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“UN SPARPAGION, UNO “STROLEGO DIABOLICUS” IN GIRO PER VENEZIA … NEL 1633.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 132

“UN SPARPAGION, UNO “STROLEGO DIABOLICUS” IN GIRO PER VENEZIA … NEL 1633.”

A detta di tutti quell’uomo sembrava proprio un “Sparpagiòn”, uno “Stròlego Diabolicus” che andava in giro per le strade e le Contrade di Venezia negli anni dopo il 1630. Erano ancora una volta anni difficili di carestia e pestilenza, anni in cui non si andava tanto per il sottile perché si era un po’ esasperati da tutta quell’atroce buriàna che accadeva dentro alle case, ovunque nelle Contrade e nelle isole di Venezia, e soprattutto dentro alla vita di tutte le persone della Serenissima “precipitate” da quell’orribile quanto micidiale contagio.

E se da una parte c’era gente credulona che si fidava dei primi rimedi esotici e un po’ improvvisati che trovava proposti per strada, dall’altra parte non si era molto teneri con gli imbroglioni, i ciarlatani e gli impostori che cercavano di gabbare la gente sprovveduta. In certe circostanze si rischiavano veri e propri linciaggi a furor di popolo, o pene esemplari che venivano impartite pubblicamente in maniera spettacolare.
Nello stesso tempo, il Santo Uffizio dell’Inquisizione di Veneziadi certo non si crogiolava in attendismi e inutili incertezze, ma vigilava attentamente intervenendo energicamente ogni volta che se ne presentava la giusta occasione ... Giustizia della Serenissimapermettendo, perché la Repubblica “arrivava di sovente a legar impunemente le mani all’azione purificatrice della Santa Inquisizione”.

Ed ecco come andarono i fatti …

C’era sempre stato in giro per il mondo e anche per Venezia(ieri come oggi), chi se ne andava in giro alla ricerca di speciali performance ad effetto,“provando a dar la caccia alla bendata Dea Fortuna”, e finendo per vivere d’espedienti … e se l’Audaciaera sempre stata considerata “Virtù dei Forti” capace di procurare ambiti premi a chi sapeva osare, così s’era dimostrato altrettanto vero che chi andava in cerca di gabbare il prossimo molte volte finiva con l’essere gabbato e incastrato malamente sua volta.

Sapete com’era Venezia … certe volte assomigliava a certi piccoli paesetti dove la gente è abituata a spettegolare e mormorare senza sosta. Le voci e le chiacchiere volavano e si spargevano e propagavano in un attimo in ogni angolo delle Contrade fra Calli e Campielli, e in un battibaleno si veniva a sapere tutto di tutti con l’aiuto di lingue svelte e alquanto bene informate.

Si era perciò nel 1633, e si venne a sapere che c’era in giro per le Contrade un tale: “uno nuovo, un foresto che girava come uno sparpagiòn, uno spaventapasseri malmesso … uno stròlego che sapeva far mille magie e malìe …”

In parallelo allo spargersi di quelle voci si attivò una vera e propria squadra di loschi e incogniti figuri prezzolati da una parte dalla Serenissima, e dall’altra dagli Ecclesiastici del Santo Uffizio… Costoro, a prescindere da chi li scatenava, erano tutta gente abilissima a: “ascoltàr, intrallazzàr, furegàr, squacquararàr, intrigàr, rumegàr e spionàr …”, e s’adoperavano ovunque si trovavano con grande efficacia e prontezza … Erano dappertutto.

“Eccellenza e Siorìa Illustrissima …” esordì davanti all’Inquisitor Grando di Venezia uno di quegli uomini vestito ordinario, un po’ arruffato e col cappello in mano. “I ghà el Dimònio in casa !”aggiunse sottovoce ma chiaramente.
L’effetto fu immediato: l’Inquisitore saltò per aria dal suo seggiolone come se fosse stato morso da una bestia velenosa. Subito dopo l’austero uomo del Santo Tribunale inviò un messaggio al Nunzio del Papa che abitava nel palazzo a San Francesco della Vigna, e allo stesso tempo mise in moto quello che era il suo uomo più scaltro e furbo perché si recasse sul posto e iniziasse a indagare sul serio su quella strana e pericolosa faccenda.

La Verità di solito finiva sempre con lo spuntare fuori e venire a galla … Era sufficiente saper usare le “maniere giuste”… non importava se gli altri le avessero considerate “buone o cattive”… Il risultato era quello che contava. Perciò anche quella volta la Verità venne fuori del tutto … e fu davvero sorprendente, degna di nota, tanto che il Tribunale Inquisitorio si mise in moto con grande attenzione.

