“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 137.
“Laura … la Strìga de Castèo … a Venezia.”
A dirla tutta, il vero nome di Laura era Tarsia e la sua è stata tutto compreso una storiaccia … una fra le tante simili che capitavano un tempo nella nostra Venezia. Una storia in fondo di miseria, dabbenaggini e ristrettezze mescolate a violenze e soprusi, ma anche a quel pizzico d’arguzia e furbizia che sa adottare chi deve per forza inventarsi un modo di badare a se stessi e di “sbarcar il lunario”.
A Laura-Tarsia fin dalla più tenera età era accaduto di tutto: nei primi anni del 1600 venne abbandonata in uno dei mille Monasteri di Venezia pochi mesi dopo essere nata dalla madre Isabella che non sapeva come mantenerla in vita. Probabilmente la donna la lasciò nel Monastero della porta accanto, quello della vicina Contrada di Sant’Antonin che forse conosceva meglio o in cui riponeva maggior fiducia. Ad essere precisini, si conosceva anche il padre di quella bimba: si trattava di Teodorin da Rodi(un greco quindi)… ma che fine avesse fatto e dove fosse andato a finire ?
Tarsia allora crebbe lì dentro presso la Comunità dei Greci di Veneziache in quell’epoca contava almeno 4.000 persone tutte strette intorno alla loro chiesa, all’Ospizio, alla Schola e al loro Cimiterietto. Crebbe mica tanto visto che a soli dodici anni si ritrovò già bella che sposata con un Marinaio Greco, che partito poco dopo per la guerra contro i Turchi, fece sparire di se ogni traccia e notizia per sempre ... Laura venne perfino sciolta dal matrimonio, e i Greci le restituirono anche la povera dote.
I Greci a Venezia come altrove avevano fama d’essere uomini di mare intraprendenti, ma anche persone lascive, sensuali, disinibite e scostumate … oltre che avide e parsimoniose. In giro per Venezia giravano certi “veci Greci capotèri” che erano considerati quanto più di libidinoso e ambiguo si potesse immaginare … E non era un caso se a Venezia accanto ad alcune “Greche Guaridòre” come Elena Draga e la Zuànache stava alla Carità, c’erano anche alcune “donne di malaffare” come Serenae Marietta, e Rosae Caterina da Corfù che stavano in Calle del Forno a Castello: “ … le donne Greghe de la Contrada sono fèmene passionali, spudorate assae e dai facili costumi … ma buone da abbordare” si diceva in giro.
Maledetto destino ! … Vedova così giovane … Tarsia però non si depresse perché poco dopo, a vent’anni, finì col maritarsi per la seconda volta con un ricco Mercante di Seta letteralmente ammaliato dal suo modo e dalla sua bellezza. Francesco Bonomin, così si chiamava il Mercante, che affermò in seguito davanti all’Inquisizione: “Ho conosciuto Laura a un ballo di Carnevale in Contrada di Santi Apostoli … Era mascherata e assomigliava a un Diavolo … e lo era per davvero.”
Anche costui era vedovo e con quattro figli, e forse quella di scegliere una matrigna fu una scelta oculata e di convenienza. Inizialmente, infatti, tutto sembrava “giràr ben”, tanto che la coppia mise al mondo altri due figli: un maschio Luigi e una femmina Malipiera.
I quattro figli del Mercante e adottivi di Laura, raccontarono in seguito che la donna “faceva gran chiasso”… e che l’avevano vista più volte attraverso la serratura “buttar su una padeletta piombo discolato in forma d’ago e di Diavolo … C’haveva li corni et pareva strangolasse uno … e Laura disèva misteriose parole grèghe segnando con un coltello negro prima di riversarlo sulla veste del padre”. Inoltre l’avevano vista in altre occasioni: “buttàr cordelle rosse annodàe per terra, mèter ostie da Messa avute da donne dei Carmini, acqua benedetta tolta dalla ciesa de San Polo, e polveri misteriose dentro alla minestra del padre … Le quali lo facevano diventar màto e far pazie, onde lui andava per la strada fecendo matarìe, e buttava la spuma dalla bocca, et infuriato voleva dar a tutti.”
Sempre gli stessi figli adottivi ricordarono ancora che la donna possedeva: lingue secche di gatto morto avvolte in oro, argento e nastri di seta gialli, che erano talmente dure che non si distruggevano neanche buttandole nel fuoco dove resistevano scoppiettando … Affermavano anche che la donna aveva “strigàto, maliàto e fassinàto” il loro padre per farlo diventare buono e perché non la picchiasse più … Il Mercante in persona dichiarò più tardi: “… ho continuato così sin tanto che sono andato alla Casa di Loreto venendomi fuori dallo stomaco una cosa negra, qual credo fosse il letto delle strigarìe.”
