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136 Processi dell’Inquisizione Veneziana_1461-1626

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136 Processi dell’Inquisizione Veneziana_1461-1626

Sapevate che l’Inquisizione di Palermo è arrivata ad avere non meno di 25.000 persone al suo servizio e per esplicare le sue intenzioni ?

Avete letto giusto: 25.000 dipendenti … Una grossa azienda, immaginatene la gestione.

Questo per dirvi l’entità, il giro e la consistenza della macchina Inquisitoriale.

E a Venezia ?

E’ stato più o meno lo stesso, anche se è difficile quantificare con precisione il numero dell’organico dell’Inquisizione Veneziana.

Liberiamoci però dell’idea buonista e nostalgica che la Serenissima è stata del tutto tollerante, e in grado di gestire del tutto il fenomeno dell’Inquisizione imposto da Roma. Non è andata affatto così: Venezia s’è barcamenata per secoli fra Civico & Religione, fra Nobili Papalisti e Veneziani laici, però è andata tante volte a braccetto in maniera stretta col Papa di Roma, le esigenze della Cristianità, e quindi con l’Inquisizione.

Possiamo dire al massimo che qualche volta ha cercato il compromesso, di limitare le perdite e di limare i casi. Ma non crediamo alla bufala che Venezia è stata innocente: le sue morti inutili e insulse per via della Dottrina le ha fatte … Eccome che le ha fatte: sia spettacolarmente in Piazza, che nel nascondimento degli annegamenti all’alba in Laguna.

Se non si è a tutti costi fanatici e di parte nel riconoscerlo: la Storia è andata proprio così. Inutile raccontarla diversamente salvaguardando i colori del Mito Veneziano: è solo fumo non veritiero.

Il “Bàsa sto Cristo o salta sto fosso.”È stato vero più che mai, anche a Venezia. E non è stato affatto solo un modo di dire, perché è stato per davvero “Regola dell’Inquisizione e del Cristianesimo”, un modo spietato e missionario d’imporre una Verità tutta sua in tante parti del Mondo: India e Goa, Nuove Americhe, Malabàr, Perù e Messico … Non me ne vogliano certi Missionari veri, che ho conosciuto personalmente, che hanno dato tutto se stessi per la causa del Cristianesimo, fino al sangue addirittura.

Quel fosso impossibile da saltare al prezzo della Vita c’è stato per davvero … e chissà quanti vi sono finiti dentro rimanendovi uccisi ? … Troppi !

L’Inquisizione è arrivata perfino a riesumare cadaveri per poi bruciarli: Margherita Fornasari Eretica e Apostata di Venegono Superiore a Varese,morta nelle Carceri Inquisitoriali, è stata riesumata e arsa l’8 giugno 1520, e non è stata affatto l’unica.

Sapete il numero dei morti provocati dall’Inquisizione ? Più di un milione, senza esagerare: un vero e proprio Olocausto … Se non è patologico tutto questo ?

Il Sant'Uffizio dell’Inquisizione di Venezia è diventato in un secondo tempo diramazione vera e propria dell’Inquisizione Romana di cui assunse stile, modi e connotati.Fu presente in Laguna comportandosi “alla Romana”dal 1550 fino alla sua abolizione del 1797 … Per secoli insomma.

In realtà, fin dal 12 agosto 1289, il Maggior Consiglio pressato da Papa Niccolò IV autorizzò la presenza dell’Inquisizione in Laguna e in tutti i territori di Venezia. Per darvi un’idea però di come andavano le cose a Venezia, mi piace ricordare ciò che viene ricordato circa Papa Paolo V, cioè Camillo Borghese, Pontefice dal 1605 al 1621. Si compiaceva nel dire che Dio l'aveva fatto salire al Pontificato, per mortificare la superbia della Repubblica di San Marco. I suoi Inquisitori quindi pretendevano davanti alla Serenissima, che i Secolari non avessero titolo per giudicare gli Ecclesiastici. Il SenatoVeneto rispose allora, che l'assistenza non era diretta alle persone, ma bensì alle Cause loro intentate. Di conseguenza l'Eresia doveva considerarsi un delitto sia Ecclesiastico che Secolare: “perchè da una parte attacca la Fede, e dall'altra turba la pubblica tranquillità. Bisognerà quindi che anche le cause riguardanti gli Ecclesiastici siano assistite da Secolari, altrimenti bisognerebbe che gli Ecclesiastici giudicassero solo i Preti, e i Secolari solo i Secolari.”

Furbissima e sempre avveduta Venezia ! … Mai il Papa riuscì del tutto a far fare alla Serenissima ciò che voleva. A poco valsero Interdetti e Scomuniche.

Venezia rispose sempre colpo su colpo al Papa di Roma, anche se di sicuro non si ritrasse dal prestarsi come “braccio” per le sentenze deliranti dell’Inquisizione.

L’Inquisizione Veneziana si riuniva regolarmente ogni martedì, giovedì e sabato negli ambienti presso la chiesa di San Teodoro collocata ancora oggi giusto dietro alla Basilica Marciana: la “Cappella privata” del Doge. Sembra che inizialmente il Sant'Uffizio Veneziano si sia avvalso dell’uso del Carcere dei Debitori del Sestiere di Castello, che si trovava in Contrada di San Giovanni in Bragora. Solo dal 1580 le celle dell'Inquisizione, soprattutto per le donne, furono costruite nei pressi di Piazza San Marco in Contrada di San Giovanni Novo o in Oleo, e poi inglobate nelle Prigioni Nuove affacciate sulla Riva degli Schiavoni e il Molo di San Marco. Come ben sapete, l’operato dell’InquisizioneVeneziana era ben controllato da Tre Savi all'Eresia: una Magistratura Senatorialeformata spesso da ex Ambasciatori, dalla quale erano esclusi i NobiliPapalisti delle Famiglie Patrizie che godevano di privilegi, nomine e Benefici Ecclesiastici.  Il Tribunale Venezianoè sempre stato in diretto contatto e interscambio con quello di Roma, e fungeva da punto di riferimento e d’appello per tutti i Processi che si tenevano nei territori della Repubblica Serenissima: Brescia, Padova, Rovigo, Treviso, Verona, Vicenza, Udine, compresi i Territori del Dominio Oltremare. 

Non la tiro più per le lunghe: ecco qua i titoli dei 136 Processi intentati e allestiti tra 1461 e 1626 dall’Inquisizione Veneziana, i così detti: "Criminalia Sanctae Inquisitionis”.

Messer Andream de Lando (1461)Antonii Da le Comare(1477), Iohanne Fugaza(1484), Paulam de Contrata Sancti Luce(1529), Ioannem Maraveggia et Ceciliam (1584), furono querelati “De heresiis" davanti all’Inquisitore, e poi accusati a Processo ... Franciscum Severi(1567), invece, venne accusato di far parte della Setta di Giorgio Siculo “espressione Diabolica”.

L’Eresia era di sicuro considerata anche a Venezia: “il Male dei Mali, la causa della rovina del Mondo, la mina delle fondamenta dell’intera Ecclesia Cristiana.” Nessuna categoria sociale riuscì a sottrarsi e a sfuggire all’analisi indagatoria dell’Inquisizione Veneziana: Nobili e Cittadini, categorie di solito “super partes”, sempre tutelate, difese, e protette ad oltranza dalla Serenissima, perché in un certo qual modo si riconosceva in esse. Vennero comunque denunciati e passati a setaccio dall’Inquisizione: Alexandrum Sanuto accusato, inquisito e portato a Processo “de blasphemiis hereticalibus"(1563); Dominum Hieronimum Mocenigo (1516)Dominum Philippum Mocenigo Priorem Hospitalis Domus Dei Venetiis (Cà di Dio)(1514); “de heresis" vennero accusati: Guidus Donato(1512), Petrum e Antonium Battaggia(1584-85), Iulium Quirini nobilem Venetiarum(1585), Antonium Mazzalorso et Hieronimum Ciconia(1608), e Marcum Antonium Fontana, Ancillam eius matrem, et Mariettam suam concubinam(1614)Emo Francesco venne inquisito “per Luteranismo”(1567), come Marco Enzo da Malamocco (1589), e Georgium Barbo(1586).

Un "Processus pro herbariis factis uxori Domini Petri Pisani" si tenne contro Georgii Clerici et Francischine(1461)“de Arte Magica" fu l’accusa per il Magistrum Franciscum Barozzi nobilem Veneciarum(1587); “super inobservantiam quadragesima" per la Famiglia De Lazaris(1595); mentre Pauli Dolfin de Genevra abiurò per Heresia (1612).

Nella lista degli “Inquisiti de heresi”finirono anche Mercanti e Navigatori: Georgium Ongari sive Crovatum Mercatorem(1525), e Franciscum Fortunatum ab Insulis Canarie(1584).

Accusati per lo stesso “delitto d’Eresia”furono anche diversi Artigiani delle Arti e Schole Cittadine Veneziane: Ioannem Pignol et Marangonum querelato davanti all’Inquisizione anche “de incestu"(1512); e Petrum Vio Barcarolum Serenissimi Ducis Venetiarum ab eodem Duce ad Reverendissimum Patriarcham tanquam suspectum de heresi eoquia in nove veneris Sancti repertus fuerit in Palatio Ducali cum eius concubina(1571); Marcum Revendinum Pannorum dictum Scarpa(1579), Michaelem Augustanum Aurificem (1586), e Antonio Barbitonsorenel 1614. 

Medici e Dottori in genere finirono nella rete Inquisitoriale: “de maleficiis" venne accusato Franciscum de Verona Phisicum (1519); “de superstitionibus"venne indagato Augustinum Bono Causidicum (1595); mentre venne intentato "Processus pro egregio Doctore Domino Galassio de Capitibusliste coram Reverendo Presbitero Domino Iohanne de Clugia Inquisitore Delegato Apostolico" nel 1468.

Alla stessa maniera furono inquisiti anche Maestri di Scuola, e Tutori ed educatori “de Casàda” dei rampolli della Nobiltà Veneziana come il Magistro Domino Francisco Arimondo(1516-1517).

Circa un ottavo dei casi del 1500, e il cinquanta per cento dei casi del 1600, riguardò Stregoneria, Stregonèrie Strighe… Donne soprattutto, in gran numero, accusate in prevalenza … Fu quasi un’ossessione perseguitare in gran numero lo “status Femminile”. Come spesso accadde, vennero sospettate d’essere Herbarole, Superstiziose, locatarie di Antichi Culti Pagani, nonché Stròloghecapaci di operare Malefici in ogni momento e circostanza.

Molto curioso per non dire interessante riconoscere tanti nomi, realtà in gonna protagoniste di tanti spaccati di Vita delle Contrade Veneziane di un tempo. Come “maleficam" venne querelata Marieta Perseghina(1516), e “de maleficiis" fu l’accusa per Lucretia, Florina, Faustina et Thadea(1518); e per MedeaTignoli (1555), Antonia Arbensem(1561); Peregrina(1564); Lucia Sclabona(1578); Anna et Angela(1555); Helena Baduario(1531-1532); Margarita Gamba de Mestre(1586); Faustina Negrini (1595); per la Meretrice Maria Vincentina(1595); per Maria matrem et Isabellam eius filiam(1595); per Marchetta Papacizza(1612)Angelica, Pisana, Sancta filiam dicte Pisane et Paula Segalla(1612)Lavinia et Paulina(1614), e per Francisca de Franciscis dicta Gella seu Marina Cestara (1615)… e  non le elenco tutte.

Quante donne inquisite inutilmente !

“De superstitionibus" furono ancora processate: Catherina Claudam(1518-1519), Mulier dictam la Turca (1518), Catharina et Lucia(1518); Ioanna Mediolanensem cognomi notam la Strologa(1564); e Angela et Peregrina(1586-1587).

“de herbariis"fu l’accusa per Aloysia Grecha abitantem in Curia de Cha Grimani in Contrata Sante Marie Formose(1561), come per Margerita et Diamante sorores Scabonas(1516-1519); per Antonia Clabina(1515); Maria mogier Ector Gradenigo(1514); Helisabet Estensem (1501); mentre come Eretica fu processata Catherina relictam(vedova)Stephani Bontempo apud ecclesiam Sanctorum Iohannis et Pauli coram Reverendo Prè Domino Benedicto heretice pravitatis Inquisitore (1477), e per lo stesso motivo il Magister dominus Franceschini Orio processò Viena Angeli Razzani nel 1567.

Alla lista vanno aggiunte poi altre donne forestiere e disagiate, finite a Venezia: grande Capitale a caccia di modi per sopravvivere. Donne che facevano del loro modus, delle loro pratiche e abitudini tradizionali anche una risorsa per accaparrarsi magri introiti per sbarcare il lunario quotidiano.  Oliva Candiotavenne imputata pure lei “de malefitiis"(1595), come Livia Muschiera et Marchesina Greca(1597), e Ursia Theutonica(1598), mentre Mutina Bononiense fu indiziata “de arte magica"nel 1595.

E veniamo, tanto per cambiare, a: Preti, Frati, Monaci e Monache. L’Inquisizione non si sottrasse dal lottare anche contro se stessa e i sui stessi Titolari. Vennero trattati: “come venefiche serpi allevate in seno, e traditori della Verità costituita di cui erano depositari”. Fu quasi una rivalsa autopersecutoria, la condanna di una doppiezza di un “alterego ambiguo e patologico” di cui l’Inquisizione si è fatta depositaria.

Nel 1558 si portò a Processo il Presbitero Benedicto de Ecclesiae Santi Severi; il Prete Simone De Ladra di Sancta Ternita(1461); e i Frati Raphaele, Andrea et Theodosio dell’Ordine di Sant’Augostino(1582). Nel 1624 toccò a Frate Eliseo“per dispregio del Papa”, e “de heresi" furono l’accusa e la sentenza per il Presbitero Francisco de Castro Durante(1526), come per Dominum Bernardum Barbadico alias Ordinis Cartusiensis (1510) dellaCertosa di Sant’Andrea del Lido, di Frate Cherubino Camaldolense(1584), Frate Ioannem Hispanum Ordinis Minorum Conventualium(1584), Presbiterum Aurelium de Vergerii de Iustinopoli(1595), Presbiterum Iohannem Mariam Brunello Curatum Priscianum Adriensis Diocesis(1573), Fratre Petro(1623), e per il Presbitero Lorenzo Pacifico della chiesa di San Moysè nel 1612. 

“De non orando pro defunctis iustitiatis" s’incolpò, invece: Fratrem Aloysium Heremitanorum (1584); “De propositionibus temerariis in pergamo"Fratrem Victorium Heremitanum Santi Augustini(1584); “De derisione Sacramenti Penitentie"Fratrem Ludovicum de Arzignano Minorem Observantem (1584).

L’Inquisizione Veneziana si scagliò parecchio contro gli Eremitani Agostiniani di Santo Stefano di Venezia. Forse perché in parecchi erano di provenienza Tedesca, cioè per questo inclini a favorire le idee Protestanti del Centro-Nord Europa ?

“De apostasia a Fide Catholica" fu l’accusa per Fratrem Seraphinum Fasani(1586), e per Fratris Danielis de Venetiis Ordinis Sancti Francisci de Observantia(1598).

“De propositionibus scandalosis"fu l’accusa per Fratrem Bartholomeum de Luca Ordinis Servorum(1600).

“De superstitionibus" fu quella contro il Presbiterum Felicem de Bibona Siculum et Paulam Rossi(1588); contro Fratrem Franciscum Lopez de Aletio Ordinis Heremitanum Sancti Augustini(1615); “de superstitionibus et carnalitatibus sub pretextu exorcismi"si additò il Presbiterum Ioannem Zafferinum Florentinum(1612)

“De fractione sigilli Sacramentalis" fu l’accusa per Andream de Venetiis Ordinis de Observantia(1604).

“De solicitatione" per Fratrem Iohannem Baptistam Bergomensem(1609), e per il Provinciale del Convento di Santo Stephano de Venetiis (1620) 

“De malefitiis" per Sororem Margaritam incedentem in habitu Cappuccine(1622), e processato fu il "Presbiterum Bartholomeum Leonardi Presbiterum titolatum Sancte Margarite qui non (securus) celebravit" (1601)

Si considerò, invece la "Liberatio a carcere” per Fratris Camilli Ordinis Minorum Conventualium nel 1562.

Quante condanne, sospetti, distruzioni di carriere, destituzioni, disistime, infamie e perdite di buona reputazione !

Più volte l’Inquisizione e Marsilio de Marsiliissi rivolsero contro i Preti di San Simeon Grando o Profeta a Santa Croce: contro il Plebanum“inculpatum de adulterio cum filia spirituali"(1587-1594 e nel 1624); contro il Presbiterum Ioannem Mora Diaconum titolatum ecclesiae Sancti Cantiani"(1621); mentre Fratrem Marcum Antonium Cappello Ordinis Minorum Conventualiumvenne colpito da “Sententia lata in Sancto Offitio Rome"(1607)

Come ho avuto già modo di dire, Libri e Librèrifurono considerati dall’Inquisizione come fornitori e produttori di “oggetti diabolici” capaci di rovinare persone e società: "Contra Ioseph de Carpenedolo impressorem librorum blasfemis"(1534), "Contra Librarios vendentes Libros Prohibitos"(1598), e “Inquisitio super libro intitulato Horologio Venetiis impresso"(1527).

L’Inquisizione s’interessò anche di altri oggetti misteriosi considerati “potenti e pericolosi”, in realtà oggetti di mera superstizione: "Lignum superstitionis presentatum in Sancto Offitio Inquisitionis"(1595)

Altro genere di persone perseguite furono i Catecumeni e i Convertiti provenienti da altre Professioni Religiose, considerati sempre sospetti, blasfemi, rinnegati e “mai convertiti a sufficienza”. A Venezia, nonostante quanto si afferma un po’ ruffianamente, non è mai esistita una reale apertura o convivenza fra Religioni diverse: “Extra Eclesia nulla Salus”è sempre stata la convinzione circa l’identità della Chiesa. Non citatemi Greci e Armeni: erano diramazioni della stessa Cristianità Romana, e per questo accettate, anche se spesso subite e trattate come subalterne.

Chiusura totale, quindi, disconoscimento dell’altro, del “diverso”, considerato sempre come prodotto rovinoso e ingannevole del Maligno. Si conveniva che non c’era coerenza, generosità o autorevolezza che tenesse: nessuna fiducia per nessuno.

"Asserem et Aaron Cathecumenos de blasphemis hereticalibus in Iesum Christum" nel 1563.

Accuse varie non risparmiarono i “Forèsti”e i sudditi del Ducatum Venetiarum, né i misteriosi quanto paganeggianti: Furlàni Benandanti della Patria del Friuli ad esempio (1571), finiti al rogo anche se da sempre considerati “Maghi Buoni”. Erano pur sempre reminiscenza degli antichi Culti Pagani, “una Setta di malevole persone, dei Negromanti che parlavano con i Morti e scioglievano Malefizi come le Streghe”, quindi meritevoli d’essere cancellati … "Iohannem Baptistam Fundi, Iohannem Polipolo, Alexandrum Ciconia, Donatum Sartorem, Prè Iohannem Baptistam Brixiensem, Prè Antonium Ferro Bergomensem, Fratrem Iohannem Octavium Longo Carmelitano, Fratrem Bassum Trivisanum Minorem Conventualem (1604-1606).

“De sermone contra cultum imaginum" fu l’accusa per Leonardum de Assis Vicentinorum (1582).

“De irreligione" per Hieronimum Crestani de Bassano(1612)

“De superstitionibus" per Maximum Martinelli Brixiensem(1597).

“De heresi" per Iohannem Ravaioli Friulanum (1573), per Octavium Longo de Barletta(1595), per Ioannem Bonafi Monacum Grecum(1571), per Raphaelem Florentinum(1584), per Franciscum Michaelem de Zurich(1584), per Franciscum Cerdonem de Dignano(1586), e quosdam Lusitanus(1584).

"Abiuratio secreta” fu richiesta per Christophori Calzuti de Gemona nel 1581, per Petri Minich Germani(1585), per Thome Orlando Anglico(1585), e per Domini Zacharie de Salodio(1584)"Abiuratio Hortensii”per Mascalii Vicentini e per il Polacco Andree Ferminel 1585 … "Abiuratio Dominici” per De Thomeis Brixiensem(1612)

“De apostasia a catholica fide" fu etichettato Antonium Rodriguez Lusitanum(1598), e “De malefitiis"Stamatam Grecam(1586), e Cherubinum de Cherubinis Veronensem (1595)

Di sicuro per l’Inquisizione non poteva mancare un particolare attenzione e accento circa gli Ebrei, i Moriscos e i Marrani, cioè l’insieme multifaccia “dei perfidi Judeos uccisori del Sancto Christo”: obiettivo storico, quasi parafulmine di diverse epoche. Su di loro s’è sfogata l’acredine di tante macchinazioni Politiche e Religiose. Storicamente Venezia Serenissimaha sempre “buttato e ripreso” a piacimento gli Ebrei: di volta in volta secondo convenienza, quasi con lucida spietatezza accanendosi di volta in volta contro un Popolo reo solo d’esserci, e di saperci fare in fatto d’Economia.

"Querella contra Magistrum Physicum Damianum Hebreum de visitatione infirmos sine licentia"(1512)“Contro Moysem medicum Hebreum"(1612), "Contra Hebreos"(1473)… e “De apostasia" fu l’accusa per Moysem Mascod et Iosephum Mascod Maranos(1608) … e ancora contro gli Ebrei ci fu processo: “Per ratto di fanciulli per loro servizii”(1591).

Il Teologo Veneziano Fra Paolo Sarpi, pugnalato sul Ponte di Santa Fosca a Venezia da un sicario inviato dal Papa di Roma, ha scritto nel 1638 nel suo: Discorso dell'origine, forma, leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella Città e Dominio di Venezia” circa l’origine dell’Inquisizione Veneziana: “Nell'anno 1229, promosso il Doge Jacopo Tiepolo, e facendosi menzione delle pene e dei castighi dati alle varie sorti di delinquenti, l'Eresia non viene nominata. Ma quando ai tempi delle lotte fra Innocenzo IV e l'Imperatore Federico II, gl' italiani si divisero in due partiti (Guelfi e Ghibellini), allora vari cittadini della Marca Trevisana e della Romagna, che nutrivano idee contrarie al Pontefice, per viver tranquilli vennero a stabilirsi in Venezia. Fu allora, che nel 1249 il Governo della Repubblica, onde evitare gli stessi disturbi delle altre città d'Italia, scelse taluni morigerati e prudenti Cattolici, i quali dovevano inquisire gli Eretici, e farli giudicare dal Patriarca di Grado, e dai Vescovi del Dogado di Venezia. Vi fu stabilito altresì, che coloro che erano giudicati Eretici, erano condannati al fuoco, per sentenza del Doge e dei Consiglieri.

Nè può dirsi che ciò fece per consentimento della Chiesa di Roma, mentre invece sappiamo, che questa protestò fortemente contro la Repubblica, per essersi attribuito un potere che non le spettava in affari di Religione. E la Repubblica tenne fermo per quarant'anni, finchè nel 1288, per soddisfare alle istanze di Papa Nicolò IV, si compose in Venezia un Tribunale d'Inquisizione, con tre Giudici, che furono il Vescovo, un Domenicano ed il Nunzio apostolico, i quali però non potevano nè riunirsi, nè processare senza il consenso del Doge, e l'assistenza di tre laici nobili: i Tre Savi all’Eresia. Parimenti in tutti i luoghi dello Stato eranvi i Rettori, che facevano le stesse funzioni de' Savi di Venezia, e vi godevano gli stessi diritti.”

Sapeste quindi quante ne ha fatte l’Inquisizione a Venezia … Ne ricorderò alcune prossimamente.




Inquisizione Veneziana: fra spettacolo e segreti

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#unacuriositàvenezianapervolta 294

Inquisizione Veneziana: fra spettacolo e segreti

Lontana da me l’idea di voler dare un resoconto dettagliato sul fenomeno dell’Inquisizione,spulcio e leggiucchio qua e là, mettendo poi insieme le mie “curiosità”senza pretese, che evidenziano qualche briciola e sottolineatura secondo me interessante. Esiste un nutritissimo insieme di dossier, articoli e volumi sull’Inquisizione in generale a cui far riferimento, compresa l’Inquisizione Spagnola più truculenta, e quella Veneziana, nel suo piccolo,pur sempre interessante.

Recenti studi stimano di 30 milioni il numero delle donne e uomini perseguitati e poi uccisi, arsi sul rogo, in oltre 6 secoli di “Caccia alle Streghe”e d’Inquisizione ... Non mi pare poca cosa: un vero e proprio Olocausto.

In Laguna ovviamente, come altrove, un ingente parte degli atti e documenti sono andati distrutti, quindi numeri e tracce delle azioni dell’Inquisizione sono a volte approssimativi e più contenuti.  Non c’è comunque dubbio nel dire che Inquisizione Veneziana e Serenissima sono andati quasi sempre a braccetto lungo la Storia. Venezia lungo i secoli ha mostrato quasi sempre una sorta di doppiafaccia, cioè: si è destreggiata fra realizzazione pubbliche spettacolari di sentenze e pene esemplari, e punizioni messe in atto nel più completo nascondimento “perché nessuno sapesse”.

Non facciamoci obnubilare da un buonismo gratuito e nostalgico su Venezia. La Serenissima non è mai stata del tutto tollerante e accogliente, come certi vorrebbero, né è stata sempre “pulita” e paladina di Giustizia… Anzi: a volte ha ucciso innocenti, e ha favorito e chiuso gli occhi favorendo molti colpevoli. A Venezia si è trascinato “a coda di cavallo”lungo le strade, tranciando pezzi sui luoghi del delitto, mozzando teste e lingue, impiccando, squartando e appendendo parti “ai quattro angoli”della Città, e fin sui Confini estremi del Dominio.

E sia ben chiaro: lo si è fatto proprio e anche per motivo “d’Eresia e Religione”.

Altre volte, invece, non si saprà mai con chiarezza quante, Inquisizione Veneziana&Serenissima si sono ingegnate in esecuzioni segrete con strangolamento nel buio delle Prigioni, o hanno eseguito ripetuti annegamenti nel Canale dell’Orfano ai primi chiarori dell’alba:pietra al collo dopo sbrigativa “Orazione accompagnatoria”, e giù dentro e sottacqua a farsi mangiare dai Pesci e dagli abitanti del fondo: “perché si cancellasse nel silenzio più totale le tracce di tante storie scomode”, per evitare emulazioni, e non esaltare indirettamente persone, fatti e idee.

Diciamolo: non si dovrebbe mai morire in nome della Religione. Il “Dio lo vuole”è una delle più grandi baggianate raccontate dalla Storia. Purtroppo però, l’Umanità dalla sua Storia ha imparato poco o niente, e si sta ancora ammazzando stupidamente in nome di fanatiche quanto oniriche Religioni.

Veneziaè sempre stata combattuta fra Progressisti Laici e Conservatori Papalisti, indecisa, ad esempio, se stare dalla parte del Papa di Roma o della Riforma Protestante. Ha rischiato per questo di diventare il primo Stato Italianoaderente al Protestantesimo ... Venite a vedere a Venezia il Crocifisso dei Santi Apostoli con le braccia alte e strette ad indicare la Via stretta della Salvezza concessa solo a pochi eletti predestinati ... Si tratta di un Crocifisso d’ispirazione Giansenista, che come ben sapete è stata per la Chiesa Cattolica un’altra Eresia.

Già dal 1181 però, nelle Carte della Promissione Dogale del Doge Orio Mastropiero si poteva leggere: “Che se alcun uomo o donna facesse maleficio, o facesse perdere la memoria, o provocasse la morte, dovrebbe sospendersi colle corde, ed esser tormentato secundum discretionem Judicum.”

Un accordo tra Papa Lucio III e Federico Barbarossa di tre anni dopo ordinava ai Vescovid'informarsi sui sospetti d'Eresia dividendoli in quattro categorie: “Sospetti, Convinti, Penitenti e Recidivi, cioè: Relapsi”, e determinava quali dovevano essere le pene per ciascuno, stabilendo che la Chiesa avrebbe usato solo Pene Spirituali, lasciando il resto al “braccio secolare” ... Bella furbata !

Esempio eclatante di quell’epoca fu la vicenda di Arnaldo da Brescia: intraprendente e brillante Canonico Bresciano, recatosi a Parigiper seguire gli insegnamenti di Pietro Abelardo, e per predicare poi la necessità di separare Chiesa e Stato, e di abolire il Potere Temporale di Papa, Cardinali e Vescovi per tornare alla “Chiesa Pulita e Povera delle Origini”… Figuratevi la Chiesa ! … Venne considerato subito Teologo Eretico della peggiore specie. Tornato a Brescia, si schierò contro il ricco Vescovo troppo dedito alla politica e al successo economico ... Papa e Vescovo allora lo buttarono fuori dalla città appioppandogli il divieto di predicare … Provò a tornare di nuovo in Francia, dove partecipò al Concilio di Sens del 1140. Lì finì col scontrarsi con Bernardo di Chiaravalle fondatore dei Cistercensi, un numero uno, un colosso della Cristianità di allora, che lo fece rinchiudere in un Monastero condannandolo al silenzio totale. Arnaldo fuggì allora da Parigi, dove c’era Re Luigi VIIsostenitore di Bernardo di Chiaravalle pronto a pizzicarlo ... Da Parigi passò a Zurigo, poi in Boemia, e infine tornò a Roma dopo aver ottenuto a Viterbo, nel 1145, la Perdonanza Papale.

Tutto bene, tutto risolto ? … Neanche per sogno.

A Romavenne scomunicato per i suoi discorsi, e per aver invitato il Barbarossa a recarsi in città per prendersi il trono del Papa. Gli venne aizzato contro il Popolino, per cui Arnaldo di nuovo dovette fuggire provando a trovare rifugio dal Barbarossa“Pèso el tacòn del buso” diciamo a Venezia: il Barbarossa lo impacchettò e lo consegnò ai Cardinali e al Nuovo Papa “come segno d’Alleanza e Amicizia”. Arnaldo venne subito processato, condannato all’impiccagione, bruciato, e le sue ceneri sparse nel Tevere … Fine della sua “eretica Storia” ... Povero Arnaldo: campione di libera opinione, e forse anche di Dottrina e di Fede.

 Anche nello Statuto di Milano del 1216 si decretò la “pena del fuoco” per adulteri e sodomiti, così come a Brescia e Vicenza dove si bruciavano insieme Ebrei-Cristiani ... Stessa pena fu prevista anche nei Statuti di Conegliano e Portogruaro contro: “falsi monetari, incendiari, e stregoni che facevano morire o impazzire qualcuno”, e stessa raccomandazioni di roghi pubblici venne formulata dal Quarto Concilio Lateranense, che però proibì al Clero di “sporcarsi direttamente le mani” ... Ipocriti !

Veniamo ai fatti …  A Verona 13 febbraio 1278: quasi 200 Càtari furono arsi vivi in Arena ... Inizio estate 1337: vicenda dei Fraticelli arsi a Venezia. Ci sono i nomi: Francesco da Pistoia, Lorenzo Gherardi, Bartolomeo Greco, Bartolomeo da Bucciano e Antonio Bevilacqua… 1373: Prè Zane di Lugignano scoperto a complottare contro la Serenissima, arrestato con i suoi complici: finì chiuso in gabbie con loro, e vennero annegati in Laguna.

24 luglio 1405: pubblica sentenza di altri colpevoli d’aver tramato con Padovaai danni della Repubblica Veneziana. Si trattava del Marangon Giovanni Pietro con altri complici, e di tre Preti: Taddeo Buono di San Marco, Pietro Andrea di San Simeone Profeta e Andrea di San Giacomo dell’Orio.  I Pretivennero messi a testa in giù dentro a tre buche scavate in Piazza San Marco, il Falegname venne impiccato “alle colonne rosse” di Palazzo Ducale, mentre i rimanenti complici vennero annegati, e buttati a mare dentro a sacchi che riemersero al Lido qualche giorno dopo.

Dal 1423 il Governo della Serenissima sospese lo stipendio all'InquisitoreVeneziano, ma l’interazione fra la Repubblica e il Santo Uffizio rimase, anzi: s’intensificò e crebbe dopo la sconfitta di Agnadello del 1509, interpretata dalla Chiesa-Inquisizione come punizione divina per la dissolutezza dei Veneziani, e crebbe ancora di più dal 1520 circa, quando iniziò l’epoca della Riforma Protestante.

A fine agosto 1520, infatti, si presentò davanti al Collegio Antonio ContariniVicario del Patriarca, mostrando un breve di Papa Leone X che condannava MartinLutero e le sue opere. Chiese allora di poter andare in casa del Tedesco Giordano Libraio a San Maurizioper sequestrare i tanti libri eretici giunti a Venezia dalla Germania. Il Collegio acconsentì mandando Messer Tommaso de Freschi Segretario del Consiglio dei Dieci a compiere il sequestro delle opere.

Buco nell’acqua: la maggior parte dei libri erano già stati venduti ... Al Patriarca non rimase che bruciare le quattro carte e i pochi libri rinvenuti sul Ponte di San Domenico di Castello: “Ci fu comunque un grande spettacolo, con superbo sfoggio e apparato di Chierici e torce, e accorse anche un numeroso Popolino curioso ... ma non successe niente, o poco più.”

Nel frattempo, Frate Andrea da Ferrara, predicava con vigore entusiasta in Campo San Stefano con altrettanto concorso di Popolo: “disèndo mal del Papa et della Corte Romana”. La coperta era corta: ciò che si nascondeva tirandolo da una parte compariva puntualmente scoperto nell’evidenza dall’altra: “Le Verità non si possono contenere, finiscono sempre con l’essere gridate sui tetti.”… Stavolta fu ilNunzio Apostolico Aleandro Girolamo a recarsi furioso in Collegiodal Doge. Chiese a gran voce che il Frate venisse punito in maniera esemplare … Peccato che lo stesso Consiglio dei Dieci avesse già provveduto a farlo partire in incognito … Non rimase che promettere al Nunzioche il Frate sarebbe stato punito se solo si fosse ripresentato in Città e in Laguna… Sorniona e avveduta la Serenissima.

Saputa la notizia, il Cardinale Farnese andò ad esprimere tutto il suo disappunto a Papa Clemente VII: Santo Padre, quelli Signori, governano il loro Stato con la Regola di Stato, e non con quella dello Officio dell’Inquisizione, perché si bene si deve aver l’occhio sincero alla Religione, si deve perciò averlo anche ad altro”.

20 maggio dell’anno seguente: “Il Governo Veneziano aveva in poter suo, un numero di persone di Val Camonica accusate di Stregoneria. Allora esso in luogo di condannarle alle verghe e ai tormenti della corda, pronunziò questo giudizio: “Ei deve cadere in considerazione, che quelli poveri di Val Camonica sono gente semplici e di pochissimo ingegno, e che avrebbero bisogno di predicatori, con prudenti istruzioni della fede cattolica, anzichè di persecutori, con severe animavversioni, essendo un tanto numero di Anime, quante se ne trovano in quei monti e in quelle vallate.”

In Valcamonica vennero tutti giustiziati ugualmente … Venezia fece finta di non vedere e sapere. Bugiarda: sapeva tutto benissimo ... Non volle intervenire, ammiccando stavolta dalla parte dell’Inquisizione.

Ha scritto uno Storico sull’Inquisizione Veneziana: "Dal punto di vista del pubblico Veneziano, un uomo chiamato all'Inquisizione, specialmente per la seconda volta, avrebbe potuto apparentemente svanire nel nulla. Non c'era nessuna comunicazione pubblica. E se l'individuo veniva giustiziato, gli amici e i parenti della vittima con i loro racconti avevano la capacità di intimidire ancora altri".

“Nel 1531 il Nobilomo Francesco Barozzi, accusato di Apostasia, Stregheria, Seduzione e recalcitrante ad ogni ammonimento, confessando tutto al Processo, dichiarò di tutto ritrarre perché gli fosse lasciata la vita e non gli venissero confiscati i beni ... In un altro paese il Barozzi sarebbe morto tra fuochi et fiame et salmodiar di Frati ... Se la passò, invece con sette mesi di carcere, col pagamento di cento ducati per fare due Crocefissi d’argento, e con l’obbligo di dire alcune preghiere in certi giorni stabiliti nella Chiesa di San Marco.” … In un codice del Correr si legge ancora: “Nel 16 aprile 1587 fu processato il magnifico M. Francesco Barozzi nobile di questa città, per esser Maestro di Stregoneria, e per essere il suo studio ripieno di libri empi, superstiziosi e pestiferi. Alle quali colpe avendo egli rinunziato e chiesto misericordia al Sancto Officio, ne ebbe il perdono, con obbligo di pagare cento ducati in due parti, e di recitare non poche preghiere.”

Nello stesso anno 1531, Girolamo Galateo Frate Francescano e Teologo a Padova imputato d’Eresia e autore di Libri Eretici, venne condannato dal Vescovo di Chieti Giampietro Caraffa(futuro Papa Paolo IV) dopo tre anni di carcere preventivo: ch’el sia degradado in chiesa de San Marco per il Patriarca fo messo in preson perpetua. Il Diarista Marin Sanudo racconta che il Consiglio dei Dieci non convalidò la sentenza, e convocò Caraffa che abitava a Venezia: in camera dil Serenissimo dove haveva li Conscieri et Cai di Diese et per il Serenissimo li fo ditto suspender la deliberation di fra Hironimo Galateo per bon rispetto, et questafo optima et bona deliberation”.

Frate Galateo comunque morì nel 1540: “infermo e provatissimo dal carcere”, e lo stesso Caraffa impedì che fosse sepolto “in terra benedetta”, facendolo trasportare al Lido nel Cimitero degli aCattolici ed Ebrei.

Fu Giovanni della Casa Arcivescovo di Benevento e Nunzio Papale residente a Venezia (1544-1550), spinto da Papa Paolo III, a indurre il Governo Veneziano a introdurre a Venezia l'Inquisizione di tipo Romano gestita direttamente dalla Santa Sede. L'istituzione dell'Inquisizione Romana era fortemente voluta dal solito Gian Pietro Carafa divenuto ormai Cardinale, a seguito delle sue esperienze Veneziane del 1527-1536. Secondo lui: “Venezia e i suoi territori è covo d’Eretici e di Apostati itineranti, in particolare con i suoi Francescani Conventuali.”

Venezia nel 1560, fedele al suo ruolo, e in un continuo “botta e risposta” col Papa di Roma e l’Inquisizione, chiese la rimozione di Filippo Peretti(futuro Papa Sisto V) ritenuto: “Inquisitore troppo intransigente per Venezia”.

A difesa di Venezia, bisogna dire che si riservò sempre di controllare e assicurare sempre la sua sovranità e giurisdizione al di là dell’operato dell’Inquisizione. Il Doge mantenne sempre il diritto di intervenire negli Atti dell'Inquisizione, e l'Inquisitore nominato dal Papa doveva sempre prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica nelle sue stesse mani promettendo che non avrebbe nascosto nulla al Governo Veneziano. Lo Stato Veneziano finanziava il Santo Uffizio tramite un fondo gestito dal Governo, in cui finivano i beni confiscati agli Eretici durante i provvedimenti e a seguito delle sentenze dell’Inquisizione.

“Nell'anno 1545 Giulio Ghirlanda Trevisano, e Francesco di Rovigo furono condotti in Venezia, e subito strozzati.”

Nello stesso anno Venezia si dimostrò clemente verso un inglese Baldassare Archiew, già Protestante, che domandò al Senato il permesso di fermarsi a Venezia e in Laguna per affari. Dopo lunga discussione fra i Senatori, il permesso gli venne accordato. A niente valsero le lagnanze del Pontefice, che ricordava come non erano permessi quei trattamenti di favore in altri Paesi Cattolici Europei. Venezia gli rispose che: “era necessario al benessere della Repubblica la relazione con tutti quelli, che potevano giovarle al commercioE così venne fatto con buona pace del Papa di Roma.”

Nel 1546 venne affogato Francesco di Ruego ... 1550 rogo spettacolare: “Il giorno 10 novembre, fu condannato per eresia e sodomia Prete Francesco Calcagno da Brescia, alla pena capitale ed abbrucciamento.” La sentenza termina con queste parole:“Per il Ministro della Giustizia gli sia tagliata un pezzo di lingua, e dopo subito troncata la testa dal busto, ed il suo corpo come putrido, sia nel medesimo luogo bruciato.”

Zuan Battista Tranbachin, a dettadel Nunzio Ludovico Beccadelli: "Un Grisone Annabatista di pessima et ostinata volontà", venne arrestato il 12 ottobre 1553, sottoposto a processo, e condannato a morte per annegamento in Laguna il seguente 7 novembre.

“In un manoscritto di memorie autografe posseduto da Monsignor Marasca di Vicenza leggesi che nel 1559 a dì primo di Luglio: morse ne la prison Monsignor Augustin da Citadella, e poi morto fu posto in Campo Marte e brusàdo.”

Fra 1550 e 60 accadde una vera e propria “stagione degli annegamenti in Laguna”. Toccò dopo lunghissima carcerazione a Frate Baldo Lupatino da Albona il 17 settembre 1556 “in quanto Protestante”, già condannato a morte per decapitazione e con bruciatura del cadavere. Venne, invece, annegato in Laguna: di modo ch’esso fra Baldo se habbia totalmente da annegare et affogar dentro al detto mare et così terminar la sua vita.

Domenico Cabianca Pellicciaio di Bassano venne impiccato a Piacenza il 10 settembre 1550“in quanto Predicatore Protestante”, mentre a Rovigo: Benedetto del Borgo da Asolo venne arso vivo l’anno seguente “in quanto Anabattista”. E ancora: un giovane Frate Servitavenne giudicato “come Luterano”, ma invece di esser condannato alla pena capitale: “ebbe tolti i libri e le carte e chiuso per qualche giorno in camerotto”.

Il Frate dei Francescani Minori Conventuali Bartolomeo Fonzio, già eccellente Predicatore, venne annegato il 4 agosto 1562sine sonitu et sine strepitu”nel Canale dell'Orfano “in quanto Protestante Eretico fin dal 1530”. Il 23 ottobre dello stesso anno fu la volta di Giulio Gherardi lanternaiodi Spresiano: annegato “come Anabattista” Ancoraa inizio febbraio 1565venne annegato “come Anabattista”nel Canale dell'Orfano Antonio Rizzetto piccolo imprenditore e proprietario terriero da Vicenza. Nel Martirologio di Genevra c’è scritto: “Antonio Ricetto da Vicenza, che il 15 aprile 1565 a Venezia, fu posto sopra le famose due gondole unite, che poi separandosi lasciavano cadere in mare il condannato.”

Stessa accusa e stessa sentenza accadde per Francesco della Sega da Rovigostudente di legge a Padova a fine febbraio 1565 ... Nel 1566 fu la volta di Lorenzo Vex “Luteran”Il Prete Milanese Publio Francesco Spinola: Umanista, Riformista ed Eretico Relapso subì l’annegato il 31 gennaio 1567 dopo lunga carcerazione, nonostante il Nunzio ApostolicoGiovanni Antonio Facchinetti avesse a lungo insistito perché fosse, invece, bruciato pubblicamente in Piazza San Marco ... Il 05 agosto 1568 il Podestà e Capitano di Crema, scrisse al Consiglio di Venezia: “Finito ultimamente il processo di quelli due renitenti imputati e relassi di eresia, l'uno prete, di una villa di Bressano, ma abitante in questo territorio, e l'altro … di questa terra, dei quali più volte ne ho scritto a VV. SS. Ill.me. Sono stati finalmente espediti e condannati relassi, e puniti giusta le leggi. Sabbo passato hanno patito tutti due l'ultimo supplicio, prima appiccati e poi brucciati, con concorso non solamente di questo popolo, ma anche di altri lochi circonvicini.”

“Nel 1567 a Belluno fu arso Carnesecchi, ed un altro frate che si crede Giulio Moresio, e Baldo Lusatino di Albona, che si adoperò a diffondere la Riforma in Venezia: fu preso, tenuto in prescrizione 20 anni, e dopo questi buttato in mare.”

Anche a Giovan Battista Sambenitoccò l’annegamento in Laguna “come Anabattista” nel 1569,e pure a Gian Giorgio Patrizi Nobile da Cherso nel 1570 ... Per decisione degli Esecutori contro la bestemmia, agli Ebrei Convertiti al Cristianesimo fu vietato l'ingresso nel Ghetto sotto pena del tratto di corda”, carcerazione, servizio in Galea, frustate, esposizione alla gogna. L’Inquisizione Veneziana mandò a verificare e indagare sulle presunte colpevolezze degli Ebrei fino in Spagna, Portogallo e Paesi Bassi Asburgici. Solo nel 1589, il Senato Venetoconcesse un salvacondotto agli Ebrei Ponentini consentendo loro di stabilirsi legalmente nel Ghetto per condurre lì il loro commercio internazionale senza indagini sul loro passato religioso.

Ovvio: Venezia in quell’occasione aveva di che guadagnarci con quel provvedimento.

A metà luglio 1570, Alvise di Cotti Veneziano, fu condannato come “Hereticum relapsum”ad essere consegnato al braccio secolare. A lui si era fatto soffrire il tormento del fuoco per non aver denunciato i compagni. Ecco le parole della sentenza: “Ti giudichiamo eretico relasso, ed esser incorso formalmente nelle pene statuite contro i relassi, ancora che come ostinato e perverso sei stato continente al tormento del fuoco, non volendo in alcun modo nominare alcun dei tuoi complici e seguaci.”

A fine 1571, anche Alessandro Jechil di Bassano venne arso vivo a Venezia come Anabattista”.

Gli annegamenti ripresero (s’erano mai interrotti ?) a fine marzo 1587 con Girolamo Donzellini Medico Luteran, e col Calvinista Claudio Textor di Pont-de-Vauxaffogato il 18 aprile 1587 ... “Nell'anno 1588, nel mese di gennaro, per il Sancto Offizio fu fatto affogare annegato Pietro Longo Libràro, quale fu quello che portò dai paesi lontani dei libri proibiti.”

Marzo 1609: Fra Giovan Francesco Graziani dell’Ordine dei Serviti, Bacilièr da Perosa, venne arrestato e tenuto per tre giorni in Prigione, ci si fermò a decidere se destinarlo alla pubblica esecuzione o mandarlo ad annegare secondo l’ordinario, sichè resti sommerso et affogato.

Dopo aver inizialmente propeso per l’annegamento nel Canal Orfano, il 26 gennaio 1640, invece, si appese a una forca in Piazza San Marco “tra le due colonne” il corpo del Priore della Misericordia Vincenzo Moro strangolato la notte precedente in carcere. Aveva intrattenuto rapporti ambigui con l’Ambasciatore Spagnolo. 

Durante i quasi seicento anni dell’attività dell'Inquisizione Veneziana, la Serenissima si è sempre “barcamenàta” dando quasi ogni volta: “una botta al cerchio e una alla botte”, cioè trovando sempre un pratico compromesso fra Stato & Religione. Più volte Venezia ha inviato i suoi imputati a Roma lavandosene le mani diplomaticamente per pura connivenza con l’Inquisizione.

Al riguardo fu esemplare la vicenda del Frate Domenicano Giordano Bruno da Nola. Passato da Roma a Praga, poi per Londra e Germania, si racconta che il Nobile Veneziano Giovanni Mocenigo: “studioso, egregio cultore delle memorie venete, ma strano di mente, e di animo debole e diffidente”, dopo aver letto un’opera del Bruno, gli abbia scritto alcune lettere inviandole a Francoforte tramite il Libraio Giotto, chiedendogli di diventare suo Maestro. Anzi: “pregandolo d’insegnargli l'Arte della memoria”.

Bruno, lontano dall'Italia ormai da quindici anni, e allettato forse dalla fama di una Venezia “tutta tollerante e aperta”, pare abbia accettato l’offerta del Mocenigo della Contrada di San Samuelrecandosi in Laguna. All’inizio tutto sembrò funzionare per il meglio, ma dopo si guastò qualcosa.  Si disse “che le diverse convinzioni e credenze, e le dottrine eterodosse, fecero nascere fra loro avversione” ... Qualcun altro disse, invece, che “al Napoletano Bruno gli piacevano le donne, e che per lui non era peccato servire alla Natura.”… C’era andata di mezzo, insomma, la bella moglie del Nobile Mocenigo, per il cui il Nobile “mezzo matto o più semplicemente marito geloso” organizzò una vendetta contro il Bruno che stava già organizzando la sua partenza da Venezia diretto a Francoforte.

Mocenigo disse che: “per obbligo di coscienza e per ordine del Confessore” era giunto a denunciare Bruno “quale Eretico e antiTrinitario” al Tribunale dell'Inquisizione Veneziana. Tutto accadde in fretta secondo alcune memorie: “Una sera sei Gondolieri e un servo del Mocenigo lo sorpresero e lo chiusero in una soffitta di Palazzo Mocenigo. La stessa notte Bruno venne tradotto nelle Prigioni del Santo Offizio, poi per vari giorni venne sottoposto a interrogatorio, infine, su richiesta del Cardinale Sanseverino, che scrisse prontamente a Venezia, venne condotto prima dal Governatore di Ancona, e da lì inviato subito a Roma in quanto “Frate Eresiarca relapso” (recidivo).”

Il Papa contento si sfregò di sicuro le mani, mandando a dire a Venezia tramite Paolo Paruta: “Questa cosa è tornata gratissima al Papa, il quale ne lo aveva con parole molto cortesi ed offiziose ringraziato.”… Si era nel 1593. Giordano Bruno venne quindi processato e condannato a sette anni di carcere, dopo dei quali venne condotto sul Campo dei Fiori a Roma, dove gli fecero assumere la Cicuta prima di farlo salire sul rogo il 07 febbraio 1600.

Non molto diverso fu l’atteggiamento della Serenissima nella gestione del caso di Guido Zanetti da Fano, amico di Pietro Carnesecchi “Eretico” giustiziato dall’Inquisizione a Belluno. Stessa procedura e modo: Venezia lo catturò a Padova,e lo inviò all’Inquisizione di Roma, che nonostante abiure, ritrattazioni, scuse e ripensamenti, gli fece subire carcere e trattamenti durissimi per tutto il resto della vita.

Perché Venezia non lo lasciò fuggire per l’Inghilterra ?

“1603: il Nunzio Cattolico residente a Venezia mosse nuove lagnanze perchè l'Ambasciatore Inglese a Venezia faceva predicare in casa sua dottrine Protestanti. Il Consiglio rispose che le sue relazioni con la grande Nazione Inglese non gli permettevano di badarvi o d’impedirlo.”

“Un Padre Gesuita volle raccogliere i Gondolieri Veneziani ogni festa per istruirli nella Religione Cattolica. La Signoria pensò allora che i Gondolieri praticavano con persone di ogni grado, e quindi potevano servire allo spionaggio, proibì dunque la congregazione, ed espulse il Gesuita … Un altro Gesuita declamò contro il Carnevale, osservando, che quel danaro si spenderebbe meglio in soccorrere il Papa nella guerra contro i Turchi. La Signoria lo espulse e bandì ...  Alle sinistre informazioni a carico di due Preti: Brondolino Narvese e Scipione Saraceno, ordinò il loro arresto. Senonchè, mentre procedeva di questo passo, la Repubblica trovò la energica ed ostinata avversione del nuovo Pontefice Paolo V, perseguitatore degli Eretici, il quale passionatamente cercò di contrastarla. Egli era già in iscrezio, come si esprime il Cantù, per affari di decima, di franchigie, di commercio, di guerra coi Turchi, e guardava di mal occhio questa Repubblica, intenta ad escludere gli Ecclesiastici da ogni maneggio di affari, a non mantenere pensioni a Roma, ad esigere tasse dai beni ecclesiastici, a giudicare i Preti per le loro colpe ordinarie. Scrisse minacce e avvertimenti al Doge, e non ascoltato, riunì un concilio e lanciò la scomunica acre e violenta. Scomunica inutile, che non valse a cambiare per nulla le intenzioni del Consiglio ... Al Vicario del Vescovo di Padova, il quale disse, che farebbe quanto lo Spirito Santo gl'ispirasse, il Podestà rispose: “Lo Spirito Santo ispirò ai Dieci di fare impiccare chiunque ricalcitra” … Bandironsi quindi dalle Lagune: Gesuiti, Teatini e Cappuccini, i quali tutti andarono fuori dello Stato col crocefisso al collo ed una candela in mano.”

Venezia continuò sempre ad assecondare i disegni, le moine e le volontà dell’Inquisizione Veneziana… ma non del tutto.

A fine secolo: 1698, un bigliettino scritto dall'Inquisitore al Capitano del Santo Offizioper arrestare Giusto detto Piacentino: “In esecuzione degli ordini del Santo Offizio di Venezia, sotto il giorno infrascritto, si commette al Capitano del Santo Offizio di Venezia, che quanto prima debba ritenere e carcerare Giusto detto Piacentino nelle prigioni del medemo Santo Offizio, e questo custodire nelle prigioni medesime sino ad altro ordine del medemo Santo Offizio. Dal Sacro Tribunale di Venezia 22 marzo 1698. Antonio Grimani - Giulio Giustinian - Giovanni Sandi: Savii dell'Eresia, e Andrea De Episcopis Inquisitore di Venezia.”

Nella prima metà del 1700, nel 1705 per la precisione, il Senato di Venezia con 154 voti a favore, 2 contrari e 8 astenuti, confermò la condanna a morte emessa dall’Inquisizione Veneziana come “ladri sacrileghi” per i Galeotti Antonio Corrier e un certo Moro. Furono strangolati nelle Prigioni di San Marco, poi buttati in mare a Malamocco “riposti cadauno in un sacco e con le forme in tali casi praticate siano portati in fuori delli Castelli, in Pellorosso, ove siano gettati nel profondo”.

Nel 1724 Stato & Chiesaancora insieme, si ritrovarono indecisi sul da farsi circa la sorte del Veronese Antonio Fontana detto Rambaldo reo del furto di cose sacre da utilizzare per un sortilegio ... o da vendere forse ? Esecuzione spettacolare pubblica o giustizia segreta ? Venne decapitato e bruciato, e le ceneri buttate in Laguna.

Ancora nel maggio 1781, cioè verso la fine del così detto“secolo dei Lumi”, che “Illuminato e disilluso” non lo è stato poi più di tanto: “A sua Paternità molto Reverendissima Padre Giovan Tommaso Mascheroni, Inquisitore della Sacra Inquisizione nell'insigne Convento di San Domenico di Castelo a Venezia. Vicino la porta della Chiesa di San Martino in Venezia àvvi ancora una buca, con sotto queste parole: “Denuncie secrete contro i bestemmiatori e irriverenti alla Chiesa: “Io Antonio Zannon, per scarico di mia coscienza, accuso Battista Cochetti Bressàn, che abita, quando viene in Venezia, in casa del suo fratello Abbate nella Contrada de San Cassàn, in Calle della Malvasia. Che in mia presenza ha detto le qui sottoscritte parole: “Che non vi è peccà, e che non crede niente di quel che insegna i Preti, perchè è tutta impostura dei Preti medemi, e che la Confession la è una budèla, e che non serve niente il confessarsi … Che si può mangiar di grasso il venere e il sabato. Che la Messa è niente, e che nel Calice e nell'Ostia non vi è niente, ma che l'è tutta impostura di Preti. Per scarico di mia coscienza accuso ancora sopradetto suo fratello Abbate Sacerdote Cochetti, il quale ha detto in mia presenza che non dise mai l'Offizio, assicurandomi che neppure lo ha, che mangia ancor questo di grasso il Venere e Sabo. Umilissimo servidor di Giesù Cristo e vero Catolico Roman: Antonio Zannon.”

Quattro anni dopo ancora, in agosto: altra denuncia: “Paternità Reverendissima. Saranno quattro in cinque anni incirca, che convivendo assieme con la persona di Don Andrea Zanetti Sacerdote di Chiesa a San Matteo di Rialto, e discorrendo di cose di Religione, e fra le altre cose, che sarà dopo la nostra morte, dopo vari discorsi: “Sentimi, disse, io tengo aver quarant'anni, e più posso vivere altri tanti. Cosa era avanti nascessi ? Niente, così sarà ancora di qui li altri anni, numero quaranta, quando sarò morto. Queste parole mi sono rimaste impresse, e mi hanno fatto tanto ribrezzo, che con esso di queste cose non ho più discorso, ed essendo andato a confessarmi, il Confessore non mi ha voluto ammettermi ai Sacramenti, quando prima non sono stato dalla S. V. a riferire questo fatto, come che umiliante glielo faccio noto, e sono io Filippo Moroni di Andrea, della stessa Contrada di San Matteo di Rialto.”

E ancora il 03 dicembre dello stesso anno: “Al Serenissimo Magistrato del Santo Offizio. Per la Santa obbedientia depono io sotoscrito, ritrovarsi in Venezia la persona di Gian Battista Crun, detto Pantera, che, se ne fa sbefe della Religion Cristiana, dei Preti. Abita in Freseria sopra quel che vende carte da giuoco. Tanto affermo. Io Domenico Ferialdi, abito nella Contrada di San Moisè.”

Che ve ne pare ?

Quante bestialità, ottusità ed errori che hanno macchiato per sempre la Storia Veneziana ... Non credo si debba salvare Venezia in questa circostanza storica ... Storia poi, che non è stata solo quella antica di secoli fa … Non andiamo lontano ricordando i Liberali Italiani seviziati nella prima metà del 1900 dai Governi del Papa, Austria e Borboni che imposero “la cuffia del silenzio”, slogamento di ossa, l'esser calati in mare chiusi in un sacco, e cento altre torture ... Il metodo è rimasto più o meno quello, e forse anche i pensieri, i fanatismi, le convinzioni e le ossessioni dentro a certe teste.

Concludo infine con “un quadretto” che ho già postato in giro … C’era una barchetta a Venezia, che per qualche tempo nel 1584 si recò avanti e indietro e su e giù per la Laguna Nord Veneziana ... Una delle tante, mi direte, che c’era di così speciale  ? … Niente: è vero … Solo che conteneva gli uomini dell’Inquisizione Veneziana, che fra le altre cose si recarono “a pizzicare” prima Frate Donato dei Minori Conventuali (quelli di San Francesco del Deserto e della Vigna per intenderci), che era andato a risiedere, o forse a rifugiarsi in loco Palate Santi Juliani del Bon Albergo”. Su lui pendeva l’accusa d’essere “male sentièntem de Religionem Catholica"… Poi con un altro giro di remate, andarono ad accalappiare “per la medesima accusa” anche Prete Traiano Zancarelli, che fungeva da Archidiaconum Turcellanum a capo dei Canonici del mosaicato quanto vetusto chiesone di Santa Maria Assunta… E già che c’erano, a pochi colpi di remi ancora, si recarono a catturare anche Prete Orlandino da Buriano: “suspectum de Heresi".

Fruttuosa storica vogata di Fanti e Inquisitori Veneziani.

Quella stessa barchetta non era nuova ad andare su e giù e avanti e indietro per la Laguna: già c’era stata nel 1573 portandosi via Prete Bartolo Costantini da Burano“per Luteranismo” nel 1573, e prima ancora Giovanni Agostini da Murano “per Poligamia” nel 1559.

In verità poi, passò e ripassò ancora diverse volte prelevando nel 1589: Fra Cipriano Attestino da Murano“per certe violazioni della Clausura Monacale”, e nel secolo seguente portando un invito a comparire alle Monache Dimesse di Murano: “per Abuso di Sacramenti” (1606), contattando e convocando a Venezia: Prete Giovanni Bertolazzi da Burano“reo di scandali e malavita”(1620), e una certa Aurora di Muranoinquisita “per cibi proibiti” nel 1680 … Ma che aveva mangiato ? S’era abbuffata impunemente ? ... Aveva forse disatteso i precetti del Digiuno Ecclesiastico.

La barchetta infine, passò forse un’ultima volta per le stesse Isole prelevando nel 1781: Don Giacomo Barbaro di Burano“per propalazione della Confessione”, e tre anni dopo Alvise Bigaglia di Burano sospeso a dire “Proposizioni Ereticali contro la Chiesa e la Dottrina di Dio”.

Mmm … Non avrei voluto trovarmi al posto di nessuno di loro.


 

I Pedòti da e per l’Istria

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#unacuriositàvenezianapervolta 295

I Pedòti da e per l’Istria

Sfiorare l’argomento Istriaè come mettersi da Formica accanto a un Elefante ... L’Istria con la sua Storia è un colosso, qualcosa su cui esiste un’immane letteratura davvero curiosa e interessante soprattutto per le sue vicende trasnazionali.

Venezia però con la sua Storia ha avuto a che fare un po’ con tutti … anche con l’Istria, in quanto è stata a lungo suo “protettorato” pur trovandosi al di là dell’Adriatico.

Ne parlo allora perché proprio qui a Venezia, nel Sestiere di Castello, precisamente nella Contrada del Vescovo cioè di San Pietro, c’è stata per secoli la Schola-Suffragio della Croce dei Pedoti da e per l’Istria.

S’intuisce al volo che Pedòti o Pedòtti significava: Piloti“Pedottàr: è guidar la nave …“Pedòn”: era il remo che fungeva da timone.

Pedòto quindi, nel rimaneggiamento dialettale indica: un Pilota marittimo, un capobarca Marinaio.

Potevano iscriversi a quella Schola tutti coloro che conducevano navi e viaggiavano fra Venezia e l'Istriatoccando tutte le destinazioni e i porti intermedi come Parenzo e Rovigno.

I Veneziani ci tenevano un sacco che quei Pedòti fossero gente abile, di qualità, veramente adatti alla mansione che ricoprivamo, perché la traversata dell’Adriatico, per quanto fosse appetibile, non era affatto un giochino. Era pericolosa ieri come oggi, tanto da poterci rimettere la pelle. Ma siamo sinceri: ai Veneziani interessava soprattutto preservare il carico e gli affari che ci giravano intorno, più che le persone e i Marinai in se.

Conciosia che li Pedotti di Venezia si habbiano lamentadi davanti la Nostra Signoria, che li Nostri del star suo a Parenzo dal primo di settembre fin tutto marzo, non vien osservalo, perchè alenili de loro sono [?], et eliam li Padroni delle Nave e Navillj alcuna volte non tuoleno Pedotti, ma tuoleuo alcun omo de Istria, over fanno alcun Marinaro Pedotta; per la qual cosa la Nave et Navillj incorrono pericolo, come nuovameute è avegnuto delle Nave del Moricio di Pietro, e di Larian, e della Cornara, e del Barharìgo e de altri Navillj e Barchesi, i quali senza l'edotte hanno voluto venir a Venezia, et perchè le necessario a proveder sopra di ciò, che tutti sappia con che ordine i se debbano rezer, el li l'edotti de le Nave et Navillj non vengano a Venezia con tanti pericolo, quanto vengono non venendo sopra il Porto con tempo [con burrasca). El và parte, che tutti li l'edotti de Venezia siansegnato dal primo di settembre fin tutto marzo aspellar hi Paì-enzOj ovver al Scoglio di san Nicolò a Parenzo verso Rovigno, e dal primo di AvriI fm tulio Agosto non passar Rovigno. Et si i contrafaranno, ovver andarà, ovver mandai à i fattegli, ovver alcun altro per Pedotta, ovver praticherà de pedollar caza (incorra nella pena) de Ducati vinlicinque et sia un mese in preson, et privado per dieci anni de pedottar, della qual pena pecuniaria el terzo sia del Podestà di Parenzo, over di Rovigno, over delli Officiali di Cattaveri alli quali prima se farà la coscienza, et alli qua! queste cose siau commesse da esser inqueride, ed il terzo sia di tutti li altri Pedotti, e lo altro terzo sia de lo accusatine. Et tutte le Nave et Navillj nostri, over altri Navilli de cadauna qualità e nome che conduce a Venezia beni d'ogni sorte da Botte cento in su siano tegnudi a tuor Pedotii nostri ne i detti luoghi, ne i ditti tempi, e non altro, sotto peno de Ducati cinquanta nei proprj beni del Patron, le qual pece siano scosse per i Cattaveri et divise ut supra salvo justo impedimento de fortuna da esser cognossudo li ditti Cattaveri. El tulli li Pedolti predilli siano scritti all' Officio di Caltaver, ne alcun s'intenda l'edotta, ci qual al ditto Officio non sia scritti, el qual non abili in Venezia con la sua famiglia, et eliam nou sia scritto Pedotta alcun da nuovo, el qual non sia andado due volte in un anno de Inverno e de Istade con li Officiali di Cattaver, et con tal de più intendenti Pedotti sopra la faxa (foce del porto), el presenti gli Officiali e Pedotti averà mostrada quello che intende colui che vorrà esser Pedotta de la condizion de la faxa, et habuda da qui scieutia de colui el qual vorrà esser scritto per Pedotta, se a quelli Officiali di Cattaver, e Pedolti parerà colui da esser scritto per Pedotta, sia scritto, et altramente non …”

Fin da 1449, nove anni dopo che il Senato aveva stabilito “diritti e doveri”, per l’Arte dei Pedoti da Nave, la Schola trovò sede e ospitalità presso la chiesa del Vescovo de Castèloscegliendosi come Patrono-Protettore la Santa Croce.

I Pedòti fecero le cose per benino: col consenso del Consiglio dei Dieci l’anno seguente iniziarono a redigere la loro Mariegola: la “mare di ogni Regola”che venne approvata dalle Magistrature Veneziane competenti in materia.

Le Regole dei Pedòtierano molto semplici: i Pedòti avevano il loro abito-costume da cerimonia, indossandolo i confratelli dovevano accompagnare alla tomba i Morti dei Pedòti, e si obbligavano a recitare 25 Pater ed altrettante Ave “a loro sollievo” ... Ogni Pedòta di ritorno dal viaggio a Venezia aveva diritto a quattro giorni di riposo per stare con la propria famiglia e curare i propri affari allestendo il prossimo viaggio-spedizione ... Tutti i Pedòti presenti a Venezia il giorno della Festa della Sènsa dovevano accompagnare con le loro barche il Bucintoro del Doge durante lo Sposalizio col Mare” celebrato sulle acque prospicenti il CastelVecchio di San Nicoletto del Lido… I Pedòti per l’Istria avevano l’onore-onere con due barche a sei remi, di rimorchiare  la barca sui cui viaggiava il neoinventato titolo di Patriarca, cioè il Vescovo di Venezia. Lo dovevano andare a prendere a Sant’Elena o Santa Lena, dove tutto apparato e pomposo si sarebbe incontrato col Doge durante la cerimonia.

A tal proposito, a quelli della Schola venivano scontati 2 ducati su 3 dell’affitto annuo dovuto per l’uso della Sede, proprio per via di quel “servizio” che rendevano al Patriarca-Vescovo il giorno della Sensa.

Nel 1513 s’iniziò a costruire una nuova sede più confacente per i Pedoti trovando spazio addirittura dentro allo stesso Palazzo del Patriarca di Castello: “sotto la scala granda, presso la porta a destra"… La sede conteneva perfino un altare riservato ai Pedòti, anche se gira e volta si trattava pur sempre di un “sottoscala” ... ma prestigioso, in quanto proprio dentro alla casa del Vescovo.

Finiti i lavori l’affitto lievitò a 12 ducati annui, anzi: 11 per via di un ducato scontato: “per via del solito accompagnamento del Patriarca della Sensa”. I Canonici di San Pietro di Castello sapevano far bene i loro affari, e sapevano come, perché, a chi, in che modo, e con quali guadagni concedere i loro spazi vitali.

Nota curiosa … Fu di certo significativa durante la storica flessione economica del 1527-29 a Venezia l’azione dei Pedòti per l’Istria che tradizionalmente si trattenevano in estate a Rovignoe d’inverno a Parenzo. Quelli dell’Istria erano i porti di transito per il rifornimento cerealicolo della capitale dello Stato Serenissimo col suo Emporio di Rialto. All’inizio del 1500 Venezia con la sua Laguna con circa 190.000 persone veniva considerata come la quinta città del Mondo di allora. Stava fra le più City più grandi e popolose come Parigi, Londra, Costantinopoli e Napoli, e per questo consumava annualmente circa 500.000 staia di cereali quasi tutti provenienti dall’Oltremare... I Pedòti erano quindi essenziali per Venezia.

Dopo la batosta di Venezia subita dalla Lega di Cambrai, cambiarono gli equilibri sull’intero scenario politico Europeo-Asiatico… Il Turco stava premendo e facendosi spazio, i mercati del Levante erano in profonda crisi, e si sovrapposero a tutto questo anche carestie e peste, che misero in ginocchio le economie degli Stati EuropeiVeneziacompresa.

La peste seguendo i corridoi di transito dell’Asia Minore e del Mar Nero giunse nel Bacino del Mediterraneo raggiungendo Rodi, Creta, il Peloponneso, Corfù, Zante, Sebenico e Spalato con l’Istria e la Dalmazia. Attraversò quindi il mare, e andò quindi fino a Venezia e nella Terraferma, e nella Casa del Friuli, e oltre l’Appennino guastando buona parte dell’Italia.

Ampliato il loro Impero sul Bosforoe verso il Danubio e la Persia, a loro volta anche i Turchi avevano bisogno di risorse. Per questo intercettavano le granaglie dei Mercati Russi, Greci e Rumeni che fino a poco tempo prima erano dirette a Venezia e nelle altre città Italiane … Pedòtiquindi attaccati in mare, e tante risorse e vite perse.

Era rischiosissimo vivere e lavorare “da Pedòta”… I prezzi allora lievitarono, e con quelli anche la fame, e perfino i morti …  

Marin Sanudo il Diarista, ricorda di come il Bailo Veneto, già il primo ottobre 1527 era riuscito ad ottenere dalla PortaTurcal'autorizzazione scritta ad acquistare sul territorio greco (ad occidente di capo Matapan) e ad esportare ben 60.000 staia di granaglie. Dopo di ciò il Gran Visir Turco vietò la vendita di grano agli stranieri, perché, in seguito allo scarso raccolto, la sua mancanza si era fatta sentire nella stessa Costantinopoli e nel suo retroterra. Nell'agosto 1528 il Bailo di Costantinopoli informò il Governo Veneziano che “nello Stato del Sultano” non c'era più molto grano da esportare, e che esso si poteva acquistare unicamente sul territorio di Napoli di Romania e di Salonicco. Il prezzo di tale genere alimentare cominciò a salire e raggiunse le 15 libbre per staio. Le Galee Veneziane si diressero allora a caricare cereali nei porti della parte greca del Levante, e nei lontani scali di Alessandria d'Egitto, e di Sinope sul Mar Nero.

Comprati “i grani” a Salonicco, Costantinopoli, Negroponte in Eubea e Tana sul Mare d’Azov,Feudatari Greci e Albanesi sfidando i divieti e i controlli Turchicontinuavano a vendere granaglie a prezzi esorbitanti ai compratori Veneziani. Così che le navi da guerra della Serenissima sfidando gli agguati dei Corsariintorno al Peloponneso e Creta, e la Pirateria Berbera e Valoneseintorno a Rodi, scortavano le Galee da Carico con i loro preziosi carichi di cereali, proteggendole contro gli attacchi Turchi. Risalito l’Adriatico, le navi sostavano nei porti dell'Istria: a Rovigno e Parenzo, da dove proprio i Pedòti le guidavano fra basse e secche, alte e basse maree fino a Malamocco e Venezia, sul Molo di San Marco, fino alla Zuèca(Giudecca), e alla Riva degli Schiavoni dove esistevano posti d’approdo e carico-scarico appositamente contrassegnati e riservati a loro.

In quell’epoca quindi i Pedòti da e per l’Istria furono protagonisti a Venezia.

Ancora il Cronista Sanudoricorda che nel marzo 1528: due navi cariche di grano procedevano in direzione dell'lstria, nei cui Fonteghi sulla costa occidentale erano già depositate 18.000 staia pronte per essere trasportate nella“metropoli Veneziana”. L'invio dei cereali attraverso i Porti Istriani continuò nei mesi successivi. Secondo tali fonti nell'autunno 1528 approdarono a Parenzo, Umago e Pirano: ben quaranta Velieri Veneziani carichi di grano. Si trattava di una flotta eterogenea formata da leggere e veloci Caravelle Spagnole, da pesanti e lunghe Caràcche, da piccole Marcilianea tre alberi da 80 tonnellate, da Schiràzzi a quattro vele, da agili Grippi Croati a remi a un albero, e da piccole e basse Peòte o Peàteda Carico.

Il Provveditor alle Biave Antonio Venier prima, e Zan Francesco da Molin poi, minacciando punizioni esemplari, razziarono e svuotarono del tutto i Fondaci Istrianidi Capodistria, Pola, Ossero, Cherso Pirano, Rovigno e Parenzo.Solo dopo aver rifornito la Dominante si poteva rifornirsi a pagamento a seguito di speciali “Concessioni” da parte dei Veneziani.

Parenzo, pur essendo ridotto a fine 1600 per via della peste a solo un centinaio di persone, era detto “Porto della Serenissima e Scudo della Dominante”, e la rotta per Venezia era: “la Parenzàna” lunga circa cento miglia, con venti, nebbie, scogli e bassifondi da affrontare.

Serviva tutta l’abilità dei Pedòtiper passare ... Quindi furono uomini davvero preziosi per la Serenissima.



Sarebbe molto complesso, anche se curioso e interessante, raccontare nel dettaglio tutta la Storia … Quella quasi epica, ad esempio, di una flottiglia, supportata e guidata proprio dai Pedòti dell’Istria, che giunse infine sana e salva a Venezia, dove secondo i racconti dello stesso Sanudo, la gente stava gridando per strada: “Gho fame !” aggrappandosi perfino ad elemosinare sui bordi degli abiti dei Nobili Veneziani.

Ecco qualche nome di quei Padroni da Nave, e di quei Pedòti dell’Istria che in un certo modo realizzarono quelle piccole impreseeconomiche. C’erano fra loro: i Veneziani Bonagratia de Bartolomiom Bartholomio de Stephano, Augustin Pelizer, Zaneto Padoan e Zaneto Bruneto, alcuni dei quali si spinsero fino ad Alessandria d’Egitto per rifornirsi di fave, orzo e grano a nome della Serenissima … Il grano venne poi trasbordato sulle Peòte deiPedòti: Zuane e Piero Smergo, Zuena Frezin, Pasqualin Sergo, Marco Camuso, Andrea de Lutia da Parenzo, e Bernardin de Sdregna e Zampiero Grasso da Chioggia che salpavano e tornavano di continuo da e per Venezia.

Tornando ancora in Laguna … Nel 1618 il Patriarca Priuli vietò l'uso di quell’altarolocollocato nel sottoscala del suo Palazzo, ai 100 Pedòti della Schola, che pagavano lire 7 e soldi 16, oltre che soldi 12 al mese, per usufruire dei Benefici Sociali e Spirituali della Schola. Dopo le immancabili contrattazioni e discussioni, i Pedòti per l’Istria vennero dirottati, a pagamento s’intende, sull’uso dell’Altare di San Pièro in chiesa, che dopo opportune modifiche venne rititolato a San carlo Borromeo destinandolo all’uso comune …. Se i Pedòtine volevano l’uso esclusivo: dovevano fare un’ulteriore opportuna offerta in denaro che sarebbe stata valutata dal Capitolo di Canonici di San Pietro ... Gli affari erano affari … i Pedòtis’erano fatti ricchi, e anche le “Devozioni per la Via del Cielo”avevano quindi un loro prezzo “prendere o lasciare”: “Tutti sapevano a Venezia che i Pedòti della Schola avevano cespiti e anche rendite annuali per almeno 10 ducati da immobili posseduti in Venezia”.

I Savi agli Ordini e gli Ufficiali aI Cattavèr della Serenissima(Cattavèr significava: raccattare, cercare gli evasori fiscali) detti anche Avogadori de Intus vigilavano sull'usura e il comportamento degli Ebrei a Venezia, ma anche sui Dazi, il Fisco, i lasciti ed eredità, e perfino su eventuali tesori trovati per terra e per mare. Controllavano anche gli "Armiragli" dei Porti di Lido e Malamocco, nonchè ovviamente anche i Pedòti dell'Istria con la loro Schola.


La Storia racconta ancora, che molti
Pedòti residenti a Venezia erano Marinai provenienti da Rovigno in Istria. I Rovignesi si distinsero sempre come abili "Pedòtti o Peòti":“ovverossia come piloti abilitati a pilotare navigli stranieri verso la "Serenissima" destreggiandosi fra Pirati, Contrabbando e difficoltà naturali della navigazione” ... Famose al riguardo le vicende del Campanil del Contrabbando di San Piero di Castello di Venezia, dove all’insaputa dei Canonici e del Patriarcadi Castello(forse ?) si usava il Campanile della Cattedrale come Torre d’avvistamentoe controllo dei traffici autorizzati e di contrabbando fra Venezia e l’oltremare Adriatico…Tre Capitani di Vascello di Rovignovennero insigniti del Cavalierato di San Marco ... Rovigno nonostante la Serenissima la tartassasse con tasse, dazi, balzelli e sofisticati controlli porta a porta sul territorio, era ricca comunque di squeri, e fu centro e punto di riferimento importante dell'Istria per ogni scambio con Venezia, fornendo uomini, Pedòti e Marinai abili per la traversata Adriatica, e per gestire e guidare il “piccolo traffico”, nonché per indirizzare le grandi navi e i convogli delle “Mude del Tràfego”stagionali dirette o in arrivo dalla Città Lagunare.

Infine nel 1773: “il piatto dei Pedòti per l’Istria piangeva”, perché diventato scarso di risorse. I Pedòti quindi divennero ancor meno propensi a investire risorse dandole ai Preti, o trasformandole in Messe e Preghiere. I Canonici di San Pietro allora storsero il naso, e declassarono la Schola dei Pedòti dell’Istriaaggregandola a quella del Santissimo della Contrada de San Piero. Insieme alla loro sede nel sottoscala del Palazzo Patriarcale, i Pedòti per l’Istria di Venezia rinunciarono e persero anche la loro singolarità.

I Tempi indubbiamente stavano cambiando per tutti ... e terminò così un’altra Storia tutta Veneziana.

 

Stefano Bonsignori AntiPatriarca di Venezia

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#unacuriositàvenezianapervolta 296

Stefano Bonsignori AntiPatriarca di Venezia

Stefano Bonsignori assunse l’incarico di Patriarcaeffettivo di Venezia il 09 febbraio 1811: questa è la Storia.

Il 23 febbraio seguente il Capitolo Metropolitano della Cattedrale di San Pietro di Castello provvide controvoglia a trasfondere ufficialmente tutti i poteri ecclesiastici al nuovo eletto imposto dall’Imperatore ... napoleonino … già: proprio lui.

Fu di sicuro un’investitura fatta d'autorità, un atto imposto Canonicamente illegale, eseguito sotto la pressione del potere politico, quindi un titolo giuridicamente non valido. Lo stesso Vescovo, secondo il Diritto Canonico Ecclesiastico, non avrebbe dovuto accettare quell'intrusione dell’Autorità Laica, né il Vicario Capitolare di Venezia avrebbe dovuto trasferire e concedere quella Giurisdizione Ordinaria di Venezia che gli era stata provvisoriamente affidata nel 1808 alla morte del Patriarca precedente: Nicola Saverio Gamboni.

Si trattò insomma di un grave sopruso eseguito contro il Papa di Roma, contro tutto il Mondo Ecclesiale, e soprattutto contro la Comunità dei Veneziani.

Ma gl’importava forse qualcosa di tutto questo a napoleone ? … Credo proprio di no.

Chi era però quel neoeletto Patriarca così scomodo ?  Anch’io non lo sapevo … Era uncosì detto Prelato Cesarista”, che venne considerato l’AntiPatriarca di Venezia: l’unico della Storia Veneziana, che governò comunque la nostra Città Lagunare dal 1811 al 1814.

Li riconoscete quegli anni vero ? … Sono quelli burrascosi, deleteri e distruttivi in cui agirono i Francesi a Venezia. Quelli in cui si spense e cancellò del tutto la Serenissima, quando il napoleonetto sfasciò l’Habitat Storico-Sociale-Istituzionale dell’antica Repubblica Veneziana.

Riassunto in poche parole, Stefano Bonsignorifu un uomo e un Prete-Vescovo dalla personalità sgusciante ... Viscido, ambiguo, arrivista, dedito a se stesso più che alla causa Ecclesiale che rappresentava. Non fu l’unico ad essere così, faceva parte di quella categoria di persone con poca dignità presenti in ogni epoca di transizione: presenti quindi anche in quella tormentata stagione di Rivoluzione e Restaurazione: “… approfittatori, piccola folla di nipoti di Vescovi, Nobili e Cardinali sempre pronti con zii o padri Conti, Baroni, Procuratori a raccomandarsi e sostenersi favorendo ascese e carriere. Personaggi spesso acculturati e intelligenti, più che spesso: intolleranti verso tutto e tutti, incuranti di Principi, Valori, Fedi e Bandiere, preoccupati di difendere l’immagine della Chiesa scagliandosi contro Logge Massoniche o nuovi Capi Potenti innovatori e guerrafondai, oppure aperti e disponibili alle novità e opportunità offerte dagli arrembanti nuovi Governi proposti dalla Storia.”Uomini doubleface insomma, disposti a tutto pur di affermarsi schierandosi al fianco del più forte di turno. Una sorte di eleganti parassiti storici d’alto livello, che spingi, premi, raccomanda, sgomita e ungi, giungevano ad essere più che potevano: Politici di successo ? Arcivescovi forse ? Patriarca di Venezia: perché no ?

Stefano Bonsignori laureato opportunamente in utroque iure” e Teologia, rincorreva il sogno di una futura nomina a Cardinale di Santa Romana Chiesacon onorificenze e benefici aggiunti ... Sogno sfumato … Se ci fosse scappato il Papato Magari ? … “A un passo dal Cielo”: questo poteva essere il suo posto … o forse no ... Bonsignori, insomma dovette accontentarsi di cavalcare l’onda instabile ma travolgente di napoleone.

Quanto poteva essere appetibile sostenere la politica filo-francese di quell’epoca ? … e per venire quindi nominati da napoleone: Conte o Senatore del nuovo Regno d'Italia ? … o Gran Dignitario dell’Ordine della Corona Ferrea dell’Impero Francese, o Grande Elemosiniere del Regno d'Italia, o Gran Balì di Gran Croce del Sovrano Militare Ordine di Malta ? … Suonava tutto più che bene all’orecchio di Bonsignori ... Che gl’importava se siandava ad intaccare e contrapporsi alla millenaria sovranità del Papa e al suo intoccabile Stato Pontificio ? … E del Diritto dei Popoli, della Giustizia, delle Dottrine ? … Chissà ? … Tutto era sacrificabile per il successo e un posto al sole. Nella Storia vincevano sempre quelle combriccole che sapevano stare attaccate al carro di chi primeggiava. C’era sempre l’opportunità, seppure a prezzo della Libertà, di guadagnare qualche preziosa briciola che cadeva giù dal loro lauto banchetto.

Questo fu allora Bonsignori, insieme a qualcos’altro: perché Prete e Vescovo lo era per davvero. Qualcuno ha scritto, a sua discolpa: Come Vescovo è giunto a preoccuparsi di fronteggiare le razzie dei francesi evitando ulteriori aggravi e tanti dolori alla Città già sofferente e ai Veneziani. Di sicuro con la sua presenza e il suo atteggiamento evitò ulteriori tumulti e rovine…”

napoleone intanto saccheggiò, cancellò e snudò del tutto Venezia: “pur rassicurando Bonsignori sul fatto che intendeva rispettare la Religione Cattolica ad ogni livello” ... Già … Immaginate che cosa sarebbe successo se non l’avesse fatto ?

Bonsignori dovette essere una specie di “Uomo del Destino” per Venezia … Di sicuro però non fu affatto nè Uomo di Dio, né Pastore e conduttore di Anime Veneziane: “Sarebbe stato meglio se a Venezia ci fosse stata sede vacante.” fu il commento di alcuni Veneziani di allora: “Quegli anni furono uno di quei momenti storici in cui la Politica riuscì a strappare il primato anche alla Religione strumentalizzandola.”

