“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 123.
“BURANESI CONTRO MURANELLI … 1:1.”
Lo so bene che è sbagliatissimo dire così … anzi, lo sanno tutti che si dice precisamente: Buranelli e Muranesi… ma perché questo modo diverso di chiamarsi pur essendo isole pressappoco vicine a poche remate di distanza ?
Buranelli e Muranesi, e non Buranesi-Muranesi o Buranelli-Muranelli non è un caso.
La spiegazione è ovvia e per noi Veneziani quasi banale: c’è sempre stata una notevole contrapposizione secolare e un significativo antagonismo campanilistico fra le due popolazioni isolane ugualmente Veneziane fino al midollo.
Questo io lo so più che bene, proprio sulla mia pelle, perché sono Buranello d’origine e di sangue al 100 %.
Erga … non sono affatto Muranese ! (per fortuna … ma sto solo scherzando.) !
Al di là degli sfottò storici, le stupende isole di Burano e Murano, come ben sapete, sono un paio d’“isole oltre le isole” del più famoso e compatto grumo insulare del superbo arcipelago Veneziano. Soprattutto Buranocome Mazzorboe Torcellosi trovano al di là e in fondo alla Laguna, come un’ulteriorità preziosa, un bijoux nascosto riservato a pochi intenditori ed eletti (almeno così era un tempo).
“Speremo che bonàssa!” mi diceva un’anziana Buranella in carrozzina l’altro giorno in ospedale mentre osservava fuori la pioggia che scrosciava … “A Buràn scravassa ! … Vero paesàn ? … Ti te ricordi de Buràn vero ?”
“E come dimenticarlo nonna ?” le ho risposto, “Buranèi se resta per sempre !”
E’ stato subito come aprire un rubinetto … e le memorie, e i ricordi della nonnetta si sono sprecati inseguendo una treccia incrociata del Tempo che sarebbe stata capace di dipanarsi per ore, forse per giorni: “Buràn xe sempre Buràn … O mègio posto che ghe sìa !” ha concluso alla fine la donnetta saturata di nostalgia e con gli occhi arrossati.
Quand’ero piccolissimo e vivevo nell’isola di Burano con la mia famiglia, recarsi fino a Venezia era per noi un evento importantissimo. Vi potrà sembrare impossibile, ma per noi era una fatto davvero significatico che accadeva al massimo un paio di volte all’anno. Per l’occasione indossavamo l’unico vestito buono che avevamo, e per me era più che una festa uscire dall’isoletta e raggiungere “la capitale”, quella che consideravo il “caput mundi”, “il meglio del meglio”visto che nella mia testa non c’era altro riferimento che quello. Quella di ritornare a Venezia era un’occasione che sognavo a lungo, anche perché già da allora mi affascinava quel labirintico intrico di calli, corti, campi e strade che nella mia fantasia corrispondeva a un mondo col sapore dei film e di tutte le storie che conoscevo. Venezia per me era il top, il “non plus ultra”, e girovagarci a mano dei miei genitori, entare in qualche negozio, o solo raggiungere Piazza San Marco era il massimo che potevo desiderare. Se poi riuscivo in qualche maniera a portarmi a casa qualcosa: qualche matita colorata, un albun da disegno o un paio di quadernetti … allora era festa nella festa, il massimo della soddisfazione. Nella mia vita d’allora non poteva mancare altro, se non “la cosa” del sogno: ossia prima o poi ruscire a possedere un compasso ! … Sì … Proprio un compasso … simile a quello che andavo ogni giorno ad osservare nella vetrina dell’unica cartoleria della mia isoletta. Allora vivevo così …
Ebbene, in una di quelle preziose volte in cui rientravamo a Burano col mio preziosissimo bottino di un paio di magliette nuove e una scatoletta di “cerette da disegno” coloratissime, improvvisamente il nostro battello che chiamavamo “il Patate” per via del potentissimo motore che sembrava ripetesse all’infinito: “patate ! patate ! … patate ! patate !” si fermò in mezzo alla Laguna strombazzando furiosamente.
“Che succede mamma ?”
Ci precipitammo tutti ai finestrini ad osservare l’arcana sopresa: c’era una serie di barche da pesca di traverso e incrociate fra loro che occupavano del tutto lo spazio di transito del canale. Era impossibile passare e proseguire col battello di linea. Ma quel che era peggio, era che sopra, accanto e a fianco di quelle basse barche da pesca c’era in corso una formidabile zuffa fra pescatori a base di prepotente vociare ma soprattutto di botte da orbi. Se le stavano dando alla grande e di santa ragione … ma proprio tante, come nei film di Cowboy e Far West che andavo a vedere alla domenica al “Cinema dei Preti” di Burano.