Laura sapeva tante cose “per strigaria e perché il Dimonio in persona gliele diceva mentre si denudava con i capelli sciolti”. In quell’epoca si era convinti che fosse riprovevole per una donna andarsene in giro o starsene in casa senza i capelli acconciati e ordinatamente raccolti. Una donna con i capelli sciolti era ritenuta libertina, provocatoria, eccessivamente sensuale, quasi perversa. Non era un caso se l’Inquisizione faceva rasare del tutto le donne ritenute malefiche e coinvolte in situazioni di stregoneria diabolica.
“Le donne devono procedere velate … perché quei capelli sciolti provocano perfino gli Angeli del Cielo.”… Era questa una norma dell’atteggiamento comune condivisa quasi da tutti.
Laura aveva anche un certo successo perché aveva rivelato che un Frate Carmelitanoapostata e ora carcerato era l’autore di un furto di due anelli di diamante e rubino, e di quelle “strane rivelazioni sataniche” era testimone anche un altro Frate: Antonio Contarini.
Arrivato però il famoso 1630, quello della grande Pestilenza Veneziana che falciò Venezia di tante esistenze, il Mercante buttò Tarsia letteralmente in strada “spogliandola di tutti gli ori” e accusandola davanti all’Inquisizione di Venezia di sortilegi e poligamia effettuati in accordo con la madre Isabella. In realtà, invece, era il Mercante focoso, irascibile ed epilettico che la minacciava con stilo e pistola, la tradiva con altre donne, e la picchiava “tanto che era tutta negra per li maltrattamenti”.
Povera Laura ! … Comunque qualche tempo dopo il Mercante Francesco Bonomin morì ... e non certo per le malie di Laura.
Non si seppe mai bene come e dopo quanto, Laura s’era ricongiunta con sua madre legittima Isabella con la quale aveva iniziato a intrattenere e spartire non solo buoni rapporti, ma anche “l’Arte”di famiglia che si tramandavano da generazioni. Isabella pur vivendo nella Contrada di San Martin de Castello si recava quasi ogni giorno sotto il falso nome di Elisabetta Battaglia ad esercitare la “professione”a Mestre dove aveva trovato “un mercato” più consono e disponibile al suo stato. Laura, invece, aveva preferito rimanere a Venezia e nella circumvicina Laguna che considerava un posto irrinunciabile e dalle mille opportunità dove poter vivere tranquillamente. Quello di “vivere da Strìga” era una maniera di sbarcare il lunario più che un’adesione vera e propria a certi contenuti e principi misteriosi ... e si poteva offrire e vendere quei “servigi”perché c’erano Veneziani e foresti di ogni sorta disposti a credere nella loro efficacia … fino a comprarla.
Qualche tempo dopo gli anni bui della Peste, la stessa Laura si sposò per la terza volta, e ancora con un altro Mercante: Andrea Salamon da Bologna ...e anche da costui finì col separarsi nel 1640 … Bisogna dire che quella donnetta non fu molto fortunata “in amore” ... Anche quella convivenza finì con l’essere burrascosa come la precedente: Salamonspazzò via i due figli di Tarsia, che già da allora si faceva chiamare col “nome d’Arte” di Malipiera per via di certe incerte e vaghe parentele pseudonobiliari. Il figlio maschio di Laura, diciasettenne gracile e malaticcio, spesso infermo e soggetto a “brutto male”, trovò rifugio presso un Capitano di Mare con quale finì con l’imbarcarsi probabilmente come mozzo morendo in viaggio per “mal caduco e malattia”. La ex bimba di Tarsia divenuta ormai donna ventiquattrenne: Malipiera Bonomin, cieca di un occhio, fuggì, invece, da casa andando a trovare rifugio presso una donnetta “maestra di bottoni” abitante a Castello in Corte Nova. Costei ebbe pietà di lei prendendola in casa come fosse sua figlia ... La giovane insomma si dissociò dal modo di vivere della madre, andò a stare per conto proprio, e sparì così facendo dalle vicende della Striga Laura da Castèo.
