova sequestrandogli addosso la seconda tazza non ancora venduta.

La lista dei reati attribuibili al Franceschino era piuttosto lunga e ben dettagliata, anche se inizialmente non era stato denunciato ai Signori di Notte. Non si era ancora proceduto contro di lui: “ma adesso ogni nodo era giunto al pettine, e avrebbe pagato una volta per tutte.”

Già due anni prima aveva derubato Maria da Saragozza col marito Giovanni di Santa Maria Formosa nei pressi di Cà Ghezzo, sottraendo loro un abito di panno pignorato per 9 soldi di piccoli, e “mezzo pilo di grana serica” stimato 4 ducati venduti a Pietro Cerchiaio di Sant’Angelo presso Cà Marcello … In casa di Paolo Bragadin da San Lorenzo di Castello aveva rubato un lenzuolo del valore 40 soldi di piccoli … Da Bertuccio Benci in Contrada di San Vidal aveva preso 2 caldarole stimate 3 lire di piccoli, mentre al di là del Canal Grande nella Cà Grande del Nobile Francesco Lion da San Stae aveva preso una balestra col ferro valutati 2 ducati … Marino Ancore aveva poi acquistato il solo ferro per 1 soldo di piccoli.

“Un anno prima con la scusa di vendere “ferrovero” in Calle dei Botteri in Contrada di San Cassan presso Rialto ha preso 20 soldi di piccoli a Donna Nigra insieme a 3 veli di cotone ... Due veli è andato a venderli a Beatrice di Santa Sofia di Cannaregio per 40 soldi di piccoli.”

Ogni tanto Franceschino faceva “la pensata”: rubava in giro per Venezia, e poi s’imbarcava sulle Galee Veneziane sparendo dalla circolazione in cerca di Fortuna. Prima di partire con la Muda delle Galee per Beirut, aveva sottratto a Lorenzo Loredan da San Canzian di Cannaregio: due caldiere di rame, che aveva subito venduto a Bergamino Merciaio di Rialto per 5 lire di piccoli … A Domenico Lattaio di San Basilio aveva preso un bacile e un cappuccio stimati 3 lire di piccoli.

“Tornato poi a Venezia sulle stesse Galee da Beirut senza aver fatto Fortuna, appena sceso sul Molo di San Marco ha derubato a San Provolo di diversi abiti Nicoletto Sabatino, il cui suocero è il noto Antonio Stampatore di Monete ... Tutti gli effetti rubati sono stati recuperati, tranne una tunica data in pegno per 15 soldi alla Locanda della Stella ... Ora è pignorata ... Anche Paolo Tintore nella vicina Contrada di San Zulian presso Cà Penzo è stato poi derubato di 1 bacile, di 1 secchio di rame stimati 6 ducati, e di 2 lenzuola acquistate per 3 lire di piccoli da Giacomo Papalardo Marinaio di San Trovaso ... Bacile e secchio, invece, sono stati acquistati a peso da Giacomo Magnano Calderaio al Ponte dei Dai di Santa Maria Formosa per 40 soldi di piccoli, che per 1 ducati ha comprato anche 20 lire di pece rubate da una nave ormeggiata alla Punta dei Sali di Dorsoduro verso San Gregorio.

Nella stessa occasione, appena voltato l’occhio: Giovanni Magnano anche lui aggiustatore di Caldiere e oggetti di rame è stato derubato di 2 bacini nuovi di pietra stimati 1 lira e 4 soldi di piccoli. Sono stati dati in pegno alla Locanda alla Scopa di Rialto per 36 soldi di piccoli.

Nell’estate precedente: prima della partenza delle Galee di Romania, lo stesso Franceschino ha rubato 2 gabbani vecchi “di griso” stimati 6 lire su un battello di Biagio Volgimonte della Contrada di Sant’Angelo. Uno l’ha venduto per 40 soldi a Giacomo Calzolaio da Sant’Angelo, mentre l’altro … dice … d’averlo tenuto per se, e che gli sarebbe stato rubato a sua volta … dice.”

L’elenco dei reati commessi dal Franceschino continua: a Cà Delle Boccole a Santa Ternita aveva rubato col complice due “matres rampegonum” pesanti stimati 1 ducato … Giorgio Ancore li aveva acquistati per 1 soldo ... Col solito complice andò poi a rubare abiti e una bilancia a Pietro Zorzi Patrono di navigli da San Vidal rivendendo gli abiti a uno straccivendolo di Rialto per 40 soldi piccoli … Paolo Calzolaio da Sant’Angelo, invece: acquistò la bilancia: “A Nicoletto di Stella Panettiere a Santa Maria Materdomini ha rubato una camicia in casa … A Bartolomeo Alexandri da Cannaregio ha fatto sparire di casa: abiti x 40 soldi di piccoli rivenduti per 32 … A Ser Michele da Durazzo ha rubato un cucchiaio d’argento … Un’altra volta “quando tutti erano intenti con le navi che andavano a Chioggia” gli riuscì anche d’intrufolarsi dentro alla Caxa dell’Arsenale dove col complice prelevò 50 lire di chiodi e 20 chiavi venduti a Paolo Fabbro di San Salvador e a Giovanni Mastro Balestraio di San Provolo.”

Non disdegnava neanche di visitare a modo suo Chiese e Ospedali:“E’ entrato nella Chiesa della Schola Granda di San Giovanni Evangelista nel Sestiere di San Polo dove ha prelevato e fatto sparire da un altare due “paramenti da Messa” stimati 32 soldi di piccoli. Li ha dati per 30 soldi di piccoli “in pegno di pagamento” alla Locanda Al Saracino di Rialto verso la quale è debitore … E’ entrato poi nell’Ospedale dei Feriti e Mutilati dei Santi Pietro e Paolo di Castello dall’altra parte di Venezia, dove senza difficoltà ha rubato un bacile con catena che è andato a rivendere in Piazza San Marco per 24 soldi di piccoli il bacile, e per 12 soldi di piccoli la catena ...”

C’era elencato a carico del Franceschino anche “un furto della fame” tipico di chi viveva d’espedienti quotidiani in giro per Venezia. Col complice aveva rubato dal marano di Giovanni Stefano Barcarolo di San Biagio ormeggiato alla Fornace di San Pantalon: uno scrigno con 9 paia di sandali, 3 camicie, 3 mutande, 1 daga, 2 paia di calzari di rascia … e ½ pezza di cacio fresco.

Curiosità nella curiosità infine:“mentre Franceschino venne spinto e portato in cima al patibolo per essere giustiziato del tutto, si è messo a urlare l’innocenza e la discolpa di Gasparino Barcarolo imputato insieme a lui.”

Insomma: fra alti e bassi si viveva anche così nei meandri delle Contrade Veneziane … in modo spicciolo e quotidiano … mentre l’acqua scorreva nei canali e sotto ai ponti salendo e scendendo ogni sei ore, e mentre il Tempo, ieri come oggi: correva via ... anzi: capitombolava di continuo ruotando ineludibile e invisibile su se stesso, e portandosi dietro tutto e tutti ... Insomma: facendo ancora Storia.


Il curioso Doge Michelotto Steno … Chi ?

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#unacuriositàvenezianapervolta 330

Il curioso Doge Michelotto Steno … Chi ?

Accanto alla Venezia eclatante e dorata dei grandi eventi storici, dei nomi, e delle maiuscole istituzioni, ci sono sempre stati e continuano ad esserci delle realtà “piccole”, che però non sono affatto “minori”, ma sono come l’essenza, la crème e il nocciolo del grande “corpo Veneziano” che è la nostra Città Lagunare.

Mi riferisco a quei mille e mille aneddoti e nomi e luoghi che hanno contribuito a far grande Venezia, ma che poi “incartati dal Tempo e dagli Uomini”, sono finiti quasi per diventare trasparenti e persi nel mare immane dell’accaduto. Ripescarne e rispolverarne qualcuno ogni tanto, secondo me, non può che arricchirci, e renderci ancora più non solo edotti della tanta dovizia storica Veneziana, ma anche ancora più orgogliosi del tanto “di nostro” che è accaduto qua.

Bando alle ciance e ai preamboli … Accanto ai tanti roboanti Casati e Ceti Nobiliari Veneziani di cui spesso e comunque si parla e straparla, ci sono stati anche i Nobili Steno, oscurati però dalle tante storie, imprese e successi vissuti e inscenati da altri ... Sono quindi un po’ rimasti là: sull’orlo del dimenticatoio della Memoria, con l’etichetta sopra di “Casato Estinto” segnata dagli Avogadori da Comun sul Registro della Balla d’Oro della “Barbarella dei Nobili”.

Per carità … Destino analogo ebbero anche altri Nobili Casati: Agadi, Caroso, Da Vidòr, Djesolo o da Jesolo o D'Equilo, Mengolo, Romano, Vidal, Lanzuòl e Papacizza ... per cui: gira e volta, gli Steno sono finiti messi da parte, però in buona compagnia.

Le prime note storiche sugli Steno sono un po’ burrascose ... Nel 1275: Simone Steno venne dichiarato colpevole di congiura contro Venezia, e per questo andando al sodo della questione: venne condannato a pubblica umiliazione, alla perdita delle proprietà e all’esilio perpetuo, oltre che al pagamento entro 15 giorni della considerevole somma di 300 lire di grossi. La sentenza del Maggior Consiglio precisava che se non avesse pagato per tempo quella somma, sarebbe finito carcerato nella Major Carcer di Palazzo (Prigione Granda di Palazzo Ducale), dove avrebbe dovuto pagare di tasca propria non solo le guardie che lo sorvegliavano, ma anche tutti quelli che si sarebbero dovuti occupare della sua custodia e sostentamento.

Brutta storia ! … Pagare anche per mantenersi in prigione … Anche oggi vero ?

Venezia fin dai tempi antichi funzionava così: chi era facoltoso ma non abbastanza potente, ricco e rispettabile “da poterla far franca”, se ne andava in carcere portandosi dietro da casa: letto, coperta e materasso … e non solo quello, qualcuno si portava dietro perfino il domestico … Venezia è stata speciale anche in questo: unica nel modo nell’intero Bacino Mediterraneo. Non si doveva pesare sulle economie della Serenissima per le proprie colpevolezze: chi sbagliava pagava … e pagava sul serio perdendo un occhio o una mano, venendo marchiato a fuoco, finendo disautorato e sminuito nel ruolo, e appunto: pagando per la propria reclusione.

Anche oggi accade questo in politica e affari … Vero ?

D’accordo … Ieri come oggi c’erano le solite eccezioni, la lunga lista dei raccomandati, e quelli che “potevano lo stesso” rimanendo impuniti o quasi ... anzi: continuando a far successo, e a realizzare le proprie “scalate” sociali.

Gli Steno quindi, inizialmente furono un Casato un po’ inviso e preso di mira dalla Serenissima … La Storia racconta che gli Steno già nel 721 erano spuntati in Laguna provenendo da Altino, e s’erano andati a insediare nell’isola di Burano… Oibò ! … Proprio nella mia isoletta natale: dentro al grande e strategico Emporio Torcellano a cui Venezia piano piano soffiò prerogative e posto ... Sempre secondo i dati Storici: gli Steno “erano dotati di molto avere”, fungevano da Notai, gestivano saline, e via via iniziarono ad essere sempre più assidui e presenti nei Consigli Cittadini incominciando a ricoprire cariche di Stato sempre più significative: Tribuni, Procuratori di San Marco, Senatori, Ambasciatori … Non vennero però mai considerati “Casato Grande” dai Veneziani ... Stranezza tipica di Venezia: alcuni Casati, successo o non successo, dovevano rimanere lo stesso e per sempre “bassi”.

Nel 1382, quando la Nobile Elisabetta Steno andò a spodestare l’altrettanto Nobile Cecilia Barbaro dal titolo di Badessa del Monastero di San Maffio di Mazzorbo, Donato Barbaro fratello della Badessa deposta corse subito a Mazzorbo, prese per velo e capelli la neoletta Badessa Steno, e la riportò con la forza a casa sua a Venezia … La Serenissima non aprì bocca: lasciò fare … I Nobili Barbaro probabilmente contavano un po’ di più sullo scacchiere Veneziano rispetto ai Nobili Steno ... Che si arrangiassero fra loro in ogni caso.

Un po’ peggio per gli Steno era andata qualche anno prima alla fine del 1354. Gli Avogadori da Comun chiesero e ottennero dalla Quarantiaal Criminal della Serenissima di procedere contro un gruppo di giovani Patrizi incontrollati: Micaletto Steno in primis, Pietro Bollani, Rizzardo Marioni, Moretto Zorzi, Micaletto da Molin e Maffeo Morosini… Al tempo del Doge Marin Faliero erano andati a dipingere “scritte turpi e disoneste” nella Sala dei Caminidi Palazzo Ducale.

Contro il Doge e perfino in casa sua ? … Già: era troppo … Si conosce il contenuto di almeno una di quelle scritte: “Marin Falièr dalla bella mugièr: altri la gaude e lu la mantièn"... e giù tutti a ridere a Palazzo, e a prendere per il culo il Doge per le “folte corna” che si diceva portasse ... e sembra proprio a ragione.

La Quarantia al Criminal non rise molto, se non di nascosto forse, e ci andò giù abbastanza pesante coi quei giovani Patrizi scapestrati: vennero tutti condannati a vogare incatenati sulle Galee Veneziano “per tot tempo”… due anni forse … Nobili o non Nobili: quella fu di certo una lezione esemplare per tutti.

Sapete già come andò a finire poi … Quello stesso Doge preso in giro finì decapitato per tradimento della Repubblica, il suo nome condannato alla “Damnatio memoriae”, e il suo volto cancellato dai dipinti e ritratti delle Sale di Palazzo Ducale.

E il non più giovanissimo Michelotto Steno che fine fece ?