La “Verità scoperta” rivelava che a San Giobbe, in fondo a Venezia verso la Laguna aperta, esisteva una “stanza segreta con dei grandi Circoli neri tracciati col carbone sopra al pavimento bianco … Lì c’era anche una grande tavola imbandita dove si presentava a cenàr e disnàr “un Amico” ossia il Diavolo in persona …

Non trattasi di cosa da poco, e di faccenda da restàr tanto tranquilli …” commentò l’Inquisitore accerbato.

La casa con un portico davanti si trovava in Campo delle Beccarie a San Joppo ossia San Giobbe, una Contrada periferica nel Sestiere di Cannaregio occupata da popolani e artigiani, e da molte Chiovere di Tintori e Tessitori.
Gli spioni rivelarono che la storia era iniziata tempo prima, e che fra i protagonisti c’erano alcuni Ebrei, ossia: Monte Maestro e Isac Zacuto… uomini utili per via della lingua da tradurre e delle parole simboliche usate “nei Riti”… da interpretare perché legate all’alfabeto Ebraico … I due uomini, inoltre, non erano perfettamente onesti, erano piuttosto loschi e alquanto ambigui, perchè erano già stati sottoposti in precedenza a diversi arresti e a diversi provvedimenti da parte degli Esecutori sopra alla Bestemmia, dai Cattaveri, e addirittura dal temibilissimo Consiglio dei Dieci.

In quella nuova circostanza i due Ebrei frequentavano con molta assiduità un certo Pietro Rinaldi sarto Padovano residente a Venezia, e si riunivano spesso a casa del Veneziano Francesco Viola, sarto pure lui. A casa sua, e in sua compagnia, escogitavano modi sempre nuovi per fare scommesse e procacciarsi vincite al gioco. “E per far questo non disdegnano di servirsi d’evocazioni e apparizioni del Diavolo in persona … perché pure gli Spiriti per quanto misteriosi e dannati, possono tornare utili per una buona causa di guadagno.” così terminò di riferire in dettaglio lo spione desideroso di congrua remunerazione.

Si sapeva già che il sarto Pietro Rinaldi era notoriamente: “uomo avido di Magia”. Si raccontava di lui che con l’aiuto di una certa vedova Antonia della Contrada di San Barnaba s’era procurato una testa di morto sulla quale aveva fatto celebrare: “36 messe del Venerdì” nella chiesa di San Fantin poco lontana da San Marco nascondendola sotto a un fazzoletto di un’altra donna che durante la Messa aveva recitato: “1.000 De Profundis per i Morti”. Da parte sua lo stesso Pietro aveva incrementato “la cosa” recandosi in giro per Venezia a Santa Maria dei Servi, San Zanipolo, San Fantin e alla Croce Granda recitando per lo stessi scopo altri 100 Pater e 100 Ave” in ciascuna chiesa. Alla fine “la testa” avrebbe dovuto parlare e rivelare dei “nomi buoni” di Nobili utili per vincere al gioco della Pizia … ma non era accaduto niente.

A tal proposito serve ricordare che i Veneziani di ogni ordine sociale hanno avuto per secoli una vera e propria mania patologica, incoercibile e insanabile per il gioco e le scommesse. Si diceva che scommettevano di continuo e ovunque, su tutto e tutti: per le strade, nei campielli, sulle rive, nelle barche e sulle vetrine delle botteghe … Dovevano essere parecchio annoiati del vivere, perché scommettevano sulle cose più strane, incredibili e inverosimili: sull’elezione dei Cardinali, sulle investiture dei Nobili delle nuove cariche dello Stato, su colui che erano candidato a divenire Doge … ma anche vedendo passare per strada una qualsiasi donna incinta: scommettevano sul fatto che avrebbe partorito un maschio o una femmina, oppure sul giorno in cui l’avrebbe fatto … E perché no ? I Veneziani scommettevano perfino su quando sarebbe morta una o l’altra persona ... In fondo, che male c’era ? … Le manie erano manie insomma.

Un altro dei componenti della “combriccola” scoperto dagli spioni dell’Inquisizione e della Serenissima era Francesco Viola: un altro che lavorava da sarto nella sua bottega in Contrada di San Giovanni Crisostomopoco distante dall’Emporio di Rialto. Col lui abitava a San Giobbe anche una donna considerata da molto tempo la sua futura moglie: Maddalena, che era una vedova inferma e ammalata che rimaneva sempre chiusa in casa. A detta di tutti era una donna bellicosa: “che gridava e biastemàva di continuo” ... un donnone tremendissimo.