Il matrimonio di Laura andò a finire ancor peggio del precedente: il Mercante Andrea arrivò addirittura a prometterle d’ucciderla … e la donna stavolta fu costretta ad abbandonare in fretta e furia il Mercante saltando giù mezza nuda da una finestra perché l’uomo anche stavolta la stava ammazzando di botte. In seguito raccontò d’essersi salvata solo perché portava addosso una “preziosa carta neretta”,e dentro alla borsa “tre orazioni contro l’arme” e “la carta del Benvolere bona per salvarsi da tutto”… Laura perse tutto, perché l’uomo la derubò di tutti i suoi averi che ammontavano a più di 6.000 ducati, ma non si perse d’animo neanche questa volta perchè trovò rifugio presso la casa-canonica del Piovan di San Biasio dei Forni sulla riva del Molo di San Marco da dove partivano e arrivavano le Galee della Serenissima.
Al riguardo ci fu ovviamente qualche immancabile pettegolezzo, che arrivò a dire che Laura era stata anche l’amante contraccambiata di quel Prete … ma in giro per Venezia se ne dicevano e inventavano tante ... “di tutti i colori”… E da lì Laura ripartì ancora una volta.
Dopo aver vissuto per un po’ di tempo in casa di Venturinennesimo Mercante che abitava vicino a San Zuàne dei Furlani(l’ex casa dei Cavalieri Templari di un tempo), tornò a rimettersi in gioco andando ad abitare per conto proprio in una caxetta da dove iniziò ad affittare qualche stanzuccia a foresti di passaggio a Venezia o a chi ne avesse avuto bisogno. Laura era di certo una donna industriosa e piena d’iniziativa perchè oltre ad affittare camere e magazzini si dedicò anche a far calzette, prestar soldi … e com’era tradizione di famiglia, alla Magia e “a far da Guaridòra”.
Non che fosse una donna fortunata, perché anche in quei nuovi frangenti si ritrovò più volte derubata di soldi e preziosi: una volta da un Frate Gabriele Valier da Venezia che l’aveva poi anche denunciata all’Inquisizione, e un’altra da una massèra di casa Elena Forlana che le aveva svaligiato la casa insieme a tre uomini Greci con i quali “praticava inonestamente”.
Insomma, per rifarsi, a Laura non rimase che darsi parecchio da fare come Strega.
Nel 1647, infatti, Laura “già inferma e malsana” venne denunciata “per certe ontioni o oglii che ella dispensa” insieme alla madre Isabella e ad altre sei streghe di Venezia, due Frati e un Prete … Per tuti si prefigurava il carcere … L’Avvocato Zana descrisse Laura come: “… donna grande piuttosto che piccola, con capelli negri, d’età di 40 anni incirca, vedova …”
Due anni dopo, Laura venne convocata dall’Inquisizione “a Processo” insieme alla madre che faceva per mantenersi: “l’infioratrice de Margherite de vèro o infilaperle”. La faccenda si risolse in fretta e furia, e ad entrambe vennero comminati dieci anni di carcere tramutati in arresti domiciliari … ma qualche anno dopo, nel 1654, Laura finì di nuovo a processo … perché Laura-Tarsia per campare faceva: l’unguentàra, guaridòra, erbarola e medegàra. E quel mestiere lo sapeva anche far bene e con stile, con competenza e affidabilità … tanto che i suoi servizi costavano cari … ed erano perciò anche fruttuosi.
A dire della stessa Laura: “… non bisognava affatto credere a tutto quanto andava dicendo e facendo”… ma visti i risultati delle sue performance le veniva quasi da credere che ciò che si andava inventando fosse in qualche modo buono. La Strigaria a Venezia come altrove andava a collocarsi in una specie di “terra di nessuno” che spuntava all’orizzonte del “vivere difficile” dopo che avevano fallito i rimedi tradizionali di cui ci si fidava sempre. Per intenderci, dopo che si erano dimostrati incapaci di trovare qualche soluzione efficace i vari Speziali e Medici con i loro intrugli e sapienze da una parte, e i Preti e i Frati con i loro Santi, Madonne e Reliquie miracolose dall’altra (Si diceva in giro per Venezia che se uno non migliorava e non reagiva al contatto con le Sante Reliquie o partecipando ai Riti e alla Santa Messa, lo si doveva considerare refrattario a tutte quelle “cose Sante”, e perciò: “Indemoniato e posseduto”) … In quel caso, altri non esistevano a cui affidarsi se non le Streghe, iMaghi e le Guaridòre… a cui facevano ricorso anche gli stessi Frati, Preti, Monache e Speziali ... e perfino gli Ebrei.