Divenne Doge in seguito … Si: proprio lui … Quello stesso Micaletto Steno condannato alla voga: è lo stesso Michele Steno 63° Doge della Serenissima dal 1400 al 1413 ... Strano il Destino vero, e quanto sa riservare la Storia ? … A dire la verità, Steno fu “un Doge di compromesso e transizione” perché le fazioni Nobiliari Veneziane non riuscivano ad accordarsi su chi eleggere a rappresentarle … Succedeva spesso a Venezia, e non solo in Laguna: anche con i Papi e in altre Città succedeva (e succede ancora oggi) la tessa cosa ... Si sceglieva un vecchio tranquillo senza tante velleità, possibilmente navigato e saggio, così che “la baracca” potesse continuare a girare … Si temporeggiava insomma, e si andava intanto avanti così in attesa di circostanze e congiunzioni storiche migliori.

Steno nel 1378, dopo essere stato riabilitato dai capricci giovanili, era diventato Provveditore a Pola, ed era andato pimpante contro i Genovesi sotto la guida del famoso Capitano Vittore Pisani. Dopo vicende alterne, aveva avuto però la peggio, ed era scappato per salvare la pelle nelle acque di Parenzo ... Conoscete la Storia … I Veneziani in seguito si riebbero, e ci fu proprio Steno fra i Provveditori della Flotta Veneziana che andò a sconfiggere i Genovesi a Chioggia nel 1380 guidati dal Doge Andrea Contarini ... Ricordate vero ? … Le pesanti navi Genovesi impantanate nelle acque basse e paludose della Laguna … e tutto il resto.

Quella volta finì bene per Venezia: salvò il suo Dominio Marinaro e commerciale, e forse usò quella sua vittoria come trampolino di lancio per il suo luminoso futuro.

Steno in quell’occasione si era messo bene in mostra, e finì quindi col godere non solo della stima degli entusiasti Veneziani, ma soprattutto della considerazione dei Veneziani Nobili che contavano ... gli Oligarchi ricchi e potenti che sotto sotto facevano alto e basso del destino di Venezia ... Ieri come oggi.

Michelotto Steno divenne quindi Doge alla fine, e venne accolto dai Veneziani “grandi e piccoli” con molti giorni di festa, giostre e tornei. Si dice addirittura che i festeggiamenti siano durati per un anno intero, e che in quell’occasione abbiamo iniziato a fiorire a Venezia le famose Compagniedella CalzaMichelotto Steno comunque guidò Venezia per ben 13 anni: non un mesetto soltanto.

Sposato con Maria Gallina dalla quale non ebbe figli, fu proprio con la sua morte “da vecchio e sordo” che il Casato degli Steno si estinse. Venne sepolto nella chiesa di Santa Marina che oggi non esiste più, dentro a “un monumento ricco di molto oro, marmi, statue e mosaici” ... Le Cronache Veneziane raccontano che il Doge Steno era abitualmente elegante e pomposo … anche un po’ vanaglorioso e megalomane direi. Si faceva chiamare: Dux Stellifer, cioè: il “Doge delle Stelle”… Per questo s’era fatto applicare sul Corno Ducale delle stelle dorate … Corsi e ricorsi storici però: nel 1403 comparvero in giro per Venezia diverse scritte ingiuriose contro di lui.

Non fu di certo un Doge spettacolare, ma sicuramente abile, determinato e ambizioso, oltre che molto bravo ad arricchire se stesso e le sue quattro sorelle con tutto il parentado … Sansovino raccontò che la stalla dei cavalli del Doge Steno era la più bella: “la migliore che avesse allora qual Principe si voglia in Italia”Bartolomeo Gallina cognato del Doge: s’aggiudicò il ricco Canonicato di Padova soffiandolo a un altro Veneziano: Pasqualino Amadei, che venne opportunamente esiliato “ad tempus” dal Senato di Venezia “per troppa fame di cariche e benefici” ... Da che pulpito veniva l’accusa !

Quando il Canonico Gallina morì, costituì come unica beneficiaria di tutti i suoi numerosi beni, compresa la molto ricca Prebenda da Canonico, proprio sua sorella: la Dogaressa Maria sposata Steno… A un altro suo fratello Johannes, invece, che viveva da Monaco nell’Isola di San Giorgio Maggiore appena al di là del Bacino di San Marco, di fronte a Palazzo Ducale: lasciò solo qualche stoviglia ... e neanche tanto di valore.

Quando nel 1404 Francesco Novello da Carrara di Padova tentò per l'ennesima volta di danneggiare Venezia, Steno & C presero Padova con la forza l’anno seguente, e i Carraresi“grandi e piccoli, giovani e vecchi” vennero tradotti a Venezia, processati, giustiziati e strangolati, sembra proprio nell’Isola dei Monaci di San Giorgio Maggiore,nonostante avessero supplicato in tutti i modi di ottenere qualche perdono ... “Avrete la Misericordia che meritate.” pare abbia detto il Doge Steno in faccia ai Carraresi: “In quell’occasione Venezia Serenissima incamerò le città di Vicenza, Verona e Padova, nonché i distretti dei Sette Comuni, Este, Montagnana, Monselice, Camposampiero, Cittadella, Piove e diversi altri luoghi del Padovano Obizzo da Polenta(1402) si mise sotto la protezione della Repubblica Serenissimapermettendo che fosse messo un Podestà Veneziano aRavenna … Venezia, già che c’era, si comprò anche ilCastello di Lepanto nella Morea(1407), eZaraacquistandola daLadislao di Napoliper centomila fiorini d’oro (1409) ... Patrassoallora si affrettò a darsi a Venezia nell’anno seguente, e dopo lunghe trattative colMarchese di Ferrara, la Serenissima delDoge Michelotto Stenoassunse anche il controllo sui Castelli del Po, Guastalla, Brescello, Casalmaggiore e Colorno ...”

Accadde molto altro in quegli stessi anni e nei seguenti: Ungheresi, Friuli, Istria e Dalmaziala Storia la conoscete Il Doge Steno pareva averne sempre un po’ per tutti ... Prese, infatti, le distanze anche dai Papi, che allora e quasi come oggi funzionavano a suon di Scismi, Scomuniche, Interdetti, fazioni e contrapposizioni … Steno decise di tenerli tutti a debita distanza dalla Laguna, appoggiando solo quei Pontefici che in qualche modo avessero procurato interessi per Venezia … Con lo stesso Clero, le Fraterie e i Monaci e Monache Veneziani, il Doge Steno ci andò giù pesante: fece emanare leggi che vigilassero: “sui giri di cariche, Benefici, Lasciti e Prebende”, limitò le numerose esenzioni, l’esagerato potere Giuridico-Spirituale che avevano sui Veneziani, e l’eccessiva influenza economica che avevano di fatto su Città, Terraferma e intera Laguna.

Nel frattempo si edificò il Castello del Porto del Lido nel 1401, e in legno il Ponte di Rialto rovinato e caduto giù a fine anno ... Tre anni dopo si costruì la “Sontuosa e Nobile Veranda di Palazzo Ducale” rivolta verso il Bacino di San Marco e il Mare ... e nel 1403 si rifece “in oro” anche il pinnacolo del Campanile di San Marco andato a fuoco … Un turbine e un terremoto sconquassarono non poco Venezia nell’estate 1410, con tanto di tsunami che sollevò“un’acqua granda” dalla Laguna abbattendola su parecchie case, e sui traballanti campanili di Santa Fosca e Corpus Domini che rovinarono a terra … Non poteva mancare nel quadretto storico anche un’altra puntata di Pestilenza che da giugno a dicembre 1413 coinvolse l’intera Serenissima facendo morire in Venezia e dintorni non meno di 50.000 persone.

Non fu di certo un caso, comunque, se Venezia toccò l’apice della sua storica potenza … forse … proprio nei decenni seguenti alla morte del Doge Steno.

Ultima curiosità … Nel 1802 il Piovano di Santa Marina volle rimuovere il vecchio monumento funebre del Doge Steno per restaurare la facciata interna della chiesa:“ghe piòve dentro da la parte del Vècio Morto” ... Quel mausoleo funebre del Doge era ormai troppo vecchio: da smantellare … I Nobili Steno poi: erano ormai diventati “acqua passata” della Storia dei Veneziani … Fu dato quindi al Piovano il permesso di rimuovere il Monumento … Quando si aprì la tomba dell’antico Doge Michelotto Steno, lo si ritrovò ancora là quasi intatto stretto dentro alla sua coperta di velluto e con la spada in mano … Appena i muratori provarono a toccargli le mani anulate e la preziosa spada, le ossa si disunirono e frantumarono trasformandosi in un pugnetto di polvere confusa … Addio resti del vecchio Doge !

Il Piovano mortificato “raccolse allora quanto possibile in una cassetta a perpetua memoria”… Ma nel 1840, quando si volle demolire del tutto la chiesa di Santa Marina trasformata già da decenni in Osteria, ci fu tutto un accorrere per accaparrarsi e trafugare marmi e le poche cose rimaste, compresi i pezzi del Monumento del Doge che stavano abbandonati in un angolo.

Anche Prè Emmanuele Lodi messo come Piovano nella vicina grande Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, da dove erano stati cacciati i temibili e potenti Domenicani Predicatori e Inquisitori: “i Mastini di Dio”, provò a recuperare e comprare qualcosa. Comprò un’iscrizione e una statua supina che era stata parte integrante del Monumento del Doge Steno provando a mettere in piedi nella Basilica un piccolo monumento a sua memoria … Provò anche a cercare la cassetta con le ceneri del Doge … Niente da fare: era scomparsa … Si diceva che un muratore attratto dalla bella cassetta “buona per gli attrezzi” ne avesse scaricato direttamente in canale l’inutile contenuto ... Un altro pezzo del monumento del Doge Steno: “Le chiavi di Verona e di Padova” se lo comprò il Canonico Giannantonio Moschini, che andò a collocarlo in mezzo a mille altri reperti di chiese scomparse nel chiostro del Seminario alla Madonna della Salute di Venezia… Un ultimo pezzo: “un bassorilievo con la Vergine che stava collocata al centro dell’urna del Doge Steno” venne infine comprato a buon prezzo dal Consigliere Giovanni Rossi, che se lo portò a Sant’Andrea di Barbarana nel Trevigiano dove è visibile ancora oggi.

Così è stato del Doge Michielotto Steno

 

I luoghi dello Spirito Santo sulle Zattere

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#unacuriositàvenezianapervolta 331

I luoghi dello Spirito Santo sulle Zattere:

un curioso quanto costoso Passaporto per l’Eternità

Verso la fine degli anni settanta, all’inizio eravamo un gruppetto di circa sei-sette giovanotti studentelli intenzionati di andare a caccia nel tempo libero di Luoghi e Preti più o meno dimenticati lasciati al margine del microcosmo Preteresco e Cattolico Veneziano. Avevano intuito già da allora che certi luoghi fragili e personaggi decadenti stavano ormai correndo verso la loro storica chiusura e scomparsa. Volevamo provare allora a raccoglierne quasi le ultime voci, le flebili eco rimaste ancora vive nei luoghi … Prima che fosse troppo tardi, e che tante cose, storie e tradizioni finissero nella dispersione anonima della Storica Memoria.

Da sei-sette che eravamo all’inizio, piano piano, incontro dopo incontro, ci riducemmo sempre di più: cinque, poi tre, e infine soltanto due: io e Paolo ... Perfino il nostro tutor abbandonò l’impresa considerando quei pomeriggi noiosi e dispersivi: un “pesante polpettone”. Era vero … A volte incappavamo in persone e Preti solitari poco costruttivi, che non attendevano altro che incontrarci per sfogare disavventure, frustrazioni e amarezze … In quei luoghi Veneziani datati, c’era spesso un “vissuto sommerso” fatto di disattenzioni, dissapori, pettegolezzi, critiche, e spiacevoli esperienze fin troppo taciute e ignorate, ma era altrettanto vero che lì c’era anche un vero e proprio patrimonio d’infiniti aneddoti e storie curiosissime tutte da scoprire e sapere … Era un’occasione da non perdere secondo noi, e lo fu veramente.

Io e Paolo quindi, facemmo buon viso a cattiva sorte, e incuriositi più che mai decidemmo di proseguire in quella specie di particolare ricerca di quella parte un po’ oscura ma speciale di Venezia ... Oggi, infatti, quella Venezia non c’è effettivamente più: è scomparsa ormai del tutto.

I ricordi di quei giorni lontani popolano ancora la mia mente … Pioveva fitto quel sabato pomeriggio: “scravassàva di brutto”, quando con Paolo uscimmo dal Seminario sotto l’unico ombrellino sgangherato che il vento ci strappò via con violenza lungo la Fondamenta delle Zattere che stava spazzolando da ore ... Arrivammo zuppi come uccelletti sulla porta della chiesa dello Spirito Santo, per fortuna non molto distante, ed entrammo, perché era normalissimo in quegli anni che la chiesa fosse giornalmente aperta a tutti. L’attraversammo avvolta nell’atmosfera ombrosa del temporale, e ci avviammo verso la Sacrestia in fondo dove avevamo appuntamento con Don Gastone Vio: l’ultimo storico Rettore dello Spirito Santo sulle Zattere ... Si: proprio lui, l’Emerito studioso di Venezianità, l’incallito ricercatore e frugatore indomito degli Archivi Veneziani.

Ricordo come fosse ieri il gorgheggio contorto e garulo di un Merlo che entrava da una finestra socchiusa affacciata sul vicino giardino-cortile che un tempo era stato delle Monache dello Spirito Santo ... C’era un intenso profumo di Primavera nell’aria, che in qualche modo addolciva il fastidio umido del bagnato temporale ... Avevo l’intera pioggia di quel pomeriggio dentro alle scarpe e calze, che facevano “cic-ciàc” mentre camminavamo attraverso la chiesa.

Dopo qualche minuto d’attesa nello stanzone deserto, sentimmo un robusto sferragliare di chiavi e serrature in un angolo, e apparve Don Gastone impettito e austero come sempre.