Viola era giunto a Venezia da Napoli nel 1631 dopo che suo padre aveva fatto fallimento, e sempre a Napoli aveva conosciuto Marco Corradi di professione: Conciapelli lavorante in casa, col quale andò ad abitare a San Giobbe una volta ritrovatolo a Venezia. All’inizio tutto era sembrato andare per il meglio e secondo il verso giusto: Marco Corradi lavorava con profitto riuscendo addirittura a dar lavoro ad altri dipendenti: Vincenzo Caravazzo, Innocente Ceola, Zuanne Cagnello e Andrea Rubino. Fu però in seguito che lo stesso Marco perse parecchi soldi al gioco indebitandosi con Francesco Viola per più di 150 ducati. Ne era scaturita una lite furibonda dopo la quale finirono a “sbaruffare” davanti al tribunale, senza tuttavia perdere l’amicizia e l’intesa fra loro. Paradossalmente il giorno in cui Francesco Viola venne carcerato dagli uomini del Santo Uffizio a causa della vicenda che vi sto ora raccontando, si trovava proprio fuori della porta di casa di MarcoCorradi in attesa che i Fanti dell’Esaminador gli pignorassero e sequestrassero i beni per assolvere al debito che aveva ancora con lui.

Vedi il destino e la sorte quanto a volte possono essere strani ! … Viola in un attimo si ritrovò a passare da denunciatore a denunciato, e da creditore a debitore, da inquisitore a inquisito … e infine: carcerato e processato.

E giungiamo a Lunardo Longo, forse il vero primo attore e protagonista di tutta quell’insolita storia intricata.Longo era nativo forse di Rodi, ma … fatalità … era giunto a Venezia nell’inverno 1633 provenendo anche lui da Napoli. Appena messo piede nella Laguna di Venezia si era presentato ormeggiando una barca carica di Vino sulle Rive di Rialto. Sembrava un agguerrito Mercante, e aveva subito contattato MarcoCorradichiedendogli di convincere Francesco Viola a comprare il suo vino e a ospitarlo a casa sua per qualche giorno. Viola non comprò il vino, ma se lo tenne in casa per mesi: fino al Giovedì Grasso di Carnevaledell’anno successivo.

Lunardo Longo in realtà era un personaggio insolito e stranissimo: forse era stato anche Frate Domenicano, appassionato di Chirurgia, Astrologia, Negromanziae molto altro ancora. Si definiva soprattutto: “abile Guaritore”, e aveva un aspetto singolare per non dire inquietante: “pareva uno sparpagiòn arruffato che girava per Venezia armato di due vistosissime pistole … vestiva “alla Spagnola”, suonando la chitarra, e passando il tempo “strologàndo”, copiando libri di Magia, ed evocando Demoni proficuamente …”

Per far tutto questo Lunardo si serviva di alcuni suoi Libri come l’“Occultissimorum Liber” da cui non si separava mai, e ne possedeva molti altri di “notomìa” che utilizzava quando doveva guarire qualcuno … Si diceva in giro che era abile a levar sangue alle donne togliendolo dalla “vena Salvatella”, e soprattutto che aveva guarito dal “mal della pietra”(ossia dalla calcolosi renale e vescicale) l’Ambasciatore di Spagna in persona.  Conservava inoltre con grande cura un altro libretto rilegato in pelle su cui segnava tutti i “nomi buoni” dei Nobili di Venezia consultandolo di continuo per fornire “bòni suggerimenti da impegnar nel gioco della Pizia”.