Laura perciò faceva parte di quella particolare “categoria miracolosa”, che fungeva un po’ da ultima spiaggia per ogni ceto sociale. Agiva insomma su una specie di sottile linea di confine e d’incerto equilibrio fra lecito e illecito, fra sicuro o probabile e inventato, sulla quale se andava bene finiva col godere d’ulteriore fiducia e di una certa remunerazione … se andava male, invece, poteva incorrere in guai non indifferenti da parte di tutti.
I clienti di Laura erano sia i Nobili che potevano con la loro disponibilità finanziaria permettersi ogni sfizio e ogni genere di soluzione … sia il “popolino mentecatto, ignorante, volgare e miserrimo che pagava come poteva … e se poteva … o lo faceva alla sua maniera con i suoi tempi eterni”. Di tutto questo Laura era più che consapevole perché sceglieva attentamente i clienti … anche se non disdegnando ogni tanto di far “doverosa carità” nei riguardi di qualche suo concittadino sfortunato che curava “gratis et amore Dei”.
A Venezia sulle Streghe si diceva di tutto, anche che prima facevano ammalare qualcuno per poi indurre a rivolgersi a loro per guarirlo … Esisteva tutto un mercato organizzato della Magia, e ogni cosa aveva un suo preciso valore e prezzo: una “carta del benvolere” ottenibile anche da Laura, poteva costare fino a 3 lire, mentre una “lingua di gatto” si poteva mettersela al collo per 4 lire o poco più … Un’ “Onziòn con ogio”(unzione con olio) per tre giorni consecutivi costava circa 20 lire … un consulto iniziale qualsiasi poteva valere ½ ducato ossia 3 lire, e aumentare di prezzo di volta in volta qualora la faccenda si dimostrasse continuativa e più difficoltosa. In un’occasione Laura “cavava nel principio ½ scudo o ¼ di scudo, et poi nel finire 4 scudi alla volta …” e in un’altra occasione “la Strìga con so màre Isabella”avevano “mangiato” a Battista ben 14 o 16 ducati …
Erano più o meno quelli i prezzi in giro per Venezia, come indicava anche la Gobba dei Due Ponti, famosa in Venezia durante il 1500 per aver avuto centinaia di clienti al giorno, e per saper guadagnare fino a 20 ducati al mese … Come ben sapete, Venezia in quei secoli era ricchissima, anche se saprete altrettanto bene che gran parte di quell’immane ricchezza era accumulata, gestita e tenuta stretta nelle mani capienti e potenti di solo qualche migliaio di Nobili e Cittadini: circa 6.000 e 7.000 in tutto … Il resto dell’intera città Serenissima era spesso carico di gente impotente, infermi, e di poveri manifesti o vergognosi … oltre che in mano a un esercito di Religiosi e Religiose capaci di promettere qualsiasi cosa.
Laura era analfabeta, non sapeva né leggere né scrivere (almeno così diceva), ma sapeva bene distinguere il valore delle monete che le transitavano per le sue mani … e quello alla fine era ciò che contava per davvero. Sia lei che sua madre Isabella sapevano consigliare alle altre donne e uomini pratiche magiche di ogni sorta utili per mantenere il controllo su mariti e amanti, per ritrovare cose perdute, trovar Fortuna, e anche per intervenire su persone malate.
Se c’era una rivale in amore: “bisogna tagliarle la strada con un coltello nero”… oppure “si deve saltare “la fata” (cioè l’ombra) dopo aver riempito con acqua di mare a Sant’Antonio un bocaletto comprato a nome dell’amato pronunciando le efficaci parole: “si come l’acqua batte in questi coccoli, che così possa battere il cuore del tale de mi” … Con “40 onde d’acqua di mare” Laura faceva le sue pozioni, e sempre alle “onde d’acqua di mare” affidò in un caso i“vestiti maleficiati” della Nobildonna Marina Emo provando a salvarla da morte certa … Sempre per ritrovare cose perdute e soldi, per vincere al gioco, o per scovare amati perduti o futuri amanti desiderati Laura sapeva usare l’ “Arte scellerata di gettare la cordèla e le fave benedette”. La “cordèla” era spesso un semplice cordino di stoffa con cui le donne si reggevano le calze sulle cosce (un primitivo reggicalze che forse godeva di un suo prestigio per la collocazione intima e recondita su cui andava ad agire): “… si tirava la cordèla per farsi voler bene … et che quando due capi di detta cordèla si univano insieme era segno che si volevano bene quelli due homo e dona per i quali si faceva il gioco.”