Bonsignori, infatti, fu l’uomo utile a napoleone per inscenare i suoi nuovi disegni sullo sfatto palcoscenico Politico-Economico-Religioso della tramortita Venezia. Ai francesi serviva uno che sapesse tirare quella macchina dei Preti e della Chiesa per usarli per gli scopi e i fini del Nuovo Stato. Un uomo che sapesse far proprio l’ideale innovativo della Rivoluzione, mantenendo però le parvenze e gli sbiaditi principi dell’ossuta e spolpata organizzazione della vecchia Religione Ecclesiastica di sempre.

Stefano Bonsignori o Bonsignore nacque da Giovanni Battista Mercante di cotone, e da Giovanna Galeazzi, a Busto Arsizio vicino a Varese il 23 febbraio 1738. Iniziò la sua formazione apprendendo da uno zio materno che era Prete, poi passò nei Seminari Arcivescovili di Milano, da dove uscì nel 1760 come Sacerdote della Congregazione degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo. Da lì subito partì “l’ascesa”del Bonsignori: Insegnante di Grammatica nei Seminari di Celana e Gorla, Professore di Retorica e Teologia nel Seminario Maggiore di Milano e nel Collegio Elvetico ... Entrò quindi nelle cerchie Milanesi di quelli che contavano: Nobili Lombardi ambiziosi, esclusivi consessi di studiosi dai nomi illustri: il Cardinale Angelo Maria Durini, Carlo Trivulzio, il Conte Carlo Giuseppe di Firmian, l'Arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli.

Bonsignori si fece notare come brillante Oratore, Epigrafista e Storico della Chiesa, tanto da diventare Dottore della Biblioteca Ambrosiana,Professore di Teologia Dogmatica, Prefetto degli Studi del Seminario di Milano, e Canonico Teologo del prestigioso Capitolo Metropolitano di Milano Retribuzioni, successo e stima non si fecero aspettare.

Istituita però la Repubblica Cisalpina, i Capitoli delle Cattedrali vennero aboliti e soppressi, e i loro beni incamerati. Bonsignori finì depresso ? Macchè ! Con i suoi buoni contatti e le conoscenze giuste racimolò il diritto a una pensione di 1.200 lire che solitamente spettava unicamente ai Parroci in effettiva carica pastorale ... Lui non lo era affatto, ma gli fu facile ottenerla lo stesso … e questo dice abbastanza sul personaggio che era.

Si guadagnò quindi la simpatia di napoleone quando arrivarono i Francesi a Milano. Fu proprio Bonsignori che venne scelto come Consigliere per accompagnare l'Arcivescovo Visconti alla Consulta programmatica di Lione in Francia. Tornato in Italia, non mancò di ottenere nuovi incarichi di rilievo della neoistituita Repubblica Italiana, finendo nelle liste delle vecchie personalità aristocratiche da recuperare e riciclare: “adatte per gestire le Diocesi Italiane”. Bonsignori era definito dai francesi: "uno dei nostri", e fu lui che conDon Ronna Parroco di San Babila, compendiò e stampò il discorso di bonaparte sulla politica ecclesiastica Francese diretto a Preti, Religiosi e Parroci di Milano.

A conferma dell’attenzione francese verso il suo nome e il suo operato, ma soprattutto apprezzando il suo ruolo “di rappresentante d’idee”, Bonsignori venne nominato nel 1803: membro dell'Istituto Nazionale e Vicedirettore della Biblioteca di Brera. Una carica insolita, che s’inventò appositamente per lui, e che venne abolita subito dopo, nel 1806, quando Bonsignori divenne Vescovo di Faenza lasciando Milano.

Fu napoleone in persona a nominarlo titolare di Faenza, la conferma Papale gli giunse dopo, solo nell’autunno dello stesso anno. A fine anno Bonsignori venne solennemente consacrato in città dall'Arcivescovo Antonio Codronchi, che era un arrivista compromesso come lui. A conti fatti, Bonsignori fu storicamente uno dei Prelati più fedeli al Regime Francesein aperto contrasto con le posizioni del Papa e della Chiesa di Roma. La sua devozione gli venne ampiamente ricambiata con onorificenze e pingui pensioni, che non disdegnò affatto ... Non smise di favorire e sostenere l’imperatore neanche quando venne scomunicato, né quando lo Stato Pontificio venne annesso all’Impero Francese, né quando il Papa Pio VII venne arrestato. Famosa fu a tal proposito una sua lettera inviata ai Parroci in cui accogliendo una circolare del Ministro del CultoFrancese, dichiarò che Matrimonio Civile e Religioso avevano la stessa valenza. La Circolare Ministeriale esortava perfino i Vescovi a far celebrare ai fedeli prima il Matrimonio Civile:“che possedeva le obbligazioni della vera Unione Matrimoniale".

La fedeltà incondizionata a napoleone Presidente della Repubblica Italiana, e il suo comportamento del tutto conciliante e compiacente verso il regime, gli valsero quindi la nomina a Patriarca di Venezia il 9 febbraio 1811.

La Santa Sede di Roma ovviamente non confermò quell’incarico e titolo. Per il Papa di Roma il Bonsignori rimaneva solo Vescovo di Faenza.

Bonsignori impassibile, invece, raggiunse la Laguna il 9 aprile seguente, ma per lasciarla molto spesso. Non fu mai molto presente in sede a Venezia. Già il mese dopo se ne andò a Parigi per il Concilio dove andò a fare il Segretario dell'Assembleasenza intervenire nè prendere alcuna posizione, atteggiamento che mantenne anche durante le trattative per il nuovo Concordato Stato-Chiesa. In seguito fece parte anche della Deputazione di Savona, e raggiunse Papa Pio VII relegato dai Francesi a Fontainebleau.

A Veneziaquindi non fu molto appetito come persona, né tantomeno apprezzato come Vescovo-Patriarca. Infatti venne sempre appellato argutamente con gli epiteti più stonati: AntiPatriarca, l’Intruso, l’Amministratore Capitolare, l’Illegale, l’Usurpatore della Sede Patriarcale, il Vescovo di Faenza in prestito a Venezia,“un uomo né carne né pesce”, “uno scaldasedie anonimo privo di nerbo asservito al Regime”.

I Veneziani lo capirono subito: Bonsignori non era affatto l’uomo Pastore della Provvidenza, ma un servo del potere costituito. Non poterono quindi che accettarlo e subirlo ... Bonsignori a Venezia, infatti, non accusò mai nessuno per le immani confische, le ruberie e le appropriazioni indebite dei tanti patrimoni e degli arredi sacri di pregio sparsi ovunque in Città. Né tanto meno criticò i Francesi e le innovazioni della Rivoluzione, non incitò gli animi, né chiamò il popolo a raccolta contro il Regime napoleonico. Parafrasando le parole furbe del Papa, si diceva: “pronto a salvare la coscienza e a difendere le Anime discendendo fino alle porte dell'Inferno, ma non più in là.”

Perfino nei documenti del 1812 lo si citò unicamente come “Amministratore Capitolare di Venezia” nell’occasione in cui il Governo Municipaledi Venezia inaugurò la Casa dell'Industria nell’ex Monastero di San Lorenzo di Castello ... Per certe Cronache Veneziane di quegli anni il Bonsignori fu considerato solo: “un Patriarca indegno, un’AntiPatriarca usurpatore.”… In alcuni Annali Veneziani si considerò “vacante” la Sede Patriarcale di quegli anni.

Che fece Bonsignori come Patriarca e Vescovo di Venezia ? Forse sarebbe più giusto dire: che cosa non fece … Cioè niente: “Fu un Patriarca che si limitò solo a fare il controcanto e il ritornello al Potere con le sue voglie e velleità ... il Capo-Guida di una Chiesa Veneziana rimasta per un tempo indefinito come paralizzata, mummificata e immobile.”

Come potete facilmente intendere, Bonsignori non venne affatto amato dai Veneziani, neanche un poco. Di lui rimangono pochissime tracce … Privato del Palazzo Patriarcale di San Pietro di Castello diventato Caserma Militare, si adattò a vivere dove gli venne indicato, quasi incurante del tutto sia delle casse, che delle finanze Patriarcali, che dell’andamento dell’intera Diocesi VenezianaDi lui rimane un unico ritratto “quasi rubato” alla Storia, eseguito dal ritrattista e medagliere Andrea Appiani, conservato oggi nella Pinacoteca di Brera di Milano.

Il suo predecessore, il Patriarca Gamboni, aveva provato almeno a salvare le apparenze. Con due Granatieri era entrato di persona a Palazzo Ducale buttando fuori gli impiegati, le sedie e le suppellettili con cui il Ministero delle Miniere aveva occupato l’ex chiesetta del Doge distruggendone l’altarolo. Bonsignoririmase, invece, del tutto indifferente alle azioni deturpanti dello Stato, lasciò decidere e fare al Governo tutto ciò che voleva senza mai protestare: un vero uomo di Stato impiantato a gestire la Religione. Il Municipio, infatti, rioccupò l’ex chiesuola di Palazzo Ducale dandola in uso al Tribunale Criminaleprima, alla Biblioteca Marciana ospitata a Palazzo Ducale poi, e all’Istituto di Scienze, Lettere e Arti in seguito.

Da fine maggio fino alla prima decina di agosto dello stesso 1812, Bonsignorisembrò ridestarsi dal suo letargo dando modo di considerarlo Patriarca: indisse la Visita Pastorale alla Diocesi Veneziana, che visti i tempi e i nuovi modi “moderni” ribattezzò: Visita Civile. Provò così a passare brevemente in rassegna la realtà Veneziana pervasa dallo sconcerto generale, e dalla poca voglia d’accoglierlo, se non per obbligo istituzionale e gerarchico.

Un esempio fra i tanti ancora nel 1812. I Padri Cavanis impiantati con l'Oratorio e la Scuola della Caritàper l'Assistenza della Gioventù Veneziana nell’ex Contrada di Sant’Agnese di Dorsoduro, si ritrovarono in palese difficoltà organizzativa ed economica. Oltre che di mezzi, erano persino sprovvisti di personale adatto a dirigere la loro pregevole opera culturale e sociale. Si rivolsero allora, com’era ovvio, al Bonsignori, chiedendogli di assegnare loro almeno l’aiuto di qualche giovane Chiericoesentato dal Seminario, dalla coscrizione militare, e dal solito Servizio Parrocchiale: l’unico ammesso dal nuovo regime.

Niente da fare. Bonsignori non mostrò alcun fattivo interesse per quella causa così importante per la Città. In linea col sentire Governativo, la considerò un’iniziativa:“di stampo soprattutto Devozionale associabile ancora nei fini e nei modi all’Antico Regime della Repubblica Serenissima ormai desueto e soppresso.” ... Nicchiò quindi il PseudoPatriarca facendo capire ai Preti: “che il tempo non era quello giusto, che non si poteva, e che era proibito dalle circostanze municipali e politiche vigenti”. Solo dopo reiterate insistenze dei Padri Cavanis mai domi, “il Vescovo di Faenza” si piegò finalmente a recarsi a vistare l’Istituto il 02 giugno: “Visitò l'Oratorio, l'orto, le Scuole, la Casa di Lavoro, e mostrò piena soddisfazione di ogni cosa [...] Perché poi si formasse un'idea più precisa della Caritatevole Istituzione, e conservasse la memoria delle nostre premure, gli si rassegnò una informazione dettagliata di tutto il piano dell'Opera, ch'egli lesse e accolse con gradimento.”

Lasciò la sede dell’Opera dei Cavanis affermando che ne avrebbe parlato in opportuna sede a Milano, ma che in ogni caso bisognava aspettare … Non accadde niente, nè attivazioni né risposte: “Era sempre così conBonsignori: temporeggiava in ogni circostanza … Doveva sempre riflettere e pensarci sopra. In realtà stava sempre ben attento a non compromettersi rovinando i suoi rapporti col Governo del quale era docile strumento.”… Ricorsi su ricorsi allora … Infine riluttante, quasi per togliersi di torno l’oneroso problema, concesse ai Padri Cavanis un solo Chierico facendo rimuovere i limiti imposti al riguardo dalla Polizia del Governo Veneziano: “Non si doveva favorire in alcun modo il ritorno allo “status quo precedente” … Venezia era unicamente tutta da cambiare secondo le nuove logiche napoleoniche.”

Si era sotto il regime del Regno Italico, a soli due anni dalla traumatica soppressione di tutti gli Ordini Religiosi ... A Bonsignorinapoleone chiese di far apparire come per “magia Lagunare” la Religione che s’era appena provveduto a cancellare in ogni modo. Fu quindi un burattino in mano al burattinaio francese, che intraprese un compito “irregolarissimo”agli occhi del Papa di Roma, ma anche di tutti i Veneziani:“Buona parte dei Veneziani rimasti come orfani di se stessi, mentre alcuni plaudivano a piene mani a quella ventata di nuova Libertà e vitalità, pregavano il Signore contro i nemici che perseguitavano la Religione … Senza far nomi s’intende, e tenendoli occulti ovviamente. Fra questi di sicuro non mancava il nome dello stesso Patriarca asservito.”

In ogni modo i Cattolici Veneziani vennero invitati a denti stretti dai pochi Preti e Frati spogliati e disorientati rimasti sulla breccia ad esercitare il Culto, ad agire “in spirito di Caritàaspettando tempi migliori … Se mai fossero arrivati.”

Intanto negli Istituti, negli Ospedali, negli Orfanatrofi, nelle Opere Pie della Carità sregolarizzati e lasciati in balia di se stessi, privi di chiare direttive e di guide competenti e carismatiche, spesso accadevano“inconvenienti” e di tutto e di più. Ovviamente soprattutto in quelli Femminili: i più fragili e indifesi, e più a portata delle mosse di menti contorte: “Con troppa fretta i napoleonici avevano spodestato, esonerato facilmente, licenziato e buttato via in strada tutti i vertici direttivi, gli assistenti, i Maestri, gli Istitutori e le Governanti lasciando le cariche e la Direzioni oltre che sprovviste di mezzi, anche scoperte di persone atte a gestirle ... Inutilmente a Venezia si provò a salvare le apparenze e il salvabile richiamando al senso di responsabilità, all’onore e ai sani principi. La Rivoluzione aveva spazzato via tutto: in molti agivano senza remore, disinibiti e senza alcun pudore.”

Diceva un Prete Veneziano opportunista: “In questo tempo di grande confusione e turbamento, non si suppone, né v'è ragion di supporre uno spirito di malignità in alcun di tali individui, ma sempre è vero che tutti hanno il loro modo di pensare”.

“Un colpo alla botte e uno al cerchio”: a diversi Preti e Frati Veneziani riuscì d’imitare e scimmiottare l’atteggiamento del Patriarca in carica ... Altri, invece: si dissociarono più o meno apertamente, a volte e spesso rimettendoci benefici, carriera ... e anche la Libertà.

“Bonsignori pur provando a mantenere una proforma degli apparati, del linguaggio e del governo Ecclesiale, non fece nulla per la Religione e la Diocesi, nè frenò, ma bensì coprì le tracce dell’operato di persone averse e critiche verso le istituzioni Religiose.”

Ci pensarono infine gli eventi a risolvere l’incresciosa situazione. Bonsignori fu costretto a dimettersi in virtù degli accadimenti storici che si accavallarono anche in Laguna. Il Veneto venne man mano occupato dalle truppe Austriache. Invano a Venezia il Viceré Eugenio provò a eccitare i Veneziani a resistere contro “l’incombente nemico in avvicinamento”. Il 3 ottobre 1813 Venezia venne presa d’assedio … e napoleonetto venne battuto a Lipsiail 20 dello stesso mese.

Curiosamente encomiabile, secondo le Cronache Veneziane, l’atteggiamento della Popolazione Veneziana dentro a quella stagione così caotica e distruttiva: “Nonostante gli ospedali si riempissero di feriti, si mostrava indifferente e di gaio umore accorrendo ai tridui a San Marco, spendendo di più, ma volendo mangiare come il solito per la Vigilia di Natale. Pagavano 84 Lire Venete i palchi al Teatro di San Beneto dove udivano il Prometeo di Troilo Malipiero, che si ripeté per quindici giorni di seguito, con gran concorso di Popolo. Si frequentava il Teatro San Moisè, si ballava al Ridotto e nelle sale del Teatro La Fenice.”

Il 16 aprile 1814 lo stesso Viceré Eugenio firmò l'armistizio cedendo Venezia e Veneto all'Austria. Quattro giorni dopo, le truppe Austriacheoccuparono militarmente Venezia, e il 25 aprile Festa di San Marco, si pubblicò la notizia ufficiale della nuova occupazione ... Il Generale Seras lasciò Venezia accompagnato dalle bordate di fischi dei Veneziani, e per ultimo, il 9 maggio seguente, partì anche Stefano Bonsignori, che lasciò Venezia per tornare alla propria sede titolare di Faenza. Il Governo della Diocesi di Venezia venne ne frattempo assunto “ad interim” dall'Arcidiacono Monsignor Luciano Luciani eletto come nuovo Vicario Capitolaredi San Marco.

Bonsignori passò prima a Roma da Papa Pio VII, rientrato trionfalmente, per chiedergli perdono dei propri gesti e degli atteggiamenti anticlericali. Caduto del tutto napoleone, ammise ogni sua colpa, ritrattò la sua fedeltà al regime e le sue dichiarazioni sul Matrimonio in una celebre omelia tenuta nel Duomo di Faenza ... Il Papa lo perdonò, però gli comminò la Pena Canonica di un anno di sospensione dai Pontificali ... Venne giudicato fedele alla causa della Chiesa, ma giudicato: “generalmente troppo asservito al Governo napoleonico”.

Come nuovo Vescovo di Faenza, Bonsignori provò a riaffermarsi dimostrandosi a favore della Restaurazionevoluta da Pio VII. Dopo la Visita Pastorale del 1816, ricostituì in città il Collegio dei Parroci Urbani, ripristinò le Parrocchie e gli 8 Monasteri soppressi ed espropriati dalla Rivoluzione, ormai trasformati in Scuole Pubbliche, Ospedali e Orfanotrofi, o ceduti a industrie o privati. Permise poi l’insorgenza di nuovi Cenobi e “Horti Conclusi” nei luoghi ricomprati dal Demanio che li aveva incamerati. A tal proposito:“si aprì a Fognano di Brisighella per provvedere all'educazione delle fanciulle, e a Bagnacavallocon la sua Pieve di San Pietro in Sylvis del VII secolo.”… Infine riordinò il Seminario Vescovile di Faenza a cui lasciò la sua biblioteca e la sua collezione di libri e manoscritti.

Bonsignori quindi morì “in castigo” a Faenza il 23 dicembre 1826. 

E a  Venezia ?

Il dopo Bonsignorisi concretizzò nella figura del Patriarca Francesco Maria Milesi, che governò le Lagune dal 1817 al 1819. Figlio di Giuseppe e di Margherita Occioni Nobili Bergamaschi Commercianti trasferitesi a Venezia nella seconda metà del 1600, studiò a Venezia e Murano, laureandosi all'Università di Padova nel solito in utroque iure”. Deluso dal punto di vista amoroso in quanto il padre gli vietò di sposarsi con la figlia di un Medico di lignaggio borghese, si buttò allora nella vita e nella carriera clericale: grandissima vocazione quindi !

Divenuto Prete nel 1767, e destinato inizialmente alla Parrocchia di San Silvestro di Rialto, scalò in fretta con solito metodo le gerarchie ecclesiastiche divenendo Vescovo di Vigevano nel settembre 1807. Da lì il salto a Patriarca di Venezia fu breve … La sua nomina fu ancora una volta Governativa-Civica, ma gli venne concessa alla fine anche l’approvazione Papale… Gira e volta, fu anche lui un Patriarca d’impronta politica, che gli consentì di ottenere anche il titolo di Barone con Regia Patente del 28 marzo 1812 ... Di “Pastorale” ci fu pochino in lui.

Dopo di lui “toccò d’agire da Patriarca” all’Abate Austriacodi nobile famiglia Ungherese: Giovanni Ladislao PyrkerVon Oberwart già Vescovo di Spiš ... Figuratevi ! Un Patriarca del Governo Austriaco a Venezia ! ...  Visitò comunque la Diocesi Veneziana dal maggio 1821 a ottobre dello stesso anno lasciando ovunque il tempo che trovava … Divenne Cavaliere di I Classe dell'Ordine della Corona Ferrea dell’Impero Austro-Ungaricoprima di finire Arcivescovo di Eger nel 1827 abbandonando per fortuna la Laguna Veneziana.

Dopo di lui toccò a Jacopo Monico: Patriarca dal 1827 al 1851, che visitò a più riprese ogni angolo di Venezia e del suo Territorio tra fine luglio 1829 e giugno 1845 ... Buon retore, linguista classico, considerato “fine letterato”, poeta“eccellente ... di versi temperati e sentimenti dolci e soavi quali era il carattere suo.”, organizzò Accademie, e fu scelto a Possagno per l'Orazione Funebre per Antonio Canova il 25 ottobre 1822.

Gira e rigira ancora: il Monico fu scelto per le sue buone doti ancora una volta dall'Imperatore Francesco I d'Austria su segnalazione e raccomandazione del suo predecessore Patriarca di Venezia. Il Papa annuì connivente, e in breve Monico divenne prima Vescovo di Ceneda, poi Patriarca di Venezia, e poi Cardinalesenza però partecipare al Conclave del 1846.

Jacopo Monico: buon Pastore dei Veneziani ? … Mmm … Piuttosto fu sostenitore del blasone e degli interessi della Casa d'Asburgo, tanto da firmare il 3 agosto 1849 una petizione perché Venezia capitolasse di fronte agli Austriaci. Dovette andare a rifugiarsi nell’Isola di San Lazzaro degli Armeni inseguito dai patrioti Veneziani adirati ... Morì il 25 aprile 1851 a 72 anni, non mancando molto ai Veneziani.

Ci fosse stato qualcuno che si fosse interessato senza tornaconto del benessere interiore dei Veneziani ?

Neanche a pagarlo oro … Quegli erano i tempi mi direte … Già … E’ andata così.

Forse certi pericoli per i “Gestori di Anime” interessati esisteranno sempre.

 

Le Nòve Cieresìe de Venèssia: “Do ut des”

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#unacuriositàvenezianapervolta 297


Le Nòve Cieresìe de Venèssia: “Do ut des”

Venezia è sempre stata un po’ “a scatole cinesi”: una sorpresa dentro all’altra quasi senza fine.

Le Cieresiè:che erano, che sono state ?

Facile … Nella Venezia piena di centinaia di Schole, Scolette, Sovvegni, Fraglie e Confraternite di Arte, Mestiere, Nazionalità, Suffragio, Carità e Devozione, sono esistite anche delle “superAssociazioni” che primeggiavano e sopravalevano le altre: le Schole Grandi, ad esempio, che erano sette, e appunto: le Cieresie, che erano: Nove“le Nove”.

Le Nove di che?

Le Nove dei Preti ovviamente, perché le Cieresie erano Associazioni superprivate e potentissime riservate esclusivamente ai Preti Veneziani… anche Frati e Monaci ne erano esclusi e tagliati fuori ... Solo ròba per Preti, per Clero… e neanche per tutti: solo per il meglio del meglio della Cieresia Veneziana: quelli più meritevoli ? … Forse, non so … I più fortunati, i più capaci d’intrufolarsi dentro.

Per capire meglio, non va dimenticato che un tempo a Venezia, Preti & C non erano “quattro gatti” come quelli un po’ sgangherati e un po’ mestieranti di oggi (non tutti), ma rapresentavano una bella fetta dell’intera popolazione Veneziana. Il Clero Venezianoera numerosissimo: una specie di piccola popolazione dentro alla popolazione Veneziana.Messi insieme Frati, Monaci e Monache, formavano una folla di non meno di 10.000 persone … tonaca in più tonaca meno … Erano quindi un piccolo mondo a parte, una specie di “cittadella nella Città Lagunare”, entità sparse e diffuse ovunque in ogni angolo e Contrada della Capitale Veneziana.

I Preti a Venezia erano onnipresenti ? … Si, di sicuro … e per di più sempre accanitamente e ostinatamente, quasi ossessivamente “sul pezzo”… per secoli. Non è un caso se Venezia è del tutto punteggiata da chiese e campanili, ma lo potrete notare anche nei tanti posti Veneziani che ancora oggi portano tracce della loro presenza: Calle e Corte dei Preti, Fondamenta o Sottoportego dei Preti, e via così.

Essendo tanti di quella “specie”, e soprattutto essendo ciò erano … Sapete più che bene che cos’è un Prete … è ovvio che avessero parecchia “voce in Capitolo” dentro al tessuto urbano della Serenissima. Eccome che ce l’avevano: avevano “un vocione” ! 

Le Nove sono state di sicuro una piccola potenza non solo nel contesto Ecclesiastico, ma anche dentro alla popolazion e realtà Veneziana: una specie “Anima parallela” ispirata e del tutto dedita … o quasi … alla realizzazione dei Valori Cristiani e Pretereschi.

Storicamente si può dire che più che spesso a Venezia, organizzazioni di Preti Veneziani come le Nove del Clero, o il Collegio Urbano dei Parroci, hanno saputo tener testa, far “la voce grossa” e imporsi sia col Patriarca che con le Autorità Civiche Veneziane: Doge, Signoria e Nobili … anche se alla fine comandava chi doveva comandare. Non si poteva però non ascoltare del tutto, e non tener conto di ciò che pensavano e dicevano quelli delle Nove del Clero Veneziano. Ci sono state occasioni in cui quelli delle Nove hanno saputo fare un po’ “il bello e il cattivo tempo” all’interno del mondo Ecclesiastico di cui erano rappresentanti. Certi Patriarchi e Vescovi Veneziani hanno governato e deliberato in sintonia e seguendo le considerazioni e i consigli espressi da “quelli delle Nove”.

Non dico che “le Nove” a Venezia valessero quanto il Papa, o lo sopravanzassero, ma qualche volta: si … Le Cieresie dei Preti sono state davvero ricche e potenti, nonché capaci di grande influenza: hanno di sicuro segnato la Storia Veneziana.

Nel 1820 Il Patriarca Austriaco Pirker alla Visita Pastorale commentò non senza preoccupazione:“Quelli delle Nove si sentono un corpo a se, quasi estraneo alla Diocesi”.

Esiste una discreta letteratura sulle Nove del Clero Veneziano, ma in verità se ne parla pochissimo. Sono una di quelle “realtà tipiche Veneziane” la cui memoria e importanza è andata via via scemando quasi del tutto. Ogni Veneziano un tempo sapeva benissimo che cos’erano le Cieresie dei Preti, anche perché più che spesso gli capitava di aver a che fare direttamente o indirettamente con loro.

Le Nove, come vi dicevo poco fa, erano comunque: “Ròbe da Preti”, cioè: raccoglievano e coagulavano in se “il meglio del meglio” dei Preti Veneziani. A non tutti i Preti era concesso di farne parte, tanto è vero che quelli che “restavano fuori” hanno dato vita a tutta una serie di piccole e grandi Còngreghe, Pie Unioni, Freterne, Adunanze e Compagnie di Preti, Zàghi, Clerici e Alunni di Chiesa che nel loro piccolo cercavano d’imitare quello che le Cieresiefacevano in grande.

Se andate un po’ a frugare nei meandri delle “cose Veneziane”, troverete tracce ovunque di quelle piccole realtà funzionali Preteresche un po’ “di secondo piano e riserva”. Le potrete trovare ai Santi Apostoli, San Felice, San Geremia, San Marzial, Santa Maria Nova e alla Maddalena nel Sestiere di Cannaregio. Troverete Sovegni di Preti a San Biagio, San Martino, Santa Marina, a San Pièro Contrada deò Vescovo e alla Bragora nel Sestiere di Castello.A San Vio, Anzolo Raffael, Sant’Agnese, San Barnaba, San Pantalon e Santa Margherita in quello di Dorsoduro.A Sant’Aponal,San Cassian,San Giacometto, San Stin, San Giovanni Elemosinario nel centralissimoSestiere di San Polo e Realtino ... A San Bartolomeo, San Gallo, San Gimignano, ai Santi Filippo e Giacomo, a San Giovanni del Tempio o dei Furlani, a San Basso, San Provolo, San Moisè, San Samuel e a San Beneto nel pomposissimo e sontuosocentralissimo Sestiere di San Marco, e a San Simeon Grando e San Stàe(Sant’Isaia) nel più periferico e defilato Sestiere della Croxe ...Ogni Scoletta di Preti era capace di raccogliere e associare anche un centinaio di Preti.

Torniamo però alle Ceresie, alle Nove del Clero I dati che le riguardano sono come sempre curiosi … almeno secondo me.

Le Nove Ceresie erano appunto: nove … Non si sa bene perché erano proprio nove di numero, ma lungo i secoli hanno sempre mantenuto quel numero. A lungo si è voluto credere che l'idea iniziale di crearle fosse attribuibile al Doge Pietro Orseolo vissuto a Venezia dal 928 al 987. E’ stato quel Doge quasi leggendario, che rinunciando alla carica Dogale si è ritirato quasi da eremita nell'Abbazia di San Michele di Cuxa nei Pirenei, dov’è morto in “sospetto di santità”… Leggenda ovviamente: si è voluto porre le origini delle Nove in un contesto di Mito, alla maniera tipica Veneziana.

Di Congreghe Maggiori dei Preti nel 1123 ne esistevano già cinque, alle quali Pietro Enzio del Confinio di San Moisèlasciò per testamento lire cinquanta: una considerevole sommetta … Nel 1192 le Còngreghe dei Preti Veneziani erano già diventate sei, nominate stavolta nel testamento di Jacopo ZianiSolo tardivamente si arrivò a dire cheLe Nove”simboleggivano: “I nove Cori Angelici della Chiesa Trionfante”… Ma neanche gli stessi Preti hanno mai fatto tanto caso a questa spiegazione. I Veneziani, invece, molto più concreti e sintetici hanno sfornato per le Congreghe dei Preti il nome di “Cieresie”: traendolo da Clericoo Clericale, cioè persona tonsurata con in testa: “la clèrica, cioè la cièrega”… Per cui ne è venuto fuori: Cieresie del Clero.

Eccole quindi le Cieresie riassunte in dettagliato elenco nel 1813:

1.  Sant’Angelo guidata da Salsi Andrea Parroco di San Pantalòn;

2.  Santa Maria Mater Domini presieduta da Don Marinoni Simeone Parroco di San Cassian di Rialto;

3.  Santa Maria Formosa con Don Cecchini Bartolomeo Parroco della suddetta chiesa;

4.  San Marcuola capeggiata da Don Gallo Vincenzo Parroco a San Jacopo dell'Orio;

5.  San Luca condotta daWcovich Lazzari Giuseppe Parroco della suddetta chiesa;

6.  San Silvestro con Wiel Giuseppe Parroco di San Felice a Cannaregio;

7.  San Polo rappresentata da Prè Balbi Rizzardo II Roberto;      

8.  San Canziàn sotto l’egida di Cozzi Gaspare Parroco della stessa chiesa;

9.  San Salvadòr guidata da Alessandro Carlo Piovano della stessa chiesa.

Eccole qua: le Nove del Clero.


Spulciando la Storia: i rappresentanti “delle Nove del Clero di Venezia”presenziarono come Delegati della Serenissima al Concilio di Basilea convocato da Papa Martino V nel 1431. In quell’occasione la Repubblica di Venezia inviò due suoi Ambasciatori: Ser Andrea DonàCavalier e Ser Ferigo Contarini. A loro si associarono in rappresentanza dell’Universalità del Clero di Venezia: Prè Giovanni Pasquali Piovano di Sant'Agata cioè di San Boldo, Arciprete della Congrega di San Michele Arcangelo; Prè Ambrogio de Vido Piovano di San Vidal che rappresentava la Congregazione di Santa Maria Mater Domini; Prè Antonio Miletto Piovano di San Lio, Canonico e poi Vescovo di Mileto, “capo”della Congregazione di Santa Maria Formosa; Prè Jacopo De Campis Piovano prima di San Marzial e poi di Sant’Aponal,  guida indiscussa della Congregazione di San Marcuola; Prè Francesco Gritti Piovano di San Pantalon, che presenziò per la Congrega di San Luca; Prè Giovanni Pénato figlio del defunto Basilio Notaio e Piovano di San Vio, Canonico e Cappellano di San Marco, che rappresentò i Preti della Congregazione di San Polo; Prè Antonio Pelacane Piovano dei Santi Apostoli, che fu lì “a nome” della Congrega di San Canzian; Prè Giovanni Bellini Piovano della Bragora e Arciprete della Congregazione di San Silvestro, e infine: Prè Giovanni Campisano Piovano di San Zulian, Notaio e Cancelliere Dogale, ma soprattutto: Arciprete della Congrega dei Preti di San Salvador.

Qualche altra Congrega influente dei Preti, come quelle di San Cassian o di Santa Maria Zobenigo del Giglio, avrebbero voluto assurgere al livello delle Nove, ma non si sono mai riuscite … Le Nove sono sempre rimaste nove, e sempre chiuse e riservate in se stesse: “Il clero delle Nove Congregazioni è un Corpo di Sacerdoti i più dignitosi scelto e formato dal primo, di Piovani, di Titolati, di Preti in numero un tempo di 560, ora ridotto alla metà cioè a 180. ll Clero Diocesano fu ed è sempre soggetto alla Giurisdizione Canonica dell'Ordinario … Ha goduto nel correre dei secoli di certi privilegi tutti suoi approvati dal Patriarca, dalla Sede Apostolica, dalla Signoria di Venezia … In un certo senso quelli delle Nove sono considerati dalla Serenissima l’elite dei Preti Veneziani, interlocutori degni di considerazione …”

Ce ne voleva perché la Serenissima considerasse qualcuno.

Scriveva Luigi Perotti nel 1846 nel suo“Memoria sui Luoghi Pii e sulle Confraternite Laiche di Venezia”, e prima di lui Galliccciolli: “Prima dell'Ecclesiastiche, cioè sino dal IX secolo, sussistettero qui in Venezia le Confraternite laicali sotto il nome di Schole ... Le Congregazioni o Schole Clericali dette anche Chieresie appartengono forse tutte al secolo XII, e vennero instituite principalmente per seppellire e suffragare i Defunti. Ritiensi che la loro costituzione imitasse quella Schola Sacerdotum che sorta era in Verona, e che il Vescovo Bilongo ricordò nel suo testamento dell'anno 850 … Scuola o Schola passò a significare un genere di Compagnia che attende al Culto Divino. Queste Compagnie venivano anche chiamate dagli antichi Confratriae, Gildiae Sodalitiae e ... Ha di queste una dotta dissertazione il Muratori ... Se ne fa menzione in un antico Concilio di Nantes, che altri dicono celebrato nel 658, altri nel 660, e chi finalmente nell'800. Ma, è forse più probabile la sentenza di quelli che ne fanno autore San Bonifazio Apostolo dei Germani circa al 730, per cui dalla Germania si sarebbero sparse in ogni luogo.”

Le Nove insomma erano molto blasonate e antiche, e per questo molto appetite e ambite dai Preti Veneziani. Le più antiche risalivano addirittura aben prima del 1200. L’ultima aggregata, invece, è stata la Congregazione di Sal Salvador: “L'ultima nata delle Nove Congregazioni, che si deve alla carità di Simeone Mauro Vescovo di Castello, che la fondò il 1 luglio dell'anno 1291. Matteo Pagano Prete di Sant'Agata ossia di San Boldo o Sant’Ubaldo, alli 11 gennajo del 1505 More Veneto, nominò come suoi Esecutori Testamentari due Massari delle Congregazioni del Clero fra cui quella di San Salvador.”

La prima Còngrega delle Nove ad essere istituita fu quella di San Michele Arcangelo, cioè dell’Anzolo presso Santo Stefano: quella chiesa che non c’è più nell’omonimo campo ... Si era fra 1105 e 1117 … Sia sulla Mariegola che sul suo “Pennello”(gonfalone processionale) si può notare un San Michele Arcangelo arrapato che pesta sotto ai piedi “il Diabolus, Male” colpendolo sulla testa con “l'Asta, il Baculus” della Congrega dei Preti.

Poco dopo, o quasi nello stesso tempo, è nata la Cieresìa di San Luca … e fra 1130 e 1145 è sorta nella “Cjèsa delle Sette Madonne” nel defilato Sestiere de Sancta Croxe, forse la più agguerrita, attiva e importante Còngrega delle Nove:quella di Santa Maria Materdomini.

E’ del 1123 il primo documento in cui si parla delle Congregazioni del Clero Veneziane: un testamento di Piero Enzo della Contrada di San Moisèche lasciò 50 denari alle Còngreghe dei Preti di Rivo Alto, cioè: di Sant’Angelo, Santa Maria Materdomini, Santa Maria Formosa, San Marcuola e San LucaLe Congreghe di Santa Maria Formosa eSan Marcuola quindi risalgono perlomeno al 1123, forse 1145 la seconda …In ogni caso: sono antichissime, di tanto tempo fa.

Volete sapere un’altra cosa curiosa ?

Le Nove del Clero Veneziane esistono ancora oggi nel 2022 … Curioso vero ? E anch’io ne ho fatto parte dal 1982 al 1987: di quella di San Salvador… Ero un Prete allora, lo sapete … Le Nove sono riuscite in qualche modo a superare … quasi indenni … tutti i trambusti napoleonici e austriaci del 1800, nonché gli eventi e i cambiamenti delle due Guerre Mondiali, e hanno saputo assimilare perfino le riorganizzazioni e le novità portate da Patriarchi e dai più o meno disattesi Concili Ecumenici della Chiesa.

Ovviamente non sono più le Congreghe potentissime ed influenti di un tempo, però ci sono ancora … Hanno perduto di sicuro “il lustro” e qualche pezzo strada facendo, e dagli stessi Preti oggi sono parecchio disertate e snobbate:“Sono vestigia obsolete del passato da archiviare” mi ha detto di recente uno di loro.

Potrei raccontarvi un“Mondo di cose” sulle Nove, ma tralascio per non annoiarvi troppo mettendo in campo solo qualche briciola.

Era usuale per i Veneziani veder sfilare immancabilmente le Nove in Processione ostentando i loro grandi Vessilli durante le Solennissime Feste Cittadine della Madonna della Salute, del Redentore, di Sant’Antonio o Santa Lucia alle quali non mancavano mai di partecipare insieme al Doge e al Patriarca, e a tantissimi Veneziani entusiasti.

Fra le Nove esisteva una rigorosissima precedenza da rispettare nello schierarsi: guai sopravanzare ! … Era considerata come un’offesa, un piccolo sopruso alla singola dignità e prestigio delle Nove.

Ci divertivamo un sacco, noi giovani Preti della Congrega di San Salvador(ultimi arrivati) quando convergevamo nella Basilica di San Marco. Ci anteponevamo apposta a quelli delle Congregazioni più antiche non rispettando le “precedenze”, e suscitando ogni volta un gran vespaio. I Preti“vecchi”, che ci tenevano un sacco a quelle cose, andavano letteralmente fuori di testa vedendosi “superati” dai giovinetti delle Congreghe meno importanti. Nelle grandi occasioni, nella Sacrestia di San Marco, c’era sempre un Cerimoniere che chiamava a gran voce all’appello quelli “delle Nove”, urlava letteralmente prima della cerimonia perché ciascuno prendesse il posto che gli spettava di diritto nella lunga coda delle Processioni (un tempo erano davvero lunghissime: c’erano centinaia su centinaia di partecipanti, e tantissimi Preti) ... I più importanti andavano “in coda più accanto al Patriarca”, mentre i più scalcinati andavano in testa in cima alla Processione.

C’erano allora alcuni anziani Canonici e Preti impettiti e sussiegosi, solennissimi, che finalmente si collocavano per ultimi alla fine della fila: guai porsi dopo di loro !

E noi ? … Ovvio: c’infilavamo dietro di lorofingendo indifferenza. Qualcuno allora si metteva letteralmente a richiamare e a sgridare ferocemente: “Ciò bèo ! Dove ti credi d’andàr ? … Mettite in fila subito ! Rispetta la precedenza ! Non osàr ! Va via ! … Va davanti !”

Un altro ancora: “Cerimoniere ! … E precedenze! … E precedenze !”… C’era da ridere … I Sacrestani divertiti pure loro venivano gentilmente a invitarci a prendere il nostro posto di competenza … Indietreggiavamo allora divertitti, ma facendo il giro tornavamo di nuovo ad retroporci ... E ripartiva la manfrina un’altra volta:“Ehi ! Dove andè cusì indrio ! Avanti ! … Lasciate il passo !” gridavano qualcuno.

Sembrava una giostra medioevale ... divertentissima. A volte temevamo che qualche vecchio Monsignore diventato rosso in volto rimanesse stecchito sul posto per la tensione ... Ròbe da Preti … da Pretini giovani un po’ goliardici com’eravamo noi.

Ci riconoscevamo e distinguevamo fra noi Preti delle varie Congreghe delle Nove perché indossavamo ciascuno delle antichissime stole di colore diverso ricamate in filo d’oro … Ognuna delle Nove aveva un suo colore distintivo … Erano preziosissime, bellissime … Era un piacere indossare oggetti così … Una stola dorata (di San Salvador: ultima arrivata) non avrebbe mai dovuto star dietro a una Rossa, o a una Verde, e via così.

Ma che erano, in che consisteva esser parte di una delle Nove del Clero ?

L'Archivio della Congregazione del Clero dei Santi Ermagora e Fortunato è rimasto depositato a lungo in una gran cassone posto nella stanza sopra alla Sacrestia dove si conservavano anche delle preziose “stole d'oro processionali” delle Feste Solenni. Nell’ottobre 1796 si scrisse: “… per lo sbilancio di cassa, e non potendo da verun fonte ritrar denaro, fu proposto e preso di alienare le stole medie, cioè di velluto (meno due per l'Arciprete e il Masser), essendosi rese inservibili e superflue tutte le altre”.

Solo dal 1748 il Collegio delle Nove ebbe un suo timbro-simbolo-emblema:“Signum Crucis aequilatere bipartitum, et novem cherubim circum ornatum”: una croce contornata da nove cherubini, “cioè la Croce come genere prossimo, i Cherubini come ultima differenza”.

Il simbolo si può vedere ancora oggi scolpito sulle pareti delle case di San Zulian e di San Simeone Profeta, ch'erano e sono ancora di proprietà delle Congregazioni.

Ogni Congregazione, a imitazione delle numerose Associazioni d’Arte Mestiere e Devozione cittadine, aveva le sue Regole e Statuti interni riassunti nella propria Mariegola: “la màre di tutte le Regole”. Ogni Congregazione aveva al suo interno una specie di strutturazione e organizzazione piramidale soggetta a rinnovi ed elezioni, anche se ricordo chiaramente che certi Arcipreti delle Nove occupavano il loro ruolo “a vita”… Erano come dei piccoli “boss” fra i Preti: uomini-Preti dotati di notevole prestigio, capacità e influenza.

I Preti delle Congregazioni si riunivano “a Capitolo” secondo i dettami dello Statuto, di solito nelle quattro “Kalende annuali” di marzo, giugno, settembre e novembre. Le Kalende coincidevano spesso e si sovrapponevano con le tradizionali Feste Cristiane più importanti: “Presenze obbligatorie per i Preti”: se si era assenti si veniva esclusi dalla spartizione annuale: il “Partidòr” ... Annunciazione del 25 marzo, San Marco, San Giovanni, Sant’Antonio da Padova e il Corpus Domini in giugno, il Rentore in luglio, l’Assunta in agosto, Natività di Maria e Santa Croce a settembre, i Morti e la Festa della Salute a novembre, Santa Lùssia (Lucia)il 13 dicembre: guai mancare ! ... L’Arciprete di sicuro ti tirava le orecchie … Quasi tutti quelli delle Nove si riunivano spesso anche per appuntamenti particolari della propria Congrega, mettendo su un bel pacchetto annuale di Messe, Vespri e Suffragi settimanali: “I Morti hanno bisogno del nostro aiuto per conquistarsi la Salvezza.” era il “mantra” ripetuto quasi all’infinito, e creduto da tutti per secoli … anche da noi.

Ambitissimo e attesissimo era di solito l’appuntamento annuale in cui si provedeva alle votazioni e all’elezioni alle nuove cariche, e ancora più ambito e appetito era soprattutto la spartizione del “Partidòr”(le rendite annuali della Congrega da spartirsi fra gli iscritti a seconda della figura e del merito) a cui seguiva sempre un lauto banchetto … Che spanzàte indimenticabili ! … e che piacevole compagnia !

Siamo alle solite però … E’ vero: “schèi e magnàr e bevi” … Anche i Preti sono sempre stati uomini, che non hanno mai saputo mettere da parte scopi e interessi “con la scusa” della Religione. Come si sa: i Preti sono sempre stati dei gran buongustai, ma anche e soprattutto degli acuti e ottimi amministratori e gestori di capitali e patrimoni … Ovviamente s’intende: “per il bene di Dio e della Chiesa, e delle Anime del Popolo Cristiano … e della Carità disinteressata verso Confratelli e Fedeli”… Già … forse ?

Le Nove del Clero sono state, almeno sulla carta, degli Enti Ecclesiastici dediti primariamente al Suffragio, alla Pietas e alla Carità.

Lo sono state ? … Certo, anche e non del tutto, nè come si prefiggevano e avrebbero dovuto.

Ricordo che i rispettabilissimi Arcipreti delle Nove venivano spesso pressati dai Preti Veneziani per poter riuscire a entrare a far parte delle Congregazioni… Certi si facevano proprio pregare, o viceversa facevano di tutto per riuscire a portare dentro alla loro Congregazione qualche Prete emergente, o che si segnalava per abilità, cultura e personalità.

Che facevamo all’interno dell’organizzazione delle Nove ?

Cose da Preti soprattutto … Il Suffragio innanzitutto, perché era capitato per secoli che tantissimi Veneziani Nobili e non Nobili avessero lasciato per testamento grandi patrimoni alle Nove in cambio di garanzie d’Orazioni, Funzioni, Messe, Esequie e Anniversai “per salvare la loro Anima”… Era un dare per avere: un “Do ut des” di stampo preMedioevale profondamente radicato nella testa e nei sentimenti di tantissime persone di ogni grado sociale. Per secoli tante persone hanno vissuto in ambito Occidentale soggette a una specie d’educazione irrinunciabile circa l’Aldilà Eterno e i Meriti necessari per conquistarlo, oppure confrontandosi con i Demeriti e Pene, che hanno terrorizzato “a morte” per secoli milioni di persone di ogni sorta. 

Li ho sentiti con i miei orecchi in Confessionale tante persone ossessionate, e disperate a volte, per timore di finire“nella dannazione eterna del più profondo degli Inferni.”… Non c’erano discorsi capaci di rasserenarli: ho incontrato persone disperate di fronte al gran passo della Morte, oltre la quale sapevano immaginare solo un Destino di perdizione totale nel nulla Eterno.

Sapesta che tristezza a volte incontrare persone così … Chiesa e Cristianesimohanno a volte impresso cicatrici peccaminose indelebili dolorissime nell’Animo delle persone, che tutta la Vita non bastava ad attenuarle se non cancellarle.

Sto divagando … Per secoli quindi, milioni di Fedeli hanno pagato “Quartese, Decime ed Offerte” ai Preti offrendo loro primizie dei campi e delle vigne, togliendosi a volte il pane di bocca, lasciando agli Ecclesiastici di tutto e di più perché continuassero a suffragare la loro memoria e la loro Vita a volte “diroccata”... Ricordo un fatto curioso negli anni ’80 riguardante il Seminario di Venezia e in qualche modo le Congreghe dei Preti. Fra i tanti lasciti grandi e piccoli a suo favore, ebbe anche il lascito testamentario di un canile pieno di cani di ogni sorta nei pressi di Firenze ... Figuratevi i Preti ! … Si dice di solito: “Essere come cani in chiesa.”cioè: malvoluti e buttati fuori malamente, indesiderati. 

“Che ce ne facciamo adesso ? … Sono d’impiccio ste bestie … Non ne sappiamo niente di cagnaria e dintorni… Ma non avevano proprio altro da lasciarci ? Avremmo pregato lo stesso per loro ... magari non gratis, ma senza tutta quest’Arca di Noè.”

Erano questi i discorsi che ascoltavo ogni giorno dentro alle mura austere del Seminario. Poi si riuscì con qualche escamotage a vendere tutto quel“ben di Dio”, e si tirò un gran sospiro di sollievo … Rimasero le tante Orazioni e Messe di Suffragio da celebrare ... e ricordo ancora come il Rettore del Seminario chiamava Confratelli “più sfortunati di Campagna” per dar loro “l’opportunità di dir Messe” in cambio di un po’ di soldi … “Do ut des” … La saga secolare continuava.

Potenza dell’influsso della Religione sul Destino e il comportamento delle persone e del Clero. Ancora oggi tanti Valori e tante certezze che determinano e regolano la nostra Vita e i nostri sentimenti fin dentro al portafoglio e dentro al letto, sono frutto di quell’idea indotta e posta per secoli nella nostra mente dall’Ecclesia Cristiano-Cattolica ... Non ditemi che non è vero.

Tornando alle Nove: lungo i secoli le Congregazioni del Clero Veneziano hanno racimolato e messo insieme un vero e proprio “tesoretto” che raccoglieva la proprietà di qualche centinaio di case, e di un’infinità di Lasciti e patrimoni in Laguna e soprattutto nella Terraferma Veneta. Parte di questo “tesoretto” ben allegerito nel 1800-1900 da francesi, austriaci e governi veri, esiste in parte ancora, ed è utliizzato e gestito ancora oggi seppure in maniera più ridotta, riservata e soft.

Ancora ai miei tempi, e forse ancora oggi, i Preti delle Nove si trovavano nelle scadenze calendariali per espletare le dovute Orazioni e Suffragi, e per eseritare la Carità verso “Confratelli rurali de Campagna a volte poveri et vergognosiRicordo distintamente un “mio collega Prete di Campagna nell’entroterra Veneziano”. Era sempre smunto, pallido ed emaciato, con la sua tonaca sbiadita si presentava ogni volta in Capitolo della nostra Congrega. L’Arciprete non mancava mai di fornirgli “breve manu” e con estrema riservatezza una bustina contenente un buon sussidio “per poter sbarcar il lunario a suon di Messe”… Doveva celebrare nelle sue sperdute campagne un buon numero di Messe dedicandole a nomi che non gli suggerivano niente, ma che corrispondevano a un buon cespite da intascare. Intendiamoci: doveva dirne tante … Non è che gli venisse regalata “la Luna”, ma si trattava di parte del cospicuo “monte di Messeordinate dai Veneziani” di cui era da secoli dotata la su Congrega d’appartenenza.

Era anche bello congregarsi insieme, si avvertiva quasi un “sentimento Preteresco”. Vi confesso che mi piaceva partecipare alle scadenze delle Nove. Nel mio piccolo di “prete semplice” non sono mancavo quasi mai ... anzi: mai. Era pur sempre anche un’occasione di condivisione oltre che di convivialità fra noi Preti: ci si conosceva meglio, ci si contattava, avere qualche amico in più non guastava mai.

Le Nove sono state a lungo una realtà partecipata e sentita dai Preti, un’occasione di “Meriti Spirituali”, e un modo d’arrotondare e stare allegramente insieme.

Ricordo ancora qualche scena a volte un po’ anacronistica di quando su certi muri di Venezia veniva scritto: “Cloro al Clero !”... C’erano “colleghi Preti” che pubblicamente si scagliavano contro il “vecchiume e il bigottismo Ecclesiastico” mostrandosi favorevoli al suo virtuoso rinnovamento ... Erano Preti “moderni, emancipati”, operai a volte, che buttavano via tante “cose e  abitudini vecchie di Chiesa” considerate obsolete e superate … Ho recuperato io stesso su certe bancarelle Veneziane certi “Libri da Messa e Oggetti da Chiesa” di cui si sono liberati alcuni, non tanto per modernità, ma forse per racimolare qualche soldo in più … Potrei facilmente quanto inutilmente fare nomi e cognomi. Voglio dire che era “divertente e curioso” a volte vedere proprio alcuni di quei Preti“emancipati” frequentare lo stesso le tradizionali scadenze delle “Nove del Clero”. Sorridevamo noi Preti giovani, quando li vedevamo andare a trar fuori da qualche angolo del campanile, o da muffosi armadi di Sacrestia antiche vesti talari consunte, con i bottoni che parevano proiettili pronti ad esplodere sopra a certi pancioni diventati davvero prosperi ... Sorridevamo ancora di certi Preti che si arrotolavano i pantaloni mostrando “sgambituli pallidi e pelosi, o abbronzatissimi” per indossare certe vesti diventate fin troppo corte. Erano davvero ridicoli, e incoerenti soprattutto con le loro convinzioni. Condannavano tanto “le vetustà dagli angusti orizzonti della Chiesa”, ma poi c’erano da intascare soldi o mangiare e bere in compagnia dentro alle Congreghe non mancavano mai … Fragilità umane e storiche … Tristi anche.

Comunque al di là dell’esteriorità, quando ci “congregavamo”: facevano i seri, e c’impegnavamo per davvero in quei Riti Sacerdotali che ci venivano rischiesti e proposti dalle Congregazioni del Clero… Rimanevamo ogni volta a lungo: per diverse ore, a recitare“Antichi Uffizi”, o “Ore del Breviario”, “Preci dei Morti”, e poi stavamo a “dir Messa, e a processionare cantando De Profundis e Litanie, visitando Cappelle. Saccelli di Morti, e Oratori”deserti quasi sempre disertati dai Fedeli ... Fin dal Dopoguerra, pochissimi di loro sapevano e sanno dell’esistenza, e del senso delle antiche Nove Congreghe dei PretiVeneziani.

Nei miei Diari conservo ancora un appunto di una predica fatta dall’Arciprete di San Salvador di allora:“I Morti che hanno lasciato così tanti soldi alle Congregazioni, esigono il nostro rispetto, e quindi il tributo e l’osservanza di quanto pattuito con la Congregazione … Noi quindi siamo qui apposta per questo: anche per onorare quell’antico accordo con i nostri Benefattori.”

Gli accordi erano accordi, andavano rispettati: Suffagi in cambio di soldi: “Do ut des”… Affare fatto !

Per molti Veneziani di ieri, quella delle Schole e delle Congreghe dei Preti erano “Investimenti per l’Eternità e il Futuro sena fine”.

Possiedo ancora una fotocopia della Mariegola dellaCongrega di San Salvador di cui ero parte. Gli “Obblighi dei Fratres” consistevano soprattutto: nel reciproco rispetto, nell’assistenza in caso di povertà, malattia e morte dei Sacerdoti, e nella doverosa “Opera di Suffragio” a favore dei Confratelli e Benefattori Defunti da eseguire con maggiore decoro e solennità possibili. La Mariegola ancora distingueva le gerarchie e i titoli interni possibili all’interno della Congregazione.L’Arciprete era la figura portante: titolo ambitissimo mantenuto “vita natural durante”, a cui moltissimi Preti tenevano moltissimo. L’Arciprete doveva essere un Prete Modello, ineceppibile, abile, esperto, autorevole, con spiccate doti gestionali e aggregative: un leader“degno di ogni virtù”, con una buona storia pastorale alle spalle.

La Mariegola ancora ricordava il “numero chiuso”dei circa 36-40 Fratelli Iscritti diventati in seguito solo 21: “36 Confratelli Preti: multiplo di Dodici, come erano i 12 Apostoli”… La Mariegola poi ricordava ancora ilraduno mensile delle Kalende… Gli incontri durante “la quarta e quinta feria settimanale” per celebrare ulteriori Messe per i Confratelli Defunti … l’Agapeannuale … La “Prassi” (dovere-abitudine) di recitare i Salmi Penitenziali, e le “dovute Messe” nelle varie circostanze  e scadenze … L’obbligo di celebrare una Messa a ricordo di ogni Confratello Morto per 30 giorni dopo la sua dipartita … L’aiuto caritatevole al Clero, soprattutto quello in difficoltà ... ed altri “scopi nobili” … almeno nell’intenzione.

I Confratelli delle Nove erano suddivisi in “tre ordini” Di solito 20 Confratelli erano considerati a “Parte Intera o Integra”, ossia percepivano una parte intera dei redditi della Congrega spartiti annualmente; 8 erano a “Mezza o Media Parte”; e altri 8 erano considerati “di orazioneo di grado inferiore”, cioè: in attesa di ammissione insieme a un certo numero vago di Preti“in buona spe”, cioè: col desiderio-richiesta di adesione già presentata, ma che intanto si accontentavano di “ronzare intorno alla Congrega” presenziando lo stesso ai suoi appuntamenti e riti.

Nella mia Congrega eravamo tutti “a parte Intera” eccetto “i vertici” della Congregazione di San Salvador, che avevano diritto a una maggiore “fetta” dell’annuale Partidòr.

Da tradizione: “Erano necessari circa sei anni “di servitù” per salire “di grado” al’interno della Congrega d’appartenenza. I Pievani di Venezia, o quelli della Diocesi di Torcello, ma “usciti dal grembo di Venezia”, erano i soli che venivano ad ogni altro preferiti, coll'essere ascritti al Primo Ordine. Nè i Titolati, né i Cappellani Curati erano soggetti alla severità di queste regole, nè i Confessori di Monache, che godevano dei privilegi dei titolati … L’Arciprete percepiva “il doppio” rispetto ai Confratelli “di parte intera", ed era coadiuvato da un "Massàro" che si occupava dell'amministrazione della Congregazione, e da due o quattro “Decani o Sindaci o Primiceri o Consiglieri”, e da un “Nunzio-Scrivano-Segretario Nodàro, Cursòre o Nonzolo Viadòr e Scappinànte” con incarico annuale.”


A un certo punto, a farla breve, tutto quell’immane patrimonio sparso appartenente alle singole Nove del Clero, utile “a far guadagnare un buon passaporto per il Cielo” a tanti Benefattori, Confratelli e Donatori, venne unificato e gestito centralmente da un unico Collegio delle Nove.

Quel gran numero di lasciti, denari e immobili doveva forse essere concesso ai Poveri come gesto di Carità, cioè dato: “Gratia et Amore Dei”in usufrutto gratuito, senza specularci e mangiarci troppo sopra … Magari ! … Anche no.

Le Nove del Clero non sono state solo Congreghe di Preti dediti a celebrare e Suffragare, ma anche dediti a gestire un bel gruzzoletto.

Lungo i secoli le Nove del Clero erano diventate proprietarie di un cospicuo capitale, di certo non secondo a quanto possedeva qualche ricco e facoltoso Casato Veneziano.

Esplico un poco ?

Dietro e dentro alle Nove s’era creato un gran capitale, tutto da gestire abilmente e da investire oculatamente … Oggi ne sono rimaste solo le briciole dopo tanti smanacciamenti e rivolgimenti storici. Di conseguenza le Nove sono state di rimando anche un’organizzazione dedita al profitto, e alla manipolazione attenta del notevole tesoretto che possedevano ... In quanto all’economia e alla gestione dei soldi, si sa: Chiesa e Preti, con Frati, Monaci e Suore lungo i secoli non sono mai stati secondi a nessuno … Di conseguenza la storia delle Congregazioni del Clero Veneziano è sempre stata trapunta quasi ossessivamente dalla considerazione di tutto quanto poteva tornare utile e interessare al tornaconto delle Nove.

Cesure, ponti, strade, rogge, fienili, molini, stalle, cimiteri, fossi, casolarie case e casòni dei Preti … Qualunque cosa era attentamente seguita da un piccolo esercito di fattori e persone che agivano a favore del patrimonio delle Congreghe del Clero: le Nove Veneziane.

Soprattutto poi: terreni, bestie, legname, acque piscatorie, primizie, boschi, pascoli, frutti, vino e grano … e aggiungetevi quel che volete. Tutto era Opuse Dei, ma soprattutto traducibile in: Bonus Homini … di certi Homines, cioè i Sodales: i facenti parte delle Congreghe Veneziane dediti al Partidòr (la spartizione).

Qualche ulteriore esplicazione ?

Cospicue furono fin dal principio le proprietà via via accumulate lungo i secoli dalle singole Congreghe dei Preti Veneziani.

Nei Catasti della Congrega di Santa Maria Materdomini si ricordanocapitali di contanti versati in Partite Vechie e Terminazioni di credito del Provveditor Ori et Argenti in Cecca (Zecca)”. La Congregazione era diventata ricca in virtù di tanti Lasciti, Testamenti e Comissarie che le donarono diverse case e botteghe nelle Contrade Veneziane di San Marzial, San Trovaso, San Paternian e all’Anconeta di San Marcuola. Aveva inoltre la proprietà di un forno a San Moisè (1517-1686), di una fornace e diverse case a Murano, e diverse affittanze di: “Aziende in Terraferma di beni di campagna, cioè: campi e fabriche in San Michele dell'Abadesse (1605-1796); chiusura di Trivignan (1479-1700); campi di Bordugo sotto Tre Baseleghe; campi di Calzan sotto Mestre; campi sotto Noal (1600) e le chiusure di Trivignan, di Martellago.

Nel1503-1522 la Cieresiadi Santa Maria Materdomini aveva provveduto alla:"Vendita alla Schola di Santa Maria Maggiore delle caxette a San Nicolò sogette alli Anniversari Cattaneo e Dardi e di ragion libera della Veneranda Congregazione, il ricavato delle quali fù investito in campi, fabriche e casa coloniale a San Michele delle Badesse"… La Congrega inoltre controllava la chiesina del Palù sotto Castelfranco, e gestiva 8 Commissarie corrispondenti ad altrettanti patrimoni: Comissaria Arrigoniistituita con testamento 1650 da Giovanbattista Arrigoni Prete Titolato di San Pantalon; Comissaria Bianchi istituita con testamento1686 da Carlo Bianchi Pievano di San Geremia, comprendente una casa d’affitto a San Trovaso al portico scuro, una casa alla Anconetta, case a Murano, un forno a San Moisè, e diversi campi con casa a Ronchi di Piombino e alla fossa padovana”; Commissaria Danieli istituita con testamento 1674da Pasqualino Danieli Pievano di San Beneto e Vicario di San Marco, con obligo del Vespero et Noturno de Morti nel mese di maggio”; Commissaria Pre Pietro Filomusio istituita con testamento1592 da Pietro Filomusio Pievano di San Paternian:con capitale di denari 3.740 effettivi nel Deposito in Zecca ai 3 %, e delle doti da pagarsi a Donzelle Graziate”; Commissaria fu Nobil Marchese Domenico de Lazaraistituita nonostante la contrarietà di suo fratello Federico nel 1713;Commissaria Rossi istituita con testamento 1633 da Cristofolo Rossi Primo Prete titolato di San Paternian, che lasciava beni a Casal, campi a Zerman, e una casa in San Paternian”; Commissaria Benvenuta Vidali(1592-1734); Commissaria Zecchini istituita con testamento 1654 da Giovanni Battista Zecchini Primo Prete Titolato di San Geremia: “concerneva la proprietà di una casa posta a Santa Maria Maggiore, aquisto di campi uno a Pontechio, e il pagamento di alcune grazie alle Figlie della Pietà per le quali si andò a processo contro Pios Hospitales Pietatis et Mendicantium nel 1655, e contra Dominum Marcum Brolum, Dominum Bortolameum de Rusto, Venerandam Scholam Santi Joanni Evangeliste, et contra Schola de Sartori nel 1639.”

Nell’Archivio di San Silvestro, invece, si trovano abbondantissimi documenti di edifici e proprietà della Congrega: stalle, case, tese, forni e cortivi posti in Massanzago. Scriveva Girolomo Biondi Nodaro della Congregazione e Jacobus BellanusPublicus Notarius nel Libro de' Capitoli della Congregazione di San Silvestro ricordando il: “Legato Alvise Bagato, chiesura e negozi di Mazanzago livellata alla Signora Caterina Draghia dopo all’antecedente Gerolamo Nascimben."(1533-1744); le “Controversie dei Procuratori della Congrega e del Reverendo Florio Bellan Curato in San SeveroProcuratoraffiancato dall'AggiuntoProcuratore Don Bortolamio Lanfranchi Pievano di San'Eustachio (Stàe), con affittuali Boscoli di Chioggia e Massanzago; le riscossione crediti attinenti il Livello diDomenico Zuanne Draghia per la stessa chiusura nella Podestaria di Campo San Piero”; e di una Controversia Lisatti pertinente il terreno in Canale di Valle distretto di Chioggia Comune di Sant'Anna lasciato nel 1524 da Don Biagio Cattarini alla Congregazione di San Silvestro e da questa concesso in enfiteusi e a livello a Giuseppe Lisatti ed eredi.”(1524-1860); di una Commissaria di Don Biasio Cattarini III.

I documenti della Congrega di San Polo, fra le mille altre cose raccontano anche di: “Rendite annuali di 28 ducati da beni immobili in Venezia: una casa a San Gregorio,beni a Caltana, capitali investiti in Zecca, nei Depositi Pubblici e in partite del Banco Giro.”(1740)

La Congregazione di San Cancian vantava proprietà di: “campi 7 e un quartoe beni in Faverigo Villa Sant´Eufemia sotto Campo San Pietro in territorio padovano(1532-1760) ... Quella di Santa Maria Formosa: “gestiva cospicue partite e depositi in Zecca, e beni che possedeva nelle Ville sotto la giurisdizione di Padova:campi posti nella Villa di Fiumesello et parte sotto al Comun de Puoti, sotto Villa Nova sotto Campo San Piero, che erano dei Zulian; a Monsuè di Porto Buffolè; a Cittadella acquistati da Prè Giovanni Maria Carrara per Don Gerolamo Colti; e terreni nei pressi della Quinta presa della Brenta …” (1575-1780).

Nei documenti di San Salvador si accennava, infine, a un fittavolo di Trebaseleghe nel 1935, e di altro.

Un gran malloppo insomma, un gran calderone di beni lasciato ai Preti col compito di Pregare e Suffragare, dando in cambio un annuale “Bòn Partidòr”: una specie di premio-rendita … “Do ut des”.

Tutti i beni del grande patrimonio sparso delle singole Congreghe delle Nove è via via confluito nella gestione unitaria centralizzata del Collegio delle Nove: “Qualunque ben regolata Società deve avere chi la regga, chi la governi, e chi l'amministri. A questo fine dal numero dei sacerdoti, che compongono le Nove Congregazioni vengono scelti trenta individui, l'unione de'quali forma il Collegio. I nove Arcipreti capi delle Congregazioni durano in vita, ed altri ventuno, mutabili dopo due anni, formano il corpo governativo del detto Collegio, che ha l'autorità assoluta di stabilire leggi disciplinali al mantenimento dello statuto, e dell'interna amministrazione … La Presidenza del Collegio è formata di sei Arcipreti, de' quali tre a vicendasi cangiano di due in due anni fra dessi, ed altri tre col titolo di Sindaci Maggiori si scelgono tra il numero degli altri ventuno di due in due anni vicendevolmente da tre Congregazioni. Queste sei persone che devono vegliare al ben essere dell'economia è il Corpo Amministratore di questo Clero. A queste sei solamente appartiene il firmare le affittanze, i fogli d’amministrazione, le polizze di spese, i mandati di pagamenti, e senza la firma dei suddetti non possono acquistare valore. Le Congregazioni, coll'attribuire a questo corpo l'autorità assoluta di formar leggi di sciplinali, ed economiche, all'osservanza delle quali si assoggettarono fino da cinque secoli, gli concessero ancora il potere di mutare, quand'era d'uopo, le vecchie leggi, come fece spesse volte, per crearne di nuove … A conservare la serie non interrotta delle sue leggi, ed a disporre gli atti in modo facile a ritrovarli, quando abbisognano, creossi un custode a cui diedesi il titolo di Cancelliere, ed a promuovere, e sostenere le cause un Ragionato coll'obbligo di assistere a tutte le adunanze della Presidenza Collegiale. L'amministrazione di questo corpo veniva poi protetta, e sostenuta dal cessato governo della Repubblica, nel Consiglio dei X e nel Senato.”

Dal 1559 allora, i Preti misero la sede unitaria delle Nove del Cleroprima in Contrada di San Vidal, poi in una casa in Contrada di San Paternian al civico rosso n° 4225, dove ancora oggi si può leggere sopra alla porta l'iscrizione: IDEO OPT - MAX R CLERI CONGREGATIO NVMI COLLEGIVM ANNO DOMINI MIDIXXXIIII.

Da allora, una piccola schiera di “Ragionati, Cassieri ed Esattori Laici” preposti all'amministrazione delle rendite del Clero delle Nove iniziò sotto l’attenta supervisione del Clero a registrare ogni movimento inerente al patrimonio delle Ceresie tenendo meticolosamente: "Libri del dare e avere”, “Entrade in monte”, “Affittuali”, "Libri di cassa", “Cassa contanti … Cassa valuta corrente”, “Esazioni … Reversali”, “Mandati di pagamento … Visti per la regolarità”, “Investimenti in Zecca e nello Stato Veneto” e “Rendite fondi pubblici” … Un mare di Carte e scritture delicatissime, preziose a volte, soggette in più occasioni a manipolazioni e furti (1542-1635), forse per liberare qualcuno da gravi pendenze e debiti, “o per sconder qualche incongruo imbrogièsso”.

Appositi “Libri Partidori e Quaderni' riferivano puntualmente d’introiti e rendite derivate dai Fondi da distribuire agli Iscritti considerando “Parti” o porzioni di merito inerenti a ciascuna Congrega e Prete: “Reverendissimi Pievani”, “Parte infermi”, “Parte VI” (patrimonio in comune a sei Congregazioni: San Michele, Santa Maria Mater Domini, Santa Maria Formosa, Santi Ermagora e Fortunato, San Silvestro, San Luca); “Parte VII”(patrimonio delle sei precedenti più San Polo); “Parte VIII” (le sette precedenti più San Canciano); “Parte IX” (le otto precedenti più San Salvador).

C’erano “Beni delle Congregazioni” sparsi in Laguna, e in ogni angolo del cuore storico e urbano della Serenissima:“Fitti mensili di fabbricati urbani”, "Elenco degli affittuali ad uso dell'Esattore e dei Procuratori del Clero", “Affittuali di Città”, “Cassa mensuale”, “Contratti di locazione per case, negozi e magazzini in Venezia”.

Fin da inizio 1500, le Congreghe dei Preti Veneziani erano proprietarie di: “una casa construita presso Sant'Antonio nel Confinio de San Piero de Castello, a spese de Preti, Plebani e Rettori delle chiese di Venezia, per ospitare un Religioso che avesse cura della Anime de li infermi de Peste in tempore epidemiae morbo” … Le Nove poi possedevano: “Beni, case e negozio di Parte IX in San Martino di Castello” dal 1398, e “Casa con pozzo a San Martino in Calle della Grana”dal 1349, per le quali andarono a processo più volte “Contro Maria Ogniben Fornasieri”, “Contro Paulo Spazziani” e “Contro Zuanne Ruberti”.

Altre case delle Congregazioni sorgevano "in Contrada di San Pantalon dati in affitto"dal 1207:“abusati e insidiati dai Nobili Michiel”; a “Santa Maria Formosa”; "case e magazzino di Parte VIIin Contrada di Santa Marina"lasciate da Filippo Marcello nel 1233.

Una casa a “San Paternian”; “Case e magazzini di Parte VII in Calle del Clero a San Nicola da Tolentino”;Cinque case e terra di Parte VIin Santo Stefano circondariodi San Vidal” consegnate daArmirota Zusto e lasciate da suo marito Giovanni nell’agosto 1224; “Stabili di case e negozio di Parte VIIIinCalle del Cristo in Contrada di San Marcuola” dal 1238, restaurati a inizio 1700; Beni in Sant´Aponal”dal 1192, lasciati da Giacomo Ziani figlio del Doge Sebastiano, per i quali le Nove entrarono in causa “Contra domino Iosephus Savioni de confinio Sancti Apollinaris” nel 1668; “Beni di case, e di casa-bottega di Parte VI in Campiello Sansoni a San Silvestro”; "Beni di Parte VII e VIII nel circondario di San Geminiano" dal 1254;“case e negozi di Parte VIIIa San Marco” “Le otto Congregazioni vengono immesse nel possesso di sei case nel circondario di San Giuliano in seguito a testamento 26 giugno 1253 di Marco Ziani fu Pietro”.

E ancora: Nove case e magazzino in Contrada di San Simeone Profeta nel Sestiere di Santa Croce, divenute proprietà diParte VIIIdelle Congregazioni secondo le volontà testamentarie di Marino Belloni nel 1255”; "Case a San Trovasoin Calle Cerchieridi Parte VIII" dal 1598, “con imprestanza de dinaro ai residenti”, e diverse case, magazzino, bottega, e casa-bottega di parte VIII e IX al Ponte dei Turchie inCalle Lunga San Barnabadal 1317, poco distanti dall’Ospizio delle Pizzochere dei Carmini con le quali il Clero entrò più volte in conflitto … “una casa di parte VIII e parte IX in Parrocchia di Santa Maria del Carmine”“Case a San Iseppo di Castellode Parte de Reverendi Pievani”;  “Case in Contrada di San Geremia, e una caxetta alle Chioverete di San Giobbe”;"Beni di un Casa Nova in Contrada di San Ziminian fabricata nel 1579 inCalle Fiubera poco distante dalQuartiere abitato dagli Armeni”“una casa a Santa Sofia“una ruga de case et botteghe in Calle delli Fauri”“una Bottega in Calle della Bissa”poco distante dall’Emporio Mercantile di Rialto, e "Quattro case nove di Parte VIIIin Contrada de San Zulian al Ponte dei Feralli e in Calle Fiubera verso San Giminiano"(1690-1792) per  le quali San Geminiano dovette lottare a processo non poco contro Zen, contro Salvioni e Peretti, contro Pietro occhiararo, col NobilHomo Andrea Dolfin, contro le sorelle Poli o sia Nicolò Ravenna o Marco Galibelli, e contro Domino Francesco Plebani cessionario di domino Andrea Pace.”

E questo per quanto riguarda il Centro Storico Veneziano lungo i secoli, soggetto a continuo va e vieni, compra e vendi.

C’era poi la Terraferma Veneziana … “la Campagna” con "Fitti colonici e fondi rustici”, “Affittuali di Campagna e Terraferma”, “Fitti Fabbricati Marghera e Mestre”, “Contratti di locazione per case, negozi, magazzini, terreni, appezzamenti, case coloniche, chiusure e possessioni nelle province di Venezia, Padova e Treviso”.

Le Nove del Clero possedevano terre e beni immobili a Mestre, in “frazione di Carpenedo”(1327-1937)col casino e la Campagna di Parte IX, e a Zelarin locati a Nicolò Saorino nel 1450” … “Affittanze di campi in Carpenedo a Prè Francesco beneficiato in Sant’Angelo”(1459).Su quegli stessi beni l’anno seguente le Nove del Clero concessero a Giuliano Zetino di fabbricare una tezza (tesa) … Nel più recente 1910-1940, invece, le Nove del Clero vendettero una parte di quei terreni “ad uso cimitero militare”, o ad “accesso per pubblica strada”nel 1919-1937.

Poi ancora, le Nove avevano: “Beni in Piove di Sacco" fin dal gennaio 1388 … “campi otto in Villa di Brozzuol presso Padova”“Le Congregazioni del Clero vengono immesse nel possesso di campi 9 a Camponogara di Piove di Sacco lasciati loro da don Andrea Avanzago” nel 1463 …  “Beni in Torresino”nel 1520Beni in Terraferma” con affittanze e locazioni a: Gambarare, Martellago, Spinea, Salzano, Pianga, Rio San Martin, Santa Maria di Sala, Cadoneghe, Sant’Eufemia e San Michele di Borgoricco, Camposampiero, Trebaseleghe, Villanova di Campodarsego, Bruggine, Riese, Campo Nogara e Dolo ...e terreni nella seconda e settima “presa del Brenta e del Marzenego ed Oselin”.

Campi” in Spinea, Taieroli e Zellarin (sui quali nel 1933 si concesse il passaggio della strada Castellana); “campi a Trevignàn e Pianiga, case e casoni inSalzàn frazione di Toscanigo, a Martellago; che erano stati di Pietro Manzini; e a Zigaraga di Maernegià venduti in precedenza nel 1327 ad Antonio strazzarol da Padova; e da Giovanni Contarini a Marco Pesaro;e a Nicolò Parroco di San Cancian di Venezianel 1346” ...Lo stesso Nicolò Parroco di San Cancian aveva comprato nel 1344 in Zigaraga anche altre tre pezze di terra da Nicolò e Zaurino Zucchello. Morendo Prè Nicolò lasciò tutto per testamento alle Nove del Clero, insieme ad altri beni in Villa del Contò. Le Nove del Clero provvidero subito ad affittarle a Tommaso Massaro, poi a Nicolò Bertigli nel 1543, e a Domenico e Antonio fu Tomaso nel 1552.  Sugli stessi beni del “defunto Prè Nicolò de San Canzian” venne emessa “Sentenza dell'Ufficio del Procurator in una lite tra le Congregazioni e Giacomo Soligo per uso acqua in Zigaraga” nel 1408 ...Altre sentenze vennero emesse in seguito “contro Bartolomeo Bon, Zamiro e Bartolomeo Tomaele affittuali”(1477);“Sentenza arbitraria nella vertenza fra il Clero di Venezia e Barolomeo Bovino” (1480);“Intimazione dell´Ufficio di Petizion a Nicolò e Giacomo Marsoni di pagare alle Congregazioni del Clero 30 stara di frumento” (1569); e contenzioso “per l’uso di uno stalo per le pecore delle possessioni del Clero” (1753 -1755).

Che lista ! … e continua ancora: “campi e beni a Rio San Martin di Scorzè, aSanta Maria di Sala, a Cadoneghe, a San Michele e Sant’Eufemia di Borgoricco … una casa colonica aCamposampiero, altre case e terre aTrebaseleghe, Villanova di Campodarsego, Vallà di Riese nel distretto di Castelfranco, aBrugine, chiesure e beni del 1388 in Camponogara in Piove di Sacco di parte VIII”“Vendita di campi otto in Villa di Brozzuol o Pronzuol presso Padova dei beni del fu Domenico Guizzolotti dati ad Andrea Avanzago Pievano di Santa Margherita, e lasciati alle Congregazioni dei Preti” (1463)“Beni di Parte VIII nel Territorio Veneziano nella frazione di Prozzolo distretto di Dolo”.

Che ve ne pare ? … Il tutto condito da un’infinità di cause, liti e processi di lunga durata contro tutto e contro tutti per difendere gli interessi delle Ceresie Veneziane. A volte per beni consistenti, altre volte per vere e proprie stupidaggini, come quando la Congrega di Santa Maria Formosa arrivò a: Lite col reverendo Capitolo della Parrocchia di Santa Maria Formosa per un armadio.”

Tutto accadeva tuttavia sotto l’occhio vigile della Serenissima: era soggetto alle regole dei Dazi, delle Dichiarazioni alla Repubblica, al pagamento delle Decime, delle Gravezze e dei Campatici esplicandosi in un mare di bilanci, polizze, assicurazioni, resoconti e controversie.

Basta … mi fermo qua.

Scriveva Francesco Cornernel 1754: “I Preti Veneziani, comprendendo di quanto aiuto essi sarebbero stati nell’eccitare all’amore reciproco tutti i Cittadini, provenienti da varie zone della Terraferma e di costumi diversi, con il loro esempio più con le loro parole, istituirono dell Associazioni, volgarmente chiamate Chieresie con lo scopo di riunirsi a pregare pubblicamente assieme e a suffragare i Defunti … e poi le trasformarono nelle Fraterne con lo scopo di alleviare le Anime del Purgatorio, e di aiutare i Confratelli ammalati o bisognosi …”  

Lungo i secoli, diverse volte i Patriarchi Veneziani sono intervenuti a regolare le Congregazioni del Clero Veneziano. E’ intervenuto Lorenzo Giustiniani nel 1443, il Patriarca Bondumier nel 1460, Girardi nel 1470, Trevisan nel 1565, Corner nel 1637 dopo la Grande Peste, il Patriarca Austriaco Pyrcher nel 1826, e Trevisanato nel 1866. Curioso l’atteggiameno del Patriarca Austriaco Pyrcher: ci tenne parecchio a riaffermare che le Congregazioni era soggette e dipendenti dai lui. Infatti, perché gli Arcipreti non fossero troppo potenti, mise “ab triennium” la carica d’Arciprete delle Congreghe, e schifato dal fatto che tanti Preti Veneziani, secondo lui, erano troppo ignoranti, impose l’obbligo alle Congregazion del Clero di organizzare convegni di studio per i Preti “circa le cose della Dottrina e della Chiesa”.

Dal 1872 le Nove sono diventate Opera Pia trasferendosi in Contrada di San Zuliàn.

Il Presidente delle Nove ha precisato di recente: Dal 1911 il Collegio delle Nove inteso come Ente Morale è soggette a Gestione unitaria Indipendente dal Patriarcato affidata a un organismo di di 27 membri, con un Consiglio di sette Preti che nominano un Presidente in carica per tre anni ... I Sacerdoti iscritti alle Nove continuano a radunarsi in Congrega di solito alle "Kalende" di ogni mese, e nelle principali Feste Cittadine Veneziane ... Attualmente sono iscritti alle Nove Congregazioni del Clero circa più di metà dei Preti del Patriarcato di Venezia ...”

Nel 1975 i rappresentanti del Collegio delle Nove si riunivano nella Sacrestia di San Salvador.

Quest’estate ero presente il giorno della Festa sulla Fondamenta del Redentorequando è sfilata la solenne Processione Tradionale guidata dal Patriarca di Venezia. Ho contato presenti solo una trentina di Preti insieme a Patriarca e Autorità Civiche, che un tempo s’accapigliavano per prendere i primi posti in quei solenni appuntamenti Veneziani, mentre oggi fanno a gara per disertarli iviando rispettabilissimi rappresentanti e sostituti: “allergie e ritrosie storiche innate a questa nostra Epoca”.

Secondo alcuni sintetici dati che ogni tanto vengono esternati dalla Curia Patriarcale in occasione di qualche clamore o fatto di cronaca Lagunare, da un recente censimento le proprietà Ecclesiastiche Veneziane assommano a 460 beni immobili.  Cinque sono le Istituzioni che le gestiscono: Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, Seminario, Opera Santa Maria della Carità, Ente Diocesi Patriarcato di Venezia e fatalità: Opera Pia Nove Congregazioni del Clero che è ancora viva, vegeta e operativa. Fra gli immobili censiti appartenenti ancora ai Preti e alle Nove del Clero: 270 sono appartamenti residenziali, 160 dei quali, fra alloggi, botteghe e magazzini si trovano a Venezia Centro Storico. Da quanto è dato di sapere, sono quasi tutti affittati o “prenotati a prezzi equi e calmierati di mercato”, e concessi a persone anziane, sole o bisognose:“In Calle Fiubera a San Marco, le Nove Congregazioni sono proprietarie tra l'altro di quattro unità immobiliari: due appartamenti e due negozi, giunte alla scadenza del contratto. Gli affitti dei due alloggi erano di 441 e 266 euro al mese portati rispettivamente a 500 e 390 euro, mentre ai due negozi è stato proposto di aumentare l’attuale locazione di 1.445 euro mensili portandola a 1.750 e 1.659 euro …” 

La Chiesa è sempre Chiesa con le sue acrobazie economiche recondite di scarsa trasparenza e grande riserbo ... L'attuale indirizzo economico del Patriarcato sembra essere quello di vendere terreni e proprietà sparsi in giro concentrandosi sull’acquisto e la conservazione di proprietà nel Centro Storico Veneziano. Raccontava in un’intervista il Presidente delle Nove Congregazioni del Clero Veneziane:Perdipiù i proventi degli affitti, una volta pagate le tasse Ici compresa, vengono in buona parte utilizzati per la manutenzione. Interventi doverosi per garantire sicurezza e qualità della vita agli inquilini soprattutto ... Quanto rimane viene destinato alle finalità dell'Istituzione, cioè all'aiuto dei Confratelli in difficoltà, oltre che a contributi al Seminario, e a Carità verso le Missioni … le popolazioni colpite da calamità naturali ...”