Era un uomo-Prete un po’ taciturno e tutto d’un pezzo: convenevoli pochissimi, uno Storico molto competente che conosceva “a menadito” ogni cosa di Venezia. Possedeva un mare di conoscenze, che sapeva trasmettere in maniera puntualissima e curiosa … Infatti: iniziò subito a parlarci come un fiume in piena, una cataratta del Cielo spalancata simile alla pioggia che continuava a scrosciare di fuori. Era piacevolissimo e interessantissimo ascoltarlo, anche se percepivamo che non attendeva altro che di poter esternare finalmente il tanto che sapeva ... Fossimo stati cento, avrebbe detto le stesse identiche parole minuziose, accalorate ed entusiaste … C’eravamo solo io e Paolo però ... Don Gastone era un nostalgico della Fede e dei “modi andati di un tempo”: un Prete di un’altra epoca, un po’ bigotto, sostenitore incallito di un Etica-Dottrina-Morale ormai superata e fuori moda, e fautore di uno stile e di contenuti che non interessavano quasi più a tanti … Lui però era avvinto dalle sue convinzioni, e ne era comunque fautore e sostenitore quasi mai stanco ... Fra una parola e l’altra, infatti, timidamente c’induceva a pensarla un po’ alla sua maniera.

Figurarsi noi, invece, con tutto il tumulto giovanile e l’entusiasmo che avevamo dentro: certe cose che ci raccomandava entravano da un orecchio e uscivano frettolosamente dall’altro ...  Che grandi tempi sono stati !

Ogni tanto mentre ci parlava “a raffica”, il volto di Don Gastone pareva quasi incepparsi esternandosi in una specie di smorfia che non riusciva a contenere. Era come un tic nervoso che gli faceva sbattere brevemente le palpebre, e ritmare e incastrare brevemente la parola ... Si riprendeva subito però: durava solo qualche attimo, e ripartiva con tutta la sua verve traboccante e coinvolgente.

C’inchiodò subito nella mente prendendosi tutta la nostra attenzione dicendoci che lì dentro niente era stato lasciato al caso: “Qui sono stati rispettati e applicati dei canoni architettonici ed estetici rigorosissimi … Si è ragionato sulle misure dell’edificio: lungo 31 m e 60, largo: 15, alto: 11e 50 … Mi direte: embè ? Che vorrà dire ? … Vuol dire tanta ròba perché qui tutto è stato realizzato rispettando il preciso rapporto numerico degli schemi Rinascimentali Albertiani … Chiesa lunga tre volte l’altezza: a richiamo all’aspetto Trinitario di questo edificio … Larghezza e altezza in proporzione di uno a due e a tre: come Dio Uno e Trino con lo Spirito Santo ... Una sorta di magia architettonica di cui oggi saremmo incapaci, e di cui abbiamo perso sapore e tracce … C’è un ritmo architettonico e progettuale dentro a questa chiesa, simile a quello con cui costruivano i Templi dell’antichità Greco-Romana-Egiziana-Orientale … Lo si vede e riconosce in quasi tutto ciò che contiene, che è sempre ben collocato con grande armonia di timpani, modiglioni, archi, decorazioni tortili a spirale .... Niente è stato lasciato al caso qui dentro: questa “scatola Sacra” è stata ideata in modo molto più complesso del Cubo di Rubik.”

Ci guardavamo sorpresi da quei paragoni io e Paolo, e poi ci guardavano intorno lasciandoci prendere dalla suggestione delle policromie e dalla gustosa grande varietà delle forme … Raffinatezza, illusionismo, intrecci di elementi cubici a incastro, fiorami geometrici, numeri nascosti, significati inclusi ovunque fin dentro ai colori dei marmi e al numero dei gradini degli altari, che erano volutamente cinque: “Qui si fa riferimento alla Rosa dei Venti, aiMisteri del Rosario, ai Punti Cardinali e alle Stelle del Cielo, ma anche alla Càbala Ebraica, alle Rotte Mediterranee, e di sicuro ai nuovi dettami dellaForma Urbis Rinascimentale che si voleva a Venezia … Unameraviglia !”

Era piacevolissimo ascoltarlo, procedeva con una cadenza e un modo aulico del parlare solenne e forbito, che pareva scappato fuori da un libro del 1700 ... Azzimato dentro al suo giallo sorriso, quasi ci avvolgeva con la sua valanga di notizie … Pochi conoscevano le vicende di quel luogo dello Spirito Santo sulle Zattere come lui, ci snocciolava tutto quanto sapeva seguendo una trama che aveva chiarissima in mente. Di ogni cosa, anche delle più piccole e apparentemente insignificanti, ci svelava e raccontava tutto dall’inizio alla fine ... Date, personaggi, aneddoti, opere d’Arte sembravano uscire dalla sua bocca rese e dipinte in maniera significativa e appetibilissima: unica, generata apposta per me e Paolo … Don Gastone era come un libro vivo spalancato davanti a noi … Anzi: un’intera avvincente Enciclopedia e Biblioteca esclusiva messa in quel pomeriggio piovoso a nostra disposizione.

Le ore si riempirono e corsero via quasi avessimo tolto le lancette all’orologio … Rimanemmo sempre lì in piedi a girovagare avanti e indietro per la chiesa e i suoi ambienti al seguito di Don Gastone: sembravano due cagnolini scodinzolanti al guinzaglio ... Non ci offrì neanche un semplice bicchiere d’acqua, e sembrò stupirsi non poco quando gli chiedemmo di poter far pipì … Stava come dentro a una trance culturale da dentro la quale non mancò di raccontarci quasi nulla … Ci disse proprio tutto sui Luoghi dello Spirito Santo delle Zattere.

Come riferirvelo ? … Don Gastone partì subito “in quarta” col dirci che all’inizio Chiesa e Convento dello Spirito Santo esistevano sulle Zattere ben prima che ci fossero le famose Basiliche-Tempio della Salute e del Redentore da una parte e dall’altra del Canale della Giudecca: “Fatalità il Complesso dello Spirito Santo sta giusto in mezzo fra i due: sarà solo un caso ? … Credo proprio di no … La prima fabbrica di Santo Spirito sulle Zattere è ben visibile sulla Carta “a volo d’uccello” di Venezia realizzata dal De Barbari nel 1500. La prima chiesa delle Monache aveva l’abside immersa nel Canale della Giudecca, rivolta verso “l’Est del Sole-Cristo Luce Nascente”, ed era stata realizzata in una zona della Contrada di San Gregorio piena di Squeri e Cantieri, dove c’era anche una Fornace “da mattoni” con un deposito di creta … Fu l’Architetto Antonio Da Ponte: l’autore del Ponte di Rialto a realizzarla … Nella “Rennovatio Urbis” d’inizio 1500 poi, la Serenissima fece abbattere e demolire la chiesa per far spazio alla nuova Fondamenta di scarico delle Zattere, che andava da Santa Marta fino alla Dogana da Mar e ai Salòni: i Magazzini dei Sali ... Quella lunga Riva rifatta, allargata e unificata era il luogo dove approdavano tutti i commerci di pietra provenienti dall’Istria, e dove arrivavano anche le Zattere del Legname del Cadore usato per le Galee dell’Arsenale, o per costruire le fondamenta dei palazzi e delle chiese Veneziane … Arrivavano anche i trabaccoli carichi di legna da ardere per uso domestico, e non solo quella ... La Contrada di San Gregorio alla Punta dei Sali non era affatto la zona desueta, defilata e periferica di Venezia che è oggi, l’intera Contrada era piuttosto un’Insula strategica che ospitava buona parte dell’attivissimo Porto Commerciale di Venezia dove ruotavano imprese, economie e affari in prolungamento dei Moli e del Bacino di San Marco su cui si affacciava ... Perfino i Vecellio avevano “casa da stazio” sulle Zattere allo Spirito Santo prima di trasferirsi con Tiziano nei pressi dell’Arsenale ... Immaginatevi quindi il quotidiano accorrere e confluire di tanta parte dei Veneziani di ogni ceto basso e alto, che venivano qua ogni giorno a piedi o in barca per essere partecipi del grande e alacrissimo lavorio economico della Serenissima, ma anche di tanta Grazia Divina e Specialissimi Favori Celesti che veniva di continuo concessi proprio qui allo Spirito Santo delle Zattere … Credo non ne abbiate affatto l’idea: ma proprio qui nel Priorato di Santo Spirito sulle Zattere si è dispensato per secoli ai Veneziani un vero e proprio Passaporto per l’Eternità e l’Aldilà … Non sto vaneggiando o esagerando, discorrendo capirete.”

Letteralmente pendevamo dalle labbra sapienti di Don Gastone: “Separata dalla Calle della Schola, nel 1506 s’iniziò a progettare e costruire sia l'edificio della Schola-Confraternita dello Spirito Santo, istituita nel 1492 sotto il Doge Agostino Barbarigo, che la nuova chiesa su  progetto di Antonio Abbondi lo Scarpagnino il cui appalto dei lavori venne affidato a Stefano lurano da Castiglione ... Nel 1520 le nuove Fondamente delle Zattere erano già state sgombrate, liberate e realizzate, e il nuovo Complesso di Santo Spirito già rifabbricato del tutto ... L'area posteriore, che era l’ampio Campiello su cui si affacciava la vecchia chiesa, adesso ospitava il nuovo Monastero delle Agostiniane strutturato attorno a un chiostro ... Era stata nel 1483 Maria Caroldo: una Nobile Monaca fuoriuscita dal Monastero Agostiniano di Santa Caterina di Cannaregio, ad aver il desiderio e la voglia di realizzare un nuovo Convento sulle Zattere … Diceva che era lo Spirito Santo a spingerla in maniera irresistibile a compiere quell’impresa … Aveva parlato di quella specie di sua ossessione col fratello Girolamo, che … fatalità … era Segretario del Senato della Serenissima, e col Prete Giacomo Zamboni. Venne assecondata, perciò comprarono di tasca il fondo della Contrada, e vi innalzarono il Monastero col consenso e l’approvazione di Maffeo Gerardi Patriarca Veneziano di quegli anni ... Il resto venne da se: in breve arrivarono alcune Monache del Santa Caterina di Cannaregio, e la Caroldo venne nominata prima Badessa dello Spirito Santo … Tutto bello e tranquillo sulle Zattere vero ? … E, invece: no … Perché accadde subito una specie di eccitata tempesta dentro al Monastero fra la Fondatrice e un Clan di Nobildonne Monache capitanato dalla Monaca Cecilia Vacca … Costei chiamò in giudizio la Badessa Caroldo davanti al Patriarca accusandola di gravissimi e turpi delitti, amoreggiamenti, appropriazioni indebiti e cose così ... La Badessa Caroldo provò allora a difendersi dichiarandosi innocente, perciò venne riconosciuta come tale da Antonio Saracco Arcivescovo di Corinto e Vicario Generale del Patriarca, che la rimise a capo del Claustro dello Spirito Santo sulle Zattere: qui … a pochi passi di distanza dal famoso Pubblico Ospedale dei Sifilitici Incurabili voluto dalla Serenissima.”

Rifiatava ogni tanto Don Gastone, ma solo per un attimo: per il tempo di deglutire ... una specie di macchina da guerra irrefrenabile.

“La Monaca Vacca non si arrese, e si appellò quindi alla Sede Apostolica di Roma del Papa, che nominò Giudice sulla questione l’Abate della vicina Abbazia di San Gregorio: qui a due passi … Al nuovo Patriarca Tommaso Donato giunse il dictat Papale di riaprire il processo contro la Badessa Caroldo ...

Le accusa formulate dalla Nobile Vacca erano dettagliate e pesanti: “Maria Caroldo porta avanti tresche amorose col Prete Giacomo Zamboni che l’ha aiutata a fondare il Convento dello Spirito Santo… S’è anche travestita per girare liberamente per Città e Campagne per procurarsi altri incontri carnali stavolta con un giovinastro di nazionalità Greca: pessimo soggetto, al quale sembra aver fatto un sacco di regali, soldi e oggetti preziosi tolti al Convento … E’ in realtà un pregiudicato condannato già più volte, un galeotto e per di più straniero ... Donna Caroldo se l’intende anche con un Medico che fa entrare nelle celle fingendosi malata …”

Stavolta la sentenza venne capovolta: la Badessa venne privata del titolo, rimossa dal Monastero che aveva fondato, e rinchiusa severamente in un carcere “da Monache dentro a un campanile” senza possibilità d’interagire con chiunque ...”

“Povera donna !”

“Già … Nella successiva puntata storica, non si sa come … forse perché i soldi a volte sanno far miracoli … l’ex Badessa Caroldo riuscì ugualmente tramite alcuni parenti che riuscì a contattare a rivolgersi al Papa Alessandro VI, che di nuovo riaprì la questione mettendola nelle mani del Patriarca di Costantinopoli Girolamo Lando e di due suoi colleghi Vescovi.”

“Come andò a finire ?”

“Non si sa: non si seppe più niente della Monaca Carolda … Alcuni raccontano che nel frattempo era morta, mentre nel Monastero sulle Zattere continuavano le faide fra le Famiglie delle Monache Nobili Veneziane … Un’altra voce racconta, invece, che la Caroldo riuscì a fuggire scappando fino a Roma, dove morì di Peste nel 1498 … A Roma un ulteriore processo con sentenza a lei favorevole l’aveva rimessa in carica … Non si sa bene: Misteri dei meandri della Città Eterna, della Storia e del Tempo … Di sicuro bisogna dire che mentre si trascinavano le causa contro l’ex Badessa, le Monache dello Spirito Santo si diedero parecchio da fare incrementando a più riprese le economie e ingrossando non poco il patrimonio dello stesso Monastero ... Fu nel 1493, infatti, che le Monache ottennero “grandi favori” da Papa Alessandro VI che con apposito Diploma Pontificio equiparò “la Casa dello Spirito Santo di Venezia” all’Ospedale di Santo Spirito in Saxia di Roma “con le due croci incrociate come simbolo”.

Interessantissimo !