Inutile lo strombazzare del vaporetto, quelli continuavano a darsele di brutto, e oltre ai pugni volavano possenti remate da una barca all’altra con gente che finiva fuoribordo e in acqua … denti sputati, teste rotte, e barche sfondate che colavano a picco. Ricordo come fosse adesso un ispiritato che con un balzo felino è saltato in un'altra barca con una grossa ancora in mano sventrandone il fondo con pochi colpi feroci … A dire la verità, ero estasiato dallo spettacolo, mentre inutilmente la gente che stava a bordo gridava verso i contendenti cercando in qualche modo di ridurli a ragione … e almeno lasciarsi passare.
Niente da fare … Sembravano sordi … così come erano sordi i colpi dei pugni e delle remate che continuavano a fioccare dentro al gruppo di almeno una decina di persone inferocite e scatenate.
Quando Dio volle lo “spettacolo”finì … perché finalmente in lontananza si udì una fievole sirena dei Carabinieri che s’avvicinavano per venire a riportare quiete e ordine. Udita la sirena, gli energumeni si riscossero dal loro battagliare, e in un battibaleno raccolsero il salvabile e si separarono e dispersero dandosi alla fuga e prendendo ciascuno una direzione opposta: Buranelli a nord … Muranesiverso sud.
Quando arrivarono le forze dell’ordine era già tutto concluso: le barche dei pescatori s’erano già allontanate, e c’era solo qualche rimasuglio che galleggiava pigramente in superficie: un “per de pagiòli” da una parte, un “tràsto” dall’altra, e due tre casselle rotte ... Nessuno aveva visto e capito niente … Alla fine il nostro “Patate” singhiozzando e sbuffando ha ripreso a procedere lentamente in direzione di Burano: lo spettacolo era terminato … Ma che spettacolo ! Non mi era mai capitato d’assistere a una scena del genere.
Come mi spiegarono i miei genitori in seguito, tutto quel parapiglia non era niente di speciale: si trattava dell’ennesimo episodio della rivalità storica che esisteva da sempre fra Buranelli e Muranesi per il controllo degli spazi acquei della Laguna, e se non era per quello era per le zone di caccia e pesca … o per le vendite del pescato, o per qualsiasi altro motivo utile o non utile, vero o non vero per darsele a vicenda.
Tornato a Burano, il giorno seguente sono rimasto non poco sorpreso nell’incontrare fuori della porta dell’Osteria poco distante da casa mia proprio alcuni dei protagonisti di quella grossa baruffa lagunare. Se la stavano dicendo e spiegando insieme a molti altri pescatori e curiosi, e uno aveva l’occhio pesto e la faccia gonfia, un altro portava una grossa benda tutto intorno alla testa, e un altro ancora mostrava a tutti come avesse perso un paio di denti e adesso avesse al loro posto una bella finestra. Fra un brindisi e l’altro, e un: “Evviva ! … Alla Salute !” e “Bravi !”… fu tutto un accalorato raccontare e spiegare … e io me ne stavo nella schiera dei bimbetti seduti per terra tutto intorno intenti a non perdere una sola parola di quei racconti quasi epici.
“I Muranesi ! Sono dei gran figli di … I Muranesi qua … i Muranesi là …” e avanti l’intero pomeriggio con quel ritornello. Fu ovvio che piano piano anche in noi ragazzini si radicò incosapevolmente quell’antagonismo e quella sorta di contrapposizione spontanea.
Se per qualche compera o per qualcos’altro un Muranese approdava in barca e scendeva in Piazza Galuppi a Burano, inevitabilmente da entrambe le parti partivano autentici quanto bellicosi sfottò da stadio.
“Vèdi Buran … col campanìl storto ... Noi abbiamo, invece, una Basilica bellissima, antica, piena di bei mosaici ... Voi un casselòtto de cièsa cadente …”
“Sì ma avete una Madonna sul mosaico che sembra aver preso il sonno …”
“Buranèi: Pìssa in acqua !”
“Muranesi: campagnoli ! … Vèri rotti e biccièri sbeccài … morti de fame ... Neanche boni a cusinàrve i Bussolai de Pasqua ... Ve tocca venìr fin qua da noaltri per comprarli e cusinarli … Savè far solo bussolài de legno …”
Non ce le mandavamo a dire. Era un continuò darle e prenderle senza fine … Ogni occasione era buona per contrapporsi e provocare… A quei tempi era rarissimo trovare nell’isola chi vendesse vetri di Murano, così come da loro si disprezzavano i famosi Pizzi, i Merletti di Burano ... Poi dentro alle case era tutto diverso, perché fra le poche “robe bone e de sèsto messe in mostra” sull’unico mobile buono della famiglia il più delle volte si ostentava qualche bel pezzo di vetro di Murano a Burano e qualche tovaglia di pizzo o centrotavola in merletto a Murano.