Tempo fa è trapelata la notizia di un recente restauro di alcune “caxe del Clero” sul Rio diNoale a Cannaregio. Si tratta di dodici alloggi di varia metratura parte di palazzo chiamato appunto:“Cà Noale”di proprietà del Seminario Patriarcale di Venezia.

Potrei raccontarvi molto altro di vecchio e nuovo rischiando però d’annoiarvi gravemente … Mille aneddoti storici grandi e spiccioli delle Cogregazioni Veneziane dei Preti sono raccolti e conservati in scritture e documenti delle Nove del Clero. Una parte della documentazione risalente a prima del Mille è finita bruciata dal fuoco ancora nel lontano 1467, quando bruciò la casa di Prè Paolo de Benedetti Piovan di Santa Maria Zobenigo del Giglio dov’era raccolta … Ne rimane comunque ancora tantissima risalente al periodo 1192-1998, che è consultabile negli Archivi delle Nove del Clerodepositati nella Curia Patriarcale di Venezia … Se ne potrebbe fare una vera e propria letteratura … ma sapete com’è.

Alcune chiese che ospitavano le Nove del Clero oggi non esistono più: come Sant’Angelo, o sono desuete e chiuse, sull’orlo dell’abbandono: come Santa Maria Materdomini la chiesa delle Sette Madonne oggi in restauro … Altre sono socchiuse: aperte a pagamento per i turisti, o per le smanie liturgiche di pochi Cristiani affecionados quasi fanatici.

Le Nove del Clero ? … Storie dimenticate quasi, coperte ormai da un velo nebbioso di dimenticanza e disinteresse, a volte appena rispolverate da qualche Tesi di Studio di qualche Universitario/a curioso ... Peccato … Un altro spicchio di Venezianità ormai tramontata ... curiosissima però.

 

Il Castagnàro Spizièr a la Zuèca

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#unacuriositàvenezianapervolta 298

Il Castagnàro Spizièr a la Zuèca

Raccontano fra il tanto altro le solite Cronache Veneziane quasi pettegole: “Nel 1600 era attivo al Redentore della Giudecca un Fratacciòn, Padre Spizièr … Infermièro anche.”

Mi sono incuriosito ovviamente, perché anch’io vivo, lavoro e penso da Infermièro… Quello era un Veneziano fra Veneziani intento a vivere e servire la Zuècca e i mali e i guasti della sua epoca ... Una specie di collega d’altri tempi, mi sono detto.

Poi lo sappiamo bene tutti: le Pesti Veneziane del Redentore e della Salute hanno contato morti su morti: decine di migliaia, e hanno segnato in maniera indelebile la Storia della nostra antica Repubblica Lagunare.

Sono stati bravissimi quei Veneziani di allora nel saper “andar oltre l’epidemia pestilenziale” Forse più di noi, fatte le debite proporzioni … Teniamo inoltre conto che certe epidemie allora si presentavano “ogni do e do quattro”, cioè: di continuo, e martoriavano ogni volta l’intera società Veneta, l’Italia, l’Europea e il Mediterraneo con l’Oriente. Non era mai finita: ogni volta si doveva ricominciare tutto da capo … C’era appena il tempo di tirare il fiato un attimo, che poi si ripartiva con un altro contagio disastroso.

Mi sono imbattuto casualmente nel poco conosciuto Castagnàro (1564-1640), che mi ha subito calamitato, soprattutto perché dopo 40 anni di professione Infermerària esercitata direttamente “sul campo” dentro al Convento dei Frati Cappuccini del Redentore della Giudecca, ha scritto anche un bel libretto. Quando ho provato a leggerlo, non sono riuscito più a distaccarmene, e me lo sono “bevuto tutto d’un fiato” dall’inizio fino alla fine: “Bravo il Castagnàro !” ho borbottato fra me e me alla fine.

“Sono Francesco dal Bosco da Valdobiadene Frate Minorita Cappuccino, che tutti chiamano “il Castagnàro” … Ero un Erbolàrio del Convento, uno Speziàle del Redentore, cioè un Farmacista di una volta.” così inizia il suo libro.

Incuriosito, sono andato a controllare: il Castagnàro non è stato affatto una fiaba, o un prestanome letterario pseudonimo e inventato. C’è stato per davvero in quegli anni un Frate Cappuccino Spezière e Infermerario vissuto alla Giudecca, e chiamato proprio così.

E’ simpatico e accattivante il Castagnàronel scrivere. Sembra quasi un fiume in piena nel suo modo di esprimersi, pare quasi abbia fretta di raccontare tutto prima che sia troppo tardi, prima che certe memorie vadano sfortunatamente perdute. Perciò spiega e descrive per filo e per segno ogni “rimedio” che aveva a disposizione ... Erano quei “ritrovati medicamentosi” che traeva dai Semplici dell’Orto del Redentore. Si sa bene che il Redentore dei Cappuccini della Giudecca era il Convento dell’isola meglio fornito di terra e di spazi da coltivare oltre che di persone preparate e capaci al riguardo: “si coltivavano 59 specie diverse di Piante Semplici, insieme a Ulivi, Viti, Alberi da frutto, Ortaggi e alcune Erbe Aromatiche ... C’erano: la Rosa, il Cumino, il Giglio, la Salvia e il Rosmarino, ma anche la Belladonna, il Giusquiamo, l’Elleboro, la Nicotiana, la Digitale e molto altro.

Non si sa molto del Castagnàro, quasi solo il nome e qualche spicciola nota, ma è rimasto quel suo testo prezioso che in qualche modo riassume non solo la sua cospicua sapienza, ma riflette anche indicazioni sulla sua personalità, intelligenza e abilità ... Era un buon Infermierone a tutto tondo: abile e competente, ammirevole per davvero.

La Giudecca di metà 1500 ai tempi del Castagnàro è descritta nelle Cronache Veneziane: “pel gelo principiato gelò la Laguna, Canal della Zuecha e fino a Muran … Le barche de’ tragitti tiravansi con corde e si va a piedi da le Zattere a la Zuecha.”

Il fango ricavato dallo scavo del Canal Grande e del Porto Veneziano affacciato sul Bacino di San Marco veniva scaricato a sud della Giudecca dal lato Laguna creando nuove sacche e nuovi spazi dove sorgevano in fretta altrettanti nuovi squeri, magazzini e caxette da abitare ... Era piena di vita, e ferveva d’attività e persone di tutti i tipi quella parte di Venezia.

Giusto a metà secolo sull’Oltrecanale delle Zattere dei Gesuati: Betta Contessa faceva la puttana per uno scudo in casa della barcarola che le abitava sottocasa, mentre Bertolina Ruosa faceva lo stesso “antico mestiere” poco distante in Contrada di Sant’Agnese vicino al Ponte del Ridotto,dove c’erano anche Cornelia De Stefani “che voleva 6 soldi a bòtta”, e Catarina da Lodi “dona maridàda che lavorava verso San Vio”. Bettina e Chiaretta Padoane, invece: “stavano più avanti” nella Contrada di San Gregorio al Ponte dell’Asèo, in Calle della Lanza: “Non c’era concorrenza fra loro: c’era lavoro bastevole per tutte e due.”

Alla Zueca, invece, al Lago Oscuro, c’era Chiara Buratella in casa di Laura “la Grassa”disponibile per 2 soldi … Nel 1566 Antonio di Faustin faceva il Murer alla Giudeccadove vivevano circa3.759 Veneziani diventati così pochi per colpa della Peste, tornati ad essere 4.409 nel 1642 quando nell’Isola erano aperte e funzionavano di nuovo 51 botteghe.

Nell’Isola di Spinalonga, cioè sempre alla Giudecca, si radunavano e avevano sede numerose Compagnie ovvero Accademie della Calza che coinvolgevano e interessavano soprattutto Veneziani facoltosi e Nobili, ma anche: “liberissime Nobildonne e Dame di Casada”.

I Compagnidella Calza guidati da Prioree Camerlengo, e serviti da Segretario e Cappellano, osservavano, anche se non sembrava, uno specifico Statuto,  indossando “bràghe attillate”, portando ricamato sugli sbuffi delle maniche e sul rovescio del cappuccio: “l’impresa o stemmadell’Accademia d’appartenenza”, e scambiandosi un affettuoso bacio di pace quando s’incontravano o lasciavano per strada.

Una delle “idee guida” di quelle Accademie Giudecchine e Veneziane, era che quelle aggregazioni andavano considerate come un Hortus Conclusus”, in cui gli aderenti “si scambiavano sentimenti e preziosità ai fini di trarre efficace giovamento quanto i Semplici delle Spezierie dei Monaci.” … Bellissimo ed efficace paragone !

Nel luglio 1575 in Contrada di San Marzial nel Sestiere di Cannaregio, in casa di Vincenzo Franceschi si ospitò un Trentino della Valsugana: era infetto dal morbo della Peste. Morì in fretta e senza soldi, perciò gli vennero venduti i vestiti per pagargli il funerale. Furono comprati da alcuni della Contrada di San Basiliodall’altra parte di Venezia, e fu proprio lì che qualche giorno dopo s’incominciò a morire in tanti di Peste, mentre altre 3 donne morirono nella casa iniziale di San Marzial ... Era iniziata un’altra epidemia, e in breve Venezia intera venne falcidiata. La Peste del Redentoresi portò via 40.000 Veneziani: ¼ dell’intera città Lagunare … Furono più di 50.000 le vittime conteggiando il resto della Laguna.

Come ben sapete, a un certo punto, nel settembre 1576,i superstiti idearono la costruzione di un Tempio Civico di Stato che sarebbe diventato “il Redentore”. Il Senato della Serenissimacomprò, infatti, per 2.670 ducati un fondo libero alla Giudecca, e poi altre due pezze di terra occupate da un magazzino, un forno, e da alcune basse caxete ... Costarono rispettivamente 120 e 960 ducati.  Si atterrò tutto, e si diede inizio alla costruzione del nuovo chiesone votivo.

Al tempo di quel singolare gesto pubblico il Castagnàro aveva solo dodici anni. Sapeva quindi tutto di quella storia, l’aveva vissuta in prima persona assistendo a quello scempio mortale con i suoi stessi occhi.

L’anno seguente alla posa della prima pietra del Redentore, mentre Gioseffo Zarlino Maestro e Teorico Musicale della Cappella Ducale di San Marco componeva apposite musiche per celebrare e inaugurare l’evento: la Peste a Venezia cessò ... Pensate quel che volete: la Storia a Venezia quella volta andò così.

Nacque così l’annuale Festa del Redentore:“col Ponte Votivo di barche sul Canale della Giudecca, i fòghi, le luminarie, le magnàe, la sagra sulle rive e i campi della fredda e umida Isola delle Fòche, e l’alba attesa festeggiando sulla spiaggia al Lido … Una delle Feste più nobili dei Veneziani: la Notte Granda del Redentore.”

Il chiesone votivo con l’adiacente Convento dei Frati Cappuccini venne completato solo nel 1592, tra 1578 e 1589 la Serenissimaspese più di 6.000 ducati per dare al Redentore: 3 calici d’argento, suppellettili per gli altari, paramenti per i Frati e i Sacerdoti, e a più riprese (circa 18 volte) spese altri 4.000 ducati per abbellire ulteriormente “il Pubblico Tempio”, e completare Convento e Infermeria dei Frati che ci vivevano accanto ... Quando si chiuse il cantiere e si smontarono le impalcature, vennero inviate al vicino complesso delle Zitelle:“giù e più in là nella stessa fondamenta”, che in quegli stessi anni stava sorgendo.

Il Doge di Venezia fu esplicito con i Frati del Redentore: accanto al chiesone doveva esserci sempre qualcuno, cioè una Spezieria (una Farmacia), in grado di aiutare e assistere sempre i poveri e i bisognosi della Giudecca … e non solo quelli.

Si sapeva che a Venezia esisteva l’avviatissima quanto celebrata e ricca Antica Arte degli Spezieri differenziata in diverse categorie. Le Spezierie Veneziane erano diffuse e presenti capillarmente in quasi tutte le singole Contrade. Ma erano realtà inavvicinabili per molti Veneziani dalle scarne risorse, per cui i Religiosi in qualche maniera integravano quell’attività mettendo a disposizione delle categorie sociale meno abbienti quei preziosi prodotti ... e non solo. Con i loro Ospizi e iniziative prestavano anche assistenza alle “categorie inferiori dei Veneziani”per i quali ammalarsi era più che un lusso oltre che una vera e propria tragedia e disgrazia economica.


Il Castagnàro allora aveva vent’otto anni.

 


In realtà i Frati Cappuccini si trovavano alla Giudecca già da prima del Redentore. Le Nobildonne Fiorenza Cornermoglie di Pietro Trevisan, e Teodosia Scripiana avevano fatto edificare nel 1541 la chiesetta di Santa Maria degli Angeli col circostante Convento-Ospizietto consegnandoli a Frà Bonaventura Degli Emmanueli Minore Osservante, che nello stesso anno lo diede ai Cappuccini dei quali vestì l'abito. Sua madre Lucia Centi, una delle Compagne Devote fondatrici dell’Hospedale degli Incurabili sulle Zattere, donò più volte migliaia di ducati al nuovo Ospedaletto-Convento dei Cappuccini della Zuèca, e donò loro anche una casa di gran valore.

Cinque anni dopo però, Bernardino Ochino Frate Generale dei Cappuccini finì in disgrazia agli occhi della Serenissimae dei Veneziani. Venne accusato insieme ai Cappuccini d’Eresia, perciò per salvar la pelle: gettò via l’abito Cappuccino tornando ad essere Osservante, e buttò in strada i Frati Cappuccini dell’Ospizietto della Giudecca ... I Frati non si arresero né se ne andarono. Rimasero a svolgere la loro attività spirituale e assistenziale alla Zuèca innalzando un piccolo Convento provvisorio di baracche di legno in una zona poco distante detta Monte dei Corni”, per via che là c’era una discarica di resti e corna di buoi della macellagione.

Il Castagnaro in quegli anni doveva ancora nascere.

Due anni dopo ancora, nel 1548, un turbine spazzò via l’Ospizio dei Fratidi Sant’Angelo, e nel frattempo era anche morto il bellicoso quanto velleitario Frà Bonaventura. I Frati Cappuccini allora poterono tornare nella risistemata Santa Maria degli Angeli: erano 16 in tutto ... Poi, come vi dicevo, arrivò la Peste del Redentore, e si era negli anni 1575-1576.

Nella Speziaria-Infermaria sorta al Redentore avrebbe lavorato il Castagnàro che allora aveva 14 anni ... e poi 25 ... Nel 1594 la Serenissima spese ancora circa 140 ducati commissionando la realizzazione di una speciale custodia per il Santissimo del Tempio del Redentore. Servirono nove anni di lavoro per realizzarla … LaSerenissima non intendeva ricredersi: aveva fatto quel gesto del Tempio Votivo, e in qualche modo intendeva prolungarlo e portarlo a compimento dimostrando coerenza e generosità nel patrocinarlo.

Nel 1600 tondo tondo la chiesetta della Giudecca chiamata da tutti di Sant’Angelo, venne di nuovo rifabbricata con i soldi di Raffele Iviziato Vescovo di Zante e Cefalonia, e riconsacrata col titolo di “Gesù Cristo nostro Salvatore”. Si chiamò così secondo alcuni per via della figura d'un Angelo scolpita sul prospetto della chiesuola. Secondo altri: in memoria dell’Isola di Sant’Angelo di Concordia o Contorta dove c’era stato un significativo Convento ... Poco cambiava.

Sei anni dopo ancora, precisamente il 6 maggio 1606, il Doge Leonardo Donà a nome della Serenissima Repubblica pubblicò il cosiddetto Protesto: il documento ufficiale Veneziano con cui si respingeva il Monitorio Pontificio d’ultimatum col quale Paolo V imponeva al Governo Veneziano di piegarsi ai suoi dettami. Venezia non intendeva chinare passiva la testa di fronte alle bizze, alle dottrine e ai capricci del Pontefice Romano … Il Papa quindi s’imbufalì, e il 15 maggio seguente la Serenissima incorse nella Scomunica-Interdetto. Doge e Signoria non si scomposero: risposero di rimando, quindi espulsero dalla Laguna e da tutto il Dominio Veneto tutti i Frati Cappuccini compresi quelli del Redentore della Giudecca, e già che c’erano mandarono via da Venezia tutti i Padri Teatini compresi quelli di San Nicolò dei Tolentini, soprattutto i potenti Padri Gesuitidichiaratamente troppo filoPapali, e perfino due Frati Eremiti Camaldolesi di Monte Rua sui Colli Euganei, che avevano alzato la cresta troppo a favore del Papa di Roma.

I Frati Cappuccini del Redentore che fecero fagotto lasciando la Giudecca, all’epoca erano: 150, di cui 20 Nobili o figli di Nobili.

Il Castagnàro allora aveva 42 anni.

Nel 1610 il ponte di barche della Festa del Redentore si ruppe e crollò causando diverse sventure ... Dieci anni dopo ancora arrivò di nuovo la Peste a Venezia: quella della Madonna della Salute… quando il Castagnàro aveva ormai più di 50 anni.

Il 19 luglio 1620 Claudio Monteverdiscrisse: “Mi s’aggiunge il bisogno di servire questa Serenissima Repubblica dimani che sarà alli 20 del presente alla chiesa del Redentore, giorno celebrato da questa Repubblica in memoria di una Grazia ricevuta da la man di Dio che fu la liberazione de la città d’una crudel peste.”

I Frati Cappuccini allora erano ormai rientrati in Laguna e al Redentore della Giudecca da un pezzo.  Probabilmente fu proprio quello il lasco di tempo in cui il Castagnàro prestò servizio e intensa opera assistenziale al Redentore della Zuècca. Aveva 56 anni.

 

Devo fare una sottolineatura … Monasteri e Conventi “da Tradizione”sono sempre stati, almeno nell’intenzione, non solo luoghi di preghiera e meditazione, ma anche di operosità e accoglienza. Oltre a radunare uomini ascetici e contemplativi, offrivano spesso rifugio temporaneo a pellegrini e viaggiatori di passaggio, nonché soccorrevano miseri, malati e senza dimora, che a quei tempi pullulavano ovunque più che mai. Ecco allora perché Ospizi, Ospedali e Ospedaletti si chiamavano così: dal Latino: “Hospes”, cioè "l’ospite, l’ospitare".

Di conseguenza era necessaria la presenza di figure che fossero specializzate nel preparare medicamenti e curare i disturbi, oltre che generosi nella disponibilità e nelle prestazioni. Venezia poi, in quanto “porta di Mare”, era sempre aperta ad ogni novità, per cui confluirono sempre in Laguna: modi, conoscenze, nonché Rimedi, Herbe, Piante, Semi, Pietre e testi portati da Mercanti e Missionari dall’Oriente, dall’Arabia, e da ogni angolo del largo Mediterraneo. Nella consapevolezza Medica e nell’assistenza Veneziana si prolungavano e applicavano lo stile, le conoscenze e i rimedi del mitico Ippocratefondatore della medicina scientifica Greca, e quelle di Galeno di Pergamo, continuatore dell’antico Aristotelismo, da cui derivò la “Galenica”, cioè l'arte di preparare i Farmaci. C’erano poi gli acuti suggerimenti dei vari Dioscoride Pedanio, di Plinio, della Scuola Salernitana con l’erudito Alfano: Frate di Montecassino e medico … Insomma: c’era una foresta intera di dotte conoscenze che pareva perdersi e risalire alla notte dei tempi ... Venezia prese tutto provando a goderne dei benefici.

Già dai tempi più antichi le Regole Monastiche prevedevano la presenza di un Frate o MonacoInfirmarius:“che fosse sapiente, attento e premuroso, cioè capace di prendersi cura dei malati, degli anziani e degli indisposti.”

L’Infermierodoveva agire a favore dei Confratelli, ma anche dei bisognosi, distribuendo secondo necessità: bevande, elettuari, medicine e rimedi di cui era “Prattico”, e si attivava perché ci fosse il caldo o il fresco giusto, e la luce adatta per i malati. Ancora in quanto “Prattico” si dedicava con altri Monaci o Frati alla cultura dell’Orto e delle Erbe Medicinali del Giardino Conclusus dei Semplici, cioè deiMedicamenta Officinalia dell’Hortus Sanitatiscapaci di donare Rimedi ricchi di Significati e Simbologia, ma soprattutto: “buoni per corroborare Anima & Corpore”.




Non ci poteva essere luogo e ambiente più adatto per un uomo come il Castagnàro… Secondo la riflessione e la consapevolezza di allora, il Giardino dei Semplici per le sue capacità miracolose e guaritorie veniva in qualche modo assimilato a un Piccolo Paradiso Terrestre, dove Acqua e Rimedi erano come la Fonte della Vita Eterna, e quasi luogo ancestrale d’incontro-scontro fra Bene e Male, fra Peccato Mortifero, guastatore e Demoniaco e Grazia Salvifica capace di ridare Salute tramite i prodotti della Natura: “dono del Buon Dio”.

Nella mentalità di tanti, l’antico Hortus Conclusus andava contrapporsi al fiabesco Bosco, alla Selva e al Selvaticus: regni disordinati e incantati che ospitavano fiere feroci, Folletti, Elfi, Maghi e Stregoni: tutte figure emanazioni del Male ... Di rimando c’era sempre in giro da qualche parte qualche luogo con Semplici Sanitatis o Acqua Battesimale e Lustrale di Salvezzada contrapporre alle Acque infide e paludose, capaci d’ingoiare, illudere e annegare con le melliflue Sirene e Aguane … I Veneziani che solcavano Lagune e Mari sapevano più che bene queste cose: “Il Mare da Vita e Morte, Annega e Grazia ogni giorno ... arricchisce anche”.

A tal proposito, e solo per fare un esempio, alla Giudecca, a soli due passi dal Redentore, c’era il famoso Pozzo Miracoloso delle Monache di Santa Croxe: “al quale accorrevano in tanti da tutto il Veneto e da oltre per liberarsi da ogni infermità e afflizione del Corpo e dello Spirito” ... Alla Giudecca esistevano quindi molti Horti Conclusi grandi e piccoli, riservati o aperti, ma in ogni caso capaci di produrre e conservare quei “Medicamenta utile per l’esistenza”. C’erano i tre Orti e Giardini Claustrali dei vari: Santi Biagio e Catoldo, Santi Cosma e Damiano e Santa Croce delle Monache Benedettine, e poi c’erano ancora gli Orti e i Giardini di San Giacomo dei Serviti, San Giovanni Battista dei Camaldolesi ... e il Redentoreovviamente, e le Zitelle e le Convertite. La Giudecca pullulava di Orti i cui benefici, almeno in teoria, ricadevano a pioggia su tutti: “Come grandi antenne dirette verso il Cielo, negli Horti della Giudecca si era capaci di captare la Benevolentia Divina … Il miracolo del Redentore sulla Peste continuava giorno dopo giorno all’insegna e al ritmo della generosità e della gratuità: Gratis et Amore Dei erga omnes … Si respirava quasi una certa aria continua di guarigione e di voglia di vivere alla Giudecca ... E la Serenissima Repubblica stessa: pagava, vigilava e garantiva, anche se poi nella realtà tutto si faceva più difficile e più complicato da concedere … Per questo esisteva la Carità dei Frati ricchi di lasciti e patrimoni, esentati spesso da imposte e tributi per dedicarsi a quel Sacro e Umanitario scopo.”


Sempre alla Giudecca sorgevano anche altre realtà grandi e piccole che prestavano assistenza, cioè i vari Ospizi-Hospedaletti sparsi per l’isola: il Brustolado, il Buonaccorso e il Sagredo, tutti poco lontani dal Redentore.

Quasi ogni Convento, Monastero, Abbazia e Ospizio sparsi ovunque nelle Contrade Veneziane aveva: vigne, frutteti e piante ornamentali, e coltivava piante commestibili per rifornire Cucina e Refettorio, e per soddisfare e realizzare le varie Diete e Ricette di Grasso e Magro che scandivano e accompagnavano i Tempi Liturgici delle Feste e dei Digiuni … I Banchetti di Monaci e Monache, si sa, erano come una “Messa parallela” che si celebrava per nutrizione il Corpo con la stessa intensità e prodigalità con cui si nutriva lo Spirito dentro alla chiesa e nel Coro a suon di Funzioni, Orazioni, Processioni e Messe.




La Storia Veneziana ci racconta che molti Enti Ecclesiastici Venezianiaprivano spesso qualche finestrella “in fondo a Corticelle Sconte o Calli Morte” da dove dispensavano quotidianamente non solo minestre, ma anche cibo, “vestimenta e medicamenta”, e rimedi. Il tutto quasi sempre: “Gratia et Amore Dei”. Per secoli a Venezia ci sono state file quotidiane di mendicanti, bisognosi e malati ad attendere il pane e il pentolone delle Monache, o appunto: i soccorsi dei vari Infermieri, Herbaroli e Curanderi dei Conventi e dei Monasteri… L’esercizio della Carità a Venezia è stato una vera e propria Storia a parte.

 

Anche molti Nobili Veneziani avevano alla Giudecca oltre ai Palazzi, anche i loro Orti e Giardini Conclusi. Molto spesso alcuni li usavano come luoghi di delizie, bagordi, associazionismi e feste … Altri come luoghi di Cultura dove sperimentare Botanica o esprimere Letteratura … Un grande Orto della Giudecca venne trasformato anche nella Cavallerizza, dove si poteva divertirsi in tutti i modi lasciando a parte e dimenticando almeno per un poco o almeno per una notte intera “sia i guasti del Corpo che dell’Anima”.

Sin dal 1309 si hanno notizie di Frati dediti a insegnare Fitoterapia e Arte della Spezieria a Confratelli Novizi o di altri Conventi. C’erano altri  Frati che andavano a studiare Medicina e a specializzarsi ed erudirsi in Speziaria, Muschiaria e Profumariafino a Parigi ... Un po’ per volta, tutti gli Ordini Monastici e Conventuali:Benedettini, Domenicani, Francescani, Agostiniani, Certosini, Cappuccini, Camaldolesi, Carmelitani e Gesuiti si prodigarono, chi più e chi meno, in Opera d’Assistenza e nella gestione di Ospedali e Spezierie. Nel 1381 i Domenicani dell'Antica Spezieria di Santa Maria Novella di Firenze vendevano l'“Acqua di Rose"come rimedio e disinfettante utile per le epidemie ... Le Monache Bolognesi del Corpus Domini erano famose per i loro speciali cerotti all’'"Elettuario di Calybes", mentre quelle di San Pietro Martire lo erano per l'“Unguento di Rose", quelle di San Gervasioper il "Vino di Ciliege", e quelle di San Lorenzoper l'”estratto di Cappone" ... Tutte vendevano e spedivano rifornendo anche Venezia ... Il Frate Agostiniano Evangelista Quattramistudioso di Botanica e Teologia a Roma, coltivatore e distillatore di Herbe, ha scritto nel 1586 un testo sulla Peste, con l'intento di preservare i Confratelli dal contagio, e dieci anni dopo un altro trattato sulla Teriaca: “Antidoto universale per ogni male” ... Erano gli anni immediatamente seguenti alla Peste del Redentore di Venezia.

Ancora nel 1760 a Padova, tutti i venti Conventi Femminili cittadini erano dotati di propria Spezieria “aperta a intendere i bisogni dei Viciniores della Contrada”.

 

Il Frate Castagnàro della Giudecca fu quindi depositario e continuatore di tutto questo: “Herbis, non verbis fiunt medicamina vitae ... Herbis, non verbis curantur corporis artus … Herbis, non verbis fiunt unguenta saluti … Herbis, non verbis redeunt in corpora vires.” ripetevano i Frati Infermerari e Spizieri compreso il Castagnàro… Cioè: "Con le erbe, non con le parole si fanno i medicamenti utili per la vita / Con le erbe, non con le parole si curano le membra del corpo / Con le erbe, non con le parole si realizzano gli unguenti utili per la salute / Con le erbe, non con le parole ritornano le forze nei corpi".


Me l’immagino all’opera il Frate Castagnàro, fra ceramiche, mortai, pestelli, bilancini e fragili vetrerie “coi lambicchi di Murano”, e poi: vasellami e brocche, alambicchi e albarelli. Erano il regno dello Speziàle e Aromatario ... Di sicuro il Castagnàro: classificava, schiacciava, essiccava e distillava erbe, foglie, radici, bacche e fiori, preparava essenze, elisir, pomate, sciroppi e balsami guidando e interagendo il piccolo esercito dei Conversi, dei Famigli e degli Ortolani sottoposti e stipendiati dai Frati del Redentore della Giudecca.

Sentitelo: “Vorrei pure parlarvi de mie seicento fra Albarelli, Tisaniere, Boccie, Boccali, Brocche, Orci e Vetrerie … Delle Bozze et Lambiccherie che mi hanno costrutto i Vetrai di Murano … Sapete ! … Alla fine del mio umile testo ho posto un’Orazione come chiave d’oro per aprire il Paradiso … ogniqualvolta si cada in peccato mortale … ma ho detto pure di come raccogliere in scatole di faggio. Ho detto de Semplici: di come conservarli, distinguerli e lavorarli ... Ho precisato de: sepali, de petali, de pistilli e foglie, e ho spiegato de gambi, radici, tuberi e bulbi …e di come in previsione farli divenir Rimedi ... Mi sono intrattenuto a lungo nella nostra Speziaria de Frati … e siamo ancora qua: al servizio dei Giudecchini e dei Veneziani … Questo mio posto potrà sembravi forse antro Alchemico o da Strìghe, ma è in realtà è locho d’ingegno, et casa di grande pratica caritatevole e medicatoria.”

La Spezieria del Redentore era un Laboratorio sempre all’opera in tutte le stagioni, sia per assistere le infermità dei Veneziani, che per vendere ed esportare altrove. Certi prodotti dei Frati venivano esportati ovunque, anche fino alle Indie, in Africa e in Cina.

Il Castagnàro a sua volta riceveva anche frequente “invii” da tutta Italia e dall’Estero. La Spezieria del Redentore con le sue attività è rimasta in piedi fino all’arrivo rivoluzionario dei francesi a fine 1700-inizio 1800, quando ogni bene dei Religiosi venne indemaniato, e ogni attività soppressa. In qualche modo trasversale comunque, la Spezieria-Farmacia del Redentoreè rimasta attiva e in piedi fino al 1956.

 

Leggendo lo scritto del Castagnàro, si evince che si è occupato più o meno direttamente, anche di studi e scritture naturaliste, di “sperimenti secreti”, Alchimia e Arte distillatoria. Ha preparato anche "Polvere dell’Algarotto" considerata miracolosa panacea capace di far concorrenza alla mitica Teriaca ... Sembra anche che il Castagnàro avrebbe voluto mettere insieme un Erbario Salatoraccogliendo esemplari di Piante della Laguna, e dei Territori della Terraferma Veneta … I limiti, i ritmi intensi della sua opera, e le esigenze del suo ruolo probabilmente glielo hanno impedito.

E’ interessante curiosare nella considerazione che il Castagnàro aveva di se: “Sono ignorante e goffo … Addotrino il caritativo Infermiero su come ne casi repentini possa applicare li rimedi proporzionati a mali de suoi Infermi... Quella dell’Infermiero è un’Arte Longa, e per governare mediocremente bene un’Infermaria non basta una vita intera … Ne casi difficili mai ho voluto servirmi de secretucci come fanno Ciarlatani e Donnicciole … Son nato in un Castagnaio, ed acconciavo botti quand’ero nel Mondo essendo al secolo, e non sapevo far altro mestiero … Per più di quarant’anni ho esercitato l’ufficio d’Infermiero del Convento, e che tutto son povero di lettere, con longa esperienza e prattica ero così valoroso che non solo gli stessi Medici mi addimandavano consiglio, ma anco s’accomandavano al mio parere …”

Alla fine Fra Francesco del Bosco da Valdobbiadene detto il Castagnàro, entrato in Convento del tutto ignorante, si è appassionato talmente della sua attività, che è arrivato a sistematizzare tutte le sue conoscenze “prattiche”ordinandole e mettendole per scritto su carta pubblicando: La Prattica dell'Infermiero”.

In realtà l’operettadedicata a Tadio Morosini Capitanio di Verona,è stata pubblicata postumanel 1664, dopo la sua morte, in sole 450 copie. E’ stata edita a Veronaper i tipi di Giovanni Merlo ottenendo un buon successo, e venendo ristampata più volte. Veniva indicata come manualetto empirico di Rimedi arricchito da nozioni teoretiche”.

Il libro davvero curioso è suddiviso in sei trattati, con una descrizione generale delle malattie e dei relativi Rimedi utili per compensarle o guarirle. Non si tratta di certo di un Antidotario, né di unclassico Ricettario di Medicinali, un testo diPharmacopea, o un’Opera Medica o Mesue Opera dettagliata. Quella del Castagnàro è di certo un opera singolare e unica nel suo genere.

Inizia col l’interrogarsi sulla complessità delle cose e delle situazioni mediche e naturali, come delle funzioni del Corpo: “Cose naturali quante siano … Non naturali quante, Preternaturali quante”; “Morbo che cosa sia e sue specie”; “Moti della Natura nel principio de mali, che cosa significhino”; “Declination del male come si conosca”; “Tempo universale del male qual sia”; “Elementi: loro numero e qualità”; “Facoltà principali dell’Anima quali siano”; “Forze: come s’intendano debili o gagliarde”; “Crisi e Giorni Critici che cosa significhino. Giorni pessimi per Infermarsi ... Mali della Primavera quasi siano. Quelli dell’Estate e dell’Autunno. Quelli dell’Inverno. Per lo più nascono dalla pienezza. Come si conoscano esser grandi”; “Intemperie, altra manifesta & altra occulata”; “Polso che cosa sia e sua cagione: differenze del medesimo”; “Nel principio delle Febri qual sia: sua languidezza da che nasca; Per toccarlo che avvertimenti s’abbiamo d’havere. Nelle Febri maligne qual sia”; “Principio del male come si conosca. Stato del male come si conosca. Ricaduta del male e suo pericolo”; “Sintoma che cosa sia e sue divisioni.”

 

Il Castagnàropoi elenca una lunga serie di: Radici purganti, Fiori, Frutti, Alberi, Essenze, Sali, Lacrime, Grassi, Acque, Vini, Succhi di Herbe e Sciroppi, che lui sa trasformare e amalgamare in: Elettuari, Pillole, Bagni artificiali, Infusi, Estratti, Decotti, Polveri medicamentose, Oli, Unguenti, Cerotti medicatie molto altro ... Spiega e precisa che è essenziale saper dosare nel giusto modo: Luce, Umidità, Acqua, Caldo e Freddo… Anche il Tempoè molto importante, oltre che i singoli Elementi e Sostanze: “A tal proposito a Venezia e in Laguna non sono mancati gli errori e gli incidenti: ci fu qualche episodio di utilizzo indebito o di medicine guaste, o somministrate nei modi sbagliati … Morirono in primis diversi Frati e Monache, o rimasero invalidi o alterati ... Stessa cosa per altri Vineziani, con grande disappunto soprattutto dei Nobili: gli unici capaci di permettersi contenziosi e proteste, ma anche della Serenissima tutta, financo alla popolazione infima e tutta dei Lagunari.” 

Lo intravedo il Castagnàronella mia mente: con gli occhi lucidi, fermo sui gradini a metà della scala del Convento del Redentore della Giudecca, intento ad appuntare le cose da scrivere sul suo trattatello:“Ho scritto queste cosarelle e trattatelli non come Medico Fisico o Chirurgo o Chimico o Speziale, ma come semplice Prattico, nel modo e forma che sono state da me osservate e imparate da miei buoni Professori, essendo il mio istituto di vivere da povero Religioso, per mera Misericordia di Dio mutato habito et costumi, col merito dell’Obbedientia faccio l’Infermiero … Insegno come confetionar li Semplici ad personam come rimedi medicali officinali … Ho scritto l’Index Herbarum e le Tavole delle Infermità in sei trattatelli … Inizialmente ho discorso d’Urine, de Polsi, della Facoltà, degli Umori e altro … In seguito ho detto del modo di curar le Febbri e suoi Accidenti … Ho aggiunto osservazioni sui Mali del Capo, del Petto e del Ventre Inferiore … Ho proseguito a parlare delli Mali Articolari e del Morbo Gallico, e poi delle Piaghe, e dei Medicamenti Semplici o Composti a guisa di un Antidotario breve e facile …”

Figlio del suo tempo riguardo alle conoscenze “scientifiche” che si avevano allora circa la Salute e l’Anatomia-Fisiologia del Corpo Umano, il Castagnàro ha provato a farne una sintesi basilare nel suo libro: “La buona cognitione dí essa dipende da tre principali fondamentí, che sono la notitia delle cose Naturali, Non Naturali, e Preternaturali; alle quali si aggiungono le Complessioni, le Qualità de' morbi, Cause e Sintomi, le Differenze de Polsi e delle Orine; la natura, virtù, e facoltà dei Medicamenti così semplici, come composti ... Hò udito dire a Signori Medici, che le Cose Naturali sono quelle, dalle quali sono composti nostri Corpi, e che sono sette: cioè Elementi, Temperamentí, Humori, Parti, Facoltà, Attioni  e Spiriti.

Elemento, è materia, e fondamento di tutte le cose sublunari. Quattro sono gli Elementi: Terra, Acqua, Aere e Fuoco ne' quali sono rinchiuse in supremo grado le quattro prime qualità: Caldo, Freddo, Humido e Secco.

Nel Fuoco l'estrema calidità; nell'Aere l'estrema humídítà; nell’Acqua l'estrema frigidità, e nella Terra l'estrema siccità

Ritrovandosi perciò queste prime quattro qualità corrispondenti à gli Elementí, due generi di temperamenti risultano nei nostri corpi uno a Rigore, e l’altro à Discrettíone, perchè se bene una qualità predomina l’altra à ciò dovessi intendere a díscrettíone, potendosi appena dire che una predomini l'altra. Tuttavia la Siccità predomina nelli Meláncolici, la Calidítà nelli Bilíosi, l'Humidítà nelli Sanguíneí, e la Frigidità nelli Pítuitosi.

Averto che quando hò detto predominar nel sangue l’Humidítà, intendo, in quanto il sangue è uno delli quattro Humorí; poichè pigliandosi per la massa universale con gli altri Humori, eglí è Temperato, e si dice che la complessione sanguinea fa li corpi quadrati, di bonissima constitutione e temperamento ... Da questi quattro Humori: Sangue, Bile, Pítuita, e Melancolia risultano le Parti del nostro Corpo, che sono altre Similari, altre Dissimilari secondo la dotrína de Medici ... Delle Similari, altre sono princípali come il Cuore, il Fegato e il Cervello; altre meno principali, come: la Carne, gli Ossi, le Cartilagini, Membrane, Ligamenti, Nervi, Vene e Arterie; frà le quali alcune sono sanguinee come la Carne; che ha la sua origine dal Sangue; alcune spermatíche comme il Cuore, il Fegato, il Cervello, le Cartilagini, Membrane, Ligamenri, Nervi &.c. … Le eterogenee ò dissimilari sono li Piedi, le mani, le braccia, la testa.”

Mamma mia: un quadro del Corpo Umano e del suo funzionamento davvero singolare !

Precisato questo, il Castagnàro ha continuato a redigere più che un vero e proprio trattato assistenziale, una vera e propria operetta arguta da Infermiero Prattico, come amava definirsi. Ci si ritrova davanti una specie di manualetto di consultazione sintetico, anche se ovviamente con qualche limite. Si è accorto pure lo stesso Castagnàro dei limiti della sua pubblicazione, perché a un certo punto precisa scrivendo: “L’Autore non è né Filosofo né Anatomico, al secolo era solo un conciaBotte, nella Religione non ha mai medicato il Mal Franzese.”

Sottolinea quindi le sue umili origini, così come evidenzia che durante la sua esperienza da Frate non ha mai avuto a che fare direttamente con certe situazioni patologiche gravi, particolari o altamente pericolose. Diverse cose le ha sentite solo dire: non le ha viste “de visu”.

Si butta comunque a descrivere con entusiasmo e chiarezza le parti del Corpo:“Anatomia delle parti che servono alla generazione”; “Abscessi o Apostemi sono di quattro specie”; “La lingua è instromento per il senso del gusto. In essa come si facci il gusto”; “Naso e suo officio principale. Altri fini per li quali la Natura l’ha fabricato. Mali che nascono in questa parte”; “Polveri da tirar su per il naso.”

Ve la faccio breve, taglio via molto …

Il Castagnàro ha preso poi in considerazione Segni e Sintomi: tutti da riconoscere e non confondere fra loro: “Edema che tumor sia e suoi rimedii”; “Febre: che cosa sia e sue specie. Efimera e modo di curarla. Putrida perché così detta, altra è continua, altra intermittente: Terzana e Quintina e sua essenza, suo principio e segni, modo per curarla. Terzana spuria. Doppia Terzana: questa febre è longhissima: deve essere trattata benignamente. Si fa maligna e come suoi sintomi e rimedi. Quotidiana: da che è prodotta. Quartana da qual’homor nasca. Ogn’uno pretende di saperla curare. Il Vomito è singolare per la Quartana. Etica, sua essenza e gradi. Tisica: sua essenza e segni, cibo per Etici e Tisici. Medicamenti per queste due febri: Elettuario rebuttiente, Decotto a detti mali. L’Orzat’è singolare in questi casi. Altro Decotto al fine predetto. Vino medicato per gli Etici.”

Poi elenca ancora Patologie con Cause e Rimedi necessari per aggredirle, contenerle e superarle. Pare proprio che il Castagnàro nella sua lunga esperienza ne abbia viste di tutti i colori. Il suo libretto sembra scandire, descrivere e passare in rassegna tutti i Reparti di un intero Ospedale, anche se in realtà lui era attivo e lavorava unicamente al Redentore della Giudecca.



Sembra di trovarsi in una Pneumologia:“Asma: sua diffinitione e causa, e rimedi diversi per superarlo. L’Espettorante Magistrale ed Acqua espettorante. Pettorale e sua composizione. Destillation di Catarro è causa di molti mali: sue differenze quali siano. Segno per conoscerle e distinguerle, rimedi per curarle”; “Hidropisia del petto si cura col taglio del Ventre: è di tre sorti. Segni di queste tre specie. Cause e sintomi. Comunemente è male incurabile. Rimedi adeguati per superarlo. Vitto qual debba esser”; “Pleuritide o Pònta: per romperla: Acqua Proportionata e Oglio. Rimedi esterni al predetto fine. Lambitini per espettorar la materia. Quando nasca da flati come si risolvano”; “Sputo di sangue e segni da qual parte esca. Se dal petto: come si debba rimediare.”

Poi si passa in Neurologia:“La Cefalgia: che cosa fa, e sua cura”; “Emicrania”; “L’Apoplessia sua essenza e differenza: come debba curarsi”; “Cervello è reggia delle facoltà principali e principio di tutti li nervi. Si scarica dall’Humori catini dietro l’orecchie”; “Epilepsia. Metodo per curarla: Eleuttario a tal fine”; “Delirio”; “Melanconico”; “Maniaco: … si deve conciliare il sonno, Polver dell’Algarotto o Stibio Giacintino è rimedio per li Matti ... Humor Melanconico: che abscessi o tumori generi. Elettuario per li Melancolici” ... “Ebuli per gli Hidropici”; “Nervi e suoi particolari mali. Rimedi alle intemperie dei detti. Per li tagli e altre loro offese” ... “Optici: come arrivino agli Occhi”; “Memoria debole e con quali rimedii s’accresca”; “Paralisia: cura di questo male”; “Sonno smoderato, cattivo. Nel principio de mali denota pienezza d’Homori freddi. Che prognostico si facci dal sonno eccessivo. Rimedi per scacciarlo o per conciliarlo”; “Vigilie con quali rimedii si scaccino”.

Tocca si va in Cardiologia: “La Cardialgia: sue cause e rimedi”; “Cuore e sue passioni: sono diverse e perché. Rimedi per sollevarlo. Si solleva mandando gli escrementi alle glandule delle ascelle”; “Cordiale del Claudini e Cordiali diversi”.

Si entra in Medicina e Internistica: “Fegato è a guisa del Mare che riceve e trasmette. In esso sta la facoltà naturale. Per le sue intemperie che rimedi convengano.”; “Per la calda e il Scolo è il Salasso. La Fredda come si curi. Elettuario & Acqua per le Opilationi. Vino calibeato a tal fine. Rimedi esterni come sopra.”; “Mali della Cava del Fegato e suoi medicamenti. Si solleva mandando gli escrementi all’inguinaglia”; “Empiema come si generi: Eleutario per gli Empiemi”; “Itteritia d’onde procedi. Altra gialla & altra vera ???. Rimedi per l’una e l’altra”; “Milza suo officio e che mali patisca”; “Stomaco e sue passioni. Nella sua bocca come facci appetito. Rimedi per le intemperie dell’istesso. Apostema del detto come si generi e segni”; “Singhiozzo sua essenza e cause”; “Vomito nel principio de mali e il nero che significhi. Medicamenti diversi per eccitarlo”; “Disenteria e i suoi segni. Per fermarla che cosa debba farsi, cibo per disenterici”; “Emoroidi: se troppo corrono causano mali diversi. Alle medeme dolenti: il rimedio”; “Vermi”; “Ventre quali dolori patisca e sue cause. Rimedi diversi a questi dolori.”

In Endocrinologia: “Diabete: essenza e cause. Rimedi per scacciarlo”; “Sudor quando deve sollevar. Copioso senza sollievo che significhi”; “Diaforetico che cosa sia. In esso che rimedii s’adoprino.”

Si passa ad Ortopedia e Reumatologia: “Gotta: altra è calda, altra è fredda. Non vuol negotta, largo da basso, urtera … E’ retta la bocca ???”; “Ginocchi enfiati e deboli: come si curino”; “Hernia e sue differenze”; “Sciatica che morbo sia e sua cura.”

Urologia e Nefrologia: “Orina e sue parti Naturale qual si, e suoi colori. Coroma nella detta che significhi. Concotta o cruda, come si conosca. Significati di diverse Orine. Della Febbre Maligna qual sia”; “Il Brusore dell’Orina è regaglia de Vecchi”; “La torbida onde dipenda. Sanguigna e sue cause. Perché si trattenga”; “Polipo”; “Pietra delle vessica. Serviziale per il detto”; “Reni e suoi dolori. Se dipendono da pietra come si curino. Polvere e Acque per le pietre. Li rimedi da questo male devono adoperarsi con molto giudicio.”

Apparato Riproduttivo e Infettivologia: “Gonorrea: sue cause e rimedi”; “Humori del corpo quanti. Come si putrefaccino. Come eccitino le ostruzioni. Non devono essere purgati se non perfettamente concotti”; “Mal Franzese e perché in esso s’offendano particolarmente gl’ossi. Altre parti che in esso si offendono. Si dichiara con buboni e modo di curarli. Purga universale per il detto. Eleuttario Magistrale a tal fine. Vino medicato. Non è piccol dono dal Cielo il guarir questo male. Acqua sudorifica per quelli che non vogliono far la Stuffa.”

Dermatologia: “Erisipila: alle volte occupa tutto il corpo”; “Petecchie che cosa siano e sue differenze. Perché diano fuori meglio, quali rimedi convengano”; “Prurito come si curi nei Giovani e nelli Vecchi”; “Rogna. Rimedi interni per guarirla. Medicamenti esterni a tal fine. Tali rimedi devono continuarsi per due o tre Primavere”; “Schirantia sue differenze, cause e segni. Modo di curarsi la leglelma. Se sarà spuria come si medichi. Se degenera in Apostema come si tratti”; “Calli e suoi rimedi”;Bagni per le stanchezze e freddure, per la Scabie e altri mali della Cute.”

Odontoiatria: “Denti non hanno senso e come dolgano. Rimedi per il loro dolore in causa fredda. Detti in causa calda”; “Puzzòr del fiato e sue cause. Rimedi singolari a tal fine”; “Ulcere della bocca”; “Ugola slongata come si ritorni al primiero flato”; “Raucedine da causa falsa come si curi”.

Otorino: “Orecchia e suo officio e fabrica. Sordità e Apostema: sono mali principali della detta. Rimedi per la sordità. Come si curi l’Apostema. Vermi che in essa nascono, come s’ammazzino”; “Vertigine”; “Sangue dal naso in troppo copia. Alle volte ammazza. Rimedio unico per fermare quest’uscita. Altri rimedi a tal fine”.

Oculistica: “Occhio: riceve la virtù visiva. Che cosa giudichi mediante la luce. Che mali patisca per diversi umori. Rimedi per gli homori freddi. Rimedi per le materie calde”.

E si finisce col passare per il Reparto esclusivo e tipico dei Frati: una specie di Psicologia ed Ermeneutica interiore e Frateresca: “Spiriti instromento dell’Anima quanti.”

Veramente tutto interessante e curioso, oltre che esauriente, ciò che racconta il Castagnàro pur nella sua estrema sinteticità e semplicità.

Si dilunga dopo sulla classificazione, il riconoscimento e la preparazione dei Rimedi, quella che doveva essere probabilmente la sua principale abilità e attività:“di Marasche, Mulsa, Acciaio”; “Come si prepari Ciclamina, China Magistrale, Consolida, Draganti, Zizole e loro virtù”; “Estratti come si cavino”; “Di Rabarbaro e d’ogni altro vegetabile”; “Gentiana: sua temperie e virtù”; “Giulebbe di Manna, Gemmato, Calibeato … L’Una Passa va preparata”; “Il Vino di Pomi Granati va bene per la Cardialgia, mentre ne mali del capo è sempre nocivo. Medicato va bene per li Tisici ... è sudorifico, scillitico”;IMinerali sono nemici della Natura”; “Pilole e Magistrali per la testa e occhi. Masticie benigne”; “Di Aloe lavato”; “Universali per il capo”; “Di fecola di Brionia”; “Artritiche e Aperitive”.

Da buon Infermierario descrivere le Medicazioni e le attività tipiche della professione:“Come si medichino Aposteme del Naso. Serve il Balsamo per le piaghe di Antimonio”; “Come si conoscano e si medichino Flusso di corpo e sue specie”; “Salasso quando debba esercitarsi. Alli Putti e a vecchi. Dopo esse ciò debba far il Paziente. In quali tempi s’habbi da tralasciare. Per revulsione deve farsi adirittura della parte offesa”; “Sanguette se siano d’utile o di danno. Giovamo quasi in ogni male”; “Ventose quando suppliscono al Salasso. Mai s’applicano se non dopo purgato il corpo. Secche giovano nei mali maligni.”

La cura delle temibili LDP(Lesioni da Pressione), cioè delle pestifere Piaghe, che quando spuntano spesso non le togli più di dosso: “Gambe impiagate: perchè tali, modo di curarle, sua carne superflua: come si levi. Piastre Mercuriali per le dette Piaghe e come si preparino. Decotto usuale per le dette”; “Mezi per guarir gl’Infermi, quali”; “Medicamento per qual causa devolmente operi. Per qual cagione sfrenatamente evacui. Che condizione si debbano guardar per darlo. Con queli mezi si debba facilitar la sua operazione. Con quali sminuir la sua eccessiva attione. Solvente come debba correggersi”; “Natte: come debbano essere medicate”; “Polvere Minerale per le escrescienze”; Parti estreme fredde e interne che abbruccino è segno mortale”; “Piedi raffreddati come debbono governarsi.”

La corretta Alimentazione: “Cibo: come debba darsi a proportione del male. Non deve darsi nel principio delle febbri”; “Convalescenti: come debbano trattarsi”; “Regola del cibo e della bevanda.”

Potremmo continuare a lungo ad ascoltarlo. Ogni tanto il Castagnàro si sofferma in maniera particolare su alcune Sostanze, Piante o Semplici che sembra prediligere e dedicare maggiore attenzione:

“Acqua cordiale del Sassonia va bene per le febri maligne”; “il Finocchio per le infiammazioni degli Occhi”; “il Tabacco è utile per espettorar.”

 

“I Troscici di Vipera van fatti con carne di Serpente, da cui si ricava un decotto che vien poi mescolato col pane grattugiato. Per farli serve Vipera femmina, da catturare in montagna possibilmente in maggio. Bisogna ucciderla, toglierle la pelle e le interiora, e lavarla con Vino Bianco. Poi se ne fa polvere mischiata con acqua o succo. L'impasto si suddivide in rotelle che si fanno asciugare all'ombra.”

 

“L’Aloe è caldo e secco. Purga la colera gialla e l’humor pituitoso, corrobora lo stomaco e il cervello, giova a mali del fegato e all’Itteritia. Dall’Aloe si fanno le Specie di Hiera tanto amiche del ventricolo. E’ la base della maggior parte delle Pillole usuali. Apre le vene delle Emoroidi che perciò chi le patisce deve astenersi dall’uso dell’Aloè.”

 

“L’Agarico: ha facoltà incisiva, astersiva e sottigliante. Apre le ostruzioni delle viscere. Purga la pituita grossa e viscosa, anco la bile e melancolia: attrahendo tutti questi humori del capo, petto, polmoni e da tutte le parti. Di questo si fanno Trocisci con l’Offimele per espurgar lo stomaco. Si da con Rhabarbaro a pari peso nell’Acqua di Endiuta nelle Febbri quotidiane. E’ però nemico dello stomaco, conturbandolo e sovvertendolo. Tal nocumento si emenda con Vino generoso ove s’infonde, e con Gengevo facendo pastilli.”

 

“La Cassia è medicamento leniente e perciò non attrae dalle parti lontane non passando più oltre dello stomaco e intestini. Solve il corpo moderatamente, chiarifica il sangue, rintuzza la bile, e sicuramente si può dar in tutte le Febbri e mali caldi. Suole adoperarsi in tutti i tempi, principio, aumento, stato e declinatione. Conviene a complessioni adulte e stitiche, onde non solo evacua la materia ma con la sua facoltà leniente lascia il corpo lubrico e suo darsi la sera immediate sotto la cena. Si da utilmente nelle Schirantia, dei Flussi colerici con la Polpa di Tamarini, ne gli affetti renali con Polvere di Liquiritia, aggiunta con Manna nelle Pleuritidi, e nelle altre infiammationi interne con sicurezza s’adopera come anco nelle Febri Etiche, e alli Tisici. Nuoce agli stomachi deboli e freddi. Qual nocumento s’emenda con Semi di Cerdro e altri odorati, così il Cinamomo e simili.”

 

“La Manna enacua gli humori ferosi e sottili benignamente, è amica del petto, conviene a vecchi e a catarrosi. Si da disciolta nel brodo, si accompagna con Mele Rosato solutivo, si fa con la Manna Cremor di Tartaro e acqua un Giulebbe nobilissimo: e pare che questa facci grati tuggli gli altri medicamenti.”

 

“La Senna purga la colera, e l’humor melancolico dal cervello, fegato e milza perlochè vale nelle Febbri longhe e mali cronici; conforta la vista e l’udito; vale nelle ostruzioni di tutte le viscere. Si da in diversi modi, sempre però con li suoi correttivi per essere alquanto ventosa, e che conturba lo stomaco facendo rugiti, e tormini nel ventre, Correttivi sono: Canella, Garofoli, Gengevo e Finocchio. Li modi con quali suol darsi sono l’infusione nel Vino bianco generoso; il porta nei Decotti con i quali si disciogliono le medicine; con essa si preparano li Susini, le Passule, e si fanno Aceti solutivi; ridotta in polvere con Cinamomo e Cremor di Tartaro si da sopra le minestre; si fanno anco morfelli familiari per gli stitici con Cremor di Tartaro e Manna.”

 

La ricetta per fare i vari tipi di Sciroppo: “Siroppo Rosato solutivo arcoreo … di Manna, di Succo di Calendola e di Lilium Connuallium, di Coralli, di Hibisco e di Papaveri Campesi, del Succo di Cauli o Verze, del Sero, di Scorze di Cedro, di Pomi Cordiale e di Tabacco, di Fumoterra e Peloso.

Ecco come si fanno: “Recipe Fighi secchi, Dattili, Passule allincirca onze due, Salvia, Rosmarino, Cardo Santo, Assenzio all’incirca mole una, Mirabolani Citrini, Cinamomo, Semi di Cedro, Colo quintida all’incirca oncia 1. Acqua comune libbre 8. S’ammacchi il tutto grosso modo, e si facci infusione per un giorno naturale, e poi bollisca sinchè cali la metà, si coli con forte espressione, si chiarifichi, e di nuovo si facci passar per carta, e con libre due di Mele si facci Siroppo spruzzandolo mentre bolle di quando in quando con qualche gocciola di Acqua Rosa. Questo convenirà ove s’ha intentione di tirar dalle parti lontane gli humori, come dalla testa, dalle giuture, e simili.”

 

Il dosaggio per la somministrazione:“La dose sarà once due con meza scudella di Brodo, overo Acqua di Salvia o di Rosmarino.”

 

“Tamarindi e Turbiti purgano leniendo la colera e gli homori adulti. Vagliono al trabocco del Fiele, alli mali tutti della cute prodotti da detti humori adulti. Con Polpa di Cassia alle Disenterie, e ne mali colerici; con Siroppo di Lupuli e di Fumaria nel sangue adulto. Nuociono agli stomaci freddi, per il più si uniscono con la Cassia aggiunti li medesimi correttivi. Si fa da loro e Acqua d’Orzo vn’ acqua assai grata al gusto, e che giova nelle viscine di corpo in causa calda. Li Turbiti purgano anco questi la pituita grossa e viscosa dal petto, dallo stomaco e da gli articoli. Genera gran vento e nausea nello stomaco che si emenda con lo correttivi de gli Ermodatili.”

 

“Cartamo e Coloquintida”; “Ricino d’India di Cherua o Fasol Indiano”; “La Scammonea”; “Gli Hermodatili: con essi si fa la Polvere Magistrale, Hermodatilata detta, che serve ne dolori Artetici. Hanno in se certa flatuosità che conturba le viscere qual si corregge con Gengevo, con Garofoli, con Anisi o con Mastici.”

 

Sembra incontenibile il Castagnàro nel suo scrivere, riscrivere e descrivere: cita in lunghe liste centinaia di Elementi, Rimedi, Piante e Preparati, quasi ciascuno fosse irrinunciabile: “Cipolla, Cappari, Chelidonia, Capil Venere, Cipresso, Canna Montaba, Ceci rossi, Croco de Metalli, Cremor di Tartaro … Elleboro nero, Elleboro bianco, Enula, Eringio, Epitimo e sue virtù, Eufragia, Erismo, Di Fiori di Belzoino e di Solfo, Elisir Vitae de Poveri ...”

Sorrido: “L’Olio Volpino si ottiene cuocendo una Volpe intera senza le interiora in Acqua e Olio, con aggiunta di Timo e Aneto. Il tutto viene poi colato ricavandone un Olio, di cui però si sa poco su come utilizzarlo.”

Si sente che vorrebbe dire tutto su tutto, ma che non se lo può permettere: è troppa cosa da infilare dentro a un unico libro … E allora: sintetizza, taglia, riduce, si accontenta solo di citare appena … Sarà la pratica e l’esperienza poi a contare sul campo e nella realtà obiettiva di ciascun caso.

Ricordo quanto diceva un mio indimenticabile Dottore-Professore della mia vecchia Scuola Infermieri, quasi facendo sapiente sintesi di tutto quello che ci aveva insegnato: “Caro: le cose bisogna vederle tutte, coglierle dal vivo per capirle. Bisogna avere le persone davanti agli occhi per poter considerare gli effetti di tante cose che rischiano d’essere soluzioni empiriche non adatte. I Farmaci alla fine funziona … se funzionano … Se il corpo reagisce come ci si aspetteremmo noi … Altrimenti andrà come andrà ... Spesso i pazienti guariscono nonostante noi, e nonostante tutti i nostri Rimedi ... Il Corpo si riavvia a guarigione o si arrende a prescindere da tutti i nostri interventi, ritrovati e cure … Il malato spesso risolve da se … Noi crediamo d’essere dei Maghi, ma non lo siamo affatto … Al massimo potremo considerarci utili ... Servirebbe sempre grande umiltà in Sanità: Sapere di non sapere.”

Sembrava un Castagnàro dei giorni nostri.

Nel maggio 1635 i Carmelitani Scalzi dell’Ospizio della Contrada di San Canciano di Cannaregio si trasferirono “armi e bagagli” nel chiostrino di Sant’Angelo di Caotorta della Giudecca fondando un nuovo Hospedaletto chiamato di Santa Teresa. Adattarono tutto a piccole celle, costruirono officine, un Oratorio e un giardino. Secondo le Cronache: erano arzilli, attivi e pimpanti i Carmelitani della Giudecca: si davano parecchio da fare per sopperire ai bisogni dei Giudecchini e dei Veneziani in genere.

Qualche anno dopo il loro Priorechiese e ottenne dalla Signoria Veneziana d’ingiungere ad alcuni ricchi Conventi della Congregazione Mantovana dei Carmelitani di versare un “contributo a sollievo” delle loro attività e del loro piccolo Convento Veneziano ... Doge e Senatori lo ascoltarono con grande attenzione, e la cosa avvenne: piovvero i sussidi sui Frati Carmelitani della Giudecca… Risultato ?Subito dopo i Frati Carmelitanisi traferirono OltreCanale passando nella più comoda e prestigiosa Contrada di San Gregorio verso la Punta dei Sali e della Dogana:una sede a loro confacente ... E la Giudecca con la sua gente e i suoi bisogni ?

Beh … quella poteva aspettare. La lasciarono ad arrangiarsi al di là del Canale … Ieri come oggi: la Sanitàè stata sempre uguale, con le sue contraddizioni e le sue voglie di rimpinzare se stessa piuttosto che i bisognosi degli ammalati ... Nulla sembra cambiare sotto al Cielo del Mondo ... che chissà ? Prima o poi potrebbe caderci in testa ?

 

Nel Conventino della Giudeccapoco distante dal Redentore rimase solo qualche anziano Religioso ... Il Castagnàroera ancora là a fare la sua parte di Frate Speziale del Redentorecon indosso la bella età di 71 anni: era vecchiotto ormai ... Soddisfatto forse.

Lunedì 05 febbraio 1666 gli otto Frati del Conventino di Sant’Angelo di Caotortadella Giudecca si presero a coltellate fra loro esprimendosi in una lite furibonda … Non si seppe mai il perché, eccetto che qualcuno finì moribondo o addirittura morto ...Intervennero i Frati del Redentore in loro soccorso … che in quegli anni erano 60 … Il Frate Castagnaro era forse fra loro ?

Macchè ! … Era ormai morto da diversi anni.

 

Procuratie Veneziane … non solo a Piazza San Marco.

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#unacuriositàvenezianapervolta 299

Procuratie Veneziane … non solo a Piazza San Marco.

Si parla molto in questi ultimi tempi delle Procuratorie Vecchie e Nuove che circondano su tre lati Piazza San Marco. Giusto così, perchè sono in un certo senso rinate, in quanto sono state riaperte, e in un certo qual modo restituite ai Veneziani e ai turisti dopo tanto tempo. Adesso c’è quasi una gara per dare alle Procuratie di San Marco la giusta visibilità. Di sicuro merita attenzione questo spicchietto di Venezia sminuito e cancellato quasi del tutto da un certo napoleone ... Pensate che nel 1797, durante la Nuova Epoca Democratica Veneziana, era uscito perfino un decreto che aboliva i nomi di Procuratie Vecchie e Nuove rinominandole come: Galleria della Libertà e Galleria dell’Eguaglianza … Per carità ! Per fortuna quella macabra trasformazione non è mai riuscita.

In giro per Venezia comunque, esistevano anche altre Procuratie meno appariscenti, considerate “minori” rispetto a quelle Marciane: residenza soprattutto dei Procuratori di San Marco. Le altre Procuratie non sono state di certo secondarie per lo scopo per cui sono nate, e per il significato che hanno avuto per i Veneziani. C’erano, ad esempio, Procuratie in Calle e Fondamenta di Santa Maria Maggiore nel Sestiere di Santa Croxe, in una zona di Venezia diametralmente opposta e periferica rispetto a quella pomposa e celeberrima di Piazza San Marco. Così come esistevano altre Procuratie in Contrada di San Geremia a Cannaregio, e a Santa Maria Zobenigo, cioè Santa Maria del Giglio nel Sestiere di San Marcoe sembrerebbe anche che ce ne siano state altre nella Contrada dell’Anzolo Raffael, e altrove.

Le Procuratie erano dei complessi edilizi Veneziani “d’edificazione popolare”:un po’ insoliti. Non erano né palazzi, né Ospizi, né rughe e liste di caxette. Hanno preso quel nome per esprimere di solito la munifica volontà di certi illustri Procuratori di San Marco, che morendo avevano espresso per testamento certe “pie intenzioni” circa l’utilizzo di certi luoghi da loro ideati o già creati. Si trattava spesso di piccole Insule Veneziane, di nuclei abitativi da concedersi “Gratia et Amore Dei”, o in cambio di modesti affitti, destinandoli a famiglie Veneziane indigenti o bisognose, a Nobili Decaduti, o a persone degne di tale assegnazione ... Raccomandate insomma: si … ieri come oggi.

Esistevano Procuratiedi diverse metrature, costruite spesso a formare una Corte comune con al centro un’utile “vera da pozzo”.

Le Procuratie affacciate sul Rio di Santa Maria Maggiore sono sorte per volontà di Filippo Tron a fine 1502. Venivano gestite e concesse dai Procuratori De Ultra di San Marco. Mentre le Procuratie di San Geremia, in fondo alla “Lista de Spagna” per intenderci, derivavano dalla Comissaria di Zuane Ravagnan, ed erano controllate, restaurate ed assegnate dai Procuratori di San Marco De Citra. La distribuzione e l’organizzazione delle Procuratie del Giglio, infine, spettava in parte ai Procuratori de Supra, e in parte ai Procuratori de Citra. I primi gestivano il capitale derivante dal testamento del NobileLuca Moro espresso il 19 aprile 1410, mentre i secondi concretizzavano le volontà testamentari di Giacomo Corner.

I Procuratori di San Marco De Citra, De Ultra e De Supra erano delle vere e proprie Magistrature Veneziane, che partecipavano a pieno titolo e con grande credito a tutta la vita di Governo della Città Lagunare.

I Procuratori de Supra dovevano interessarsi della Chiesa Ducale di San Marco e della Piazzaantistante … Quelli De Ultra” amministravano Tutele e Comissarie al di là del Canal Grande, mentre quelli “De Citra”facevano le stesse cose al di qua dello stesso Canalàzzo. I Procuratori erano inizialmente 6: tre cariche per ogni tipo di Procuratia, poi divennero 8, e dal 1442: nove. Erano Dignità Veneziane intraprese “a vita”, considerate seconde solamente al Doge. Qualche volta lungo la Storia di Venezia quelle cariche così prestigiose vennero concesse a particolari Veneziani meritevoli considerati come una specie di “eroi di Stato”, oppure più verosimilmente venivano concesse a pagamento a chi poteva permetterselo per finanziare le sempre vuote e voraci Casse dell’Erario Statale.

Essere Procuratori di San Marco non era cosa da poco, perché significava poter mettere le mani su rendite ingentissime dovute ai numerosissimi grandi patrimoni lasciati in beneficienza alla Repubblica Serenissima. Si trattava non solo d’immobili come le Procuratie, ma anche di case, terreni e palazzi sparsi un po’ ovunque in tutto lo Stato Veneto, perfino di Conventi e intere Cittadelle e paesetti ... a Soave nel Veronese, Sommacampagna, Negràr, San Valentino di Montagna, a Badia Calavena, e Cerea ad esempio.

Buona parte di quei ricchi cespiti vincolati da espresse disposizioni testamentarie, venivano quindi impegnati in opere di Carità, in interventi residenziali, ma anche tradotti in doti matrimoniali o monacali, o in curiosissimi “Biglietti di Grazia”Natalizi e Pasquali, che venivano distribuiti a donzelle povere Veneziane, o dello Stato Serenissimo.

Dal Codice Feudale della Repubblica di Venezia si evince che lo Stato Serenissimo tratteneva solitamente per se: “un decimo” di tutto quell’immane movimento di capitali e immobili gestiti dalle varie Procuratie … Ma non solo … Venezia dichiarava e considerava inviolabile tutta quell’entità di patrimoni, vietandone tassativamente qualsiasi vendita e manipolazione, sottolineando la necessità irrinunciabile di realizzare tutte quelle volontà testamentarie dei Benefattori.

Il Nobilomo Luca Morodella Contrada di Sant’Angelo, fu l’artefice della realizzazione delle omonime Procuratie Moro. Dispose per testamento nel 1410 d’affittare una sua grande casa, una delle tante che aveva in Contrada di Santa Maria Zobenigo, in modo che il ricavato potesse essere utilizzato per mantenere “in conzo e colmo” gli edifici che aveva fatto costruire per i “poveri Veneziani”. Il modulo delle Procuratie Moro prevedeva un insieme di appartamentini costituiti ciascuno da almeno due-tre vani associati a un cucinotto ai quali si accedeva tramite un sontuoso, seppur essenziale androne comune.

L'amministrazione delle Procuratie Moro venne quindi affidata ai Procuratori de San Marco de Supra”, che ancora nel 1796 vendettero sette caxette investendo il ricavato in Zecca.  Gli interessi o utili maturati annualmente da quel capitale depositato, cioèi “prò”, vennero a lungo distribuiti secondo la volontà testamentaria del Moro, concedendoli puntualmente ai poveri Veneziani di una lunga e apposita lista.

Ovviamente napoleone & C quando giunsero a saccheggiare la Laguna e Venezia, ingurgitarono e incamerarono col famelico Demanio tutto quanto era stato finora gestito dalle Procuratie. Ogni plurisecolare attività benefica venne del tutto interrotta e soppressa, e ogni immobile venduto, smembrato, frammentato, e ceduto a privati ...Questa è la Storia di Venezia invasa … purtroppo.

L’insula delle Procuratie Tron, sorgeva, invece fin dal 1555-57, come serie di abitazioni sui generis su una Fondamenta parallela a quella dei Cereri: di fronte alla Fondamenta Rizzi per intenderci, nella zona della chiesa-Monastero Santa Maria Maggiore nel Sestiere di Santa Croxe.

Si trattava di alcuni blocchi di case collegate fra loro da arconi … Alcune erano spaziosi appartamenti signorili con trifore e poggioli sulle testate, mentre altre parti costituivano alloggi popolari di metratura più modesta, con finestre ordinarie.

Curiosissima da considerare ancora oggi quella stessa zona Veneziana, dove i Nobili Rizzi da una parte avevano il loro “piccolo regno de Casàda”, col Palazzo del 1628 visibile tutt’oggi, sul quale immisero di volta in volta in facciata tutte le facce degli uomini e donne del Casato considerati illustri. La stessa Nobile Famiglia Patrizia Rizzi fungeva poi da “Patròn”del vicino Monastero di Santa Maria Maggiore(oggi divenuto Carcere), che considerava quasi una dependance di Famiglia essendo orti e stabili delle Monache Francescane Clarisse divisi da Cà Rizzi solo da un canalicolo. E’ molto interessante la storia dei Rizzi e del Monastero insieme ... Ancora l’intera Fondamenta che dai Rizzi prese il nome, venne occupata nel 1600 da una lunga fila di case “di Famiglia”di varia metratura con una grande quantità di affittanze come magazzini, spazi e giardini disponibili per diverse categorie di Veneziani.


Curiosa ancora, a soli due passi dalle Procuratie Tron di Santa Maria Maggiore, anche la presenza di un’iniziativa assistenziale parallela. Si tratta delle 24 caxette a schiera che formano la Corte di San Marco, che sorge proprio là a qualche decina di metri di distanza. La Corte-Nucleo abitativo apparteneva invece alla ricca quanto potente Schola Granda di San Marco, la cui sede sorgeva dall’altra parte della Città (oggi in parte utilizzato ancora come Ospedale Civile di Venezia). La ricca e potente Istituzione Devozionale fece edificare la Corte attingendo da un lascito del Confratello Pietro Olivieri, che immaginò la Corte di case e caxette ordinarie affacciantesi sul pozzo comune, da realizzare per i Confratelli poveri in cambio di un modesto affitto.

A tal proposito, si vadano a vedere diversi altri esempi molto simili di tale edilizia assistenziale: specie di cittadelle benefico-sanitarie, realizzate in altre Contrade di Venezia da altre Schole Grandi… Si noti, ad esempio: la Calle dei Volti, a un solo passo dal Ponte e Campo dei Gesuiti a Cannaregio, voluta e gestita dalla Schola Grande della Carità, che ha immesso il suo logo un po’ ovunque sulle volte della Calle, sui muri delle case, e sulle facciate prospicienti il vicino Rio.

Venezia Serenissima lasciava fare: faceva l’occhiolino a tutte quelle utili iniziative … Sovraintendeva, e si accontentava di controllare, intascare qualche buona tassa, e amministrare e vigilare.

Dicevamo delle Procuratie Trondi Santa Maria Maggiorerealizzate per espressa volontà del Procuratore di San Marco Filippo Tron… Singolare uomo quel Tron: Doge mancato solo per un pelo, il più quotato fra i Competitori alla Carica Dogale” quando morì. Gli venne quindi preferito Leonardo Loredan. Gustoso leggere dal solito Diarista Marin Sanudo: Il Doge Agostino Barbarigo moriva il 20 settembre 1501, et fo una meraveja a udire le maledizion ognun le dava per la superbia, rapacità, tenacità, avarizia era in lui. Appena morto, tutta la città gridava di voler Doge Filippo Tron: il Procuratore, e specialmente il Popolo ne era entusiasta perché il piaceva assai.”

Il Nobilesessantaseienne Procuratore Filippo Tron era della Contrada di San Stae, figlio del Doge Nicolò morto nel 1473. Viveva con le sorelle: “homo assà corpulento, franco, modesto, ricco, amante del bene pubblico e severo ammonitore di qualunque spreco” ... Venne sepolto nella chiesa Conventuale di Santa Maria Graziosa deiFrari, nella tomba monumentale di famiglia realizzata da Antonio Rizzo, e collocata a sinistra dell'Altar Maggiore: giusto sotto lo sguardo dell’Assunta” del Tiziano.


Altrettanto curiosi e interessanti furono i commenti, e i pettegolezzi di Palazzo e Contrada registrati dalle Cronache Veneziane circa la morte dello stesso Procuratore Tron: “et fo ditto per la terra esser sta tosegado (avvelenato). Notizia non insolita a Venezia, che generò all’epoca un gran scalpore provocando sconcerto e impressione fra tutti i Veneziani. Molti Patrizi si recarono a Cà Tron, compresi i Capi dei Dieci per vedere, capire, investigare e provvedere se fosse stato il caso. Le sorelle del defunto Procuratore Tron vennero mandate ospiti per precauzione a casa del Nobile Piero Trevisan “da la drèza”, che era imparentato con loro, fu chiamato poi a diagnosticare e refertare un Medico, ma non trovando evidenti segni d’avvelenamento, si certificò che il Tron era morto: da la gran grossesa el crepò. Il sospetto del tòsego però rimase in tutti, soprattutto quando si venne a sapere del gran numero di persone che avrebbero beneficiato per testamento da quella morte. Filippo Tron, infatti, lasciò 80mila ducati ad Opere Pie, e fra l’altro ordinò la vendita di argenterie, preziosi e mobili “per comprare un terreno dove fabbricar almeno 200 caxette da dar a poveri indigenti al fitto di soli due ducati annio Grazia et Amore Dei.”

Secondo le Cronache Veneziane, quelle 74 caxette, invece che 200, vennero costruite ciascuna con: “camera e cucina, parte a piano terreno e parte a primo piano” riunite in quattro corpi di fabbrica siti in Fondamenta di Santa Maria Maggiore, de la Madona, e dei Cereri ... La morte di Filippo Tron rimase comunque per tutti un mistero … Ma si sa come funzionavano un tempo le cose a Venezia, soprattutto quando c’erano di mezzo “grandi giri di soldi”… E non solo allora qui a Venezia.



Le Procuratie di San Geremia infine, erano gestite e concesse in abitazione, dai Procuratori de Citra, in applicazione della Commissaria di un certo Zuane Ravagnan. Dopo secoli, con la bufera napoleonica del 1800, vennero modificate e riutilizzate in mille maniera fungendo perfino da rivendita di carnami, prima d’essere adibite a unità commerciali per l’ospitalità turistica. Oggi nei pressi di quella che è stata la Contrada di San Geremia, rimangono dipinte sui muri le indicazioni toponomastiche di “Calle de le Procuratie” … e sembrerebbe che il Pittore Sebastiano Ricci stabilitosi dal 1695 a Venezia, abbia preso casa in affitto nella stessa Contrada di San Geremia, andando ad occupare proprio gli spazi di una parte di quelle Procuratie di San Geremia … Non ci sono però grandi indizi al riguardo … come scarne, tutto compreso, sono le notizie sulle Procuratie Veneziane … Però curiosamente ci sono state.





La mirabile Festa della Salute

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#unacuriositàvenezianapervolta 300

LA MIRABILE FESTA DELLA SALUTE 

Corriamo ormai verso la notte umida e buia di quest’ennesima Festa della Salute … La Basilica della Salute quest’anno è incartata quasi da pacco natalizio … e più di qualche cosa sembra concertare e congetturare per minimizzare questa Festa tutta Veneziana così cara e nostrana.

Quest’anno è spuntata fuori l’infelice storia della Fiera della Salute, che se da una parte fa un po’ sorridere per il suo sapore goliardico e di rivalsa un po’ da sagra campagnola, dall’altra immiserisce perché corrode e impoverisce un po’ il senso profondo di questa nostra bella Tradizione ... Tutto si potrà dire delle nostre belle Feste Veneziane come la Salute, San Marco e il Redentore, ed altre ancora … ma di certo non hanno nulla a che spartire con quel sapore da luna park, baracche, giostre, tiroassegno e autoscontri, costesine, birra a fiumi e musica da quattro soldi tirata dietro che caratterizza spesso i convegni e le scadenze terrafermicole.

Venezia è un’altra cosa … Né si potrà intaccare facilmente il forte e grande DNA di questa nostra identità storica e lagunare.

La Festa della Salute: guai chi ce la tocca ! … Rimarrà per sempre radicata nel più profondo di noi stessi.

Non ci riuscirà neanche la delusione per l’entrata contingentata dell’accesso alla Basilica dovuta alle giuste misure antiCovid, che se da una parte ha tenuto lontano i ben informati, dall’altra ha messo là al freddo per ore tanti vecchi e bambini in inutile attesa per poter entrare. In certi momenti la fila delle persone in attesa arrivava fino in Campo San Vio verso l’Accademia … e più di qualcuno venuto appositamente da fuori Venezia e da lontano, si è ridotto a far marcia indietro tornando alla sua residenza.

Un po’ infelici certe risposte: “Ogni giorno è buono per far la Festa della Salute … Perché per forza venir qua tutti oggi ?”

E ancora: “Perché non vi guardate la Festa in televisione ?”

Forse un po’ di sapienza organizzativa in più non guasterebbe … e anche quella Basilica con le sole autorità Civico-Religiose all’interno, a dire il vero era proprio miserella.

Ma perché velare di tedio questa bella Festa ? … Non sarà mai.

Quasi a consolazione vi offro il racconto di chi ha vissuto questa Festa per anni proprio dal suo interno, provando a raccontarne il senso più profondo che trabocca quasi dal cuore di tutti i Veneziani.

Mettetevi comodi… trovate qualche minuto, perché mi sa che questa sera vi aiuterò a prendere il sonno.

“E’ stata per diversi anni una sensazione del tutto diversa vivere la Festa della Madonna della Salute stando dall’altra parte della barricata, cioè dal punto di vista di chi l’allestisce e prepara, gestisce l’accadimento, considera gli effetti, i retroscena e le future prospettive di quell’annuale avvenimento che è da secoli: tutto Veneziano.

Mi è capitato di vivere entrambe le situazioni: sia di partecipare alla Festa per anni e anni come un comune Veneziano “pellegrino per tradizione cittadina” a causa di quel voto antichissimo “della Salute”; che come Sacrestano, Seminarista, Chierico e Prete, cioè dalla parte di quelli che lungo i secoli hanno sempre incarnato e riproposto l’animo, quasi il senso profondo originario della Festa, indicandone le sembianze tradizionali più tipiche e intime.

Quando vivevo da Seminarista alla Salute, la Festa era quasi il clou dell’intera annata Seminariale: una specie di punto d’arrivo e di ripartenza, una sorta di spartiacque annuale.

Per me poi personalmente, per diversi anni l’allestimento della Festa fu un altro degli “incarichi di fiducia” che mi conferì il Rettore del Seminario che era anche il Rettore della Basilica della Salute.

Voi di sicuro saprete immaginerete la tipica festa Veneziana con la solita fiumana di gente, il grande “Pontificale” di metà mattina insieme alle Autorità Cittadine e il Patriarca, gli addobbi pomposi allestiti ovunque, e tutto il corollario allegro della fiera delle candele e delle frittelle fuori sul Campo della Salute e nel Rio Terà dei Catecumeni ... Quale Veneziano non conosce la Festa della Madonna della Salute ?

Quella Festa però è stata anche altro: direi che ha avuto spesso “un di più”, cioè una specie di significato supplementare e nascosto che non tutti conoscono … Pochi, infatti, possono immaginare che cosa è potuto capitare nel “dietro le quinte” di quel gran chiesone Veneziano ... Ve lo dico io che c’ero: ne sono capitate tante lungo gli anni … Davvero di tutti i colori.

Ogni anno, infatti, da secoli ritengo, anche se oggi molto meno di ieri, accade un enorme quantità di lavoro: un febbrile formicolio di preparativi che va progressivamente ad allestire e determinare la Festa in chiesa. Chi si reca lì dentro il 21 novembre di ogni anno non se ne renderà conto: vedrà solo gli addobbi, la Basilica illuminata e parata a festa, gli oggetti preziosi esposti, le luci e le candele accese, la “Madonna nera” inghirlandata di ori e preziosi collocata al suo posto in cima all’Altare Maggiore, il grande mantello rosso che avvolge come un abbraccio il possente gruppo marmoreo realizzato da Jouste Le Court ... Insomma il comune Fedele-Pellegrino Veneziano vedrà ogni solita cosa al suo posto, preparata come si deve e come sempre ha visto durante la sua vita.

S’ignorerà però lo sforzo che è stato necessario per presentare la grande chiesa in quel modo. Io che per anni l’ho intrapreso e vissuto, posso dirvi che si tratta di un lavorio faticoso e lunghissimo, che qualche decennio fa iniziava addirittura qualche mese prima della Festa della Salute. Era un impegno non da poco che richiedeva un’infinità di tempo e dedizione. A dirvelo un po’: ho trascorso pomeriggi su pomeriggi (di mattina frequentavo il Liceo o la Scuola di Teologia del Seminario) ad arrampicarmi fino in cima a scale vecchissime e traballanti per salire a rivestire colonne a altari di preziose, polverose stoffe, teli, drappi, damaschi e soprarizzi che traevamo fuori dai vecchi armadi delle Sacrestie assaliti dai tarli. Alla fine avvolgevamo quasi ogni parte della Basilica conferendole un “Volto festivo” secondo la tipica abitudine veneziana di “vestire le chiese per le feste come da sposa”.

Si trattava di chilometri di stoffe srotolate, stese e issate pazientemente con corde e carrucole fino a ricoprire a volte intere pareti … Mentre i miei compagni Seminaristi se ne rimanevano intenti a studiare al calduccio o a trastullarsi nel campetto da calcio, io trascorrevo il mio tempo a “vestire e lavare” la chiesa della Salute … Perché: “si doveva” fare, mi spiegava ogni anno il Rettore ... Non si poteva esimersi dal farlo.