Don Gastone ci accompagnò in giro ovunque passando in rassegna pezzo per pezzo la “sua creatura” ... Continuò a sciorinarci date, dettagli e note circa la realizzazione di ogni cosa che avevamo davanti agli occhi. Ci disse dei pagamenti agli Artigiani per rifare l’Altare Maggiore, e di come le Monache boriose e battagliere fecero rimuovere la Pala realizzata da quelli della Schola dello Spirito Santo estromettendoli dalla chiesa: “Tolsero il costoso quadro dall’Altare realizzato dalPolidoroin cui erano raffigurate le facce dei Guardiani e Vicari della Schola e dei Benefattori, e lo fecero riporre in uno stanzone della Schola dove rimase fino al 1834 Fu un vero e proprio dispetto delle Monache: una vera e propria rivalsa e vendetta sui Confratelli poco compiacenti della Schola … Erano molto attivi quei Confratelli in Contrada: ben voluti dai Veneziani per i quali mettevano a disposizione ogni anno delle “Opere Pie, e delle Grazie per sponsàr donzelle”… Ogni iscritto alla Schola, vivo o morto che fosse, versava un ducato d’iscrizione … Una decima parte di quella somma andava all’Ospedale dello Spirito Santo in Saxia di Roma di cui la Schola era affiliazione, 4 soldi andavano al Cappellano della Schola, e una metà andava dritta per Statuto alle Monache … Solo le rimanenze venivano spese in Suffragi dei Morti le cui tombe bisognava di continuo onorare processionalmente … “ma senza cantar alla cavalcaresca” …  Le Monache dello Spirito Santo non si accontentavano, e volevano mungere per benino quelli della Schola che era diventata davvero ricca … Ogni anno sulle Zattere si organizzava “la Sagra della Pentecoste” durante la quale succedeva anche la Monacazione-Vestizione-Professione delle nuove e vecchie Monache dello Spirito Santo … Nel 1689 il festone venne soppresso dal Patriarca per eccessi di spesa, bagordi e zuffe: c’erano le Zattere piene di ubriachi, e il Convento delle Monache non era da meno ... Fra le Monache dello Spirito Santo c’era perfino Marina la figlia naturale del Doge Francesco Erizzo … Le più di 60 Nobili Monache con le 15 Converse, e la trentina di “Putte a Spese” a carico, chiamavano con quelli della Schola i migliori Maestri e Suonatori in circolazione per mettere in piedi Messe Cantate Solenni, e pagavano profumatamente anche: “Predicatori di grido … Soprattutto uno che predicava con grande ardore ai Santi Apostoli” … Insomma allo Spirito Santo sulle Zattere si spendeva e spandeva di continuo … Troppo ! … Ogni occasione era buona: Funerali, Elezioni di Doge, del Papa e del Patriarca: ogni volta si faceva una gran Festa convocando a pagamento anche una decina di Preti per i Riti, che più che spesso finivano poi “in Gloria” e nell’immancabile baldoria … Allo Spirito Santo c’era perfino un Maestro di Cappella in carica per cinque anni, che veniva pagato per curare le Musiche e il Canto delle numerosissime cerimonie che si tenevano in chiesa e nella Schola … Questo per dirvi il livello e la cura per quanto si organizzava e accadeva di continuo in questi ambienti … Per le Tre Feste annuali le Monache convocavano anche nomi e Maestri di Musica illustri come Monteverdi, Bertoni, Rovetta, Cavalli, Lotti e Furlanetto a 30-50 ducati per volta per “musicare le Vestizioni”, e per valorizzare e solennizzare ancor più ciò che accadeva in questa Contrada Veneziana …Venite qua !”

Dall’angolo della Sacrestia, Don Gastone ci portò, quasi trascinò, in mezzo alla chiesa:“Qui in mezzo doveva esserci un Crocifisso con “le carpette”, e una Madonna Vestita con 7 abiti, 1 corona da testa in filograna, e manigli e collane d’oro … I Veneziani accorrevano da ogni parte e ogni giorno per vederli e venerarli: immaginate gli introiti … A più riprese, infatti, le Monache cercarono d’impossessarsi in ogni modo della gestione esclusiva della Schola che incamerava profitti su profitti “facendo lucrare le numerosissime e preziose Indulgenze ottenute da Roma”: i Veneziani ne andavano pazzi, ed erano disposti a pagare ingenti somme per ottenerle … Ne andava dell’Eternità … Le Monache però non riuscirono mai a spodestare quelli della Schola … Fecero perfino ricorso al Doge, ma inutilmente … Per ripicca un anno il Guardiano della Schola dello Spirito Santo organizzò una delle sontuose feste delle Monache in modo risibile in chiesa: c’erano pochissimi celebranti, scarse cere e carenza d’addobbi, e Musica fatta da suonatori e artisti bassi che suscitarono l’ilarità e la derisione di tutti verso le Monache ... Le Monache fecero una storica figuraccia, e vennero accusate di spilorceria e avarizia …  Qualche giorno dopo di rimando, la Schola mise in piedi un festone e delle cerimonie a sue spese per mostrare a tutti come si dovevano orchestrare Commemorazioni: fu un successone, con grande concorso di pubblico, molte lodi … e copioso incasso … Alle Monache dello Spirito Santo non rimase che covare rancorosa vendetta.”

Don Gastone ci spinse poi a visitare laCappella dell’Addolorata col soffitto a stucchi, e il Barco superiore col Coro delle Monache … Ci mostrò un bell’Altare in radica, e un gran Crocifisso intagliato che troneggiava sullo stanzone: “Le Monache diedero 25-30 ducati d’anticipo a Mastro Vincenzo per realizzare 25 stalli del Coro per le Monache e due stalli più belli per la Badessa e la Monaca Ebdomadaria … Qui dentro a inizio 1800 si finì con l’ospitare arredi, Preti e persone della Schola Maggiore della Dottrina Cristiana costretti a fuggire dalla primitiva sede poco distante sulle Zattere trasformata dai francesi napoleonici in odorosissimo e fastidioso magazzino per lavorare il Baccalà … Era impossibile rimanere lì dentro in mezzo a quel puzzore a meditare, dire preghiere, e fare gli esami, le interrogazioni e le gare “a premi” della Dottrina Cristiana dove si ricevevano medaglie dorate ... Alla fine quelli della Dottrina Cristiana presero armi, bagagli e alunni e alunne e vennero qua portandosi dietro il più possibile: tutto quel che vedete qui intorno … Quadri, arredi, panche, dossali e molto altro ancora, e tutta la serie dei dipinti con “i Misteri del Rosario” dipinti da Maestri di stile Tenebroso ... Nel 1821 qui frequentavano la Dottrina Cristiana almeno 320 alunne con 50 Maestre di Dottrina, e la vecchia sede della Dottrina sulla Zattere divenne deposito di canapa.”

L’inesauribile Don Gastone ci spiegò ancora che la Cappella costruita e abbellita dal Murer Bonfanti venne poi rinominata come Cappella della Madonna del Pianto… Ogni segno sui muri pareva ispirargli una storia da raccontarci … Ogni finestra murata e oscurata indicataci pareva celare aneddoti e notizie … Ogni porta aveva un suo “perché” da dire: “Questa porta e questa parete sono state poi spostate per inserirvi il cassone del nuovo Organo che s’affaccia col suo ballatoio-cantoria in chiesa.”

Non avevamo più occhi e orecchi per guardarci intorno ed ascoltarlo … Tornati di nuovo in chiesa ci additò ancora un paio d’opere: “Questa è di Palma il Giovane diventato quasi vecchio … Notate la scala, il corpetto verde, le maniche rosate … la donna con i due bimbi, e quel nastro vivace della giovane donna … Quell’altra pala, invece, è stata realizzata da un semisconosciuto Filippo Stancari  … Dovete sapere a tal proposito, che qui allo Spirito Santo si ospitano ancora diverse opere provenienti da chiese Veneziane distrutte dall’orda fanatica francese ... Ci sono tele da Sant’Antonio di Castello trasformato in Giardinetto Pubblico, da San Biagio della Giudecca atterrato per costruire il Molino Stucky, dalla vicina Contrada di San Vio, da San Girolamo, e perfino dall’Isola di San Secondo dall’altra parte della Città: a Cannaregio, verso San Giuliano e Mestre ...”

Ci accompagnò poi accanto alla porta principale ad ammirare il grande Monumento Funebre dei Nobili Paruta: “Vedete ? … In questa chiesa vollero aver spazio e trovar prestigio diverse Famiglie Nobili: i Priuli dal Banco che finanziarono la facciata mettendoci sopra ben in evidenza un loro imponente stemma araldico … In realtà Gerolamo Priuli non fu puntuale nel pagare le spese, tergiversò non poco con i pagamenti dei 140 ducati che doveva per i lavori, perciò le Monache fecero rimuovere dal loro Procuratore Marco Pegolato lo stemma Priuli dalla facciata … Infatti: oggi non c’è più …. C’erano poi presenti i Nobili Cellini, i Morosini di cui si diceva che il Monastero fosse “una roccaforte di Famiglia” e appunto i Nobili Paruta.

In verità chi faceva da protagonista e faceva girare le economie di questo posto era il Guardiano della Schola dello Spirito Santo … A dire di Coronelli: la Schola aveva più di 400 Confratelli iscritti: 200 erano Preti, mentre gli altri 200 Secolari erano quasi tutti Nobili Patrizi … Nel 1676, siccome i membri della Schola non gradivano farsi riconoscere durante funerali, funzioni e processioni pubbliche, ottennero dal Consiglio dei Dieci la facoltà d’indossare una veste turchina con cappa e cappuccio che copriva il volto garantendo il proprio anonimato. L’abito era in tutto e per tutto simile a quello indossato dalla Schola dell’ArchiOspedale dello Spirito Santo in Saxia di Roma.

Santo Verde: Guardiano della Schola, fu lui ad arricchire più di tutti e a completare la chiesa ... Il Guardiano della Schola era uno dei 5 Commissari di fiducia scelti e inviati a Venezia dall’ArciOspedale dello Spirito Santo in Saxia di Roma … Fu sempre il Guardiano Santo Verde con i suoi Confratelli a gestire con estrema oculatezza la “fabbrica spirituale e la macchina da soldi della Patente per l’Eternità offerta soprattutto ad Ecclesiastici e Nobili” ... Ogni anno racimolava 500 ducati spendendone 300 e investendone altri 200 ... Altri 25 ducati venivano investiti al Monte Nuovo o alla Camera degli Imprestidi della Serenissima per accrescere ogni volta il capitale istituzionale della Schola ... Più oculato di così ?”

Anche i Nobili Paruta presenti in chiesa erano Nobili importanti che contavano … Fin dal 1381 i Paruta erano una Nobile Casada Novissima “Clarissima per le Dignità Ecclesiastiche che ricoprirono, e per le belle prove di valore dimostrate durante le Guerre contro i Turchi” … Erano giunti a Venezia in Contrada di Sant’Anzolo all’inizio del 1300 insieme ad altre famiglie da Lucca dedite alla manifattura e commercio della Seta … Fecero subito fortuna a Venezia assurgendo al Patriziato per i contributi offerti alla Serenissima durante la Guerra di Chioggia insieme ad altri otto Casati: Caresini, Condulmer, De Garzoni, Negro, Orso, Da Porto, Vendramin e alcuni dei Girardo ... Uno dei Rami dei Paruta più importanti andò poi a risiedere nel Sestier di Dorsoduro in Contrada di San Pantalon, in Corte oltre il Campiello Angaran detto Zen sopra il Rio di San Pantaleone … Filippo Paruta fu Vescovo prima di Cittanova nel 1426, poi di Torcello fino al 1448, e di Candia fino al 1458 ... Paolo Paruta, invece: fu Storiografo Ufficiale della Repubblica, Podestà di Brescia, Ambasciatore a Ferrara, Cavaliere, e Procuratore di San Marco, Mercante ad Alessandria d’Egitto, protagonista Letterario e autore-scrittore dei “Discorsi Politici” … Anche lui abitò a San Pantalon ... Andrea Paruta fu Ambasciatore di Venezia in Egitto ... Nel 1541 fra le 19 Nobili Monache Professe di Santa Caterina di Mazzorbo che entro il 1574 raddoppiarono di numero e ricchezza, c’erano anche le Monache Agostina e Felicita Paruta ... Antonio Paruta chiamò suo nipote a Costantinopoli perché imparasse la lingua Turca … Giovanni e Marco Paruta con altri Nobili illustri furono fra i generosi benefattori che permisero l’arrivo dei Certosini e la realizzazione della Certosa di Santa Maria e Girolamo sul Montello di Treviso … Bartolomeo Paruta, infine: fu Rettore delle Isole di Zante e Cefalonia nel Dominio da Mar, e soprattutto dal 1455 al 1496: Commendatario dell’Abbazia di San Gregorio in questa nostra Contrada dove sorge il nostro Complesso dello Spirito Santo.

Il Paruta come Commendatario di San Gregorio sulle Zattere ereditò numerosissimi beni (centinaia di campi, boschi ruote da mulino, locande, acque e paludi, tenute, poderi e attività economiche) nella zona del Brenta e in tutta l’area perilagunare di Malcontenta e Marghera, Gambarare, Tresiegoli, Cà Zosana di Mira, Borbiago e Spineda ... Erano i beni appartenuti all’antica Abbazia di Sant’Ilario di Fusina i cui Monaci si trasferirono a Venezia proprio a San Gregorio … Giacomo di Paolo Paruta permutò beni per 400 ducati a Gambarare per farne una donazione a Santa Maria di Vanzo ... I Paruta tessevano ottimi rapporti di vicinato con la Schola e con le Monache dello Spirito Santo ... Per questo volevano farsi seppellire qui in fondo alla chiesa.

Sapete come va di solito: “Non è sempre tutto oro ciò che luccica” … Anche i Paruta non brillarono sempre … Ebbero un Niccolò figlio di GianGiacomo, che faceva inizialmente il Medico a Venezia … Era anche un valente scrittore molto dotto, ma abbandonò presto la Laguna per seguire gli Anabattisti AntiTrinitari Veneti nei loro Collegia di Vicenza ... Secondo le loro Dottrine: Gesù Cristo era solo un uomo in carne e ossa della stirpe di Davide, un Profeta di sicuro nato da Maria, che poteva anche essere un Unigenito Figlio di Dio … Un Dio però che non era affatto Trino ... Secondo loro il Dogma della Trinità era un’altra delle invenzioni della Chiesa privo di qualsiasi riferimento Biblico ...