Ufficialmente però ognuno dichiarava “paccottiglia e lavori modesti”i prodotti dell’altro ... Era proprio un’avversione forte, un senso di ripulsa e accanimento incontenibile.
A Burano c’erano le casette basse coloratissime e linde anche se miserrime: “Sono le casette dei sette nani delle fiabe” dicevano i Muranesi … Murano, invece, aveva case insignificanti, grezze e anonime: “Case insipide coi cessi in orto ... palafitte da campagnoli primitivi e cavernicoli.” chiosavano ridendo i Buranelli.
In realtà Murano è stata per secoli il “Giardino delle Delizie” per i Nobili Veneziani che usavano l’isola come loro dependance di lusso. Murano a pochi passi da Venezia è sempre stata isola d’evasione, feste e musica, luogo d’incontri e prestigiosi Casini dove sfoggiar cultura e letteratura … oltre che palazzi e ritrovi dove lasciar sfogare eccessi e ogni tipo di divertimento. Come non ricordare i famosi Casini Muranesi deiMorosini, dei Giustinian, Pisani, Grimani…
E poi, come se non bastasse, si mettevano anche i vecchi con le loro fole fantasiose e risentite a cavallo fra leggendario e fantastico. Mi diceva mio nonno durante le nostre passeggiate pomeridiane in giro per Burano e fino a Mazzorbo: “Sono stati i Muranesi di notte con delle corde a provare a tirare giù il nostro campanile di Burano … Ma non ci sono riusciti … Sono stati capaci solo di “storgerlo” da una parte … poi sono stati messi in fuga dai Buranelli … e il campanile è rimasto così …I Muranesi sono spaventapasseri ! … Non i ghe ne imbròcca una !”insiteva il nonno col mozzicone di sigaro toscano puzzolente all’angolo della bocca, “Non i xe stài neanche capaci de tiràr sòso el campanièl !”… e io sorridevo divertito e risentito per quella bravata non riuscita ai Muranesi, e orgoglioso perché i Buranelli di un tempo erano riusciti a metterli in fuga.
Che l’antagonismo fosse diventato leggendario lungo i secoli a Burano non c’era alcun dubbio: ogni anno all’inizio dell’estate si estendeva per ore la grande “Processione dei Tre Santi Patroni” che calamitava attenzione, consenso e gente da ogni parte della Lagune. Erano giorni di gran festa solenne, e alla fine del triduo preparatorio l’immensa Processione Acquea e Terrestre attraversava con grande concorso di popolo, musica, canti, addobbi ed esultanza tutte le piccole e coloratissime contrade dell’isola nonché tutti gli specchi d’acqua circostanti Burano con pompa magna ... e altrettanta invidia di chi ... come i Muranesi, non aveva dalla sua parte “Sant’Alban, San Domenego e Sant’Orso”.
“Sant’Alban: brasso de pègoa !” esclamano invidiosi i Muranesi.
I Buranelli non si scomponevano affatto perché un tempo quel braccio dorato di Sant’Alban con dentro l’osso del Santo che veniva portato ogni anno in processione, era stato anche capace di dare sostegno e sostentamento agli isolani messi in difficoltà dalla carestia e dalla pestilenza. Durante il 1700, infatti, il Piovan de San Martin Bortolo Michielvendette il braccio dorato delle Reliquia di Sant’Alban sostituendolo con un altro di rame dorato distribuendo ai miseri dell’isola il ricavato … e di questo i Buranelli andavano fieri: altro che “brasso de pègola ! …E’ stato il brasso de la Provvidenza !”
E già che c’erano, i Buranelli rincaravano la dose sfottendo i Muranesi per l’abbondanza che Sant’Alban sapeva riversare sull’isola di Burano, tanto che c’era addirittura in San Martin un “bottazzo miracoloso di Sant’Alban” capace di rifornire di vino ininterrottamente l’intera isola … I Muranesi crepavano d’invidia per questo fatto, perciò nottetempo andarono a Burano e rubarono il famoso “bottazzo miracoloso” portandoselo a Murano. Figurarsi i Buranelli ! Fu guerra aperta.