Quante volte me ne sono rimasto abbarbicato in cima a quelle scale scricchiolanti legato con una corda in cintura a combattere con un vecchio chiodo arrugginito o con un gancio spezzato che scappava via dopo decenni o forse secoli dal suo buco sul capitello di una colonna rimanendomi in mano quando lo raggiungevo per appendervi qualcosa: “Maledetto !” me ne venivo fuori a dirgli.

“Che sfiga delle sfighe ! … Proprio a me doveva capitare che scivolasse fuori questo chiodo per farmi impazzire ?”

Mi toccava allora armarmi di “Santa Pazienza” oltre che di martello e scalpello, e salire fin lassù a togliere il legno fradicio incastrato nel marmo per sostituirlo con un nuovo “cùgno legnoso” dove immettere un nuovo gancio o chiodo. Che fatica a volte ! … Come quando metri e metri di stoffa finivano con l’attorcigliarsi in qualche fessura fin troppo stretta del muro e delle colonne, e “non cadevano” più giù lisci e avvolgenti sui marmi come avrebbero dovuto. In quegli anni, quando ancora non esistevano all’interno della Basilica le impalcature semoventi, si andava di nuovo a prendere le solite ataviche scale, e armati di pertiche e canne si stava lì a strattonare, spingere e tirare finchè finalmente quegli “stracci” finivano al loro posto in maniera adeguata calzando a pennello.

Ogni tanto sopraggiungeva il Rettore baschetto in testa e sciarpa girocollo “a controllare”, e vedendoci/mi lassù in alto a far “acrobazie” si accontentava di borbottare: “Me ne vado ! … Mi fate impressione in cima a quelle vecchie scale traballanti … Prima o poi mi dovrò decidere a comprarle nuove … o a ordinare l’acquisto di un’impalcatura.”

Peccato però che poi non realizzasse mai quel che prometteva, perciò ogni anno venivamo a trovarci … mi ritrovavo cioè … puntualmente nella stessa pericolosa situazione.

“Ohe ? ... Ma che fine hai fatto ? Non ti si vede più in giro ?” venivano a dirmi ogni tanto i compagni provando a “recuperarmi” durante l’ora della ricreazione: “Vieni almeno a giocare una partita al pallone ?”.

Scendevo allora tutto polveroso tralasciando di movimentare quella montagna di quelli che chiamavamo “stracci”, e sfidando i brontolamenti del Rettore che non amava veder rallentare l’allestimento e i preparativi di quella sua “creatura festiva”, qualche volta evadevo brevemente da quella specie di cantiere per dedicarmi a una liberatoria quanto salutare “partitaccia a pallone”.

“Ma chi te lo fa fare d’imbarcarti in tutto quell’ambaradàn invece di studiare ?” mi chiedevano gli amici fra una pallonata e l’altra: “Non c’è qualcuno altro che possa occuparsi di tutto quel lavoraccio dell’allestimento ?”

Non sapevo che rispondere … O meglio: mi vergognavo un poco a spiegare che quel “sacrificio” era un po’ dovuto nei riguardi del Rettore e del Seminario perché ero squattrinato e c’era qualcuno che provvedeva a coprire la mia retta da Seminarista. Quella forma “d’aiuto e disponibilità” da parte mia era un modo di dimostrare fattiva riconoscenza nei riguardi di chi mi stava aiutando economicamente ... Vi posso garantire che di riconoscenza fattiva lungo gli anni del Seminario ne ho dimostrata più che tanta, di certo “da pareggiare” (se non superare di molto) quanto mi è stato generosamente regalato.

“Qualcuno dovrà pur fare questo lavoro,” provavo allora a spiegare: “Non vorrete mica che la Basilica si presenti ai Veneziani tutta spoglia e sporca il giorno della sua Festa ? … Sapete poi come me che non essendoci più in chiesa un vero e proprio Sacrestano, serve sempre “un uomo della Provvidenza” che si dia da fare al suo posto … Come potete intuire in questa stagione l’uomo della Provvidenza sono io e tocca a me provvedere.”

I miei compagni mi ascoltavano senza replicare … Qualcuno più generoso si premurava ogni tanto “di farmi compagnia”, e veniva allora ad aiutarmi in qualche momento libero. Per questo ogni tanto c’era in Basilica un piccolo esercito di Seminaristi volonterosi che si spingeva avanti e indietro nella grande chiesone deserto e gelido collaborando alla complessa realizzazione di tutto quell’allestimento così complicato e laborioso.

Come sempre: chi non ha provato non potrà sapere e capire …E anche chi è venuto dopo ed ha agito in modo diverso e dotato di maggiori sussidi e aiuti non coglierà la fatica fatta in quegli anni … Riempievo interi pomeriggi, ad esempio, prendendo in considerazione su indicazione del Rettore ogni singola lampada d’ottone o d’argento della chiesa. “Dandoci d’olio di gomito, sabbia, Sidol e limone” la facevamo scendere dal soffitto con una carrucola, e rimanevamo lì a lucidarla e strofinarla fino a farla scintillare e splendere “a specchio” … In seguito, mai paghi e domi, salivamo ancora sopra le solite scale dondolanti fino ad arrivare a spolverare e pulire le antiche lampade viola-azzurro in vetro di Murano appese ai fili che scendevano dall’alto della Cupola Piccola nei pressi dell’altare ... Le abbracciavamo strette come sorelle per lisciarle e ripulirle da tutto il “nero fumo” che procuravano le candele che ardevano di sotto tutto l’anno.

Chi avrebbe notato tutto quel nostro ripulire e lucidare ? … Forse nessuno: “Fallo per omaggiare la Madonna !” mi rispondeva il Rettore al quale ogni tanto chiedevo spiegazione per tutto quell’imponente operare.

Soprattutto in qualche annata particolare, lo stesso Padre Rettore si dimostrava essere insolitamente sensibile alla dettagliata pulizia e al decoro del suo chiesone: ne diventava quasi maniaco, voleva far risplendere tutto sotto agli occhi (miopi) dei Veneziani … che probabilmente non si sarebbero mai accorti di tutto quel nostro sforzo.

“Poco importa che se n’accorgano.” mi diceva … Ci faceva (spesso: mi faceva, perché mi trovavo da solo) armare di stracci, secchi d’acqua fredda, detersivi, spazzole e spugne, e c’indicava di lavare letteralmente ogni altare della chiesa … Proprio ogni parte dell’altare: ogni marmo, ciascuna decorazione, e fin su in alto ogni colonna, e fin giù in basso ogni singolo gradino, comprese le artistiche balaustre e i cancelletti che li contornavano: dovevano splendere pure loro in qualche modo.

Vi sembra quasi impossibile vero ? … Invece è andata proprio così … per diversi anni.

Strusciavo pazientemente ogni singola parte, andavo a cambiare l’acqua che diventava puntualmente nera, polverosa e untuosa, e poi riprendevo pezzo dopo pezzo fino a completare l’opera intera della pulizia … Mi pareva d’essere un restauratore della Sovraintendenza alle Belle Arti … Servivano giorni, settimane per completare quella pulizia così meticolosa. Poi, una volta pulito il singolo monumento dell’altare, si passava alla fase successiva: cioè alla sua “vestizione” … Si ricoprivano le colonne, si posizionavano paliotti e tappeti, candelabri (risciacquati e lucidati pure loro), tovaglie, arredi d’altare, piante e quant’altro veniva in mente al Rettore di volta in volta.

Ogni anno c’era un’opera “maiuscola” da compiere. Sarebbe servita un’intera impresa di pulizie ... mentre ero lì: quasi sempre da solo.

Terminata questa fase, si passava a “curare” lo splendido pavimento marmoreo della Basilica: grande come una piazza, che doveva luccicare pure lui pulito sotto gli occhi dei Veneziani. Ancora altri pomeriggi su pomeriggi quindi trascorsi a scopare, passare e ripassare con petrolio, segature e lucidatrici passo passo, intarsio dopo intarsio, pietra dopo pietra ogni zona dell’intera chiesa … Non finivamo mai di tirare a lucido quel benedetto pavimento, che però alla fine splendeva in tutta la sua magnificenza apprezzabile tutt’oggi. L’ultimo pezzo ad essere pulito e lucidato era quello centrale sotto alla grande lampada d’argento che pendeva dalla cupola centrale: “Unde origo inde salus” (Dallo stesso luogo dove abbiamo trovato origine, sempre da lì è scaturita la nostra Salvezza) Potete andare ancora oggi a leggerlo: recita proprio così il motto impresso al centro del pavimento contornato da tante Rose simbolo del Culto Mariano e della Devotio Veneziana. Quella scritta è come la sintesi plastica che racchiude il senso dell’intero monumento religioso.

Tiravo un sospiro di sollievo quando terminavo di lucidare quella scritta d’ottone, perché significava che la pulizia dell’enorme pavimento era terminata … con soddisfazione, perché alla fine della fine mi affezionavo a tutto quel mio intenso lavorare … Ogni giorno sentivo come crescere in maniera progressiva e concentrica quella Festa della Madonna della Salute che avvertivo come mia, al pari di quell’immenso chiesone che finivo col curare palmo a palmo … Mi sarebbe mancato solo di salire a spolverare con un pennellino le singole volte a vela della Cupola Grande, o d’arrampicarmi a ripulire la Madonna di piombo posta sulla sua cima.

Per fortuna quell’opportunità non è mai passata per la testa del Rettore, altrimenti sarebbe stato capace di chiederci anche quello.

Dal giorno dopo alla Festa della Salute secondo un’altra direttiva ferrea dello stesso Rettore della Basilica si sarebbe dovuto in fretta smantellare tutto quell’apparato per portare la Basilica della Salute fin dalla Festa dell’Immacolata dell’otto dicembre nella sua tipica spoglia e disadorna “veste invernale”: altro lavoraccio gravoso realizzato sempre in velocità e spesso in corsa contro il tempo.

Eravamo (qualche volta ero) “l’impresa fa e dèsfa”, perciò di nuovo per giorni su giorni trascorrevo il mio tempo pomeridiano fino a sera dedicandomi a spreparare, arrotolare, piegare e riporre un’infinità di cose tornando a riempire i soliti armadi “cariati” e scricchiolanti dove il tutto avrebbero ripreso “a dormire” fino all’anno seguente ... o quasi. A metà Quaresima, in realtà, buona parte di quell’amabaradàn sarebbe stato rimesso in opera per allestire la ricorrenza delle Quarant’ore, che avrebbe di nuovo visto coinvolto l’intero Seminario, i Preti, i Chierichetti di tutta Venezia e Isole, e perfino il Patriarca.

Manie del Rettore ? Forse sì ... Ma si facevano tutte quelle cose “secondo Tradizione” ... e quando si usava quella parolina “magica” all’interno degli ambienti di Chiesa si faceva sempre riferimento a qualcosa che per natura sua era sempre irrinunciabile e non si poteva affatto dismettere.

In ogni caso, giorno dopo giorno il Rettore si dimostrava sempre più soddisfatto e contento perché vedeva “crescere la sua opera” (sua ?), e vedeva la “sua Basilica” sempre più pulita, preparata, abbellita e predisposta ... “come andava fatto”.

Dopo qualche anno di quel lavorio, il Rettore dava per scontato che mi attivassi “per tempo” per mettere in opera tutto quel complicato allestimento. Iniziava a pressarmi perché incominciassi a lavorare quando secondo lui: “Si andava facendo ormai tardi per preparare la Festa” … ed eravamo appena ai primi di ottobre.

Mi attivavo allora … controvoglia sinceramente … ricco della freschezza e dell’inconsapevolezza dei miei giovani anni, e della spericolatezza che mi era congeniale. Addirittura mi avventuravo a “camminare” con le scale standovi appollaiato sopra … e riprendevo ad appiccicarmi su per le pareti e le colonne della Basilica come un Ragno al muro. (Quella delle scale e scalette è sempre stata una “costante” delle chiese di Venezia, così come la smania di abbellire, addobbare e “vestire a festa” le chiese. Ciascuna chiesa, anche la più piccola, è sempre stata ben fornita di tutta una sua serie di scale d’ogni misura e forma, che molto spesso venivano messe a disposizione anche delle necessità dei Parrocchiani della circostante Contrada. Anche oggi, in qualche chiesa vecchiotta e poco restaurata è ancora possibile vederle affastellate, grigie, marce, e abbandonate fuori uso in qualche angolo, di solito nei pressi del portone centrale … Altri tempi !)

In quanto alla Sicurezza mentre lavoravo, m’infilavo costantemente in situazioni di rischio e pericolo da rabbrividire: ero spericolatissimo … Non ci pensavo allora, e il Rettore della Basilica e del Seminario ci pensava ancor meno di me … Nove volte su dieci m’arrampicavo in giro per la Basilica in pratica senza alcuna misura di prevenzione e sicurezza ... Sono giunto perfino a salire a cavalcioni su per le lisce colonne degli altari aiutandomi con uno spezzone di corda che assicuravo con qualche nodo in maniera davvero precaria ... La Madonna della Salute deve aver sudato quattro camicie per proteggermi giorno dopo giorno.

Rabbrividisco ancora oggi nel ripensare a quei momenti ... Non era coraggio, era sprovveduto ... ma “per la Salute” ero disposto a fare quello e anche altro.

La Festa della Salute ancora, sempre per noi “addetti ai lavori”, significava anche qualcos’altro. Contare i soldi delle elemosine raccolte durante tutti i giorni della Festività, ad esempio.

Non pensate che sia stata una cosetta da poco, una banalità, smaltire pochi spiccioli ! … Non era affatto così.

Innanzitutto perché non erano per niente quattro spiccioli … Dopo la ricorrenza del 21 novembre, giornata effettiva della festa tradizionale, ci ritrovavamo con numerosi bidoni della spezzatura pieni fino all’orlo di monete che ogni anno necessitavano d’essere impacchettate, contate e riordinate prima d’essere infine accettate e accolte da qualche banca cittadina. Anche quello era un immenso lavoraccio ! … Si trattava ogni anno di qualche quintale di monete da smaltire.

C’era si qualche volta qualche fedele generoso che metteva nelle mani del Rettore qualche bustina contenente un pratico assegno sostanzioso, ma nella maggior parte dei casi, invece, i Veneziani si adopravano ad offrire una marea di spiccioli di ogni taglio che messi insieme formavano una vera montagna di soldi soprattutto di metallo. S’iniziava la conta dopo aver metodicamente vuotato più volte le varie cassette collocate in Chiesa, e si raccoglieva il tutto nel riservato retrostudio del Rettore insieme ai proventi delle vendite dei Teloni o bancarelle, e delle varie raccolte effettuate in chiesa durante le Messe e le celebrazioni. Per anni Seminaristi “di fiducia” accuratamente selezionati dal Rettore si prodigavano per mesi (!) in quell’improbo impegno di smaltire e sistematizzare tutte quelle elemosine ... che non erano affatto poche.

Ricordo interi pomeriggi trascorsi a smistare prima i pezzi di cartamoneta, e poi a contare e arrotolare file su file infinite di monetine. Pareva non si riuscisse mai ad arrivare al fondo di quei pesantissimi bidoni carichi di soldi ... Conta, conta, conta e riconta: il bidone sembrava sempre pieno ... e il Rettore se la rideva per il conto totale che cresceva, così come per lo stupore che leggeva ogni volta sui nostri occhi quando iniziavamo a rimestare dentro a quei “preziosi” e singolari bidoni. Ogni anno alla fine ne derivava una bella sommetta … che in buona parte veniva destinata al sostentamento del Seminario, e in piccola parte al fabbisogno della grande Basilica Longheniana.

Ultimo atto della “contàda”: si andava con uno sgangherato carrettino a portare e depositare al di là del Canal Grande quei soldi “organizzati” in banca, premurandosi di procurarsi di rimando una preziosa ricevuta che andavamo immediatamente a consegnare al Rettore della Basilica e del Seminario.

Un altro “dietro alle quinte” recondito e curioso della festa della Salute era quanto accadeva nel sotterraneo della Basilica della Salute che si riempiva ogni anno di mozziconi, “mòccoli” di candele nuove o usate riempendo gli ambienti sotterranei fino al soffitto. Erano il frutto delle infinite offerte della Devozione dei fedeli, che quasi mai si lasciavano ardere del tutto, e più che spesso non si accendevano neanche davanti all’altare della Madonna.  Ogni anno da quella raccolta svolta meticolosamente per giorni alle porte della chiesa o ai piedi dell’altare ne veniva fuori una montagna di cera untuosa e di pessima qualità. Il Rettore aveva un traballante accordo con una Cereria del Mestrino che era disposta a raccogliere tutto quel “ben di Dio” tiranneggiando sempre sul prezzo, il trasporto e il confezionamento di quella massa cerea informe. In cambio di tutto quell’ammasso di scarso valore la Cereria era disposta a praticare un modesto sconto sull’acquisto di candele di buona qualità che alla fine inviava alla Basilica per l’uso quotidiano dell’altare.

In fondo, gira e rigira, le candele offerte dai Veneziani finivano sempre lì dov’erano dirette fin dal giorno della Festa ... magari dopo un lungo giro e qualche “trasformazione”.

C’era un altro faticoso “però” di mezzo … Cioè ogni anno serviva sempre “un qualcuno” che mettesse tutti quei quintali di cera dentro a dei capienti sacchi di iuta, che alla fine una barca passava a ritirare traghettandoli fino alla Marittima. Da lì la cera avrebbe preso la strada della Terraferma e della Cereria.

Secondo voi, a chi toccò per anni il lavoraccio d’insaccare tutta quella montagna di cera ?

A me e a mio fratello in seguito … Ore e ore, pomeriggi su pomeriggi a tagliuzzare con un coltellaccio le singole candele traendole dalla montagna cerea che si faceva via via sempre più compatta e uniforme. Alla fine si prendeva il pesantissimo sacco, lo si pesava e numerava applicandogli un talloncino, e lo si ammonticchiava in attesa d’essere trasportato via.

“Vieni a giocare a pallone oggi dopopranzo?” mi chiedevano i compagni Seminaristi.

“No … Ho un “impegno di fiducia” conferitomi dal Rettore da portare avanti.”

“Un altro ? … Gli incarichi di fiducia del Rettore suonano sempre di faticaccia.”

“Sì è proprio così.” e me ne andavo di sotto nel sotterraneo a combattere con le candele della Festa della Salute. Solo raramente i miei compagni seminaristi accettavano di condividere con me quella faticaccia. Lo facevano “una tantum” magari nei giorni in cui pioveva e il campetto da calcio non era praticabile. Poi intuivano la fatica e la noia di rimanere lì sotto nel sotterraneo a lavorare, perciò sparivano e non vi tornavano più. Il “Lavoraccio” si protraeva per buona parte dell’inverno e fino a primavera inoltrata … Di certo era meglio andare a giocare a pallone.

Ogni tanto nella spelonca sotterranea appariva il Rettore: “E allora come andèmo co sto lavoro ? … Se procede o se batte la fiacca ?”

Qualche volta quel lavoro da libera prestazione volontaria si trasformava in “gentile” pretesa … Da parte mia non volevo né potevo non mostrarmi disponibile a compiere quell’infimo lavoraccio … Incombeva sempre su di me quel bisogno in qualche modo di “sanare” quel debito di riconoscenza per quanto i benefattori provvedevano per la mia retta e il mio mantenimento nel Seminario … C’era un unico Seminarista che veniva saltuariamente ad aiutarmi nello svolgimento di quel lavoro improbo: scoprii ben presto che si trovava anche lui nella mia stessa difficile situazione economica, per cui anche lui non poteva ritrarsi dal mostrarsi disponibile a mettere in opera i così detti “Incarichi di fiducia” del Rettore del Seminario ... Pure lui “per riconoscenza”.

Ogni anno poi spuntava la data precisa del trasporto in Terraferma dei sacchi di risulta delle cere: per cui bisognava impegnarsi in un annuale forcing finale per smaltire del tutto il solito “monte ceròso”. Ogni volta osservavo da una parte con soddisfazione quel cantuccio lercio del sotterraneo che diventava sgombro e vuoto per breve tempo. Dopo l’estate e con la prossima Festa della Salute sarebbe tornato di nuovo a riempirsi di candele fino al soffitto, e qualche altro “fortunato” al mio posto avrebbe ricevuto probabilmente il “divertente incarico di fiducia” di smaltirle e confezionarle per la Cereria.

Questi comunque erano aspetti marginali, retroscena secondari e di contorno della Festa. Per fortuna la Festa della Madonna della Salute significava molto e molto di più.

Ciò che della Festa mi ha maggiormente impressionato per anni vedendola “dal di dentro”, è stata un’altra considerazione di portata e significato sicuramente superiore. Mi ha impressionato il fatto, che quasi magicamente dopo secoli, i Veneziani continuassero puntualmente ad accorrere devoti a migliaia portandosi ogni anno nel Santuario della Salute da tutte le Contrade Veneziane, ma anche dalle isole circumvicine e da tutta la Terraferma e il Litorale Veneto. La sensibilità nei confronti della Festa della Madonna della Salute di Venezia mi è sembrata quasi l’effetto di un DNA atavico inserito dentro al corredo cromosomico dei Veneziani. La ricorrenza della Salute al pari del Redentore, la Sensa, la Regata Storica, il Carnevale, la Biennale, la Mostra del Cinema e diversi altri sembrano quasi eventi irrinunciabili, e irresistibili a cui ogni Veneziano non sa, né vuole esimersi dal considerarli e parteciparvi.

Non si tratta di un fatto esclusivamente Devozionale e di Fede, sembra piuttosto un connotato specifico che qualificava la Venezianità. Non si può non andare alla Salute se si è Veneziani veri … Così come non si può fare a meno di considerare le altre manifestazioni e scadenze del calendario a cui ho accennato. Infatti nel chiesone della Peste della Salute o sempre visto presenziare persone eterogenee di ogni sorta, compresi atei incalliti e mangiapreti, e tanta altra gente che con la Religione aveva di solito ben poco a che fare durante tutto il resto dell’anno.

C’era gente che mai avrebbe pensato di recarsi in una chiesa a Pasqua o Natale, che neanche partecipava allergico a Funerali e Matrimoni in chiesa … ma la Festa della Salute: quella no … Non se la perdeva affatto ... Sapeste quante persone del genere ho conosciuto, alcune anche molto pittoresche e singolari.

La Festa della Salute, insomma, caratterizzava da secoli l’identità cittadina, ed era, ed è tuttora un vero e proprio segno d’appartenenza ... anche se oggi qualche “colpetto” lo sta perdendo in quanto a partecipazione e presenze ... Col Covid poi: tutto s’è liofilizzato, ridotto, per non dire quasi esaurito e spento.

Alla fine quindi, dopo quel nostro intenso e interminabile lavorio, giungeva allora prima la Vigilia e poi ovviamente il tanto atteso giorno della Festa della Salute vera e propria … Era un Festone a dir la verità, ogni anno un’occasione speciale che ci ha coinvolti per molti anni facendoci emozionare sul serio. Non esagero nel dire, che dal nostro punto di vista Seminariale ogni anno il giorno della Festa della Salute era proprio un momento “magico”.

La Vigilia era come un “succulento antipasto della Festa”, ed era contrassegnata dall’apertura del tradizionale Ponte di barche steso attraverso il Canal Grande fra le Contrade della Madonna del Giglio e quella di San Gregorio, e soprattutto dal Pellegrinaggio dei Giovani alla Basilica della Salute … Era un appuntamento atteso e significativo che concludeva la serie delle partecipazioni e pellegrinaggi alla Basilica accaduti nei giorni precedenti alla Festa: quello delle Religiose, delle Schole, della gente del Vicariato di Dorsoduro, dei Malati … e altri ancora.

Quanto riflettevo e pensavo ogni anno vedendo sfilare quei giovani con le fiaccole in mano ! … In loro vedevo i miei futuri giovani, quelli della mia futura Parrocchia che ancora non conoscevo né immaginavo. Vedevo in loro il futuro che avrei desiderato per la nostra Chiesa di Venezia: un futuro coinvolgente carico di freschezza giovanile ed entusiasmo, una voglia di modernità, di adesione, e di disponibilità incondizionata a vivere l’Ideale Vangelico e di rimando Essere Chiesa ... Vedendo sfilare i giovani della Festa della Salute in un certo senso sognavo ad occhi aperti ... Ascoltare le parole programmatiche ed entusiaste dei Patriarchi, osservavo pregare, cantare, ridere e partecipare attenti. Tutta quella folla di giovani era per me quasi una visione profetica: una porta spalancata sul futuro.

C’erano presenti i giovani dei Movimenti Cattolici, cioè quelli che davano parecchio da pensare e facevano preoccupare i vecchi Preti, e non soltanto loro per le novità, le esperienze, e le convinzioni insolite che promuovevano … C’erano i gruppi degli Scout con la loro solita aria da esploratori smarriti e sprovveduti, c’erano i gruppi dei Focolarini, di “Cielle”: Comunione e Liberazione, quelli del Movimento dello Spirito, dell’Azione Cattolica, e perfino quelli dei tradizionalisti Tarcisiani che storcevano il naso di fronte a tutte quelle pericolose sensazioni moderne. C’erano ancora gli affollati gruppi degli Universitari, i Volontari della Charitas e della Mensa di Betania, i Catechisti, gli appartenenti ai gruppi dei Neocatecumenali, e pure qualche isolato gruppuscolo dei giovani delle Parrocchie Veneziane che non appartenevano a nessuno se non a loro stessi: c’erano i giovani del Redentore, dei Mendicoli, gli sparuti giovani dei Gesuati e di San Trovaso, quelli di San Zaccaria, di San Martino di Castello e via così … E c’era ancora un immancabile accorrere di Frati, Preti e Suorine, Donne Consacrate con la crocetta francescana di legno al collo, o semplici Laiche impegnate dall’identità indistinta o stagionata al confine con Zitellesco che finivano col far da contorno a quella folla giovane eterogenea e festante: un gran bel vedere che induceva a speranza ... quasi commuoveva.

“Che ci fa un vecchiotto come lei in mezzo a tutti questi giovani ?” chiedevo ogni anno a un immancabile anziano che s’aggirava  ogni volta entusiasta in mezzo a tanta fresca e arzilla gioventù: “L’importante è sentirsi giovani dentro, giovani di spirito … Davanti a Dio e alla Madonna non contano l’età … Si è sempre giovani … e in debito di Salute e riconoscenza.” mi rispondeva, e tornava ad aggregarsi alla fiumana umana che transitava con le fiaccole in mano che fumavano e colavano … Ne risultava ogni anno un pittoresco corteo sempre inseguito dalle telecamere delle televisioni regionali sempre disposte a raccogliere contributi, immagini e interviste di volti entusiasti che finivano in onda in prima serata.

Ricordo una volta di un Prete, a dire il vero: molto sussiegoso e pieno di se, che per un paio d’ore continuò a correre avanti e indietro fra i Giovani e la Basilica invitando tutti ad assistere al telegiornale serale dove sarebbe apparsa una sua interessante e riuscita intervista circa la Festa della Madonna della Salute. Insistette talmente tanto con tutti, che quella sera finimmo per davvero incuriositi davanti alla televisione … Durante la trasmissione, invece, spuntò fuori il suo faccione per due secondi in tutto, e non si sentì una sola parola del tanto “di bello” che affermava d’aver detto e spiegato in quanto la voce del cronista si sovrappose del tutto alle immagini della sua fugace comparizione mescolandole con quelle del corteo dei Giovani e della Festa: tanta boria e smania d’apparire … e poca consistenza.

Nel nostro mondo del Seminario e tutto Preteresco la singolare giornata festiva “della Salute” era poi ricca di appuntamenti e significati paralleli. Capitava di reincontrare diversi Preti, amici e conoscenti che venivano ad assieparsi in chiesa durante il solennissimo “Pontificale Patriarcale” al quale partecipavano tutte le Autorità cittadine di Venezia: Sindaco in primis. Il tutto incominciava con un altrettanto pomposa Processione delle Antiche Congregazioni del Clero Veneziano che anticipava la celebrazione del “Messone col Patriarca”: neanche pallido ricordo come consistenza con quanto accadeva un tempo.

Il così detto “Pontificale col Patriarca” accadeva giusto a metà mattina … Poco prima s’iniziavano “le grandi manovre” per preparare la chiesa ad accogliere il Patriarca e le Autorità Cittadine: si sgomberava dalla gente la “Rotonda Piccola” davanti all’Altare Maggiore della Madonna, e si predisponevano febbrilmente poltrone dorate per le autorità, tappeti e corsie rosse, ed ulteriori addobbi ...  C’era una vera e propria squadra di Chierici che si attivava abilmente per l’occasione: in pochi minuti chiesa ed altare erano pronti per accogliere gli ospiti illustri dando vita al momento topico: al clou della giornata.

Nell’occasione del Pontificale della Salute, qualche anno Patriarchi e Sindaci si sono impegnati, e talvolta contrapposti, producendosi in omelie e discorsi divenuti celebri nella Storia di Venezia. Ne ricordo, ad esempio, alcuni pronunciati dal Patriarca Albino Luciani o da Marco Ce davanti alle Giunte Laiche o Socialiste andando a toccare argomenti tostissimi e d’attualità scottante per Venezia. Certi grandi Patriarchi pur nella loro amabile umiltà e cordialità umana oltre che spirituale, non le mandavano di certo a dire ai Politici e alle Autorità di Governo presenti in Basilica. Durante gli anni del Terrorismo o dei problemi lavorativi delle fabbriche di Marghera e di Venezia, ad esempio, sono state pronunciate parole davvero forti, infuocate, che i Veneziani attendevano, hanno gradito, e sono accorsi ad ascoltare volentieri. Pure le Autorità e i Sindaci non perdevano l’occasione per rispondere al Patriarca e alla città, e più di qualche volta li ho visti e sentiti intenti a soppesare le parole, o a controbattere fieramente quelle pronunciate dal Patriarca … A volte sembravano dei veri e propri battibecchi pubblici pronunciati a distanza, sentitissimi e vivissimi, che però alla fine andavano a condensarsi e unificarsi, quasi ricapitolarsi e fondersi davanti a quell’unico altare della Madonna dei Veneziani.

Era come se non fossero trascorsi tutti quei secoli dal tempo del Voto della Pestilenza, e come se si ripetesse ogni anno e di nuovo quella scena di pietra imprigionata nel marmo sopra all’altare dove Venezia intesa come insieme unico Civico-Religioso e Popolare andava a inginocchiarsi ai piedi della sua Madonna per chiedere un qualche aiuto per superare “le Pesti Storiche” di turno.

Albino Luciani, futuro e sfortunato Papa Giovanni Paolo 1° … ripeteva: “Esistono tante pesti di oggi di cui abbiamo ancora bisogno di guarire … Non c’è più quella bubbonica del corpo … ma siamo afflitti in molte, da tante pesti dell’Animo che c’impediscono di vivere felici …”

Aveva ragione … Eccome.

Mi piaceva assistere e vivere quel momento dei Discorsi il giorno della Festa della Salute, e insieme con gli altri rimanevamo attenti a “bere” ogni parola dei celebri discorsi che uscirono dalle bocche sia dei Patriarchi che dei Sindaci di Venezia … Oggi si è perso molto, quasi del tutto la profondità e la forza di quell’appuntamento che era anche dialogico e di confronto istituzionale oltre che rappresentativo della sensibilità della città. Più che altro oggi è facile ascoltare discorsi di circostanza, o riflessioni prettamente religiose … mentre l’Autorità Civile spesso tace ... distante.

Approntato il “Pontificale della Salute” spesso rimanevo fuori “dalla mischia dell’altare e delle Autorità”, e mi premuravo, invece, rimanendo al margine che tutto l’apparato e la macchina della Festa girassero lisci funzionando come si doveva. Dismessa la tonaca da Chierico, e confuso fra la folla, oltre a deliziarmi in disparte dei discorsi del Patriarca e del Sindaco, mi dedicavo ad accendere ogni volta l’infinità dei “candelotti” sparsi per tutta la chiesa, sulle colonne, e sugli altari utilizzando una lunghissima canna sulla quale ponevo uno stoppino acceso in cima ... Sembravo uno strano pescatore eterogeneo che s’aggirava fra la folla in chiesa … Oppure comparivo dal niente sopra al gruppo marmoreo dell’Altare Maggiore per sistemare qualche candela consumata o spenta.

Lì dall’alto mi divertivo ad osservare il fiume montante delle persone che scorreva per ore di sotto in chiesa. Mi piaceva vederlo fluire, riconoscere qualche volto, scrutarne le espressioni diverse, captarne gli umori, ascoltarne le espressioni e le preghiere … Vedevo lo spettacolo della Festa della Salute dei Veneziani, la ripetizione annuale della memoria di quel “Salvamento strano della città da tutti considerato Divino oltre che miracoloso”.

Sempre durante la Festa della Salute, c’erano sempre alcuni Preti che sostavano in Basilica a “prestar gratuito servizio” per l’intera giornata rimanendo spesso per ore e ore dentro ai Confessionali della chiesa dove accoglievano vere e proprie valanghe di Confessioni ... Altri tempi ... Il fenomeno del numero delle Confessioni, copiosissimo un tempo: davvero impressionante, pur rimanendo ingente di numero l’ho visto progressivamente sfumare lungo gli anni.

A tal proposito non posso far a meno di ricordare un paio di aneddoti secondo me curiosi e interessanti: un anno ci fu un Prete Veneziano che si presentò fin dall’alba come disponibile per confessare i fedeli della Festa. S’infilò subito in un confessionale della Basilica, e rimase lì dentro impegnato per delle ore … Dopo un po’ non vedendolo più comparire ed emergere fuori da quel chiuso confessionale polveroso, con i miei compagni ci chiedemmo: “Ma quel Prete là, che fine ha fatto ?” … Iniziammo a preoccuparci, anche perchè la fila delle persone che intendevano confessarsi non accennava a diminuire … Altri tempi vi dicevo ... Via uno, ed ecco subito che un altro prendeva il suo posto.

Trascorse un’altra ora, e ci decidemmo: facendoci forza bloccammo l’ennesima penitente in arrivo, e andammo a bussare al confessionale scostando la tendina che lo celava: “Padre ! … Padre ? … Come va qui dentro?” gli chiedemmo.

Era lì: smunto e pallido, provatissimo, quasi sfinito: “La Misericordia di Dio … La Penitenza …” borbottò disidratato e quasi confuso.

“Venga immediatamente fuori da qui !” gli ordinammo non senza una certa energia col mio solito compare Paolo: “Non vede com’è ridotto ? Sta quasi svenendo.”

“La Misericordia di Dio … La Penitenza dei Fedeli … La Remissione dei Peccati.” farfugliò di nuovo quello quasi confuso.

“Lascì stare per un attimo !” lo incalzò Paolo: “Ma ha fatto colazione stamattina ? … Ha preso almeno un caffè ? … Esca almeno a far pipì.”

“No … Sono a digiuno da ieri sera per la Messa che dovevo celebrare per la Festa … Poi sono entrato qua … e adesso ci sono i Penitenti che chiamano … e io … e …”

“Molli sti Penitenti e venga fuori subito da qua !” gli intimò Paolo: “O vado a chiamare il Patriarca e il Rettore.”

“Boo … Bo … Bo … la Penit … le Anime che si sfogano … certe storie che Dio …”

“Fuori !” ordinò Paolo perentorio. E quello finalmente si mosse impacciatissimo e privo ormai di risorse ed energie. Aprì lo sportellino scricchiolante del confessionale umidissimo, e provò a uscire di fuori ciondolando malfermo sulle gambe. Dovemmo prenderlo e sorreggerlo per le braccia … Chiuse gli occhi, e piegò le gambe cedendo verso terra: “Ohe Monsignor !” gli gridò Paolo, “Non faccia scherzi ! Si rianimi ! … Ma guarda questo ... A momenti mi resta secco nel Confessionale … Lo ritroviamo scoppiato a benedire con la manina per aria.”

Con non poca fatica lo portammo sudatissimo fin nel Refettorio, lo sedemmo a tavola, e lo costringemmo letteralmente a rifocillarsi convenientemente ... Al terzo caffè si riprese aggiungendovi anche una debita “correzione” proposta dalla nostra Suora Infermiera intervenuta prontamente sul posto.

“A pensare che sono anche diabetico.” Mormorò: “Mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo di rendermi utile alla Festa.”

“Bel pollo !” lo incalzò Paolo: “Le sembra questo il modo di trascurarsi ?”

Da quell’anno il Rettore della Basilica organizzò un servizio dei Confessori, e scelse un Chierico apposito che fra gli altri compiti aveva anche quello di controllare che qualche Confessore non finisse dimenticato in qualche angolo recondito della Basilica.

Un’altra volta, invece, qualche anno dopo, fu io in persona partecipe di un episodio singolare. Diventato Prete ed esercitando ai Carmini la mia “Missione Sacerdotale”, memore di quanto avevo vissuto intensamente negli anni precedenti sia nel Seminario che nella Basilica della Salute, ho sentito pure io il bisogno di presentarmi alla Festa nella Basilica per rendermi utile in qualche maniera come Prete.

Mi portai dunque nel chiesone, e rivoltomi a un giovane Chierico mi venne affidato subito un Confessionale per ricevere le Confessioni: “Si dice il Peccato, si discute il caso, ma mai il nome del Peccatore.” ci hanno sempre ripetuto negli ambienti Pretereschi, di Confessionale e di Morale … Mi è capitato appunto “un caso” che voglio condividere con voi.

Dietro alla grata del Confessionale ho intravisto un uomo corpulento di media età, che dopo i soliti preamboli Sacramentali di Rito ha iniziato a raccontarmi: “Padre … Confesso davanti a Dio che qualche anno fa sono stato io l’autore di un furto mai risolto, il cui autore non è stato mai trovato … Ero io … In quel momento ero in difficoltà economica, per cui ho sottratto con furbizia al mio datore di lavoro un ingente cifra di denaro: un piccolo tesoretto … Me ne pento ovviamente adesso, dopo che sono trascorsi quasi vent’anni dai fatti … Nel frattempo mentre il mio datore di lavoro è andato in grave difficoltà finanziaria, io, viceversa, ho fatto fortuna, anche a causa e per merito di quella somma che ho sottratto … Senza farmi notare sono riuscito nel tempo a investirla e farla fruttare, e adesso sono abbiente, ho messo su famiglia, ho figli e sto bene economicamente … Tutto è stato frutto però di quel furto antico.

Ovviamente non intendo venire allo scoperto, anche perché non vorrei turbare la serenità né di mia moglie che è all’oscuro di tutto questo, né vorrei inficiare l’onorabilità della nostra famiglia … Di intraprendere poi tutte le conseguenze del caso: proprio non se ne parla.

Voglio però in qualche maniera riparare a quanto ho fatto: voglio approfittare di questa Festa della Salute per risanarmi dentro e togliermi almeno una parte di questa Peste che mi trascino dentro da anni … So, che forse non otterrò tutto il perdono di Dio per quanto ho fatto e per come mi sono comportato, però voglio porre rimedio a modo mio al danno che ho procurato anni fa.

Dopo questa Confessione le porgerò una busta con un assegno pari a due volte quanto ho rubato a quel tempo … Compito suo sarà far pervenire questo denaro anonimo a chi ha veramente bisogno … Sarà nulla … ma servirà di certo ad acquietare la mia Coscienza …

Detto questo, senza neanche aspettare che aggiungessi qualche parola, né che gli proponessi una qualche assoluzione almeno parziale visto il suo sincero pentimento, sentii scricchiolare i legni del Confessionale, e da dietro la grata vidi muoversi e spostarsi il corpo pesante di quell’uomo. Un attimo dopo una mano grossa scostò la tendina del confessionale, e vidi apparirmi davanti un faccione d’uomo distinto con un paio di vistosi baffoni in volto, e un abito elegantissimo. Piangeva commosso sommessamente …

Non riuscivo a dirgli niente: fece tutto lui.

“Adesso mi sento molto meglio.” disse: “Prenda … Qui dentro c’è quanto ho detto …” e così aggiungendo mi porse una piccola busta candida. “La ringrazio di tutto … e d’avermi ascoltato in nome di Dio.” aggiunse. Poi volto le spalle massicce, e l’ho visto scomparire confondendosi con la folla che riempiva la Basilica. Un attimo dopo sono uscito dal Confessionale, ho consegnato la busta al Rettore del Seminario aggiungendovi poche parole … e sono andato a sprofondarmi in uno degli stalli del Coro dietro al celebre altare della Madonna della Salute.

Tutto mi pareva strano, diverso in quel momento … Strana era la Festa, le persone, io stesso … Strana la storia di quella Peste misteriosa che a volte prende la vita umana e le persona in maniera complicata e sempre diversa … Strano il connubio altrettanto misterioso di bene e male che si sovrappone a volte nell’intimo delle persone … e strano anche quel modo d’andarne fuori, di ripartire, di guarire e di rinascere: “E’ tutto questo vivere, questa Storia, questo esserci qui e adesso che è incredibile.” mi sono detto: “A volte la Storia è più grande di noi … C’è qualcosa di grandissimo che ci contiene, e ci porta dove neanche immagineremmo di andare.”

Anche se non “esercito” più da Prete, non ho più dimenticato quel momento … Mi sembra ieri.

Sono rimasto là qualche minuto: “Oggi la Madonna della Salute ha fatto un’altra guarigione ... un altro misterioso miracolo.” ho pensato ... Andò così.

Durante tutta la giornata della Festa della Salute si viveva comunque immersi nella Basilica e nel Seminario in un’elettrica atmosfera particolarissima di condivisione ed emozioni che mi è rimasta impressa dentro. Solo chi l’ha vissuta direttamente e dal di dentro può coglierne la valenza, intuirne la dimensione e assaporarne la memoria.

La giornata della Festa della Salute iniziava nel Seminario molto prima delle luci dell’alba, quando il Rettore della Basilica e del Seminario insieme al Chierico Sacrista e a qualche altro “fidato”, traeva in gran segreto dagli scrigni del Seminario i gioielli della Madonna Nera e li collocava sull’icona venerata da secoli dai Veneziani. Era un momento “magico” riservato a pochi: è stato bello ed emozionante partecipare più di qualche volta a quella vera e propria “incoronazione” … Ricordo ancora adesso: la penombra della chiesa ancora chiusa e deserta … l’intimo scintillio e tintinnare di quelle preziose e delicate collane, il baluginare fra le mani dei pochi presenti, la traballante scaletta posta davanti all’altare, e le “fortunate” mani di turno che ponevano i gioielli sopra all’icona della Madonna Nera. Mai come in quei momenti vedevi gli occhi di quella “Miracolosa e Santa Icona dei Veneziani” guardarti fisso così da vicino. Era proprio un “intimo a tu per tu” con la Vergine della Salute dei Veneziani ... qualcosa che non a tutti è dato d’esperimentare (un’emozione le cui tracce mi sono rimaste dentro per sempre: in quel momento ti pareva di riassumere e rappresentare tutti i Veneziani di ogni epoca che avevano così creduto e porto omaggio a quella Madonna).

Trascorso quel breve momento così intenso, piano piano apparivano i primi Seminaristi e i Chierici mezzi assonnati avvolti nei loro vecchi tabarri: si occupavano via via le panche vuote e si offriva alla Vergine della Salute il primo omaggio canoro e di Devozione della giornata, mentre si sentivano di fuori, sulla riva e oltre il portone ancora chiuso della chiesa, le voci bisbiglianti dei primi Veneziani che accorrevano ad omaggiare la loro Madonna. Mi è capitato per anni di andare poco dopo ad aprire sferragliando con chiavi e catenacci quel portone. Ogni anno, fatto sconosciuto ai più, appena aprivo quel cigolante e pesante portone accadeva una vera e propria corsa verso l’Altare Maggiore per essere i primi fra i Veneziani ad omaggiare la Madonna della Salute nel giorno della sua Festa. C’era una vera e propria corsa e ressa, in quanto alcuni uomini o donne popolani arrancavano più in fretta che potevano per giungere a consegnare e accendere la prima candela votiva della giornata, o per appoggiare il loro bouquet fiorito ai piedi dell’altare.

Una donna la cui famiglia per tradizione aveva partecipato per anni a quella singolare corsa mattutina del giorno della Festa, iniziando a sentire il peso degli anni, decise di sostituire il gesto della corsetta con un altro più comodo. Ogni anno, infatti, il giorno della Vigilia della Madonna della Salute veniva in chiesa a regalare un centinaio di boccioli di rose rosa che finivano a contornare l’intero gruppo marmorei sopra l’altare trasformandolo quasi in un godibile Giardino della Madonna. Mi faceva ogni anno sempre più tenerezza il gesto di quella donna per niente abbiente, ma di sicuro devota e sincera ... Era entusiasta di quel suo omaggiare la sua Madonna. Mi hanno sempre colpito quegli animi semplici ma genuini …

Un anno inspiegabilmente giunse la Vigilia della Festa senza che quella donnetta portasse il pregiato omaggio floreale: “Strano !” disse il Rettore della Basilica: “Non manca mai di presentarsi.”

Aspetta aspetta … Alla fine il Rettore si rassegnò a quell’assenza, e siccome non voleva rinunciare a confezionare quel “Giardinetto pensile di Rose”, mandò noi Seminaristi a comprarle pagandole di tasca propria. Entro un paio d’ore quindi il solito “roseto dell’altare” fece la sua comparsa in cima al monumento della Madonna della Salute che combatteva la Peste di Venezia. Verso sera, quando ormai stavamo per chiudere la Basilica, si presentò trafelato il marito di quella solita donnetta che non s’era presentata: aveva in braccio il solito vistoso omaggio di Rose, e sembrò non poco risentito nel vedere che l’altare era già stato allestito in sua assenza: “Sono venuto a portare l’omaggio di mia moglie … Ho fatto più presto che ho potuto, ma mi sono preso in ritardo … Mi dispiace vedere che avete già provveduto altrimenti.”.

“Eravamo abituati che sua moglie si presentava con più anticipo,” spiegò il Rettore: “Abbiamo atteso atteso, ma non vedendola arrivare volevamo mantenere lo stesso quella bella tradizione.”

“Che dirvi …” spiegò quel marito: “Quest’anno mia moglie si è presa un po’ in ritardo per un inatteso contrattempo che ha avuto … E’ semplicemente morta … Perciò, sebbene in ritardo, mi è venuto in mente che potevo provvedere io a prolungare quel suo omaggio di Devozione a cui teneva così tanto.”

Quell’anno tutti gli altari della Basilica “fiorirono di Rose” più del solito ... Senza nulla dire e aggiungere: presi io la scala, trassi giù ad uno ad uno i vasi di Rose già pronti e collocati in cima all’altare, e li sostituii più che volentieri con i fiori portati da quel marito così premuroso che rimase a guardarmi commosso di sotto finchè terminai quello strano lavoro … Mi abbracciò alla fine: “Questo è anche l’abbraccio di mia moglie.” mi disse.

Vedete: anche certi aspetti apparentemente insignificanti della Festa finivano col caricarsi di contenuti singolari per chi la viveva.

Pioggia, sole, freddo, nebbia o acqua alta che ci fosse, ogni volta aprendo mi ritrovavo davanti quei volti infreddoliti e infagottati nei loro abiti: lì fermi in attesa d’entrare da chissà quanto. C’era fra i tanti, ad esempio, un volto che riconoscevo sempre di un giovane Fornaio mastodontico di corporatura e sempre tutto scapigliato. Era “armato” della sua candela, e sopravanzava immancabilmente tutti raggiungendo sempre l’Altare per primo davanti al quale si segnava ripetutamente commovendosi fino alle lacrime. 

“Ciao Padre !” mi salutava immancabilmente: ormai ci conoscevamo. Poi trotterellava subito attorno all’Altare della Madonna vestito della sua divisa da panettiere con un soprabito nero consunto e sporco di farina buttato sulle spalle. Oltre a lavorar da Fornaio era anche noto a Venezia per essere un accanito e cacciaroso tifoso delle squadre di Calcio e Basket Veneziane. Era facile riconoscerlo mentre passava in giro per la città inneggiando, cantando ad alta voce e sbandierando i suoi vessilli mentre si recava allo stadio o al Palazzetto dello Sport … La sua voce possente “passava cento muri”, e quando il Venezia vinceva si poteva facilmente incontrarlo accalorato e su di giri nei pressi del Ponte di Rialto dove sventolando il suo bandierone copriva gli avversari di turno d’improperi, sfottò, insulti e volgarità per tutti i gusti formando pittoreschi capannelli di persone divertite ... Nessuno sfuggiva a quel suo mondo tutto canzonatorio ed entusiasta, era una macchietta d’uomo davvero coinvolgente … ma anche a suo modo una persona sensibile, devota e cordiale, che non mancava mai di presentarsi di buonora davanti “a la so Madonèta de a Saùte” ... La invocava come fosse una bambolina, quasi la mascotte della sua esistenza.

Ogni anno mi si riapriva il cuore all’allegria nel rivederlo … Non so perché, ma quell’uomo con la sua semplice eccentricità, la simpatia e la smania di partecipare e prolungare le tradizioni, in un certo senso riassumeva davanti ai miei occhi tutta Venezia e i Veneziani.

La Festa della Salute di Venezia non “conteneva” soltanto questo, ma ospitava in se molto di più … Mentre fuori sul Campo della Salute, su tutta la Riva e fin sul Rio Terrà dei Catecumeni ferveva la Festa col convergere ed accorrere puntuale di miglia di persone, Veneziani e turisti eterogenei, dentro al chiesone ne accadeva ogni anno “tante altre” di curiose.

Accanto all’attività di “Telonio”, cioè di vendita, che impegnava diversi di noi nel procacciare ai Fedeli Devoti ogni sorta d’immaginette,  Corone del Rosario, quadretti e immagini della Madonna della Salute, c’erano altri di noi incaricati dal Rettore della raccolta delle offerte in giro per la chiesa, e delle Offerte per le Messe da celebrare in Basilica durante tutto il resto dell’anno. Per queste si staccava “regolare ricevuta intestata della Basilica” intascando in cambio la relativa offerta. Era importantissimo segnare con precisione il nome del Defunto o della Persona Malata per la quale veniva offerta la Messa da celebrare: perché il Prete incaricato in seguito avrebbe dovuto citarlo durante la Messa compiendo così “il voto” per cui aveva percepito l’offerta.

Non mi piaceva dedicarmi a quella cosa … Mi dava, anzi: mi ha dato sempre enorme fastidio mercificare il prezzo di una Messa. Detestavo intascare soldi a tal proposito: ho sempre pensato che “le cose di Dio” non avevano prezzo, quindi non si potevano comprare, vendere e pagare. Osservando i Telòni della Festa della Salute mi è sempre tornato in mente quel fatto evangelico in cui il Cristo cacciava fuori malamente i venditori dal Tempio di Gerusalemme.

Il Rettore della Salute, invece, si dimostrava molto più possibilista con i discorsi, e tagliava corto: “Il Sacerdote deve vivere con l’offerta dell’Altare … Quindi c’è poco da scandalizzarsi nel ricevere soldi dai fedeli per celebrare le Messe … Quando andiamo in negozio a comprare carne e verdure, possiamo forse pagare con preghiere ? … Serve anche essere saggi in certi momenti, e guardare oltre le apparenze e i grandi ideali … Il Prete deve essere anche pratico … Deve sapersi destreggiare dentro alle cose della vita … e quanto serve per vivere ha anche un prezzo … Quindi gira e volta: i conti tornano … Servono sempre soldi per vivere … Nonostante la Religione.”

Altri Seminaristi ancora, si dedicavano, invece, a contenere, arginare, e indirizzare l’afflusso dei fedeli sull’altare facendoli defluire fuori attraverso il Coro della Chiesa, la Sacrestia e gli ambienti del Seminario. Per diverse ore formavano una sorta di catena umana che sotto la direzione di un “chierico sveglio e arguto” si apriva e richiudeva lasciando passare e calmierando la folla delle migliaia di fedeli che entravano in chiesa. A certe ore di punta c’era una vera e propria ressa e calca, e più di qualche volta c’era il reale pericolo che qualcuno più fragile finisse con l’essere spinto e schiacciato, o buttato malamente a terra ... Serviva vigilare con attenzione, anche perché è accaduto più volte che qualcuno stesse male. A volte c’erano malati e anziani fragili che si recavano in pellegrinaggio alla Basilica, ma non riuscivano a reggere l’attesa e la tensione, per cui svenivano, e serviva far intervenire il Medico, l’Infermiere e l’ambulanza. Non era sempre agevole muoversi dentro a quella folla che talvolta premeva, e pareva come un grande corpo unico che si muoveva goffamente e pesantemente ... Qualche volta è stato necessario portare fuori a braccia e a spalla chi era colto da malore.

Qualche altra volta, invece, accadevano fatti inverosimili: c’era chi non riuscendo a raggiungere l’altare come avrebbe voluto per accendere a tutti i costi la sua preziosissima candela, si avventurava allora in qualche altare o angolo laterale del chiesone accendendola ugualmente e appoggiandola da qualche parte. Più di una volta hanno preso fuoco tovaglie e arredi d’altare costringendo i Pompieri ad intervenire per fortuna brevemente.



C’erano poi quasi sempre presenti alcune persone malintenzionate che approfittavano della situazione e della confusione per intrufolarsi negli ambienti della chiesa e del Seminario con fini loschi. Più di qualche volta qualche personaggio spacciandosi per ex Seminarista o familiare di qualche Prete o Chierico è riuscito ad infilarsi fin su negli ambienti del Seminario setacciando stanze e camere, rubacchiando e facendo bottino. Qualche altra volta la Festa della Salute è stata segnata dalle tristi visite e dai furti di ladri … A poco valse chiudere passaggi e cancelli, o mettere di guardia chierichetti e persone nei punti nevralgici d’accesso al Seminario, o appendere mille cartelli con su scritto: “Vietato passare” e “Divieto d’accesso” ... Una volta lo stesso Rettore si è trovato un estraneo che rovistava nel suo studio, così come le Suore del Seminario hanno trovato un altro che “cercava Piero” nelle loro stanze private.

A volte capitava un po’ di tutto in quella giornata davvero campale e a volte un po’ convulsa ... e quel che non succedeva da se, magari lo facevamo accadere noi, come quella volta in cui facemmo indossare a un Prete nostro Professore di Scuola, genialoide quanto sbadato l’antico manto d’oro della Dogaressa lasciato in dono alla Basilica.

Prete sbadato vi ho accennato … Infatti, inconsapevole del valore di quanto gli avevamo fatto indossare per la stima e simpatia che nutrivamo nei suoi riguardi, s’incamminò attraverso un strettissimo corridoio per raggiungere l’altare laterale dove avrebbe dovuto celebrare la sua Messa. Il mantello dorato della Dogaressa trasformato in solenne abito da Messa sfrigolava e strusciava rovinosamente grattando i muri dello stretto passaggio.

Eravamo stati imprudenti: quel pezzo era preziosissimo oltre che raro … e quell’uomo forse era quello al mondo meno adatto per indossarlo. Qualsiasi curatore d’Arte ci avrebbe fucilati sul posto scandalizzato.

Fatalità … Proprio in quel momento passò da quelle parti il Rettore della Basilica in persona: lui si consapevolissimo del valore di quell’abito che veniva indossato impunemente … Si sentì un grido stizzito ! … Era il Rettore: “Chi è stato ? ... Che lo caccio via immediatamente dal Seminario ! … Fermate immediatamente quel Prete ! … Toglietegli quell’abito di dosso subito !”

La gente presente in chiesa non capiva, anzi: osservava stupita quel Prete che gridava a quella maniera così sconsiderata.

Il Prete genialoide nostro simpatizzante, invece, udito il gran vociare non pensò affatto che fosse rivolto a lui, perciò dopo aver sorriso come suo solito “a tutto denti” a nessuno, riprese il suo percorso strusciando imperterrito e inconsapevole sul muro il suo prezioso abito.

“Fermo ! … Fermatelo !” gridò di nuovo il Rettore un po’ fuori di se: “Vi mando via tutti stassera !” aggiunse inviperito: “Paolo ! … Stefano ! Valter ! … Tutti a casa ! … Siete degli sprovveduti … dei disgraziati … dei …”

Fuggimmo via a nasconderci fra la folla ovviamente, e per tutto il resto della Festa cercammo di girare alla larga e tenere le debite distanze dalla figura del Rettore ... A sera ovviamente “ci pescò” … e fu “bufera” per noi tre ... ma poi tornò il sereno come sempre.

Il nostro Professore viceversa il giorno dopo ci ringraziò a scuola per avergli concesso l’onore d’indossare una volta in vita sua quell’abito antico così prezioso … Felice lui, e felici noi con lui … Altro memorabile aneddoto di una Festa della Salute.

A metà giornata poi ci si recava a turno nel Refettorio del Seminario per sbocconcellare qualcosa con chiunque altro stesse collaborando a gestire quel Festone in corso: c’erano mescolati insieme volontari, Seminaristi e qualche Prete spuntato a volta fuori da chissà dove. Ce n’era qualcuno che per l’occasione tornava ad indossare certe vesti talari giovanili che non metteva più da molti anni col risultato che si vedevano vesti cortissime, ristrette, consunte e ridotte, e altre riempite da certi pancioni assenti un tempo, talmente tanto che i bottoni parevano dover esplodere da un momento all’altro trasformandosi in pericolosi proiettili.

“Sono guarita !” si presentò a raccontarci una volta una giovane donna che si affermava miracolata: “Avevo un brutto male ed ero destinata a morire … e, invece, sono qua a raccontarvelo …. Voglio consegnare un ex voto in riconoscenza alla Madonna.”

In occasioni simili ci prendeva come un tuffo al cuore udendo quelle parole: “Svelti ! Andiamo a chiamare in fretta il Rettore.”

In realtà non sapevamo che altro dire, e rimanevamo lì meravigliati e incerti, ad osservare a distanza quella persona “normale” così simile a tutte le altre, che pareva però essere stata “toccata” dall’invisibile passaggio della Madonna della Salute. In quei casi si provava un intenso sentimento misto di perplessità, gioia, speranza e curiosità ... Certe cose bisogna averle viste, sentite e incontrate per poterne parlare.

Durante la fiumana delle Messe che venivano celebrate durante la giornata della Festa capitava un po’ di tutto: c’era qualche Prete nostalgico e tradizionalista che principiava ad arringare la folla dei presenti … Era allora curioso vedere la massa della folla fluttuare dentro alla chiesa, spingersi e spostarsi da quell’altare e dal quel Prete verso un altro, o verso l’altare di fronte dove c’era per caso un Predicatore più accondiscendente, gentile e bonario, meno incazzoso, severo ed esigente del precedente. Per gran parte della giornata il Rettore “che conosceva bene i suoi polli”, e soprattutto il carattere e la personalità di quasi tutti i Preti che frequentavano la Basilica, aveva il suo bel da fare, ed era sempre intento a pilotare e spedire ciascun Prete a celebrare a orari e su altari che gli fossero più congrui e adatti … Si presentava a celebrare un Prete cacciaroso, noioso o fin troppo pungente e pretenzioso ?

“Mandatelo a celebrare sull’altare laterale meno affollato.”

C’era, invece, un Prete abile a parlare e piacevole da ascoltare ?

“Predisponetegli l’Altar Maggiore, e dategli il microfono … Che alla gente farà bene ascoltarlo un poco.”

Stava però sempre attentissimo a usare le parole giuste, senza mortificare mai nessuno dei tanti Preti che capitavano nella Basilica della Salute.

Infine, quando Dio e la Madonna della Salute volevano, si arriva a sera, quando si smaltiva e riduceva la fiumana dei Veneziani che visitavano lo storico Tempio cittadino … Ogni volta si veniva a creare un’atmosfera particolare: scompariva la calca, il vociare e la tensione del giorno, e la chiesa tornava a mostrare i suoi grandi spazi vuoti. C’era un singolare fascino in quel momento: il silenzio tornava a riempire le alte volte e le cupole della chiesa semideserta, si tornava a risentire i soliti eco … Ormai anche quell’anno era passata l’ondata straordinaria dei Veneziani che avevano reso omaggio al celebre simulacro Mariano.

“Anche quest’anno è andata.” diceva finalmente rasserenato e acquietato il Rettore: “E’ andato tutto bene anche stavolta … Ringraziamo la Madonna.” aggiungeva rilassandosi.

Negli anni del terrorismo, ad esempio, c’era sempre una tensione palpabile nell’aria, soprattutto nelle ore di punta della giornata quand’era maggiore l’afflusso e la concentrazione della folla sul sito della Basilica … Sarebbe bastata una scintilla per procurare il caos e il disastro … Le forze dell’Ordine sono sempre state presenti e hanno sempre vigilato discrete con efficienza ... Per fortuna tutto è sempre andato liscio e bene in quegli anni. Solo qualche sparuta manifestazione e rivendicazione ha segnato lievemente il tranquillo andamento di certe annate della Festa ... Niente di che comunque: tutto fu sempre molto ordinato e contenuto.

“E ringraziamo pure ciascuno di noi.” aggiungevamo noi soddisfatti per quanto avevamo fatto e quanto avevamo vissuto in quell’ennesima memorabile giornata.

“Ringraziamo i Veneziani della loro presenza … e dei loro contributi.” commentava scherzosamente soddisfatto il Rettore a cena nel Refettorio: “Anche quest’anno la Festa della Salute è stata soddisfacente: di certo positiva … Fra l’altro abbiamo raccolto anche questa volta risorse sufficienti per mantenere in vita sia la Basilica che il Seminario per un ulteriore anno.”

Come conferma del benessere conclusivo di quella festa, la stessa sera per la prima volta il Rettore accendeva finalmente il riscaldamento nelle nostre spartane e fresche stanzette dell’ultimo piano ... Eravamo già a fine novembre, e il freddo pungeva … Anche quello era un altro segno che la Festa della Salute era trascorsa bene portando qualcosa di antico e nuovo insieme.

In conclusione della giornata noi Seminaristi e Chierici silenziosissimi e stanchi tornavamo un’ultima volta a scendere nella Basilica … Pareva avessimo partecipato a un’insolita battaglia. Rimanevamo lì muti a osservare quello spettacolo rilucente, quello scenario dove s’era alternata la fiumana vivida dei Veneziani ... Qualcuno mormorava qualche ultima preghiera … finchè si levava un ultimo canto polifonico che insieme al chiudere dei portoni della Basilica metteva fine anche a quell’ennesima storica giornata.

Nel buio pesto della Basilica, infine, al chiaro di poca luce, ci arrampicavamo di nuovo fra pochi intimi a togliere un’altra volta le preziose collane dal volto impassibile della Madonna dipinta.

Era come mettere fine alla Festa, e riconsegnare alla Storia un altro respiro, un altro giorno vissuto da Venezia e dai Veneziani.”

***** tratto dal Cap. 71 di: “Buranèo … e Prete per giunta.”… un’autobiografia di Stefano Dei Rossi – Venezia 2021.

 



Un tradimento a Palazzo Ducale nel 1540

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#unacuriositàvenezianapervolta 301

Un tradimento a Palazzo Ducale nel 1540

Come dentro a una fiaba, anche se fu, invece, fu cocente realtà storica Veneziana … C’era una volta Venezia, con lo scenario storico dell’ennesimo scontro fra la Serenissima e il Turco… Nessuno immaginava e sospettava maneggi e tradimenti del genere, anche se Venezia era furba e sempre pronta a tutto. Quella volta l’occulto segreto riuscì a fare la differenza a sfavore della Serenissima.

Per la precisione, erano i tempi del Doge Pietro Lando salito al Dogado nel 1538 dopo Andrea Gritti. Le circostanze storiche avevano portato Venezia a intavolare trattative di pace col Sultano. I Turchi vincitori volevano da Venezia: Malvasia, Napoli di Romania e il vassallaggio di Zante e Cipro, nonché un bel gruzzolo di soldi e pensioni … Venezia poi aveva anche la rogna “in casa” dall'avventuriero Strozzi, che minacciava di cedere Marano al Turco, per cui alla Serenissima toccò d'acquistarla in fretta e furia per denaro contante.

Ma veniamo al tradimento. La Serenissima in quell’occasione aveva di nuovo convocato a Palazzo Ducale il Nobilissimo AlviseBadoer, che era “il nome in auge”, cioè: quello che andava per la maggiore in quel momento.

Chi era ?

Un Veneziano Nobile, che piano piano era asceso e aveva fatto Pubblica Carrierainiziando dalla “gavetta più bassa”, cioè esercitando come Avvocato dei Prigionieri e Fiscale delle Corti di Palazzo. Poi s’era impratichito conoscendo le Leggi, e affinato in eloquenza e abilità tanto da venire considerato: "Prencipe degli Oratori Veneziani"… Niente male come biglietto da visita.

Infatti nel 1531 venne scelto come Avogadore da Comun Straordinario col compito di sindacare l'operato dei Capi dell'Esercito Veneziano.

Bruttissima gatta da pelare ! …  Invece: fu un successone per Badoer, che fece saltare diverse teste importanti, facendo condannare per malversazione e peculato alcuni Nobilhomeni autorevoli: Francesco Gritti Pagatore in Campo, Giovanni Vitturi Provveditore in Puglia, e primariamente: Polo Nani Provveditore Generale in Campo, che era soprattutto genero del Doge Agostino Barbarigo. Per lui Badoer propose addirittura la pena capitale.

Figurarsi a Venezia, e nel complicatissimo mondo dei Nobili Veneziani un gesto del genere !

Si ruppe di certo l’equilibrio della considerazione verso il Badoer, che nell’occasione non mancò di farsi tanti amici, ma anche tanti nemici. A Venezia, si sapeva: c’era l’abitudine di tacere e soprassedere su tante cose, rispettando certi Nomi importanti, e proteggendoli con una solida e ampia coperta di tacita omertà ... Poteva tornare utile in qualche successivo momento … e il gioco degli schieramenti, delle contrapposizioni, e delle connivenze e alleanze fra Clan continuava … Un po’ come oggi: no ?

Badoerinsomma si curò poco di quella “tradizione tutta Veneziana”, e provò a far carriera ed avanzare nella Pubblica Considerazione costasse quel che costasse ... Infatti la carriera non la fece per niente … Se ne rimase nell’ombra per diversi anni divenendo solo Correttore alle Leggi: un incarico di Palazzo secondario e di poco conto ...  Molti Veneziani non avevano gradito e tantomeno perdonato quel suo azzardo.

Rispuntò nel 1537, quando divenuto Senatore Ordinario, si mise in luce come fautore della Lega con Papa e Imperatore contro i Turchiche avevano attaccato e preso Corfù. L’urgenza del momento aveva forse e di nuovo spinto i Veneziani ad ammirare quell’uomo intraprendente, discorsiero e interventista.

La Nobiltà Venezianain quel frangente storico era divisa in due parti: quelli pro o contro “la distruzione dei Turchi”. Alcuni volevano la Pace col Turcoper non far manipolare e svenare le casse dello Stato, e per non assecondare gli appetiti dei Reali Europei. Era meglio se Venezia si fosse allargata a cercare fortuna e risorse in Terraferma. Altri, invece (la maggioranza del Collegio della Serenissima), timorosi di perdere una volta per tutte l’opportunità commerciale delle Vie Marittime e del Dominio da Mardella Serenissima, pensavano che fosse giunto il momento di dare un colpo di grazia alla tradizionale questione del “Turco” mai risolta… Ancora come oggi: secondo quel gruppo di Nobili bisognava fare la guerra ai Turchi … e una guerra grossa, che fosse decisiva.

Sempre guerrafondaia e truculenta questa Umanità che non impara mai dai suoi errori !

A farla breve … Il 13 settembre 1537 si decise in Senato con soli due voti di maggioranza, di aderire alla Lega contro il Turco.

Per Badoers’era presentata forse un’altra buona occasione per primeggiare … Infatti pochi giorni dopo venne eletto prima Savio di Terraferma, poi fu prescelto come Inviato Straordinario all’Imperatore Carlo V. Venezia sperava che l’Imperatore facesse la pace e s’intendesse col Re di Francia, in modo da procedere tutti insieme col Papa contro i Turchi.

La Francia, invece, faceva l’occhiolino alla Sublime Porta dei Turchitrovandosi in dissapori con l’Imperatore ... Quindi, come ben sapete: l’anno seguente si giunse a fondare la Lega contro il Turco senza di lei, cioè coinvolgendo Papato, Venezia, Impero e qualche altro.

Nel frattempo, diverse importanti fortezze della Dalmazia erano cadute in mano degli stessi Turchi ... Fu allora deliberato di nominare un Provveditore Generale in Dalmazia che andasse là a collaborare col Governatore Generale Camillo Orsini, soprattutto a difendere Zara: la più minacciata dai Turchi.

Chi venne scelto secondo voi ? … Alvise Badoer ovviamente, che si recò subito sul posto ad affiancare Orsini, col quale prese il Castello di Obrovazzo, e organizzò la difesa di Sebenico seguendo le indicazioni del Senato Veneziano.

Tornato poi a Venezia a inizio 1539, Badoer si presentò baldanzoso in Senato sostenendo che era necessario inviare subito l'Armata Veneziana fuori del Golfo(Mare Adriatico) per attaccare il Turco.  Venezia, invece, con le casse vuote e i commerci con l’Oriente interrotti, decise prima di temporeggiare inviando Badoer“a ispezionare genti, arme e fortezze di difesa della Terraferma”. Poi, cresciuta ulteriormente la sfiducia verso la Lega, Papa e Imperatore, decise “di pensar per se” cercando una più opportuna via di pace con i Turchi.

Badoer“obbediente” condivise quella scelta, e venne scelto allora come Ambasciatore da inviare a Costantinopoli per trattare con i Turchiin sostituzione dell'Ambasciatore Tommaso Contarini, che non era riuscito ad avviare i primi negoziati.

E fin qua la Storia è accaduta e corsa via come tutti sapete … Il Senato diede a Badoer precise indicazioni, cioè: “una Commissione”da interpretare e concretizzare contrattando con i Turchi. Lo autorizzò ad offrire loro una pensione annuale da 4.000-8.000 zecchini in cambio di Nauplia e Malvasia, da questi, invece reclamate. Se fosse stato il caso, Badoer avrebbe potuto anche concedere un’indennità di 300.000 ducati da pagare nel più lungo tempo possibile ... Poteva cedere al Turco anche le isole di Tine e Nasso; ma doveva insistere per la restituzione delle isole di Paro, Nanfio, Stampalia e Amorgo che erano già infeudate a Patrizi Veneti, nonché per l'isola di Scarpanto, che si era ribellata contro i Turchi sostenuta dal Governatore di Rodi. Badoerancora, avrebbe potuto far dei regali personali ai vari capi dei Turchi: da 30.000 e 50.000 ducati ciascuno, o cose del genere ... Il Senato gli chiedeva inoltre di ottenere la libertà di esportare frumento dai Porti dell'Impero Turco, perchè in quell’anno Venezia soffriva di carestia, ed aveva assoluto bisogno di rifornirsi.

Tutto chiaro … e Badoer partì immediatamente conin tasca quella specie di “lista della spesa” della Serenissima, cioè l’elenco dei possedimenti e delle Isole del Dominio e dell’Arcipelago Veneziano considerate sacrificabili in cambio della Pace, e i bonus in denaro da concedere allo storico “Nemico della Mezza Luna” Strada facendo poi, Badoer ricevette anche una nuova Commissione Segreta Integratoria, deliberata in fretta e furia il 15 genn. 1540 dal Consiglio dei Dieci e dalla Zonta Veneziana. Era autorizzato in caso estremo a cedere anche le città di Nauplia e Malvasia.

A metà aprile Badoergiunse a Costantinopoli dove iniziò subito i colloqui con i Turchi, andando però a sbattere contro il muro insormontabile della loro intransigenza. I Turchi a sorpresa: volevano tutto e di più da Venezia in cambio della Pace … Prendere o lasciare … Anche l’impossibile.

Sembrava stranamente che fossero preparati, pronti a rifiutare qualsiasi proposta.

Badoernon lo sapeva, ma i Turchi erano stati perfettamente informati fin nel dettaglio sulle intenzioni di Venezia. Quindi sapevano benissimo quanto avrebbero potuto pretendere da lei, fin dove tendere la mano, e dove invece: spremerla e umiliarla approfittando della sua arrendevolezza.

Badoer ignaro, iniziò con l’offrire ai Turchi 100.000 zecchini, che aumentò progressivamente fino a 350.000 ... I Turchi allora si consultarono fra loro, e tornarono chiedendogli una somma superiore, e soprattutto la cessione di Nauplia e Malvasia.

Badoer fu preso in contropiede … Non se l’aspettava: era la sua carta ultima da giocare, quella che avrebbe dovuto fare la differenza a favore di Venezia: l’offerta irresistibile … Invece quella carta s’era bruciata prima ancora di utilizzarla.

Come mai ? … Provò allora ad offrire, assecondato dall'Ambasciatore Francese: 300.000 ducati, più ulteriori 3.000 di pensione annuale al posto dell’Isola di Nauplia. I Turchi non accettarono … Doveva cedere subito Nauplia e Malvasia, oppure si sarebbero rotte le trattative. Badoer ci pensò due giorni, poi tornò ad offrire un’aumentata pensione in cambio delle città.

Niente da fare: Turchi irremovibili ! … Dovette quindi accettare le condizioni imposte: Venezia avrebbe ceduto Nauplia e Malvasia, le Isole dell'Egeoperse durante il conflitto, e pagato un’indennità di 300.000 ducati. Una condizione di Pace davvero pesante per Venezia: come da sconfitta.

Il Senato di Venezia a distanza di un mese: approvò … e si arrivò a firmare ufficialmente la Pace all’inizio di ottobre 1540, nonostante i Turchi avessero più volte provato a incrementare gli accordi a loro favore ... Del Dominio Veneto si salvò solo Parga e l'Isola di Tine, e solo e proprio per l'insistenza dello stesso Badoer durante i colloqui.

Tutti i Veneziani consideraronoquella Pace col Turco: “vergognosa e disonorevole”… Era come se Venezia avesse perso del tutto la Guerra.

Altro che sistemare il Turco una volta per tutte ! … Era stata, invece, Venezia ad essere sistemata e conciata male a sua volta.

L’Ambasciatore Badoer venne considerato capro espiatorio: ci rimise incarico e carriera divenendo impopolare, e andando in disgrazia a tutta la Nobiltà e a buona partedei Veneziani. L'opinione pubblica ignara del tradimento accaduto, lo considerò un inetto rimproverandogli d’aver ceduto con troppa facilità alle pretese del Turco.

Badoer non venne più rieletto in Senato … E quando tornò a Venezia a metà dell’anno seguente, dopo essere rimasto prudentemente a Costantinopoli, venne arrestato subito dopo aver fatto relazione al Senato, tirando fuori una vecchia accusa di malversazione fatta dai Sindaci in Dalmazia Francesco Pisani e Andrea Loredan, inerente al periodo in cui Badoer era stato Provveditore in Dalmazia… Venne poi assolto ovviamente.

Fu solo allora che Badoer, rompendo la tradizionale omertà di Palazzoe dei Nobili Veneziani, dichiarò apertamente che i Turchi erano già a conoscenza delle sue Commissioni Dogali prima ancora di presentarle ... I Turchi erano stati informati di sicuro da Agenti Francesi, che in qualche modo avevano avuto copia delle indicazioni che gli aveva dato lo Stato Veneziano. Venezia quindi aveva trattato col Turcoda una posizione di svantaggio, perché era stata tradita dai suoi stessi uomini: da qualcuno al suo interno.

La dichiarazione infuocata del Badoer provocò subito un immane polverone, e s’avviò un'inchiesta degli Inquisitori di Stato e del Consiglio dei Dieci decisi ad andare fino in fondo a quella faccenda. Si mise immediatamente a disposizione una taglia di 3.000 ducati per venirne a sapere di più: una bella sommetta che avrebbe potuto far gola a molti ... Che parlasse chi sapeva qualcosa!

Il tradimento quindi c’erastato …  passò poi alla Storia come il‘Tradimento dei Segretari’.

Infatti, la verità venne a galla in tutti i suoi dettagli … anche se ci vollero ben due anni prima che fosse ben chiaro tutto l’accaduto.

C’era stato di sicuro un tradimento a Palazzo Ducale di cui c’erano prove inconfutabili.

Che era accaduto ? … e soprattutto: chi erano i traditori ?

Come spesso capita nelle “storie”, ci sono quasi sempre Donne di mezzo … La moglie di Agostino Abondio era l’amante di Girolamo Martolosso, e fu proprio lui a denunciarlo e consegnarlo al Consiglio dei Dieci intascando i famosi 3.000 ducati della taglia messa sui nomi dei traditori.

Agostin Abbondio fu il principale accusato di quello storico caso di spionaggio Veneziano, nel quale vennero coinvolti più o meno direttamente diversi Patrizi Veneziani che contavano. Si trattava di buona parte del Partito FiloFrancese e AntiPapale e AntImperiale di Venezia: Ermolao Dolfin, Francesco Giustinian, Bernardo Cappello, Giorgio Querini, Marco Foscari, Francesco Valier, Federigo Grimaldi, Mafeo Lion, un Francesco Beltrame e uno dei più alti Magistrati della Repubblica: il Procuratore di San Marco Vincenzo Grimani, che però se ne uscì prosciolto.

In concreto: Agostin Abbondio era intermediario abituale dell’Ambasciatore Francese Guillaume Pellicier residente a Venezia, ed era stato corrotto a lungo con denaro insieme a Costantino e Nicolò Cavazza Segretari del Consiglio dei Dieci e del Senato. Tutti erano stati indotti a rivelare le deliberazioni segrete della Repubblica ... e l’avevano fatto più e più volte. Era Sjer Maffeo Liona ricevere per tutti dal Re di Francia Francesco I° una grossa somma mensile per informare l’Ambasciatore delle segrete decisioni della Repubblica.

Il compito dell’Ambasciatore Pellieier presente a Venezia fin dal 1539 era chiarissimo. Doveva ostacolare in ogni modo la politica di Carlo V in Italia, e indurre Venezia ad abbandonare la Lega col Papa e Imperatore riconciliandosi con la Porta Ottomana alleata della Francia, e magari anche allearsi con la Francia stessa.

Per ottenere i suoi propositi, Pellicier si serviva abitualmente di una diplomazia segreta, i cui agenti li reclutava dentro alla Nobiltà Veneziana, e perfino fra gli stessi alti funzionari delle Magistrature Venete. Era un gran furbastro quell’Ambasciatore Francese: una brutta gatta da pelare.

Ma la Serenissima non era affatto stupida, aveva orecchi lunghi e occhi ovunque, e non era affatto nuova ad organizzare apposite feste mettendo Segretari e Agentidietro a paraventi per ascoltare e trascrivere le conversazioni di Diplomatici, Ambasciatori, Nunzi Papali, Duchi o personaggi di passaggio a Venezia. Venezia sapeva bene chi era l’Ambasciatore Pellicier, e ne temeva giustamente l’abilità … Tanto è vero che fu proprio nel 1539, quando il Diplomatico Francese mise piede a Venezia, che s’istituì il Tribunale dei Tre Inquisitori di Statoproprio per combattere certe reti di spionaggio.

Pellicier comunque era riuscito lo stesso ad intessere abilmente le sue oscure quanto deleterie trame, e insieme all’Abbondio aveva coinvolto nell’attività di spionaggio soprattutto i due Segretari Cavazza: fonte diretta dal cuore governativo della Repubblica. Le informazioni che i due offrirono furono in grado di determinare e indirizzare le trattative fra la Porta e Venezia. L'Ambasciatore Francese, infatti, le trasmise direttamente a Costantinopoli nella disponibilità del Sultano Turco.

Chi erano i due Cavazza?  … Di sicuro due Veneziani all’apice di una splendida carriera … Eppure si vendettero ai Francesi tradendo la Patria.

Costantino e Nicolò Cavazza, Segretari del Consiglio dei Dieci e del Senato, appartenevano a una famiglia di Cittadini e Pubblici Notai Veneti, di Segretari di Stato, e Cancellieri Dogali fin dal 1300 … Solo tardivamente, ben dopo i fatti di cui parliamo: nel 1652, vennero aggregati insieme ai Lion fra i Nobili Venezianipagando il doppio di ducati. Racconta Pietro Gradenigo nel 1773 nei suoi Notatori: “Il Serenissimo Maggior Consiglio a 31. gennaro l’anno 1652., aggregò alla veneta nobiltà Girolamo Cavazza e li due suoi nipoti Giacomo e Antonio Leoni, Conti di Sanguinetto di Verona, con l’esborso di 200mille ducati, cioè 60mille in libero dono e 140mille nei depositi della Cecca.” … Fu così che i Cavazza poterono sposarsi con altri Nobili, si costruirono tramite Baldassarre Longhena il loro Nobile Palazzo “tutto marmi e di vaga architettura” affacciato sul Canal Grande vicino a Santa Lucia, e con Girolamo Cavazza diedero inizio alla costruzione della facciata degli Scalzi(1672-80).

Palazzo Cavazza Foscari Mocenigo dalle Zogie, cioè “delle Perle”a Rialto, ha la “Porta d’Acqua” sul Rio del Piombo che va poi nel Rio della Fava, sulla fondamenta al Ponte delle Paste di San Lio verso Campo Santa Marina.E’ un indice indiretto di chi sono stati i Cavazza, e di quanto contavanoa Venezia ... I Cavazza in ogni caso sono sempre stati un po’ “secondi” lungo la Storia Veneziana, non furono per secoli Nobili, ma non mancarono di certo di ambizioni e di arrivismo “da grandi”. Furono Piovani a Venezia, anche se di chiesette di Contrade piccole: quelle che contavano un po’ meno come San Boldo nel Sestiere di San Polo Un Leonardo e un FrancescoCavazza furono Parroci di San Zulian(1326-29) e San Cassian(c1365), oppure furono VicePiovani … Un Pre Giovanni Cavazzafondò però l’Ospizio dell’isola di San Cristoforo della Pace non lontana da Murano, ottenuta in concessione da Venezia nel 1367 … Un Bartolomeo Cavazza fu nel 1614 Guardian Grando della Scuola Granda della Misericordia.

Se guardiamo poi Villa Cavazza-Querini a Pasiano di Pordenone, distante una sola ora di viaggio da Venezia, avremo di certo un’idea precisa di chi sono stati, e di quanto possedevano i Cavazza… Quale sarà stato il motivo di fondo di quel gesto eclatante quanto vigliacco che fecero verso la Serenissima ?

I soldi di sicuro, ma non solo … Potrebbe anche essere stata la rivalsa del loro clan familiare verso la Serenissima, un rancore atavico per l’essere stati sempre “secondi”, esonerati e castrati dalla partecipazione ai massimi livelli del Paradiso del Poteree della Ricchezzadella Repubblica ? … Il tradimento fu un modo di rifarsi, una vendetta politica contro lo Stato Veneziano …  Oppure erano solo uomini piccoli, disposti a vendersi senza scrupoli, ieri come oggi, per qualche soldo in più ? … Furono forse ricattati per qualche storia ? Chissà ?  … Disposti a tutto per sanare qualche debito ?

Domande, domande … quasi tutte senza risposta probabilmente ... In ogni caso, non fu la stessa cosa che il Turco sapesse o no … Di certo ne rimise la Politica della Serenissima, e i Turchi con quelle informazioni trattarono con i Veneziani da una posizione di vantaggio.

Come si concluse tutto ? … Clamorosamente.

Dopo laboriose e prolungate valutazioni a Palazzo Ducale, i Procuratori Alessandro Contarini e Vincenzo Grimani col Capitan Grande e ben seicento Archibugieriandarono in giro per Venezia ad accalappiare ed arrestare i traditori ... Alcuni dei colpevoli erano già fuggiti da Venezia … E quando alcuni provarono ad andare ad asserragliarsi dentro alla casa dell’Ambasciatore Francese a San Moisè per approfittare dell’extraterritorialità e dell’immunità diplomatica, i Procuratori fecero venire gli Arsenalotti con i cannoni pronti a buttar giù l’intero palazzo. Tutti si arresero ovviamente, mentre l’Ambasciatore Pellicier venne richiamato subito a Parigi, e sostituito con Jean de Montluc. Dopo quei fatti, le relazioni tra Francesco I e Venezia rimasero per un bel po’ in conserva e a distanza.