Figuratevi la Chiesa e l’Inquisizione di Venezia di fronte a quelle affermazioni !

Paruta secondo loro era un pericolosissimo Eretico da catturare, condannare e bruciare ! … Infatti iniziarono subito a dargli la caccia, e il Medico Paruta dovette andare a rifugiarsi a Ginevra insieme ad Andrea da Ponte (fratello del futuro Doge Niccolò da Ponte). Da lì poi migrò prima ad Austerlitz in Moravia nel 1561, dove fondò dei Seminaria Veritatis con altri rifugiati Italiani: Giovanni Paolo Alciati della Motta, Giovanni Valentino Gentile, Marcantonio Varotta, Niccolò Buccella e Bernardino Ochino cacciati via dalla Polonia ... Più tardi Paruta si spostò a Cracovia portandosi dietro la sua ricca biblioteca, e poi in Transilvania dove morì probabilmente nel 1581.

Nel “Conto” dei Paruta c’era da annoverare anche un NobilHomo Gabriel di anni 36, ex Podestà di Buddia, che venne impiccato a fine dicembre 1647 a Venezia per ordine del Consiglio dei Dieci ... L’accusa per lui era d’aver concertato ruberie nelle Saline Veneziane, e introdotto e favorito tramite lucrosi commerci di grano l’ingresso di migliaia di Soldati, Cavalieri, e sudditi Albanesi nei Territori Veneti con la scusa di convertirli al Cristianesimo mettendosi al servizio della Serenissima ... Non era vero: buona parte di loro si vendeva al miglior offerente, ed erano pericolosi spioni che danneggiavano grandemente la Repubblica ... I Paruta nel 1700 finirono in povertà e a caccia di sussidi e provvigioni di Stato ... Provarono a iscriversi fra i Nobili di Padova, e dopo napoleone finirono riconosciuti come membri dell'Aristocrazia Austriaca che li considerava come niente ... Si vendettero tutto: anche Villa Paruta a Vò.

Anche i Nobili Paruta erano associati alla Schola dello Spirito Santo sulle Zattere, ed erano fortemente interessati a quel “Speciale Passaporto delle Indulgenze buone per l’Eternità” …. Chi poteva permetterselo: “si Salvava” comprandosi e accaparrandosi in un certo senso l’EternitàInizio moduloFine modulo… Erano le opere buone, cioè i pagamenti fatti, che permettevano in morte di ridurre l’attesa nel Purgatorio aspettando la definitiva Salvezza Eterna …”

“Ha dell’incredibile, ma la nostra Religione per lungo tempo ha previsto proprio questo: una bottega per la Salvezza Eterna da comprare”.

“Lasciamo perdere … Osservate piuttosto attentamente questo Monumento Funebre e celebrativo dei Nobili Paruta con le sue quattro pregiate colonne in marmo Bardiglio fatte giungere qua da chissà dove pagando ben 500 ducati ... Anche qui c’è un capitolone di cose da sapere.” disse ancora Don Gastone aggrottando le ciglia, storcendo il naso e mettendosi l’occhialetto sulla punta del naso: “Dovremmo dire cento cose sui Paruta morti fra 1589 e 1629 … Faremmo notte ... Sembra che alla fine le urne di questo Monumento siano rimaste vuote perchè i Paruta preferirono andare a farsi seppellire appena fuoricasa nella chiesa di San Pantalon … Non si sa bene: bisognerebbe scoperchiare quelle tombe per capire meglio … Eppure i Paruta erano andati giù pesanti con i Frati dei Frari e i Preti di San Pantalon dicendo che si mangiavano i soldi delle eredità, delle tombe e dei Depositi dei Morti, e delle Mansionerie di Messe di Suffragio senza rispettarne e realizzarne le decisioni prese in morte dai Testatari ... Non c’era da fidarsi di loro: era meglio andare altrove … Il Nobile Paruta alla fine si cautelò da buon Mercante legando i lasciti del suo patrimonio e le spese del monumento con la correlata Mansioneria delle Messe da celebrare lasciandole in gestione dei Procuratori di San Marco … Perché fossero onesti garanti li compensò anticipatamente dando loro una buona somma di denaro: 500 ducati prima, e altri 200 dopo ... L’Arca-Mausoleo Funerario venne alla fine a costare 4.000 ducati più le spese delle sovvenzioni ai Procuratori che fecero far perizie sulla qualità dei busti di Andrea, Marco e Paolo Paruta inseriti nel monumento realizzati dalla famiglia di Scultori-Tagjapiera Paliari sotto la supervisione di Baldassare Longhena … Altri 400 ducati vennero investiti in seguito per realizzare la panca: “lo zoccolo” ai piedi del manufatto Così funzionavano allora Clero Veneziano e Nobili della Serenissima …”

“Ricordano molto i tanti intrallazzi e maneggi di oggi ... Sembra che non sia cambiato molto nonostante siano trascorsi i secoli.”

Don Gastone continuò ancora a dirci della Schola dello Spirito Santo e dei suoi rapporti con le Monache dello stesso Convento: “Ci furono sempre beghe e beghette fra Schola e Monache: fu un ginepraio senza fine, un contenzioso durato secoli … Nessuno dei due voleva lasciare all’altro la torta preziosa della gestione del “Passaporto delle Indulgenze per l’Eternità” ... La Schola era obbligata a pagare regolare pigione-affitto-contribuzione alle Monache … Dopo un po’ di anni, per dimenticanza o meno, i Confratelli si ritrovarono indebitati con le Monache, perciò scoppiarono liti, cause e controversie che finirono nel 1508 davanti a Papa Giulio II … Costui stavolta scelse come Giudici il Gran Maestro del Sacro Ordine di Santo Spirito di Roma insieme al Patriarca di Venezia per risolvere la questione ... Dopo quattro anni di litigi e processi, giunse finalmente la sentenza del Patriarca Antonio Contarini che nel 1517 obbligò la Confraternita a saldare al più presto i suoi debiti: “Solo una calle divide i vostri edifici ecclesiastici, eppure siete del tutto l’un contro l’altro armati.”

Nel 1530 i debiti però non erano stati ancora appianati, e la questione fra Confratelli e Monache era ancora più che aperta. Quelli della Schola vennero perfino minacciati di scomunica da parte di Leonardo Bonafede Gran Maestro dell’Ordine di Santo Spirito e Vescovo di Cortona … Niente da fare: i Confratelli dello Spirito Santo erano irriducibili.

Giovanni Pietro dei Santi allora, successore del Vescovo Bonafede privò nel 1532 la Schola di tutte le Grazie, le Indulgenze, e della gestione della “Patente per la Salvezza” istituita con l’avvallo Papale … Si giunse perfino a sopprimere e chiudere la Schola, col Papa Clemente VII che confermò la sentenza in prima persona il giorno seguente.

Ridotti al nulla, finalmente i Cofrati dello Spirito Santo sulle Zattere si arresero … Il “ricco giocattolo” s‘era ormai rotto … Nel 1539 le Monache dello Spirito Santo dichiararono prontamente di trovarsi in grosse ristrettezze economiche, e di essere quindi disposte a gestire loro quel gran patrimonio delIe Indulgenze e della “Patente Celeste” … Povere Monache ! … Sarà stato vero ? … O erano piuttosto delle gran furbe ? ... Era l’ennesima vendetta e rivalsa su quelli della Schola ? … La seconda opzione di certo … Le Monache non avevano mai fatto mistero di mirare da sempre a diventare depositarie del ricco patrimonio della Schola dello Spirito Santo …”

Deglutendo poi non poco, e quasi subendo l’argomento, Don Gastone iniziò ad elencarci sottovoce, come con riserbo e con una certa riluttanza e vergogna le “vicende losche” delle Monache: “Come Storico non posso tacervele ...Vi devo dire che ci furono dei Processi dell’Inquisizione contro le Monache dello Spirito Santo … Ci furono numerose scappatelle delle Nobili Donne segregate riluttanti ad accettarne fino in fondo la Regola della Clausura col suo senso ... Le Suore furono numerose volte condannate in quanto accusate “di mantenere amorosa tresca” … …Nell’autunno 1491 vennero imputati i due Gentiluomini Francesco Tagliapietra e Marco Balbi di “aver avuto carnale commercio con due di quelle Claustrali”, e qualche giorno dopo si condannò anche Giovanni Greco per lo stesso motivo.


Nel gennaio1565 nuovo processo indetto dal Consiglio dei Dieci contro i Nobili: Giovanni Priuli, Giovanni, Gerolamo e Francesco Corner, e Bernardo Contarini Conte e Capitano di Sebenico accusati d’aver scalato i muri ed esser entrati nel Monastero con chiavi false per “conoscere carnaliter” alcune Monache ingravidandone alcune e facendone fuggire altre ... Tra 1563 e 1567, infatti, vennero rapite e scapparono dal Convento le Monache Cristina Dolfin Professa da 22 anni con Girolamo Ferraruol Avvocato, Camilla Rota amante di Gerolamo Corner che fuggì dal Monastero andando a vivere con Guido Antonio Pizzamano processato dall’Inquisizione nel 1572, e Clemenza Foscarini amante di Bernardo Contarini da cui ebbe un figlio.

Era l’epoca scandalosa col fenomeno dei Monachini.

Ancora nel 1612 si accusò Malipiera Malipiero che frequentava il Parlatorio del Monastero di aver baciato le Monache e aver loro prestato vestiti e gioielli durante il Carnevale: “prava et impudica donna Malipiera Malipiero … questa tal nefanda la vigilia di San Tommaso vestita in habito da fia o donzella (prostituta) si è trasferita in chiesa sia peggio è andata in Parlatorio nel qual si è intrattenuta molto tempo a raggionar con Suor Lucietta Foscarini con la qual vi sono occorsi molti baci insieme con molte altre Monache che sono venute nel detto Parlatorio.”

Nel 1625 il Doge fece immettere in muro nei pressi del Monastero dello Spirito Santo questa iscrizione ammonitiva:“Il Serenissimo Principe fa saper per ordine degli Eccellentissimi Proveditori Sopra li Monasteri di Venezia e Dogado, che no sia alcuna persona di che grado, stato e conditione si voglia, niuno eccettuato, che ardisca di star, ligar barche, Marcine, fregate, barche da legne per mezo la Chiesa et Monasterio di Sancto Spirito allumi ne manco ivi tumutuar strepitar ne dir parole oscene et indice sotto in remission pena alli contrafattori di corda, pregion, bando, galia et altro ad arbitrii di sopra Scritte Signorie Eccelentissime, et di più di pagar Lire 100 da essere dati la mità all’accusator che sarà tenuto secreto et l’altra metà a chi farà l’esecutione  … Data dall’Officio il di 03 agosto 1625 Francesco Morosini Provveditor, Lunardo Mocenigo Procurator, Francesco Erizzo Proveditor, e Procurato Proveditore Felippo Garzoni Secretario.”

Nel luglio 1644: altro “Processo per un Secolare trovato nel Parlatorio con vivande e manicaretti, e suoni e balli” ... Nell’estate 1672: “Processo per serenata scandalosa di un Avvocato ed altri”… All’inizio 1684: “Processo per visite frequenti in quel Parlatorio di un Secolare, altra volta ammonito”.

Don Gastone pareva trasognato, inseguire un fluido temporale per percorsi che lo smarrivano dandogli un senso di ripulsa e dispiacere.

Quando tornammo a guardarci un attimo con Paolo: era già quasi buio, e Don Gastone stava ancora continuando a parlare come se ci avesse raccontato solo una piccolissima parte del tanto che aveva in mente di dirci ... Era ormai tardi per noi, invece, e dovevamo rientrare al più presto nel Seminario.

Lui, invece: no: “Ancora un attimo, che vi mostro su di qua l’abitazione del Sacrestano che stava di sopra in alto, invisibile sopra all’organo e il soffitto della chiesa ... Lì è andata ad abitare anche un’arzilla e devota donnina zitella quasi eremita, che rimase ospitata lassù gratuitamente in cambio di un po’ di attenzioni e cure per la chiesa di sotto …”


Quasi ci trascinò su per le scale fin di sopra in alto per andare a vedere … Cosa curiosissima: salendo Don Gastone aveva il modo tipico dei vecchi Preti di salire le scale ... Abituati com’erano da sempre a indossare la lunga tonaca fino ai piedi, istintivamente quando salivano dei gradini ne prendeva in mano un pinzo alzandola sulle ginocchia per affrontarli meglio senza inciampare nel voluminoso e ingombrante tessuto della veste ... Don Gastone la “veste lunga” non ce l’aveva quasi più, ma conservava ancora intatto quell’istinto di afferrarne “il pinzo” per salire le scale o i ponti ...  Ci faceva un po’ sorridere vederlo prendersi i pantaloni tirandoli e alzandoli mentre saliva i gradini … Si evidenziavano così certi calzini scompagnati e consunti che indossava di sotto: un tempo forse dovevano essere stati bianchi di colore.