Marco Corradi e Francesco Viola subodorando come quell’uomo poteva far loro comodo con le sue attività, non solo lo ospitarono mettendogli a disposizione una stanza in casa propria dove “poter esercitar da Negromante e Stròlogo”,ma si offrirono anche di procurargli raccattandoli in giro per Venezia tutti i “materiali speciali” con cui doveva compiere le sue “particolari operazioni nella sua “Stanza dei Circoli”.
Infatti, seguendo alcune indicazioni contenute in un “Manual da Stròlogo” e nella “Clavìcula Salomònis”, Viola e Corradi gli avevano procurato incensi ed erbe, e avevano ordinato presso Antonio Gianolla Fabbro a San Giovanni e Paolo degli stampi d’acciaio a forma di “coltello e falce” dove far colare dentro “candele di cera vergine” che ordinavano a un vicino di casa.
Lunardo a sua volta, dopo aver temperato gli stampi d’acciaio con del “sangue di Gatto e di Colombini”, aveva tracciato col carbone, dello spago e un coltello torto da Caleghèr e girando intorno alla sua stanza delle “strane linee, e tre cerchi grandi e piccoli” ... Dentro ai cerchi aveva scritto sempre col carbone delle lettere dell’alfabeto Ebraico ossia dei “segni Salomonici”, e infine aveva fatto colare la cera dentro ai suoi preziosi stampi. Era questo il “rito”di Lunardo per “Evocàr il Dimònio”, e per far questo s’era anche abbigliato con un “camisòto da Messa da Prete” che Viola e Corrado s’era procurati dal Sacrestano della Madonna dell’Orto con la scusa di volerlo copiare per una commissione sartoriale ordinata dall’Ambasciatore di Spagna.
In seguito, quando avevano restituito in chiesa l’abito tutto sporco, uno dei Preti della Madonna dell’Orto s’era risentito e arrabbiato non poco, perché temeva che l’avessero usato per travestirsi da Prete durante i giorni di Carnevale.

Intanto, “abbigliatosi da Rito”, Lunardo s’era messo ad usare uno dei suoi libri di nome: “Almanach” compiendo diverse “Magie”. Di solito Viola e Corradi lo vedevano: “Leggere di giorno … e guardar le Stelle di notte … scrivendo “natività” (oroscopi) in gran quantità per molti Nobili e persone che giravano per casa, compreso il Macellaio Angelo Targa, che ne aveva ordinata una senza poi andare a ritirarla e pagarla …”

Nella sua stanza Lunardo faceva “comparir Spiriti”(a pagamento) nelle mani unte con olio di“Garzoni e bambini Vergini che gli venivano presentati”. A volte “la Magia” riusciva e gli Spiriti suggerivano numeri e “preziosi consigli”utili per andar a scommettere e giocare. Altre volte, invece, il “Rito” non funzionava: “perché i bimbi non erano abbastanza puri come dicevano d’essere …”

Inoltre, lo stesso Lunardo conosceva “l’arte d’intrugliàr e impiastricciàr efficaci mantècche”, sapeva leggere dentro alle mani quale sarebbe stato il nome del nuovo Doge di Venezia scegliendolo fra i 38 candidati che correvano sulle bocche di tutti … e sapeva anche svelare “il futuro fortunato” di quale “ricco moròso” avrebbe sposato qualche ragazzina che gli presentavano.

Il connubio e l’intesa con Corradi e Viola funzionava a meraviglia, tanto che i tre si recavano spesso in giro per la Terraferma Veneziana “a caccia di tesori nascosti” spingendosi fino a Verona, Treviso e Mestre“ma senza mai ottener successo”.
Viola, Corradi e un altro amico: un certo Pietro Rinaldi andavano spesso a giocare alla “Bassetta” utilizzando gli “accorgimenti magici ed efficaci” forniti da Lunardo. Una volta erano andati a giocare in diversi Ridotti di San Moisè e di San Barnaba indossando un polsino che conteneva una foglia intinta e scritta con “sangue di Nottola” … Erano andati a giocare anche a casa dell’Ambasciatore di Francia… e la cosa aveva funzionato a dovere tanto che avevano vinto diverse volte ... C’era stato inoltre anche un Nobile Ambrogio Bembo detto Bembetto che avendo vinto tantissimo utilizzando “i modi” suggeriti da Lunardo e compari, era tornato indietro riconoscente donando al sarto ben 200 Reali.

Guarda, indaga, sbircia, cerca e ascolta … Gli spioni della Serenissima e dell’Inquisizione Veneziana scoprirono insomma che esisteva una nascosta ma efficiente attività di commercio e guadagno che ruotava intorno all’attività di Viola, Corradi, Rinaldi e alcuni Ebrei ispirati dallo “stròlogo”Lunardo Longo.