Il 22 settembre 1542, infine, Giovan Francesco Valier, Agostin Abondio e Niccolò Cavazzasalirono sul patibolo allestito “tra le colonne” a San Marco, davanti all’Ambasciatore dei Gonzaga Benedetto Agnello. Vennero “impiccati come ribelli per ordine del Consiglio dei Dieci”, mentre Costantino Cavazza venne condannato all’esilio perpetuo, e di Giovan Francesco Valier venne cancellata ogni traccia per la “damnatio memorie” imposta a chi si macchiava di tradimento a Venezia. All’ex Savio di Terraferma Maffio Leonide Sier Lodovico Avogador di Comun fu tolta a lui e alla sua famiglia la possibilità di diventare Nobilifino alla quarta generazione, e gli si demolì la sua parte di Palazzo Lion in Contrada di San Giovanni Grisostomo. Degli altri processati e condannati: alcuni subirono la condanna al carcere, altri vennero banditi in esilio da Venezia, dalle sue Lagune e da tutto il suo Dogado … Con i Nobili … si fece quasi finta di niente … Erano Nobili no ?

E Bàdoer?

Alla luce del tradimento svelato, il suo operato venne considerato in maniera diversa … Non si ricredette però molto l’Opinione Pubblica Veneziana nei suoi riguardi: carriera stroncata ! ... Venne eletto Censore nel 1545: una carica più che altro onorifica, priva d'importanza ... Poi tra i Regolatori delle Leggi di Palazzo nel 1553 … Badoer preferì ritirarsi a vita privata, e morì il 7 gennaio dell’anno seguente.

 

La Bianca del Molinèr

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#unacuriositàvenezianapervolta 302

La Bianca del Molinèr

Come smascaràr una Striga ?

“Bisognarà deliberarla … Ossia: mèterghe i vestiti in una caldièra senz’acqua, e farghe sotto un gran fogaròn per scancellàr el so estro da Striga ... oppur tagiàrli co la manèra in tante frègole … Se sentirà dei sciòcchi, come de le grandi sciopetàe … Sarà come desfàr el so Spirito … Alora a Donna-Striga dovarà farse riconosser par quelo che la xè ... Anca se la cosa migliore sarà farla sanguinàr ... O farghe come a Bianca del Molinèr de a Laguna, che a xè andada da lu par farghe masenàr un sacco, e che a xè restàda là a spetàr el so turno fin de notte. Mentre a domiva sentàda sòra al so sacco, co a testa piegàda sòra alle zenòcia, el Molinèr che lavorava zòrno e notte, gha visto che a un certo punto la donna no a respirava più, a gèra immobile e tutta giazàda … Un poco dopo el gha visto uscir da la so bocca un sorzètto nero, che pian pian el ghe xè andà par el seno fin sò nel grembo, e dopo el xè corso via perdendose ne a notte. A donna xè rimasta là come morta … come una statua … e el Molinèr xè rimasto là de piera come una statua anca lù: terorizzà da quel fatto ... Solo verso mattina, proprio quando un Gallo in lontananza iniziava bolso a cantare, il Molendinàro vide il sorzetto scuro tornare di fretta, sollevarsi con le zampette unghiate fin sulla donna, salirla tutta, e infilarsi infine dentro alla bocca. Con infinito stupore dell’uomo la donna riprese a respirare piano piano dormendo … Allora lui riavutosi, la sveglio con un gran ceffone rovesciandole la faccia … di quelli da lasciare l’impronta delle cinque dita sul volto ... La donna si riebbe subito … per forza … e, invece, che affliggersi per la sua situazione, si alzò gajarda e contenta ringraziando il Molinàro per averla smascherata e riconosciuta.”

“Ti xè una maledetta Striga !” le ghignò contro il Mugnaio del Molendino delle Lagune: “Adesso: te còpo ... e brusarò quel to gran del Demònio.”

“No.” disse lei: “Màsena pur el gran, come ti me gha masenà a Vita liberandome ... e làssime andar par a me strada.”

L’acqua correva forte giorno e notte dentro alla rosta del Mulino che procedeva senza sosta cigolando e vibrando tutto su se stesso ... Niente era accaduto, anzi: era accaduto tutto … Ma nessuno lo sapeva.

Giunta l’alba umida e nebbiosa di quel nuovo giorno, una donna rientrò col suo sacchetto della farina nella sua umile caxetta sul limitar del bosco: proprio in fondo all’isola, verso il Palùo de Santa Marta, mentre il Molendinaro polveroso e grondante di sudore aveva ripreso a sfaticare sui suoi sacchi … Era diventato muto.”

Tratto da: “Le Tre Strighe de Buràn: Fosca”… un’anticipazione.


Buran 1620

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#unacuriositàvenezianapervolta 303

Buran 1620

Parole, insulti e non solo … fra un Avvocato e un Prete in isola. 

“Ròba da mattti !”(con 3 “t” alla Buranella)esclamò una in isola: “Quasi da no crèddighe.”

Erano più o meno gli anni della Peste: quella della Madonna della Salute a Venezia per intenderci … All’inizio autunno 1620. In verità in Isola preferivano rivolgersi ai Santi Patroni con Sant’Alban, anche se non trascuravano di certo la Madonna: la donnaditutteledonne per implorare intercezione e protezione da ogni male dell’Anima e del corpo.

Ma che storia era accaduta ?

Bah  ? … Una di quelle che nessuno vorrebbe mai sentire, perché era coinvolto quel genere di persone che dovrebbero essere sempre d’esempio un po’ per tutti. Un Avvocatoe un Prete, cioè quei personaggi tutti dediti alla Giustizia, all’Equità e all’Onestà … Quelli che dai Pulpiti e nei Tribunali sapevano sempre riempirsi la bocca di Diritto, Legge e Dottrina tanto da lasciarti là mezzo inebetito e senza parole ... Invece: si sa come sono sempre andata le storie del Mondo: non era proprio così, ieri come oggi ... Cioè quei personaggi spesso non corrispondevano con ciò che, invece pretendevano dal vivere di tutto … Ma si sa: la facciata umana alla fine di ogni bandolo di matassa Umana e Sociale è spesso mutevole e incongrua, oltre che incoerente e illusoria, e qualche volta anche ingannadora … Qualcuno da qualche parte ha detto e scritto: “L’Uomo è sempre un Lupo.”… ed effettivamente più che spesso capitava di vedere proprio così. Certi figuri quindi, erano figli del loro tempo nell’atteggiarsi e nel modo d’intendere la Vita, e se a Venezia non si scherzava in quanto a fatti, accadimenti, personaggi e modi, nelle Isole le cose non andavano molto diversamente: in Laguna spesso si scimmiottava in piccolo, quanto accadeva in grande nella Venezia Capitale Serenissima.

Veniamo però alla “storia”, che ritengo ancora una volta curiosa ... Dopo che un bel giorno Buranelli e Buranelle erano accorsi davanti alla Locanda a vedere una sera sia l’Avvocato che il Prete affrontarsi faccia a faccia aspramente come due Galli arruffati e arrabbiati, il secondo era del tutto scomparso dalla circolazione. Oh ! Quella sera se n’erano dette davvero di tutti i colori, e in tanti credevano che da lì a un attimo potesse spuntare fuori qualche coltello, e che uno dei due finisse in un mare di sangue a terra con la pancia infilzata, o con la gola aperta da parte a parte. Tutti i corpulenti Pescatori erano già pronti a saltare addosso ai due per dividerli, ma non ce ne fu affatto bisogno. Era stato come un immane temporalone estivo con lampi, tuoni e saette, che si era però risolto in sole due gocce di pioggia ... Poi sopra l’Isola era tornata a prevalere la solita calma notturna.

Qualche giorno dopo però, con gran stupore e accorrere di tutti, era giunta a Burano da Venezia una barca con i Zaffi dell’Inquisizione Veneziana: brutta faccenda per chiunque avessero cercato. Era sempre uno spettacolo per i Buranelli quando succedevano certe cose. Nessuno voleva perderselo, e tutti mollavano quanto stavano facendo, e accorrevano ad assieparsi in massa per vedere possibilmente in prima fila ciò che stava accadendo.

Che accadde allora ? … Che i Fanti del Santo Offizioandarono a prendersi proprio Don Zuanin, che caricarono in barca con i suoi stracci così com’era, e se lo portarono via sotto gli occhi stralunati e esterrefatti di tutti. Non si seppe più niente di lui: niente di niente … Scomparso ... L’intero palcoscenico dell’Isola rimase quindi nella disponibilità dell’altro: l’Avvocato.

Dopo una settimana, perfino il Barbiere Nicolò Minio, e la superpettegola Ada Boggiordinache normalmente sapevano sempre tutto di tutti, non avevano alcuna spiegazione e nuova da fornire … Perché ? Per come ? Dove ? Chissà ? … Boh !

Tutta Burano era come sospesa in aria in attesa, senza sapere il proseguo di quella che in realtà era una lunga storia che aveva coinvolto diversi, ed era saltata da molto fra le bocche di tutti in isola.

Devo dirvi allora un paio di paroline sui due “galletti”contendenti.

Il Prete era il Cappellano Don Zuanne, che tutti in isola ben conoscevano ...ed erano a conoscenza anche dei difficili rapporti che intercorrevano fra lui e l’Avvocato, che ultimamente li avevano portati più che spesso a liti furibonde fra loro. Strana la cosa, perché inizialmente i due andavano d’amore e d’accordo: l’Avvocato aveva lavorato parecchio con i Preti e per i Preti di Burano. C’era stata una lunga stagione “felice” in cui i due erano “compari di merende” insomma, tanto che oltre a mangiare e bere insieme, per divertirsi condividevano i segreti che i Buranelli e le Buranelle svelavano nell’atto segreto del Confessionale in chiesa.

Poi qualcosa s’era rotto e guastato, ed era nata invidia, astio e rivalità fra loro per questioni di donne soprattutto ... Sempre loro di mezzo !

Bastian De Carli, invece, era un uomo di Legge e Diritto: non un Avvocato, ma “l’Avvocato” dell’Isola. Si trattava di una persona rancorosa e irascibile, con un passato a dir poco delittuoso. Anni prima s’era preso a coltellate col padre in famiglia, e per difendersi gli aveva sparato lasciandolo morto sul pavimento … Bella famiglia … Scattati quindi i diritti e le diatribe per spartirsi l’eredità paterna, lo stesso uomo ubriaco fradicio finì nella cantina di casa dove uccise a bastonate il fratello minore Bortolo… e fanno due. Giusto l’anno prima dell’aspro contrasto con Prè Zanin poi, l’Avvocato Bastian s’era trovato a far bisboccia con gli amici al termine della vendemmia nella vicina isola di Sant’Erasmo. Altra grande mangiata e bevuta quella sera, ma al ritorno, mentre camminava ubriaco a fianco del compare Ruggero, l’aveva spinto inavvertitamente in un fosso pieno d’acqua. Fatalità … Nessuno dei due sapeva nuotare, nessuno sentì niente, e nessuno accorse in aiuto. Il compare-socio-amico morì annegato.

In tanti rimase qualche dubbio circa tutte quelle strane coincidenze … ma comunque i Morti da contare alla fine furono tre.

Può bastare ? … Anche no … Sempre in quello stesso anno l’Avvocato s’era recato nella bottega del Sarto Buranello Lorenzo con l’intenzione di farsi fare una bella camicia di lino color indaco. Aveva le idee ben chiare: voleva una camicia con le maniche larghe alla moda dei Nobili, e che fosse pronta per la Festa della Natività della Madonna di fine settembre ... e fin qua … Nella bottega del Sarto c’era però anche Don Vettore: vecchio Canonicomalandato di Torcello, che l’Avvocato iniziò a trattare “a mal parole”, criticando in particolare il modo pomposo, ricco e barocco dei Preti. Una parola tirò l’altra, e fra i due nacque un’accesa discussione, durante la quale Bastian, tanto per cambiare, perse la calma, prese una forbice dal tavolo, e infilzò il vecchio Monsignore a un braccio.

Per fortuna che intervenne prontamente il Sarto a separarli, così che il Canonico se la cavò con la semplice cucitura del braccio. Chissà che cosa sarebbe accaduto se i due fossero rimasti da soli ? Tutti in Isola avevano la stessa pronta risposta al riguardo.

Non male come biglietto da visita … mi pare. L’Avvocato insomma: era un tipastro armato ed elegante, un ricco prepotente maligno e violento, che si permetteva in Isola qualsiasi cosa forte anche delle sue conoscenze legali. Nessuno osava contrastarlo, memore anche della facilità del Bastian a lasciare Morti sulla sua scia.

Ecco quindi qual’era l’indole dei due “pollàstri” contendenti in Isola.

E veniamo ora al motivo del contendere fra Prete e Avvocato … A Burano viveva: Tomaèlla, una bella donna … una delle tante dell’isola, che fin da giovane era finita a “fare il mestiere” continuando a concedersi di qua e di là nonostante avesse sposato Battista Tagliapietra Pescaòr, che però se ne stava spesso “fòra casa de giorno e de notte” per via del mestiere ... A volte rimanevano anche un mese intero senza vedersi ... Una donna sola quindi, e con qualche “spìssa e grìngola par la testa”.

Tomaèllapoi non era nuova a frequentare l’ambiente dei Preti. Tutti sapevano che aveva frequentato e avuto una storia con Don Gottardo da Ceneda, e che poi da quello era passata a Don Zuanìn Capellàn de Buran: Prete chiacchierone, simpatico,“cassafàtti e fàsso tutto mi” (intrigante e tuttofare) che ben presto finì con l’ammaliarla più che mai corrisposto ... andava bene così. I guai iniziarono quando anche l’Avvocato adocchiò la donna iniziando a frequentarla … Don Zuanin da amico divenne avversario e rivale … Quindi nacquero dissapori, dispetti e gesti di un antagonismo senza fine fra Avvocato e Prete. La donna se ne stava in mezzo cavalcando furbescamente entrambe le opportunità: con la scusa di aver spesso il bisogno di confessarsi, andava più che spesso a prendere l’acqua al pozzo del Curato, e a cogliere le verdure nell’orto del Piovan. Facendo questo s’infilava poi in casa del Prete, e il gioco era fatto: se ne usciva spesso a notte tarda … Tutti in isola sapevano o immaginavano, come voi, che cosa accadeva lì dentro.

Con l’Avvocato era uguale: solo che lui era il sopravvenuto, “la nuova fiamma”, e quello più dotato e conveniente sotto ogni aspetto.

Insomma a un certo punto della “storia”, l’Avvocato decise di liberarsi del Prete per avere la donna tutta per se, e lo fece nel modo che gli era più congeniale: stilando una bella Denuncia al Tribunale dell’Inquisizione di Venezia guidato all’epoca da un Inquisitore risaputo: “integerrimo etremendo … Ecclesiastico equilibrato e di buon senso, avvezzo ad andarci piano con i Nobili, ma non senza tanti scrupoli nel grimpare e incastrare Frati, Preti, Monache e Confratelli inosservanti e trasgressori.”

Come avete inteso, sia Avvocato che Prete non scherzavano affatto: incuranti di ogni Regola si davano impuniti alla così detta“bella vita”… L’epoca era quella, e quindi Avvocatura e Clero in Isola si permettevano di tutto e di più in barba a ciò che assiduamente pretendevano dagli altri sia dal Pulpito, che nelle aule dei Tribunali. Le donne poi facevano la loro parte … Non tutte ovviamente … Nel cesto variopinto e variegato di ogni stagione e occasione storica, c’era sempre un po’ di tutto: “… e c’erano quelle e quelli a modo, e quelle e quelli che s’azzardavano e proponevano o per necessità, per vizio, o per smania corporale”… e quindi nell’isoletta in fondo alla Laguna nasceva quel che nasceva.

Tornando ai fatti … L’Avvocato Bastian non seppe trattenersi: accusò Prete Zuanin di tutto e di più, anche delle peggiori cose che potevano essere imputabili a un Prete. Lo definì come ubriacone che andava n giro per le Osterie dell’Isola screditando Religione, Chiesa e Fede dicendo: “Fiòi: magnèmo, bevèmo e cjavèmo in Grazia de Dio” ... C’era il Fabbro dell’Isola che era disposto a testimoniare d’averlo sentito dire così … Un atteggiamento a dir poco scandaloso per un Prete. E quindi Prè Zuanin era anche un Eretico, abituato per di più anche a Peccato Carnale e Adulterio con certe Buranelle, e soprattutto a prolungata “Sollecitatio a cose turpi e disoneste in Confessionale” dove sollecitava le poverette che gli capitavano a tiro in cerca di Penitenza. Non erano state poche le donne perseguitate da quel Prete: Angiolella, Pasqualina, Santina detta Samaritana figlia di Alessia, Comella, e ovviamente “la sua”Tomaèlla.

Figuratevi la reazione del Santo Offizio di Venezia: quello era pane giusto per i denti aguzzi dell’Inquisitore … Perciò vennero subito mandati a Burano gli Zaffi, che prelevarono il Prete portandolo in carcere a Venezia per poi mandarlo a processo.

L’Avvocato Bastian gongolava: poteva considerarsi soddisfatto. Aveva colto nel segno con la sua trovata, e adesso Tomaèlla sarebbe stata tutta sua e di nessun altro ... Farabutto fino in fondo.

All’inizio di ottobre iniziarono a sfilare a Venezia i testimoni indicati dall’Avvocato, e convocati davanti al Giudice dell’Inquisizione. Si presentarono Francesco il Fràvo (Fabbro) dell’Isola, che ne sapeva sempre una più del Diavolo, e la Buranella Anzolèlla: donna non più giovanissima, “mugièr de un Pescaòr”, abituata ad andarsi a confessare un paio di volte l’anno proprio da Prè Zuanin. La donnetta raccontò disinvolta d’aver ricevuto esplicite proposte sessuali dal Prete insieme alla promessa di offrile anche 40 ducati contanti. Le aveva detto anche, che se lei avesse accettato le sue profferte, per lei avrebbe smesso di frequentare Donna Paolina:“conosciutissima donna di facili costumi dell’Isola” ... Anzolella continuò a dire d’essere fuggita via inorridita per l’atteggiamento così provocatorio, lascivo e volgare di Prete Zuanìn(Giovannino), ma che era risentita soprattutto perché aveva scoperto che lo stesso Prete aveva raccontato in giro al Piovan,all’Avvocato, e ad altri della Contrada quanto lei gli aveva rivelato nel Confessionale ... Perfino le donne al pozzo, a bottega, in pescharia, al forno o alla fontana sapevano i fatti suoi: quelli più privati e intimi … Quel Prete era una vera e propria disgrazia !

Tomaèlla poi, ormai amante stabile e in esclusiva dell’Avvocato Bastian, non si trattenne dal raccontare all’Inquisitore di come Prete Zuanin l’aveva sedotta con insistenza durante le confessioni dell’Anno Giubilare 1617. Le aveva offerto anche denaro, bussolài, confetti, carne, e soprattutto: assoluzione e possibilità di presentarsi in chiesa a ricevere i Sacramenti riabilitandola agli occhi di tutti quelli dell’Isola ... Non era poco per una come lei … Poi era vero: si … Avevano peccato e “avuto commercio carnale” insieme, e lei s’era rivolta a un altro Confessore … Maledetto Don Zuanìn: aveva squacquerato in giro per l’Isola i nomi di tutti i suoi amanti procurandole non pochi grattacapi e problemi.

Donna Comella infine confermò davanti all’Inquisitore di come il Prete l’aveva insidiata invitandola nel suo orto, dove l’aveva toccata e corteggiata “oltre misura”, e non contento: aveva messo in giro gli affari suoi, e i suoi segreti amoreggiamenti in Isola.

Prete Zuanin non aveva scampo: era incastrato, inchiodato al muro da tutte quelle dichiarazioni ... L’Avvocatoaveva tessuto e calato la sua rete in maniera efficacissima, e il Prete c’era caduto dentro alla perfezione: proprio come intendeva e voleva lui.

L’InquisitoreVinuccio non era però uno sprovveduto: capì benissimo le macchinazioni allestite dall’Avvocato, così come andò a sindacare fino in fondo le presunte “verità”raccontate dai testimoni. Voleva sapere se quelle cose erano state davvero pubblicamente proferite dal Prete, o se qualcuno per qualche motivo gliele aveva messe in bocca … Alcuni testimoni s’erano palesemente contraddetti davanti a lui durante l’udienza processuale … Quel Prete comunque era colpevole perché aveva violato il Segreto Confessionale, e perché aveva insidiato impunemente le Buranelle nella loro chiesa oltre che a casa sua.

All’inizio di novembre venne fatto comparire in giudizio lo stesso Prete Zuanechiuso ormai da 40 giorni nelle spartane celle dell’Inquisizione di Palazzo Ducale. S’era schiarito a sufficienza le idee per deporre sui fatti ? … O sarebbe stato necessario “dargli un bel tratto di corda”(torturarlo) per rinfrescargli la memoria ?”

L’Avvocato intanto, pago del successo ottenuto, se la godeva, contento d’essersi liberato del fastidioso concorrente: “Adesso che Tomasina era tutta sua, che osasse qualcuno in Isola a dire qualcosa contro di lei e lui ! … Avrebbero dovuto vedersela con lui ... E ben si sapeva di che cosa era capace se fosse stato bisogno.”

Prete Zuanin, invece, chiuso “in gabbiotto”,provò da parte sua a difendersi negando ogni addebito, e affermando che ciò che si diceva di lui erano solo infamanti calunnie. Riferì all’Inquisitore che l’Avvocatocon diversi altri “avevano congiurato cose falsecontro di lui”, e che lui non era uno che svelava i segreti del Confessionale, ma cercava solo di dare alle donne una “figliolanza e un conforto spirituale”... Aggiunse ancora che era stata Donna Tomasina a presentarsi suadente a casa sua offrendogli il pesce pescato dal marito: cosa che lui aveva rifiutato. Quella donna era una serpe pericolosa, che già in precedenza prima di lui, aveva inguaiato Prete Gottardo, che poi era finito male.

Prete Zuanin si chiamò un Avvocato a difesa: Pietro Abbetino, e con lui racimolò diversi Buranelli e Buranelle pronti a testimoniare a suo favore. Questi andarono a trovarlo in carcere, e soprattutto si presentarono nel Tribunale dell’Inquisizionea Venezia “a parlar bene di Prè Zuanin” ... anche giurando il falso se fosse stato il caso. Fra i testimoni a favore di Prè Zuaninc’erano: la Perpetua di Don Zuane con Donna Maddalena, Donna Pierina(risaputa ex amante del Prete), Donna Marina la Massèra(serva di casa) e Cuoca di Don Zuanin, e Donna Paulina. C’erano ancora: uno degli Speziali dell’Isola, il Sacrestano, diversi Pescatori, un mercante da vino, e gli stessi Barbieree Fabbro dell’Isola, che avevano cambiato versione e idea circa Prè Zuanin ... Una bella truppa insomma, che incominciò col dire che tutte quelle donne corse a testimoniare contro Prè Zuanin: non erano affatto attendibili, soprattutto per la loro scadente reputazione ... Anzolella, ad esempio: “pur essendo sposata, era una puttana che aveva intrallazzato non poco con Prè Francesco dal quale aveva avuto alcuni figli, che lui stesso manteneva”… Per quel fatto il Prete era stato anche sospeso “a Divinis” per un anno. Che credibilità poteva avere una donna del genere ? … e anche Comellaera una donna uguale: aveva figli e figlie, che non si sapeva neanche di chi fossero, e poi era una Incofessa, che non andava mai in chiesa. Che ne sapeva lei dei Preti ? Forse conosceva solo il colore dei soldi dell’Avvocato Bastian.

Tomaèlla poi ? … era l’amante dell’Avvocato Bastian, e il marito tradito l’aveva presa più volte a bastonate … Era forse attendibile una donna del genere nelle sue dichiarazioni contro Prè Zuanin ? … Erano tutte una squadra di donnacce.

Accadde poi un fatto a sorpresa … A fine febbraio-inizio marzo 1621: arrivò al Santo Uffizio di Venezia un’altra lettera contro Prè Zuanin che chiedeva di punirlo in maniera esemplare. Insieme alla lettera, era arrivato anche il fascicolo dei documenti della Curia Vescovile di Trevisoche raccontavano un’altra “storia” che riguardava Prè Zuanin. Quand’era stato in precedenza Curato a Negrisia di Ponte di Piave, il Prete aveva avuto atteggiamenti e gesti, comportamentali e parole davvero riprovevoli. In paese aveva trescato con diverse donne: conArmellina e Domenica soprattutto, dalla quale aveva avuto anche un figlio che lui stesso aveva battezzato: uno scandalo immane ... Per quei fatti Prè Zuanin era stato condannato dal Vescovo di Treviso nel 1607, prima di recarsi a fare il Prete nel nascondimento di Burano … Altro che Santuomo di Prete ! … Prè Zuanin era un recidivo: “un uomo in preda al Male”.

Come andò a finire la “storia” ?

Il primo aprile 1621, il Santo Uffitio dell’Inquisizione Veneziana si riunì ufficialmente e solennemente nell’austera chiesetta di San Teodorodietro al chiesone di Piazza San Marco. Presiedeva la temibilissima assembly: l’InquisitoreGiovanni Domenico Vinuccio da Ravenna, e c’erano assisi accanto il Patriarca Giovanni Tiepolo, il Nunzio Apostolico Sigismondo Donato, e i Tre Savi Sopra l’Eresia della Serenissima: iNobilissimi Agostino Nani, Michele Priuli e Vitale Lando. Venne quindi emessa la Sentenza sul caso di Prè Zuanne da Burano ritenuto: colpevole … Don Zuanìn, che si trovava nelle buie, tristi e umide Prigioni di Palazzo Ducale ormai da sette mesi, venne condannato ad ulteriori quattro mesi di carcere duro, alla privazione perpetua del ruolo di Confessore, alla Pubblica Abiura del suo “status ereticale”, e alla recita quotidiana dell’Officio dei Morti… Tutto compreso: gli era andata più che bene.

E l’Avvocato De Carli di Burano ? Che fine avrà fatto  ?

Chi lo sa ? … Probabilmente rimase in Isola a vivere e spadroneggiare come il solito incontrastato nel suo personale “pollaio”… godendosi probabilmente “le sue” creature in santa pace, mentre la Storia di tutto e tutti continuò normalmente a scorrere e girare.

Quando s'impapinò il Piovan di San Giminiàn col Doge in Piàssa

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#unacuriositàvenezianapervolta 304

Quando s'impapinò il Piovan di San Giminiàn col Doge in Piàssa

Provate a seguirmi nel pensiero e a immaginare la scena … Si era a Venezia ovviamente, proprio al centro di Piazza San Marco, in uno degli ultimi anni della Serenissima Repubblica, quando reggeva il Dogado il penultimo Doge: Paolo Renier, che tutti chiamavano Polo.

Curioso e insolito come Doge: uomo e Veneziano intraprendente e ambizioso, dotato di notevole abilità oratoria … Un empatico al solo vedersi insomma, che si dice una volta abbia parlato per ben 5 ore di fila a Palazzo Ducale, rimanendo là, fin quasi a svenire. In realtà era fuoriuscito ed emerso, s’era fatto strada sgomitando fra gli altri Nobili, pur non facendo però parte dei Subiòti, cioè dei Nobili Barnabotti: quelli più sfigati e decaduti che vivevano di sussidi. Era un personaggio camaleontico nelle tendenze politiche: uno che sapeva inseguire l’opportunità. Prima era stato Rivoluzionario iscritto fra i Liberi Muratori, e inviperito contro l’opera degli Inquisitori di Stato e del Consiglio dei Dieci. Poi piano piano aveva scalato il potere fino al gradino più alto servendosi della corruzione e del favoritismo, come si usava a Venezia ancora allora, divenendo lui stesso Inquisitore di Stato, e conservatore accanito. Finchè giunse ad accalappiare il Dogado, e lo ottenne con successo, cioè con ampio consenso: 40 voti favorevoli su 41 (l'unico voto contrario fu quello di suo fratello).

In pochi raccontarono che aveva pagato profumatamente i 300 Consiglieri della penultima tornata elettiva Dogale. Da Doge poi, continuò a fare la stessa cosa: spendere e spandere per garantirsi il sostegno, e per continuare a galleggiare nella politica che contava. Appena messo in testa il dorato Camauro Dogale, ad esempio, fece subito arrestare e confinare gli “Avvocati riformisti”Giorgio Pisani e Carlo Contarini ... Non voleva Rivoluzioni in Laguna ... Comunque si arrivò a supporre di lui, col senno di poi ovviamente, che forse Venezia avrebbe avuto una fine più onorevole se ci fosse stato lui al timone della “Nave Serenissima” che affondava al posto del suo arrendevole successore … Dicerie, a volte buttate là tanto per parlare … La Storia a Venezia, invece, andò come doveva andare, e lui morì il 13 febbraio 1789 a settantotto anni, dopo trentasette giorni di malattia, e cosa curiosa: l’annuncio della sua morte venne dato solo il 2 marzo seguente ... Venti giorni dopo !

Sapete perché ? Semplicemente per non rovinare i festeggiamenti del Carnevale dei Veneziani ... Questo per dirvi in quale genere di decadenza e inedia era precipitata Venezia.

Insomma: provate a immaginare lui quel giorno in mezzo a Piazza San Marco, tutto vestito d’oro dalla testa ai piedi perché era giorno di Festa a Venezia. Pensatelo anche al centro del suo pomposo codazzo Dogale: con la Signoria, i Nobili, i Segretari, il Consiglio e tutto il resto … Aggiungetevi anche il tripudio delle bandiere, la fanfara, i suoni, i colori e le acclamazioni e i sussurri della folla Veneziana. Era proprio Festa: la domenica dopo Pasqua “in Albis” di quell’anno.

Andiamo avanti con la storia … Di fronte al Doge venne a trovarsi, secondo Tradizione Veneziana, il Piovano di San Gimignàno, o San Ziminiàn da Modena come lo chiamavano i Veneziani. Era quella chiesa che fino al 1800 sorgeva in fondo a Piazza San Marco, in mezzo fra le due Procuratorie Vecchie e Nuove, quasi a pendant con la splendida Basilica Marciana. Il cerimoniale dell’annuale Visita o Uscita Dogale a San Ziminiànprevedeva l’accoglienza del Serenissimo da parte del Prete di San Ziminiàn proprio in mezzo alla Piazza delle Piazze. Lì il Piovano avrebbe accolto il Doge leggendogli un bel discorso celebrativo e di benvenuto … Ma fu proprio in quel momento che accadde l’inghippo. Il Prete prima arrossì in volto, poi sudò vistosamente, e un brivido freddo gli corse giù lungo la schiena. Si raddrizzò subito però, reagendo e pensando che forse era il vento a fargli fremere le carte in mano. Tutte le bandiere d’intorno pendevano flosce dai pennoni della Piazza, e lo stesso facevano quelle sulle aste dei Soldati intervenuti. Erano le sue mani a tremare … e non poco: l’emozione l’aveva vinto … e alla grande. Provò allora a deglutire, a farsi forza in mezzo a tutto quel bel consesso festoso di Nobili, Personaggi e Popolo. Si ravvivò con una mano nervosa i capelli, e iniziò a dire leggendo: “Glor … oss … Mis …”e le parole gli mancarono, finendogli chissà dove in fondo alla gola.

Il silenzio regnava sovrano su tutta la Piazza: perfino i Colombi svolazzando avanti e indietro sulle zampe calzate di rosso, sembravano non voler disturbare. Allora il Piovano gravido di tensione riprese: “Ser … nn … Nobilis … Sjor.”… Niente da fare: di nuovo s’ingolfò, chinò la testa, e divenne pallido quasi da sembrare malato.

Qualcuno stava già per avvicinarlo e soccorrerlo, ma lui con un gesto della mano dissuase e tenne a distanza tutti ... Provò a continuare.

Lo scenario di Piazza San Marco allora era diverso da oggi. Il Piovano era uscito baldanzoso dalla sua chiesa di San Ziminiàn incastonata fra le Procuratoriesenza presagire minimamente quanto l’aspettava. La sua chiesa si trovava là già da prima dell’intera Piazza, e aveva una sua microstoria, come quasi tutto d’altronde a Venezia.

A cavallo quasi fra Leggenda e Storia, si raccontava che “la prima” San Ziminiàn era stata fatta innalzare nel ultralontano 522 da Narsete Comandante Bizantino. Aveva fatto quel gesto come riconoscenza verso i Veneziani che gli avevano prestato le navi per trasportare i suoi soldati a combattere contro i Goti ... Venezia allora quasi non c’era: albeggiava appena, e anche la Piazza delle Piazze non esisteva ancora. C’era solo il lungo Rio Batario o Badoario che attraversava per lungo quello stesso luogo della futura Piazza, andando da una parte a sfociare nel Bacino e sui Moli di San Marco, mentre proseguiva dalla parte opposta in quello che sarebbe diventato il Rio del Cappello Nero.

Pensate: non esisteva neanche la Basilica di San Marco in quella lontanissima epoca, ma al suo posto c’era solo la vetusta chiesetta di San Teodoro(la futura sede ufficiale del temibilissimo Santo Uffizio dell’Inquisizione Veneziana) con davanti un ampio interrato che diventava spesso un bel pantano. Fu proprio nel 1155, quando il DogeVitale Michiél decise di creare Piazza San Marco, che nacque la Tradizione dell’annuale Visita del Doge a San Ziminiàn.

Ve la faccio breve … Per far la Piazza “come si deve”, c’era bisogno d’interrare il Rio Badoario, e di abbattere la chiesupola di San Ziminiàn che stava proprio in mezzo. Altrimenti, che grande Piazza sarebbe sorta ?

Il Doge allora chiese al Papa il permesso di demolirla. In quei tempi antichi i Veneziani coltivavano ancora un timido rispetto e grande riverenza verso il Sommo Pontefice di Roma ... Dopo, invece, come ben sapete, le cose andarono diversamente.

Il Papa si scandalizzò immediatamente di fronte all’idea della demolizione di quel Sacro Edificio che dominava centralmente il luogo. Si affrettò a negare il permesso, ma viste le insistenze dei Veneziani: concesse diplomaticamente al Doge non di demolire, ma di “spostare”la chiesa ... Un classico escamotage per concedere e non concedere, ma soprattutto per ribadire chi decideva e comandava di più.

Si sa: sempre lungo la Storia i Galli vogliono primeggiare in quelli che ritengono loro esclusivi pollai.

Insomma: la chiesa di San Ziminiàn venne abbattuta, ma ricostruita qualche decina di metri più in là.

Tutto risolto e a posto ? … Macchè !

Il Papa continuò a considerare quel gesto dei Veneziani come un improvvido affronto alla Chiesa. Perciò volle e ordinò che da quel giorno in poi il Doge dei Veneziani doveva recarsi in perpetuo a chiedere perdono di quell’offesa: a Dio, alla Chiesa, al Popolo dei Veneziani, al Mondo intero, a tutti i Santi del Paradiso … e a chiunque altro fosse stato in qualche modo toccato da quel gesto.

Per questo da quel giorno: ogni anno, la Domenica “in Albis” dopo Pasqua, il Doge con la Signoria si recavano là “Penitenti”in visita a San Ziminiàn “per implorar scusa e perdon”.

Figuratevi il Doge nel susseguirsi dei secoli, quanta voglia aveva di abbassarsi umile ai dettami della Chiesa: meno che zero ! … Ma la tradizione di quel gesto rimase per secoli, per sempre, ed entrò a far parte della serie delle annuali “Uscite Pubbliche del Doge” che si recava “in Visita” in tante parti della Città Lagunare. 

Ogni anno quindi, il Doge incontrava supplice in mezzo a Piazza San Marco: il Piovàn de San Ziminiàn, ma era diventata sempre una gran bella festa, a cui tutti partecipavano gioiosi ed entusiasti. Tradizionalmente si faceva grande distribuzione di zuccheri e dolci al Doge, alla Signoria, ai Sacerdoti di San Giminian e Menna a tutti i presenti in Piazza ... E c’erano Suonatori, Musici, Canti e Cerimonie a rallegrare la scena: era un gran festone insomma ... Un’altra di quelle occasioni adatte “per cantare le Glorie di Venezia e del suo Leòn” dentro a un celebrativo tripudio di Popolo Veneziano. Venezia era anche questo: non perdeva occasione per rimpolpare se stessa e il suo luccicante quanto glorioso Mito.

Ogni anno quindi, il Piovan con i Preti del Capitolo di San Ziminiàn pagavano appositamente un organista e “quello che menava li folli”, e s’attivavano perché ciascuno ricevesse le “onoranze” che meritava ... Le Cronache Veneziane raccontano, che a volte per allestire quella Festa andavano a scatafascio le traballanti economie della Parrocchia e della povera Fabbrica della chiesa, perché si finiva per spendere e spandere ogni volta in eccesso: “un’enormità per conzàr la chiesa di tappezzerie e i balconi sulla piazza, far concerti di Suonadori e Cantori dell’organo per la venuta del Doge … Si spendevano 5 ducati e più per onorare tante personalità, per pagare anche un Oratore che intervenisse alla Messa Granda …”

Un anno per l’occasione, si fece addirittura l’organo nuovo in chiesa a spese del Piovano che sborsò di sua tasca 600 ducati, e fece tirar su anche un nuovo Coro “con banchi di noce di somma bellezza”spendendo altri 200 ducati sempre del suo munifico borsello che rimase del tutto vuoto. La casa dei Preti di San Gimignàn poi, era affacciata sulla Piazza delle Piazze, e quindi non c’era occasione: Giovedì Grasso, Corpus Domini, Festa di San Marco, gli 8 giorni della Festa della Sensa, Pasqua e Natale e tutte le altre feste solenni, in cui non si finisse con l’ospitare personaggi illustri: Cardinali, Cavalieri, Gentiluomini, Patriarchi, Vescovi e Abati di passaggio, e anche qualche NobilDonna, che di certo non si poteva mettere là senza spesa sopra a un vecchio cuscino ... Era un gran onere gestire San Ziminiàn: i Preti rifuggivano quell’incarico, anche se essere Piovan de San Ziminiàn era una carica-beneficio che fungeva spesso da trampolino per diventare Canonici di San Marco o della Cattedrale di San Pietro di Castello ... o magari Vescovi, Patriarchi … Chissà ?

Secoli dopo, pur essendo la chiesa di San Ziminian malridotta, la Tradizionale della Visita Dogale continuava puntualmente.

Il famosissimo Jacopo Sansovino fu orgogliosissimo nel 1557 di ricostruire per la terza volta la chiesa succedendo nei lavori a Cristoforo dal Legname che li aveva iniziati e trascinati fin dal 1505. Sansovinoera convinto d’aver superato se stesso realizzando quella chiesa, tanto è vero che chiese ed ottenne d’essere sepolto lì dentro con tutta la sua famiglia (le sue spoglie in seguito vennero traslate a San Maurizio).



Cinque anni prima dell’entrata in scena di
Sansovino, c’era stata tutta una diatriba e un tira e molla col solito Medicomegalomane Tommaso Rangone da Ravenna, che s’era proposto di ricostruire anche San Giminiàn a sue spese a patto che fosse posto un suo busto in facciata come s‘era già fatto nella vicina San Zulian. Il Senato indispettito bocciò l’idea, fece raccattare dai Preti di San Giminiàn tutte le elemosine raccolte con le Indulgenze appositamente concesse per finanziare la costruzione della nuova chiesa, e ci mise del proprio per finanziare finalmente la nuova costruzione … La nuova “San Ziminiàn in Bocca de Piàssa”doveva sorgere senza l’intervento di quell’impiccione benemerito del Medico Rangone, che in realtà aveva già ottenuto l’autorizzazione dal Piovano Benedetto Manzini e dal Capitolo dei Preti di San Ziminiàn in cambio dell’ennesima ulteriore “piccola … o forse grande sovvenzione”.

Tutti lo sapevano a Venezia: quando Tommaso Rangone da Ravenna detto Philologus: Medico, Astrologo e Procuratore di San Giminian si metteva in testa una cosa: non c’era verso di fermarlo e ostacolarlo. Infatti, Rangone lasciò anche delle Comissarie Perpetue ai Piovani di San Giminian, San Zuliàn e San Giovanni in Bragora con obbligo che nel giorno di San Gimignan, il 31 gennaio, venissero imbossolati i nomi di “sei Donzelle da maridàr o munegàr” per ognuna delle 3 Parrocchie, favorendone sei con 20 ducati ciascuna. Rangone permise anche che venissero accolti gratuitamente nel Collegio Ravenna di Padova studenti Veneziani meritevoli che volessero aspirare al Dottorato in Medicina… Alla fine gli riuscì di collocare almeno un suo busto scolpito dal Vittoria nel portico accanto a San Giminian, con tanto di dedica dei Preti della Collegiata di San Ziminiàn da Modena.

A parte Rangone, alla fine ne venne fuori un’altra bella chiesa Veneziana dall’interno ricchissimo: frai più fastosi di Venezia. Un altro scrigno, un bijoux ricco di pregevoli opere d'Arte posto giusto nel cuore della Piazza Marciana.

Sentite la descrizione di una Guida d’epoca: “Sull’Altar Maggiore della chiesa a 5 altari, che conserva le Reliquie del Corpo Santo di San Gimignano Martire (giunte da Roma nel 1693), vennero collocate tre statue scolpite da Bartolomeo Bergamasco … Alle pareti e sugli Altari è possibile notare e godere di una “Santa Caterina con Angelo” dipinta da Jacopo Tintoretto; un “Ultima Cena” e una “Rissurrezione” a mezza luna di Francesco Santacroce nella Cappella del Santissimo, con la cupoletta adornata da figure di Giovambattista Grone. Due quadri: un “Cristo nell’Orto” e una “Sacra Storia della vita di Gesù” di Giuseppe Scolari ornano la Cappella del Santissimo. Curiosa la storia di quei dipinti. Daniele Farsetti Magistrato de Provveditori di Comun, ricordò e scrisse prima del 1772:“Le due tele del Scolari vennero fatte levare dal Guardian della Schola del Santissimo: persona assai volgare ed idiota, e sostituiti di stucchi le nicchie dove erano collocati. Io li feci riporre a suo luogo e pagare al Guardiano una grossa pena.”

Procedendo ancora nella visita di San Gimignàn, si vedrà poi: un “Annunziata” della bottega del Veronese posta sull’Altare della Madonna; una “Visita dei Re Magi” a mezzaluna collocata sopra lo stesso insieme ad: “Angeli con lo Spirito Santo” di Alvise dal Friso; un’altra “Beata Vergine e Santi” a mezzaluna della stessa bottega sta collocata sopra “il deposito”, cioè la tomba dei Morti della Contrada. Nella Cappella del Cristo, invece, è collocato: un “Gesù Morto in braccio alla Madre” di Antonio Balestra, e ci sono ancora collocate in giro: una “Sant’Elena, San Geminiano Vescovo e San Manna Cavaliere” di Bernardino da Murano; una “Risurrezione di Lazzaro” e un’“Adultera” di Girolamo Brusaferro; un “Cieco nato” di Gregorio Lazzarini; un “Transito di San Giuseppe” di Antonio Pellegrini, e l’“Apparizione di Cristo alla Maddalena” di Nicolò Bambini … Il soffitto, invece, è uno splendore adorno della “Ressurrezione di Cristo” di Sebastiano Ricci, mentre vicino alla Sacrestia sono appese: una “Santa Maria Maddalena” e una “Santa Barbara” di Bartolomeo Vivarini (alcune di queste opere sono oggi conservate alla Galleria dell’Accademia di Venezia).”

Nell’autunno 1558, il Piovano Benedetto Manzini,completata la chiesa, la dotò come vi dicevo di un sontuoso organo pagato di sua tasca, che gli costà il triplo di quanto aveva preventivato. Collocato sopra la porta sinistra della chiesa, lo faceva suonare da Claudio Merulo: organista ufficiale della Signoria, e lo fece decorare ulteriormente collocandovi sopra delle “portelle” dipinte da Paolo Caliari il Veronese nel 1560 circa, con: “San Geminiano e San Severo Vescovi all’esterno, e San Menna Cavaliere e San Giovanni Battista all’interno”.

Insomma, l’avete capito: c’era da rimanere sbalorditi, estasiati fino a rimanere a bocca aperta entrando in chiesa di San Ziminiàn da Modena dentro a Piazza San Marco.

Già che ci siamo ve lo ricordo … La chiesa fu per lungo tempo dotata e amministrata dai Laici abbienti della Contrada, che avevano il diritto di nomina e ballottaggio del Piovano. A costoro nel 1630 il Consiglio dei Dieciaggiunse i Procuratori di San Marco “per ragion che abitavano le Procuratie, e benché non possedessero immobili in Contrada.”I Preti di San Giminian solitamente erano stimati Notai di Piazza, e il Piovano di San Ziminiàn fungeva anche da Priore dell’Ospedale di San Marco: l’Ospizio Orseolo Hospedale da Comunche sorgeva in Piazza accanto al Campanile ... Diverse case della Contrada erano proprietà delle Nove del Clero Veneziano, e la zona era ricca di Locande, e animata dalle attività di numerosi Artieri. Già nel 1379 al tempo del Doge Andrea Contarini e “degli imprestiti allo Stato per la Guerra di Chioggia contro i Genovesi”, laContrada di San Gimignan con 5 NobilHomeni e 20 contribuenti abbienti offrì lire 22.800 alla Serenissima.In Contrada c’erano:Ana Agnese dalle carozze che diede lire 300,Griguol dai letti che offrì lire 500, eGiacomo dal Cavalètto, Nicolò Frutariòl, Nixoi dai letti, Nicolò de Amadio dai letti, Tura Strazariòl, Zuanne de Domenico Caleghèr, Zaccaria della Spiga, Zuanne dalle Vèrgole, e Zanin de Agustin Spicièrche contribuirono tutti con cifre significative o considerevoli.

Palmerius Schardantes quondam Alfonsii,laico da Lecce di 53 anni, da 30 anni residente a Venezia, insegnava“Lettere Humane” a 22 alunni tenendo Scuola Pubblica a San Gimignan nel 1587. Si pregiava d’insegnare: “Vergilii, Ciceron et Horatio ... Li più minori fanno con me concordantie, li altri: chi latina quasi per tutte le regole, et chi fanno epistule…”

Nel 1509 in Contrada vivevano 1.325 persone, scese a 1.279 a fine secolo … I Preti di San Giminian possedevano buona rendita annuale di 70 ducati da beni immobili posseduti in Venezia ... Nella Contrada c’erano 192 botteghe, compreso un inviamento da forno con casa e bottega, e la bottega di Donna Jacoma dal fumo” inCalle e Ramo del Fumo ... Ancora a inizio 1700, c’era in chiesa una Beata Vergine di legno vestita con abiti e ori ... Nel 1744, dal censimento dei 118 Casini Veneziani, risultava che sei erano dislocati nella Contrada di San Gimignan ...Antonio Vivaldi venne seppellito in San Gimignano, dove divenne Prete, e venne subito ascritto al Capitolo dei Preti di San Gimignan:“co la so bòna rendita” ... Nel 1745 abitava con moglie, cinque figli e la Serva nelCampo Russolo della stessa Contrada anche il celebre pittore Gasparo Dizioni, che pagava  annuali 60 ducati d’affitto alla Fraterna dei Poveri di Sant’Antonin ... Anche il commediografoCarlo Goldoniabitava un 1/3 di casa con moglie, madre, serva e zia in Corte San Zorzi in Contrada di San Ziminianpagando annui 32 ducati.

Torniamo però a quel giorno in Piazza col Doge,a tu per tu col Piovano di San Ziminiàn“impapinà”, quasi paralizzato sulle carte, imbarazzatissimo per la troppa emozione di figurare davanti al Doge, tanto da restare con le parole bloccate in gola. Facevano bella mostra di se in Piazza, e a capannello attorno al loro Piovano, tutti i Parrocchiani della Contrada, e gli iscritti delle Schole di San Gimignan, che nel 1700 annoveravano anche i Confratelli della Schola del Santissimo Sacramento risalente al 1500. C’erano poi quelli e quelle delle Schole di Santa Caterina d'Alessandria, che s’erano aggregati nel secolo seguente, e quelli delle neonate e tardive Schole sorte durante il “secolo dei lumi”, cioè:ilSuffragio della Buona Morte con la chiacchierata Compagnia di Sant'Adriano famosa per le sue bisbocce; laCompagnia della Carità de poveri, infermi e particolarmente questuanti”; la Compagnia della Beata Vergine Addolorata e del Rosario e delle Vittorie; e ilSovvegno abusivo dei Preti della Concezione... Insomma: c’era una bella folla in Piazza attorno a Doge e Preti.

C’erano soprattutto i Cofrati Artigiani delle Schole della Madonna dell’Arte dei Tornidori dell’Arsenale, e quelli di Sant’Elena dei Vazineri. Entrambe erano Arti Veneziane antichissime risalenti all’inizio del 1300, ospitate inSan Giminian nella Cappella del Cristo.L'Arte dei Tornidòri e Busolèri o Bossolèririuniva i Veneziani che lavoravano al tornio: legno, avorio, madreperla e ottone o lattòn, producendo elaborati Troni, Cattedre Episcopali e oggetti di lusso come: scacchi, placche e tavolette, oggetti liturgici e cofani e bauli intagliati, cornici di specchi, servizi da toeletta, scatole, manici di ventagli, bottoni, ramoscelli fioriti, ma anche semplici urne e bossoli per le votazioni dei Consigli della Serenissima. L’Arte ancora nel 1773 contava 121 CapiMaestri, 28 garzoni e 38 lavoranti attivi in 42 botteghe sparse in giro per Venezia.

La Schola di Sant’Elena dei Vagineri o Vaginai, invece, riuniva gli Artigiani che fabbricavano e vendevano in 8 botteghe Veneziane: foderi, custodie e astucci di lusso in cuoio, legno, osso, avorio e metalli preziosi, adatti a conservare: aghi, forbici, coltelli, ventagli, pettini, specchi, libri, fialette odorose, penne e calamai, confetterie e sale. Il cuoio veniva variamente ornato, legato, inciso e dipinto con soggetti allegorici e mitologici, o con miniature. Poi veniva sbalzato, intagliato a rilievo dopo doratura e prima di verniciarlo o tingerlo “alla Francese, alla Fiamminga, alla Spagnola o all’Olandese”.

Il Capitolo dei Preti di San Giminian era sempre disponibile ad ospitare le Schole, ed era sempre “in agguato” con loro, in quanto non mancava mai di riscuotere da ciascun Vaginèro: 24 lire per la Festa di Sant’Elena Imperatrice Patrona dell'Arte, e 24 lire da ogni Tornidòr per la Festa Patronale della Vergine della Purificazione di febbraio ... Gli accordi erano accordi … e i Preti erano abili con i numeri e con i conti in mano ... Cattiveria ? … No: concreti dati Storici.

 


Sapete infine come terminò la storia quel giorno in Piàssa ?

Col Doge Renier che s’attivò spontaneamente prendendo l’iniziativa andando oltre ogni protocollo formale. Fece due passi avanti, prese a braccetto il Piovanodi San Ziminiàn come fossero stati vecchi amici, e tralasciando il fascio delle carte col discorso che teneva in mano, si avviarono amabilmente insieme verso la chiesa per continuare la festosa cerimonia del tradizionale incontro ... Tutto come nella migliore della fiabe andò per il meglio: si cantò Messa Solenne con i Musici e i Cantori della Real Cappella Ducale, e terminata la cerimonia il Capitolo di San Marco e tutti i presenti si misero in Processione fino alla Basilica Ducale accompagnando il Serenissimo, che rinnovò il suo “Benevolo Patrocinio” sulla chiesa San Ziminiàn, e splendette “come uomo di buon animo” una volta di più dentro al suo abito dorato ... Quando si dice del “savoir faire” Dogale.

“Abbattiamola ! … Facciamone lo scalone d’ingresso di Palazzo Reale (che solo una volta utilizzò il francesòtto)… e che si fottano pure San Giminiàn col suo Piovàn !” dissero napoleonetto con i suoi fidi, e i nuovi amici Veneziani lecchini amanti della “nuova era”.

E così fu … San Ziminiàn venne chiusa definitivamente il 19 maggio 1807, dopo che già nel 1797 i francesi l’avevano acquartierata di soldati trasformandola in latrina ... La chiesa venne quindi demolita, e tutto quanto conteneva fu venduto, depredato e disperso. Un altare trasportato al Palazzo Patriarcale, l’Altar Maggiore smantellato e ricostruito nella Sacrestia di San Giorgio Maggiore al di là del Bacino di San Marco, le preziose pitture rimosse e depositate nell’ex Priorato dell’Ordine di Malta, dove misteriosamente ne scomparve qualcuna, l’organo disfatto e perso, mentre le portelle del Veronese: viaggiarono, e dopo un lungo giro finirono col comparire nella Galleria Estense di Modena.

I 1200 parrocchiani dell’ex Contrada di San Gimignàn vennero aggregati alla vicina chiesa di San Moisè, i sei Preti della Collegiata spediti nella vicina chiesupola di San Gallo, e il Piovan di San Ziminiàn Don Antonio De Paoli venne sfrattato di casa, messo per strada, e spedito poi “in Campagna”: nella Parrocchia del Gombardo nel Trevigiano. La ventina di Chiericiche ronzava come api sul miele ogni giorno intorno alla chiesa di San Ziminiàn per accalappiarsi il denaro delle“Messe da dire”: venne dispersa e invitata ad andarsene altrove ... Le case proprietà e rendita di San Gimignano furono: occupate dall’Intendenza dei beni della Corona per comodo del Palazzo Reale.”

Il 15 novembre 1814: il passaggio fra le Procuratie Vecchie e Nuove “era libero e aperto”, e si potè così costruire il nuovo scalone del Palazzo Regio… San Ziminiàn non c’era più.

 

Al Ponte della Saponella di Cannaregio

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#unacuriositàvenezianapervolta 305

Al Ponte della Saponella di Cannaregio

Alla fine delle indagini i Capi Contrada riferirono che mercoledì 03 febbraio di sera, all'una di notte precisamente, venne ucciso sul Ponte della Saponella in fondo a Cannaregio, nei pressi di San Giobbe: Giacomo Gabotti con due coltellate inferte alla gola. L’omicida era Giovan Battista Teggia, che venne quindi condannato al Bando dalla Quarantia Criminal il 21 maggio 1787.

La causa di quel truculento evento ?

Teggia stava semplicemente espletando i suoi bisogni, facendo pipì in Fondamenta, per cui Gabotti si sentì in obbligo di scagliargli contro il cane. Ne derivò una colorita discussione, alla fine della quale i due passarono dalle parole ai fatti, e cioè a tirar fuori i coltelli ... gente tranquilla qualsiasi di periferia.

Cambiando argomento … Dieci anni dopo in settembre, venne emesso un Decreto della Serenissima: “Nel termine di mesi otto: baccaladi, pesci fumati, salati, cotti e marinati, sbudellami, salamoie e formaggi siano trasportati alla Giudecca o nelle situazioni estreme della città, cioè a San Job, sulle Fondamente Nove, San Francesco della Vigna, Sant’Andrea e Santa Marta. Affittanze de’ magazzini e case destinate per detti generi, prima di sottoscriversi siano rassegnate al Tribunale onde ottenere la licenza gratis. Effetti di chi non avrà effettuato il trasporto nel periodo suddetto siano fiscati e dispensati alli poveri delle rispettive Contrade, essendo sani ... Muri de’ magazzini siano intonacati e seliciati di pietra, abbiano ruota ventilatoria di lata nelle finestre e nel più interno siano costruiti scolatoi e condotti che tramandino in soteranee cloache le vecchie salamoie ed altre separazioni. I Venditori dal 1 novembre a tutto aprile non possano tenere nelle loro botteghe maggior quantità dell’occorrente per un mese, e dal 1 maggio a tutto ottobre per una settimana. Annualmente siano da periti del Tribunale visitati li magazini prima dell’estate per la separazione del sano dal corrotto … Soggetti alla pena di ducati 100 grossi ed altre li trasgressori, siano accettate denuncie e premiati denuncianti con la metà della pena suddetta, l’altra metà alla Fraterna de Poveri della Contrada …”

Stessa zona un pugno di anni dopo … Costituzione delle Fabbriche Unite per produrre canna di vetro e smalti con quattro tubi di rotondamento e 15 operai. Le Fabbriche avevano in uso 3 forni fusori, 2 forni di calcinazione, e 1 forno di costruzione solita con 4 persone per vaso, che lavoravano per massimo: 44 settimane annue.

Robe del lavoro e da Contrada periferica Veneziana …

 

Note scappate dal Tempo dal Sestiere di Castello: fra 1581 e fine 1800.

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#unacuriositàvenezianapervolta 306

Note scappate dal Tempo dal Sestiere di Castello: fra 1581 e fine 1800.

Nell’estate 1581 alla Visita Apostolica di controllo mandata dal Papa di Roma a visitare Venezia, si contarono ben 595 Preti residenti nella Città Serenissima. Di questi: 132 risiedevano nel Sestiere di Castello dove sorgeva la Contrada-Quartiere del Vescovointorno a San Pietro di Castello detto anche Olivolo.

Le Monache Veneziane, invece, risultarono 2.408 in tutto … Per due terzi erano Nobili, delle quali 797 risiedevano a Castello.

Quando il 31 luglio si convocò Marino Querini Priore di San Bartolomeo di Castello, cioè dell’Ospizio di San Domenico delle Putte sito sul Rio de San Domenego (oggi Via Garibaldi dopo l’interramento del 1800), costui si presentò pomposissimo e fiero del suo ruolo, soprattutto del fatto che s’era sparsa voce che nel suo Ospizio stava la Priora Cassandra Fedele. Era la vedova di Zuan Maria Mapello: una donna dalla tempra formidabile, Dottore in Medicina divenuta celebre per aver letto nello Studio di Padova, disputato in Teologia con i migliori studiosi dell’epoca, capace di cantare versi in Latino improvvisandoli, e di comporre opere celebrate da molti letterati … Un fenomeno insomma, che precorreva i tempi.

Lo stesso Querini negò subito d’essere il Priore dell’Ospissio delle Putte quando gli si volle accollare le spese per il restauro del vicino Oratorio ormai cadente ... Già gli toccava spendere ogni anno 18 ducati per la Festa, le cere, l’olivo, le candele della Madonna, e per l’olio del Santissimo … E che doveva forse dissanguarsi per quell’Ospedaletto di Contrada, che era tutta una lagna e una spesa senza alcun guadagno ?

L’Ospizio era stato voluto nel 1296 per testamento da un suo antenato: Bartolammeo Querini Vescovo di Castello già Piovano di San Martin e di Santa Maria Formosa, che aveva ordinato d’erigere: “uno spedale per dodici-sedici infermi della Contrada.” ... Realizzata immediatamente l’opera benemerita, cinque anni dopo vi si edificò accanto anche un Oratorio dedicato a San Bartolomeo a perpetua memoria di quel munifico Benefattore. L'Ospedaletto rimasto per secoli Juspatronato dei Querini venne dotato di rendita propria derivante da terreni nel Trevigiano, denaro che doveva servire per mantenere un Rettor-Prior, un Chierico, alcuni servitori addetti alla gestione dell'Ospizio e degli ospiti, nonché per acquistare biancheria da letto e oggetti da cucina.

Tommaso Querini da Santa Scolasticain seguito aveva donato a Filippo Priore dell’Ospedale altri beni siti in Papozze nel distretto di Ferrara, e perfino il Doge Marino Zorzi a più riprese: nel 1312 e 1317, volle contribuire generosamente perché delle DonzelleVeneziane venissero educate e preservate in quella “nobile casa”.

Meno di una decina d’anni dopo, la Camera del Frumento di Venezia fu incaricata di dar corso alle disposizioni testamentarie di Galvano Querini assegnando ulteriori rendite al patrimonio dell’Ospedaletto costituendo con le rimanenze una dote depositata in Zecca al 5% per sua figlia Agnese.

Conclusione: visto che quel luogo cadente era poco adatto a ospitare la vita quasi conventuale di quelle giovani Donzelle, si decise di demolire tutto, Oratorio compreso, e s’individuò un nuovo spazio dove costruire un nuovo ampio Convento e una nuova chiesa, che terminata nel 1619, venne dedicata a San Bortolomio oltre che a San Francesco da Paula per via dei Frati Minimi: i Paolotti, che andarono ad abitarvi ... Le Donzelle ? Rimasero dov’erano.

Chi avrebbe contribuito fin dall’inizio a tutta quell’opera ? … Il ricco ma avido Priore Querini ovviamente, che non potè nascondersi né tirarsi indietro.

Il 16 dicembre 1653, invece, venne trovato morto al Ponte di Castello: Lanzonio Marco esoso Daziere alla Motta. Sul corpo si contarono decine di ferite da armi da taglio ... S’individuarono anche gli assassini: Giovanni Panzino e Nicolò Dal Moro che non volevano restituirgli un debito che avevano con lui da diverso tempo.

In quegli stessi anni subito dopo la grande Peste della Madonna della Salute, a Castello c’era stato un gran incremento di Botteghe e Magazèni: quasi 1.000 … Zorzi di Zuane Fabris faceva il Calegher come Bastianina figlia di Zuane, e come Zuan Battista Centuroni nella bottega “all’Insegna del San Francesco”Zuanne figlio di Donà Pastor faceva, invece, il Murèr come Zulian Maifron di Zulian. Bernardin Bettani di Antonio faceva il Bombasèr, Domenico Toderini di Todero il Marangon dell’Arsenal come Zuan Maria dal Caro di Zuane, come Nocente, Mattio Francesco, Zuane de Gasparo Bernabò, Zuane de Antonio, Domenico de Francesco, Piero de Zorzi e Zorzi de Piero e molti altri … Nella Contrada del Vescovo vivevano anche Cecilia vedova di Vicenzo Vici, che era stato Proto dei Marangoni dell’Arsenal, e Chiara de Bernardo di Pretti vedova di Andrea Toresan che era stato ortolano. C’erano anche: Andrea Marangoni che faceva il Camerier, e Domenico Querengo che era Frutariol come Mattio Cadena e Steffano Rondi di Steffano, mentre Francesco Branchon faceva l’ortolano al Lido, e Zuanne dal Carro il Mercante di legname.

Nelle pistorie del Sestiere di Castello si consumavano 5.964 staia di farina l’anno.

 

Pietro Gradenigo scriveva e ricordava nei suoi Notatori in data 28 febbraio 1773: “Registro annuale delli nati e morti in Venezia dal primo marzo 1773 sino al primo marzo 1774 … Nati nel Sestiere di Castello:1452 / Morti:1695 … Di San Marco: 506 / Morti: 668 … Di Canalregio: 1.070 / Morti: 1148 ... Di San Polo: 287 / Morti: 304 ... Di Santa Croxe: 506 / Morti: 611 ... Di Dorsoduro: 916 / Morti: 1261 ... Li morti sono più delli nati: 950 ... Tutti i vivi: 4737 ... Tutti i Morti: 5.687.”

 

Fra 1812 e 1850 nel Sestiere di Castello esistevano almeno venti Lupanari, cioè Bordelli o Luoghi di Prostituzione. Erano però tutti conosciuti, autorizzati e controllati, e da ciascuno si riscuotevano puntualmente le tasse. Si trovavano per lo più concentrati nelle zone delle Caserme di San Pietro, a San Giovanni in Bragora e a Santa Maria Formosa-San Liogiungendo fin quasi a ridosso di Rialto.

C’era a disposizione di tutti l’elenco preciso di quelle “lavoratrici”distribuite secondo lo stradario del Sestiere di Castello. Operavano in Calle Bressana in Barbaria delle Tole; in Calle Caffettier; Calle Carrera a San Pietro dove risiedeva ed era attiva Perri Angelatrovata sana alla visita medica ispettiva obbligata. C’erano in Calle Corazzieri alla Bragora e in Calle degli Albanesi a San Zaccariadove si trovarono sane e residenti in due case distinte: Ballarin Maria, Nicoletti Maria, De Rosa Teresa e Bernardi Maria e Lazzarini Maddalena.

Altre donne “da lavoro” erano presenti in Calle dei Mercanti in Ruga Giuffa; in Calle dei Preti; Calle del Figher a San Giovanni Novo; Calle del Forno; Calle del Magazen; e in Calle del Piombo a Santa Marina dove si trovarono sane: Ferrara Isabella, Bin Elisabetta e Bifedri Maria. Altre abitavano e agivano in Calle del Prè Maurizio; Calle del Volto e Calle della Fava dove si trovò infetta Casagrande Imperia o Angela spedita all’Ospedale, mentre risultò sana Pin Antonia.

E ancora: in Calle della Pegola a San Martin presso Marietta Raguzzera nei pressi dell’Arsenale, trovava ospitalità e “lavoro”Teresa Marchi da Biadene per 12 giorni facendo la meretrice clandestina.  Nella stessa Contrada si trovò sana: Bergamaschi Rosa… Altre erano disponibili in Calle della Pietà; Calle delle Ancore, Campo Nicoli e a San Pietro dove si trovarono sane: Boldraglio Giovanna, Crapetta Angela, Dalla Pietà Elisabetta e Picciolato Antonia… Altre ancora in Calle delle Bande a San Lio; Calle delle Donne; Calle Gritti; Calle Locatella; Calle Pescaria; Calle Querini; Calle Quintavalle; Calle Tasca e Calle Sant’Anna dove si trovarono sane: Sapetto Caterina e Donzelli Anna… In Cassellaria a Santa Maria Formosa si trovarono sane: Tolomi Gasparo Elena e Majer Rosa… mentre altre stavano in Corte Bassa; Corte Bassano; Corte del Paradiso; Corte Malatina; Corte Nani e Corte Nuova… In Contrada di Sant’Antoninsi trovò sana: Benfatto Maria; in zona dei Santi Giovanni e Paolo: Marcon Catterina e Matiuzzi Gabriella erano “pulite e sane”… Nel febbraio 1851: Caterina Soranzo vedova Sassetto di anni 24, Veneziana, venne soggetta a visita pubblica dopo due ricoveri per Male Sifilitico. Se non dimostrava di sapersi mantenere, sarebbe stata iscritta nella lista delle Pubbliche Meretrici in quanto teneva “scandalosa tresca” con Domenico Marella già Guardia di Finanza ora senza occupazione.

Lavori diversi, invece, sorsero nello stesso Sestiere di Castello fra 1800 e 1900 … C’era la Tipografia Gatto a San Lio attiva dal 1942 con 60addetti. In Campo San Lorenzo al posto del Convento delle ricchissime Benedettine era sorto nel 1827 la Casa dell’Industria come luogo di lavoro per poveri, vagabondi e disoccupati, che produceva su 65 telai: Tela di canape e stuoje di brulla, alicanto e pavera impiegando 14 uomini, 40 donne e 11 fanciulli pagati in base alla quantità e qualità del prodotto. Venne più volte ampliata e ristrutturata fino alla soppressione del 1874. Ancora oggi al suo posto sussiste “San Lorenzo dei Vecj”

Sempre lì in Calle Larga San Lorenzo c’era un Fabbro, un Laboratorio da Tornitore, e la Tipografia Gasparoni attività nel 1933 occupando 20 addetti … Un laboratorio di marmi sorgeva a Santa Maria del Pianto sulle Fondamente Nove, mentre a Santa Giustina funzionava l’Officina Meccanica e Fonderia Vianello-Moro-Sartori & C in 3 capannoni affacciati sulla Laguna già adibiti a deposito di legnami nel 1846. Ancora nel 1887dava lavoro a 85 uomini. Nel 1920-23 tutti gli spazi vennero trasformati in Fabbrica di ghiaccio, poi in Falegnameria e Deposito di birra, mentre ora sono usati da Associazioni Sportive.

In Fondamenta dell’Osmarin sorgeva una Fabbrica di apparecchi a gas, tubi di piombo, pompe e macchine idrauliche di Beaufre & Figli & Faido con 8 torni semolici e 1 macchina da tranciare. Occupava nel 1870: 10 uomini e 8 fanciulli, che nel 1887 divennero 32 e 6.La Ditta venne premiata nel 1853 con la medaglia di rame, e si lavorava tutto l’anno per 11 ore al giorno.

Officine del Gas funzionavano a San Francesco della Vigna: la prima costruita nel 1841 con 2 gasometri alti 7 metri. Nel 1870 occupava 93 operai che utilizzavano 1 macchina a vapore e 4 gazometri, mentre nel 1887 ne occupava solo 45 per via delle nuove modernità indotte dal progresso che ridussero la manodopera … Poco distante, sempre a San Francesco della Vigna sorgeva un Laboratorio di Falegnameria nato nel 1922 come Deposito Edile ... C’era un’Officina Meccanica in Campo della Bragora, e una Tipografia Pietrobon in Calle del Caffettier attiva dal 1910-1913 con 13 addetti … Un Deposito di bevandesorse in Rio della Celestia forse utilizzato ancora oggi.

I Forni del Pan Biscotto costruiti nel 1473 accanto a quella che è stata la Cà di Dio sono vennero trasformati in Caserma della Marina, mentre quelli di San Biagio ricostruiti nel 1821 dopo un incendio, sono diventati sede del Museo Navale.

I Cantieri Navali S.V.A.N. e LAYET sulla Riva dei Sette Martiri attivi dal 1828, vennero dismessi nel 1940 per completare la nuova riva.

C’era uno Stabilimento Meccanico con Fonderia Layet in Campazzo delle Erbe, che nel 1887 occupava 46 maschi e 15 fanciulli. Il pianoterra è diventato in seguito Deposito Edile e Laboratorio di Fabbro prima d’essere adibito ad abitazioni.

Il Cantiere Navale in Rio terrà San Giuseppe era Laboratorio di Cordaggi nel 1846 ... In Fondamenta San Giuseppe nel 1846 venne costruito il Cantiere Navale Ghia… Zona di Cantieri Navali era l’estrema punta del Sestiere di Castello verso San Pietro: dove c’era un Cantiere nel Canale di San Pietro realizzato nel 1846, un altro Motonauticoche dava lavoro a 5addetti; il Cantiere Papetterisalente al 1846; e il Cantiere A.C.N.I.L-A.C.T.V. costruito nel 1942 che occupava 400 addetti.

L’Arsenale Caxa di tutti i Veneziani costruito fra 1100 e 1800 comprendeva ben 24 cantieri con 3 bacini. Ancora nel 1887 occupava: 3.851 uomini ... A Sant’Elena, invece, sorgeva l’Officina Meccanica e Cantiere Navale S.V.I.C.P.costruito nel 1887 accanto alla chiesa, poi abbattuto a inizio 1900 per realizzare edilizia popolare. Occupava: 850 maschi e 30 fanciulli, mentre il Cantiere di Vaporetti Veneziani Finella occupava 100 uomini, la Società di Navigazione Lagunare con cantiere e squero dava lavoro ad altre 68 persone; Grapputoa 3 maschi e 8 fanciulli; e Galli e Merlo: Società di Fonditori di caratteri e tipografia occupavano rispettivamente 24 maschi e 1 fanciullo e 11 maschi e 1 fanciullo negli stessi anni.

Tutto questo è accaduto e ormai consumato a Castello … come scappato via, e ingoiato dal Tempo. Ormai non esiste più.

Era Venezia che pulsava: fra 1581 e fine 1800.


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#unacuriositàvenezianapervolta 307

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L’altra notte stavo sbirciando e leggendo ancora intorno alle Origini di Venezia: su quelle prime vicende e istituzioni accadute in Laguna quasi a cavallo fra Storia e Leggenda … Le radici della Serenissima, le prime tracce per intenderci. E così ho posato lo sguardo sulla lista dei primi Vescovi Veneziani, quelli di Olivolo Castellani, prima che ci fossero i Patriarchi di Venezia.

Direte: “Sempre di Preti, Chiesa e dintorni vai a sbirciare!”

Che volete farci ? Se non vado a vedere io certe robe, che sono un ex ? … Chi volete che le vada a cercare ?

Scherzo …   Di alcuni antichi personaggi Veneziani iniziali si sa poco, quasi niente. A volte rimangono avvolti nella “notte ei Tempi”: si trova soltanto qualche nome, la titolarità, o la data di morte o elezione ... Altre volte, invece, si trova qualche brandello di notizia curiosa che ti tiene là. Sembrano lampi, perle buttate in pasto a tutti, vere e proprie memorie che ci catturano … mentre la nostra Storia continua a ruotare svelta, quasi a scappare via, ingoiata dalla voracità del Tempo, a prescindere da noi, e da chiunque cosa sia accaduta, e da qualsiasi persona sia passata.

Sentite un po'!

Nel 802, cioè ben due secoli prima del famoso anno 1000, in Laguna c’era Cristoforo I Damiata che fungeva da Vescovo dei Veneziani … uno fra i primi sicuramente. E fin qua ? mi direte.

Era un Greco però, e quel che è curioso: aveva appena dodici o sedici anni … Un ragazzino Vescovo di Venezia ?

Già … Proprio così, perché allora certi titoli uno se li comprava, o glieli regalava il Re o l’Imperatore di turno … La Religione era solo un pretesto, ieri come oggi, per gonfiarsi il portafogli e accedere al potere ... Pensate: il ragazzino, diventato Vescovo della neonata Venezia, se ne andò in giro: via, lontano dalla Laguna, assentandosi per almeno due anni consecutivi … Andò in Francia, e sembra: presso Fortunato Patriarca di Grado.

E Veneziani ? … Era loro Vescovo e Pastore no ? … Che si arrangiassero ! Bastava che pagassero i tributi, le loro Devozioni, e le tasse Mortuarie ... Si sarebbe arrangiato qualche Monaco o Prete a gestirli in qualche maniera. Che gli interessava al ragazzino ? Aveva di certo altro per la testa.

Infatti, tornato il Laguna, venne subito esonerato dai Veneziani, che lo imbarcarono e spedirono al mittente: a Costantinopoli.

Che se lo tenesse pure l’Imperatore !

Stessa fine fece due anni dopo anche Giovanni Diacono: il sostituto, per il quale stavolta i Veneziani pazientarono solo un anno.

Bum ! Spedito pure lui … e arrivederci: avanti il prossimo Vescovo !

Finita la storia ?

Macchè … Nel 807 fu il turno di Cristoforo II, Greco pure lui, soprannominato Tancredi. Altro ragazzino ? … No. Stavolta si trattava di un super raccomandato di Bisanzio, perché era il fratello di Narsete Generalissimo Imperiale.

Immaginatevelo … Sbarcò in Laguna, e dopo aver fatto davvero per poco il Piovano di San Moisè, venne fatto subito Vescovo Olivolese, cioè di tutta Venezia.

I Veneziani contenti ?

In capo a qualche anno sistemarono anche lui ... Raccontano i Cronisti, che un giorno nel 813, mentre stava celebrando un’interminabile Messa nell’antica chiesa di San Teodoro attaccata a quella nuova appena realizzata di San Marco, venne colto improvvisamente da una crisi epilettica. I Veneziani non persero l’occasione:“Ma che abbiamo ?”esclamarono: “Un Vescovo agitato, invasato, posseduto dal Demonio ?”… e così cacciarono anche lui in fretta e furia ... Anche se lo richiamarono qualche anno dopo, forse pentiti ... Che colpa ne aveva quell’uomo se era un Vescovo Neurologico ?  Gli fu data allora una seconda occasione … Curiosi quei Veneziani iniziali.

Vado avanti ?

Dopo qualche altro Vescovo di Castello “decente”, perché era tutto un cambiare continuo di gente che di Vescovo spesso aveva proprio poco o niente, nel 880 arrivò a Venezia: Lorenzo Timensdeum, un Monaco Benedettino giunto in Laguna forse da Torino ... E fin qua ? Poco contava la provenienza … Bastava “che sapesse il fatto suo”… Solo che quel Vescovo-Monacoera maniaco del soldo, spremeva denaro da ogni parte più che poteva … ad ogni costo.

Risultato ? … I Veneziani se ne stancarono e si spazientirono, e andando un po’ per le spicce, e senza tanti preamboli e discorsi, come si usava allora: lo ammazzarono.

Morto ?

Si … Voleva troppe Decime, troppe Tasse da pagare a Preti e Chiesa ... Che erano i Veneziani ? Forse una spugna da spremere ?

Ma anche no … Chi era stato ? Il Popolo dei Veneziani ? … No: gli stessi Frati, Monaci, Preti e Monache … Un po’ per ciascuno non fa male a nessuno. Il Vescovo era troppo avido: voleva tutto per se ... Anche no.

Nel 914 venne eletto controvoglia Vescovo di Venezia: Domenico David di Pietro, che aveva moglie e figli ... Niente ragazzino stavolta. Sembrava una brava persona, che aveva deciso di vivere in perfetta Castità mettendo da parte uomini e donne ... e anche i soldi.

Mmm … Possibile ? … C’era da fidarsi ?

Infatti: no … Dopo un po’ i Veneziani lo indussero a far fagotto, a rinunciare all'Episcopato di Castello-Venezia, e a imbarcarsi portandosi “spontaneamente” a Gerusalemme, dove andò a vivere e morire come Eremita Veneziano “in trasferta” ... Lodevole come intenzione! Bastava che rimanesse lontano dal procurare guai in Laguna.

Salto un po’ nel tempo per non annoiarvi troppo … Vado al 1025: quando di nuovo la sede Vescovile Veneziana era libera e vacante. Era appena morto il Vescovo Olivolense-Castellano carico di anni, che era durato parecchio. Buon segno ?

Venne allora eletto Domenico Gradenigo: di nuovo un diciottenne: “Che cosa ?” sbottò il Doge: “Un diciottenne ? Ma siamo matti ?” e si rifiutò di confermarne l’investitura ... Dovettero costringerlo a forza.

1120: toccò a Bonifacio Falier di “far da Vescovo de Viniziani” …  “Un Santuomo”, si diceva in giro. Un altro Eremita seguace della Regola di Sant’Agostino ... Bravo, bravissimo, ma dopo undici anni il Popolo intero dei Veneziani insorse e tagliò la gola anche a lui: “Ecco fatto !” si disse in Città: “Adesso la Porta del Paradiso è stata finalmente riaperta.”

E questo vi dice tutto circa l’identità di quell’ennesimo Vescovo.

E giungo quindi a Giovanni Barozzi o Barocci, e qui mi fermo.

Con lui erano trascorsi alcuni secoli di “normalità”: si era nel 1465-1466. Morto il Patriarca di Venezia Giorgio Correr nel novembre precedente, Barozzi divenne Patriarca di Venezia con annessi e benefici connessi, in verità sgomitando fra gli altri Nobiliper sopravalersi e prendersi il posto. Passò davanti perfino a Marco Bembo candidato scelto dal Senato Veneziano, che era di suo una buona scelta perché era Cardinale, ma soprattutto nipote di Papa Paolo II ... Non guastava per Venezia.

Barozzi si racconta, andò a dirgli qualche parolina all’orecchio del Bembo facendo riferimento a certe evidenze di qualche fatto. Il Bembo allora declinò dall’accettare la nomina a Vescovo di Venezia ... Spontaneamente … ovvio.

Prometteva comunque bene l’uomo Barozzi… Figlio di Alvise, cioè di Ludovico e Polissena Moro. Apparteneva a un Clan Famigliare Veneziano Nobilissimo: uno fra i Longhi, di Casa Vecchia o Tribunizia, di costituzione Apostolica”… Un grande nome insomma.

C’erano a Venezia ben tre Rami indipendenti dei Nobili Barozzi, che nel 1414-43 risultavano iscritti alla Balla d’Oro con 5 Padri e 8 Figli … le figlie dei Barozzi, invece, andavano a farsi Monache nel Santa Caterina di Mazzorbo, che era una specie di Monastero di famiglia.  E poi, fatalità e pura coincidenza: Papa Eugenio IV era zio della Famiglia ... Se la passavano bene insomma.

L’esperienza non mancava a Giovanni Barozzi: era già stato Vescovo a Bergamo dopo essere stato ben preparato e istruito a Roma dallo zio ... Allontanato “come Cuculo dal nido” di Bergamo il suo predecessore Polidoro Foscari vociato di nefandezze e incauta condotta, Barozzi ne prese il posto, e in quattro e quattrotto diede inizio alla ricostruzione della Basilica di Sant'Alessandro commissionandola al Fiorentino Pietro Averlino detto il Filarete… Fece anche altro a Bergamo: compattò Ospizi e Ospedaletti unificandoli in un nuovo più capiente e moderno Ospedale di San Marco, riordinò qualche Monastero di Monache, ma soprattutto gestì con fermezza insieme alla Famiglia le numerose risorse del territorio della Bergamasca ... Gli affari erano affari.

Quando se ne andò da Bergamo a Venezia, il cantiere della Basilica di Bergamo rimase fermo per trent’anni: Barozzi, si disse, s’era portato via anche la spazzatura. Dovette provare il Papa nel 1493 a inventarsi Indulgenze Plenarie utili per la Salvezza post Mortem, da concedere a chiunque avesse contribuito alla continuazione della Fabbrica. Ma sfortunatamente nella Piazza di Bergamo prese fuoco anche il vicino Palazzo della Ragione, per cui il futuro chiesone: “rimase a giacere incolto e deserto, non essendo compiuto il ristoramento di quelle che erano diventate le sue rovine”.

Tornando a Barozzi e a Venezia … Giovanni Barozzi si avviò alla grande fin dall’inizio come Patriarca di tutti i Veneziani: cerimonie pomposissime, arredi preziosi, vesti sfarzose, beneficenza (giusto un poco per non sfigurare, senza esagerare). Con la sua presenza s’erano un po’ sanati i rapporti tesi fra Venezia e la Roma del Papa. Quando nel 1464 a Papa Pio II venne in mente di condurre una nuova Crociata contro i Turchi, il Barozzi entusiasta si offrì subito di partecipare alla Santa Spedizione Marittima con una trireme appositamente equipaggiata in Ancona da suo zio: il Cardinale Barbo.

Ovvio: e che pagava lui ? Su mandato del Papa, infatti, Barozzi chiese alla Serenissima d’imporre nuove Decime al Clero e ai Veneziani, così che il ricavato potesse essere usato per sostenere le spese di guerra contro i Turchi.

Figuratevi Doge, Senato, Nobili e Clero Veneziano !

Al Doge gli si storse il cappello in testa, e i dissapori fra Papa e Venezia ripresero e continuarono a lungo ... Barozzi si giocò così la possibilità di diventare Cardinale ... Che disdetta !

Alla fine il Patriarca Barozzi, troppo avido ed esoso forse, incappò in ben due errori madornali fatti in Laguna. Determinò l’annessione al Patriarcato di Venezia dell’antico Vescovado di Jesolo-Equilioincamerandone in un colpo solo ogni beneficio e rendita ... Felici gli Jesolani ! Tutti quelli che avevano proprietà e affari in zona di certo non apprezzarono quel “patriarcale gesto”. Barozzi si fece di sicuro numerosi nemici.

Poi gli si accese in testa una seconda idea balzana: trasferire il PatriarcatoVeneziano “armi e bagagli e con tutti i Canonici” da San Pietro di Castello ai Santi Giovanni e Paolo ... Non volle sentire scuse e aspettare: tutto era la lui deciso, disse: che si doveva far tutto entro Pasqua di quello stesso anno … Già … Il Mercoledì Santo prima di Pasqua Barozzi fu preso da morte improvvisa.

Attacco apoplettico ? … Si … ma era veleno.

Non se ne fece quindi niente del trasferimento della Sede Patriarcale. E il motivo c’era … In fondo al Sestiere di Castello, a San Pietro d’Olivolo e Quintavalle c’erano troppi ben avviati e radicati interessi da rimuovere. A Castello col suo “Campanil del Contrabbando” si gestivano grossi traffici in entrata e uscita dalla Laguna e dal Porto di Venezia. Si metteva lo zampino sulle Entrate e Uscite dei Commerci dei Veneziani … Un po’ di cresta e maneggi insomma. C’erano quelli di Castello che salivano armati sul Campanile della chiesa che usavano come torre di guardia per segnalare arrivi e partenze delle navi in Laguna. Quando arrivavano: quelli di Castello andavano ad avvicinarle prima ancora che entrassero in Porto … e quando uscivano, andavano più di qualche volta ad aggiungervi qualcosa … Affari insomma: sempre affari … e Venezia era maestra in quel genere di cose.