Giunto però nell’isola, fuori dal suo “magico contesto Buranello”, il “bottazzo” s’iniradì e non produsse più niente, neanche un goccio di vino … I Buranelli perciò se la risero … e tira e molla, e molla e para, le liti fra Buranelli e Muranesi per il “bottazzo” continuarono senza fine assommate a rimostranze, vendette, botte e baruffe … finchè il Podestà di Murano Carlo Querinimise fine nel 1543 a tutta quella sarabanda facendo infiggere in parete accanto al soffitto di Santa Maria e Donato di Murano il famoso “bottazzo della discordia”.
“Che provassero stavolta i Buranelli a ritornare a prenderselo !” e questo mise fine al grande accanimento e alla grande discordia ... e non ci fu più vino gratuito per tutti. Andate a Murano in San Donato, e guardate la parete della navata centrale in alto a sinistra verso soffitto: il “bottazzo di Sant’Alban” è ancora là … rinsecchito e asciutto ovviamente … perché a Murano che miracoli vuoi che accadano ?
Il padrone e proprietario della casupola in cui ho vissuto in affitto la mia infanzia a Burano era un Muranese … il che guastava non poco nella mia mente per più di un motivo: primo perché non era tenerissimo con la mia famiglia che era notoriamente con le tasche vuote, secondo perché non si decideva mai a darci il permesso di costruirci il gabinetto con l’acqua corrente in casa, cosa di cui non potevamo ancora usufruire a differenza di molte altre famiglie dell’isola.
“Gli affari sono affari” ripeteva sempre …“Accontentatevi ! … Voi pagate poco, io concedo poco ... Volete di più ? … Pagate di più !” e se ne andava sempre via sorridendo col cappello sghembo sopra la sua testa pelata, e lasciandoci sempre così com’eravamo: senza camino per cucinare, senza acqua corrente per bere e lavarci, e con i “boccali da notte sotto al letto”.
“Maledetto strozzino !” commentava la mamma fra i denti quando si chiudeva la porta dietro al padrone, “Chissà che ti te pìssi dòsso !”aggiungeva sorridendo fiduciosa lo stesso.
Anche crescendo fra noi ragazzi e con i miei amici, gli sfottò e le contrapposizioni con quelli di Murano erano fortissime, irrinunciabili, quasi obbligatorie. Ogni tanto, essendo la nostra Scuola Media sezione staccata di quella di Murano, si organizzavano incroci-incontri per familiarizzare e condividere i percorsi scolastici delle due “Scuole Gemelle”… In poche parole si facevano delle belle partite a Calcio che inevitabilmente finivano sempre per essere “partite a calci” con qualche bella rissa, grosse menate, improperi, canzonature e minacce d’ogni sorta.
Quando andava bene, ci si accontentava di provocazioni benevole: “Vi hanno cacciato via da Venezia come i conciapelle puzzolenti relegati alla Giudecca perché con le vostre fornaci davate fuoco in continuità a tutta la città Serenissima…”
“I nostri vetri ce li apprezzano e comprano in tutto il mondo ! … voi avete solo quattro merletti di spago.”
“Noi abbiamo anche Baldassare Galuppi: uno dei più bravi musicisti della Venezia del 1700 !”
“Eh ! Che vuoi che sia ? Sarà stato un pifferaio … uno zampognaro … Noi abbiamo l’Abate Zanetti!”
“E chi xèo sto Abate ? Qualche fratòn ignorante con la pànza grossa … che va zavatàndo in giro per le fornàse ?”
“Voi Buranelli xe peociòsi !”
“E voàltri avè sempre la spocchia da primi della classe … la spùssa sotto al nàso (ossia siete sbruffoni, pieni di se)”.
E si andava avanti così, con questo continuo “darsèla e tòrsela” che non aveva mai fine e si riaccendeva ad ogni occasione in cui ci si incontrava. In verità Burano aveva più che mai bisogno di Murano, e i Muranesi lo sapevano bene. Cambiando i tempi non si poteva più vivere solo pescando in Laguna e per Mare, perciò buona parte dei Buranelli e delle Buranelle sono finiti per vite intere a lavorare nelle fornaci, nelle conterie, nelle molerie, specchierie e fabbriche di Murano … ed è stata una fortuna !