Scoprirono anche in parallelo che c’era un fiorente giro di scommesse clandestine svolte nel Ghetto. Si sapeva che la mania per il gioco, compreso quello d’azzardo, era per i Veneziani una costante deleteria che coinvolgeva ampiamente ogni ceto sociale ormai da secoli … donne comprese … ma quella volta c’era di mezzo anche “la Magia”… ed era questo che rendeva il tutto alquanto sospetto, degno di considerazione e pericoloso.
La Santa Inquisizione sapeva già che gli Ebrei del Ghetto oltre ad essere abili rivendugoli, straccivendoli e prestatori di soldi, erano anche scommettitori incalliti e procacciatori di ogni tipo di gioco anche d’azzardo. Sapeva anche che erano disposti ad alimentare a pagamento ogni tipo “d’intrallazzo e contaminazione della Giustizia” intrufolandosi dov’era possibile dentro a ogni tipo di cause, e “oliando a dovere” pratiche e persone forensi riuscendo perfino a “indirizzàr sentenze”. Sapeva ancora che a scopo di gioco e lucro gli Ebreicreavano e rivendevano a caro prezzo: da 5 a 10 ducati l’una, certe “descritte particolari” che facevano vincere ad ogni tipo di gioco con l’aiuto di: “Spiriti Dimoniali che apparivano dall’invisibile sopra ai balconi suggerendo gesti, numeri e soffiate utili”.

Stavolta però c’era di mezzo “il Diavolo Belzebùl, Satàn in persona”… e questo aveva fatto la differenza creando una situazione incresciosissima. Era perciò necessario intervenire prontamente … cosa che l’Inquisizione Venezianafece subito.

Verso Natale del 1633 si concluse tutto, e “la pentola dell’oscuro imbroglio venne scoperchiata”. Emerse la notizia delle notizie, ossia il fatto che in alcune“cene notturne nella Stanza dei Circoli a San Giobbe” si presentava “l’Amico” ossia niente meno che il Diavolo-Satana in persona che sostava a cenare lasciando gli avanzi sul pavimento. Per predisporsi equamente a quell’equivoco evento la combriccola intraprendeva ben 40 giorni di digiuno … e alla fine dopo “l’apparizione e la visita diabolica”si sedevano a loro volta a tavola spartendosi il succulento banchetto nonché “i suggerimenti buoni pel il gioco” lasciati dal Diavolo. Era emerso anche che in quella stessa circostanza Lunardo non aveva perso l’occasione per raccontare a tutti che il Diavolo l’aveva schiaffeggiato rivelandogli “i nomi buoni” di certi Nobili su cui si poteva scommettere in sicurezza al “gioco della Pizia”.

Poi in maniera del tutto imprevista era accaduto dell’inverosimile quasi precedendo l’azione della Santa Inquisizione. La compagnia “era scoppiata da se” perché  Lunardo Longo aveva fatto infilare tutti in una serie di perdite al gioco ingentissime che mandarono ciascuno in rovina indebitandosi fino al collo. Erano incappati tutti in una perdita di ben 2.000 lire, una somma troppo grossa per le loro limitate finanze, e il fatto li aveva inaspriti e fatti litigare grandemente fino a giungere a prendersi a coltellate. Viola aveva ferito Lunardoa un braccio cacciandolo fuori di casa … e qualche giorno dopo Lunardoera tornato“con la sua chitarrella e con certi suoi loschi amici” per litigare di nuovo e vendicarsi dello stesso Viola minacciandolo in casa sua.

Anche in questa seconda occasione baruffarono a lungo e non poco fra loro, e volarono di nuovo i coltelli da Caleghèr che andarono a ferire alcuni al petto, alle mani e pure alla testa … Francesco Viola in seguito finì con litigare pesantemente anche con Marco Corradi, e la faccenda suscitò grande clamore per la Contrada, e si concluse con denunce e querele davanti alle autorità pubbliche. All’Inquisizione non rimase che “raccogliere i cocci” di quella strana combriccola “andata in pàppe”, e mettere tutti uno dopo l’altro dentro alle sue carceri in Contrada di San Giovanni Novo o in Oleo nei pressi di Piazza San Marco.

Il resto fu ancora più rovinoso: furono tutti costretti a “chiudere bottega” licenziando i Lavoranti, e per assolvere “ai debiti pressanti” vennero sfrattati anche dalla casa di San Giobbe che venne affittata ad altri.

I nuovi inquilini,“a scanso d’ulteriori complicazioni ed equivoci”, rivelarono all’Inquisizione che avevano trovato entrando in casa quella “macabra Stanza dei cerchi” con ancora sul pavimento quei “segni neri” che s’erano affrettati a cancellare ottenendo il plauso dell’Inquisitor Grando.