Quante cose incredibili siamo venuti a sapere e abbiamo visto in quel volatile pomeriggio sulle Monache Agostiniane dello Spirito Santo, sulla Schola che per secoli era esistita lì accanto, e le vicende di tutto quel piccolo Complesso dello Spirito Santo ... Tanta ròba ! … Non immaginate quanto: la nostra mente provò la gradevole sensazione d’essersi addentrata in un microcosmo luminosissimo fuori dal tempo che ormai non c’era più a Venezia: “Tutto si è arrestato e rotto qui come in un tristo incanto a inizio 1800” concluse Don Gastone:” “Quando quel vil francese ha fatto una vera e propria mattanza di Venezia e della Serenissima ... La Chiesa dello Spirito Santo venne chiusa, di nuovo riaperta e richiusa, soppressa e spogliata nel 1806. Gran parte delle opere vennero portate altrove in un miscuglio eccezionale, e l’ambiente venne trasformato in deposito di paglia … Le 21 Monache vennero buttate sbrigativamente in strada indemaniandone ogni bene e proprietà .... Finirono sballottate in giro da una parte all’altra di Venezia: prima nel Monastero delle Vergini di Castello, poi concentrate definitivamente nel Convento di Santa Giustina oggi Liceo “Benedetti”… La Schola dello Spirito Santo venne trasformata in appartamenti per le famiglie dei Militari … Nella primavera 1812 s’era pensato brevemente di farne la residenza di Prete Pietro Visconti Rettore della chiesa dello Spirito Santo “rimasto sprovveduto di casa” quando era stato mandato fuori dal Monastero dove risiedeva con le Monache ... Si sarebbe potuto pensare di sistemarlo in qualche modo in un piccolo locale attiguo alla Schola, anche se il Comune l’aveva già affittato alla Scuola di Ostetricia … Che si arrangiasse pure lui, magari con un piccolo assegno pecuniario ... In seguito (1880) il Convento diventato Caserma, poi venne concesso per un anno come Scuola Femminile di Carità ai fratelli Marco e Antonio Cavanis, infinedivenne Fabbrica di Sale Pastorizio e Deposito Tabacchi … Le Schole dello Spirito Santo sulle Zattere, la Schola-Suffragio della Beata Vergine del Rosario e il Sovegno della Beata Vergine Adorante il suo Divin Parto dei Servitori-Barcaroli de Casada furono trasferite e conglobate a San Trovaso ... I documenti raccontano che quel Sovegno dei Barcaroli era troppo chiassoso: sparavano petardi quando si riunivano, tanto che le Monache li estromisero tutti dalla chiesa insieme al loro Guardiano Andrea Pampanin detto Peòcjo … I Barcaroli pagavano 200 lire di Benintrada per associarsi, 8 lire di Tassa di Luminaria per il consumo delle Cere, 4 lire alla morte di ogni iscritto per versare 5 ducati ai superstiti e pagare la Messa Esequiale e le 80 Messe di Suffragio che a ciascun Morto spettava … Sarebbero bastate per la Salvezza Eterna ? ... Chissà ?


Guardiano e Banca in ogni caso erano obbligati a presenziare ai Funerali …La Prima domenica di ottobre si doveva offrire anche 1 lira per i Poveri ricevendo in cambio una candela e “un Santo in bergamina” ... I Barcaroli, infine, versavano al Sovegno anche 16 soldi mensili per poter beneficiare di una primitiva Assistenza Sanitaria. In caso di malattia con febbre avevano diritto a 2 lire al giorno e a cure mediche, eccetto che per la Gonorrea o Morbo Gallico che uno se l’andava a cercare andando a prostitute, ed eccettuati i mali incurabili per i quali non sarebbero mai bastati i sussidi, e le ferite causate da risse ovvero per purgarsi da soli….In caso di caduta accidentale lavorando sulle barche, era concessa l’esenzione dalle tasse dovute al Sovegno, e niente di più … napoleone al suo arrivo incamerò tutto l’attivo di Cassa dei Barcaroli de Casada che ammontava a 748,6 lire, insieme ai 500 ducati depositati in Zecca della Schola del Rosario alla quale prese anche il contante di 163,18 lire … e che ciascuno s’arrangiasse come meglio poteva … Adesso qui accanto a destra è sorto nel 1957-1958 il moderno Condominio Garella, mentre a sinistra c’è il piccolo edificio delle Assicurazioni Generali che viene utilizzato per il canottaggio e la voga con le barche a remi … Fine della Storia dello Spirito Santo sulle Zattere.” 

Illuminato dalle parole di Don Gastone Vio, il Complesso dello Spirito Santo sulle Zattere si è rivelato ai nostri occhi per il tanto che era stato: di sicuro un altro dei preziosissimi patrimoni della nostra Bellissima Venezia.

Dovevamo assolutamente tornare là da Don Gastone per continuare quella nostra stupenda quanto fascinosa chiacchierata … Ci lasciammo con l’impegno di ritrovarci per la “seconda puntata” per ascoltare e accogliere ancora “quel tanto” che aveva ancora da dirci.

Non accadde però quella seconda volta, e me ne rammarico ancora oggi ... Il tempo e le nostre scadenze ci portarono via altrove … Un vero peccato, anche se il tanto che ci disse in quell’occasione ce l’ho ancora ben chiaro in mente.

Grandissimo Don Gastone Vio ! … Lo ringrazio ancora adesso a distanza ormai di più di quarant’anni.

Ci sono tornato ancora in seguito diverse volte allo Spirito Santo sulle Zattere prima che venisse chiusa per sempre … Don Gastone però non c’era più ... Poi accadde la chiusura del luogo, e si calò sopra a tutta quella “storia di storie” come un enorme sipario, un velo di muto oblio che piano piano ha cancellato tanto, e lo sta facendo ancora oggi.

Dopo qualche decina d’anni, una volta: alla vigilia della Festa del Redentore, ho trovato sorprendentemente aperta la porta di Santo Spiritosulle Zattere: “Felice miracolo !” mi sono detto fiondandomi immediatamente dentro spingendo all’interno il passeggino col mio riccioluto bambino ... Non c’era più la chiesa di un tempo: quella con Don Gastone per intenderci … Sembrava un’altra: un luogo morto.

Lasciando fuori la calura rovente estiva invasa dalla luce di metà luglio, ho scostato il tendone rosso smunto, incartapecorito e pieno di umidità e salsedine che stava sull’ingresso ... Sono entrato in quel mondo ombroso simile a quello di quella lontana volta col temporale, ma la chiesa adesso era diventata tutta spoglia e disadorna, privata dei tanti arredi che la baroccheggiavano e riempivano, delle tovaglie, i candelabri degli altari, le piante, gli addobbi, gli arredi e i fiori  … Più niente: solo tanta polvere ovunque, panche divorate dai tarli, macchie d’umidità, tutto spento come paralizzato dal Tempo, porte sbarrate e chiuse, e l’immancabile “tossicone” che girovagava intorno frugando ovunque negli angoli in cerca di qualcosa “di buono” di cui appropriarsi: “Andiamo via da questo squallore !” mi ha sgomitato la mia compagna ... e siamo presto usciti.

E’ stata l’ultima volta che sono entrato dentro allo Spirito Santo sulle Zattere, e me ne sono uscito da quella aspra desolazione ... Un Santo Spirito in bianco e nero, anzi: in negativo, privato di quel tanto di coloratissimo che era stato un tempo.

Ora la porta dello Spirito Santo sulle Zattere è da anni e anni chiusa e dimenticata ... Solo raramente qualche fortunato riesce a metterci dentro il naso al seguito di qualche rara e fortunata visita guidata ... La sede di tanta Storia e di tanti contenuti quotidiani che furono capaci di calamitare tanti Veneziani per secoli: ora è assimilabile a un magazzino di carabattole lasciato a se stesso.

E la “Patente per l’Eternità” che fine avrà fatto ?

Chissà che vi passerà per la testa la prossima volta che passerete davanti allo Spirito Santo sulle Zattere ?


***** se volete saperne di più sul “Passaporto per l’Eternità” e sulle connessioni storiche del complesso dello Spirito Santo sulle Zattere di Venezia: cliccate qui.

 

 

Per capirne di più sul Complesso dello Spirito Santo sulle Zattere di Venezia.

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#unacuriositàvenezianapervolta 332

Per capirne di più sul Complesso dello Spirito Santo sulle Zattere di Venezia.

Se hai cliccato giungendo fin qua sei proprio curiosa/o e interessata/o delle “cose Veneziane”… Me ne compiaccio.

L’argomento del “Passaporto per la Salvezza”è un po’ ostico, me ne rendo conto ... per questo ne scrivo a parte.

Se vuoi capirne di più però: eccomi qua.

Certi luoghi di Venezia, come dico a volte, se ne stanno là davanti ai nostri occhi come se non ci fossero, quasi fossero privi di significato. Al massimo ne cogliamo un po’ la valenza artistica ed estetica, o tendiamo l’orecchio a qualche nota storica, ma ci fermiamo là.

Il solito frettoloso vivere, il modo sbrigativo social, e la quotidiana apatia, talvolta ci fanno brutti scherzi rendendoci storie e luoghi come trasparenti e privi di significato. Perciò alcuni monumenti Veneziani rimangono come ibernati, mummificati e prigionieri di una specie d’impietosa macchina del tempo che si tiene i suoi segreti.

Basta però un po’ di voglia, ed ecco che certi luoghi chiusi e abbandonati quasi ritornano a vivere mostrandoci insospettabili quanto curiose scene di ricca Venezianità carica di Storia e Bellezza ... Neanche immaginiamo a volte.

Il complesso Veneziano dello Spirito Santo sulle Zattere, come ho già detto nel post precedente, è uno di quei luoghi ... Al vederlo di passaggio in vaporetto, sembra solo un insieme giustapposto di due vetusti edifici quasi gemelli con facciate lombardesche a capanna e timpano triangolare ... Due costruzioni non molto belle da vedere a dire la verità, apparentemente di poco conto, che quasi sfigurano a confronto col le tante cose belle che siamo abituati ad ammirare a Venezia.

In realtà lo Spirito Santo sulle Zattere non è stato affatto “secondario” nel contesto Veneziano … Sapeste quanta Storia illustrissima è accaduta lì dentro. Esiste una specie di “logo” impresso un po’ ovunque che la riassume, anche se oggi lo si nota appena. E’ il simbolo della “doppia Croce sovrapposta: la Croce Patente”.

Solitamente la si riconoscere come la chiacchieratissima “Croce di Lorena”, che purtroppo richiama tanti accadimenti storici bui. Sulle Zattere allo Spirito Santo però, quell’identica Croce ha avuto per secoli una valenza del tutto diversa. Lo Spirito Santo sulla Zattere oltre a collocarsi nell’area Veneziana limitrofa ai Templi della Salute e del Redentore, sorgeva poco lontano dai luoghi occupati dagli antichi Templari Veneziani, ad esempio, quindi richiama contenuti e modi alternativi poco ovvi.

I Templari Veneziani erano proprietari e occupavano tutta la zona che oggi chiamiamo Punta della Salute e della Dogana da Mar. Prima che sorgesse il grande chiesone della Salute e della Peste: c’erano i “Luoghi dell’Umiltà e della Trinità” abitati appunto dai TemplariVeneziani, che solo in seguito, dopo le note vicende storiche che li hanno cancellati, vennero sostituiti dai Cavalieri Teutonici ... Lo Spirito Santo sulle Zattere, a pochi passi, aveva quindi strette connessioni con loro.

Non è di certo un caso poi, se il Complesso dello Spirito Santo sorge ancora oggi proprio in mezzo fra i due grandi Templi della Salute e del Redentore: al di qua e al di là del Canale della Giudecca… proprio in faccia allo Spirito Santosulle Zattere.

Il Ponte del Redentore che si costruisce ogni anno ancora oggi si colloca proprio in Riva delloSpirito Santo ... Non si tratta solo di mera coincidenza strategico-urbanistica, e solamente del luogo più adatto per traghettare il Canale della Giudecca ... Esisteva una continuità e una stretta interconnessione di significati fra le varie realtà dei Templi della Salute Cittadini.

Si dice che nel 1576, sia stato proprio un Confratello dello Spirito Santo a indicare il terreno del Redentore come quello più adatto per costruirvi il nuovo Tempio Votivo come riconoscimento per la Liberazione dalla Peste… Allora: “i Venèssiani morivano a grappoli per via del flagello della Nera Epidemia.”

Queste sono “chiavi di lettura” del significato di certi luoghi Veneziani che purtroppo abbiamo quasi perso, ma che svelano però l’intimo “perché” di certi luoghi e monumenti sorti a Venezia lungo i secoli.

I luoghi dello Spirito Santo sulle Zattere sono stati anche sede per secoli di un immane movimento culturale, sociale, politico e devozionale Veneziano legato non tanto all’idea-filosofia-dottrina “dello Spirito Santo”, ma soprattutto al concetto della Salvezza Eterna post Mortem, cioè al contatto-scambio con l’Aldilà e l’Eternità.

Argomento un po’ ostico e complesso: lo so, che sa un po’ “da Sacrestia e Catechismo”… E poi: noi di oggi tendiamo di continuo ad esorcizzare tutto ciò che riguarda sofferenza, Male e Morte, e quindi Salvezza Duratura cioè Eterna ... Sono temi che c’inquietano e mettono ansia, per non dire paura, perché pur essendo “svegli, potenti, futuribili e tecnologici”, non riusciamo lo stesso a mettere mano come vorremmo su certi contenuti più grandi di noi … Certe tematiche quindi rimangono ineludibili, un po’ da temere, e quindi al margine delle nostre riflessioni.

Solo complicazioni come Covid e Guerra, che ci è toccato per forza guardare in faccia, ci hanno spinti a considerare certe opzioni.

I Veneziani di ieri, invece, e non solo loro, non scappavano via da certi argomenti, ma li affrontavano ... E’ vero: per loro era tutto diverso, erano abituati a convivere con gli esiti nefasti di prolungate Guerre che restituivano di continuo alla Laguna Morti e Feriti, ed è anche altrettanto vero che di frequente incappavano nella Peste che devastava e dimezzava mezza Venezia coprendola di pene e lutti.

I Veneziani non si sono mai fermati di fronte all’avvilimento della Morte, né alle tragiche scene in cui “le mani vili e zozze dei Pizzegamorti e Monatti saccheggiavano ogni cosa, violentavano le donne buttandole ancora vive nelle “fosse da lasàgne” piene di cadaveri, cancellando così con disprezzo ogni ordine e certezza sociale.”

Ci voleva ben altro per riuscire a flettere del tutto l’Animo della Serenissima e degli abitanti delle Lagune.