Che ci avessero lo zampino i Canonici di San Pietro su tutti quei sommovimenti ? … Mah ? Chissà … Non poco in realtà: facevano splendidi guadagni ... e Barozzi intendeva mettere fine a quel “giochetto”.

Poi i Nobili Barozzi presero storicamente una brutta piega andando incontro a un ineludibile declino.

A inizio estate 1497, a Cà Barozzi in Contrada di San Moisè poco distante da Piazza San Marco, alloggiò un Ambasciatore Turco con un seguito di dodici Greci. Nel gennaio seguente vi alloggiò in incognito anche il Signore di Correggio cognato di Benedetto Barozzi, venuto più volte a Venezia per diletto (anche nel 1500 e 1503)… Si diceva a Venezia: “Va bene gli affari, ma i Turchi sono i Turchi: i temibilissimi Ottomani Infedeli … Un po’ di contegno e distanza: no ? … Barozzi gente sospetta ... Non erano forse quelli dell’antica Congiura contro la Serenissima insieme a Bajamonte Tiepolo e i Querini ? … Che ci si poteva aspettare da loro ?”

I Veneziani avevano la memoria lunga: non dimenticavano certe cose.

Nel 1509-1514 poi, a causa delle perdite dovute all’assedio di Padova, i tre fratelli Barozzi ricavarono al posto dei soliti 118 ducati di rendita annui, solo 20 ducati … una miseria: “da finir col far i pidocchi”.

E poi ancora, i Barozzi balzarono di nuovo all’onore delle cronache e sulla bocca di tutti. Accadde più avanti: nell’ottobre 1587, quando fece molto a scalpore a Venezia la sentenza emessa dal Tribunale del Santo Uffizio proprio contro il PatrizioFrancesco Barozzi(Candia,1537-Venezia,1604). Era un Veneziano Nobile, un personaggio davvero di pregio: un Matematico scientista, membro anche dell’Accademia Padovana dei Potenti. Al pari e più di altri suoi compari, si diceva capace di unire Astrologia, Magia e Negromanzia: brutto affare agli orecchi dell’Inquisizione Veneziana.

Al processo infatti, ammise d’essere un personaggio strampalato. Disse che gli riusciva dentro a certi circoli protettivi dipinti con un coltello intinto nel sangue d'un ammazzato, di far comparire qualunque Spirito dell'altro Mondo, insieme a Draghi, Furie e Demoni aiutato da una bella fanciulla, meglio se era ancora Vergine ... Le belle donne andavano sempre bene, aggiunse, non solo perché sapevano predire il Futuro, ma anche perché sapevano dare compagnia sessuale: “apparendoti più volte nuda per andar in letto volendola tu abbraciare, e toccare, non trovavi corpo, ma solo vento.”Secondo l’Inquisizione nei suoi discorsi era molto labile il confine fra Desiderio, Alchimia, Magia e Fisicità Naturale perversa

Barozziaggiunse poi a suo discapito, che era Mastro in Stregoneria: sapeva diventare invisibile, conosceva il modo per avere sempre le tasche piene di soldi … che si recava spesso a Candia per agire più liberamente, e che lì aveva trovato l’Erba Felicia, che riuscivaa trasformare un Asino nel maggior sapiente del mondo.

Gli Inquisitori non poco perplessi, l’avevano fatto catturare, sottoporre a processo, e l’aveva addolcito con un paio di buoni tratti di corda perchè confessasse tutto ma proprio tutto. Infine lo condannarono a carcere perpetuo“Per Strigaria, Negromanzia, Arte Magica, Seduzione, Eresia e Apostasia ostinata della Fede.”

Dalle indagini dei Birri dell’Inquisizione era emerso che Barozzi“aveva benedetto un coltello col quale poi era stato ucciso un uomo, che ammaestrava nelle perverse Arti Magiche anche i propri figliuoli et genero, et anco il suo unico discepolo e compare tanto diletto et confidente: il magnifico Missier Daniel Malipiero.”

Una delle cose più curiose che Barozzi aveva combinato a Candiadurante una grave siccità, era stata quella di aver invocato Spiriti, apparsi secondo lui nelle sembianze di due vecchi, che avrebbero fatto piovere in tutto il Regno per tre giorni e per tre notti consecutive. Era stato un disastro: la pioggia arrivò accompagnata da una devastante bufera, che distrusse anche un mulino appartenente allo stesso Barozzi … perdette più di mille scudi in quell’occasione.

Infine, durante le perquisizioni a casa e nello studio di Barozzi, s’erano trovati numerosi Libri Proibiti di Magia e Negromanzia: libri empi, superstiziosi e pestiferi”, che erano stati puntualmente bruciati.

Persa l’abituale e ostentata sicurezza, e la spavalderia che solitamente lo accompagnavano, Barozzi ammise tutto: purché gli si lasciasse salva la vita, e non confiscati i beni”  Sei giorni dopo se ne andò in prigione, da dove però uscì ben presto in realtà tornandosene a casa sua già a dicembre ... Rimaneva un Nobile in fondo: categoria quasi intoccabile da salvaguardare a Venezia.

Alla presenza anche del Nunzio Apostolico Papale Cesare Costa, venne ammonito e condannato a risarcire anche 100 ducati alle chiese di Candia per riacquistare di nuovo due croci d’argento che aveva sottratto per fare i suoi esperimenti di Magia … Infine gli vennero imposte ulteriori penitenze da osservare: preghiere, digiuni, e Confessione e Comunione almeno quattro volte all’anno con le relative elemosine da versare a Preti e Chiesa.

Con quel Barozzi iniziò un progressivo declino del Nobile Casato, che comunque ancora nel 1593, con Lorenzo, seppe trasformare i 300 campi che possedeva a Resana di Treviso lungo il Marsenego. Da paludosi e infruttuosi che erano: semplici arativi piantati a vigne, con l’acuzia e intraprendenza imprenditoriale dei Barozzi vennero trasformati in ampia e redditizia risaia, che i Barozzi seppero condurre fruttuosamente per secoli fin quando la passarono ai Nobili Da Mostonel 1700.

Nel 1684, alla fine di tutto, nacque l’ultimo figlio maschio dei Barozzi: Zanne di Giacomo, figlio di Giacomo Barozzi Podestà di Torcello residente a Burano ... Ancora giovanissimo, si fece Monaco Olivetano, e così dentro alla sua vita di Castità il Casato dei Barozzi si estinse ... e termina qui anche questa mia piccola ennesima curiosità Veneziana.

 

 


“Gnào … Gattognào … Ermolao.”

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#unacuriositàvenezianapervolta 308

“Gnào … Gattognào … Ermolao.”

a San Simeon Grando a Venezia.

Per entrare in zona si passa ancora oggi per il Campo Santo, cioè il posto dove c’era un Cimiterietto che circondava in antico la chiesa. Era tipico a Venezia: vedi l’Anzolo Raffael, Sant’Angelo, il Cimiterietto di Sant’Orsola ai Santi Giovanni e Paolo, la Bragora e molti altri ... La chiesa di San Simeon Grando a sua volta è stata per secoli contornata da un ampio portico ombroso buono per sostarvi estate e inverno.

Sotto a quanto rimane del Portico, ancora oggi c’è l’effige di Sant’Ermolao … E’ un angolo singolare di Venezia: andatelo a vedere.

Ermolao era tipico “nome teoforico”, cioè che indicava fin dal Paganesimo un discepolo-fedele a qualche Dio. Ermolao va con Ermes… letteralmente:  "laos, cioè: gente di Ermes". Ne esistevano altri di nomi simili nei tempi preCristiani. Nomi dismessi e cancellati a posta dal Cristianesimo Papale, che sembravano mai essere esistiti, invece c’erano stati: Menelào, Nicolào, Carilào.

Secondo la Leggenda, Ermolao Vescovo di Toledo successore di Onorato di Cuenca  s’era recato in Oriente passando per Roma. Nella Cronotassi dei Vescovi di Toledo in realtà non figura alcun Ermolao, ma da Leggenda lui divenne famoso lo stesso finendo con i 10.000Soldati Romani  che finirono uccisi-crocifissi-martirizzati, o annegati in un lago con una pietra al collo, in Armeniasul Monte Ararat. Si era nel 2 secolo dopo Cristo, e l’ordine dell'uccisione lo diede l’Imperatore Romanoche risiedeva a Nicomedia… Sempre da Leggenda: Sette Arcangeli o Sette Spiriti Assistenti diedero a Ermolao & C l’annuncio del Santo Martirio, che li avrebbe privati della Vita ma resi Santi.

Secondo un’altra versione un po’ truculenta della Passio-Leggenda di SanErmolao Prete: “Venne appeso a trave e flagellato aspramente, e con unghie di ferro strappate le carni fino alle ossa ... ma ancora vivo … poi ucciso, decapitato forse dall’Imperatore Massimiano di Nicomedia fra terremoti e caduta e rottura di statue di idoli pagani.”

Ci fu poi il tempo delleCrociate, quando scoppiò una vera e propria gara fra Pisa, Venezia, Genovae altre città marinare su chi si portava a casa maggior numero diReliquie insigni dalla Terrasanta e dall’Asiain genere. Accadde una vera e propria sarabanda e mercato di Reliquie: con Santi e Corpi sparsi che spuntavano da ogni parte, recuperati e portati ovunque in Europa… Strada facendo a volte nascevano le Leggende, e i nomi si sovrapponevano, e qualche volta si faceva confusione e s’inventava un po’ di tutto.

Esiste, infatti, un altroCorpo-Reliquia di Sant’Ermolaoa Pisadello stesso tempo. Si trova precisamente aCalciin Toscana, dove c’è in realtà solo un pezzo del Santo: il suo braccio sinistro portato dai Pisani nel 1100 daBizanzio: “dov’erano sepolto i sacri resti senza il dovuto onore” nella chiesa deiSanti Ciro e Giovanni. La concessione l’aveva data l’imperatore Alessio I in cambio di aiuti militari.

Sotto l’altissimo patrocinio di quel Nome Santopoi, l'Arcivescovo Dalberto di Pisa fece costruire: pieve, cappelle, campanile, chiostro e mulino provando a mettere fine alla nomea del posto chiamato di solito Via dei Briganti... Il Santo collocato in Toscana divenne quindiProtettore degli Uliveti, e Patrono di Calci, e di tutta laVal Graziosa. Fu veneratissimo per secoli, e ricordato con tanto di Fiera annuale ancora oggi a fine agosto. Ancora a metà 1900 era consuetudine dei contadini della zona portare un asino carico con due ceste di prodotti della terra e con un barilotto d’olio di oliva per farli benedire. Poi si conduceva in processione le Reliquie diSant’Ermolao illuminato da una cascata di “lumini ad olio”.

Dall’altra parte dell’Italia e delMediterraneointanto: su per il Mare Adriatico, i Veneziani non vollero essere da meno dei Pisani, per cui Andrea Baldovino ed Angelo Drusiano portarono a Venezia, nel 1205, le Sante Ossa di Sant'Ermolao, che vennero ospitate inizialmente nella chiesa diSanta Ternita di Castello, non lontano dai Moli di San Marco.

Quello che non si racconta di solito, è che in tutto quel trambusto del viaggio, iVenezianiconfusero i Santi Corpi Reliquieconfondendoli fra loro. A Santa Ternita giunsero i così dettiSanti Corpi di Sant’Anastasio e di San Simeon Profeta, e con loro anche quelli dei due Santi Medici Anargiri(cioè che curavano gratuitamente): Sant’Ermolaocol suo discepolo, il Medico neoconvertito San Pantalon (in realtà morto trecento anni dopo)C’erano forse anche i Resti dei Santi Ermippo ed Ermocrate ... Forse … Chissà ?


San Simeon in seguito, nel 1317, finirono portati due corpi: ossa senza testa, anche se si diceva d’avere il Corpo di Sant’Ermolao C’erano ossa di colori diversi: “alcune nere e color scuro, altre bianche, lisce e lucide”.

Infatti nel 1521 quando i Confratelli della Schola costruirono l’altare, si premurano di specificare: “Sant’Ermolao … ed altre ossa ignote”.

Nella chiesa di San Simeon esistente a Venezia già prima del 1000 col titolo dell’antico Profeta Biblico, nacque poi un’altra confusione … Quelli diCrema si rubarono parte delle Reliquie portandosele nella loro città, di cui San Pantaleonedivenne Patrono, mentre altri Veneziani si presero le rimanenti ossa di San Pantalòn portandole nella sua omonima chiesa di Dorsoduro.

Oggi, oltrepassato ilCampo Santodi San SimeonGrando, nel sottoportico della Chiesa troviamo infisso in muroil così dettosigillo sepolcrale di Sant’Ermolao: una lapide pavimentale in marmo bianco di Verona che mostra una figura di Prete orante a mani spalancate in avanti.


I Veneziani arguti quanto spiritosi non solo hanno scambiato e confuso da sempre Sant’Ermolao con San Simeone Profeta, ma col tempo finirono anche col soprannominarlo: San Simeon no me n’impàsso (non m’intrigo) aggiungendovi un po’ beffardi e augurali: “Fa ti che mi so un càsso.

In verità una posa simile delle mani era molto comune nelle lapidi funebri, così come era nota nella simbologia Cristiana, che biasimava il disinteresse e l’estraneità verso i problemi altrui … Si veda a tal proposito il biblico episodio dell’Ebrezza di Noèrappresentato sull'angolo diPalazzo Ducale.

Si dice che quell’immagine sepolcrale delSottoportico sia stata costruita dall’omonimaSchola-Confraternitadi Sant’Ermolao(poi Sovvegno dal 1626 per altri 140 anni), che si raccolse in un locale e sotto il portico della chiesa fin dal 1382.

Nel giugno 1523 si scriveva ancora che laSchola di Devozion de Sant’Ermolao: "aveva cella e altare in chiesa da almeno 300 anni,standopresso l’atrio e sotto il porticodi San Simeone Grando” ...Poi s’era spostata in una casa della chiesa non lontana dalla Sacrestia.

Recita curiosamente l’inizio della Mariegola della Schola di Sant’Ermolao: "A zo che le predette ovre de caritade fate per sovignimento de li poveri posando per ovre venir ademplide... Quando algune bone persone vora entrar en questa nostra Scola chel debio dar e donar a la Scola per il sovigninimento de li poveri segondo la sua possibilitude fermamente crezando che lo recevere per un cento, e senza tuto la vita eterna".

Alla morte di ciascun confratello"se debia reschoder e recever per sovegnimento de li poveri della Scola de li beni de zascun frar nostro...grossi V e plu, e men, segondo la possibilità di quello".

Si obbligavano alla frequenza ai Riti e alla Preghiera, e“vi eraappresso lo comandamento de la caritade, e dilection si sia tegnudi de visitar li poveri enfermi de questa benedeta Scola et a queli sovegnir caritativamente de li beni de la Scola, e se mester sera aver ne cesso à quelli de farli veglar de note ed etiam di, o far sepelir queli se del so no fosse che se potesse..."

Ogni tanto gli iscritti alla Schola (non potevano essere più di 400, ed erano 150 nel 1497), provvedevano “che sempre una refecion se debia far a li poveri" della parrocchia, ed anche "li poveri infermi del hospedal de San Zane Evangelista sia paxhudi".

Si veniva ammessi alla Scuola dal Gastaldo e dai Decanidopo attento esame, avendo almeno 16 anni, ed essendo"homo de bonafama e conversacion".

A inizio 1500 erano iscritte insolitamente alla Scuola anche diverse donne"soròre"(consorelle),tanto da nominarvi una Gastaldessa e delle Decane.


In definitiva, forse la lapide di Sant’Ermolaoè finita lì sotto al Portico quando il pavimento di San Simeon Grando venne completamente ricoperto da un altro. Fu quando la Serenissima venne a sapere che lì s’era sepolto abusivamente un appestato.

Uno soltanto ?

Si legge nelle Cronache Venezianedell’epoca, che dopo: “La notte del 27 novembre 1621 a San Simeon Grande seguì grand'incendio, sendosi abbruggiate 6 case di ragione del Capitolo di Santa Fosca ch'erano habitate da quei Tesseri di pani, sendosi abbrugiato un bambino di 5 anni”; nel marzo 1630 vennero denunciati dai Presidenti del Sestiere di Santa Croce trePreti di San Simeon Grande, che: “…portati da indebita avidità, senza alcun riguardo della salute comune, al debito della coscienza et alla pubblica ben espressa risoluta volontà avevano seppelliti centinaia di appestati in chiesa e nella corte di casa del Piovano, e vicino al pozzo dell’acqua potabile così da minacciare d’infettarla ... Alcuni cadaveri avevano perfino ostruito il normale decorso dell’acqua del pozzo, ed entrata nella chiesa per fessure delle sepolture portava nausea et fettore insopportabile et tale che le persone che entravano in chiesa non potevano assistere alli divini officii et uscivano con dolori di capo e gran timore di peggio … I cadaveri di gente povera e morta di mali ordinari li facevano gettare sulle arche degli appestati e per gli altri oltre a seppellirli in chiesa aggiungendo al primo un secondo pessimo consiglio, sempre portati da fini avarissimi, hanno abusato della fiducia dei parenti e attraverso la confessione, con vie dannate dalle leggi divine et humane si sono fatti confidenti beneficiari di diversi legati.”

Il Magistrato alla Sanità alla fine condannò ilPiovano di San Simeoncostringendolo a ricoprire il vecchio pavimento con uno di nuovo.

Leggenda ? dice qualcuno … Nel restauro del 1839 è emerso l’antico pavimento pieno di fosse e lapidi sepolcrali ... Così come è testimoniato che per tutto il 1700 iPretidi San Simeoncontinuarono a seppellire Preti e Nobili in Sacrestia, nel Coro e nelle Cappelle della chiesa.

Durante lo stesso secolo, quando in Contrada vivevano più di 3.230 persone per lo più artigiani, con 1.800 poveri ossia quasi il 60%., c’erano 48 botteghe, e 80 femmine“maestranze cristiane”lavoravano“filando Schiavine (coperte di lana grezza) e Amolee altri tessuti”per l’Ebreo Anselmo Gentiliad uso delle Milizie del Lido e per il commercio di privati … InRio Marinc’era la Spezieria di Gaetano Lionelli “Alle Due Ombrelle” con gli strumenti inservienti al ricupero de sommersi … Si fecero allora radicali restauri della chiesa rovinosa, che minacciava di cadere, dentro alla quale c’era una Madonna del Rosariovestita con abiti e ori preziosi … Si abbatterono altari e si posero nuovi quadri, si costruì un nuovo pulpito in legno, l’organo nuovo, nuovi scanni e spalliere per il Coro, si ridipinsero in finto marmo certe statue, si riparò parte dei muri, e tutto il coperto un pezzo del quale, della navata destra, era caduto in testa a Lucrezia Cappello, domestica di casa Malanotti, con suo grande spavento … “Nell’occasione venne salizàto in mazègni il Campo Santo ed il sotto Portico della Chiesa", e si rifece il campanile e rifusero le campane.

Per ben tre volte, fino al 1760, la Schola-Sovvegno di Sant’Ermolaorischiò la chiusura per bancarotta in quanto s’indebitava di continuo dovendo soccorrere un grande numero di malati … Infine si arrese, e chiuse i battenti.

Nell’agosto 1797 il Governo Provvisoriodi Venezia sequestrò l'Argenteria della Chiesa, le Aste, i Lampadari, i Candellieri, i Vasi, le Tabelle degli altari, i Turiboli, Croci e Crocefissi, Secchielli ed Aspersori, Paci e forniture da Cataletti con ogni altro genere di cose inservienti ad altari, Funerali e Schole. Tutto venne fuso in Zecca a favore dellaCassa Nazionale, mentre Preti, Nobili e Popolo aderirono a sottoscrizione per ripristinare nascostamente tutto ... o perlomeno quanto potevano.

Poi si passò alle opere d’Arte appese in chiesa. Fu presa e andò perduta una tela diDomenico Tintorettocol “Redentore Risorto”; una“Sacra Famiglia”diLorenzo Gramicciaproprietà dei Pasquini esposta sull'altare dell' Annunciazione; la pala dell'altare diSan Valentinodipinta da Bernardino Prudenti; i dipinti di Maffeo Veronadella Cappella del Rosario; un“Cristo condotto al Calvario”e una “Crocifissione”di Pietro Roselli poste in Sacrestia; una“Cena di Cristo cogli Apostoli”, un“Cristo nell'Orto”,un“Sacrificio di Noè”, e un “Abramo visitato da tre Angeli”di Nicolò Bambini; e un“San Girolamo” di Fortunato Pasquetti… e molto altro ancora.

Nel 1882, quando si annotavano in Parrocchia ben 1.500 Inconfessi su un totale di 3.776 Anime da Comunione, in chiesa di San Simeon Grando  si venerava ancora il Corpo Santo di Sant’Ermolao Prete e Martire, e un’altra quarantina di Sacre quanto Preziose Reliquie, fra le quali la piccola ampolla “dell’Insigne Acqua e Sangue di Nostro Signor”, cioè:  una o due gocce del Sangue di Cristo, porzione di quello conservato nel Tesoro di San Marco, donate alla chiesa di San Simeon dal Doge Reniero Zen, nato e battezzato in Contrada nella famiglia che abitava in Riva di Biasio: “La specialissima Reliquia, assieme ad una Spina della Santa Corona di Cristo, e a un piccolo frammento della Colonna della Flagellazione, viene esposta solennemente la domenica delle Palme e il primo luglio: Solennità del Preziosissimo Sangue, e condotta in Processione per le strade della Contrada di San Simeon Grando la sera del Venerdì Santo di ogni anno.”

Non terminata qui la storia dell’insolita immagine diSan Ermolao infissa in muro sotto alPortico di San Simeon Grando.

Cronache locali di fine 1800 ricordano di come i bimbi della zona andavano gattonando sotto al Portico e nel Campo di San Simeon con le mamme … Un gnào: un gatto, sostava sempre sotto al Portico, dove c’era la lapide di Sant’Ermolao … Si giocava semplicemente con niente, come si usava allora; colpendo con un sasso un gnào: che era un barattolo vuoto … Sotto al Portico sostavano gli uomini la domenica e nei giorni di festa dopo la Messa, a chiacchierare e fumare avvolti in Tabarri e vecchie palandrane. Lo facevano per il piacere di stare insieme, ma anche perché non avevano denari da spendere“par un’ombra o un gòtto in Osteria”.

Molte volte durante le Messe, gli stessi uomini uscivano dalla chiesa durante laPredica del Piovano: “El xèeterno quanto un Pàssio … Nol finisse più … Parfin Sant’Ermolao xe scampà fòra de cjèsa ... Nol ghe ne podèva più.”si diceva ridendo.

Al tempo del Fascismo scomparvero mamme e bimbi giulivi dal Campo e dal Portico, e presero il loro posto di sera: le“Bociàsse de Ermolao”, che erano giovinastri irriverenti e squattrinati, che facevano chiasso mancando di rispetto agli abitanti della zona, e insidiavano le rare giovani donne di passaggio, e un povero vagabondo uso a dormire sotto al Portico di San Simon.

“No me ne impàsso … Xè come el no me ne frega che disèmo noaltri.” dicevano.

Fra lei Bociàsse c’erano anche alcuni Cadorini che per“gnào”intendevano il deretano florido di qualche bella donna odorosa di bosco, muschio, umido … e di gnào.

Un giorno uno dei Preti di San Simon colCampanaroprovarono a riprendere quei giovinastri neri per via dei loro eccessi: “Scriverò i nomi di ciascuno di voi su un brogliaccio che invierò alla Questura.” provò a dire il Prete timidamente.

Risero di gusto i giovinastri rispondendo:“Siamo noi la Questura ... e sei tu che dovrai rimediare.”

Il Campanaro, infatti, venne una delle sere seguenti malmenato in un calletta nei pressi della chiesa mentre rientrava a casa. Venne anche addizionato con un’abbondante libagione del famosoOlio di Ricino.

Il giorno seguente la sorella del Prete venne fermata in pieno giorno di ritorno dalla spessa. Le dipinsero due vistosi baffi neri sul volto, e le rubarono la sporta. Prete e sorella pochi giorni dopo traslocarono dalla parte opposta di Venezia, mentre al posto del Prete ne giunse un altro molto più intraprendente, e notoriamente di tendenze filoFasciste. Le sue alte conoscenze furono utilissime, e in breve ifiolàssi de Ermolaoscomparvero del tutto dalla zona ... Stesso trattamento del Campanaro e del Prete ? … Chissà ?

Rimane ancora oggi qualche volta un moderno mendicante di colore, che ogni tanto ferma qualcuno allungando la mano per chiedere l’elemosina:“Mi da dieci euro Signora”

“Dieci ? … Ma ti xè matto, toso ? … Ti credi che vago a robàr ? … Dièse euri ! No te par màssa ? … Varda là sul muro: anca San Ermolao xè peplesso.”

“Va beh … Facciamo cinque allora.”

“Cinque ? ,,, Ma ti vol magnàrme mèza pensiòn ? … No basta el Governo che me magna tutto ?”

Ero lì ad ascoltare quel giorno… e Sant’Ermolao in muro mi sembrò sorridere smettendo per un attimo quel suo secolare modo di dire: “No me ne impasso.” Ma forse mi sono sbagliato. 

 

 

 

I viaggi della Martana e della Contarina.

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#unacuriositàvenezianapervolta 309

I viaggi della Martana e della Contarina.

Nel 1400-1500 soprattutto, ma fino al 1700 inoltrato, si ripeteva spesso una specie di Rito in Piazzetta e sui Moli affacciati sul Bacino di San Marco. Non erano le solite pompose Processioni Religiose che facevano accorrere e confluire in massa grandi e piccoli, uomini e donne, Nobili, Monache, Schole, Signoria e Doge, e tutto il Clero da ogni Contrada Veneziana. Né si trattava di uno di quei “Riti di Stato”, come “la Sènsa”, che celebravano i successi della Serenissima e del Mito di San Marco.

Si trattava piuttosto di una lunga fila di persone che accorrevano e si presentavano al Banco in Piazza rispondendo a una specie di Bando di Chiamata che veniva proclamato a gran voce e a suon di Musica in tutte le chiese, nelle Locande delle Contrade, nei Campi e Campielli, a Rialto e nelle principali Salizade cittadine. C’erano dei veri e propri Musici-Coristi-Banditori, che al suon di Pifferi, Trombe e Tamburi, e sventolando Bandiere, Vessilli, Insegne e Gonfaloni, invitavano all’arruolamento sulle Mude delle Galee di Mercato della Serenissima prossime a partire per destinazioni diverse secondo abituali itinerari commerciali, che i Veneziani seguivano ormai da secoli.

Per raccattare e invogliare volontari si facevano perfino donazioni, e si concedevano spettacolarmente mance ed elemosine: niente era lasciato al caso ... Venezia era Venezia.

Si allestiva quindi un nuovo Equipaggio, e questo accadeva ogni volta dopo che Doge, Senato, Nobili e Mercanti avevano definito il nolo e le caratteristiche della Spedizione delle Navi di Stato concesse in licenza. Si designavano: mete, tipo di commercio, itinerari, obiettivi e date presunte di partenza e ritorno, nonché i sussidi che avrebbe concesso lo Stato, e l’insieme degli investimenti, le spese e i guadagni.

Nel caso della Galea Contarina: la seconda delle due Galee di Mercato di cui voglio parlarvi, si mise insieme e s’imbarcò un equipaggio di ben 189 uomini per un costo complessivo di: 9.254 ducati ... Un grosso investimento in se, a prescindere da merci e affari che la Galea avrebbe trasportato.

Solo per le paghe dell’Equipaggio si spese complessivamente: 5.311 ducati, anzi: 5.871 compresi i soldi dati ai giovani Nobili, cioè ai così detti Balestrieri della Coffa, che venivano imbarcati “in aggiunta”: d’obbligo secondo la Legge.  

Curioso il retroscena dell’allestimento della spedizione, e di quella Galea Veneziana … Il 2 maggio1504, la Galea fu “vinta al nolo”all’incanto dal Patron Francesco Contarini di Alvise: caratista per 1/6 della spedizione (in rappresentanza del Nobile Piero Pesaro: il vero imprenditore-boss che stava dietro alle quinte). Altri 8 carati dell’investimento appartenevano a Nicolò da Pesaro, 8 ad Alvise Priulie Piero da Pesaro, e 4 ad Alvise, Bernardo e Zuan Priuli: tutti Nobili Venezianissimi consociati in una unica Compagnia di Mercato. Il Contarini, in quanto gerente dell’intero affare sul campo, anzi: sul mare, non avrebbe ricavato nessun utile, perché i guadagni erano riservati solo ai caratisti. Avrebbe intascato, invece: un “fisso”di 200 ducati, e in quanto Patròn della Galea, avrebbe potuto trattare privatamente e vantaggiosamente i suoi affari.

In quello stesso giorno, insieme alla Contarina vennero appaltate altre due Galee di Mercato: una venne concessa ad Antonio Leoni, e un’altra a suo fratello Giovanni, a cui subentrò come prestanome Federico Morosini in quanto a Venezia non era concesso agire in società tra fratelli.

L’intero appalto delle Galee di quel piccolo Convoglio-Mudacostò 2.810 ducati, cioè: 1.100 ducati per la prima Galea, 910 per la seconda, e 800 ducati per la Galea Contarina. L’importo venne equamente diviso, in modo che ciascuna nave pagasse 1/3 del totale. Il costo dell’“incanto”attribuito dal Senato Veneto a ciascuna Galea, era proporzionale al possibile guadagno previsto, e alla somma che lo Stato avrebbe associato come sovvenzione alla spedizione. I Nobili Mercanti facevano sempre di tutto perché quel sussidio di Stato fosse sempre più consistente possibile. Puntavano sempre al rialzo sul valore di ogni Muda Commerciale Veneziana, e tiravano ogni volta per le lunghe le contrattazioni col Senato cercando alla fine d’ottenere il meglio possibile. In quel caso, infatti, “il dono dello Stato” venne aumentato da 4.500 a 6.000 ducati ... Non male !

I primi due Bandi di Chiamata per indire la Spedizione vennero comunque furbescamente disertati dai Mercanti Veneziani, e solo quando un’ulteriore aggiunta di 500 ducati per ciascuna Galea venne fatta dal Governo Serenissimo, solo allora si sbloccò la situazione, e si giunse all’avvallo definitivo dell’Impresa-Spedizione.

A seguire entrò in scena l’abituale “giochinodell’Assicurazione Marittima”, che giochino non era affatto, perché si disputava e contrattava investendo soldi e soldi. Si doveva tenere conto di tutto l’insieme, dei possibili imprevisti, della qualità delle merci e delle quotazioni di Mercato, della destinazione, e soprattutto della fame di guadagno dei Mercanticon i loro grossi Capitali… Gli affari erano affari, e a Venezia di economie e commerci ci si intendeva davvero tanto.


Immaginatevi allora i Veneziani, e non solo loro, rumorosamente in fila quel giorno sul Molo di San Marco sotto gli occhi vigili dei Soldati Veneziani. Immaginatevi il clamore, la calca, la foga e l’entusiasmo, ma anche le aspettative, i timori, soprattutto delle donne e delle famiglie che rimanevano a casa ad aspettare … e anche i timori più interessati e sofisticati dei vari Nobili e Mercanti che s’erano imbarcati nei rischi dell’Impresa. Si sapeva sempre quando la Muda(il Convoglio)delle Galee di Mercato partiva da Venezia, ma non si sapeva mai come e quando sarebbe tornata, che cosa sarebbe accaduto “strada facendo”, nè come alla fine sarebbe andato il viaggio ... guadagni compresi.

In ogni caso, tutta quella grande assemblea di gente nella Piazzetta di San Marco doveva sembrare una specie di Festa, di certo era un altro dei grandi spettacoli che Venezia ha saputo produrre continuamente per secoli.

Erano di certo curiose le consuetudini, e le condizioni dell’arruolamento. La maggior parte dell’Equipaggio veniva pagato a quadrimestre. I Rematori: protagonisti “del funzionamento” della Galea, ad esempio, percepivano 4 ducati per volta. La prima rata della Paga veniva concessa subito all’atto dell’arruolamento per poter sostenere le famiglie durante l’assenza, mentre la seconda rata arrivava ad Anversa o Southampton dove si pagava in Grossi Fiamminghi approfittando del Cambio di valuta che lì era favorevole, e il saldo finale, chiamato: “la refusa” veniva dato allo sbarco finale a Venezia.

Che serviva a una Galea per partire ?

Le serviva assumere: tre specifiche Maestranze, cioè un Mastro d’Ascia o Marangon da Nave, che avrebbe percepito 124 Lire, un Mastro Calafato anche lui a lire 124, e un Mastro da Remi o Remèr a lire 124 pure lui.

Servivano poi almeno 8 Compagni o Marinai a 99 lire di paga ciascuno, e 2 Pennesi da 99 lire scelti fra coloro che erano già stati imbarcati su navi di tonnellaggio superiore a 500 botti.

C’era poi da organizzare “la Difesa di bordo” della Galea. La si sarebbe garantita assumendo: un Capo dei Bombardieria 99 lire, 7 Bombardieri a 72 lire, e 14 Balestrieri a 60 lire ciascuno ... Non guadagnavano tanto “gli addetti alla sicurezza della Galea”: meno dei Marinai, e degli addetti alle alberature della Nave. Le Galee erano inoltre obbligate ad accogliere a bordo 8 Nobili per favorirne l’addestramento da futuri Ufficiali d’Armata da Mar della Serenissima. Per loro il Contarini versò puntualmente all’Arsenale accreditandoli sul Banco Pisani: 560 ducati per una paga individuale di 70 ducati ciascuno.

Si mangiava poi a bordo ... Per la Contarina quindi: si cercò e assunse: un Cuoco e uno Scalco, ciascuno a 62 lire, e un Cantiniere per la stessa cifra. Nel resoconto di viaggio della Galea si annotarono: 1.028 ducati per la Mesa, e altri 616 ducati per la Panatica, cioè le due voci riguardanti il Vitto dell’intero equipaggio. La “Mesa” indicava il companatico, e l’Aceto per disinfettare l’acqua di bordo, mentre per Panaticas’intendeva l’acquisto del PanBiscotto nei Porti da dove si partiva o attraccava: Venezia, Palermo, Anversa, Southampton e altro. A Southampton, ad esempio, si fecero diverse spese, fra le quali: 8 botti di Vino di Romania, 1 botte di Malvasia e 3 pipe di Guascogna. Durante il viaggio si acquistarono anche 82 quintali di Frumento, cioè: 134 stara di PanBiscotto a Venezia; 217 cantare circa a Palermo fra andata e ritorno, e 33.500 pagnotte fresche e 7 quintali di Biscottoad Anversa e Southampton

A bordo della Contarina, come nella maggior parte della Galee Veneziane, esistevano quattro diversi trattamenti di “Tavola”. La Prima Tavola era da 30 soldi a testa, ed era riservata a: Capitano, Cappellani, Nobili, Medico-Cerusico, Scrivano-Ragionato, Ammiraglio, Comito, Uomo di Consiglio, Approntatore, Piloti, Capitano dei Bombardieri e Soldati.

Il Secondo Turno di Tavola costava, invece: 16 soldi, e vi si sedevano: Scrivanello, Scalco, Cuoco, Cantiniere, i Servi del Capitano, e tutti quelli che non partecipavano alle manovre e alla voga.

Alla Terza Tavola conteggiata per 8 soldi alla volta, sedevano a mangiare e bere: gli Scapoli, cioè i Marinai,e tutti gli altri che prestavano servizio attivo sulla nave: i Rematori soprattutto.

Infine alla Quarta Tavola partecipavano i Forzàti, cioè i Galeotti, e se c’erano: i Condannati. Anche tutti questi pagano in un modo o nell’altro 8 soldi “pro capite”, ma in realtà mangiavano gli avanzi degli altri, e solo ogni tanto ricevevano l’aggiunta di qualche Minestra e tazza di Vino.

In ogni caso come da contratto e abitudine di mare, a ogni Rematorespettava una Minestra di Faveo Legumi o Riso al mattino, e una gavetta di PanBiscotto inzuppato e cotto nell’olio a sera, insieme a 17 once di Pane, e a una quantità di Vinoabbondante almeno due tazze a pasto, o a discrezione del Comandante. Agli Scapoli-Marinai spettavano inoltre “4 giornate di Carne”: 6 once per ciascun pasto, 2 Sardellecondite in Olio e Aceto, e del Formaggio: “fresco, e senza muffe e vermi possibilmente”… Infine, ogni 10 giorni, si aggiungeva per tutti: “una minestrina di Erbette con la funzione di purgare i corpi liberandoli dal dolore di ventre e capo grandissimi.”

Quel giorno in Riva di San Marco si “presero a Libro Paga” a 31 lire ciascuno (comprensivi di vitto e alloggio)137 Rematori, che divennero 128 ad Anversa e Southamptondove qualcuno non tornò più a bordo dopo aver intascato la paga. Se ne conteggiarono 125 al ritorno finale a Venezia.

Fra i Rematori assunti si distingueva fra Prodieri (6 che remavano a Prua gestendo Ancore e Trinchetto) e Portolatti(6 che remavano a Poppa dando il tempo ai vogatori). C’erano: una decina di Veneziani proprio di Venezia, e altri 8 di Terraferma, a cui s’aggiunsero: Dalmati, Greci, Albanesi, e qualche Montenegrino, Serbo e Turco-Saraceno ... In tutto vennero a costare: 1.960 ducati.

La paga dei Rematori veniva poi integrata dalla “Portata”, che al di là di tutti i rischi e sacrifici del viaggio, era il vero “affare appetibile” dell’assunzione. Era la possibilità di caricare a bordo per se o a nome d’altri di una quantità di merci proprie “esenti tasse”, secondo i quantitativi decisi dal Capitolato d’Appalto. La “Portata”dipendeva dalla qualifica conferita all’arruolamento, ed era anche un modo indiretto e pratico usato dagli Armatori e dal Patrònper coinvolgere l’Equipaggio garantendosi fedeltà, obbedienza e dedizione all’impresa ... C’era da guadagnare per tutti quelli che salivano a bordo, a patto che ciascuno a proprio modo contribuisse all’impresa.

Di solito i Rematori avevano diritto a circa ½ quintale di Portata ciascuno, mentre ad: Ammiraglio, Uomini di Consiglio, Comito, Scrivano e Patròn spettava più di 6 quintali a testa di carico. La grande differenza di trattamento comunque stava nel fatto che i Rematorivivevano sotto alle intemperie sul ponte e sui banchi della Galea, protetti solo da un gran tendone “da meza Galia”, che si sperava sempre che il vento non se lo portasse via. 

Oltre ai Rematori quel giorno in Piazzetta vennero assunti anche: 4 Ufficiali, cioè un Comito da 72 ducati che presiedeva a tutti i servizi della Galea e comandava la Ciurma, coadiuvato da un SopraComito e dagli altri che partecipavano agli ordini, alle manovre, e alla difesa della Galea. Nel caso della Contarina, il Contarinistesso volle fungere da SopraComito.

Per le Paghe dei 4 Ufficiali e degli altri 40 membri dell’Equipaggio non impegnati in “bassi servizi” essenziali, si spesero in tutto: 1.384 ducati.

Serviva e s’ingaggiarono poi: un Paròn o Patròn da 45 ducati che dirigeva le manovre delle ancore, comandava la voga, l’uso dei sartiami e l’Albero di Vela; un Uomo di Consiglio da 72 ducati esperto nella navigazione; e uno Scrivano da 54 ducati: cifra sicuramente appetibile, in quanto gli Scrivani di Bordo percepivano di solito:30 ducati per Alessandria e Siria, 40 per la Barberia, Aigues Mortes e Trafego, e arrivavano a guadagnare fino a 60 ducati per arrivare in Fiandra.

Infine, c’erano altri assunti per la Galea, per coprire certi servizi umili complementari e necessari di bordo: un Barbiere a 49 lire, che doveva anche saper cucire ferite se fosse stato necessario, e un Pescatoreda 49 lire, utile anche come Cercatore per procacciare qualsiasi cosa fosse stato utile a bordo.

Secondo i Registri dell’altra Galea a cui voglio accennare: la Martana, la nave venne “armata di tutto” da Marin Mocenigo e Giorgio Contarini per affrontare un Viaggio di Levante. Era necessario tener conto in quei giorni, che quel genere di spedizioni navali erano state da molti anni bloccate a causa delle Guerre col Turco ... A Venezia non arrivava quasi più niente: poche Spezie, poca “ròba”.

Rifatta quindi da poco e di nuovo la Pace con Maomettoe la Porta, si poteva adesso riprendere a viaggiare provando a sfidare la storica concorrenza dei Genovesi e dei Pisani, ma soprattutto dei Fiorentini, che erano già ripartiti primi di tutti dandosi parecchio da fare ... Non c’era tempo da perdere quindi, e, infatti: il Senato Veneziano sollecitò e affrettò più volte la partenza della Galea Martana.

Il 20 marzo 1474 finalmente salpò dai Moli di San Marcodavanti all’Isola di San Giorgio Maggiore sparando il solito colpo di cannone beneaugurante: “A bon viazo et salvamento … Dio guardi et conducha vui et le vostre robbe salve da ogni insidia divinale et humanale possibile et impossibille, pensabile et impensabile...” si diceva di solito segnandosi con mille croci, e adocchiando speranzosi San Marco, San Todaro, San Giorgio, ogni Madonna e tutto il resto del Santo Calendario.

A bordo della Galea Martana s’imbarcarono gli esperti Marittimi Marin Mocenigo e Giorgio Contarini, e i Nobili Mercanti Veneziani: Luca, Marco e Gregorio figli dl Nobile Francesco Venier, le cui merci portavano impresso un marchio ovale per metà bianco e per metà nero sormontato da una piccola croce con le lettere L e V.

Il 15 aprile la Martana era già arrivata a ZaraCapitanato Veneziano più volte ribelle e riconquistato dalla Serenissima, da dove ripartì quasi subito. A Zara di solito si potevano fare buoni affari fra Mercantucoli Greci, Locande e Prostitute. Quelli della Martana si rifornirono d’acqua e PanBiscotto, e imbarcarono un carico di Pannineda commerciare. Zara era tornata sotto Venezia dopo 70 anni, e la Serenissima vi aveva mandato il Provveditore Priuli al quale anche i Veneziani della Martana dovettero pagare Dazio: “Gli Zaratini sono Veneziani bastardi per poccho chostume ch’anno di pratichar in la lege, sendo tornati a San Marcho doppo troppi paròni.”

Ripreso il mare, dopo Sebenico la piccola flotta delle Galee che comprendeva la Martana raggiunse Lesina e Curzola,dove Marin Mocenigo scese a terra a chiedere il permesso d’attraccare a Ragusa, dove ormeggiarono poco dopo nei pressi del Lazzaretto.


Era importante Ragusa, perché era capolinea di tutte le carovane di cammelli e muli provenienti da Serbia e Valacchia. La cittàera piena di botteghe di Ebrei, Greci, Armeni e Turchi ben controllate dai Ragusei, chiamati: “veneziani buoni” alla Corte del Sultano. A quelli della Martana venne fatto sapere che per pochi soldi avrebbero potuto comprare merci di pregio buone da piazzare poi in Ponente, Ancona e Venezia: cuoi, pellicce, lane, cere, piombi, argenti, e tante altre “ròbbe buone” provenienti dai mercati di Novo Bazarro, Bielogrado, Uskub, Sofia, Stara Zagora e da molti altri posti lontani.

La Martana quindi fece buoni affari servendosi da alcuni Mercanti Fiorentini e Anconitani residenti da tempo nel luogo. Si comprò: Rasi, Nastri, Linci e Zibellini, e Luca Venier comprò 70 bracci di Raso Latesino, Persichino, Colombino e Cremisino dai Fiorentini Vivai, Albizi, Macchiavelli e Dinozzo Lippi, merci che reputava di rivendere a Smirne o Izmir per comprare poi Spezie da portare a Venezia.

Marinai e Rematori parlottavano fra loro: “Ragusa, cioè Dubrovnik, è una bella e simpatica cittadina… E’ posta sulla rupe con le Fortezze Vecchia e Nuova, e ha una grande catena di traverso al Porto … Qui c’è un gran numero di Fondaci,  e i Ragusei controllano una fitta rete di Consolati: 50 almeno, con 300 Agenti, Mercanti e Coloni sparsi un po’ ovunque in tutte le zone strategiche del Mediterraneo.”

“Sai che qui a Ragusa s’è inventato il “Trentino” prima che a Venezia s’inventasse la Quarantena ? … Qui isolavano i contagiati dalla Mors Nigra: la Peste Nera … il Pejos che ci può essere … Li abbandonavano là sprovvisti di tutto sui nudi scogli ... Poi si sono organizzati meglio, e hanno deputato le isole Bobara, Supetar e Lokrum per ospitare gli appestati … Venezia li ha copiati, e ha inventato i Lazzaretti.”

“Sono bravi i Ragusei, c’è poco da dire: rimborsano i danni a chi viene tenuto in isolamento … Li curano con dei boni Mèdesi Fisyci, che pagano bene reclutandoli fino a Venezia, Padova, Bologna, Napoli e nella Marca Anconetana ... I Ragusei poi, sono anche abili commercianti: Zente de Màr per via del Sale, i Mulini, la Lana, gli Schiavi, le Spezie, Cera, Rame e tante altre cose e oggetti preziosi che commerciano con chiunque … Vanno a vendere e comprare oltre la Porta dei Balcani e dell'Oriente, fino a Gòa in India dalla parte degli Infedeli, mentre di qua del Mare-Golfo Adriatico sono abituati a far affari con Pisa, Genova, Firenze e Livorno, e tramite loro con la Spagna, l’Inghilterra e le Fiandre ... Farebbero anche una spietata concorrenza vincente a Venezia: ecco perché la Serenissima li ha fatti propri.”

“Qui a Ragusa, infatti, sembra d’essere a Venezia … Hanno copiato in piccolo quasi tutto quello che facciamo noi in Laguna ... Hanno il Major e il Minor Consiglio, i Pregadi del Senato, e il Rettore, che sarebbe il Doge Raguseo, che qui chiamano: “Sua Serenità” … E poi hanno le Corporazioni, i Tribunali, e le famiglie Nobili che governavano tutto … Ovviamente non hanno molto in simpatia la Serenissima e i Veneziani, per via che sono stati taglieggiati fin troppo ... I Ragusei sono gente fiera e libera: soffrono la nostra sudditanza … Se vai a vedere l'ingresso della Fortezza di San Lorenzo, troverai scritto: "La libertà non si vende per tutto l'oro del mondo" ... e hanno ragione.”

“I Ragusei sono chiamati il “Popolo dalle Sette Bandiere”, perché sono dei grandi opportunisti. Si vanno a congregare un po’ con tutti: Papato, Impero, Venezia, Ungheria, Turchi, Spagna, Corsari Barbareschi: per loro fa lo stesso, se la intendono con chiunque … Basta che paghino … Ospitano indistintamente Cattolici Papali-Romani, Ortodossi Greco-Russi e Balcanici, Ebrei Sefarditi, e Islamici di Maometto ... Però non permettono i matrimoni misti, e i nonCattolici sono esclusi dalla Cittadinanza, dagli Uffici pubblici, e dalle Magistrature dello Stato ... Molti Mercanti Serbo-Erzegovesi si sono convertiti di volta in volta passando da una Religione all’altra secondo opportunità per favorire i propri affari … Sono stati espropriati, e hanno subito confische e carcere … Qualche volta sono stati anche convertiti a forza per riparare a certi danni che hanno fatto.”

"Sono ricchi i Ragusei, e sono anche strozzini e usurai più degli Ebrei … AVenezia, ai Carmini, c’è la Calle e il Ponte dei Ragusei: vai a vedere e sentire ! ... e capirai … Qui però si naviga “alla Ragusea”, cioè spartendo gli utili delle Spedizioni fra Marinai, Armatore e Mercanti. Sono gli unici a comportarsi così: mettendo in comune ogni guadagno … Sono stati i Ragusei a inventare l’Assicurazione Marittima, così come sono stati ancora loro i primi ad emancipare e liberare gli Schiavi ... A Ragusa si parla in Italiano con accento Toscano, mentre in tutto l’Arcipelago Greco si usa il Veneziano come lingua commerciale … I Ragusei sono persone che per davvero sanno percorrere le strade delle Economie e della Storia ... Diciamolo sottovoce: sono un esempio da imitare.”

Quando a Ragusa si sparse la voce dell’arrivo di una nuova ondata di Peste, che si diceva stesse già facendo molte vittime a Trebinje: appena dopo il confine Turco, i Ragusei sembrarono aver voglia di “chiudere bottega” subito, e di vendere e svuotare tutti i magazzini e piazzare ogni merce in fretta e furia ... C’era per davvero quella Peste in arrivo poi ?

La Martana comunque ripartì: era meglio non rischiare d’incappare nel Contagio, e andò dritta a Corfùsaltando le Veneziane Cattaro e Dulcigno.

A Corfù non c’era traccia di Peste, e sotto alla Fortezza di San Marco ferveva grande attività commerciale con grande incrocio di Mercanti e Merci, Religioni e Costumi. Corfù era l’Avamposto Veneziano per il Levante.  Dopo procedendo sul mare c’erano: Cipro, Creta, e le Isole Cicladi,che Venezia aveva perso e date ai Turchi insieme a Leucade, Cefalonia e Zante ... che la Martana raggiunse.

“Zante … La chiamano anche Zachintos, e Fior del Levante … Con Cefalonia è la terra del commercio dell’Uva Passa, di Vini gagliardi e di Ogli perfetti. … Si dice che ogni anno i Mercanti fanno passare di qua almeno 2.500 sacchi d’Uva Passa … Venezia tassa tutto, ma i Ragusei sono furbi: ne fanno transitare di nascosto almeno altri 4.000 sacchi commerciandoli in piccolo e di contrabbando, e con chissà quali modalità …”

“Zante la chiamano anche: Città delle Quattro Quaresime … Di qui è passata anche la Santa Veronica, che ha fatto da balia all’isola nutrendola con la Fede, e mostrandole il Sudario della Passione di Christo.”

“Quattro Quaresime ?”

“Si: qui dicono che praticano il Digiuno tutto l'anno … La prima Quaresima è la più grande: quella di Pasqua come da noi, che qui chiamano “i megali tessaracosti” o qualcosa del genere … Dura sette settimane, durante le quali non è permesso a nessuno di mangiare: nè pesce, nè oglio, fuori che doi giorni la settimana: cioè Sabbato e Domenica … Eccetto il Sabbato Santo, si cibano solo di qualche pesce senza sangue, come: Ostriche, Seppe, Pesce mollo, Caviale e Bottarghe … Hanno licenza però di mangiar pesce doi altri giorni: l'Annunziatione del 25 Marzo, che qui chiamano Evangelismos,e la Domenica delle Palme, che chiamano: “Tou vaghiou”.”

“Mamma che fame ! … Però: altro che digiuno ! … Mangiano cose prelibatissime.”

“La seconda Quaresima e quella d'Agiòi Apostoli in honore di Santi Apostoli, che dura dal Lunedì dopo l'Ottava dalle Pentecoste sin'alla vigilia dei Santi Pietro e Paolo … La terza Quaresima è quella di “Tis Agias Parthenon” dedicata alla Madre di Dio, che dura dal primo Agosto fino a metà mese: all’Assunta per noi. In quella Quaresima non mangiano neanche il pesce, se non il 6 Agosto soltanto, ch'è il giorno della Transfiguratione di Giesù Christo, che qui è molto solennizato e detto Metamorphosis tou Sotiròs ... La Quarta Quaresima viene detta “Ton Christogenòn”, e comincia 40 giorni avanti Natale, cioè li 15 Novembre, e continua fino al 25 Decembre … In quella Quaresima possono mangiar pesce, ad eccetion delli Mercordì e Venerdì. Li Calojeri (gli Ortodossi Osservanti, i Monaci Athoniti) hanno però anche altri tre Digiuni: quello avanti San Dimitrio, che dura 20 giorni; quello che comincia il primo Settembre, e dura 14 giorni fino all'Esaltatione della Croxe; e quello degli otto giorni avanti la festa di San Michiele … Poi ne avrebbero anche altri: per San Zuane Degolà … per l'Epifania, che chiamano Paramoni, quando battezano il Mare con una gran cerimonia … Non mangiano carne eccetto che per 130 giorni l'anno ... Sono tutta una Penitenza e un’Astinenza.”

“Beh … Almeno così sembra … Sarà vero ?”

“Qui distiamo ormai solo otto miglia dalla Morea … Cefalonia sta a dodici …  Questa terra di Zante è aspra di terremoti, che le levano quant'hà di buono e bello. Gl'anni decorsi si fecero sentire in una notte sessanta volte preceduti da strepito terribile … Si sente grandissimo rumore nella profondità…  Alle volte un puzzore sulfureo infetta le narici, e quando il terremoto è grande: soffia nell'aria un gagliardissimo vento.”

“Da una parte l’isola è dirupata e montagnosa, mentre dall’altra è piena d'alberi di frutti dolci e piante riguardevoli … Un eminente Castello sta sopra al monte dominando tutta l'Isola ... Vi abitano il Rettore e il Comandante … Ai piedi della Montagna c'è la cittadina col porto di Chieri atto a ricever ogni sorta di Navi, Galee e Navigli ...”

“Qui dalle acque del luogo esce una pece nera … Ce n’era un lago intero anticamente, e sopra alla montagna ci sono numerose Ville: Ambelo, Chilomeno, Agalà, San Leo, Santa Marina e altre da più di mille fuochi … Ci sono anche tre Monasterij lì in alto sulla Montagna: quello di San Giovanni in Lanicada dei Calogeri-Greci; quello della Madonna Spiliotissa o Anasonitra, e quello di San Giorgio dei Grèbani ch'è il più grande.”

“Zante qui è piena di Cittadini, Mercanti, Artigiani, e Marinari che vivono e s'arricchiscono soprattutto con i traffichi, come noi … Frà loro vivono con liti, risse, e inquietudini: quelli delle Ville, che odiano i Cittadini Nobili ricchi; mentre la Plebe più bassa vive pure lei de negozii maritimi, andando in tempo di pace a guadagnarsi il vitto fino alla Morea, e in altri luoghi Turcheschi ... La maggior parte degl'habitanti qui sono Greci, con pochi Latini quasi tutti Soldati, e mille Hebrei stretti in tre Sinagoghe …”

“Quelli di qua sono gente più inclinati all'armi, ch'alle lettere: pochi s'applicano alle Scienze e allo studio delle Leggi divenendo eloquenti Oratori e bravissimi Causidici ... Hanno un particolar Consiglio, dal qual'estraono coll'intervento del Regimento huomini, che siano soprastanti alle Vittuaglie, alla Sanità, e a tutti gl'altri Ufficij per il governo della Città, i Dacii, e il resto … Giudicano ancora in Civile fin'a certa summa, essendovi l'appelazione al Proveditore, che sarebbe un Gentiluomo mandato qui dalla Serenissima … Poi ci sono anche i Consiglieri, che durano tutti nell’Ufficio per ventiquattro mesi…”

“Questi popoli stanno volentieri sotto l'Impero della Republica di Venezia, perchè con grossa armata li difende dall'incursione e dai maltrattamenti de Turchi, e perchè gl'è permesso praticar i Riti Greci, da quali vantano la loro origine ... In quest'Isola però non c'è Hospitale di sort'alcuna … e v'habitano ancora molti Eretici: Inglesi soprattutto.”

“Qui al Capitano Generale da Mar Gerolamo da Ca’Pesaro hanno chiesto di costruire Squeri per la Marina dell’Isola … Sono già piena di case e magazzini ovunque ... e adesso vorrebbero anche farsi un Arsenaletto … Venezia non lo concederà di sicuro.”

“Qui a Zante è la produzione e il commercio dell’Uva Passa che influenza tutto ... Giovanni Barbarigo e Andrea Priuli, Rettori di qua, hanno mandato a dire al Senato di Venezia che qui c’è una proliferazione incontrollabile dell’Uva Passa, e che si fa di tutto per non pagare Dazi e Decime ... Per i commerci dell’Uva si trascura anche di produrre il grano mettendo dappertutto vigne .. I bene informati raccontano che la Decima del Frumento è scesa da 3.000 a 1.400 ducati … Non è servito a niente denunciare, confiscare e multare. Zante in passato produceva 40.000-50.000 stara di Frumento l’anno, mentre ora ne produce solo 20.000: meno della metà ... E’ incominciata una vera e propria carestia di Grano: non si riesce più a rifornire adeguatamente le truppe, si è passati a distribuire avena e miglio, e i Soldati pagati in questo modo non sono affatto contenti … Francesco Soranzo ha detto che le Granaglie di Zante e Cefalonia bastano appena per 5-6 mesi l’anno, e che si è dovuto creare un deposito per “provision di biave”, che è già diventato insufficiente … Nessuno poi ne cura la gestione … Bernardo Contarini dice che si è costretti a comprare Grano a prezzo elevatissimo all’estero: a Danzica in Polonia, in Inghilerra, e perfino dalla Morea Turca, nonostante i pericoli e le ostilità.”

“E ti meravigli ? Per un campo d’Uva Passa si guadagnano 60 ducati e più, mentre per uno coltivato a Frumento ne prendi solo 7-8 ... La produzione e il commercio dell’Uva Passa sono cresciutissimi: avranno un valore di almeno 60.000 ducati … Fra Zante e Cefalonia si ricavaveranno ogni anno almeno 3-4 milioni di sacchi di Uva Passa … E’ una merce stimata quanto il Pepe ... Non mi sembrano sprovveduti quelli di Zante.”

"Qui ogni anno a fine estate giungono Inglesi, Francesi, Genovesi, Ragusei, Napoletani, Messinesi, Anconitani e Pugliesi a cargare Uve portandole ovunque, e pagando lo stesso Dazio dei Veneziani ... Un un tempo Venezia tassava due volte l’Uva Passa: quando usciva dalle Isole per andare all’Emporio di Rialto a Venezia, e quando da Venezia partiva per tutta l’Europa via terra e via mare ... Adesso il traffico non è più in mano dei Veneziani, ma è gestito da tanti che commerciano anche direttamente col Turco in Uve, Seta, Tappeti, Galle, Filati, Cotoni e Cordovani  … e questo più che spesso accade a discapito dei Veneziani, di cui non usano più neanche le navi ... Servirebbe una revisione di Tasse e Dazi, e un rinnovo, e un maggior controllo di coltivazioni e commerci ... di tutto ... anche della navigazione.”

“Venezia forse non è più capace di provvedere come servirebbe.”

“Purtroppo …”

“Pensa che il Nobile Lorenzo Cocco, che è Mercante, ed è stato anche Rettore di Zante, ha raccontato a Venezia che i Mercanti Inglesi vengono a risidere qui a Zante con case, navi e vascelli per controllare direttamente il traffico dell’Uva Passa … Trafficano in Grano, Seta e altro, e danno da vivere ad almeno 200 famiglie ... Pagano in anticipo i coltivatori prenotandosi il raccolto, corrompono e minacciano gli Ufficiali del Fisco di Venezia, per cui non c’è più controllo e adeguata sorveglianza ... Gli Inglesi ormai hanno in mano tutto il trafficano dell’Uva Passa col Levante, caricano all’inverosimile le loro navi, e fanno di tutto per cercare di non pagare la Nuova Imposta di Venezia … Il Fontego dei Grani, che io sappia: è quasi vuoto del tutto.”

1584: dalla relazione al Senato di Venezia presentata da Antonio Venier tornato da Zante. Parlando della poca sicurezza della acque del Levante, diceva: “… un buon numero di Marineri tutti cero valenti uomini et molto esperti di mare, li quali non mancano di continuar et frequentar il traffico et navigation con le loro fregate nella Morea, Sicilia, Candia et ogni altra parte, ma a molti di essi giudico convenirseli piuttosto il nome di Corsari et ladri che di Mercanti, poiché non mancano ben spesso di commettere infiniti latrocinij nelle parti di Morea et a questo modo turbar la quiete…”

La Galea Martana quindi ripartì di nuovo, ma girato il Cergo, venne avvicinata da due Fuste sospette e ostili che iniziarono a stringerla in mezzo. Privi di aiuti da chiunque, quelli della Martanainiziarono a difendersi sparando con le petrère e le bombarde dei soldati Morlacchi e Albanesi di bordo, mentre i Corsari dopo essere rimasti a lungo indifferenti e in attesa, si portarono a tiro iniziando a colpire con efficacia i Veneziani.

Dopo un breve quanto infruttuoso ingaggio, la Martanadovette arrendersi, e venne catturata da Ali Renegado e Mohamed Giaffer da Genova, noti Corsari passati sotto il comando dell’Alcorano Rais delle Fuste.

Presa la Galea, e buttati a mare morti e feriti, si perquisì tutta la nave mettendo tutti in catene. A Mercanti, Comito e Cerusicofurono sottratti 40.000 ducati in contanti imbarcati a Venezia per comprare Spezie, e si fece bottino delle poche merci caricate a Zara, Corfù e Ragusa.

La prospettiva per tutti era quella o d’essere venduti come schiavi, o che si chiedesse un riscatto a Venezia per la liberazione dei Nobili e Mercanti imbarcati.

Infatti, dopo aver fatto navigato verso Chio e Scio, quasi tutto l’Equipaggio venne venduto. Alcuni Rematori e Marinai Morlacchi e Schiavoni si convertirono all’Islam, e passarono quindi a lavorare su navi Turche. Altri, invece, chiesero a casa d’inviare somme per essere liberati entro l’anno.

Si quantificarono i riscatti da chiedere per i Nobili Veneziani: diverse lettere al riguardo vennero consegnate a Candiatramite un Anconitano al servizio dei Genovesi.Luca Venier venne stimato 900 ducati, Marco e Gregorio: 800 e 750, i due Mercanti Anziani: 2.000 ducati ciascuno.

Fra Milo ed Antimilo quel che rimaneva della Galea Martana venne abbandonato sapendo che qualcuno l’avrebbe restituita a Veneziaricevendo soldi in cambio, ed evitando la cattura ... Poi tutti: Mercanti, Comito, Cerusico, Scrivano e rimanenza dell’Equipaggio vennero imprigionati nell’Isola di Calamotta controllata da Chair El Muscat, e messi ai lavori forzati in una manifattura di Cordami.  Se riscattati entro l’anno, El Muscat si sarebbe preso il 12% del riscatto, altrimenti tutti sarebbero stati venduti ai Genovesi, che avevano sempre bisogno di Marinai e Rematori per le loro navi. Gli stessi canapi della Manifattura, d’altronde, venivano anch’essi venduti al Genovese Eliano Fieschi, che se ne serviva per le grandi navi liguri armate d’altura.

Luca Venierdovette combattere non poco per salvare “vita, robbe e fagotti suoi …” Fu l’unico della Galea Martanache provò a reagire e a inventarsi qualcosa per uscire dalla situazione incresciosa e fallimentare in cui erano finiti. Provò prima a familiarizzare con Diotima: una donna del posto, che raggiuse più volte di notte facendosi sciogliere la catena dal carceriere al quale promise una buona somma. Al mattino il Venier rientrando si autolegava alla catena tornando alla sua prigionia ... Poi insieme alla stessa donna provò a fuggire di notte su una barchetta verso Creta. Fu lo stesso padrone della barca a farlo catturare e riprendere dal Chair, che ripagò il carceriere con 30 frustate. Luca quindi venne venduto a Smirne, e poi rivenduto di nuovo al di là del Monte Pagus, dove di lui si perse definitivamente ogni traccia ... Dispero per sempre.

La donna Diotima, invece, finì “in uso”al padrone, e dopo di lui passò ai suoi servi, finchè trentenne, venne venduta come domestica a un Greco di Rodi … Fine della storia dell’avventurosa amante di Luca Venier ... e di lui stesso.

Per alcuni degli scampati alla Morte della Martana, infine, venne pagato il riscatto, e poterono così tornare a Venezia, e ripresentarsi a Rialto nell’agosto 1475 dopo un lungo soggiorno a Cipro ... Fine quindi anche della storia di quelli della Galea Martana.

Più tranquillo e meno travagliato forse, anche se non meno complicato, fu, invece: il viaggio della Galea Contarina.

La Contarina fece un viaggio in Fiandra e Inghilterra nel 1504 partendo da Venezia dopo la sospensioneper due anni dei Convogli della Muda causati dal pirata-corsaro francese Colombo (Cristoforo Colombo ???), che catturò le Galee capitanate da Bartolomeo Minio. In quegli stessi anni per via dei Corsaric’erano stati fallimenti a catena dei Banchi Veneziani, e quindi di finanziamenti ad eventuali nuove spedizioni commerciali non se ne parlava.

Nell’agosto 1498 però c’era stata una ripresa: la Galea di Fiandra aveva caricato oltre 100 balle di Spezie, 280 botti di vino, 328 coffe di rami lavorati destinati alla Sicilia, 160 casse di sapone, qualche balla di panni per la Sicilia ed altre cose minute. Venezia era abituata ad esportare verso le Fiere e i Mercati di Fiandre e Inghilterra: spezie, panni di seta, camelotti, cotoni filati, fustagni veneziani e cremonesi, bassette, uva passa greca, zafferano, galla, guado, allume di rocca, sapone. Passando per la Sicilia poi, si poteva aggiungere: zuccheri, coralli, cotone, seta greggia, zolfo.

Nel maggio 1503 poi, s’era finalmente stipulata di nuovo la Pace col Turco dopo quattro anni di guerra ... Ci poteva essere congiuntura storico-economica più favorevole per ripartire ?

Nel febbraio 1504 però, le Galee da Alessandria, cosa inusitata, erano tornate a Venezia senza portare Spezie. Partite già “povere”, cioè con soli 40.000 ducati contanti, 268 coffe di rami e poche merci, in Egitto avevano trovato poche Spezie a prezzo elevatissimo. Fra gli appaltatori di quel viaggio sfortunato che aveva mandato diversi in rovina, c’era anche Francesco Contarini, che con altri implorò il Senato d’essere esentato dal pagamento di un “sospeso” con l’Arsenale di 500 ducati.  

A marzo erano tornate senza Spezie anche le due Galee di Soria(Siria), portando solo un po’ di Seta greggia e Grano e pochi Pannilana.

Insomma: il traffico col Levante ristagnava e stentava a ripartire, anche per il fatto che i Porteghesi avevano aperto quelle nuove Rotte commerciali con l’India dirottando buona parte di carichi e merci verso i Mercati di Lisbona ... Il quadro economico e gli equilibri commerciali del Mediterraneo stavano di certo cambiando, e Venezia stava proprio in mezzo ... Che le avrebbe riservato la Sorte ?

Di sicuro serviva osare … In gennaio era corsa voce che erano arrivate in Inghilterra ben 5 navi Portoghesi da Calicutche avevano invaso il mercato di merciprovocando forti ribassi, e quindi pochi guadagni.

In marzo allora, per affrontare la fosca prospettiva si avanzarono diverse proposte in Senato: allestire Convogli e Mude per i Mari del Nord e la Soria, o navigare ancora sulle rotte delle Fiandre?

Alla fine s’era deciso per le Fiandre e l’Inghilterrasulla spinta dei Nobili Mercanti e Senatori Veneziani che avevano i Fondaci più pieni da smaltire, o più vuoti da riempire.

In maggio finalmente erano arrivate buone notizie dall’Inghilterra: dove una Galea stava partendo carica di 300 balloni di Lana greggia lasciandone molta altra a terra. Siccome c’era carenza di Grano, quello stesso Convoglio giunse a Venezia in ottobre portando barili pieni di Grano al posto del Vino Siciliano che s’aspettava.

Alla fine, vinto ogni tentennamento e fiducia e sfiducia, si allestì e mise in mare la Contarina spendendo circa 516 ducati in Arsenaleper alaggio, calafatare la Galea e tutto il resto. Vincenzo Cappellovenne nominato Capitano della Muda delle tre Galee, e si assunse poi l’Equipaggio come il solito “mettendo Banco in Piazza con bandiere, Musica e tutto il resto”.

A fine luglio però, le Galee stavano ancora ormeggiate in Bacino di San Marco, tanto da suscitare il disappunto del Senato, che ordinò perentoriamente di sbrigarsi. S’era ammalato il Capitano Cappello, che venne sostituito da Marcantonio Contarini, già abile Capitano del Golfo in precedenza.

A inizio agosto 1504 finalmente, la piccola Muda, caricati 17 sacchetti di denaro, e 12 casse di Libri a Stampa, e pagato il Dazio di 3 ducati d’uscita da Venezia, si mosse e partì … Era stato una specie di parto quella partenza con tutta quell’indaginosa e infruttuosa attesa.

Le navi andarono per primo a sostare a Pola dove pagarono 4 ducati al Pilota che le aveva accompagnate fin là, e a Pola si spalmarono di sego tutti gli alberi delle Galee.

A metà settembre le Galee erano già giunte a Messina, dove incontrarono quelle di ritorno a Venezia partite dal Ponentel’anno prima. Lì si pagarono 9 ½ ducati per approdare, e s’assunse per 20 ducati un nuovo Pilota esperto conoscitore del Tirrenoe del “Mar del Lion”, che avrebbe guidato le Galee fino a Cadice in Spagna ... Tutto sembrava procedere per il meglio … Senonchè, fra Messina ePalermo una tempesta travolse le tre Galee, che persero in un colpo solo: vele, antenne e pennoni, e tutte le merci caricate in coperta.

I Veneziani non si scomposero: cose del genere erano preventivate … Per cui, giunti a Palermo quindi, pagati gli 8 ½ ducati di Dazio d’Entrata, si provvide ad aggiustare le Galee, e a caricare PanBiscottocomprandoli da un Veneziano che abitava e lavorava là. Poi finalmente si proseguì per Maiorca, Gibilterra e Cadice, dove s’arrivò coltempo favorevole e il mare buono alla fine di ottobre.

A Cadice, si pagò ancora 4,1 ducati di Tassa d’Approdo, e salirono a bordo altri due nuovi Piloti assunti “andata e ritorno” per il tratto del “Mar di Spagna”. Il Pilota Grande rimase con le Galee fino al ritorno a Cadice, e costò 161 ducati in tutto: 90 di stipendio, altri 10 per il suo “portà”, 56 per le trasferte, e 5 ducati per una vezzosa casacca di Raso da indossare in faccia all’Equipaggio. Il Pilota Piccolo, invece, servì alle Galee solo per l’andata, e costò in tutto 50 ducati: 40 di stipendio, 5 “del suo portà”, e 5 di trasferta per 20 giorni a terra.

La Galea Contarina ovviamente partecipò per la sua parte pagando 1/3 di tutte le spese.

Il 7 novembre, dopo 3 mesi e un viaggio veloce quasi da record, la Galea Contarina da sola arrivò a Southampton sulla costa meridionale Inglese: Porto per le Fiandre e sede del Console Veneziano. Si respirava un’atmosfera di grande incertezza, i traffici con Venezia andavano in calando: erano 1/3 a confronto con quelli dei tempi migliori, e le acque non erano molto sicure.

Si pagarono comunque i 2,1 ducati di Tassa d’Entrata in Porto, e a seguire: s’affittarono alloggi a terra per Ufficiali e Patròn della nave in attesa d’essere raggiunti dalle altre due Galee: la Charity e la Julian, che avevano scaricato strada facendo 436 botti di Malvasia provocando un conflitto doganale fra Venezia ed Enrico VII.

Poi di nuovo pagando 14 ducati ½ a un Pilota abile nel superare il Banco di Santa Catarina, si proseguì per Flessinga sulla foce della Schelda occidentale, e verso i Paesi Bassi. Da Flessinga, cambiato Pilota un’altra volta, le Galee risalirono il fiume attraversando diverse città Belghe fino a raggiungere Anversa: città che stava sopravanzando Bruges nei traffici con Venezia.

Ad Anversa quelli della Muda delle Tre Galee si fermarono per 2 mesi e 8 giorni per raddobbare gli scafi, affittando un magazzino per gli attrezzi e alloggi per gli Ufficiali. Quelli della Contarina acquistarono per l’Equipaggio: 16.500 pagnotte di pane fresco distribuite 2 al giorno. Poi, siccome era Natale, si provvide anche ad assoldare un Cappellano perché celebrasse le Funzioni delle Feste, e si diede anche una mancia a dei Cantori, che si presentarono il Giorno dei Santi Innocenti (28 dicembre).

La Contarina fece pochi buoni affari ad Anversaripartendo con poco carico. Furono più le merci proibite di contrabbando che fecero felici pochi.

Poi, caricati 2 battelli di zavorra a Remua presso Middemburg, si prese la via del ritorno a Venezia.

Di solito si usava fermarsi 6 giorni a Cadice, 6 a Maiorca, 12 a Palermo, e 4 a Messina.

A Flessinga si arruolarono di nuovo i Piloti per la Schelda e il Banco di Santa Caterina, e il 1 aprile si approdò di nuovo a Southampton dove si prese in affitto per 3 mesi un magazzino, e di nuovo casa e camere per gli Ufficiali. Dal 4 aprile al 5 giugno la ciurma consumò 17.000 pagnotte fresche.

La Contarina subì numerose riparazioni, venne spalmata un’altra volta con sego e sapone nero, ma stavolta le stive vennero ben riempite di merci per un nolo di 17.000 ducati comprando: 9.000 pezze di PanniLana: un buon affare tutto compreso.  

Su tutto però si dovette pagare “un’angaria” di 4 denari gravando sul valore complessivo della merce per 5.000 ducati. Inoltre gli Inglesi sequestrarono una parte delle merci importate clandestinamente da Anversa: soprattutto le tele di lino prese dall’Ammiraglio e dai Nobili Veneziani.

Il 14 giugno, quattro giorni prima della partenza, non si era ancora riusciti ad ottenere la restituzione di quel “maltolto”, ma, ieri come oggi: donando Acqua di Rose, Susine e altri regali ai Doganieri, si ottennero indietro le merci contrabbandate.

Poi finalmente si ripartì verso Venezia … ma per tornare subito indietro per via dei venti contrari della Manica e dell’Atlantico, che costrinsero le Galee a trovare rifugio nel Porto di Huie(Wight).

“Quando Dio volle”, cioè il 26 luglio, guidati dal “Pilota Grande” le Galee arrivarono a Cadice dopo aver fatto spese a Villa Bruxà di Torres in Galizia.

Ingaggiato di nuovo un Pilota del Mar di Lion, si giunse a Messina pagando di nuovo Tasse Consolari e Portuali, offrendo donativi ai Doganieri, e acquistando viveri a Iviza, Maiorca e Palermodove la Contarina fece un grosso rifornimento di PanBiscotto.

Il pagamento dei numerosi Piloti assunti durante tutto il viaggio vennero a costare in tutto: 306 ducati, e si spesero altri 55 ducati in Tasse e Dazi d’Entrata in Porti e Città.

Nelle acque Siciliane un’altra tempesta disperse e divise, tanto per cambiare, la Contarina dalle altre due Galee, che arrivarono da sole a Venezia il 27 ottobre. La Contarina, invece, prese a bordo a Messina un Pilota di Schiavonia per 10 ducati, e navigò fino a Parenzo, dove giunse 4 giorni dopo aver toccato Corfù.

Bella Corfù ! … Isola davvero singolare ! … Si sprecarono i discorsi seduti ai tavoli nelle Bettole del Porto, e girando per i meandri della Piazza e del Mercato: “Come vedi, Corfù è un altro bel posto: una bella Isola … E’ il Reggimento Veneziano di Kerkyra: una sorta di Capitale dell'Arcipelago Ionio ... Sta arroccata tra le inaccessibili Fortezze Vecchia e Nuova costruita dai Veneziani ... Anche Corfù è una specie di piccola Venezia per via delle antiche tracce Bizantine lasciate ovunque ... Sta in coda al Golfo di Venezia, bagnata dallo Ionio … Sembra una gran falce un tempo abitata da leggendari Giganti … Da Capo d'Otranto dista circa 60 miglia dal Levante, e 700 da Venezia … E’ divisa in quattro parti chiamate Balie o Baliati … La Porta Reale dietro il Rivellino fronteggia il Borgo di San Rocco sollevandosi in magnificenza … Sembra concorrere di pari con le fabbriche più illustri de' Romani e de' Greci ... Inizialmente è stata costruita in forma rotonda, quindi in forma triangolare, e protegge le cortine e i baluardi dal fuoco degli assedianti …  La Piazza ha due cisterne nel mezzo copiose d'acqua e ricche per gl'intagli e le figure che le rendono più belle."

“In realtà Corfù è stata prima Romana, Bizantina, Normanna e Genovese … Soltanto dopo è diventata Veneziana dal  1204 con la Quarta Crociata quando si sono spartiti i resti dell'Impero Bizantino.”

“Veramente sarebbe più giusto dire che Corfù è diventata Veneziana qualche anno dopo ancora, quando i Veneziani hanno spodestato il Conte Leone Vetrano dei Genovesi. E’ allora che l'isola è stata divisa in dieci parti, che sono state assegnate a Nobili Veneziani.”

“Poi c’è stata la storia del despota d’Epiro: Michele Ducas, che si è preso l’isola, e ha costruito fortezze lungo tutta la Costa Albanese per difendersi dalle incursioni dei Pirati, che erano Genovesi in realtà ... Poi quando s’è sposata sua figlia, Corfù fece parte della sua dote, e quindi a Manfredi di Svevia, e fu tutta un’altra cosa … Poi Manfredi venne ucciso da Carlo d’Angiò, e tutto divenne Napoletano … Poi tutto passò al Principato di Taranto … Sono state storie su storie.”

“Alla fine ne approfittarono di nuovo i Veneziani nel 1386, quando hanno vinto Genova con i suoi Pirati, e si sono presi le coste Albanesi e Greche. In quell’occasione con un imponente esercito guidato dal Signore di Padova Francesco da Carrara hanno assediato Corfù, che alla fine si è arresa, e i Veneziani se la sono comprata dal Re di Napoli Ladislao II dandogli 30.000 ducati d'oro.”

“I Veneziani però sono stati miti e benevoli con i Corfioti: gli hanno concesso ampi privilegi, confermato Ordini e Statuti, e si sono inventati accordi con le potenti Baronie che gestivano l'isola ormai da molti anni ... Poi hanno mandato sei Nobili Veneziani a reggerla di volta in volta per 24 mesi. A Corfù c’è il Bailo di Venezia, il Proveditore e Capitano, e ci sono i Consiglieri, che stanno nella Fortezza Vecchia e in Città, dove c’è il Capitan Grande nella Fortezza Nova … C’è anche un Castellano nel fortissimo Castello della Campana della Città Vecchia ...”

“In città però regna di fatto l’antica Aristocrazia, che consente l'accesso al Maggior e Minor Consiglio, ai quattro Baliati del Distretto, al governo delle Isole di Passo e Antipasso, e ai Borghi di Butrinto, Parga e della Terraferma, e a qualsiasi altra Carica Pubblica solo alle Famiglie Notabili iscritte al Libro d'Oro … Praticamente a Corfù tutto continua ad essere in mano agli antichi Baroni Francesi e Napoletani.”

“Corfù comunque è una buona piazza commerciale. Produce Sale destinato alla Terraferma Veneta, Greca e Montenegrina … E’ punto d'incontro dei traffici mercantili del Mediterraneo e dell'Adriatico, e offre merci provenienti da Moldavia, Valacchia, Peloponneso e Albania ... I rapporti tra Corfù e Venezia a volte sono stati molto tesi per via dell'esosa fiscale imposta dalla Dominante, tuttavia la Serenissima ha saputo favorire e contribuire allo sviluppo economico e commerciale dell'isola permettendole una florida agricoltura, e buoni Uliveti ... Gli abitanti di Corfù alla fine hanno combattuto al fianco dei Veneziani a Parga e a Butrinto nel 1454, e all'Istmo di Corino e Patrasso nel 1462 ... I Provveditori Veneziani dicono di continuo che: “Corfù è chiave di Stado della Signoria nostra zercha le cosse marittime ... Chiave de questo illustrissimo Stado et il schudo di tutta la Christianità."

“Infatti Corfù ha il titolo di Archiepiscopato … da cui dipendono anche i Vescovi di Zante e Cefalonia.”

“Si … però tutto dipende dall’antico Patriarcato di Costantinopoli, che ha cercato d’instaurare una Gerarchia Cattolica mandando via gli Ortodossi. Poveri ! … Sono rimasti in Isola con un semplice Protopàpas, che però viene eletto da Preti e Laici Cattolici ... E’ sembrata quasi una presa in giro per gli Ortodossi …”

“Infatti si sono sempre stati diversi malcontenti fra i Corfioti … A volte a Corfù c’è davvero un clima molto acceso … Il Clero Greco Ortodosso, infatti è rimasto numerosissimo e diffuso nelle campagne dell’Isola, mentre quello Latino sta solo in città e sulle navi dell’Armata. A volte durante i Riti e le Cerimonie Civiche nascono vere e proprie baruffe e liti furibonde … Per stupidaggini poi:  si disputano, ad esempio, la precedenza sul corteo all'ingresso di un nuovo Provveditore Generale, o chi debba omaggiarlo per primo … Sembrano cose da poco, ma a volte le discussioni prendono pieghe e toni imprevedibili molto pericolosi: si mettono le mani addosso, e volano botte da orbi …”

“E’ vero: come quando hanno deciso la traslazione delle Reliquie di Sant’Arsenio dal vecchio Duomo della Cittadella, a quello nuovo di San Giacomo in città ... Tira e molla, e molla e tira: mezzi Corfioti voleva spostarlo, altri mezzi: no … Sono dovuti intervenire i Soldati, e ci sono stati feriti, e ci fu un gran subbuglio per tutti ... C’era chi voleva dar fuoco al Porto e alla città.”

“Sono le storie delle Isole … dove a volte le cose piccole vengono ingigantite fino a farle diventare questioni di vita o di morte … Si finisce per scambiare Formiche per Elefanti … E’ il solito discorso: sono le pieghe della Storia che si sovrappongono …”

“E noi per fortuna ce ne stiamo qui adesso: sani e salvi, a gustarci questo amabile bon gòtto de Vin Grego … Viva San Marco !”

“Viva San Marco col nostro Leòn !”

“Viva Venezia !”

Secondo altre Cronache Veneziane ancora:“Nel 1537 vennero 25 mille Turchi commandati da Barbarossa sopra l'Isola alla Campana della Città Vecchia per ordine di Solimano con 30 pezzi d'Artiglieria. Ergerono quattro Cavallieri, gl'armorono di cannone; ma per la distanza non poterono le palle far brecchia nella muraglia. All'incontro l'artiglieria della principal Fortezza faceva gran strage di Turchi: cinque Galee si sommersero, e quella del Barbarossa restò colpita da cannonata. Fu mandato a Roma un Estraordinario all'Ambasciatore Veneto, acciò rappresentasse al Papa, ed il Papa all'Imperatore, quanto danno havrebbe apportato la perdita di Corfù a Napoli, alla Puglia, alla Sicilia, ed à tutta l'Italia, e ch'oprasse, che l'Imperatore unisce cinquanta Galee, e cinquanta Navi, alte volte esibite contro il Turco, alle cento Galee, alle Galeazze, ed'altrettante Navi, e tre Galeoni della Republica ... Agrradì il Pontefice tal'officio, e procurò tosto d'aiutare la Christianità, ma senza frutto … Ad'ogni modo la Republica seppe far fronte all'Ottomano, forzò li Barbari ad una vergognosa ritirata, rimanendo libera senz'altr'aiuto Corfù, Piazza di tant'importanza.” 

Dopo la perdita di Candia (Creta) Corfù venne addirittura soprannominata dai Veneziani "Porta del Golfo": nodo strategico e commerciale, luogo simbolico della  continuità del potere Marittimo Veneziano.