Intanto per Viola, Corradi, Rinaldi e gli Ebreitutti carcerati, iniziò un lungo periodo d’attesa del processo, ma anche un’altra fase di quella strana vicenda perché dall’interno delle prigioni dell’Inquisizione ciascuno iniziò a pensare “a modo proprio” su come riuscire a farsi rilasciare e uscirne fuori “guastandosi il meno possibile”. Alcuni minacciarono gli altri cercando di non farli parlare e inducendoli a ritrattare o almeno ridurre le accuse. Gli Ebrei, che possedevano maggiori conoscenze e agganci, maneggiarono riuscendo a defilarsi, deviare le indagini, e ridurre il loro coinvolgimento con le relative possibili accuse e pene.

Viola per procurarsi testimoni a suo favore s’impegnò perfino: “… il letto di casa, il materasso con le biancherie da letto … e con la futura moglie malata ancora sopra”, usufruendo dei servigi di un losco e violento “Ebreo Catecumeno neoconvertito”.

Ancora gli Ebrei, prezzolarono il Capitano della Guardiedell’Inquisizione attraverso sua moglie ottenendo di contattare e visitare Corradi e Rinaldi minacciandoli fin dentro alle stesse prigioni. Alla fine emerse agli occhi dell’Inquisizione anche tutta quella “burrascosa faccenda” che accadeva impunemente dentro alle loro carceri, perciò venne carcerato pure il Capitano delle Guardie insieme alla moglie.

Corradi meno fornito di risorse economiche finì col tacere e basta … in attesa degli eventi e del processo che alla fine si celebrò concludendo quella “strana e demoniaca vicenda”, edemettendo “equa e provvidenziale sentenza”. All’atto del verdetto finale:

FrancescoViola venne descritto dall’Inquisizione come: “vehemente sospetto d’eresia”, e perciò condannato a:“un’ora di berlina in Piazza San Marco, e a cinque anni di prigione “chiusa e sicura” con possibilità di chiedere grazia solo dopo due anni.” Dopo un certo tempo gli venne concesso l’arresto domiciliare con la possibilità di tornare a lavorare nella sua bottega di San Giovanni Crisostomo.

Anche Pietro Rinaldi venne considerato dall’Inquisizione:“vehemente sospetto d’eresia”, perciò gli furono comminati: “un’ora di berlina sopra la Porta principale di San Marco, e sette anni di carcere “chiuso e sicuro” senza la possibilità di “chieder grazia” prima di tre anni.” In seguito venne trasferito dalle carceri di San Marco a quelle di Rialto permettendogli di lavorare per sfamare la sua famiglia di quattro figli che dormivano sulla nuda paglia, mentre la moglie era costretta ad elemosinare carità per strada.

Gli Ebrei, non si sa bene né perché né come (o meglio, si sapeva benissimo)riuscirono in una certa maniera a “farla franca”. Vennero solamente richiamati “a buon vivere” e lasciati andare minacciandoli delle pene più severe qualora fossero stati nuovamente coinvolti “in oscure faccende simili”... cosa che probabilmente fecero in seguito, come erano avezzi a fare da chissà quando, forse da sempre.

A Marco Corradi, l’Inquisizione fece: … non si sa, perché gli atti del processo stranamente tacciono al suo riguardo. Di certo non la passò liscia, ma il suo nome finì con lo scomparire nell’anonimo nulla della Storia Veneziana.

E Lunardo ? … lo “sparpagiòn e stròlego” mente e fautore di tutto ?

Lunardo Longo fu forse il più furbo di tutti, perché sentendo “odore di bruciato” fece fagotto e fuggì da Venezia prendendo la via di Ferrara. Se ne volò via, volatilizzandosi e svaporandosi come uno dei suoi Spiriti Magici e Demoniaci che sapeva evocare facendoli “comparìr e scomparìr dal niente”.

Giunto a Ferrara pensò bene d’iniziare da capo il suo abile e proficuo giochetto esistenziale. Ma non s’era accorto, né aveva tenuto in debito conto che altrove era ancora peggio che a Venezia … perché il Duca di Ferrara, ad esempio, ci mise solo un attimo a decidere per una soluzione chiara e definitiva che risolveva per sempre tutta quella “nuova quaestio” sollevata dalla presenza in città di quello strano individuo.

In un colpo d’impeto il Duca pensò bene con i suoi Consiglieri di spiccare la testa dal collo a Lunardo Longopresentatosi in giro per Ferrara: “… armato delle due pistole e vestito “alla Spagnola”, suonando la chitarra, e passando il tempo “strologando”, copiando libri di Magia, ed evocando Demoni …”

Così infatti avvenne ... e Lunardo Longo venne probabilmente impiccato … “e buonanotte a tutti ! … e a ogni proficua magia diabolica … buona o fasulla che fosse stata.”



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