Inutile non dire che come in tutte le storie del lavoro e delle fabbriche anche a Murano accaddero sfruttamenti, restrizioni, angherie e sopprusi insieme a rivendicazioni, lotte e aspre contestazioni a volte anche violente oltre che dolorose per le magre economie familiari. Non si deve tacere che più di qualche volta soprattutto le donne sono state strapazzate nel crudo e pesante lavoro delle fornaci del famoso Vetro, sono accadute diverse storiacce: fattacci, licenziamenti immeritati e gratuti, ristrettezze, violenze fisiche, liti, e anche di peggio …
Accanto alle fatiche del lavoro, c’erano poi i normali drammi e le grandi e piccole contrapposizioni tipiche delle isole. Da sempre i Muranesi erano “frèga (ruba) morose”… il che aizzava non poco i giovani Buranelli spesso aitanti e bellocci ma dalle tasche bucate … i Muranesi, invece, erano spesso più ben messi e impomatati, e col portafoglio più gonfio.
Ed erano anche baruffe e tirate di capelli fra donne …
Difficilmente una Buranella sposava un Muranese rimanendo ad abitare ancora nell’isola di Burano: sarebbe stata “presa de mìra e da stòrne” per tutta la vita. Sposare un Muranese lo si considerava comunemente come una specie di tradimento … e un piccolo disonore. Perciò era preferibile per quieto vivere che l’interessata andasse ad abitare a Murano, oppure a Venezia.
“A se ghà ridòta a sposàr uno da Muràn … Poarètta !”
“Quando la spùssa monta in scagno …” si dicevano fra loro le donne “accalorate e sempre bellicose”.
“So scorossà da tanti anni con me sorèa” mi diceva sempre l’Antonietta che abitava poco distante da casa mia, “perché la gha sposà un Muranese”.
Alcune delle mie giovani e belle cugine molto più grandi di me che avevano lavorato a più riprese a Murano mi dicevano spesso ridendo: “I Muranesi xè càga alto !”… erano perfide, tremende, e io ci cascavo in continuità nel loro giochetto: “Le donne di Muran sono tutte brutte, sembrano strighe con i capelli per aria … Hanno le gambe storte, il culo grosso, sono piatte e senza tette, e con gli occhi storti … Infatti non possono portare neanche le scarpe a spillo perché hanno sempre i piedi gonfi dentro alle ciabatte larghe…”
Insomma un monumento alla bruttezza: e io prendevo per buona quella classificazine, tanto che quando rimanevo a lungo seduto sul gradino di casa a osservare le barche dei turisti che passavano dentro al canale, osservavo le donne e dicevo a me stesso: “Questa è carina: è Veneziana !”… quella è brutta, un cesso: “E’ Muranese !”…
“Quella è tonda, grossa e paffuta ? … E’ Pellestrinotta !” classificavo.
“Guarda quella con la coda dietro … sopra alla barca piccola ! … è sfàtta e stònfa.” diceva mio fratello divertito.
Io decretavo puntualmente: “E’ una Muranese !”
“Pure l’altra !”
“Muranese anche quella !” e così via in un gioco fantasioso e divertente senza fine che a volte riempiva interi pomeriggi.
Diventato più grandicello, ricordo un episodio. Una volta si è presentata nell’Archivio di Casa-Canonica della Parrocchiale unica di San Martin (che io praticavo giorno e notte con i miei amici in un divertimento curiosissimo senza fine), una giovane studiosa Muranese simpatica e carina. Doveva far delle ricerche d’Archivio per la sua tesi di laurea.
“Qui non c’è nulla in cui cercare!” l’apostrofò severo l’anziano aiutante-custode-Archivista della Parrocchia.
“Ma come ?” gli diedi di gomito trovandomi accanto.
“No … Siamo spiacenti non è rimasto più niente … E’ andato tutto bruciato con l’incendio dell’Archivio …” continuò a spiegare gentilmente e con grande sussiego.
“Ma quale incendio ? … Il Piovan mi ha mostrato tante volte le carte antiche del 1400 e 1500, le pergamene preziose da non toccare perché sono troppo fragili e antichissime.” continuai a sussurragli all’orecchio indispettito oltre che sorpreso … Non capivo quella strana bugia.
“Sta zitto, insomma !” mi spiegò poco dopo, “Non capisci niente … Non vorrai mica che i Muranesi si facciano belli alle nostre spalle venendo a cercare dentro alle nostre carte ? … Questa qui è una Muranese … Che vada allora a cercare a Murano !” e la mise per davvero alla porta a mani vuote … però con un bel sorriso cordiale.
Una cosa invidiavo ai Muranesi: il loro possente faro bianco a strisce nere. Ogni volta che ci passavo di sotto rimanevo ammaliato da quella torre altissima, e di notte mi affascinava sempre osservare nel buio della Laguna quella luce che s’accendeva e spegneva indirizzando i naviganti e orientando le navi che entravano nel Porto di Venezia. Mi sarebbe tanto piaciuto che quel faro così utile fosse stato impiantato a Burano dove i pescatori Buranelli erano stati costretti a dipingere a colori vivissimi le loro case per poterle distinguere dentro alle fitte nebbie della Laguna.