A Corfù quelli della Contarina non conclusero alcun affare. Si accontentarono di bighellonare per le strade, la Piazza e le Osterie del Porto, prima di ripartire per Curzola e Lesina, e poi per Veneziache avevano fretta di raggiungere. La strada fu brevissima: la coprirono quasi in un lampo a remate spinti da vento favorevole ... Si pagarono gli ultimi 6 ducati finali d’Entrata in Laguna, e la Contarina approdò finalmente sui Moli di San Marco a Venezia.

Il viaggio era durato in tutto: 14 mesi, mentre di solito le Galee di Fiandra impiegavano il doppio di tempo “con estrema ruina dei Patroni”… Stavolta era andata bene: era stato un piccolo successo economico-commerciale. Un altro episodio da ricordare delle Mude delle Galee, e della Marineria NavaleVeneziana.

Però … Le Galee aveva l’obbligo di registrare tutto quanto trasportavano, vendevano, compravano e consegnavano, e anche i relativi Dazi che erano tenuti a pagare. Sui “Noli delle Merci” esistevano delle precise tariffe stabilite dal Senato Veneziano, riscosse in Laguna dagli Estaordinari, e durante il viaggio dal Capitano della Galea.

A Venezia sull’operato della Contarina sorsero numerose controversie con la Vigilanza Marittima. Si rilevò che: “a danno della navigabilità si era caricata merce in luoghi vietati sia sotto che sopra coperta, contravvenendo alle regole del Senato del 1491, che proibiva di aumentare l’altezza delle file di cassoni disposte in coperta lungo le corsie, e di trasportare botti sopra coperta, né di sloggiare dalla stiva prodiera sartie e vele per porvi merci.”

Quelli della Contarina non avevano rispettato le imprescindibili regole della Serenissima a discapito del successo dell’intera Spedizione, dell’Assicurazione, e dei diritti dei Nobili e dello Stato che avevano voluto e finanziato quell’impresa. Marcantonio Contarini provò timidamente, “non senza una certa bòria” a giustificarsi davanti al Doge in persona ... Venne subito rimbrottato e messo a tacere: come osava ?

I tre Patron delle Galee vennero quindi condannati a 10 anni di esclusione dalle funzioni di Patron e di Capitanato, a un’ammenda di 300 ducati, e alla confisca dei noli indebitamente percepiti con quei carichi irregolari … Brutta faccenda.

Il 14 maggio 1506 però, venne ritirata la sanzione-delibera per Patroni, Capitano e Galee ... Tutto compreso la Spedizione della Mudanon era andata così male … Venezia sapeva essere anche remissiva …. E così si mise termine del tutto al viaggio della Galea Contarina, e tutti andarono a spartirsi gli utili della spedizione, affogando dispiaceri e brindando nelle Osterie di Rialto, sperando in un’altra prossima eventuale e fortunata partenza.

 

Venezia 1500: da stelle a stalle … andata e ritorno.

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#unacuriositàvenezianapervolta 310

Venezia 1500: da stelle a stalle … andata e ritorno.

Se la consideri sembra un’epoca strampalata e fascinosa quella vissuta dai Veneziani, quasi una febbre irrefrenabile da cui non intendevano affatto guarire … Durante il 1500 la Serenissima era smaniosa più che mai, stava forse all’apice del suo splendore, nonché toccando il successo economico all’interno dello scenario Europeo e Mediterraneo ... Pochi erano come lei.

Per fortuna però, c’erano i fatti quotidiani che la ridimensionavano riportandola alla realtà spicciola delle cose: quelle vere, che non si possono né si devono trascurare … Gira e volta, insomma, in Laguna era il Vivere quello che contava per davvero. Ieri come oggi.

S‘era comunque avviata nella Città Lagunare una diffusa e dorata Rinascenza dei modi, gusti e costumi, che coinvolgeva un po’ tutti, e s’esprimeva anche in una fattiva Rennovatio Urbis. Si stava smontando Piazza San Marco, ad esempio, per riconfigurarla e farla Risorgere infinitamente più bella e lussuosa di prima: un vero e proprio “Salotto dei Veneziani, la Sala più bella: quella delle Feste”… Missione compiuta, direi, nel vedere ancor oggi quanto i Veneziani di allora ci hanno lasciato … In quegli anni, lo sapete meglio di me, si realizzarono: la Zecca in Piazza, la Torre dell’Orologio, si mise mano alle Procuratie Vecchie costruendovi di fronte quelle Nuove, poi si andò a toccare il Ponte di Rialto, le Mercerie, e le mille Chiese, soprattutto quelle Monastiche, che divennero nel volgere di un secolo belle come scrigni di pietre preziose … E che dire poi dei Palazzi dei Nobili ricchi e potenti che non volvano essere da meno delle chiese … e di tanto altro in giro per la Città ?

Tutto insomma: doveva diventare Bello, e lo divenne per davvero. Una Città“dalle mille e una notte”, qualcosa d’indimenticabile per chi ci viveva, e per chiunque vi avesse messo piede.

Con tal proposito si smontò, dicevo, anche buona parte della Piazzetta di San Marco, dove davanti a Palazzo Ducale: dietro, sotto e accanto a una vecchia fila di portichetti sorgevano affacciate sul Molo-Porto di San Marco tutta una serie di Osterie e Locande. C’era quella: “All’Insegna del Cappello Nero nel Sottoportico e Calle presso la Panateria”, che era di proprietà della Basilica di San Marco, anche se veniva amministrata come quasi tutte le altre dai Procuratori di San Marco De Supra. La Locanda al “Cappello Nero” era famosa per il suo storico gran via vai di meretrici. Era capitato proprio lì il tristo fatto del Capitano Turco Jusuph, che venne condannato poi a vita alla prigione Catolda per aver sodomizzato un ingenuo garzone. Solo l’intervento diretto del Sultano gli ottenne la Grazia salvandolo da morte certa ... Sempre là, nei pressi del “Cappello Nero”, a inizio estate 1515, poco dopo la Fiera della Sensa in Piazza, era stato esposto al pubblico curiosissimo accorso in massa: Jacomo. Era un giovane quattordicenne venuto dalla Piccardia, dal cui petto e stomaco usciva straordinariamente un'altra creatura:“col membro viril per dove el pissa, et piedi, quali li tien retrati, et di le braze dimostra fuora come do dedi un poco longi. Altro non ha, nè ha il buso da drio; et questa cossa si passe di liquor che’l zovene manza et poi pisa fuora … et si pagava uno soldo chi voleva vederlo, et teniva una bandiera in tella fuora con questo monstro dipento …”

Un mostro orrendo ! … O forse: no … Uno dei tanti fenomeni da baraccone e da ciarlatani da Fiera, al quale la Serenissima, burla o no che fosse, intimò di lasciare immediatamente Venezia.

Sempre lì in Piazzettadavanti al Palazzo dei Dogi, sorgeva anche l’Osteria-Locanda: “la Casa del Selvàdego”, che dovette spostarsi “in cào de Piazza”. Era condotta da Piero De Lombardi, e frequentata spesso da gente discutibile, anche se Nobili. C’erano poi l’“Osteria del Leone”, il “Cavalletto”, e la “Luna” d’origine antica, ch’era proprietà deiCavalieri Templari, come lo era il piccolo complesso diSanta Maria in Broglio, anch’esso situato “in bòca de Piazza”.

“Cavalletto”, “Luna” e “Leòn”: specializzata nell’ospitare Ambasciatori stranieri, furono tutte indotte a traslocare perché su quella prestigiosa location della Piazzetta di San Marcola Serenissima intendeva innalzare una gran Libraria degna della Città. Come ben sapete, e come felicemente si può notare ancora oggi: lì sorse la magnifica Biblioteca Marciana… Opera stupenda di sicuro.

“Cavalletto” e “Locanda del Leon” si spostarono allora in Campo Russolo o San Gallo, poco distante, mantenendo il nome la prima, e mutandolo in “Leòn Bianco” la seconda. La “Luna”, invece, migrò dietro alla chiesa dell’Ascensione, dove la si può riconoscere tuttora in quella che oggi è detta Calle Vallaresso.

Sempre in Piazzetta accanto alle altre, sorgeva ancora la “Locanda Al Pellegrino”, che tanti dicevano:“Albergo di Satana”, il cui gestore “era unassassin”. Anche “Al Pellegrino” toccò di far fagotto nel 1544, e si spostò nella Calle Lunga della Corazzaria: “1554, 1 agosto. Zuane de Pedrezin da Bergamo tolse una casa et una bottega in Corazzaria, che soleva stare Sjer Bortolomio de Zampiero dai Cordovani, e fece l'Hostaria del Pellegrino per ducati 38 all'anno, et per il primo anno spese ducati 30 per accomodarsi, et in questo tempo si trasportò la detta Hostaria che stava per mezzo il Palazzo.”Osteria sfortunata: prese subito fuoco … e vi tralascio in resto.

Quello delle Locande e Osterie Venezianeera tutto un mondo a parte dentro a Venezia, che più che spesso però non riluceva più di tanto. Era come un instancabile lavorio, un formicaio che in qualche modo finiva col rallentare tutta quella smania di grandezza che aveva preso la Città. Al Ponte della Paglia, ad esempio: sempre giusto sulla Riva e i Moli di San Marco, c’erano le Osterie “Alla Serpe”, “Alla Corona il cui gestore a dir di tutti era un furbo”, e “Alla Stella”: l’antico “Hospicium Stelle de ultra Ponte Pallearum il cui Osto del maltempo andò ad ospitare perfino un’Ambasciata Turca”.  

Locande e Osterie erano tutte luoghi ben forniti di stalle, buoni e comodi servizi, e di “letto guernito”, cioè in gergo: fornito di opportune meretrici disponibilissime a tutte le ore. Sentite le Cronache e le descrizioni dell’epoca: “I forestieri talhora gli rubano la penna del letto … i coltelli dalla tavola … i piatti di peltro … Qui scorgi l’Hosto per cornuto, l’Hostessa per vacca, le figliole per le porcelle, i servitori per assassini, in due parole onde veramente pare che le metamorfosi di Circe sia convertite addosso agli Hosti e non ai forestieri … Qui odi parole di mille ruffianesimi, motti di sfacciatissime Cortigiane, inviti di sciagurate meretrici, sporchezze di lingue disoneste et vili, bestemmie horrende, imprecazioni horribili, giuramenti falsissimi, promesse piene d’ìnganni e di fallacia in tutto … Sugamani stracciati come tele di ragni, i lenzuoli tutti rappezzati, i letti duri come stramazzi, le coperte che san di tanfo per ogni banda …”

Curioso vero ? … E non ci si trovava affatto lontani da Piazza San Marco:la Piazza delle Piazze, “cuore della Serenissima” ... Non che altrove in Città le Osterie e le Locande andassero meglio splendendo per Nobiltà d’Animo e d’intenti. Era tipico della Categoria dell’Ospitalità e del Vino composta da un nugolo di Osti, Canevèri, Tavernieri, Furatolèri, Malvasiòtti e Trasportatori comportarsi in tal modo: cioè in maniera doppia, tripla e interessata, per non dire: spudorata e losca. Si lavorava così, senza sosta giorno e notte, nelle mille Bettole, Sanmarchi, Bàcari, Bastioni e Magazzini sparsi ovunque nella Città.

Nel 1514 a Rialto, ad esempio, quando prese fuoco quasi tutta la Contrada Realtina“con grandissimi danni degli edifici e perdita dei Libri Contabili, e di tante ròbbe dei Mercanti”, c’era Dionisio Malipiero, che oltre ad essere proprietario dell’Osteria al Bò, cioè al Bue, controllava anche altre otto Osterie gestendone ospitalità e relativa prostituzione. Le Donne le ospitava nelle case di Priamo Malipiero a San Mattio di Rialto: “in quadam rugam post Hospitium Bovis”.

Quattro anni dopo, nel 1519, un giovane Prete di San Cassiano entrò una sera di maggio nella stessa Osteria del Bò, e vi s’intrattenne allegramente a giocare a carte in compagnia di amici. Quando uno di loro iniziò a sparare bestemmie, fu presto imitato dagli altri, Prete compreso: “facendo a gara a chi le tirava più sconce” ... La cosa giunse all’orecchio sempre attento del Consiglio dei Dieci, che fece arrestare e punire tutti, eccetto il Prete, per il quale si lasciò la sentenza al Patriarca. Una tantum, il Patriarca non fu tanto remissivo e delicato col suo Prete libertino. Perché fosse d’esempio per tutto il resto del Clero: lo fece tradurre su un peàta (chiatta)per il Canal Grande manifestando a tutti la sua colpa. Poi lo fece scendere a Rialto nei pressi dell’Osteria del Bò, e lì gli fece mettere la lingua in una giova (pressa)… Mamma mia ! … Infine lo fece rinchiudere nella chèba (gabbia)appesa al Campanile di San Marco, dove doveva rimanere per dieci giorni prima d’essere messo in prigione “a pane e acqua” per dieci anni ... Proprio incazzatissimo il Patriarca ! … Punizione esemplare.

La madre del Prete poveretta, si recava ogni giorno ai piedi del Campanile a trovare il suo figliolo per consolarlo, ma gli portò anche il necessario per evadere e calarsi giù e fuggire. L’oselo è ussito di chèba commentarono ridendo i Veneziani il mattino di sei giorni dopo di fronte alla gabbia trovata vuota ... Il Prete dalla lingua mozza era scomparso … e lo fu per sempre.

Dicevamo: che oltre all’Osteria “Al Bò”, appartenevano di fatto allo stesso Dionisio Malipierodi Rialto anche le Osterie: “Al Gambero”, “Alla Croxe”, “Alle Do Spade”, “Al Saraceno”, “Al Melòn”, “All’Angelo” e “Alla Stella”, e forse diverse altre. Tutti sapevano a Venezia delle vicende della Locanda del Gambaro di Rialto, dove un certo Venturino era stato ucciso con più coltellate dai Tedeschi: Armano Cappellaio, Angelino e Leonardo, e da Giacomo, precedente gestore della stessa Osteria. Erano scappati via tutti ovviamente, e tutti erano stati condannati in contumacia a bando perpetuo: col taglio della mano destra sul luogo del delitto, e la decapitazione “frammezzo le due colonne di San Marco in Piazzetta” se solo avessero osato ripresentati in Laguna e a Venezia.

Non era nuova l’Osteria “Al Gambaro” di fatti del genere. Anche nel precedente 1478: Francesco Pincarella, Giovanni Gallina, e Giacomo ab Azalibus, tutti “mezzani d’amore”, avevano ferito “cun uno gladio panesco un Fioravante, ed un Girolamo da Brescia, che con altri compagni stavano giocando alle carte in Hospitio Gambari in RivoAlto”  Avevano poi rubato anche i soldi che stavano sul tavolo da gioco, e s’erano poi eclissati nella notte Veneziana ... Anche loro sarebbero stati tutti “issati sulle forche in Campo delle Beccarle a Rialto”, se solo si fossero azzardati a ripresentarsi a Venezia.

Sempre e ancora dietro a San Zuane Elemosinario di Rialto, andò a fuoco nel 1517 l'“Hostaria de la Scimia che è di le Muneghe di San Lorenzo, et era nova”. Venne prontamente rifatta, tanto è vero che dieci anni dopo ospitò due Ambasciatori dello Zar Vasilij IIIdi ritorno da Roma, dov’erano stati inviati in missione presso Papa Clemente. Sempre lì, a inizio estate 1591, morì di peste l’Oste ventitreenne: Piero di Zuanne di Bernardini.

Poco distante dalla “Scimmia” e dalle “Do Spade” sorgeva anche l’Osteria “Alla Torre” gestita dall’Oste: Vielmo Grigis, che abitava in affitto in una casa del NobilHomo Giacomo Morosini poco distante.Era l’Osteria di Rialtopiù famosa per le sue contese, le risse e le liti causate dal gioco.

E c’era anche l’Osteria “Alla Campana”, che apparteneva e procurava buone rendite … sentite un po’ … alla famiglia dello stesso famoso scrittore-diarista: il Nobile Marin Sanudo: “El stabele qui è molto caro. Testi siamo noi Stanuti che in Pesheria Nuova habbiamo un’hostaria chiamata di la Campana. Sotto tutte botteghe, ed è picciol luogo e tamen di quel coverto si cava più di ducati 800 di fitto ogni anno, che è cossa meravigliosa del grande affitto e questo è per esser in bon sito l’Hostaria; paga ducati 250 che paga più che primo palazzo della terra.”

Anche la“Campana” divenne famosa a Venezia nel 1507, in occasione delle nozze di una figlia di Leonardo Grimani con Alvise Morosini della Compagnia della Calza degli “Eterni”. Il banchetto nuziale che si tenne nell’occasione fu davvero misero per via della nota spilorceria sia dei Grimani che del Morosini... Curioso notare come certi nomi così illustri celavano dietro alla facciata tanta avarizia e pitoccheria.

Gli Eterni della Calzanon persero l’occasione, perciò “dopo aver fatto parecchi guasti a Cà Grimani, pensarono di vendicarsi percorrendo con i fratelli Stefano e Domenico Tagliacalze tutta la Città con due bacili d’argento chiedendo la questua per cenare all’Osteria della Campana per rifarsi della fame patita a Cà Grimani”… L’originale scherzetto ben congegnato, fu ben accetto ai Veneziani, che conoscevano la fama soprattutto dei Grimani, perciò: “in quella si raccolsero parecchi denari, e alla sera vi fu banchetto grande alla Campana con piffari et canti“.

Potremmo continuare a dirne fino a domani …

In ogni caso, bene o male che fossero andate le cose, era palese a Venezia che tutti quei lavoranti industriosi attivi a tutte le ore contribuivano grandemente al fabbisogno e ai disegni economici dell’intera RepubblicaSerenissima. Le Arti-Mestieri, infatti, erano fortemente considerati e stimati dai Veneziani tanto da scolpirli e rappresentarli per sempre fin sugli Arconi del principale Portaledella chiesa personale del Doge: la Basilica Marciana.

Andateli a vedere … Sono davvero uno spettacolo che racconta ancora oggi com’è stata Venezia un tempo.

Davvero Piazza San Marco cantava visibilmente e plasticamente “le Fortune e le Glorie di Venezia col suo Leòn” ... Davvero tutti Veneziani in modo diverso contribuivano a dar vita a quella grande e forte primavera di Scienza, Bellezza, Dottrina, Arte e Cultura e Laboriosità, che stava rendendo Venezia sempre più grande e bella.

Mi piace però riandare e ricordare ancora quella che potrebbe dirsi “l’altra faccia della medaglia” di Venezia di allora.

In parallelo alla tanto ardita Nuova Creazione voluta dalla Serenissimaper l’intera Città Lagunare, capitò anche che il Patriarca Vincenzo Diedodovesse per forza mettersi all’opera ... Il Patriarca era un uomo deciso, tutto di un pezzo. Non era neanche Prete quando venne scelto ed eletto dalla Serenissima per ricoprire quel Ruolo Ecclesiastico così importante. Si trovava da tempo a far da Capitano a Padova, dove di Cultura se ne macinava davvero tanta. Lui stesso era un “Uomo di Studio”, per cui vedeva molto di buon occhio tutto quel fermento della Città Lagunare, e quindi: “gli si dannava l’Anema, e si vergognava non poco” nel vedere le condizioni e i modi con cui operavano certi suoi Preti:“davvero bassi come uomini e come Religiosi”. Nel 1557 accorse allora ad esaminare alcuni suoi Preti, che per la loro eccessiva ignoranza stavano facendo ridere tutta Venezia ... Erano sulle bocche di tutto … Il troppo stroppia: ne andava di mezzo indistintamente tutta l’intera Famiglia Ecclesiastica, che finiva col fare all’unisono meschine figuracce … A dir di tutti, quei Preti sapevano davvero troppo poco per poter ricoprire con dignitosa autorevolezza Ruoli e Cariche di un certo prestigio in faccia ai Veneziani: “Non è davvero il caso che capitino certe cose a Venezia”, pensò il Patriarca: “Altro che Rinascenza delle Menti e dei Costumi !”

Ed ecco quindi i fatti … Il Patriarca andò da Prè Pietro Paolo Lupo o Lovo,che era il Piovano della piccola Contrada e Collegiata dei Preti di San Vio nel Sestiere di Dorsoduro… Chiestogli che significava: “Ut exibeatis corpora vestra”, il Piovano nicchiò, si grattò la testa, avvampò in viso, e rispose interrogativo sorridendo: “Che siè beati ?”

Il Patriarca sussultò sul seggiolone dorato, e lo fulminò subito con gli occhi … Era mai possibile una cosa del genere ? Un Prete che non sapeva neanche un po’ di Latino ? … Ma ce l’aveva lì proprio di fronte: non erano solo calunnie e ridicolaggini quelle messe in giro dai suoi Parrocchiani e dai Veneziani. Il Prete, consapevole del suo stato provò a giustificarsi: “Son vecchio di anni 78 Monsignore … e Missier Marcello m’ha messo di qua e là per tanto tempo a digàr Messa: quel poco che sapevo me lo son dimenticato.”

Il Patriarca non aggiunse altro, ma fece un semplice cenno al suo Scrivano, che tirò una linea dritta sulla lista dei nomi che teneva in mano. Serviva un nuovo Piovano per la chiesa dei Santi Vito e Modesto, che tutti chiamavano: San Vio. Prè Paolo Lovo venne allora sollevato dall’incarico, come capitò al Confratello esaminato prima di lui. Spiegava in Predica le parole del Vangelo: “in diebus illis”, e nel far questo, disse che la frase faceva riferimento alle: “Dindie, cioè: ai polli d’India”… Poi non avendo saputo più spiegare il resto del senso della frase, s’arrampicò sugli specchi aggiungendo che si doveva pensare ai “busilli, come ai dubbi della testa”… e la chiesa quasi venne giù per il ridere di certi Fedeli che sapevano e contavano ... Nobili, Mercanti e Monache avevano scritto immediatamente al Patriarca.

Pre Paolo Lupo di San Vio pagò un po’ per tutti perché fungeva da Piovano, ma gli altri Preti che stavano a San Vio non erano molto dissimili da lui. Infatti, siccome dopo quella Visita i Preti non si migliorarono ed emendarono affatto continuando alla loro maniera, nel 1582 la Collegiata di San Vio venne soppressa, e i Preti “mandati a casa”. La scelta di “chiudere la Collegiata” venne messa in atto dal successore del Patriarca Diedo: il Patriarca Giovanni Trevisan, che governò la Venezia Religiosa dal 1559 al 1590. Anche lui era “un testa fine, e un Uomo di garbo”: un Monaco Benedettino saturo di Dottrina e buona Cultura ... anzi: era anche Abate di San Cipriano di Murano… e mal sopportava l’ignoranza di un certo Clero Veneziano.

Sapeva già, ancor prima d’incominciare come Patriarca, della condizione precaria di certi Preti Veneziani, per cui celebrò ben tre Sinodi a Venezia per riprenderli, stimolarli e indirizzarli per migliorare almeno un poco la loro condizione: “Non basta salir gli Altari per sbrodegàr Messa intascandone le Elemosine … E’ troppo poco per l’Esercito di Dio.”

San Cassian de Rialto, ancora ad esempio, non era affatto un buco di chiesa, anzi: di li erano passati fior fior di Preti che avevano fatto anche brillante carriera nell’Ecclesia.  Nell’antica chiesa Realtina poi, c’erano diverse Madonne Grandi e Piccole vestite, che attiravano come Api sul Miele la Devozione dei 2.270 Veneziani che abitavano la Contrada ... e sempre in chiesa di San Cassan, c’era anche una bella e preziosa Pala d’Altarede molti anni, antigua,de legno con figurede molti santi fittid’argento e de rame indorà e parte repassada, e veniva aperta con una corda con cirele doi, da levar la pala.”… I Preti la trascuravano, non la esponevano e valorizzavano mai come avrebbero dovuto … A San Cassian aveva sede anche la Scuola Sestierale di Santa Croxe.

Già nel 1561 quindi, lo stesso Patriarca passò ad ordinare ai Preti di San Cassan l’Esposizione di tutte lenumeroseSante Reliquie che possedevano, e della Pala in chiesaalmeno a Natale e Pasqua, insieme a tutti gli argenti e gli abbellimenti in dotazione della chiesa ... Dovevano assolutamente farlo: “e per i Fedeli, che sono i veri depositari di tanta ricchezza, e per i visitatori e i Pellegrini, che possono arricchirsi interiormente nell’osservare tanta Bellezza e munificenza … Certe cose belle non possono rimanere scònte e relegate, dimenticate sul fondo di forzieri e cassòni !”

In un impeto di presunto risanamento e ripensamento, quattro anni dopo i Preti di San Cassàn fecero abbellire l’Altar Maggiore della chiesa con una nuova Pala … Che bravi ! … Finalmente … Invece: no … L’avevano fatto a spese della Schola del Santissimo del Gastaldo M.Zampiero Mazzolenghi, che commissionò a Tintorettoanche la “Crocifissione” e la “Discesa al Limbo” che andarono ad abbellire il Presbiterio ... I Preti non avevano sborsato neanche un soldo, ma soprattutto non avevano cambiato affatto il loro modo basso di comportarsi.

Da quanto si diceva in giro per Venezia, il Piovano si preoccupava solo di quali Elemosine gli spettavano, e di quali e quanti soldi delle Messe dovevano essere destinati alle “refezioni dei Preti”... La Fabbrica di San Cassian doveva ancora saldare un debito di 70 ducati intrapreso con Pietro Morosini che aveva costruito l’organo nuovo in chiesa … I Preti avevano perfino ridotto il numero dei Titolari della Collegiata estinguendo il Quarto Presbiteratoin modo da spartirsi meglio i benefici e le rendite parrocchiali. Il Patriarcas’era opposto a quella decisione, ma non l’avevano ascoltato: “Il Capitolo come tanti altri principiò a non osservare i patti con i fondatori dei benefizi; non abitarono ma appigionarono le case di residenza; non celebrarono gli Offizi interi ogni giorno per i Benefattori né per essi applicarono le Messe; non vollero l’incomodo di aiutare il Pievano nell’assistenza delle Anime; e che tutti eransi ridotti a cantar una Messa e un Vespro nei giorni di Festa e non forse tutti; eransi estinti gli Accolitati perché così il poco che davano loro ridonasse in pro dei Titolati …”

Nel giugno 1581 passò per San Cassiano la Visita Apostolicamandata dal Papa diRoma a controllare l’operato di Venezia e della Laguna con tutte le sue Contrade … Altra figuraccia ! … Pur sembrando tutto in regola in Parrocchia: Messe, Prediche, Schole, Altari e movimenti di denaro, il Clero di San Cassan risultò “dissoluto”. Si dovette procedere col processare e condannare i Preti Filippo Rota:“che non voleva sempre ascoltare le Confessioni, si rifiutava di dar l'Olio Santo agli infermi, e come Procuratore di Capitolo non s’accontentava di tre scudi, ma pretendeva tre ducati per seppellire un Morto in Contrada” ... Era un fatto scandaloso: “Mormoravasi inoltre che costui tenesse pratica colla moglie d'un Barcaiuolo, e che in casa sua frequentassero donne di mal affare.”… Si condannò anche Prè Pietro De Nalone o degli Adoni, Terzo Titolato del Capitolo di San Cassian: per irregolarità gravi comprese fra carnali, patrimoniali e vizi di gioco Gli s'impose che cessasse di visitare certa Angela, donna maritata, e licenziasse di sua casa Vittoria: moglie di Giovanni Hanta”... C’era inoltre Prè Gregorio Bervich “solito d'andar qua e là giuocando alla Bassetta, che aveva avuto, tanto per cambiare: pratica disonesta con una femmina.”… Infine c’era anche: Alvise Leopardo il Sacrestano: “che giuocava pur egli, ed andava al magazzen a bever aliatico”.

Che situazione ! …Il 27aprile 1584 il Patriarcaandò di persona a pizzicare il Prete Giacomo Comin, che fungeva da Suddiacono del Capitolo dei Preti di San Cassian… C’era il Mondo intero di Rialto che s’affacciava nella sua chiesa: il Patriarca non poteva continuare a lasciar correre. Lo interrogò allora un poco sul Catechismo … Che cosa ci poteva essere di più facile, abituale e ovvio per un Prete ? Don Giacomo Comin rispose: “Monsignor: non ghe ne capisso una stràssa.”… e venne messo agli atti, e il Prete venne a sua volta silurato in diretta, e messo da parte dal Cancelliere Patriarcale, che lo fece sostituire da un altro Prete.

Risolto tutto ? … Macchè ! … Ancora nel 1592, c’era sempre in San Cassian al suo posto il solito Prete Filippo Rota, che si rifiutava ancora di confessare, e di andare a dare l’Olio Santo ai Moribondi ... Come se niente fosse accaduto ... Il Patriarca aveva parlato al vento.

I resoconti e le Cronache Veneziane riportano, che fra 1515 e 1598 vennero “fatti fuori ed esonerati” diversi Preti Veneziani per gli stessi motivi.

Ma non fu tutto … Dall’altra parte della Città Lagunare: nel Sestiere di Cannaregio, accadde anche altro.

Sempre il famoso Diarista Veneziano di Stato Marin Sanudo, scrisse e raccontò in data 28 febbraio 1513 circa i Frati dell’Abbazia di Santa Maria dei Servi in Contrada di San Marciliàn, che sarebbe San Marziale: “Et il questo zorno a hore 24 vidi io ai Servi una cosa notanda ch’el Predicatore Frate Elia da Breza, fa profession d’esser Eremito, porta un mantello di bixo di sopra, havendo ordinato venisse putti e pute vestite di bianco con una candela in mano, et ne venne tante che forse più di 400, ch’era una terribilità veder la furia, et femene assai et altro Popolo, et vene etiam la Schola del Corpo di Cristo de Sancta Fosca e di San Marzilian, et cussì avanti compieta tutti li Frati con un candeloto in man et li putti con candele e donne e il Predicator proprio comenzono le Litanie. Et cussì con li torzi avanti e la Croxe ussino de chiexja questi pute e pute e poi li Frati e lui Predicator et andono a far una Procession per San Marcilian, Sancta Fosca, Rio Terrà et al Ponte de l’Axeo ritornando in chiexa cantando le Litanie ch’era una terribilità a veder e timorosa cosa; ma il Predicator ha dito in pergolo vol con questo placar l’ira de Dio contro questa tera e ordinar dezuni, et poi dissero la Compieta la qual cerimonia si dee far tre volte a la settimana ... Non mi piacque ne è cossa da soportar et feci moto a qualche uno che può proveder che provvedi a tal principio.”

Immaginatevi la scena: tutta quella flotta di Veneziani che di notte cantavano a squarciagola su e giù per le Contrade Veneziane ... Non si trattava soltanto “de do vècje bigotte in fresca e malciapàe”: s’erano mosse almeno 500 persone fra grandi e piccoli.  Deve essere stato un evento suggestivo ed emozionale: anche se un po’ fanatico ... “pericoloso” secondo la Serenissima:“un’iniziativa esaltata, non patrocinata dall’Autorità Religiosa, né tantomeno dalla stessa Repubblica Serenissima”. Nelle alte sfere dove si gestiva il potere su Venezia s’iniziò a preoccuparsi ... Quelle erano manifestazioni che solitamente a Venezia si dovevano evitare, in quanto surriscaldavano inutilmente gli animi, demoralizzavano le persone, ma anche le univano, le democratizzavano … Insomma: era brutta cosa quell’energia febbrile che covava, traspariva ed emergeva coagulata intorno ai Frati Serviti nelle Contrade di Santa Fosca e San Marcilian.

A Venezia non ferveva solo la voglia di Bellezza e Gloria, ma anche d’emancipazione, libertà e novità … E questo: non andava … Erano cose tutte che disturbavano non poco l’assetto stabile, ordinato, e conservatore della Repubblica: “ognuno deve stare al proprio posto: senza tante novità e grilli per la testa”… Allo stesso tempo però, quegli accadimenti conferivano ai Veneziani stimolo e vigore: voglia d’autonomia, d’osare ed espandersi: “Serve calmierare e contenere con forza certi fatti” si disse a Palazzo.

La Chiesa-Badia dei Servi di Cannaregio con i suoi Frati era molto seguita e sostenuta dai Veneziani del Sestiere e della Città. Paolo Veronesenel 1572 aveva dipinto per il loro Refettorio: “La cena in casa di Simone”... La chiesa-Monastero ospitava diverse Schole che riunivano le manovalanze più significative dell’area Veneziana, dove ferveva maggiormente il Lavoro soprattutto Manifatturierodei Veneziani. C’erano molti iscritti alle Schole, e diversi Artigiani mostravano significative velleità, rivendicazioni e pretese ... nonché progetti d’indubbio valore economico.

Sempre ai Servie a San Marcilliàn (San Marziale) c’era la Schola del Volto Santo dei Lucchesi intorno alla quale ruotava quasi l’intera attività dei lavoratori dei tessuti di Venezia. C’era poi la Schola dei Barbieri, la Schola dei Barcaroli, quella di Sant’Onofri dei Testori-Tintori, quella dei Saonèri, e quella della Madonna Odorifera della Grazie e del Beato Simon.


Ahia ! San Simon da Trento … San Simonin !

Un Santo che a noi forse non dirà nulla, ma che, invece: scottava tantissimo allora, anche per i Veneziani, tanto da far saltare sul caregòn per la preoccupazione i grandi Prelati dell’Ecclesia e tanti benpensanti Veneziani ... Un altro motivo di preoccupazione.

Di recente, era sorta un po’ ovunque infatti, la Devozione e il Culto per quel “Nuovo Santo-Beato Speciale”, che faceva esclamare a diversi perplessi: “con la scelta di quel nòvo Beato: davvero la Ragione è andata in soffitta.”

La Contrada di San Marzial de Cannaregio poi, sorgeva solo a pochi passi dal Ghetto Veneziano degli Ebrei, per cui ancora di più quella nuova Devozione poteva sembrare una vera e propria provocazione deiCristiani e del Papa contro i Giudei: “gli storici perfidi matadòr del Sancto Christo Crocefisso”. La Serenissima al riguardo stava sulle spine e vigilava attentamente, perché da una parte concordava, in quanto credente, col disprezzare gli Ebrei, ma dall’altra i Giudei le facevano indubitabilmente comodo per via dei loro finanziamenti, gli appoggi, le conoscenze, i capitali, e soprattutto l’arguzia e l’inimitabile attitudine Mercantile … Cosa che Venezia apprezzava sopra ogni cosa.

Per capir meglio e dirla tutta facendola breve, il Culto per San Simoninera partito e s’era sviluppato in fretta a partire da una mezza leggenda che di sicuro travisava e distorceva certi fatti. S’eraraccontato che la sera del Giovedì Santo 1475 … fatalità proprio in quel giorno in cui ogni anno la Chiesa celebrava l’Istituzione del Sacramento dell’Eucarestia …  a Trento era scomparso un bimbo di poco più di due anni, di nome appunto: Simone, cioè: il piccolo Simonin.

Il suo corpo venne ritrovato distrutto il giorno di Pasqua dentro alla roggia di un torrente che passava attraverso il Ghetto degli Ebrei… fatalità: proprio il giorno di Pasqua ... Analizzando il corpicino martoriato s’erano rinvenuti evidenti segni di strangolamento e tortura: il bimbo era stato quindi brutalmente seviziato prima d’essere ucciso: un’immane atrocità ! … Per tanti, quasi per tutti, fu ovvio attribuire agliEbrei di Trentola colpa di quel turpe infanticidio … Tanto più, dissero lingue maligne e più perfide dei Perfidi, che quel bimbo innocente doveva essere stato usato per dei Riti Sacrificali tipici del Popolo Giudeo.

Niente di più falso, ma Giovanni Hinderbach Vescovo di Trento, per quel motivo mise su Accusa e Processo, e vennero condannati senza remissione né Pietà diversi Ebrei al rogo, mentre le Ebree furono indotte “alla forzata conversione per aver salva la Vita” ... Brutta storia in ogni caso.

Sulla scia di quel fanatico entusiasmo dettato dalla Fede quindi, nonostante diverse riserve e perplessità di alcuni sia dell’apparato Civico che dell’Ecclesiastico, il Piccolo Simonin venne informalmente proclamato Martire e Santo divenendo il Beato Simonin. Il suo culto si diffuse velocemente a macchia d’olio in Val Camonica, Sebino e Franciacorta, poi nel Trentino e nel Bresciano, e fino a raggiungere il Veneto… e poi a Venezia, e infine nella Contrada di San Marziàl a Cannaregio.

La storia del Beato Simonin Martire Innocente di certo era un sentimento che faceva inasprire gli animi dei Venezianifino a contrapporne più di qualcuno della Contrada contro i vicini Ebrei del Ghetto. Per fortuna che poi si finiva col far vincere il buon senso, e vita, scambi e commerci continuavano a scorrere nella loro solita normalità ... La Serenissima poi era sempre attenta: chi sgarrava avrebbe pagato … Ecco perché ci si metteva sempre in allarme quando capitava qualche manifestazione insolita da quelle parti di Venezia.



Di buono, invece, sempre in
Contrada di San Marcilian, nel 1525, un certo Matteo figlio di un Lucchese Nicolò mise su un nuovo Ospissio con corte interna e grandi locali al piano terra e primo piano donandolo a una trentina di Pie Donne Pizòcare, che vi si rinchiusero dentro sotto la Regola del Terzo Ordine dei Servi di Maria: “attendendo all'educazione di povere fanciulle”. Le Pizzoccare di San Marziàlcon le Monache di San Girolamo e ai Frati dell’Isola di San Secondoerano proprietari del Rio accanto all’Ospizio, dove traghettavano con un battello di loro proprietà, a pagamento s’intende, dalla Calle e Fondamente del Campiello Santoalla Calle dei Vedèi sulla sponda opposta, dove iniziava l’ampia zona delle Sacche e delle Chiòvere che accoglievano buona parte del Lavoro e delle Manifatture dei Veneziani... Era la futura Baia del Re.

Pizzocchere, Monache e Frati siopposero fermamente per secoli ogni volta che quelli della Contrada e laSerenissima intendevano costruire un buon Ponte su quel Rio del Battello strategico da passare … Gli affari erano affari, e il traghetto rendeva più che bene. Perché cancellare tutto ?



La licenza di traghettare con Stazio e pontili furono posti in vendita da napoleone solo a inizio 1800, dopo secoli di guadagni delle
Pizzoccare di San Marzial, dei Frati di San Secondo e delle Monache di San Gerolamo … Tutto venne acquistato da Domenico Mosca per lire 3.757, e fatto finalmente il Ponte, sfumò un’altra attività caratteristica della Contrada durata secoli.

Ho accennato all’Abbazia dei Servi di San Marcilian di Cannaregio… Se ne parla non tantissimo, forse perché è una zona di Venezia andata bruciata e cancellata a fine 1700, e quindi quasi dimenticata. Lì vivevano abitualmente generazioni di Monaci Eruditidalla parlantina facile e coinvolgente, che “spararono a lungo alto in Dottrina come in Politica”, suscitando grande consenso nei Veneziani, e schierandosi senza timore anche contro il Potere costituito: Civile o Religioso che fosse ... Anche contro il Papa di Roma… Anche quello era un modo per far diventare Splendida e Grande Venezia: più Gloriosa e Bella … Più Ricreata e Rinnovata ... più libera dalle direttive a volte pressanti del Romano Pontefice.

Faceva parte di quella schiera di Frati Eruditi anche Fra Paolo Sarpi: Servitapure lui di Santa Maria dei Servi, oltre che Consultore e TeologoUfficiale, il “numero uno perito in Materia” a servizio della Repubblica Serenissima. Come sapete, il conflitto dottrinale molto in voga in quell’epoca era legato di sicuro alle pretese e agli stimoli intellettuali suscitati dai Protestanticon le loro Riforme. La grande Quaestio epocale era: “Si deve trattare del valore della Salvezza come Grazia: Dono esclusivo e gratuito di Dio, che ha intrinseco valore a prescindere dalle opere dell’iniziativa dell'uomo, o la Giustificazione e la Salvezza per l’Eternità dipendono anche dalle elemosine, dalle Messe, Preghiere, Suffragi e Sacramenti acquisiti, offerti e patrocinati in esclusiva dalla Chiesa con lauti guadagni ? … e poi: erano davvero così infallibili e indubitabili il Papa e la Chiesa di Roma in tutto ciò che dicevano e proponevano ?”

Io la faccio semplice, ma la questione era, invece, aspra, complessa e apertissima: corrodeva e coinvolgeva non poco a tutti i livelli l’intera Cristianità, gli Stati, gli Ordini e fino alla gente qualsiasi. Si era giunti a farne una questione di Vita e di Morte, e intorno ad essa si teneva un infinito maneggio di progetti, ruoli, poteri e risorse che si mescolavano con quelli che erano le voglie di Benefici e Rendite che circolavano alla grandissima dentro al Mondo tutto Ecclesiastico e Nobiliare … Dall’altra parte c’erano le aspirazioni dei semplici: del Popolino e delle persone qualsiasi, che nel loro piccolo non mancavano di partecipare e provare ad intendere.

Dietro alle quinte di Chiese, Abbazie e Vescovadi, e nel chiuso quasi segreto dei Chiostrie degli Studi Monastici sorsero vere e proprie grandi lobby di potere. C’era ovunque, anche a Venezia, tutta una lotta “sotterranea”senza risparmio di colpi atta a contrapporsi e primeggiare, fino a sopravalersi ai massimi livelli, e a scalare se fosse stato il caso anche i vertici della gestione di Stato e Religione.

Si crearono a Venezia, e anche nell’Abbazia dei Servi di Cannaregio: vere e proprie faide e fazioni Frateresche contrapposte che agivano nell’ombra, ma talvolta anche apertamente in faccia ai Veneziani … Beh: diciamole benignamente va ! … Non erano fazioni delinquenziali e criminali, ma duri schieramenti e consensi opposti fra Obbedienze di Frati Veneti Osservanti e Conventuali: questo si … In ogni caso: ci furono vere e proprie macchinazioni per assurgere a Generalati, Procuratorie e Reggenze, cioè a quelli che erano i vertici organizzativi e decisionali degli Ordini Religiosi, che non mancavano mai d’avere anche grandi risvolti e influssi su tutto ciò che era Cosa Civica e Pubblica ... Nelle chiese, nei Monasteri, nelle Abbazie e negli Studi Ecclesiastici accaddero furbeschi maneggi, giochi di potere alimentati da lontano e da vicino, sostenuti e finanziati dalla protezione di Vescovi, Prepositi e soprattutto ricchi e influenti Cardinali Romani, che erano dei veri e propri Patròn-Protettoricontrapposti spesso l’uno all’altro. Il tutto accadeva, anche a Venezia, dentro ad atmosfere create ad arte di sospetto, degenerazioni degli scontri, processi, trame tessute nel nascondimento, denunce e arresti alla fine di sofisticate indagini occulte, e veri e propri disordini, e attentati ai Frati, intimidazioni, e irruzioni di bande armate e acclamanti nei momenti di raduni o manifestazioni religiose.

Capite allora perché la Serenissima era sempre preoccupata e attenta quando succedevano certe manifestazioni, cortei e Processioni ? Si temeva sempre che potessero sfociare in qualcos’altro di peggio che era stato covato e preparato nell’occulto segreto: “La nostra Repubblica Serenissimanon può permettersi il lusso di destabilizzarsi per colpa dei giochini mentali e degli interessi di tutte queste Conventicole e Combriccole di Santi e Maledetti … Serve sempre saper vigilare, tender l’occhio e l’orecchio, ed essere pronti !”esclamò un preoccupatissimo Nobile Mercante Veneziano nell’assise del Senato.

Poi spesso su tanti Ecclesiastici piovevano sospensioni, punizioni, relegazioni e diffide, oppure convocazioni davanti all’Autorità Civilecon le accusa più disparate, e di “sovversione dei Valori sociali costituiti”… A volte: “S’inviavano squadre di birri a controllare e sanare”, altre volte si disperdevano facinorosi fanatici ... All’interno degli ambienti Ecclesiastici si decretavano restrizioni per arginare certi consensi, si limitavano le vestizioni e le accoglienze di nuovi Novizi indirizzabili … E ancora: succedevano colpi di scena spettacolari, accuse di frequentazione e appoggi di pericolosi Eretici Forestieri con conseguenti aspri rimproveri, clamori appositamente suscitati per Prediche accusate d'intonazione Calvinista, Eretica o Protestanti.

Insomma: “Venezia tutta è presa come dal ribollire di un immane pentolone, col quale più di qualcuno può finire scottato, saziato, o forse bruciato … o rimanere piuttosto a bocca asciutta, e a fuoco spento: escluso e affamato.”

 Nel 1593, ad esempio: Frate Menocchi Generale dei Serviti per due trienni, venne addirittura processato “per sodomia” in seguito alle accuse di numerosi testimoni, e soprattutto di un giovane quanto ambiguo Patrizio Bolognese. Lo stesso giovane venne in fretta e furia decapitato, mentre il Frate Servitacaduto in disgrazia finì per tre anni relegato nel Convento di Imola, soggetto a numerose pene disciplinari.

Fu evidente a molti la verità dei fatti: s’era voluto togliere quell’uomo ingombrante dalle scene, perché altri prendessero il suo posto ... e infatti, la cosa riuscì in pieno, e andò proprio così: “deposto un Santo, se ne mette un altro”.

Ci furono quindi anche lotte intestine fra i Monaci Veneziani, non prive di colpi vendicativi e bassi: “c’erano coltellate tirate in giro a vàga e vègna”. Non fu di certo un caso se Fra Paolo Sarpi venne accoltellato una sera sul Ponte di Santa Fosca mentre rincasava nell’Abbazia dei Servi… Si disse che era accaduto su mandato del Papa di Roma… Poteva essere … ma allo stesso tempo venne accoltellato anche “con diverse stilettate” il Padre Arcangelo Piccioni Priore di San Giacomo dei Servi della Giudecca: “che era l’antagonista poco amico, il concorrente in tutto e per tutto di Frate Paolo Sarpi” ... E non solo volarono coltellate, ma anche pesantissime accuse, fra le peggiori: Sodomia, Corruzione, Peculato, Eresia: “Tutto fa brodo, ogni cosa è lecita nella scalata al posto più alto: “Mors tua Vita mea”.

Tanto per ricordarlo … San Giacomo dei Serviti della Giudecca era una specie di ricca dependance più pratica e concreta dell’Abbazia dei Servi di Cannaregio, che curava maggiormente l’impronta più dialogica e speculativa dei Frati Serviti Veneziani ...NelConvento della Giudecca i Frati Serviti litigavano spesso col Piovano di Sant’Eufemia della Giudecca per i diritti di Sepolturadei Morti ... Il Convento di San Giacomo era ben fornito oltre che di lasciti, Mansionerie e ducati, anche di orti e case vecchie e nuove alla Giudecca, e ne possedeva altre a Santa Maria Maggiore non lontano da San Nicolò dei Mendicoli e Santa Marta, oltre il Canale della Giudecca, cioè il Canale del Vigano… I Frati Serviti della Giudecca possedevano inoltre beni a Ponte di Brenta, Castelfranco, Bagnoli e Fiesso, e pascoli a Villanova presso Padova, e beni affittati a Prezolo o Brezuolo, e a Brentasecca in Piove di Sacco ... Insomma: i 20 Religiosi Serviti della Giudecca stavano benone dal punto di vista economico. Fra Luca Pacioli, ad esempio,amico di Leonardo Da Vinci, era uno di loro. Andava a insegnare privatamente poco distante al Ponte Piccolo, dove sorgeva Cà De Rompiasi dei ricchi Conciapelle dell’isola … Solo dal 1569 al 1574 i Frati Serviti furono costretti ad ospitare le Monache della Celestia che avevano lasciato il loro Convento a causa dell’incendio per lo scoppio delle polveri dell’Arsenale ... perciò necessariamente l’attività dei Serviti ebbe una flessione.

Detto tutto questo, capite allora come la situazione a fine secolo in Laguna si fece davvero bollente fino a degenerare del tutto.

Nel 1603: Offredi Nunzio Papale a Venezia, scrisse al Papa descrivendo i Patrizi Veneziani in Senato: “Va crescendo sempre più il numero dei Senatori che accerrimamente parlano contro qualunque cosa spettante all’Ecclesiastica, havendo pochissimi altri l’ardire d’appertamente opporsi loro … tanto più che morto Giacomo Foscarini, Patrizio di grande prestigio e devoto alla Santa Sede … appariva ormai incontrastato il predominio dei “giovani” con a capo Leonardo Donà: uomo più Politico che Cattolico, che ha lo stesso spirito maligno dei suoi consiglieri: Antonio Querini, Nicolò Contarini, Alvise ed Alessandro Zorzi … Tutti inimici della Chiesa, e discepoli et accademici di quel Maestro Paolo Servita autore di quel libro intitolato Considerationi, il quale si dice publicamente che ha ereditato il veleno di Lutero et l’atesimo di Messer Sperone da Padova et l’impietà di Marsilio Patavino … levatasi la maschera, per non essere necessitato d’andare in Ginevra, cerca di far la povera Venezia un’altra Ginevra … e corre vose che il suo confratello Fulgenzio Micanzio predica alla scoperta del Calvinismo …”


Non fu di nuovo un caso se nel 1604, al culmine di tutte quelle tensioni Veneto-Pontificie, piombò su Venezia l’indignato Anatema del Papa di Roma: la Scomunica dell’Interdetto, a cui il Doge rispose immediatamente pubblicando il suo “Protesto Dogale contro le censure di Roma”.

Ancora nel marzo 1609, Fra Giovan Francesco Graziani dell’Ordine dei Serviti, Bacelièr da Perosa, venne arrestato, e dovette trascorrere tre giorni in carcere: “e si discusse a lungo se si dovesse mandare ad annegare secondo l’ordinario, sichè resti sommerso et affogato”.

“Di sicuro aleggiava un gran sommovimento d’animi, e uno spirito nuovo in Contrada di San Marziàl”: un sapore diverso di novità “per que tempi di Rinascenza generale a Venezia”.

Quella di San Marzial o Marcillian era una Contrada Veneziana vivissima:luogo diSchole, Ospizi, Squeri, Hospedaletti e Pizzoccherai.

C’era da secoli l’Ospizio Basegio dei Marineri fondato nel lontano 1385 per ospitare dodici poveri Marineri… C’era l’Ospizio Moro-Lin, anche luidi fondazione antichissima: forse addirittura prima del 1000, nato per accogliere Pellegrini di TerraSanta, e forse destinato a diventare Monastero di Monaci Bianchi … Agostiniani forse ? L'Ospissio sopravvisse alla Peste del 1348 che uccise quasi tutti, per cui venne assegnato dal Patriarca di Grado unitamente alla chiesetta e al Cimitero che vi sorgevano accanto alla Nobile Famiglia Moro che ne assunse in esclusiva il Juspatronatorivendicandone l’indipendenza anche dagli Ecclesiastici che glielo avevano conferito. Era il Priore stesso, in assoluta libertà, che sceglieva e accoglieva quindici povere donne alle quali assegnava annualmente alcune quantità di legna, farina, vino, medicine, e dodici ducati a testa ... In realtà diverse volte le donne dovettero ricorrere contro il Prior davanti ai Proveditori sora gli Ospitali, Lochi Pii e il riscatto de li Schiavi, perchè non veniva loro corrisposto quanto promesso ... A inizio 1600 infine, Papa Clemente VIII concesse al Prior le insegne Abbaziali, per cui Ospissio e chiesa divennero Abazia: l’Abbazia de la Misericordia di Cannaregio ... Vi ricorda niente ?


Sempre in
Contrada di San Marzial, affacciato sul Rio de la Sensa, sorgeva l’Ospizio della Nazionalità dei Trevisani: “l’HOSPITALIS DIVAE MARIAE VIRGINIS TARVISII”, costruito per accogliere e curare malati e poveri originari della Città di Treviso da cui l’Ospedaletto dipendeva. Con una Terminazione del 1581, si stabilì che ogni barca da e per Trevigi dovesse obbligatoriamente ormeggiare lungo la vicina Fondamenta de la Misericordia dove sorgeva appunto l’Hospeàl dei Trevisani.



A sinistra della chiesa diSan Marziàl, dove ancora oggi si nota un’abitazione privata con un “San Marziale benedicente” immesso in facciata, si ospitava la Schola della Visitazione di Mariafondata nel 1424. Rinnovata nel 1505, la Confraternita celebrava con grande pompa ogni anno il due di luglio la festività della Patrona processionando a lungo per tutta l’Isola della Contrada ... In chiesa, invece, aveva sede l’antichissima Schola di Santa Maria delle Grazie o di Santa Maria Odorifera, sorta secondo i Confratelli nel 1296, ma di cui si erano persi i documenti in un incendio. La Schola, dopo vigorosi contrasti con la ricca Schola di San Cristoforo dei Mercanti, se n’era andata dalla chiesa della Madonna dell’Orto, ed era giunta nel 1424 a San Marziàl consociandosi con la già presente Schola della Madonna delle Grazie. Nel 1502: “andata da lungo tempo in oblivion”, seguendo la ventata di quella stagione di grande rinascita e riforma che si respirava a Venezia, la Schola venne rifondata, e si stipulò una nuova convenzione col Capitolo di San Marciliàn: “… de far candele ali Fradeli et ale Sorele de la Scuolla … e volemo chel Gastoldo … sia tegnudi de far tante candelle quanti Frati e Seròr … et volemo che lo Gastoldo e li Compagni sia tegnudi ogni anno de far Carithade di beni de la Schola ai poveri della Schola et Contrada.”

Sempre e ancora in San Marciliàn trovava ospitalità laSchola e Sovvegno di San Girolamo dell’Arte dei Barcaroli per Portogruaro ed Este: “tutta gente che non sapeva nè leggere nè scrivere, e si lamentavano che morivano di fame”In risposta a una loro supplicaottennero dal Governo Serenissimouno sconto d’imposta del 25%: “passando a pagar 25 ducati di Tassa da 31 ducati che erano”.


Anche per iscriversi alla Schola si liberalizzò un po’ tutto: “Chascadun paga a lo intràr quello che li piase, perché le chose de misier Domenedio non se die voler dar per daneri ma solamente per ato de caritade…arechordando a cascaduno, chomo dise Missier San Polo: “qui parce seminat parce et mettet” cioè a dir chi pocho semenerà pocho rachoirà et per lo chontrario chi molto semenerà molto rachoierà”… Si diano però:2 ducati raccomandarono però i Preti del Capitolo di San Marciliàn: “E che ci si salva forse senza spesa ?”

Dal 1565 giunse a Santa Maria dei Servi anche il Corpo-Fraglia dei Saonèri: fabbricanti di sapone, che “si ridussero in Scholasotto il Segno della Purificazione della Beata Vergine Maria” ... Si trattava di una novantina di CapiMastro Saponàri con una ventina di Lavoranti e centotrenta Garzoni che vendevano anche al minuto in giro per le Contrade Veneziane.

Le caldaie delle Saonarie scesero da 40 d’inizio 1600 a 25, e poi a 18 nel 1692. Davano lavoro a migliaia di Veneziani producendo circa 13 milioni di libre di Sapone annue: ossia circa 39.000 quintali, metà dei quali venivano esportati fuori dalla Laguna: a Bergamo, Brescia, Crema, Padova, Vicenza, Verona, Treviso, ma anche in Friuli, e nel Polesine e Dogado.

Si legge negli Annali Veneti” del Malipiero: “Ai 9 d'ottubrio 1488 è sta preso che nessun nobile no possa far lavorar saoni a Gaeta, né a Galipoli, sotto pena de 500 ducati e bando da Venetia per 5 anni, per el danno dei dazi e de le saonerie de particulari”.

Nel 1707 a Venezia c’erano ancora 16 Saponifici con 54 caldaie attive che producevano però solo 3 milioni di libre di Sapone.

Nel 1773, quando presero il sopravvento i Marsigliesi, Fiume, Ancona e soprattutto i Triestini, Venezia si ritrovò con sette Saponerie soltanto, che produceva sapone a prezzi elevatissimi impedendo ogni concorrenza. Nel 1788 si diceva dei Saponeri Veneziani: “I produttori di Sete di Padova, Vicenza e Verona avevano inviato una risentita protesta contro i Saponi Veneziani che potevano dirsi in ogni senso pessimi perché lasciavano l’unto e lasciavano puzza sulle Sete.”

In Contrada di Santa Fosca “in capo alla Fondamenta del Forner” c’era la Fabbrica “col bollo della Colomba” presa in affitto dal NobilHomo Vendramin ... Un’altra Fabbrica di Giuseppe Mazzon, Simon Stella e Vincenzo Zamperetti si trovava al Gaffaro presso i Tolentini vicino a quella vecchia del Malcantòn … Un’altra ancora con Capitale di 15.000 ducati e “Marca Privilegiata del Ranuncolo” apparteneva ad Antonio Duodo quondam Pietro e a Nicolò Retti quondam Paolo, e si trovava a Sant’Andreadella Ziràda(dove c’è oggi il People Mover)… Sempre a Sant’Andreasorgeva la Fabbrica Sociale dei Saponi con 3 caldaie. Apparteneva a Nicolò Retti, al Conte Angelo Maria Revedin, e a Giovanni Francesco Cappellis … Infine: un Magazzino Consortile aperto presso la Saponeria di Sebastiano Fava alla Madonna dell’Orto produceva: “sapone bianco e verde per ogni caldaia in funzione, corrispondente agli standard qualitativi prescritti e con stagionatura di almeno 15 giorni.” La Società per la fabbrica di Saglie e Saponi con Capitale di 6.000 ducati e utensili di proprietà Werchel, era di Francesca Werchel sposa di Francesco Guizzetti e Anastasio Curaglia di Nicolò figlio emancipato.

Infine, ancora una volta presso San Marziàl c’era l’andirivieni continuo di quelli della Schola di Sant’Onofrio Anacoreta Patrono dei Tintori… A Venezia lo si chiamava: San Nòfeli.

I Tintori di Panni, da Grana e Cremese(rosso scarlatto), da Guado(giallo), da Indaco (blu e nero), da Seda, con Statuto del 1242, erano prima ospitati a San Simeon Piccolo, da dove nel 1380 si trasferirono a San Zuane Grisostomo.

L'Arte, soprattutto dopo l'arrivo in città dei Tessitori Lucchesi Guelfi, che erano andati a risiedere e lavorare nelle Contrade di San Cancian, Santi Apostoli e San Zuane Grisostomo, era diventata supporto indispensabile all'Industria della Seta e della Lana. In tanti chiedevano di venire a tingere a Venezia per via della qualità del lavoro e del prodotto che ne derivava.

Esistevano tre categorie di Tintori: di Tele, di Fustagni e diSeta ... Per tenere lontani i curiosi dalle Caldaie delle tinte e dalle Botteghe, e per nascondere gelosamente i segreti, le tecniche e le ricette dell’Arte custodite per iscritto nella Mariegola, i Tintori s’inventavano di continuo storie paurose di fantasmi. Solo nel 1540 le tecniche della Tintura vennero divulgate pubblicamente dal “Plictho” di Rossetti, che rivelò anche le modalità per la produzione del famoso Scarlatto Venezianofatto con prodotti d'origine animale come il Chermes, sostituito poi dalle Cocciniglie Americane, o con l'Ematite Rossa, mentre con l'Herba Gualda si ricavava il Giallo.  Il tessuto in precedenza doveva essere: “Cimosato, Follato e trattato con mordenti per assorbire uniformemente il colore ... Una volta tinto esclusivamente in Acqua Dolce posta in apposite vasche di Rame, veniva appeso ad asciugare sulle Chiovere.”

Nel 1551, essendo cresciuto ulteriormente il numero dei Compagni-Artigiani iscritti, l’Arte: “cominciarono a trovarsi ristretta in loco angusto", perciò nel 1581 trovò nuova sistemazione presso l’Abbazia dei Servi, coi quali prese accordi per l’uso di un magazzino di loro proprietà contiguo al Ponte, e l'autorizzazione a innalzarlo fino al primo piano affittando il pianterreno come magazzino.

Unica condizione messa dai Frati Serviti: “che il luogo servisse ad esclusivo uso Sacro, diffidando la Schola a dar rifugio a banditi o fuggitivi”... Conclusi i restauri dei locali, tutto venne adornato con opere di pregio dipinte da Jacopo Palma il Giovane, Domenico Tintoretto, Giovanni Pilotto, Matteo Ingoli, Tizianello, Maffeo da Verona e Carlo Saraceni... La Pala dell’Altare di San Nicolò in chiesa vicino al Barco dei Frati, destinato all’uso di quelli dell’Arte venne dipinta da Leonardo Corona … e tutto andò bruciato e distrutto con l’incendio della chiesa del 1769.

Ai Tintori venneassegnato anche un cassone in Sacrestia “per le ròbbe della Schola”, e dentro al Chiostro due Arche per la Sepoltura dei Compagni Tintori Morti Nella Festa di Sant’Onofri, cioè San Nòfeli, la Messa Solenne era preceduta da una Processione "attorno a tutta l'isola" con partecipazione dei Religiosi ... La Festa poteva svolgersi senza l’intervento di Musicisti e Cantori: ci avrebbero pensato i Frati a cantar la Messa et Vespri col loro solito “Canto Fermo” … In quello stesso giorno, in cambio, l'Arte avrebbe organizzato un pranzo sociale, per il quale i Frati avrebbero messo a disposizione gli utensili di cucina ... I Tentori, infine, potevano come da consuetudine nei giorni di festa: innalzare il Penèlo dell'Arte “sull’abate” posto in fondamenta.

Nel 1581 la sede della Schola dei Tintori ai Serviera capace di ospitare 200 persone, anche se i Tintori iscritti erano solo: 84. Divennero: 90 nel 1609, 109 nel 1614, e 139 nel 1773, quando gestivano ancora a Venezia: 37 Tintorie distinte in “da fondo”, “da picigàroli”(piccola tinta), “da grana e cremese”, “da seda”, “da lane”, e “da tele” (lino, cotone e canapa).

Nel 1500 gli abitanti della Contrada raccogliendo un ingente somma fecero costruire i Ponti di San Marzial e dei Servi, ed edificare le “Case dei Convicini di San Marziàl” da affittare “Amore Dei”(gratis o prezzo simbolico) a vantaggio di chiesa e povere fanciulle della Contrada.

La Cronaca del Barbo racconta, che in una domenica di metà ottobre 1545, quando si tenne una delle tradizionali lotte fra Castellani e Nicolotti sul Ponte di San Marciliàn, mentre stavano vincendo i Castellani, alcuni Nicolotti iniziarono a lanciare tegole dai tetti contro gli avversari e i partecipanti, per cui ne nacque un gran tumulto, spuntarono le spade, e ci furono diversi morti e feriti, soffocati e annegati. Alla fine si accertarono gli scalmanati colpevoli, che vennero prontamente puniti ... Incredibile: fra loro c’erano anche: Prè Paris, Iseppo Barbier, et un altro suo compagno”.

A inizio luglio 1575, proprio in Contrada di San Marzialedove abitavano circa 4.000 Veneziani, vennero scoperti i primi segni di una nuova epidemia di Peste a casa di Vincenzo Franceschi, dov’era stato ospitato un Trentino della Valsugana infetto. Quel che è peggio, gli furono venduti i vestiti per pagargli il Funerale, che vennero comprati da alcuni Veneziani della Contrada di San Basilio dall’altra parte della Città. Ovvie le conseguenze: qualche tempo dopo in zona di San Basilio s’incominciò a morire di Peste, così come morirono 3 donne nella casa dov’era deceduto l’appestato Trentino ... Era iniziata la Peste che portò al Voto e alla costruzione del Tempio del Redentore alla Giudecca.

Alla Visita Apostolica del giugno 1581 alla chiesa con 8 altari considerata troppo buia, vennero processati e condannati i Preti Francesco Pisano e Sante De Belli “per irregolarità gravi comprese fra: carnali, patrimoniali o vizi di gioco” ... Siamo alle soliteNel 1592 in maggio: “Texa praeceptoris sexteriis Canalis Regii”: la Parrocchia-Contrada di San Marciliàn contribuì per la sua parte di ducati 4 su un totale di 74 ducati per pagare la Scuola Sestierale di Cannaregio.

Ancora alla fine d’ottobre 1619, di notte, al Ponte di San Marziàl, venne ucciso a tradimento con un colpo di moschetto: Alvise quondam Antonio Mocenigo dalle Zogie… Proprio nel 1622, quando si era all’inizio dell’ondata di Peste della Madonna della Salute, in Fondamenta di San Marziale (oggi Fondamenta della Misericordia), l’Avvocato Nicolò Morosini quondam Leonardo, ammazzò un Ebreo che s’era rifiutato di dargli denaro.

Ferveva quindi parecchio la Vita a Venezia e nelle sue Contrade durante la Rinascenza del 1500… Era fatta di tante cose e iniziative complicate e grandi, e impastata allo stesso tempo da tante quotidianità spicciole inventate e vissute da tante persone qualsiasi … Gira e volta: è come oggi … Non è cambiato quasi niente a Venezia … Tutto continua a succedere in un certo modo anche adesso ... Ecco: magari senza dei Veneziani, che a differenza di allora, oggi non ci sono quasi più.


Cèlio agli Scalzi … Andatelo a vedere.

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#unacuriositàvenezianapervolta 311

Cèlio agli Scalzi … Andatelo a vedere.

Beh … Ve lo racconto dai … Quand’ero piccoletto di pochi anni, e vivevo nella mia amabilissima isoletta di Burano in fondo alla Laguna, stavo parecchio con le Suore di Maria Bambina. Per dirla in breve, siccome la mia Mamma doveva accudire all’Ospedale di Venezia il mio fratellino molto ammalato, che poi non ci fu più, ogni mattina all’alba mi portava al Convento delle Suore, che si prendevano cura di me fino a quando Mamma tornava a casa a sera a raccattarmi ... Se tornava poi ?

Non ve lo nascondo, da bimbo ero un po’ esplosivo: “un terremoto” dicevano gli altri di me ... Ero vispissimo insomma: facevo diventar matte tutte le Suore, me ne inventavo e ne combinavo di continuo di tutti i colori … Scomparivo, le facevo preoccupare ... Ma povere donne: erano per me come tante Mamme messe insieme. E lo sono state per davvero per tantissimi motivi … E penso anche, che molte di loro si siano tanto affezionate a me in quegli anni, visto che sono rimasto a scorrazzare nel loro Convento per parecchio tempo … Bei ricordi: indimenticabili … per me, e per loro credo.

Insomma … Qualche volta per ridurre la tensione quotidiana “di badarmi”, che bene o male impegnava un po’ tutte le Monache del Convento, qualche Suora aveva avuto la bella pensata di portarmi via con se, fuori dall’Isola di Burano, per l’intera giornata … Mamma consenziente ovviamente: si andava con la Suora, o con un minuscolo gruppo di poche Suore fino a Venezia.

Sinceramente: non vedevo l’ora che capitassero quei momenti. Per me andare in gita a Venezia era una goduria, un’avventura, una cosa bellissima: più che un gioco piacevolissimo ... Anche se si andava in giro un po’ “alla Suoresca”, non importava: mai un caffè, un bicchiere d’acqua, una merendina, una pastina, un qualcosa … Niente di niente: sempre a bocca asciutta … Con le Suore era sempre così: “tutto mortificazione e fioretti” … Era vero: avevano per davvero sempre le tasche del tutto vuote ... e poi erano Suore: se ne vedeva forse qualcuna dentro a qualche Pasticceria o Bar ? … Nix del tutto: non era conveniente per loro ... Perfino la pipì se la portavano dietro fino al Convento … Vita e modi da Suore insomma, ma immaginatevi la fame che avevo. Non vedevo l’ora di mettere piede in qualche cucina delle Suore, dove mi rifacevo ampiamente … Va beh …

Le Suore avevano inteso bene come “funzionavo”, perciò appena una di loro per un motivo o per l’altro doveva portarsi dalla Madre Provinciale che stava nella Casa Madre di San Gioachin a Venezia (di fronte alla Stazione, al di là del Canal Grande, parte integrante dell’ex Scuola Capitanio … Da qualche anno l’hanno chiusa.), s’affrettavano ad aggregarmi in fretta e furia a lei … Per quel giorno le Monache avrebbero “respirato”: si sarebbero godute una pausa dalle mie scorribande e fantasiose iniziative che le coinvolgevano di continuo: “Com’è andata oggi ?” chiedeva la Mamma alle Suore a sera quando veniva “a ritirarmi”.

“Come vuole che vada Rina ? … Va tutto ben, ma el xè un terremoto … Nol sta mai fermo e chieto un attimo … ma el xè un gran ruffiàn … El se fa benvoler da tutte le Suore.”

“Nol ve da massa diturbo ?”

“Ma no … Cara … Sta tranquilla: va pur a Venezia a seguir el to putin … A Stefanin ghe pensèmo noàtre: sta pacifica … Intanto el sta qua: el vede, l’impara, el xè al sicuro … Ghe dèmo un bocòn, e ghe stèmo drio … Sta tranquilla.”

“Non so come contraccambiarve.” ripeteva sempre la Mamma alle Suore nelle sue poche parole, e allungava loro qualche volta un cartoccetto che conteneva un pacchetto di zucchero e di caffè: “Portè pazienza co Stefanin: Dio ve ne darà merito ... So ben ch’el xè vispo … Ch’el gha el vèrmo solitario dentro ... Nol sta mai fermo: lo so … El gha come ‘na rabbia in corpo … Ma el xè bon.”

“Si … Xè vero … Dai … Ghe pensa a Provvidenza … Prima o poi tutto questo passarà ... Dimme un’Ave Maria, e sèmo a posto.”

Certi dialoghi mi sono rimasti incisi dentro alla mente per sempre, non me li invento adesso tanto per scrivere ... Mi sembrano ieri quei momenti con Mamma e le Suore … anche se sono ormai di sessant’anni fa.

Insomma: ogni tanto mi recavo a Venezia in compagnia di Suor Giuliana, o Suor Vincenza, o Suor Pasquina, o Suor Assuntinao Suor Alessandrina, o Suor Teodorica o di chi toccava … Con qualcuna, com’è ovvio, ero in maggior confidenza, con altre un po’ meno … Ma tutte erano per me “una grande cosa”.

Una volta delle tante, mi sembra insieme a Suor Giuliana, siccome giunti a Venezia, eravamo largamente in anticipo sull’appuntamento che aveva con la Madre Provinciale, pensò bene d’infilarsi per riempire il Tempo dentro alla chiesa degli Scalzi al di là del Canal Grande: “Andèmo a dir do orasiòn … a vedere se ghe xè un Messa, o una Funziòn” ... Ero là: con lei … Letteralmente attaccato alla sua gonna da Suora ... Avrò avuto quattro o cinque anni: non di più ... Più quattro che cinque.

Entrati nel chiesone bellissimo e ombroso, occupammo una panca circa a metà in mezzo a sparuta gente ... Ci doveva essere in corso una Funzione, un “qualcosa”: questo non lo ricordo bene. Inizialmente me ne rimasi appiccicato alla Suora, almeno per un po’, provando ad ascoltarla mentre come il solito riusciva a calamitarmi con i suoi sempre curiosi discorsi … Le gambe mi mulinavano sotto alla panca, mi dicevano che presto sarei dovuto saltabeccare fuori in giro per il chiesone: “No ti sta mai fermo un attimo.” mi ripeteva sempre la Mamma infastidita e rassegnata insieme per quella mia “dote” poco gradevole: “Ti gha da aver el samòro in corpo” … e forse era davvero così.

“Neno: fa pianin … Sta un po’ chèto visìn de mi.” esordì la Suora: “Sai: in questa chiesa riposano alcuni degli antichi Dogi di Venezia ... Fa piano quindi … Vedi di non svegliarli dal Sonno Eterno con tutto il rumore che sai fare di solito.”

“I Dogi di Venezia ?”

“Si.”

“Ma quelli con cappello tondo schiacciato ? … e col vestito tutto d’oro ?”

“Già … Proprio loro ... Però prima questo posto non era una chiesa: era un Ospissio per quelli che andavano Pellegrini in Terrasanta … e alle Crociate.”

“Come i soldati di Re Artù, Ivanhoe e i Cavalieri della Tavola Rotonda ?”

“Beh … Pressappoco … O: no … Non proprio così.”

Effettivamente nella chiesa di Santa Maria di Nazareth degli Scalzi, cioè dei FratiCarmelitani Scalzi: i “Padri Descalceatos” di Venezia (il chiesone che sorge a destra della Stazione dei Treni guardandola, per intenderci) sono sepolti sia il Doge Carlo Ruzzini diventato tale nel 1732, che il Doge Ludovico Manin: il centoventesimo eultimo Doge dei Veneziani, sepolto nell’arca della Cappella della Sacra Famiglia, che apparteneva alla Famiglia Manin, di provenienza Friulana, entrata poi a far parte a pieno titolo della Nobiltà Veneziana.


“Dicono che fosse un uomo buono e generoso l’ultimo Doge ... Raccontano, che da quando era stato cacciato via da Doge e privato di tutto, se n’era rimasto buono buono … e un po’ avvilito, in disparte … Lo vedevano sempre passeggiare da solo in fondo sulle Fondamente Nove verso l’Arsenale, accompagnato dall’ultimo domestico che gli era rimasto … Quando passava a volte lo riconoscevano: c’era chi lo prendeva in giro e lo insultava perché dicevano che era stato vile ad arrendersi ai Francesi, e chi, invece lo rispettava e si toglieva il cappello al suo passaggio … La maggior parte delle volte però, i Veneziani poveri lo inseguivano per chiedergli l’elemosina … e lui, che un tempo era stato davvero ricco, ricchissimo, non mancava mai di dare qualche spicciolo a ciascuno.”

Mi era diventato simpatico quell’ultimo Doge Morto sepolto lì agli Scalzi … Mi faceva tenerezza pensare quell’uomo decaduto, e insieme m’incuriosivano sempre di più le vicende di quella Venezia dei Dogi ormai passata, ma così ricca di storie e contenuti … Una curiosità che ancora mi porto dentro oggi dopo quasi sessant’anni ... Passai però ad osservare incuriosito un’altra cosa … Sapete come sono i bimbi: “I xè stufaissi”diceva la mia Mamma: “I se stanca presto de qualsiasi cosa … Dopo quindese minuti al massimo: via ! ... No i te scòlta più ... Anca el zogàttolo (giocattolo)più bèo: i lo làssa là.”… e aveva ragione.

Stavolta aveva attratto la mia curiosità la plastica visione della scultura di “Santa Teresa in estasi”scolpita dall’Olandese Enrico Meyring italianizzato in Enrico Merengo. Una gran bella opera esteticamente emozionale, con la Santa sollevata leggiadra in volo in mezzo a mille nuvole barocche, e trafitta da una Frecciabrandita quasi con violenza delicata dall'Angelo ... Un’immagine definita: “da Misticismo assoluto” ... che attirò la mia attenzione: “Povero vecchio Doge ... Ma perché a quella donna là sull’altare le tirano una freccia ? … Per ucciderla ?”


“Ma no ! … E’ la freccia dell’Amore che colpisce il profondo del cuore degli Uomini e delle Donne … Scoprirai che l’Amore nella Vita vien e va, e qualche volta xè davvero travolgente fin da far mal … L’Amore a volte arriva quasi a ucciderti caro Stefanin …”

Non capivo molto che cosa intendeva dirmi la Suora: “Ma le faceva molto male quella freccia lì ?”

“In un certo senso: si … Capirai meglio quando sarai grande che cosa significa ... Di sicuro: è vero che l’Amore può travolgere e distruggere del tutto una persona … Ne so qualcosa.”

Boh ? … Chi la capiva ? Anzi: a volte proprio non intendevo dove le Suore volessero portarmi con i loro discorsi … Per carità: avevo pochi anni … Allora le lasciavo dire lasciando che le loro parole mi scivolassero addosso … Le Suore mi ripetevano spesso: “Cèo ascolta … Che te fa ben … Se non ti capissi: ti capirà.”… e mi raccontavano di tutto, mentre io partivo per la tangente fantasticando per i fatti miei … Ma qualcosa mi è rimasto dentro lo stesso del tanto che mi dicevano. Anzi: più che qualcosa.

“E quello chi è ?”  chiesi ancora alla Suora.

“E’ un amico della Santa Teresa con la freccia … Uno che spia.”

“Che spia ? … Ma spia chi ?”

“Tutti ... anche noi adesso … Stai quindi buono e attento ... Stai qua vicino a me.”

“Ma chi è ?”sibilai sottovoce quasi per non attirare l’attenzione di quel personaggio che vedevo in fondo alla chiesa: giusto fra i tortiglioni di marmo rosso dell’Altare Maggiore.

“Quello è Celio: uno dei Nonsoli di questa chiesa.”

“Celio ?”

“Si … Lavorava qui come Frate Sacrestano … e qui dentro ha fatto diverse cose brutte … sacrileghe.”

“Sacrileghe ? … che sarebbe ?”

“Sarebbe che: rubava il vino della Messa, e poi si ubriacava … e si prendeva anche le Ostie in Sacrestia … Ma non solo quelle … Si prendeva anche le elemosine della chiesa, i frutti dell’Orto dei Frati, e la Melissa del Convento … e poi a volte allungava le mani anche sulle donne che trovava in chiesa … Andava ad ascoltare di nascosto quel che si diceva nei Confessionali, e rispondeva in malomodo agli altri Frati se lo riprendevano … Poi ogni tanto, quando era proprio di malumore, o preso e avvinazzato del tutto: dava di matto, e compariva urlando da qualche angolo della chiesa, oppure saliva lassù in alto: dentro a quel Pulpito issato sul muro, e nel ben mezzo di qualche Messa o Funzione Solenne si metteva a gridare e gesticolare, e diceva di tutto contro i Carmelitani di Venezia, contro i Nobili, e a volte anche contro Dio, e le Donne sedute in chiesa … Svelava anche certe cose nascoste di qualcuna, che nessuna sapeva, e che lui origliava passando accanto ai confessionali in chiesa … C’era gente che faceva figuracce, ed altri che si scandalizzavano non poco … Di qualcuno e qualcuna poi tutti finivano col ridere e prenderli in giro per quel che avevano fatto … Altri e altre perdevano inesorabilmente la reputazione e la faccia … Un’amante svelato in chiesa fece andare su tutte le furie un marito che picchiò la moglie davanti a tutti … Qualche volta dovevano accorrere i Carmelitani per contenere Celio, e chiudergli quella boccaccia troppo spudorata e volgare … Dice la Storia ancora, che il Destino volle punire Celio per tutte le cose che aveva fatto … Doveva assolutamente calmarsi … E allora venne pietrificato e imprigionato dentro a una statua … Che è quella che vedi lì sull’Altar Grando … E quindi: adesso è ancora là … che ogni tanto si muove, e vaga ovunque per ogni angolo della chiesa … e anche dentro al Convento dei Carmelitani ... ma non esce mai per strada in giro per Venezia.”

“Meno male …”

Ero letteralmente inchiodato sulla panca ad ascoltare la Suora che raccontava … Per un po’ le gambe non mulinavano più di sotto, e il mio sguardo rimase fisso sulla statua di Celio pietrificato: “Mamma mia !” mormorai soltanto chinando un poco il capo: “Povero Celio ... e poveri anche gli altri.”

“E poveri anche noi … Se non stiamo qui buoni e chèti (quieti) un poco.” mormorò la Suora: “Se ci comportiamo male faremo la fine di Celio ... Verrà qui a prenderci.”

“Mmm …”

Se andrete agli Scalzi, potrete ammirare tutt’oggi un macchinoso e ricco Altar Maggiore “a baldacchino” sorretto da colonne tortili di marmo africano, alto fin quasi a toccare il soffitto ... E’ stato costruito su disegno dell’architetto G. B. Viviani, a cui in seguito Frà G. Pozzo aggiunse altre fantasie decorative secondo l’estro frenetico e quasi delirante del gusto Barocco del 1600.

Tornando a me … Sapete poi come sono i bimbi: sembra sempre che le cose che racconti loro non li interessino, che entrino da un orecchio e poi escano dall’altro … Qualcosa rimane però … come incastrata strada facendo, passando dentro alle loro testoline.

In ogni caso, dopo un po’, mi stancai d’ascoltare ancora la Suora ... Avevo voglia di muovermi e giocare in qualche modo.

La Suora, pazientissima e furbetta, provò di nuovo a catturarmi: “Sai Stefanin … Qui durante la Guerra Mondiale sono cadute le bombe … ed è caduto tutto quel bel soffitto in alto.”

“Anche il Nonno ha fatto la guerra.”

“Si … Anch’io l’ho vista: brutta roba.”

“Ma le butteranno ancora le bombe qui ?”

“No… Speriamo proprio di no: sono Storie vecchie … trapassate ormai, che non succederanno più.”

“Speriamo … Che non rompano tutto di nuovo.”

Comunque: niente da fare … Tempo scaduto: l’avevo ascoltata anche troppo … E allora: “Uno … terra, due … terra, tre … terra”andai a saltare su e giù dai gradini e fin sul pavimento delle cappelle laterali del chiesone  … In qualche modo dovevo ingannare il tempo a modo mio … Sempre più difficile: “Quattro … terra, cinque … No: questo è difficilissimo, meglio non rischiare ... Quattro: giù … terra, tre: giù … terra …” e via così. Era divertente, e intanto il tempo passava … Chissà ? Dopo un po’ sarebbe terminata anche quell’ennesima Funzione, così come la chiamava la Suora, e forse, come il solito saremmo usciti in giro per Venezia. E chissà quali altre belle cose curiose la Suora mi avrebbe portato a vedere … Quali storie mi avrebbe raccontato … Era sempre così con lei: mi piaceva un sacco seguirla e andare ovunque mi portava ... L’ultima volta mi aveva portato a vedere “la casa a piramide del Canova” dentro al chiesone dei Frari: curiosissima come casa ... anche se poco distante c’era un pauroso “catafalco nero da Morto” che mi fece parecchia impressione.

Davanti a me stava ancora continuando quel borbottio di gente interminabile: sempre uguale e indistinto, di una noia più che mortale. Ma che avevano da dirsi e ripetersi di sempre uguale fra loro, e da dire anche al Buon Dio ? Boh ? … Quello proprio non lo capivo.

Dovevo comunque pazientare: era la Suora che comandava, e che sapeva che cosa fare, dove andare e che dire … Su questo non ci pioveva: dipendevo da lei.

Quindi ripresi ancora:“Uno … terra, due … terra, tre … terra.”… e via cosi. Avrò ripetuto il gesto almeno cento volte, e forse di più, con la Suora che arrossiva e mi guardava male di sghimbescio facendomi occhi, smorfie e brutte facce, fingendo minacciosamente di morsicarsi la mano ... e richiamandomi di continuo accanto a lei.

Chi l’ascoltava ? … Io no di certo … C’erano troppe cose in giro di cui interessarmi.

M’incuriosivano piuttosto i due grandi candelabri in vetro azzurro che stavano in una cappella laterale, e andavo e riandavo cento, mille volte a rivederli. La stessa Suora in un’altra occasione mi aveva detto: “Quelli sono preziosissimi … Sono stati portati qui a Venezia dall’Oriente … Sono un regalo che il Gengis Chan dei Tartari e dei Mongoli ha fatto al Doge dei Veneziani.”

Mi credete ? Ogni volta che torno ad entrare agli Scalzi ancora oggi: torno a guardarli.

“Ma Gengis Chan quello di Marco Polo ?”

“Si … Proprio lui … Li ha portati a Venezia su una nave grandissima piena di merci preziose di tutti i tipi … E il Doge allora, visto che non sapeva più dove mettere tutta quella roba, li ha mandati qui dai Frati Scalzi.”

Quei candelabri preziosi rilucevano un sacco nella penombra della chiesa: emettevano riflessi strani che mi sorprendevano: “Che bei regali che ha fatto Gengis Chan a Venezia.” Mormoravo fra me e me.

Poi, improvvisamente, dalla penombra illuminata delle vetrinette dei passaggi tra gli altari laterali della chiesa, un giorno spuntò fuori … Sapete chi ?