Per questo e per secoli, i Veneziani hanno quindi cercato con insistenza e riconosciuto una specie di esistenziale “via di fuga”, la possibilità d’intravvedere lo stesso un “senso e qualcosa di Buono” oltre qualsiasi orribile disgrazia e fragilità ... Non potevano accettare l’idea che tutti i loro sforzi per vivere finissero dispersi e sviliti insieme ai sogni della Serenissima.

Doveva esserci per forza: “un significatoalternativo, un Mondo saldo e vitale che non deteriorasse a cui far riferimento”.

Ecco allora lo sguardo esistenziale proteso con insistenza verso l’Eternità da raggiungere e guadagnarsi.

In realtà non erano solo i Veneziani, ma l’intera Europa, tutto l’Occidente di stampo Cristiano che anelava intorno a pensieri del genere. Tutti bramavano non solo di continuare a solcare Mari & Terre per far girare le Economie, ma anche d’avere “un domani certo che durasse in Eterno”, “un qualcosa che ripagasse di tanto impegno, dedizioni e fatiche durate tutta l’esistenza”.


E’ stato da dentro di questo contesto storico, e di questo “modo di pensare” che sono nate le “Case dello Spirito Santo”: cioè dei luoghi del tutto simili a quello dello Spirito Santo sulle Zattere di Venezia. Il Complesso sulle Zattere a cui faccio riferimento, è stato parte integrante di un movimento di pensiero, una sensibilità culturale ben più grande condivisa da tutta l’Europa … Infatti: luoghi “gemellicon lo stesso Logo-Simbolo” uguale a quello delle Zattere si possono trovare presenti in Germania, Svizzera, Francia, Polonia, Ucraina e in molti altri luoghi Italiani come Roma o Gemona del Friuli ... Avevano tutti lo stesso scopo e la stessa ideazione-prospettiva di fondo: fornire una vera e propria Patente, un Passaporto-Garanzia per la Salvezza Eterna e l’Aldilà.

Quello delle Zattere di Venezia in verità è stato una diramazione, un “allargamento” dell’ArciHospedale di Santo Spirito di Saxia di Roma(l’Ospedale dei Papi, forse il più grande d’Europa per un certo tempo). Da lì sono partiti cinque Commissari nominati appositamente per gestire “la nuova filiazione della Casa dello Spirito Santo sulle Zattere di Venezia” … Ed è stato da allora, e per secoli, che sul Santo Spirito delle Zattere e sui suoi consociati Veneziani, c’è stato un immane e ininterrotto fluire di “Privilegi, Meriti, Indulgenze e Grazie dal Cielofavorite da Roma”. E’ stato messo a disposizione un incredibile “ensamble-pacchetto di Grazie” che concedeva a chi lo percepiva una vera e propria “garanzia d’accesso all’Eternità”.


Inverosimile vero ? …. Storicamente vero però: documentabile ... Andate pure a controllare: esiste un’intera letteratura al riguardo.

Curiosità spicciola Veneziana per capire meglio … Per secoli (dall’anno mille pressappoco) si usava a Venezia regalarsi e spartirsi delle uova beneauguranti con dipinta sopra in rosso proprio “la Doppia Croce Patente dello Spirito Santo”… che richiamava il simbolo del Complesso di Santo Spirito sulleZattere con le sue prospettive Salvifiche.

Esisteva poi anche un altro stretto interscambio fra le “Case-Hospedale dello Spirito Santo” sparse in giro per l’Europa e coagulate fra loro dalla stessa idea di fondo. Ogni singola “Casa” si prestava a condividere i flussi dei Pellegrini di ogni parte d’Europa diretti a Roma e in Terrasanta ... Dalla sosta a Gemona inFriuli, ad esempio, era abitualepassare poi per Venezia dove si veniva appunto ospitati nel “Priorato dello Spirito Santo sulle Zattere” prima d’imbarcarsi per l’OltreMare, o proseguire piuttosto il cammino per Assisi, Loreto, Roma, San Michele del Gargano o viceversa per San Michele di Pavia e la Sacra di San Michele della Chiusa, e poi ancora oltre le Alpi verso San Jacopo di CampoStella e altri Luoghi Santi.


Sempre e ancora qui a Venezia, nella Laguna Sud precisamente, c’era anche l’Isola dei Canonici di Santo Spirito(non lontana dall’Isola di Poveglia), dove stavano gli antichi quanto quasi misteriosi Canonici Medioevali di Santo Spirito.  Ancora oggi si sa pochissimo su di loro ... Si sa, ad esempio, che erano di certo affiliati alla stessa causa dello Spirito Santo sulle Zattere, e che sussistevano in Laguna al pari e insieme agli altri Cavalierati e Ordini Monastici Medioevali … Si sa infine, che a un certo punto vennero anche cacciati via malamente dalla Serenissima per certi loro non meglio precisati “comportamenti inadeguati e libertini” o forse perché praticavano forme di pensiero e attitudini spirituali, etiche e culturali che non piacevano molto ai Vertici Veneziani Conservatori e Bigotti.

Tornando sulle Zattere allo Spirito Santo di Venezia… Dovete immaginare che per secoli quotidianamente molti Dogi, Nobili, Mercanti, Clero, e Popolani di ogni categoria Veneziana non solo frequentarono quei “luoghi dello Spirito Santo” raggiungendoli in barca o a piedi, ma si lasciavano coinvolgere grandemente da quell’idea della “Patente per l’Eternità Futura: il Passaporto per la Salvezza Eterna”.

Non si trattava di un semplice “tesserino”: un patentino da comprare e da indossare, ma di un insieme ben preciso d’azioni, pratiche e convinzioni a cui rifarsi, un impegno etico-morale che sarebbe durato, e si sarebbe dovuto interpretare per tutta la vita: fino ad ottenere “il premio del Beneficio Finale”.

Badate bene … I Veneziani di ieri non erano affatto né creduloni né sempliciotti … Anzi … Credevano però fermamente, e si adoperarono tantissimo affidandosi a quel particolare tipo di contenuti ... I luoghi dello Spirito Santo sulle Zattere divenne quindi per i Veneziani una vera e propria “macchina per l’Eternità”: uno stile di Vita partecipativo in vista del Futuro post Mortem e dell’Aldilà.

Per tutto questo il sito dello Spirito Santo sulle Zattere divenne ricco, famoso e nobile: un altro di quei cofani-scrigni d’Arte, Bellezza e Storia tipici di Venezia … Fu per il gran lavorio quotidiano e per la partecipazione continua di secoli, con fiumi di donazioni e cespiti continui, che il luogo sulle Zattereè stato quel che è stato, cioè: tanto ... Tantissimo.


Per comprendere ancora di più, ed entrare del tutto nella logica a cui mi riferisco, bisogna ulteriormente allargare la nostra riflessione.

Li ricordate i fatti e gli eventi storici del 1100-1200 in Europa vero ? … Il grande“fenomeno” delle Crociate soprattutto ?

Le Crociate sono state la furba pensata ideata da Papi & C d’inventare il “Nemico della Fede”, annientando il quale si sarebbe potuto guadagnare e godere in cambio la Salvezza Eterna: il Paradiso dell’Animo e del Corpo, e lo sconto nel Giudizio Finale circa qualsiasi tipo di nefandezze.

Per secoli una Civiltà intera: quella Occidentale Europea, si è dannata dietro a quella visione allucinata e gratuita della Guerra Santa.

Non c’era alcun Nemico in realtà, nessuna Fede superiore alle altre da affermare, né alcun “Dio lo vuole” gridato giù dal Cielo, ma solo un’assurda “volontà di potenza e avidità di ricchezza”, che è stata capace di coniugare e indirizzare persone e risorse di un continente intero legandole e immagandole attorno a un’idea di fondo e di conquista che ipnotizzò tutti per secoli.

Non c’erano Infedeli e Saraceni da combattere: incarnazione del Male, né Dannati Peccatori da debellare. Semmai sulle altre sponde del Bacino Mediterraneo o sulle coste del NordAfrica e del Medio Oriente c’era una cultura alternativa, che come capitava da sempre, cercava di proporre se stessa a tutti i livelli … L’Umanità è sempre stata diversa nel suo insieme.

L’Occidente Cristiano ne ha fatto invece: una vera e propria questione di Vita e di Morte, e ha affogato per secoli nel sangue e nel saccheggio un’intera parte dell’Umanità.

Riassunto in poche parole: a un certo punto della Storia Occidentale s’è inscenato tra Papato-Cardinali-Fraterie e Clero e Case Regnanti-Vassalli-Nobili e Cavalleria solitamente in armonia fra loro, un vero e proprio conflitto messo in atto a suon di Scomuniche, Guerre e Dottrine-Filosofie-Politiche con lo scopo di ottenere il Primato socio-economico sull’Europa e il Mondo di allora.

Ciascuno dei “Grandi” del Civico e del Religioso intendeva padroneggiare su ogni Categoria degli altri provando ad esserne il “numero uno” in ricchezza, risorse e potere sia nel presente che nell’avvenire. C’era a disposizione un immane bottino di risorse e persone da spartirsi per impinguare le proprie tasche.

Diverse Famiglie Borgognone e Fiamminghe come: i Lorena, D’Angiò, De Blois, Champagne si mossero insieme a Papa & C architettando astutamente una tacita Federazione Europea Monarchico-Teocratica atta a combattere una Guerra Santa sorretta dalla Mistica Dottrina della Concezione Espiatrice e Penitenziale del Pellegrinaggio e della Crociata” intesi come efficace “passaporto e viaggio indispensabile per conseguire e accedere alla Salvezza Eterna”.

Qualsiasi intralcio e concorrenza anche solo ideale su quel percorso d’accaparramento venne astutamente rimosso e cancellato. Ne furono eclatante esempio le vicende della potenza dei Templari, che pur essendo l’Ordine del Tempio e la Militia dei Poveri di Cristo, vennero cancellati in quanto covavano da tempo un sogno analogo a quello Papale-Imperiale

Papa e Re intendevano avere l’esclusiva di tutto quel mirabolante progetto.

Anche la caccia spietata con la terribile macchina dell’Inquisizione contro le Streghe e ogni forma d’Eresia furono un altro degli accessori messi in atto per corroborare alla realizzazione di quel mirabile quanto subdolo e arduo progetto.

Perfettamente in linea con le grandi visioni Biblico-Evangeliche, si indicò Gerusalemme come “Grande Male e Brutta Bestia”: obiettivo, campo di battaglia, e centro d’ingaggio dove le varie Culture Celtico-Europee unite avrebbero spremuto quelle Ebraico-Palestinesi-Orientali-Gnostico-Arabe-Islamiche ... Si mise in scena una Guerra Mondiale antelitteram … l’ennesima se si vuole, gestita con subdola quanto ingegnosa precomprensione: uno degli apici forse più bassi e bui dell’intera Storia dell’Occidente Europeo.

La TerraSanta da raggiungere ed emancipare, sarebbe diventata la Nuova Capitale centro di controllo della Cristianità sul Mondo: immagine in Terra della Gerusalemme Celeste Biblica e Apocalittica tutta da conquistare, gestire e spartirsi.

A tal proposito: le grandi e ricche classi sociali degli Ordini Monastici dei Neri Benedettini, degli Agostiniani, e dei Monaci Bianchi Cluniacensi-Cistercensi al pari di Conti, Baroni, Nobili, Mercanti e Cavalieri vennero individuati come formidabili e ricchi serbatoi da cui attingere a piene mani, e come supporti di corpi e animi “armati di spada, Cultura, parole e risorse” di cui servirsi in maniera illimitata.

S’inventò e indicò a una folla di Cavalieri e Popoli analfabeti e paurosi il modello del “Cavaliere di Cristo Difensore della Fede, e per questo anche di ogni forma di povertà, degli orfani e delle vedove”: esempio estremo di Santità, Salvezza e Redenzione da perseguire sulla scia dell’esempio-Mito-Leggenda San Giorgio in lotta perenne col Dragone del Male Cosmico Antico… Di volta in volta quindi, salirono sul palco della Storia cacciarosi parlatori istrioni di turno per ammansire il Pubblico Europeo: Pietro l’Eremita a Clarmont nel 1095 patrocinato dal Papa Francese di Cluny Urbano II, poi fu la volta di San Bernardo: l’uomo immagine della Crociata, il trasformatore in patria dell’aspra Valle dell’Assenzio in Chiaravalle dal luminoso Destino.

Si misero in movimento il mondo intero degli animi e delle persone dell’intera Cristianità nascondendo quella che come sempre era di fatto una grande caccia alle risorse destinata a pochi ... Il dilagare di carestie e mortali pestilenze, e le magre economie di tanta parte Europea fecero il resto amplificando quella suggestione che divenne obbligata e urente: da dover raggiungere ad ogni costo: “Non si può e non si deve lasciar vincere il Male ossessivo che pervade l’esistenza”… e la stima ossessiva dell’Aldilà Ultraterreno Benefico divenne allora un prezioso bene da conquistare da parte di chiunque ... anche del più povero della più infima Contrada.

Insieme al formidabile connubio di Spada-Croce, e di Potere di Papa e Re: plastica sintesi di Sacro e Profano, si potenziò e valorizzò grandemente anche la formidabile idea del Purgatorio delle Anime Purganti: luogo speciale virtuale obbligatorio dove chiunque al Mondo e della Storia avrebbe dovuto sostare in decantazione se inadeguato o con qualcosa da farsi perdonare in attesa del Giudizio del Paradiso o della Dannazione Eterna … Anche allora i Giudizi andavano per le lunghe, e il Purgatorio fu pensato come immane Sala d’Attesa virtuale dove rimanere in standby a decantare l’operato sbagliato della propria esistenza “scontando pena nel frattempo”.

Spesso durante la Vita: una multa, una donazione, un lascito potevano risolvere e sanare, cancellare e supplire a certe pendenze e colpe.

L’algoritmo esistenziale ed economico era semplice e avrebbe funzionato di sicuro alla grande quindi … e così: è stato … Le Crociate sono state un enorme boomerang storico fonte di grande Bene per pochi, e di grandissimo Male e Dannazione per tutti gli altri.