Ogni anno alla fine della stagione estiva c’era la Regata di Burano che chiudeva la stagione delle competizioni remiere ufficiali di Venezia. La Regata di Burano era ed è ancora oggi prestigiosissima e molto sentita per diversi motivi: primo perché è sempre stata considerata la rivincita della famosissima Regata Storica nel Canal Grande di Venezia che si tiene di solito pochi giorni prima. Secondo perché era lo scenario ideale per realizzare l’ennesima contrapposizione fra Buranelli, Muranesi, Ciosòtti, Castellani, Pellestrinotti,Sant’Erasmini e chi più ne ha più ne metta ... C’era sempre nell’aria quella rivalità senza fine, e anche la Regata era un’altra occasione per far festa alle spalle degli altri, oltre che per far baldoria, sfottersi ed eventualmente azzuffarsi in allegria.
La Regata di Burano comunque è sempre stata uno spettacolo stupendo di colori, intensa partecipazione, allegria e festa, e la competizione è stata sempre accompagnata sulle rive e sulle barche con grandissimo entusiasmo sia dei Buranelli che dagli altri isolani e Veneziani ... compresi i Muranesi che di solito sono sempre: “Mùso duro e barèta fraccà.”… ossia spesso seriosi … oltre che permalosi e suscettibili.
Sempre in autunno a Burano si organizzava ogni anno anche la Festa del Rosario diventata poi Festa dei Ragazzi. Era un’altra occasione stupenda di festa tanto che il suo bel ricordo mi è rimasto radicato e cicatrizzato per sempre nella mente. Non dimenticherò mai lo stupendo contorno che ogni anno animava l’isola in quella occazione: la piazza e le case venivano addobbate a festa, si stendevano tutto intorno reti e cogòli da pesca come fossero allegri festoni, nella piazzetta si cucina da mattina a sera “polenta e pesce” su dei calderoni stupendi e fumosissimi posti accanto alle cataste di legna e sopra a dei fuochi crepitanti … Rimanevo lì per ore a godermi lo spettacolo … L’isola intera s’affumicata e diventava odorosa di pesce arrosto e fritto e di legna bruciata … e perfino durante la Messa nella chiesa vicina c’era sparso nell’aria il profumo appetitoso di pesce cotto al posto dell’incenso … Sembrava che qualcuno stesse cucinando miracolosi “pani e pesci” dietro a qualche colonna o su qualche altare della chiesa.
Burano in quei giorni era davvero festosa, bellissima … Uno spettacolo eccezionale riempito da turisti e anche da tanti Buranelli “fuoriusciti in Terraferma” che per l’occasione tornavano a visitare isola e parenti.
Per tutta la giornata era grande spasso per noi giovanissimi: si organizzavano giochi, gare podistiche, e competizioni di ogni sorta e per ogni gamba e capacità. Ce n’era per tutti e di tutti i colori, insomma …
Il clou delle manifestazioni ludiche accadeva però nel pomeriggio e verso sera, quando si teneva il famosissimo “gioco delle pignatte”. Favoloso ! … Non me lo perdevo mai … Mi piaceva un sacco vedere quelle pentolacce rotte dai bendati barcollanti fatti girare mille volte su se stessi. Non vedevo l‘ora di vedere spezzata la pignatta con la farina, e quella piena d’acqua, e poi anche quella con dentro i soldi o una gallinella viva che scappava spaventatissima in mezza alla folla … Poi c’era anche quella piena di caramelle che il vincitore s’affrettava a lanciare verso la folla con grande parapiglia di noi bambini che per una caramella eravamo disposti a tutto … e poi accadeva “il top del top”, ossia il “Palo della Cuccagna”.
Era era un divertimento e un’emozione fortissima perché molte volte le squadre che si susseguivano nella scivolosissima arrampicata erano quelle dei Buranelli, dei Treportini, dei Mazzorbesi … e ovviamente dei Muranesi (detestatissimi).
Ricordo in particolare un anno, non ho presente quale precisamente, era comunque verso la fine deli anni ’60. Il palo della Cuccagna era altissimo come non mai oltre che ricoperto da uno scivolosissimo e straordinario strato di “sèo nero”, ossia di grasso … In alto al palo pendeva sospeso ogni “ben di dio”: davvero tante cose buone, molte più del solito … tanto che erano accorsi diversi gruppi per tentare quell’improvvida quanto remunerativa scalata.