Mamma mia: Celio in persona ! … Che spavento ! … In realtà era semplicemente uno dei Frati Carmelitaniche in qualche modo mi richiamava la fisionomia e la postura della statua sull’altare.

“Celio è vivo e vegeto !”, pensai:“E’ qua ! … S’è mosso !”…. Immaginatevi nella mia mente di bimbo lo sconvolgimento nel pensare che quell’uomo pietrificato della leggenda si fosse mosso, e adesso si trovasse in carne ed ossa davanti a me per qualche misterioso motivo e magia ... Era così: era proprio là davanti a me … E mi stava per di più venendo incontro.

Sono trascorsi sessant’anni da quel fatto, ma provo ancora adesso l’angoscia di quel momento.


C’era insomma quel fratone in saio marrone scuro uguale a quello pietrificato dell’altare … Ma c’era poi anche sull’altare ? Era un fantasma quello che stava venendo verso di me ?

Un tuffo al cuore: un battito cardiaco in meno … un senso pressante d’ansia incontenibile ... Paura forse … Anzi: si.

Scappai via spaventato in direzione opposta, diretto sparato verso la Suora mio sicuro rifugio: “Suora ! Suora ! … C’è Celio ! C’è Celio !”

La sparuta folla dei devoti occasionali e abituè presenti in chiesa, malsopportava quel che stavo facendo … Ma che volete: ero solo un bimbo piccolo e vispo … Quindi fingevano non curanza, e  mi lasciavano fare ... Vedevano poi che pendolavo ogni tanto accanto alla Suora … Quindi …

La Suora, infatti, sottovoce ogni tanto pigolava verso di me: “Psss ! Vien qua ! … Sta un po’ chèto (quieto)… Che ti te farà mal.”

La comparsa di Celio mi aveva terrorizzato ! Com’era possibile che il Frate Pietrificato fosse spuntato da là ? Ero davvero sgomento: con cuore in gola.

Nel tentativo di guardare se Celio era ancora pietrificato sull’altare, non guardai dove stavo andando … e: patatrak ! Capitombolai, inciampai, imballai e investii una serie di sedie che erano giustapposte alle antiche panche della chiesa, sulle quali andai finalmente ad atterrare sbattendo con forza la testa. Per giorni e giorni mi portai dietro un grosso bernoccolo scuro in fronte, che fece preoccupare non poco mia madre, che però non mancò di “ripassarmi con un bel scappellotto e sculaccione” quando tornai a casa conciato così: “Te dàgo a zònta adesso … Ti gha el verme solitario … No ti sta mai fermo … Vàrda che figura che ti me fa far co e Suore … Ti metti tutto el mondo in confusione par niente.”

E patatin e patatòn … me la suonate … “bonariamente, a scopo educativo s’intende”.

In effetti quel mattino in chiesa degli Scalzi feci un gran bel casino cadendo rovinosamente … Andò del tutto in frantumi anche l’atmosfera mistica e silenziosa solita della chiesa, che profumava sempre d’incenso ... Un po’ nebbiosa e soffocante a dir la verità … Tutte le persone presenti accorsero prontamente a soccorrermi, anche perché la Suora esternò un micidiale urlo da sirena di nave vedendomi capitombolare e cadere malamente fra panche e sedie.


Tutto è bene ciò che finisce bene … Mi ripresi presto con un paio di carezze della Suora, ed ammaccato sedutomi davanti a lei mi ritrovai di fronte:
Celio !… Altro colpo al cuore: era là !

Terrore allo stato puro ! Era il fantasma redivivo dell’antico Sacrestano degli Scalzi ! … Ma non era morto ? Era scappato, invece, fuori dalla pietra dove stava imprigionato !

Tremavo per lo spavento, non tanto per il parapiglia e il dolore della caduta … Mi faceva paura Celio… che mostrandomi una fila di denti giallissimi e un po’ marci, venne accanto a me per assicurarsi sul mio stato di salute. Ricordo ancora la sua mano candida e pelosa come il braccio … “da morto”… che usciva dalla manica della tonaca marrone scuro. Ricordo anche la frullata vigorosa che diede ai miei capelli  allora fulvi e riccioluti: “Non xe successo niente caro … Va tutto ben cèo ?” borbottò con voce aliata e tono dolciastro.

Se non sono morto di paura quella volta, non mi succederà mai più.

Annui incapace di “proferir vèrba”… Insolitamente “chètato” rimasi appiccicato stretto alla Suora, che un po’ se la rideva visto l’accaduto che aveva quasi profetizzato: “Bisogna che ti te spàcchi a testa par star un fià bon?” quasi ghignò la Suora stringendomi a se con un sorriso similmalizioso e di rivalsa:“Hai visto ? Se rimanevi qui buono accanto a me, non ti sarebbe successo niente … E, invece: adesso ti gha un bel patatòn in fronte … Ti sentirà to mamma stassera ! A tirararà so tutti i Santi del Paradiso … e a ragiòn.”

Celio dall’alito pestilenziale e dalla bocca che si umettava di continuo con una lingua bagnosa, mi regalò un santino colorato che trasse fuori da una tasca nascosta in un piega della tonaca dal collo fin troppo largo. Portava un possente rosario appeso ai fianchi, che gli tintinnò sonoramente a lungo strusciandogli sulla gamba quando si allontanò da noi ... Sembrava quasi il rumore di un rettile che strisciava viscido nell’erba … Da brividi ... Era forse il fantasma rettile del Vecchio Celio ?

A sera provai a raccontare per filo e per segno alla mamma di Celio.

Lei mi guardò fra l’interrogativo e il perplesso: “Ma Celio chi ? Quello della bottega de i vestiti a Venezia?”

Non capiva … Come avrebbe potuto sapere della storia di Celio degli Scalzi ?

Solo tanti anni dopo focalizzai che la Suora mi aveva preso in giro per bene e a lungo. Non esisteva nessun Celio, né tantomeno era esistito un Sacrestano pazzo che si nascondeva dentro ai tortiglioni di marmo dell’Altare Maggiore, o usciva a gridare abbarbicato sul Pulpito della chiesa. C’era solo quella bella statua fra le altre statue che ornavano artisticamente il Presbiterio degli Scalzi.

Quante volte sono tornato e ritornato a rivedere quello che consideravo nel suo insieme uno spettacolo davvero singolare, che sapeva suggermi sempre “qualcosa di particolare”... Quante cose ho pensato lì dentro.

Ovviamente: non c’era nulla di cui aver paura … Nessun fantasma di pietra che vagava in giro per la chiesa.

Cosa strana … A volte c’era la statua di “Celio”, e a volte no … Era forse in restauro ? Non ho mai capito bene le vicende di quella insolita statua, “che c’è e non c’è”, e che più che “Celio pietrificato" rappresenta ... forse: San Giovanni della Croce, il grande Mistico dei Carmelitani, “fondamento e colonna” della Riforma e dell’interiorità spirituale e poetica dello stesso Ordine.

Vi dico anche questo: la Mistica Carmelitana mi affascinato non poco in un certo periodo della mia vita: San Giovanni della Croce, Santa Teresina di Lisieux … “La Nottedell’Anima” … Sono stati contenuti che mi hanno preso e incuriosito non poco ... Altri tempi.

Incastrata e adesa dentro a tutto questo, mi è rimasta comunque anche l’insolita “storia di Celio”, che finalmente vi ho detto.

Termino buttando un po’ là un paio di note storiche secondo me curiose sugli Scalzi.

E’ stato tardivo l’arrivo e la presenza dei Frati Carmelitani a Venezia: nell'anno 1633 circa … Prima sullo stesso sito occupato ancora oggi dagli Scalzi, sorgeva “fin da antico”un Ospizio per Pellegrini in transito da e per la TerraSanta, Roma, Assisi, Loreto e San Michele: l’Angelo del Gargano, o verso quello della Chiusa di San Michele in Val di Susain Piemonte, e Mont Saint-Michele in Francia, e molto altro:“La prima origine in Venezia di questa Religiosa Famiglia risale, dogando Francesco Erizzo ed essendo Patriarca Federico Corner … Fu in quell' anno che recatosi in Venezia per predicarvi la Quaresima, il Padre Agatangelo di Gesù Maria Definitor Generale, rampollo della nobilissima famiglia Spinola di Genova, ed essendosi cattivato l' affetto comune per la sua santa vita e per lo zelo mostrato nella salute delle Anime, fu incoraggiato a chieder dal Veneto Senato la facoltà di istituire un Ospizio di Carmelitani Scalzi nella Dominante; ciò che gli fu concesso con generale soddisfazione addì 6 Maggio 1633 … Alcun'altro nota e fa risalire la prima domanda per la fondazione dell'Ospizio all'anno 1620; e ne attribuisce l'iniziativa al Padre F. Angelo di Gesù Maria della Provincia Lombarda, nato Marchese di Soncino, cui doleva che in tutto lo Stato Veneto non si annoverasse alcun Convento della Congregazione ... tosto quei Padri conciliaronsi grande benevolenza nella città … in un Registro di Messe dall' Hospitio nostro di Santa Teresa di Venetia: notate parecchie elemosine fatte allora ai Padri, e come abitassero allora l'Ospizio il Padre Fedele dell'Ascensione, il Padre Felice di San Girolamo e il Padre Gio. Damasceno, le cui firme autentiche si veggono ... Nel momento della visita del Generale, l'Ospizio non più a San Canciano, ma era situato a Sant’Angelo alla Giudecca; tal mutamento, voluto per la ristrettezza della prima casa, dal disagio di doverne uscir ogni mattina per celebrare, e per la frequenza sempre maggiore di quelli che ricorrevano ai Padri per consigli spirituali, successe il 12 Maggio 1635 … Fallito l'acquisto dell'Abbazia di San Gregorio, che rimaneva, ai Padri se non che ricercare altro luogo adatto al Convento ? … Narra il Padre Paolo come un Fratello laico, che accompagnava il Padre Confessore delle Monache di Santa Lucia, passeggiando per quei contorni finchè il suo compagno era occupato, fermasse lo sguardo sopra alcune case, con lungo tratto di attiguo terreno, le quali sorgevano accanto al Monastero; giudicando quel sito all' uopo opportunissimo. Fatto è che dopo non poche obbiezioni ed incertezze, anche i Padri furono del parere del povero Laico; e fu stipulato il contratto di compra col NobilHomo Vincenzo Venier proprietario di quelle case e di quel terreno; prendendosene il possesso nel successivo dicembre, sebbene dopo vive opposizioni da parte delle Monache di Santa Lucia ... Le case Venier prospicienti il Canal Grande si cominciarono tosto a demolire per dar mano alla Fabbrica del Convento … I Padri nel frattempo rimasero nell'Abbazia di San Gregorio e seguendo il Padre Paolo dovrebbesi dire che non si trasferissero in Santa Maria in Nazareth che nel 1653, quando cioè il Convento fu abitabile ... Al nuovo Ospizio ridotto a piccolo Convento, con celle, officine ed Oratorio interno, era annesso un giardino, così che a que' Religiosi sembrò di essere passati dal carcere alla primiera libertà.”

Scriveva infine Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori” a fine gennaio 1773: “In un amplo cortile di una abitazione contigua alla chiesa e chiostro dei Frati Carmelitani Scalzi in Canalregio, oggi dopo pranzo, a condiscendenza e divertimento delli tre giovanetti nobili fratelli Giovanni, Andrea e Leonardo Emo, figli del Senatore Ser Zorzi, e nipoti di Ser Leonardo, attuale Capo del Consiglio dei Dieci, e di due altri Senatori Ser Piero e Z. Alvise furono di Zuanne, fu privatamente eseguita una Caccia di due tori sciolti e arditi, li quali, uno per volta assaliti da valenti cani, diedero molto piacere alli Patrizj, e altre civili persone, che alli pergolati, e finestre de quella casa si compiacquero di tale spettacolo.”

Venezia è sempre Venezia …



Il Confinio di San Paterniàn … proprio quello.

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#unacuriositàvenezianapervolta 312

Il Confinio di San Paterniàn … proprio quello.

Di recente mi sono ingarbugliato credendo d’aver riconosciuto in certe foto l’antico soffitto della demolita chiesa Veneziana di San Paterniàn. Si trattava, invece, del soffitto del Palazzo dei Nobili Pisani di San Paterniàn, che vivevano giusto appena giù dal ponte, quasi in faccia all’antica chiesa. Non esiste, infatti, alcun accenno a un soffitto del Tintoretto nel resoconto dellavisita di Antonio Maria Zanetti a San Paterniàn nel 1733.

San Paterniàn è stata un altro di quei bijoux Veneziani di un tempo: un piccolo scrigno d’opere d’Arte giusto nel cuore della Città Lagunare: Nella nave alla destra vi è il soffitto con sette comparti di pitture del Vecchio Testamento; la prima, e l’ultima sono del Palma, le altre cinque sono di Alvise dal Friso. Nella parete sotto il detto soffitto vi è un quadro con Cristo Risorgente, e un altro con Cristo in Croce sopra la porta, e sono d’Antonio Aliense. Un altro dopo questo è Cristo mostrato al popolo di Baldissera d’Anna. E un altro con un sacerdote pure di Baldissera. La tavola dell’Altare Maggiore con San Paterniano Vescovo, che risana molti infermi e del Palma. Vi è poi da un lato l’Annunziazione di mano di Antonio Zanchi; Cristo battezzato, opera d’Angelo Trivisani, dall’altro lato Nostra Signora con San Domenico, ed altro Santo di Bartolommeo Litterini. Nella cappella alla sinistra della detta maggiore vi è la palla con i Santi Marco, Patergnano, e Domenico opera bella del Litterini. Sulla parete dalla parte della Sacrestia anzi sopra la porta vi è un quadro col Doge e molta gente, e li ritratti di un Religioso, e dell’autore che è Giuseppe Zanchi. Segue l’altra tavola vicina alla Sacrestia del Palma con un Santo Vescovo i Santi Marco, e Taddeo. Passato l’altare di Sant’Anna vi è un quadro di Antonio Zanchi con Cristo che scaccia i mercanti, col ritratto dell’autore, ed è suo pure quello che segue con Santa Catterina. Il soffitto della Nave maggiore è del Lambranzi, come pure quello della Maggior Capella; ad un altare vicino alla porta piccola vi è un quadro mobile con Sant’Antonio di Padova ed il Puttino opera di D. Ermanno Stroissi … Nella Sacrestia: tavola con alcuni Santi del Litterini. La tavola con lo Sposalizio di Santa Catterina, e Santa Teresa di Francesco Fontebasso ...”


Niente soffitto del Tintoretto quindi, ma che ve ne pare ? … San Paterniàn deve essere stata davvero carina, oltre che ricca di Tradizione e Storia ... Un altro tassello del puzzle unico e singolarissimo della nostra splendida Venezia.

Oggi a Venezia non c’è più la chiesa accanto al pozzo, così come non esiste più il Confinio-Contrada di San Paterniàn. Di San Paterniàn diventato Campo Manin, è rimasto solo un pugnetto di foto sbiadite e buie, e qualche altrettanto sbiadita memoria.

Quella di San Paterniàn era una piccolissima Contrada del Sestiere di San Marco incastrata fra le “più massicce”San Luca, San Beneto e San Fantin, ma era ugualmente importante per la vicinanza strategica che aveva, in quanto sorgeva a pochi passi sia dall’Emporio Realtino che da Piazza San Marco. A cavallo fra Storia e Leggenda, si raccontava che l’antica chiesa era stata innalzata un paio di secoli prima dell’anno 1000 da alcune famiglie Nobili e Mercantili che occupavano la Contrada: i Bancanici, gli Andreardo, i Fabianie i Muazzo.

Come succedeva spesso a Venezia, sulla “pubblica via” della Contrada, c’era una statua-tabernacolo-capitello dedicata a San PaterniànProtettore di Fano“importata via mare dalla Marca di Ancona”… un ricordino, cioè era stata rubata … e insieme c’era sulla stessa strada anche un’icona di Sant’Anna: la Madre della Madonna. 

A un certo punto, quando la statua di San Paterniàn risultò evidentemente “miracolosa”, i Veneziani di allora col DogePietro Candiano IV in testa, pensarono di valorizzarla collocandoladentro a un chiesuolo di legno. Intorno alla meno fortunata icona di Sant’Anna, invece, si coagulò una Compagnia di Donne Veneziane abituate a intrattenersi devotamente attorno a quell’immagine. Piano piano, come succedeva spesso in Laguna, il gruppetto delle Pie Donninesi trasformò in Schola di Consorelle, che rimase ospitata in San Paterniàn fino all’inizio del 1800. La neonata chiesola-Oratorio con la statua di San Paterniàn, invece, fece  carriera perchè ben finanziata e sostenuta con donazioni e immobili dallo stesso Doge. San Paterniàn quindi continuò a “far piovere miracoli” sui Veneziani, mentre in parallelo una parte delle stesse “donnine di Sant’Anna” si staccò dal resto, e andò a farsi Monaca e ridursi in fondo al Sestiere di Castello: dove si diede inizio a quello che fu il rinomato e chiacchieratissimo Monastero Benedettino di Sant’Anna di Castello.

Dopo un po’, come accadeva di frequente a Venezia: tutto prese fuoco perché per un intrico di motivi lo stesso benefattore Doge Candiano IV finì in disgrazia a molti. I Veneziani diedero fuoco a Palazzo Ducale, e trucidarono il Doge col figlioletto andando a seppellire entrambi addirittura fuori Venezia: in Terraferma, nel Monastero di Sant’Ilario di Fusina ... In tutto quel casino, anche San Paterniàn“figliolanza del Doge spazzato via” andò carbonizzata.


La chiesuola però venne ricostruita subito in pietra stavolta, e le si mise accanto l’insolito campanile in stile Esarcale-Ravennate-Bizantino dalla forma pentagonale esterna e circolare interna (il campanile più vechio di Venezia dopo quello di San Marco). Per costruirlo si riciclarono anche “vecchi mattoni con marche Romane, rilievi Bizantini e una Croce in marmo greco ornata a girali”, e fu di certo una trovata singolare innalzare quel campanile a cinque pareti, tanto che ripartì la Leggenda. Si disse e tramandò che la Torreera stata costruita “per grazia recevuta” da otto Mercanti Veneziani scappati dalla schiavitù dei Turchi in Oriente. Salvati per mare da una Galea di Mercato Veneziana, erano tornati sani e salvi nella Patria Lagunare, dove pensarono bene di dedicare a San Paterniàn loro Protettoreun bel campanile ottagonale ... Otto lati: uno per ciascuno di loro ... Per questo si diceva che per secoli era rimasta l’usanza a San Paterniàn di suonare ogni giovedì un’ora prima del tramonto tutte le campane a distesa, terminando con la Campana Granda che batteva otto rintocchi finali intervallati da pause: un colpo a ricordo di ciascuno degli antichi Otto Mercanticostruttori del campanile ... Venezia era Venezia: città dalle mille e una notte ... un’eccezionale favola impastata di Storia vera.

Su un codice si andò a scrivere poi:Die 26 Martii 1562 suspendit se laqueo in campanile, et periit Sacrista San Paterniani.”, cioè il giovane Sacrestano della chiesa s’era “laqueo”, ossia serrato dentro al campanile, e poi impiccato per via di una cocente delusione amorosa avuta dalla bella Cittadina Costanza Cottoni, che abitava inCampo dell’Erba in Contrada di Santa Sofia a Cannaregio… Ah le donne ! … Brutta storia trista ... ma pur sempre parte intrigante dello speciale scenario Veneziano.

San Paterniàn divenne in seguito Parrocchia affiliata alla vicina Matrice di San Silvestro Papa: giurisdizione del Patriarca di Grado, che risiedeva a Venezia proprio nel Sestiere di San Polo vicino a Rialto ... Si era appena nel 1000, e San Paterniàn già compariva nelle antiche mappe Veneziane ... La nuova struttura in stile Romanico mostrava una facciata essenziale povera di decorazioni, con un Portico davanti dove si collocò ben presto unCristo a sua volta ovviamente:“più che Miracoloso”. Anche quello diede vita a una "Schola del Cristo”, che rimase attiva e presente in chiesa come Fraterna di Gesù Crocefisso del Portico di San Paternian” fino al 1723.

San Paterniàn divenne poi famosa a Venezia, e non solo in Laguna, soprattutto per la “Sarabanda di Corpi Santi e Preziosissime Reliquie” che conteneva fin dal tempo delle Crociate. Cronache di viaggiatori diversi raccontavano di come i Pellegrinidi passaggio a Venezia si presentavano fin da prima dell’alba sotto al Portico di San Paterniàn per aspettare che si aprisse per vedere e venerare quell’unico Strepitoso Covo-Deposito di Sacrosantissime Reliquie” che c’era dentro ... Un tesoretto unico, inestimabile per quella Cristianità eternamente di passaggio, itinerante, e spesso un po’ anche vagabondante.

Cronache Veneziane antiche raccontavano, infatti, di: “Un Giovanni Zeno che fra le spoglie dell’imperiale città gli riuscì d’acquistare Tre Spine della Corona del Redentore, e un frammento del cranio del Santo Precursore (Giovanni Battista). Ne fece liberale dono a quella chiesa, commosso ancora dal vedere le Sacre Spine improvvisamente rosseggiare di vivo sangue, prodigio, che molte volte dopo si replicò, massimamente nel giorno del Venerdì Santo ... Si conservano pure in quella stessa chiesa alcune ossa dei Santi Innocenti trucidati in Betlemme, ed un dito del Santo Vescovo titolare, donato dal Pontefice Alessandro III al Doge Sebastiano Ziani. All’altare dedicato al Vescovo e Martire San Liberale è riposta una piccola urna d’alabastro di mezzo piede in circa con alquanti frammenti di ossa, ed un pugno di ceneri, le quali dall’iscrizione si conosce appartenere ai corpi dei Santi Martiri Gordiano, ed Epimaco, le sacre teste dei quali si vedono nello stesso altare decentemente collocate, senza sapersi però né il tempo, né il modo della traslazione. Furono anche da remotissimi, ed ora ignoti tempi trasportate dall’Oriente le ossa di Sette Santi, e rinchiuse nella mensa dell’Altare Maggiore, finché nell’anno 1372, essendosi rovinato l’altare per rifabbricarlo più sontuoso, furono in esso ritrovate queste Sacre Reliquie con sette lamine di piombo incise col nome dei Sette Santi ivi collocati, delle quali cinque sole in ora ne son rimaste. Rinnovato l’altare furono di nuovo in esso deposti i Sacri Pegni, e ad essi fu soprapposta una tavola con le loro immagini dipinte alla greca, delle quali quella di mezzo rappresenta un vescovo ai di cui piedi si legge scritto: San Prospero, le altre sono notate con questi nomi: San Vitaliano, San Vincenzo, Santa Maura, Santa Petronia, Santa Teora, San Ponziano, ed ivi pure si legge espressa questa iscrizione: 1372 addì 25 Ottobrio furono ritrovati questi corpi Santi in questa Chiesa. Riposano ora le Sacre Ossa in un altare confuse, ed in sì diminuita quantità, che di poco superare possono la mole d’un solo corpo umano, disperso il rimanente o per l’incuria, o per la malizia di chi nei tempi passati ne aveva la custodia.”

Che ve ne pare ? … A noi di oggi forse interessa poco il “genere delle SacrosanteReliquie”, ma in quell’epoca la pensavano diversamente: ci andavano matti, e a San Paterniàn, come altrove, era sempre tutto un accorrere di Veneziani e Foresti, che partecipavano entusiasti a un cospicuo numero di Funzioni, Messe, Penitenze e Processioni, elargendo un altrettanto cospicuo numero di Elemosine che vi lascio immaginare. Poco importava se le famose Tre Spine di Nostro Signore, così come le Sante Ceneri di San Gordiano ed Epimaco Martiri, e quelle di San Bonifacio, Santa Colomba, San Domenico con le Sante Ossa dello stesso San Paterniànnon avevano lettere d’autenticità adatte da presentare ... I Preti e i Veneziani di allora dissero e scrissero: “Beh: intanto abbiamo in mano le Sante Spine e le Reliquie … In qualche modo prima o poi riusciremo anche a procurarci la loro autenticazione.”… Si usava così allora anche a Venezia ... ed era tutto un gran Ambaradàn parecchio redditizio per molti.

Sette secoli dopo, nel marzo 1773, Pietro Gradenigo scriveva nei suoi “Notatori”: “Esponendosi annualmente nella Parochiale di San Paterniano, tutti li venerdì di marzo, ma con particolare solennità in questo secondo, Tre Spine fra quelle che formarono la Corona di Gesù Cristo, perciò in oggi essendosi adempita divota Funzione, si vidde anche il seguente sonetto:

“Qual di Spine pungenti un cerchio ingrato. Ha del Verbo Divin le tempia oppresso?

Qual di stelo fatal giunco spietato. Fe’ scempio un dì del sommo Auttore istesso?

Mi si risponda pur sull’adorato Capo come seguì sì grave eccesso?

Se l’effetto non fu del rio peccato. Che in fronte a Lui sì crudo serto ha messo?

Pur troppo è ver già lo confesso anch’io, che tanto ardir in cuor umano crebbe Onde cinse di Spine il Capo a un Dio.

Ma queste Spine poi cangiate n’ebbe In Dardi il Divo Amor, e ferì Voi Alme bennate di Cristiani Eroi.”

Altra epoca … Altra sensibilità molto diversa dalla nostra di oggi … In San Paterniàn c’era perfino un apposito Registro su cui i Preti segnavano entrate e uscite dell’“Amministrazione della Solenne Esposizione nelli Venerdì di marzo delle Sacre Spine".

Mmm … un po’ perplesso rimango, ma va beh … La storia della chiesa-Contrada di San Paterniàn continuò scandita da nuovi distruttivi incendi: 1105 e 1168, durante il quale la chiesa andò nuovamente distrutta insieme a San Gabriele, San Basilio, San Samuele, San Barnaba, San Salvador, San Luca e San Beneto. Si salvarono solo: San Vidal, Sant’Angelo, San Maurizio, Santa Margherita, San Trovaso, San Bartolomeo, San Zulian e San Fantin… Insomma: mezza Venezia andò in fumo.


Tutto però veniva puntualmente e generosamente rifabbricato dov’era, anche se non sempre com’era, compresa
San Paterniàn prospiciente sull’omonimo canale, che venne rifatta e messa a posto a spese del Nobile Antonio Muazzo. L’esimio benefattore per abbellire la chiesa mise a disposizione anche otto belle colonne in marmo “importate” da Costantinopoli … Che bravo ! … erano state saccheggiate in Grecia in realtà ... Venezia spesso è diventata bella proprio in questo modo.

Nel Confinio-Contrada di San Paterniàn non c’era comunque solo la chiesa. Fin dall’inizio della sua Storia la zona ferveva, quasi febbricitante, di numerose attività economiche e commerciali con molti scambi, tanto lavoro, e molti affari.

Spulciando a caso fra i documenti antichi: nel settembre 1125 a Rialto davanti a Aurius Damianus Cappellanus Ecclesiae Sancti Marci et Notarius Curtis Palatii: Pietro Campulo del Confinio di Santa Maria Assunta testimoniò circa un prestito stipulato fra Bonsignore da Zara del Confinio di San Provolo e Domenico Foscari quondam Vitale del Confinio di San Paterniàn, che in quel momento era intento ad assediare Tiro oltremare ... in Libano.

Nell’aprile 1187, invece, sempre a Rivoalto: Matteo Morosini del Confinio di San Paterniàn e Warnerio Scandolario del Confinio di San Giacomo di Luprio (Orio), attestarono che da oltre 39 anni, Giovanni Da Ponte del Confinio di San Beneto era il legittimo proprietario di una “piscina” in quello stesso Confinio ... Tommaso Viaro del Confinio di San Maurizio poi, stipulò nell’estate del 1200 e sempre a Rialto con Marco Corner del Confinio di San Paterniàn: una “colleganza”sino alla Muda di Pasqua per commerciare fino ad Alessandria d’Egitto con un quarto dell’utile ... Tre anni dopo, lo stesso Marco Corner fece quietanza degli utili a Tommaso Viaro restituendogli anche 67 lire di Denari Veneti che gli aveva prestato l’anno prima per commerciare lungo le sponde dell’Adriatico secondo il permesso ricevuto dal Doge.

E ancora nel 1206, lo stesso Marco Corner di San Paterniàn dispose per un’altra quietanza ancora con Tommaso Viaro ridandogli altre 150 Lire prestategli per commerciare da Venezia ad Alessandria con la nave del Patròn Pietro Cavastario.

A fine 1259 a Rialto: Marchesino Baretarius del Confinio di San Salvador restituì il dovuto a Bartolotta vedova ed esecutrice di Bonvicino Nappario del Confinio di San Zulian… Redissero l’atto alla presenza di Marcus Fino Prete e Notaio di San Paterniàn.

Circa dieci anni dopo a Rialto: Tommaso del Confinio di San Paterniàn fratello del solito Pietro Viaro del Confinio di San Maurizio, fece quietanza a Filippa Badessa di San Maffio di Costanziaco di una somma precedente avuta da Umiltà Badessa dello stesso Monasterio. Nella stessa occasione, ricevette anche 900 Lire in prestito per due anni da Obizzo Speziale del Confinio di San Zulian: per acquistare beni a Bava di Treviso.

Nel tardo autunno 1284, a Rialto: Rinaldo Priore di San Tommaso dei Borgognoni di Torcello, rilasciò ricevuta di 11 Lire davanti a Marcus Notaio Prete-Canonico di San Marco, come affitto di una terra di sua proprietà che aveva locato a Margherito Coppo del Confinio di San Paterniàn.

Due anni dopo, ancora a Rialto: Pietro Obizzo del Confinio di San Paterniàn fece testamento di fronte a Nicolaus Bono Notarius et Prete a San Jacobi de Luprio. Nominò suoi esecutori testamentari i Procuratori di San Marco, Margarito Coppo suo nipote, Palmerino Natali e Raimondino di Albasio ... Si dichiarò inoltre disposto a pagare a Bassano tramite due Frati Predicatori lì residenti, i creditori di Martino di Obizzo abitante in quella stessa città ... Lasciò poi: 400 Lire da dividere fra il Monastero di Santa Maria delle Vergini di Castello e le Congregazioni dei Preti di Rialto, e diverse somme di denaro alle figlie Gianna, Maddalena, Engoldisia ed Elisabetta.

A fine secolo, nel luglio 1292, Maria Vedova di Obizzo del Confinio di San Paterniàn fece testamento a Rialto nominando Esecutori Testamentari ed eredi ... Lasciò Legati in denaro all’Ospedale degli Infermi di Venezia, al Monastero di San Zaccaria dove volle essere sepolta, alle Congregazioni dei Preti di Rialto, al Convento dei Frati Predicatori, a quello dei Frati Minori, al Monastero dei Santi Biagio e Catoldo della Giudecca, e a quello di Santa Maria delle Vergini di Castello ... Altri Legati in denaro li riservò alle figlie Maddalena ed Isabetta, e all’altra figlia Zana Monaca ai Santi Biagio e Catoldo della Giudecca.

Potremmo continuare ancora a lungo a raccontare di queste cose … ma non si può.

Stessa “musica” accadde durante il 1300, quando nel 1344: Zanin Foscarini di Ser Marino da San Paterniàn volle che fossero comprati 50 pelliccioni per i “Remiti de Muràn” a soldi 2 de grossi l’uno: “perché fossero salvadi a un altro inverno o inverni”.

Bellissimo scenario storico … e bella la sensibilità verso quegli austeri Eremiti Muranesi andati persi nel Tempo.

Nel 1379 “al tempo del Doge Andrea Contarini, e degli imprestiti allo Stato per la Guerra contro i Genovesi che presero Chioggia”, quelli della Contrada di San Paterniàn si dimostrarono liberalmente generosi e munifici verso lo Stato Serenissimo offrendo ben 149.100 Lire per la Guerra ... Sono trascorsi secoli: non è cambiato niente … Stiamo ancora finanziando guerre tutt’oggi.

Le Cronache di allora registrarono che in Contrada di San Paterniàn risiedevano: 15 NobilHomeni, una NobilDonna, e 8 “Contribuenti abbienti” ... Fra costoro primeggiarono nel contribuire: Nicolò Dalla Calza che diede 1.500 Lire, Prandi Zoccolèr che ne diede 500, e soprattutto: Andrea Zufo che mise a disposizione 12.000 Lire, e lo stesso Doge Andrea Contarini, originario della Contrada di San Paterniàn, che offrì: 14.000 Lire “del suo”, e contribuì poi come Doge dando altre 20.000 Lire.

 

Nei secoli seguenti, all’angolo nord-est di Campo San Paterniàn dove c’erano diverse botteghe di Stampatori, abitava il “dottissimo”Aldo Manuzio famoso per le sue “Aldine”e per l’Accademia Aldina che ospitava in casa. Quando morì nel 1515, la sua bara posta in San Paterniàn venne completamente circondata da libri Forse non fu un caso, se in seguito i napoleonici d’inizio 1800, nel loro strampalato riordino saccheggiatore, trasformarono la chiesa di San Paterniàn in tipografia.

Nel 1437 San Paterniàn prese fuoco per l’ennesima volta, perciò venne risistemata e riedificata ulteriormente rifacendola a tre navate e con ben 7 altari, come ricordava nel 1466: Prè Gasperino Dardo Piovan di San Paterniàn, Procuratore di Filippo Barbarigo Abate Commendatario del Monastero di Santa Maria del Piave di Treviso.

I Preti del Capitolo di San Paterniàn dentro alla chiesa, intendevano di certo d’essere non meno intraprendenti e ambiziosi dei Mercanti della Contrada. Secondo il Sacro Almanacco Veneziano del 1821: “Pantaleone Giustiniani Monaco Benedettino e Piovano di San Paterniàn per 17 anni, passò poi a Santa Maria e Donato di Murano dove lottò contro le insubordinazioni di Piovano e Clero di Santo Stefano di Murano. Andò poi come Piovano a San Polo in Venezia dove su segnalazione del Doge divenne uno dei 4 Riformatori e Correttori del Veneto Statuto. Divenuto Cappellano di Papa Innocenzo IV, assunse infine al titolo di Patriarca di Costantinopoli da dove fuggì con l’Imperatore Baldovino per il tradimento di Michele Paleologo rifugiandosi nell’Isola di Eubea dove mori nel 1286 ... Pietro Talonico, invece, Parroco di San Paterniàn, divenne nel 1321 Vescovo di Jesolo-Equilio, ma si fece seppellire nella Sacrestia di San Paterniàn di cui fu sempre insigne benefattore. Per testamento nel 1343, lasciò tutti i suoi beni da dividersi equamente fra i Poveri della Contrada, la Fabbriceria della chiesa di San Paterniàn, e i Titolati del Capitolo dei Preti notoriamente “riconosciuti per la tenuità delle loro rendite”.

Non è tutto però sui Preti di San Paterniàn, c’è anche dell’altro … E’ curioso vederli emergere come in filigrana dal mare dei documenti che producevano: testimonianza del “tanto” che sapevano mettere in piedi quasi in parallelo alla fervida attività commerciale e sociale che accadeva di fuori in Contrada. Durante tutto il1500, quando nel Confinio di San Paterniàn vivevano fra 770 e 800 persone, di cui la metà accedeva in chiesa alla Comunione, dentro alla chiesa c’erano: 4 Preti Titolati che formavano il Capitolo di San Paterniàn ... C’erano: il Piovano o Primo Preteo ArciPrete, il Diacono Secondo Titolato, il Suddiacono e il Prete Sacrista, che godevano ciascuno di 72 ducati più casa, e degli “incerti di stola”, cioè degli abbondanti proventi derivanti dall’esercizio di Battesimi, Matrimoni, Funerali e simili ... Lo stesso Capitolodei Preti poi, era coadiuvato da 5 Chierici, che percepivano 7 ½ ducati annui a testa.

Il drappello dei Preti di San Paterniànfra 1405 e 1788 s’impegnò non poco nelle solite “cose da Preti”. Celebrava cioè a raffica un mare di: "Mansionarie di Messe annue, quotidiane, spezzate o perpetue”, che venivano finanziate da appositi “assegni e partite da Mansionaria” depositate e rilasciate dalla Zecca di San Marco su indicazioni delle rispettive Comissarie Testamentarie… I Preti incassavano regolarmente dalla Zecca, e celebravano altrettanto puntualmente rilasciando regolare ricevuta:“per le Mansionerie di Cà Bernardo, Cà Contarini, Cà Zerbina” ad esempio … e “per la Mansionaria del quondam Ser Alvise Contarini quondam altro Alvise (1573-1670); per la Mansioneria perpetua di Ser Antonio Contarini quondam Bertuzzi, per i pagamenti della quale i Preti finirono in causa con Cà Manolesso (1506-1649). Incassavano e celebravano poi per la Mansioneria di Cà Morosini celebrata sull'Altare di San Marco a spese della Nobile Famiglia Zorzi “con assegno di stabili pel Mansionario contro Ser Annibale Zolio” (1544-1782); per quella del quondam GioBatta Contarini quondam Pietro Maria (1575-1670);  per la quondam Fiorina Ghirol, Pensotto Zeriol, Crescenti detta Benincotto, per la quale si andò in causa e sentenza contro il terzo marito Zuanne Crescenti “per il rilascio de capitali” (1622- 1699); “per il fu Antonio Rovigo e la sua Commissaria, per la quale si andò in causa contro GioBatta Viscardi in quanto era Commissario inadempiente”(1670-1699); “per quella ordinata da Perina Foresti Callai” (1669-1679); “per la quondam (defunta) Petronilla Vacchi Martini” (1750-1758); e “per la quondam Giulia Venerio Rossicci e la sua Commissaria” (1738-1788).

Non male vero ? … Avete letto giusto: certi finanziamenti sono giunti ininterrotti per secoli nelle tasche dei Preti del Capitolo di San Paterniàn.

Anche in questo caso non vi posso citare tutto … Ci sarebbe molto di più da ricordare: gli affari erano affari anche per il Capitolo dei Preti di San Paterniàn… Su apposite robuste Rubricheelencavano e segnavano le entrate-uscite delle varie Mansionarie di Messe: Foresti, Angela Cicogna, Elena Conti, Zuanne Grigis, Angela Cerpelletto, Lucietta Bonicelli, Nicolò Baldi(1700-1719)… così come elencavano e conteggiavano gli introiti e le celebrazioni legate alle varie Comissarie:"del fu Don Cristoforo Rossi“(1639); “della quondam Catterina Gambirasi Zerbina" (1639); "del Reverendo Piovano Don Pietro Filomuso sostenuto ex testamento della Congregazione di Santa Maria Mater Domini"(1613-1734); “dei Nardi, cioè delle varie scritture spettanti alle terre di Pelestrina, et alle cose tanto sopra il Porto quanto sopra il Ponte ossia in Campiello di ragione della Pieve di San Paterniano, per il restauro delle quali furono presi dinari a livello" (1563-1732)… e ancora Commissarie: “di Bernardo e Cappellettone Pievani."(1562-1723); "del quondam Ser Giulio Priuli"(1404-1824); “della Francescina Bagozzi per Testamento per la Mansionaria di due Messe al mese"(1623); "di Biagia dalla Moneda"(1564-1780); "del fu Giuseppe Antonio Lorenzi quondam Eugenio sostenuta dal Piovano indi dal Guardiano della Schola del Santissimo"(1769); "della quondam Orsetta Massa Fantini sostenuta dall'Ospedale degli Incurabili per la Mansionaria ordinata dalla medesima"(1700); "del fu Don Domenico Fiamenghi Pievano per Messe, Anniversari e Cassa Fabbrica"(1771); “del fu Carlo Bollani et fratelli” (1699-1718)... e“della quondam fu Elisabetta Martelli per cui l'acquisto de' beni in Vigo Novo occupato e compreso nel Gran taglio del Brenta"(1600-1735) ... e avanti così.

Sempre e ancora nell’Archivio di San Paterniàn, si tenevano altri appositi Registri e “Libri de Riceveri”, si stilavano gli "Atti Capitolari" che li riguardavano, e si aggiungevano: mappe catastali e planimetrie di terreni, e di case, botteghe e proprietà del Capitolo di San Paternian. Si catalogavano ed elencavano poi assiduamente e meticolosamente: Legati e Livelli affrancabili lasciati alla Chiesa, Donazioni, affittanze, pagamenti di Decime, “Partite e giri di capitali investiti in Zecca nelli vari depositi in dita chiesa”, Campatici, e Sussidi e Presenti dovuti al Capitolo dei Preti di San Paterniàn (1666-1740).

Ulteriori cartelle e registrazioni apposite riguardavano: le "Donazione di beni in Pellestrina fatta l'anno 1170 da Regina Cocco al Piovanato e chiesa di San Paterniano"(1170-1753);  "i beni in Campo Nogara dati dal Vescovo Zelonico alla chiesa-Fabbrica e ai poveri"(1343-1736); i “Beni a Vigonovo e San Donà di Piave”; le “Case e Casa Grande di ragione della Pieve di San Paterniàn”(1674-1718); il “Capitale a credito della Commissaria Nardi prese a censo affrancabile” … e l’"Amministrazione dello scosso e speso dal Pievano Sansoni per rinovazione della Sacristia e per riparazioni degli stabili"(1710-1728) ... e molto altro ancora.

Proprio accanto alla chiesa sorgeva la sede del famoso Collegio delle Nove Congregazioni del Clero Veneto ... In casa di Andrea Tronera posta la Scuola degli Zaghi dove insegnava anche uno dei Chierici: il cinquantacinquenne Giuseppe De Lanzonibus: “Gho una man che latina per le figure, un’altra man per i locali, e una per i neutri, e una man de picoli che ghe insegno le concordanze … I pol esser 12 o 13 … Ogni mattina 18 o 20 de loro leggono una lezione del Catechismo e universalmente una Lezio de Cieceron con li suoi esamini ordinariamente dei latini et dela lezion piccola del Catechismo, le quali li faccio imparar a mente …”

Nel 1587 quello stesso Chierico-Insegnantevenne esaminato ancora una volta dall’Inquisizione Veneziana per sospetto d’Eresia, e fu stavolta costretto a compiere Pubblica Professione di Fede ... A Prete Mainarmo di San Paterniàn, invece, venne tolto il Titolo nel 1594 perché risultò che nascostamente era allo stesso tempo anche Piovano di Maser ... Anche allora non si ammetteva il “conflitto d’interessi”.

Nel 1624, giusto negli anni in cui a Venezia infuriava la Peste della Madonna della Salute, in Contrada di San Paterniàn vivevano 837 persone ... e i Preti del Capitolo di San Paterniàn finirono col sbaruffare per più di cinquant’anni con quelli della Congregazione del Clero Urbano di Santa Maria Materdomini… Quale sarà stato il motivo secondo voi ?

Nel settembre 1629 intanto, venne bandito a vita Paolo Emilio Novelli da Ascoli Capitano di Soldati, che sotto al Portico di San Paterniàn, per incarico di Ser Vettor Soranzo, in giugno aveva gravemente ferito con una pistolettata alla testa il povero Piovan di San Paterniàn “da tempo venuto in odio allo stesso Patrizio” ... Il Nobile Soranzo si costituì, e alla fine venne assolto … I Nobili erano i Nobili.

Nel marzo 1634, invece, il Capitolo dei Preti di San Paterniàn deliberò che: “… il danaro ricavato dalla vendita degli abiti et effetti di ragion e persona morta da peste in Contrada di San Paterniàn, sia contato ad Agente del Monastero di Santa Chiara verso il quale si è creditor d’affitti.”

Incredibile ! … I Preti della Contrada vendevano e riciclavano gli oggetti e i vestiti dei Morti di Peste, e con gli introiti pagavano i debiti che aveva incontrato con le Monache di Santa Chiaradella Zirada che li avevano riforniti in epoca di Peste …  Nota un po’ da brividi.

Non fu di certo un caso “con tutto quel smanacciàr di soldi”, se i ladri s’intrufolarono più volte di notte in San Paterniàn a caccia di qualcosa di buono da porta via … Per questo il Capitolo dei Preti ricorse e avviò pratiche per sussidi e rimborsi presso il Consiglio dei Dieci e il Tribunale Criminale “per furto sacrilego in chiesa e Sagrestia”… Chiesero sussidi e rimborsi per quasi vent’anni !!!

Venezia aveva anche altro a cui pensare ... Infatti non rispose mai alle suppliche dei Preti di San Paterniàn, né i ladri furono mai identificati, né tantomeno catturati.

Nota più positiva, invece, quella del 1686. Gli stessi Preti di San Paterniàn chiesero e ottennero dal Patriarca di Venezia di poter concorrere alle spese per costruire il selciato sulla Salizzada della chiesaIn Contrada dopo la Peste s’erano riavviate più di 54 botteghe … Ce n’erano 46 nel 1712-29, e poi 60 nel 1740, con un Inviamento da Forno “con casa e bottega”.

Alla Visita del Patriarca Badoer a San Paterniàn nel 1625, risultò che in chiesa c’era sopra l’altare una preziosissima Madonna Vestita con 3 vesti, attorno alla quale ruotava una Compagnia di Donne, cioè la Schola-Suffragio del Santissimo Rosario, che possedeva: mobili, ori e argenti in quantità ... La Contrada di San Paterniàn faceva un gran festone ogni anno la prima domenica di ottobre: Festa del Rosario, e tutti quelli del Confinio si prodigavano e uscivano in Processione portandosi in giro per strade e calli di tutta la Contrada.

In realtà la “Madonna di legno col Bimbo in braccio in chiesa seduta su una carena d’intaglio dorata” non aveva solo tre vestiti: ne indossava tre, ma ne possedeva ben 26: tutti diversi ... Divennero 31 nel 1701 … Più del guardaroba di una NobilDonna Veneziana ben fornita.

E non aveva solo abiti la Madonna di Legno” in chiesa, ma possedeva anche camicie intime, e soprattutto un lungo elenco di una trentina di gioielli fra veri e falsi con i quali veniva di continuo“addobbata e vestita”: 12 stelle d’argento e Corone per la testa della Madonna, cuori votivi ex voto, collane con numerosi fili e mazzetti di perle e perline, orecchini d’oro a rosetta, smaltati e tempestati di perle, manini e bracciali da polso, anelli di ogni sorta con Rubini, Smeraldi, Turchesi, Brillanti, e pendagli d’oro e d’argento, rame e ottone ... Un vero e proprio tesoro insomma.

Prima d’essere collocata sull’Altare, la Madonna stava su un bancone a lato “dove tutti i devoti e le devote passavano a toccarle un lembo dell’abito o del mantello chiedendole Grazia, e ricevendo Miracoli”, e alimentando una fruttuosa “cassella” per le elemosine.

Gli uomini e i Preti di San Paternian, visto il notevole giro di preziosi e denari che ruotavano attorno alla “Madonna vestita”, non solo si premurarono di gestirlo in prima persona escludendo le donne, ma eliminate le camicie intime della Madonna, crearono un’apposita scala per salire facilmente sopra al Mariano Simulacro per cambiarlo sistematicamente d’abito, e iniziarono a stipendiare una persona perché vestisse adeguatamente la Madonna tutto l’anno.

Nel 1731-36 sul Libro Cassa della Scholadella Madonna del Rosario veniva registrato anche il compenso di 6.4 Lire destinato al Sacrestano Mattia Zuccoli che cambiava d’abito alla Madonna … e visto ancora il successo della Madonna Vestita, si pensò bene non solo di spostarla sull’Altar Maggiore della chiesa, ma anche confezionarne un’altra collocandola su un bancone a lato alla portata di tutti ... Non si costruì la Madonna Vestita Bis, ma lo stesso dal 1747 il Sacrestano venne sussidiato nel suo lavoro da alcuni Chierici aumentandogli il compenso a 10,10 Lire.

Nel 1793 la NobilDonna Chiara Lin Contarinifece l’ennesima donazione di un prezioso abito alla Madonna del Rosario di San Paternian: “una veste di drappo perla con fiori sparsi in argento, e con simile parapetto e cussini” … In quello stesso anno i preziosi abiti della Madonna erano “misteriosamente” diminuiti a dodici in tutto, e con l’arrivo dei Francesi in Città: non solo venne soppressa la Schola del Rosario, ma gli abiti divennero ben presto … sempre misteriosamente … soltanto: sette ... Finchè poi sparì del tutto l’intero guardaroba … Saranno stati ancora gli stessi vecchi ladri sacrileghi del 1600 ? … Non si seppe mai: sparì tutto e basta sotto un velo di gran segreto.

In San Paterniàn comunque non c’era solo la Schola del Rosario delle Donne, ma si ospitavano secondo le migliori tradizioni Veneziane anche altre tipiche Schole Piccole: Confraternite d’Arte, Devozione, Nazionalità e soprattutto di Mestiere sparse un po’ ovunque in Città, e in grado di associare, coordinare, sussidiare e regolare buona parte degli Artieri-Artigiani Veneziani.

In San Paternian, oltre al “Sovvegno posto sotto l’invocazione di Santa Maria delle Grazie" (1696-1736); alla "Schola della Beata Vergine Addolorata dei Sette Dolori e di San Liberal" (1618-1771); alla “Schola dei Santi Cosma e Damiano dell’Arte dei Medici Fisici” trasferitasi presto in Contrada di San Giacomo dell'Orio oltre Canal Grande; alla tardiva"Schola-Compagnia di Sant’Adrian … o Ariàn"(1746-1764); e alla supplicata, e finalmente realizzata “Fraterna de' Poveri di San Paterniàn" (1724-1739), c’era l’immancabile Confraternita del Santissimo, presente in ogni chiesa di Venezia, e riconosciuta a San Paterniàn con apposita delibera del Consiglio dei Dieci nel 1518.

La Congrega del Santissimo di San Paterniàn era sontuosa e partecipatissima dalle persone della Contrada. Verso metà 1500 stipulò una convenzione col solito Capitolo dei Preti di San Paternian“per aver in uso un proprio Altare e le due Arche davanti per seppellire i Confratelli Morti” ... S’impegnò poi a far “Cantar Messa ai Preti” ogni ultima domenica del mese, e questuava in giro per tutta la Contrada per pagar loro anche la celebrazione di un Esequiale annuale nella Settimana dei Morti ... Il Piovano Pietro Filomusi in cambio (1591), destinò 10 ducati annui "per Monacare" una donzella del Sestiere di San Marco, con la clausola che in carenza di vocazioni, quei denari fossero corrisposti per agevolare un Matrimonio … Le ragazze meno agiate della Contrada speravano sempre d’essere fra le poche fortunate prescelte … Il campanilismo di quelli della Contrada, tipico a Venezia, era sempre sfegatato. Se un non iscritto e non legittimo Contradaiolo-Parrocchiano osava intrufolarsi e partecipare al Capitolo della Schola, veniva immediatamente multato di 5 ducati ... Solo all’inizio del 1700, quando divenne esiguo il numero dei Parrocchiani, si cominciò ad accettare ed eleggere anche alle cariche principali della Schola qualche “estraneo non pertinente alla Contrada”… Bastava che pagasse.

Ancora nel 1783, la Banca del Santissimodi San Paterniàn sborsava 50 ducati annui al Pievano di San Paterniàn per “l'apparamento solenne della chiesa”, mentre nel 1785 dichiarava di possedere una “Mariegola” coperta e decorata in argento, e un lungo elenco di quadri che andarono dispersi non si seppe mai come ... Con l’arrivo dei francesi a Venezia, la Schola ovviamente perse tutti i suoi capitali depositati in Zecca, e pur non venendo soppressa, continuò a mantenersi con le elemosine e le tasse versate dai Confratelli ... Solo quando la Parrocchia di San Paterniàn venne concentrata e inglobata con quella di San Fantin, prima d’essere poco dopo incorporata con quella di San Luca: la Schola del Santissimo si sciolse ed estinse.

La chiesa di San Paterniàn ospitò anche un paio di Schole d’Arte e Mestiere molto significative per Venezia: la Schola di Santa Caterina d’Alessandria e di San Marco dei Crivellini, cioè dei Misuradori di Biaveo da Frumento (cereali e legumi in genere), ossia dei Garbeladòri da Biave (1463-1772), e la Schola dei Terassèri di San Floriano sita in San Paterniàn.

I Crivellini Veneziani col loro antico “Capitolare de Stàrios” godevano di grande considerazione nella Città Lagunare, tanto da essere rappresentati sui Capitelli del Portico di Palazzo Ducale. L'Arte radunava i misuratori e i vagliatori di cereali, granaglie e legumi, che li esponevano periodicamente all'aria aperta per liberarli da insetti e umidità. Ai Crivellini iscritti, che non vendevano il prodotto, veniva chiesto di non barare sulle quantità che trattavano, e d’essere garanti sul peso e le misure. Fin dal 1274 la Serenissima con un suo Ufficiale del Frumento e i Proveditori a le Biave presenziava alla pesa del grano nel Fondaco dei Grani di San Marco, ma agiva anche al Mulino delle Bebbe, nell’Isola di San Clemente, e a San Giovanni della Giudecca… Le Biave a Venezia si misuravano in moggio (4 staia), staia (2 mezzeni), mezzeni (2quarte), quarte (4quataroli) e quartaroli ...Tramite l’operato dei Crivellini Venezia controllava e tassava ogni transazione e compravendita, e ogni spedizione di cereali del Mercato Veneziano ... Per “crivello” s’intendeva un grosso setaccio oscillante o rotante, dotato di maglie di varia misura. Si utilizzava per separare grani e semi diversi per poi venderli, immagazzinarli o raffinarli ... Le pale per misurare il grano erano bollate, e si contava anche la percentuale del calo permessa nel radere la pala con la mano ... I Crivellini di professione iscritti erano 25 nel 1463, autorizzati a diventare 30 nel 1467, non potendo superare però quel numero ... Oltre a “ridursi in Capitolo” (riunirsi) in San Paterniàn, i Crivellini celebravano lì i loro funerali, ed erano per obbligo tenuti ad accompagnare i colleghi defunti, a celebrare in San Paterniàn la Festa della Patrona, le loro funzioni religiose durante tutto l'anno, e fino al 1544 anche a consumare in gruppo e in allegria la “Colatiòn de Santa Catarina”: un pranzo comune riservato agli Artieri del Crivello… Dal 1681, il Capitolo dei Misuradori di Biavedecise che i Crivellini dovevano pagare i Preti di San Paterniàn anche per celebrare almeno 32 Messe l’anno per ogni Compagno Morto, almeno metà delle quali dovevano tenersi sull'Altare della Schola dedicato a Santa Caterina.

La Schola dell'Arte de' Terrassèri di San Florian(1587-1773), invece, era stata inizialmente unita all’Arte dei Marsèri fino al 1370. I Terassèri prima del 1400, per dirvi la loro importanza, si radunava nei pressi della chiesa Ducale di San Marco… Poi passarono a San Felice di Cannaregio, e infine a San Paterniàn(poi a San Samuèl dal 1773 unendosi ai Murèri, dai quali poi si distinsero di nuovo) … Gli “Artigiani del Teràsso”, cioè del pavimento alla Veneziana, seguivano una tecnica "vecchia di secoli". Impiegavano un miscuglio di ciottoli e schegge di marmo e pietra cementandoli con latte di calce, olio, che poi lisciavano e levigavano. Francesco Sansovino descrive così i “pavimenti alla Veneziana”: “S’usano per le camere, et per le sale comunemente, i suoli o pavimenti, non di mattoni, ma di una certa materia, che si chiama terrazzo; la qual dura per lungo tempo, et è vaghissima all’occhio et polita.”

La particolare elasticità e leggerezza del prodotto risultante era ottimale per i Palazzi e le case Veneziani solitamente dalla statica non ottimale, ed era una buonissima alternativa alla Terracotta e alla Trachite dei soliti masegni. Fin dal 1100 a Venezia si faceva riferimento a un “Pastòn o Pastellòn da pavimenti”, la cui lavorazione piano piano divenne più sofisticata e complessa tanto da diventare una vera e propria opera d'arte. Utilizzando scarti di marmo di vari colori, il manufatto reagiva lucido alla luce creando atmosfere plastiche magiche, ed effetti strutturali davvero interessanti oltre che utili.  I Terrazzi Veneziani quindi ebbero notevole successo, e non solo s’imposero nella nostra traballante Città fra fango, umidità e acque, dove realizzarono opere geniali come per la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale: più di 1300 metri quadri senza nemmeno un giunto; ma si affermarono e lavorarono grandemente fuori città e ovunque recandosi a Padova Treviso, Vicenza Verona, quindi in Europa: Germania, Danimarca, Polonia, Romania e Inghilterra,e perfino negli Stati Uniti ... Ancora dopo le due Guerre Mondiali il padre di mio suocero emigrò da Venezia per andare a lavorare i pavimenti: “i teràssi” di Musei e Palazzi del Cairo in Egitto.

I Terassèri di San Paterniàn si radunavano pagando dieci ducati annui ai Preti del Capitolo, in una stanza adiacente alla chiesa "soto il Colegio del Clero" confinante col Rio di San Paterniàn In maggio festeggiavano il Patrono San Floriano per il quale i Terassèri s’impegnarono a costruire un altare con Pala dedicata in chiesa, e a far celebrare Messa Cantata Solenne prima di portarsi in Processione "attorno per tutta la Contrada"… Nel 1773, quando i Terassèri erano 76 in tutto, distinti in 38 Lavoranti e 38 CapiMastri, utilizzavano Garzoni che a volte erano appena quindicenni suscitando diverse contestazioni e polemiche sia in Città, che dentro all’Arte stessa.

E giungiamo così a raccontare e dire del 1651, quando Venezia Serenissimadopo uno scontro che durò dal 7 al 10 luglio, riportò nelle acque di Pàros: Isola dell’Arcipelago Greco delle Cicladi:una cocente quanto prestigiosa e storica vittoria contro l'Armata Navale dei Turchi. Le due Galee di Tommaso e Lazzaro Mocenigo, rompendo la formazione dello schieramento Veneziano attaccarono alcune Galee Turche che si stavano ancora rifornendo d'acqua a Pàros. Finirono così, senza volerlo, col trovarsi di fronte allo stesso famoso “rinnegato Friulano”: il Capitano Mustafà El Pascià passato agli ordini dei Turchi… Perfino lo stesso Tommaso Mocenigo venne ucciso nello scontro, ma la Flotta Veneziana forte di 28 Vascelli, 6 Galeazze e 24 Galee, finì col vincere quella Turca forte di 53 Galee, 6 Maone e 55 Vascelli ... Una Galeazza di solito imbarcava 500 uomini e 34 cannoni, un Vascello: 450 uomini e 60 cannoni, una semplice Galea: 300 uomini e 7 cannoni.

Per la cronaca: solo 37 dei Vascelli schierati erano armati, il che vuol dire che i Veneziani vinsero i Turchi più che altro a forza d’ingegno, di braccia e abbordaggi: una vittoria doppia insomma ... In realtà: nessuna delle 53 temibili Galee Turche venne catturata o affondata, ma nella battaglia i Turchi persero sedici navi e una Maona, e furono fatte prigioniere diverse altre navi, uccisi molti nemici, raccolti diversi trofei, cannoni e armi: “… e vennero issate le Bandiere di San Marco, mentre Gonfaloni con la Mezzaluna venivano trascinati con dispregio sull’acqua appesi alla poppa delle navi Veneziane vincitore: Quando el Leon alza la còa, tutte le bestie sbàssa la sòa.”

Fatalità … quel giorno si celebrava a Venezia la Festa di San Paterninàn, perciò fu gioco forza che il Doge Francesco Molin col Senato e il Collegio della Serenissima decidessero di recarsi a festeggiare riconoscente a Dio e al Destino, oltre che in San Marco, anche proprio nella chiesa di San Paterniàn. Da quel giorno di decretò: “che i Musici della Ducal Basilica devano portarsi annualmente alla chiesa di esso Santo Peterniàn per cantare una Messa Solenne in ringraziamento dell'ottenuto beneficio.”

La Contrada di San Paterniàn fu sempre zona d’affari, Palazzi, Osterie-Locande, Ospizi e Schole … Fin dal 1396 sorgeva nel Confinio l’antichissimo Ospizio Da Molin(oggi scomparso) realizzato per volontà testamentaria di Lucia Da Molin, che dispose il lascito di una sua casa in Contrada perché fosse trasformata in Ospissio per accogliere non meno di tre donne povere. Seguendo trame ignote, l'immobile passò di mano in mano fra i Nobili Contarini e Michiel, che alla fine lo chiusero decidendo di contribuire i poveri direttamente “breve manu” ... e a modo loro, o forse per niente … C’era poi in Contrada dal 1407 l’Ospizio de La Monedavoluto da Biasia de la Moneda, che lasciò un'ingente somma per offrire ricovero ad almeno quattro donne anziane della Contrada in condizioni di estrema povertà. (Presente ancora nel 1910, venne chiuso e venduto dalla Fabbriceria di San Luca a privati, che ne fecero appartamenti).

La Contrada era sempre piena di vitalità, ne succedeva una dopo l’altra ... Nel febbraio 1751 Antonio Grismondi figlio di Bernardo dall’Oglio in Campo San Moisè, uccise nella sua casa in Calle di Cà Sagredo in Contrada di San Paterniàn: sua moglie, la Fiorentina Maria Fabris ... Anche Francesco Panizzi, Maestro Romano o Napoletano sessantenne, si diede parecchio da fare nello stesso anno e nella stessa Contrada. Da almeno sette anni risiedeva a Venezia, dove viveva prestandosi come insegnante e tutore presso diverse Casade Nobiliari. Era un uomo di carattere, fiero e risoluto, che si vantava spesso d’aver commesso diversi omicidi mai perseguiti. Nonostante l’età era vispotto, e aveva messo in piedi su una storia amorosa con Angela Gagiòla: una prostituta attiva in Calle delle Locande a San Paterniàn. I due litigavano spesso, e lui era stato visto più volte mettere mano alla spada minacciando d’ucciderla ... e la cosa si avverò infatti.

All’una di notte del 12 gennaio, Panizzi e la Gagiòla mascherati erano andati al Ridotto: la donna indossava anche un mantello di color chiaro, guarnito di finiture d’argento. Verso le sette, usciti dal Ridotto si recarono a cenare con un amico all’Osteria del Selvàdego, e da li uscito circa un’ora dopo, Panizzi chiese all’amico d’accompagnare la donna a casa, promettendole di raggiungerla per tenerle compagnia per tutta la notte. Panizziallora si recò a casa del Procuratore di San Marco: il NobilHomo Pietro Marcello per il quale lavorava, e dopo quasi due ore, uscì finalmente dalla casa del Nobile per recarsi come promesso a casa della Gagiòla dove rimase effettivamente fino al mattino seguente ... E qui venne il “bello”, cioè “il brutto” della faccenda.

Nelle prime luci del giorno seguente, Panizzi andò a casa di un certo Allegri, dove era solito dormire, e lì scompigliò ad arte il letto per mostrare che aveva dormito là ... Era palese che stava cercando di deviare eventuali sospetti da se stesso … Uscì poi provando a vendere il mantello di color chiaro con le finiture d’argento, che era stato della Gagiòla, poi era salito su una gondola che l’aveva portato fin sulle Zattere di Dorsoduro: dall’altra parte della Città. Dalla gondola poi era trasbordato su un’altra a quattro remi diretta a Dolo, ma strada facendo, molto agitato e confuso, aveva convinto i Barcaroli a portarlo verso il Ferrarese. Per tutto il viaggio lo videro cercare di nascondere e medicarsi alla buona tre vistose ferite che aveva sulle mani ... Nel frattempo a Venezia ci si era accorti non solo della sua scomparsa, ma il NobilHomo Marcello aveva denunciato anche la scomparsa di buona parte della sua argenteria … Sia il Nobile Marcello che l’Allegri, raccontarono poi di un tovagliolo macchiato, e di tracce di sangue lasciate in giro dal Panizzi ... Era inguaiato: non aveva più scampo ormai ... Angela Gagiòla intanto a casa sua non rispondeva: tutto era chiuso sbarrato. Per cui dopo un po’, i Birri di Giustiziaforzarono la porta della Cortigiana, e la trovarono morta come la serva colpite da decine di coltellate. Trovarono poi, che anche a casa della Gagiòla erano scomparsi gli oggetti preziosi, e raccolsero anche una camicia sporca di sangue, che risultò più tardi appartenere al Panizzi. Il Consiglio dei Quaranta al Criminal non perse tempo: citò subito Panizzi scomparso. Venne quindi condannato contumace al bando ponendo una taglia sull’eventuale avvistamento ... Poco tempo dopo, uno dei Barcaroliche l’aveva accompagnato fin nel Ferrarese, lo riconobbe un giorno a Pisa, così che la Serenissima chiese subito l’estradizione in Laguna. A inizio aprile Panizzi venne condotto a Venezia, dove venne rinchiuso in carcere, e da lì la strada fu molto breve … Dopo qualche opportuna ammorbidita con qualche buon tratto di corda: confessò tutto il misfatto, perciò fu decapitato a fine mese in Piazzetta, e i suoi quattro quarti vennero appesi a monito per tutti sui quattro angoli della Città e del Dogado.

Fine della truculenta storia accaduta nel Confinio di San Paterniàn.

In chiesa intanto, era morto il Piovano Giovanni Battista Sansoni fautore del nuovo pavimento della chiesa. Il sostituto venne ballottato, scelto ed eletto dai 7 Procuratoridella chiesa, e dai 49 Parrocchiani Juspatroni proprietari di case in Contrada. Alla fine si optò per Don Hieronimo Bressan, che assommò 45 voti a favore e 11 contrari. Rimase a bocca asciutta, invece: Prè Giuseppe Cella Diacono del Capitolo dei Preti di San Paterniàn, e già Economo Spirituale della Parrocchia, che ricevette solo 23 voti a favore, e ben 33 contrari … Chissà mai perché ?

Il nuovo Piovano si diede subito da fare provando a dimostrarsi valido e volonteroso. Mise mano al rifacimento di tutte le campane dell’antico campanile pentagonale di San Paterniàn, e coinvolse nell’impresa tutti quelli della Contrada con apposita convincente quanto fruttuosa raccolta di fondi patrocinata personalmente “porta a porta”.

Nel marzo 1760, ancora secondo i“Notatori”di Pietro Gradenigo: “Lo Strazzarolo di San Paterniàn Giuseppe Garbatto mise in vendita 30 quadri di celebri pittori sorprendendo un po’ tutti. C’erano in mostra e vennero venduti dipinti dei fratelli Bassano, di Palma il Giovane, del Padovanino, del Maganza e di altri nomi noti …” Da dove spuntavano ? … Quale altro Nobile era forse finito nascostamente in miseria ?

Nel luglio dello stesso anno, racconta ancora Gradenigo: “Il vecchio altare di San Paterniàn, con dinari di Domenico Contarini quondam Pietro Maria, fu rinnovato con marmi fini et altri abbellimenti, e dedicato a San Pietro Apostolo in memoria del nome del di lui genitore … Lavorato da Giacomo Graziato Tagliapietra, e dipinto da Gasparo Diziani … Il 2 agosto: funzione straordinaria con l’intervento del Patriarca per trasportare da luogo a luogo alcune Reliquie de Santi, e consacrare il nuovo Altar Maggiore …”

Dicevamo che era ovvio che per la vicinanza con San Marco e Rialto, la Contrada fosse zona d’Osterie, Cameranti e Locandieri … In Ramo della Vida e in Calle delle Locande soprattutto, sorgevano diverse “Albergarie” per ogni genere di tasca. C’era l’Ostaria-Albergaria al Castelletto in Calle dei Fuseri, e l’Albergo al Gallo segnalato attivo dal 1724 al 1832, che Vincenzo Coronelli nella sua “Guida dei Forestieri per la città di Venezia” considerava insieme alla “Fortuna”, la “Serena” e i “Re Magi”: “il meglio del meglio fra le migliori della cinquantina di Locande presenti in Città”... e c’erano ancora fra le altre: la Locanda de la Vida, e quelle “All'Insegna delle Tre Chiavi”, delle “Tre Rose”, e dei “Tre Visi” eternamente in concorrenza sfegatata fra loro. Erano tutti locali ambiti e rinomati anche per il libertinaggio, il modo scostumato, e per i servizi che prestavano: “meretrici di professione, fantesche e servette, e giovinotti di bell'aspetto disposti a tutto, anche di lasciarci la pelle per quattro soldi ...”

Secondo il Censimento del 1744: quattro dei 118 Casini Veneziani sorgevano in Contrada di San Paterniàn ... Ricordava ancora Pietro Gradenigo: “Nella contrada di San Marcilian terminò la sua vita, per via della morte, l’Illustrissima Signora Alba Gritti Bellato, degna madre del fedelissimo Dragomano (Interprete di lingue) della Republica: il Signor Giovanni Bellato ... Item il Signor Pietro Lovisello, perfetto Tintore di Seta e Lane nella Contrada di Santa Maria Nova … Item Giovanni Antonio Nani, Beccàro famoso, chiamato Lioncino ... Item Sjor Francesco Daina, riputato Cambista (Banchiere), in età ottuagennaria, nella Contrada di Santa Fosca …. Item il NobilHomo Ser Marin Diedo, Senatore riguardevole, e zio paterno di Monsignor Primicerio e di Sua Eccellenza, Mercante che tiene Banco di Cambio, successivamente chiamato Cambia-Valute ... Cavalier Antonio quondam Girolamo, Senatore, morì nel proprio Casino in Contrada di San Paterniàn, e fu sepolto alli Servi ... Item la Signora Angela Ronzoni, fu moglie di degno Mercadante ... Item altresi, morì l’Illustrissimo Signor Giovanni Francesco Antonelli, Uffiziale Maggiore del proprio Regimento ... Item nel Ghetto di questa città, morì il ricco Mercadante Ebreo Isacco Gentili ...”

Dopo che nel febbraio 1745 ai “Tre Visi” accadde il “notabile episodio di una sontuosa cena di Patrizi”, solo due giorni dopo alle “Tre Chiavi” ci fu un gran ballo di Cortigiane, quando il padrone delle “Tre Rose”, per non essere da meno: “offrì nel zuòba grasso a tutti quelli che manzavano: tre pignocade quali valeva un soldo, e un gran goto de vin dolze de Cipro“.

L’anno dopo però le “Tre Rose” saltò alla ribalta facendo ridere tutta Venezia, e sopravanzando quanto a notorietà le altre due Locande.

Alcuni giovani Nobili Veneziani cappeggiati dal Nobile Zuane Morosini di San Polo detto “Bell’occhio”, avvezzi a frequentare il Casino di San Moisè, decisero di dare nell’ultima domenica di Carnevale: una magnifica cena alla Locanda delle Tre Rose coinvolgendo disinvolte e disinibite donne Patrizie sia Veneziane che forestiere. Tra le Veneziane giunse Caterina Bonlini:“bizzarra et eccentrica dama che aveva fatto parlare di sé qualche anno prima, volendo ballar sulla corda alla presenza del pubblico“; mentre tra “le foreste” si presentò anche Marietta Pandolfi da Padova: “donna indiavolata: amante del Morosini” ... e fin qua: niente di che.

Splendida e divertente si fece la festa: belle atmosfere, canti, suoni, balli e cotillon … Le altre Locande “ciccàvano”(invidiavano) non poco quel proficuo assemblamento … Probabilmente: cibi drogati “alla Francese”, e buon vino abbondante, Morosini si appartò con Caterina Bonlini sotto gli occhi di Marietta Pandolfi intenta a discorrere coi Nobili Zuane Da Porte e Francesco Fracassetti dell’Anzolo Raffael ... Qualche minuto dopo, la Pandolfi andò a prendere la Bonlini mezza nuda trascinandola in mezzo alla sala gridandole: “Ha cambià gusti la Signora, non balla più sulla corda, adesso ròba gli amanti!“ ... E detto fatto, la prese per il collo, la buttò per terra, le alzo le sottane, e prese a sculacciarla furiosamente sulle natiche nude ... Ovviamente la scena fece inizialmente crepare tutti dal ridere, ma visto poi che le sculacciate diventavano vere e proprie botte, i Nobili allora intervennero per dividere le due focose donne. Quando comparve il Nobile Morosini poi: fu un putiferio, l’apoteosi, e la Pandolfi gli si scagliò contro in ogni modo … Il frastuono e la confusione giunsero fin fuori in Campo San Paterniàn, da dove intervennero gli uomini dei Signori di Notte davanti ai quali la Bonliniquerelò la Pandolfi… Lo “scandaloso fatto” saltò immediatamente di bocca in bocca spargendosi fin in ogni angolo di tutta Venezia, e nel pomeriggio di quello stesso giorno si andò ad affiggere sulle Scalee di Rialto un bel cartello satireggiante che fece divertire ancora di più tutti i Veneziani in faccia ai Nobili ... Marietta Pandolfi venne bandita per due anni da Venezia, e l’Osteria-Locanda “Alle Tre Rose” venne chiusa per giorni dai Signori di Notte ... Il troppo è sempre troppo: stròppia.

Stessa Calle delle Locande, stesso posto a due passi da Campo San Paterniàn: c’era e c’è ancora la stupenda Corte Contarini con la famosissima Scala del Bòvolo(chiocciola) costruita nel 1499 da Giovanni Candi della bottega di Sebastiano da Lugano. Nei tempi andati, la Corte si chiamava Corte dei Risi per via che lì c’era un Mercante all’ingrosso di Riso, cibo molto usato dai Veneziani. A metà 1500 la Quarantia Criminale condannò Alvise Rizzo o Rizo “gran mercante di risi in Contrà di San Paterniàn” Riso … Rizzi: curiosissima l’origine di quel Nobile Cognome molto conosciuto …  Alvise Riso pagò trenta ducati di multa per aver venduto a un negoziante di Rialto alcuni sacchi di riso guasto.

Galileo Galilei andò con l’invenzione del suo Cannocchiale proprio in cima alla Scala del Bòvolo dei Nobili Contarini a guardar Pianeti e Stelle prima di recarsi a Palazzo Ducale per presentare la sua “meraviglia” al Doge: “… sopra il medesimo Rio, in Contrà di San Paterniàn, vi è il Palazzo di Giovan Battista, Marco e Nicolò Contarini: prestantissimi et virtuosi Senatori detti “dal Buòvolo” per una scala insigne, tortuosa, fatta tutta di marmo con colonne e volti, coperta tutta di lastre di piombo, per la quale si ascende in giro, chiamata comunemente “Scala in buòvolo”, in cuppole e corridori, fabbricata con eccellente ordine d'architettura, e con spesa incredibile.”

Fino dal 1261 c’era stato un Paolo Contariniresidente in Contrada-Parrocchia di San Paterniàn, dove nacque anche il Doge Andrea Contarini, nipote dello stesso Paolo ... Il Ramo dei Contarini del Bòvolo possedeva in chiesa di San Paterniàn l'Altare del Crocefisso con propria tomba di famiglia davanti. Fu più tardi nel 1717, quando la Nobile Elisabetta Contarini figlia di Piero sposò l’altrettanto Nobile Giovanni Minelli da Bergamo, che il Palazzo dei Contarini in Corte del Riso passò ai Minelli. Dentro a un complicato gioco di eredità lo vendettero nel 1803 a Francesco Emery: appassionatissimo forestiero innamorato di Venezia, che lo affittò a sua volta ad Arnoldo Marseile, che trasformò la famosa Scala a cinque file d’arcate nell’Albergo-Osteria di lusso: “All’insegna del Maltese".

Da allora la Corte assunse il nome di “Corte del Maltese”.

Morendo nel 1852, Francesco Emery lasciò per testamento il bel complesso della Corte ai poveri della Contrada di San Paterniàn (diventata parte di San Luca nel frattempo), e alla Congregazione di Carità di Venezia, volendo che la Corte fosse rinominata col nome dell’antico clan Nobiliare che l’abitava ... La Corte divenne quindi: Corte Contarini della Scala del Bòvolo.

Ancora nel 1862 e nel 1880 l'“Hotel del Maltese" esisteva ancora, però Palazzo, Corte e Scalaera quasi sempre chiusi e invisibili, tanto che fra le eccentricità Veneziane che si potevano notare dall’alto del Campanile di San Marco: c’era proprio la Scala del Bòvolo visibile da lontano solo col cannocchiale.

Altro fattaccio nel luglio del 1774 in Contrada di San Paterniàn in Calle dei Fuseri: il trentaquattrenne Piovano Don Michele de Bellis da Salerno insieme alla ventisettenne Giovanna Pettennuzza uccisero nel sonno con 13 pugnalate il settantenne Francesco Tomietti Fabris da Oderzo ... Rapina ? … o amanti contrastati fin troppo passionali ? … Vennero comunque presi entrambi, e giustiziati nell’ottobre seguente.

Due anni dopo, dopo che il Senato Veneto aveva “emesso un proclama” che inibiva i Veneziani “a non riempire di lordure il Campo di San Paterniàn”, venne “otturato”, cioè interrato, l’omonimo Rio dietro alla chiesa.

Verso la fine di settembre 1803, avvenne l’ultima Visita Patriarcale alla Chiesa-Parrocchia-Contrada di San Paterniàn, e il Patriarca filoAustriaco Ludovico Flangini andò a sindacare l’operato dei suoi Preti e le condizioni della chiesa. Gli venne riportato che nell’ormai ex Contrada vivevano circa 900 Veneziani, di cui 300 erano “abili al lavoro”, mentre gli altri erano Nobili, cioè: nullafacenti che vivevano di rendita … Gli si disse poi, che i proprietari degli stabili continuavano ad essere ancora i Juspatroni della Fabbrica della chiesa, che nell’ex Confinio operavano due Levatrici, e che operavano diversamente diverse “pubbliche donne di malaffare”. Passando poi ad analizzare le rendite della Fabbrica, dei Preti e della chiesa, si aggiornò il Patriarca sul fatto che erano diventate davvero scarne: la Parrocchia racimolava solo 360 striminzite lirette d’affitto da una caxetta che sorgeva in zona. Insomma: non c’erano più tutti quei soldi che giravano per la chiesa un tempo, e i pochi che c’erano bastavano appena insieme ai Livellie alle varie Contribuzioni per pagare lo stipendio del Piovano ... Mantenere inoltre la chiesa: costava … Erano ben 122 ducati di spesa, di cui 82 per l’olio, le ostie e le cere per i Riti e le Liturgie.

Infine, venne confidenzialmente raccontato al Patriarca, e quindi messo a verbale “a duratura memoria”, che “Il Piovano Don Gaetano Sandrinelli era piuttosto pusillanime nella cura pastorale. Durante la Messa e certe Funzioni soffriva di convulsioni e si commuoveva fino alle lacrime, tanto che alcuni miscredenti si recavano appositamente in chiesa per ridere di lui … Generalmente però veniva compatito, ed era considerato un buon uomo … Attendeva comunque poco al Confessionale, si alzava tardi alla mattina, cantava Messa solo 3 o 4 volte l’anno … Qualcuno poi, diceva che intendeva fare da sovrano, non per cattiveria ma per bonarietà … Gli infermi della Contrada non erano ben assistiti, nè l’Archivio della Parrocchia era in ordine.”

Non un bel quadretto sul Piovano insomma.

C’erano poi oltre ai quattro Preti Titolati stabili del Capitolo di San Paternian, altri nove Preti “che ruotavano e ronzavano attorno alla stessa chiesa: uno andava a celebrare a San Salvador, un altro era di Modone, uno Spagnolo, e un altro di San Zulian ... C’erano anche tre Chierici, di cui uno frequentava la Scuola del Diacono della Parrocchia, mentre gli altri ai recavano ai Santi Giovanni e Paolo dove studiavano grammatica presso Don Facioli … I Chierici però, erano persone renitenti a rispondere alla Messa, e non compivano bene il loro dovere, non recitano neanche l’Ufficio della Madonna.”

Passando al resto, a San Paternian si celebravano di solito: 1.972 Messe perpetue, 29 Esequie e 400 Messe Avventizie ... Si riscontrarono delle irregolarità nella registrazione delle Messe: mancavano firme nei Registri, non si capiva bene chi faceva o non faceva cosa, né chi percepiva quanto e come, e rimanevano 400 Messe con la tariffa da 33 soldi ancora da celebrare.

Si cantava comunque Messa il giorno dell’Immacolata e nel “Giorno delle Spine”, nella Festa dei Santi Gordiano ed Epimaco, e nelle Feste di San Marco e Sant’Antonio. Si celebravano 4 Messe il Giorno dei Morti, e si “cantava di terza” la domenica di Pentecoste … In Parrocchia, infine, si finanziavano ancora alcune “Doti da Sposa”; e c’era una “Cassella per i bisogni della Chiesa” che continuava a girare per tutta la Contrada, ma: ahimè ! ...Non dava più i frutti di un tempo.

Qualcos’altro ?

Ah: si … S’insegnava anche Dottrina Cristianaper i putti tutte le Feste.

Beh … Almeno quello.

Poi, come ben sapete, da inizio 1800 arrivarono a Venezia francesi e austriaci in successione … La Contrada finì con tutto il resto della Città Lagunare dentro al vortice fanatico e distruttivo-innovativo degli invasori. Nel 1810, la stessa chiesa venne ridotta a tipografia prima di finire nel 1815 con annessi e connessi nella “Lista delle vigne, orti e beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti.”

Ancora nel 1839 l’ex chiesa di San Paterniàn era utilizzata come “privata officina da fabbro”.

Ancora nel 1817, Don Francesco MataruccoPrete del soppresso Capitolo dei Preti di San Paternian, era finito ad operare nella vicina San Luca, e ad abitare in Calle del Caffettier a San Lio. Sbaruffò non poco finendo in tribunale contro un certo Maresco, che gestiva quella che era stata una bottega di proprietà della chiesa di San Paterniàn, di cui il Prete rivendicava ancora proprietà e affitti … Vinse la causa prima che accadesse l’epopea storica di Daniele Manin, Presidente del Governo Provvisorio di Venezia negli anni 1848-49. Manin abitava nel casamento rosa al di là del rio prospicente il Campo di San Paterniàn. Casa Manin in antico era Cà Pisani, e probabilmente fu quella di Zuan Pisani quondam Vettor ricordata dal Diarista Sanudo, dove nel 1518 si celebrò un gran festone per le nozze di suo figlio con la figlia di Marco Dritti.

Sappiamo tutti come andò quella volta la Storia a Venezia: Manin finì a morire esiliato a Parigi nel settembre 1857, e le sue spoglie tornarono a Venezia solo nella primavera del 1868: dieci anni dopo. Ci fu allora un certo Giorgio Casarin, che per onorare quell’uomo simbol della resistenza contro gli Austriaci, propose e ottenne di far spazio abbattendo l'antichissima chiesa di San Paterniàn per collocarvi un belmonumento.

L’opera fusa a Monaco di Baviera, venne realizzata dallo scultore Luigi Borro, e venne alla fine collocata pomposamente in mezzo al rinnovato campo che prese il nome di Manin, contornandola con alcune delle centinaia di bombe austriache buttate su Venezia ... A dirla tutta: una visione trista a vederle ogni volta, il memento di un gesto folle … Ripenso, ad esempio, alla bella chiesa degli Scalzi a cui sciaguratamente gli Austriaci sfondarono e distrussero il bellissimo soffitto, ma non solo a quello.

Nel riordino del Campo Veneziano inoltre, visto che quello rimaneva un posto strategico dove si concentrava sempre un gran movimento economico, si pensò nel 1879 d’interrare il vecchio pozzo del campo, di costruire un nuovo ponte, e soprattutto d’innalzare la nuova Cassa di Risparmio di Venezia affidandone il progetto all’Ingegner Enrico Trevisanato. In mezzo a mille proteste, critiche e polemiche, oltre all’antica chiesa rinascimentale si cancellò anche la vicina Torre pentagonale col vetusto caseggiato a sinistra del Campo: “Non meno tristi e pretenziosi palazzi sorsero poi anche ai lati del campo, che prese il nome dal Manin.”

Infine questi semplici appunti storici terminano ricordando che la Cassa di Risparmio venne demolita e rifatta nel 1968 da Angelo Scattolin e Pier Luigi Nervi, portando a compimento una delle ultime grandi modifiche dei CampiVeneziani di un tempo.

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