Accanto alla Cordèla, le Streghe attuavano l’uso abusivo di cose sacre e benedette come “L’acqua Santa” e gli “Oli dei Sacramenti” che andavano a rubare o procurarsi nelle chiese di Venezia. Quei “prodotti” era ricercatissimi perché le Strighe erano consapevoli del “potere potentissimo, misterioso e secreto” a cui quegli oggetti facevano riferimento. Praticamente da sempre nell’accezione comune le “cose Sacre” godevano di grande affidabilità, e il loro uso, a differenza di oggi, si riteneva per davvero miracoloso e risolutore, capace anche di sovvertire situazioni fisiche e sociali scabrosissime o perfino terminali o mortali.
Una volta una ricca Nobile Veneziana non corrisposta mandò la sua serva da Laura per farsi aiutare. Le venne indicato dalla Strìa di: “pigliar tre ovi freschi, farli bogìr e venir duri, dividerli in quattro parti, una parte dalla al gato a magnàr, la seconda al cane, la terza gettarla in canale, la quarta non so dove mi disse andarla a buttare … e questi ovi prima di cucinarli andarli a mettere una notte intera in una sepoltura …” Infatti Laura con la serva andarono in gondola fino al Cimitero Ebraico del Lido, e lì seppellirono le uova dicendo: “Si come l’ovo non sa del morto, così il moroso di F. non possa saper dell’amore della sua signora.” Il giorno seguente ritornano a prelevare due uova da dare da mangiare al desiderato moroso, e ne seppellirono altre tre … In un’altra occasione Laura: “…confezionò un Malefizio Amatorio dentro a una pignatta mettendo insieme fango del Ghetto e acqua spuzolente, e vi aggiunse altri intrugli accompagnandoli con strane parole.”… In un’altra occasione ancora, sempre la stessa Laura confezionò un’altra “strigaria” per la Nobildonna Veneziana Zani vogliosa d’amore: “fece bollire un cuore di castrato in una pignatta di terra nuova legandolo con seta di più colori …vi fissò poi dentro degli aghi con dell’acqua salata fino a farlo ridurre quasi a niente ... E mentre bolliva bisognava dire: “si come si consumava quel cuore che bugiva, così si consumasse l’amor di Antonia che era la Signora di detto Polo, et che l’amor di Polo ritornasse alla Signora Catanella.”
In quella stessa occasione Laura ordinò poi di ridurre in polvere il “cuore di bestia” rimasto nella pentola, e di gettarlo dietro al moroso desiderato“per dar martello” al desiderio: “… overossia per non far dormir, né mangiar, né riposar l’innamorato inducendolo al tormento amoroso”.
Secondo le conoscenze delle “Strighe de Venesia” gran parte dei mali era causato o da cause fisiche o da: “una Malaombra overossia uno Spirito Maligno” spinto verso le persone tramite malocchio e strigarie. Era perciò necessario contrastarlo e reindirizzarlo … rimuovendo così il mal di testa considerato segno di possessione, ma anche: fastidi, febbri, debolezze e sintomatologie fisiche d’ogni genere.
Di solito bastava portare dalle Streghe degli abiti o delle stringhe della larghezza giusta appartenenti al malato, la Guaridòra le prendeva in mano e dopo aver recitato sopra di loro “parole speciali” le faceva seppellire portando sotto terra con loro anche “il male” che così lasciava l’afflitto … In altre occasioni, invece, la Strega in persona si recava al domicilio del malato e lo ungeva da capo a piedi con un “olii speciali” recitando particolari “fòrmole magiche secrete”… però tutto questo costava molto di più … Quasi sempre non funzionava e le persone ammalate peggioravano o morivano ugualmente, o l’amato perduto non ritornava affatto a casa, o non si trovava il tesoro nascosto … ma si trovava sempre una spiegazione plausibile che spiegava l’inefficacia di quel trattamento: a volte si era stati convocati troppo tardi … altre volte s’erano fatte strigarie al contrario e in maniera sbagliata … altre volte ancora non si era degni d’essere esauditi … o non si era stati sinceri nell’esprimersi e nel raccontare le circostanze ... “La Magia è una Verità Efficace solo per pochi cuori puri e per rari Spiriti Eletti !” speigavano spesso le Strighe.