Iniziarono i Treportini e fu subito una risata colossale per tutti: nonostante si foderassero il petto di sabbia e segatura, non riuscirono a salire il palo più di tanto scivolando giù maldestramente: eliminati subito … e fuori uno !
Fu poi il turno della squadra dei Mazzorbesi, notoriamente considerata “schiappa”(altro antagonismo acerrimo esistente: quello fra Buranelli e Mazzorbesi: ma questa è un’altra storia). Infatti, dopo un paio di tentativici infruttuosi vennero anche loro considerati eliminati … e fuori due !
E venne allora il turno dei Muranesi… e qui la concitazione, le grida e gli sfottò salirono a mille, anche perché stavolta i giovani Muranesi sembravano davvero aguerriti e bravi, capaci di accallappiare l’intero “bottino”.
Piano piano vedendo che la pila umana progrediva sempre più verso l’alto salendo uno in spalla all’altro (come previsto da regolamento) sulla piazza salirono ulteriormente di tono le incitazioni, le grida … e le maledizioni. I Muranesi stavano quasi per farcela, tanto che quello più agile, giunto molto in alto per ben due volte, aveva provato ad abbrancare i premi … Era ancora troppo basso per fortuna, ed era scivolato più volte in basso senza però mai arrendersi. Comuque era evidente che ormai era questione di tempo … stavolta i Muranesi erano fin troppo bravi.
Perciò mentre tutti in apprensione guardavano in su, ci fu da un lato della piazza fibrillante un “cenno speciale” di un papà notoriamente iracondo e antiMuranese fino alle ossa. Non avrebbe mai sopportato di perdere proprio quell’anno e con quella così ricca “Cuccagna”… S’era perfino già dato l’appuntamento per ritrovarsi a sera e spartirsi il tutto nella vicina solita Osteria. Io ero là, proprio attaccato a lui … L’omone era rosso in volto, grosso come un armadio, ed eternamente sudato e quasi sempre arrabbiato (contro i Muranesi, ma mai con noi). Fece solo un accenno, annuì appena con la testa verso sua figlia piccola: la mia amica Sabrina, che partì immediatamente.
Dentro al frastuono e al chiassare rumorosissimo, nell’andirivieni assiepatissimo che c’era ai piedi del palo della Cuccagna dove s’assiepavano e accavallavano tutti col naso all’insù, nessuno s’avvide che Sabrina andò dritta dritta ad infilzare con una forcina da testa il polpaccio dell’energumeno Muranese che teneva su tutta la piramide dei salitori Muranesi impegnatissimi nello sforzo della “conquista del palo”. Nell’enorme confusione si udì appena un urlo di dolore … ma mentre Sabrina era già scomparsa, iniziò a traballare la piramide umana posta sopra alle spalle massicce del Muranese dolorante e sanguinante. Tanto bastò, perché mentre l’uomone maiuscolo tamponava con la mano il taglietto, quelli sopra di lui si destabilizzarono, persero l’equilibrio, e vennero giù di sotto uno dopo l’altro, a cascata e come tante pere mature giù da un albero.
I Muranesi si ritrovarono accatastati l’uno sopra all’altro ai piedi del Palo della Cuccagna che rimase quindi inespugnato.
“Tentativo fallito !” sentenziò il giudice ... e ci fu un boato della folla dei Buranelli ... me compreso. A niente servirono le proteste furibonde dei Muranesi: non era successo niente, e quella presunta puntura di spillo o di quel che era stato, voleva essere solo una scusa per giustificare l’inabilità (solita) dei Muranesi. E poi dai ?... Un omone grande e grosso così … che andava a lamentarsi dalla Giuria d’essere stato ferito e punto ? … Ma dai ! Che se ne inventassero un’altra !
Qualche istante dopo, dentro a un entusiasmo indicibile toccò alla squadra dei Buranelli. In un batter d’occhio s’addossarono al palo “quattro muscolacci” che si piantarono alla base e sui primi metri del palo prendendolo d’assedio. Dopo di loro spuntò dalla folla un giovane “folletto tutto nervi” di Burano, che scalzo, fascia sulla fronte, e rivestito di stracci vecchi e ricoperto di “sabiòn” dalla testa ai piedi, sgusciò e s’arrampicò su come uno scoiattolo calcando teste, spalle, e ossa degli amici sottostanti fino ad abbracciare saldamente il palo viscido e nero che divenne un tutt’uno con lui stesso. La gente di sotto e intorno era in delirio … E dopo un’infinita ondata di urla, incitazioni e incoraggiamenti d’ogni tipo, quasi riuscendo a mordere il palo, strisciando perfino con le guance, serpeggiando in su e giù con i piedi attanagliando il tutto, sudato zuppo, e piantando anche le unghie dentro al viscidume ... finalmente dopo l’ennesimo sguardo bieco verso l’alto: protese la mano esile una prima volta a vuoto, e subito dopo riuscì ad agganciarla al premio finale … E venne giù Burano intera … Fu un tripudio, un’esplosione dell’intera Piazza Galuppi … mentre i Muranesi se n’erano già andati via con la coda fra le gambe.