Ci fu quindi tutto un fiorire di Ordini Cavallereschi, Ospedalieri ed Elemosinari: i Gerolosolimitani a guardia del Santo Sepolcro sotto la Regola Agostiniana che prevedeva la formazione della Città di Dio integrata con la Civiltà degli Uomini … I Cavalieri e i Canonici dello Spirito Santo sorti sulla falsariga di quello stesso progetto: ennesimo Cavalierato sorto a favore “dei fragili d’Animo, del corpo e del Destino.”

Ecco quindi riassunto il significato di quella “Doppia Croce Patente” presente anche sulle Zattere di Venezia: era il simbolo di quel Passaporto per l’Eternità di Marca Papale, e di tutto quel percorso esistenziale, iniziatico e cosmogonico proposto a tutta l’Europa di allora ... e ai Veneziani nella fattispecie.

Se ci pensate: buona parte della “bellezza” della nostra Venezia, è stata frutto dell’indotto di quell’orribile e prolungato accadimento.

Anche allo Spirito Santo sulle Zattere si è incarnato e concretizzato quell’Ideale “Crociato” che ha coinvolto molti nell’intero Mondo Occidentale, e la “trovata” della Crociata ha contribuito grandemente a fondare quell’idea del Passaporto per l’Eternità attorno al quale tanto ruotava ogni giorno sulle Zattere Veneziane. Lo Spirito Santo sulle Zattere divenne, infatti, uno di quei “Luoghi Speciali da Indulgenze”: una vera e propria “bottega per leStelle e l’Aldilà”, dove si poteva reperire di continuo “prodotti, meriti e aiuti salvifici” per tutti i gusti, e per ogni borsa e tasca ... compresi “speciali sconti” aggiunti buoni per guadagnarsi la Salvezza Eterna.

Si doveva pagare e offrire ovviamente …

E quanto ? … Tanto … Sempre: per tutta la Vita, e anche dopo la Morte, e anche pagando al posto di chi era Morto, e forse non s’era ancora debitamente liberato in Vita … Una specie di “catena di Sant’Antonio” senza fine … Un giochino perfetto, se ci pensate.

Una miniera inesauribile d’entrate e soldi per chi gestiva il Grande Baraccone Espiatorio e Purgante … Chi ne era il Titolare ?

Lo sapete benissimo.

Entrando nel dettaglio … C’è stata un’epoca in cui i “Dotti della Religione e del Sapere Giuridico Civico-Ecclesiastico” sono riusciti bene o male, a malincuore però perché avrebbero preferito lasciare indefinita e generica la grande Attesa Espiatoria. C’è stata un’epoca in cui si è giunti a quantificare pressappoco l’entità dell’attesa che si sarebbe dovuto “espiare” nel Purgatorio: 20.000 anni circa ? … Si: pressappoco … anche se nessun Ecclesiastico amava mai addentrarsi nei dettagli di quell’argomento.

La faccio breve: anche alle Zattere sulla falsariga delle “abitudini e del Calendario Romano” si poteva acquisire quindi una vera e propria valanga d’Indulgenze i cui meriti e benefici si potevano sommare per scontare per se e per altri le “Pene del Purgatorio post Mortem”, ed accedere così alla Salvezza Eterna del Paradiso.

Provate a sbirciare, se ne avrete voglia, lo schema calendariale dei “meriti acquisibili per l’Eternità” dentro alla chiesa e complesso di Santo Spirito sulle Zattere: ne rimarrete di certo stupiti.

Troverete elencato un “pacchetto” di ben 1.314.116 anni d’Indulgenze disponibili, e di ben 156.656 “Quarantene da defalcare dalle Pene meritate in vita e da scontare e penare nel Purgatorio”… Meglio che niente no ?

Questa consuetudine ha trovato enorme corrispondenza e disponibilità nei Veneziani, soprattutto in quelli più dotati economicamente … Un po’ meno da parte di chi era squattrinato, e doveva pensare solo al sopravvivere, non potendo quindi permettersi “certi lussi ultraterreni”.

Eccovi quindi spiegata la “logica” soggiacente al così detto “Passaporto per l’Eternità” che si era convinti di poter offrire “a pacchetto” anche a Venezia da dentro le tante possibilità e proposte illustrate anche allo Spirito Santo sulle Zattere, nella fattispecie: soprattutto nelle attività e iniziative della Schola dello Spirito Santo direttamente connessa con Roma, i Papi, e i loro preziosissimi “doni salvifici”.

Una formidabile “macchina da soldi”, che ha arricchito e impegnato per secoli anche quello “spicchio di Venezia”.

Quel “Passaggio per la Salvezza del Cielo” bisognava guadagnarselo sborsando non solo Preghiere e Buone Intenzioni, ma suonanti quattrini, testamenti e lasciti di beni che avrebbero poi continuato a fruttare nei secoli dei secoli: “in saecula saeculorum ... Amen”.

Anche allo Spirito Santo sulle Zattere buona parte dei Veneziani della Serenissima Repubblica hannoinseguito e concretizzato per secoli quella specie di “sogno visionario di salvarsi dal Nulla Eterno” coinvolgendo per tutta la vita la propria mente e risorse ... offerta dopo offerta … Festa dopo Festa … Indulgenza dopo Indulgenza.

Per secoli: Grandissimi Potenti guerrafondai e Uomini Speciali della Storia: Papi, Cardinali, Vescovi, Principi e Re in diretto contatto col Fautore Primo della Salvezza hanno fornito a pagamento, ovviamente, quanto serviva per travalicare quel Limbo Purgante donando ai disponibili: Pace e Salvezza Eterna.

Nella pratica se ne è fatto un vero e proprio intero Calendario, in cui ogni Festa e Ricorrenza dell’intero anno venivano trasformate in occasione buona per “Lucrare Indulgenze” messe generosamente a disposizione dalla Chiesa per i propri associati: “Ad ogni santificazione di Festa contriti e pentiti partecipando alle Solenni Funzioni e Messe, e accedendo devotamente ai Sacramenti, offrendo opportune elemosine in espiazione, si potrà guadagnare quel Tesoro di Grazie della Salvezza della Celeste Patria”.

Una nutritissima schiera di “Sommi Pontefici” di volta in volta incrementato, concesso e messo a disposizione un fiume d’iniziative e ulteriori “Premi-Esenzioni-Indulgenze” per alimentare quel speciale “meccanismo della Salvezza Eterna”… La lista storica è lunga: Gregorio XIII; Bonifacio IV, VII e VIII; Giovanni XI e XX; Clemente VI e VII; Urbano V; Alessandro II e IV; Eugenio IV; Nicolò V; Sisto IV; Celestino V; Leone X; Giulio II; Innocenzo IV e VIII; Benedetto VII; Paolo IV; e“Innocentio II Institutore dell'Ordine di Santo Spirito, fondatore del prefatto luogo di Santo Spirito sulle Zattere di Venetia.”

Bastava essere parte dei “fortunati iscritti associatialla Devotissima Confraternità dello Spirito Santo”, ed era cosa fatta: c’era a disposizione sulle Zattere di Venezia “il pingue-Santo pacchetto” di Sanctae Indulgentiae di cui poter usufruire: Cadauna persona, subito che è scritta nel Libro della detta Confraternità, è fatta prencipe di tutte le tutte le sue libertà, essenzioni di colpa & di pena, privilegi, & Indulgentiae concesse che sono in Roma & nel Santo Giubileo celebrato hora ogni 25 anni.”

“Se alcuno delli fratelli si ritrovasse in qualche paese si voglia nel Tempo di Quadragesima & altri giorni delle Stationi di Roma, visitando una o due Chiese, o uno o due Altari, conseguiscono le medesime Indulgenze, Gratie & Remissioni de i Peccati come se in detti giorni personalmente visitassero le dette Stazioni-Chiese dentro & fuori di Roma.”

“Et acciò, che gli Fideli di Christo i quali con devotione accetteranno le Indulgenze di San Spirito intrando nella sua Santa Confraternità habbiano Spiritual consolatione delle Indulgenze a loro concesse & che sappiano quante & quando per la Stationi di Roma gli è concesso Temporali & Plenarie Indulgenze & della terza & quarta parte de i suoi Peccati & liberatione d'Anime, habbiamo aggionto ancora le Romane Stationi col numero di dette Indulgentie infrascritte.”

“Cadauno iscritto pentito & contrito che in articolo di morte invocherà il nome di Gesù conseguirà Plenaria Indulgenza di tutti i suoi peccati, anco di quelli de quali si confessaria, se dall'instante morte non fosse impedito ...  Et di più, se fra l'anno dopo esser descritti in detta Confraternita morissero: conseguiscono Plenaria Indulgentia.”

“Item similmente conseguiscono tutte di Indulgenze Plenarie, Facoltà, Indulti, Libertà, Autorità, Favori & Gratie Spirituali e Temporali della Confraternità dell’imagine del Salvatore ad Sancta Sanctorum & di San Giacomo in Augusta  & di San Giovanni Battista & San Cosmo & Damiano della Nation Fiorentina, del Campo dei Fiori in Roma & di San Giacomo in Compostela & di Santa Maria del Popolo concesse &  che si concesse da ciaschedun Pontefice.”

Si conseguisce per quella & a suo favore la preditta Indulgenza Plenaria & Remissione de Peccati per tutte le Vigilie, Orationi, Digiuni, Messe, Officij Divini & massime di 32.000 Messe & Salterij che si dicono ogni anno negli Ordini di Santo Spierito & di tutte l'altre Opere Pie di pietà & carità che si fanno in detto luogo & suoi membri in perpetuo ... e per di più per qualunque Anima sta in Purgatorio si faccia elemosina …”

“Cadauno Fratello & Sorella che sono scritti nei Libri della Confraternità può elegersi a beneplacito il giorno dopo Pentecoste un suo Confessore che lo assolva plenariamente una volta in vita di tutti gli suoi Peccati & etiam di ogni Scomunica & Censura Ecclesiastica contratta tanto per simonia nel ricever gli Ordini della Chiesa, quanto per Indulgenze concesse per conseguir Beneficij Ecclesiastici ... Et similmente da tutti gli altri Peccati & casi specialmente & generalmente per qualunque modo riservati alla Santa Sede Apostolica, ancora che per detti casi si havesse a consultare la prefatta de eccerta che di Heresa, Rebellione, Conspiratione nella persona & stato del Romano Pontefice, & della Sede Apostolica: offesa personale di Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi, morte di Sacerdoti & incendio di Chiese … Alli predetti Confessori si concede di poter comutar tutti i voti in altre Opere Pie: eccettuando i voti di Religione, di Castità & il Pellegrinaggio di TerraSanta …”

“Item è statuito che tutti li Nodari rogati d'ogni ultima volontà, nella qual fosse lasciata cosa ad utilità di essa Confraternità, che se subito non rilevano il tutto alli Superiori di quella, siano Scomunicati. Et per maggior sicurezza dei privileggi concessi a detta Confraternità è ordinato che durante qualunque suspensione delle Indulgentie Temporali & Gratie, anco per la Cruciata, concessa contra gli Infideli ad ogni Imperatore, Ré o Principe Christiano, etiam da doversi concedere per lo avvenire tutte le Indulgentie, anco Plenarie, Privilegi & Gratie concesse a detti Confrati, ai se intendino sospese; ma sempre valide & ferme rimangano.”

“A tutti i Chierici & Sacerdoti, Religiosi & Religiose che aiutano a far l'officio a i Commissarij vien rimesso tutto quello che havessero pretermesso degli Divini Officij & Hore Canoniche per difetto de libri, impotenza, negligentia & debolezza di corpo ... Tutti i Generali, Ministri, Provinciali, Guardiani & Frati di ogni Convento ogni volta che siano ricercati in nome di essa Confraternità sono obbligati nelle loro Chiesę Oratorij & Capelle far pubblica tutte le cose sopradette & anco fra le Solennità delle Messe … Si commanda a tutti gli Arcivescovi, Vescovi, Abbati, Priori & altri costituiti in dignità che inviolabilmente faccino osservare tutte le cose sopradette adoperando in ciò ogni mezzo spirituale & anco se sia bisogno invocare il Braccio Secolare.”

L’acquisizione delle Indulgenze veniva intesa come una “Partecipazione in Itinere”, cioè: “un lungo Viaggio” ... Ad ogni fermata o Stazione, Statio alla Latina, corrispondeva un’altra possibilità d’acquisire ulteriori spezzoni di Salvezza ... Con ogni “fattiva e generosa partecipazione” si acquistava, cioè “si lucrava” ulteriore Indulgenza … Di Stazio in Statio, come in un bel gioco orchestrato a premi, si andava a giocare sul Destino della Vita reale delle persone ... Bastava iscriversi e associarsi alla Schola, sborsare quanto previsto, partecipare, e si era salvi e perdonati per l’Eternità ... o quasi.

Perdetevi, se ne avete voglia, a sbirciare i dettagli di questo “Calendario Indulgenziale” che era in uso allo Spirito Santo sulle Zattere.




Chi mai avrebbe potuto contrastare quel mastodontico progetto così ben congegnato ? … Nessuno. In molti ci credettero per davvero e fino in fondo, tanto da giocarsi quasi tutto a favore di quella “scelta di Campo”… Certi Nobili e Mercanti hanno investito in queste cose buona parte del loro ingente patrimonio ... Che poi non si trattava solo di denaro, ma c’era anche tutto un mondo di favori, protezioni, privilegi, finanziamenti, appoggi e supporti che ci ruotava attorno.


Quel simbolo della “Croce Patente dello Spirito Santo” lo potrete notare oggi ancora là appeso in muro o impresso sulle inferriate di quella che sono stati la Schola e i luoghi dello Spirito Santo sulle Zattere … Per fortuna che oggi è diventato un simbolo muto, misconosciuto e rugginoso, sgretolato dalla salsedine, privato ormai di quel suo originale quanto terribile e illusorio significato.



 

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