“Murano toh ! … Sarà per un’altra volta.” gli sghignarono dietro e contro i Buranelli quasi accompagnandoli.
Infine giunse la sera con le “campane del Vespro” che si ribaltarono mille volte dentro al “campanil storto” suonando a festa … e si terminò la festa come sempre con canti, musica e balli in piazza … Venne a suonare in isola come il solito la prestigiosa Banda Musicale e Cittadina di Venezia, che col “Va pensiero” e i grandi pezzi d’opera lirica suonati orchestralmente fecero venire i lucciconi agli occhi a tanti Buranelli e Buranelle che cantarono a squarciagola fino a commuoversi del tutto.
Che festa !
Diventato più grandicello, e studiato un pochetto, ho invidiato ai Muranesi anche altro, per esempio quella splendida Madonna Bizzantina dallo sguardo magnetico che troneggia sul catino absidale sontuosissimo e unico nel suo genere di San Donato di Murano. E’ una delle più belle Madonne delle Lagune, una delle famossime e misteriose Sante Marie antichissime che punteggiavano le acque delle Lagune Venete. Una sorta di concatenazione mistica che si estendeva oltre Torcello, Muranoe San Marco, e fin dentro alla Terraferma: a Caorle, Eraclea, Jesolo, e poi ancora oltre fino a: Concordia, Pordenone, e fino a Gradoe oltre ancora risalendo probabilmente l’intero Golfo Adriatico fino a Trieste. Quelle Sante Marie prestigiosissime oltre che bellissime erano segno di una specie di gemellaggio interiore, artistico e devozionale, olte che d’intenti commerciali e alleanze fra le genti delle Lagune e del primo entroterra Veneto.
Quanti contenuti d’altri tempi pregni di significati ci sono sparsi per la Laguna … Peccato che oggi siano andati smarriti e dispersi oltre che dimenticati quasi del tutto.
Oggi i tempi sono per davvero cambiati: certe rivalità campanilistiche si sono del tutto assopite, anzi: non esistono più. Volendo banalizzare: la partita, l’antagonismo tradizionale di ieri, si è concluso sostanzialmente con un pareggio neutrale che accontenta entrambe le sbiadite fazioni dei Muranesi e dei Buranelli. Rimane, invece, lo spettacolo della distesa delle acque placide e lisce della Laguna e delle isole che appaiono sempre come un miraggio onirico e mutevole mai esausto. Un fascinoso contenitore ameno dentro al quale è ancora possibile rinvenire e raccogliere briciole e brandelli di Storia curiosissima e davvero interessante che però si va assopendo sempre più.
Dove un tempo le plaghe d’acqua venivano smosse appena dai remi faticosi senza riuscire a rompere quei silenzi maiuscoli e quasi incantati sorvolati da Cormorani, Folaghe, Anitre e Gabbiani e da mille Pesci che saltavano fin fuor dall’acqua, ora sfrecciano all’impazzata “a prua alta” motori chiassosi, fuoribordo e lancioni che fanno ribollire i canali e vomitano sulle isole folle di turisti “toccata e fuga” ansiosi di depennare anche quelle visite dalla loro lista di “cose Veneziane de vedere in fretta”. Le bricole contorte, consumate e divelte ondeggiano e si piegano tristemente … la Laguna sembra tremare non potendo protestare.
“Ponte di Rialto: visto … Ponte dei Sospiri, Palazzo Ducale e Piazza San Marco: visti e fatti ! … Adesso: Burano: fatto anche quello … Murano: fatto … Torcello: visto ! … Ho visto venezia: possiamo andare … Adesso toccherà a Firenze, Roma e Napoli …”
Che tristezza !
Per fortuna le Stelle e le Storie continuano a girare immote sopra Venezia e la sua Laguna … Qualche volta bisognerebbe trovare il tempo per osservarle almeno un attimo, scorgendo fra nuvola e nuvola spezzoni di memorie del passato che continuano a farci sorridere oltre che pensare ... orgogliosi di quanto abbiamo vissuto sopra a queste amene acque.