Durante e dopo tutti quei loschi e contorti traffici, Laura venne denunziata più volte all’Inquisizione di Venezia anche dalle stesse “donne insodisfate della Contrada”, praticamente le amiche e conoscenti che incontrava ogni giorno: Giulia, Margherita, Angela, Betta di cui si fidava e alle quali anche prestato “numerosi servizi in tante occasioni”. Per questo Laura durante la sua “carriera”incorse in molteplici processi.
Nel 1654 però, a denunziarla per l’ennesima volta fu un Prete Antonio Cardini che aveva ascoltato le confidenze di Girolama moglie di un servo di Ca’ Emo: una fra le principali e più note Casade Nobiliari di Venezia. Laura a quei tempi dopo tanto darsi da fare e dopo tanti patimenti subiti durante la sua vita, era ormai una “perfida vecchia vana”, invecchiatissima, sempre vestita di nero, che abitava al Ponte della Morte in Contrada de Sant’Antonin de Castèo ... “Sembrava una settantenne cionciòna”… In quell’occasione la StrìaLauraera stata chiamata “sotto titolo de Medico” per curare Marinamoglie amatissima di Angelo Emo Senatore, Cavaliere Grande che poteva molto et era ex Procuratore Generale di Morea … donna gravata da considerevole infermità”.
In quegli anni Laura non se la passava male perchè continuava ancora ad affittare camere, prestava soldi a pegno: “… trattenendo una perla, un orologio, alcune lenzuola con merli e parte de corredo di dota da sposa”, e aveva al suo servizio ben due serve-massere: Lucia e Caterina, e aveva per casa anche un certo Luca, Greco, che vendeva calzette sotto a portici delle Prigioni di San Marco … Dicevano che era cieco, ma di certo faceva gli interessi di Laura … ma questi erano fatti suoi precisò la donna al processo davanti all’Inquisitore Grande… Dopo vari consulti presso la moglie ammalata del Nobile, Laura aveva convinto anche una giovane servetta incinta di Ca’ Emo a sostenere la tesi che la spiegazione della malattia della donna era dovuta a“malìe, fatture e strigarie procurate dagli stessi figli della Nobildonna” … Era bastato regalare a Girolama, la servetta, un bel vestito nuovo e una donazione di 10 denari: “… e il gioco era stato fatto” ... In realtà era tutta una finzione a cui in qualche maniera partecipò pure il Prete di famiglia Francesco Moroniappartenente al Capitolo di Santa Maria Zobenigo che era stato lui a segnalare al Nobile Emo e poi convocare la Striga Laura. Fu la stessa servetta alla fine a non volersi adeguare a quell’imbroglio rivelando tutto al Nobile e poi alla Santa Inquisizione … e la denuncia per Laura fu di aver “assassinata con le sue cure” la Nobildonna ammalata e allettata ormai da più di tre anni.
Inizialmente s’era fatta pressione sulla Striga Laura perché intervenisse in fretta: “… prima della “Luna Nova” che come sempre porta via ogni Anima derelitta in preda a gravissima malattia.”... Si diceva così a Venezia … ma in fondo accade ancora così anche oggi … Laura appena incontrò il Nobilissimo Emo in persona“addoloratissimo”, s’attivò subito ordinando al Prete di Famiglia Moroni diprocurarle: ambra, muschio, noce moscata e una ventina di erbe da aggiungere alle molte di cui già era in possesso per farne un’efficace lavanda. La Striga coinvolse nel “rito della lavanda” anche lo stesso Prete che doveva recitare una lunga serie di “tremende benedizioni salutari”, e dopo aver misurato con un lungo filo la donna, la segnò e la lavò per tre mattine di seguito con “acqua tratta da 40 onde di mare prese sulla spiaggia del Lido e successivamente a Malamocco. L’acqua avrebbe dovuto così lavare e portare via le malignità che ricoprivano l’inferma, ma siccome non accadeva nulla, Laura spiegò che doveva esserci nelle vicinanze qualcuno che rinnovava di continuo il malefizio funesto contro la donna ... e quel “qualcuno” si rivelò ben presto come: Marco e Marietta Michiel, ossia i figli del primo matrimonio della donna risposatasi in seguito col Nobile Emo.
La cosa aveva un senso, anzi: un vero e proprio movente, perché c’era di mezzo l’eredità che i due figli non volevano spartire con gli altri figli avuti più tardi dalla donna.
Di certo era un po’ (tanto)perversa l’idea della Striga Laura… Per trovare quindi una causa di tutto quel male che affliggeva la Nobile Marina, Laura aveva pensato di escogitare la colpevolezza dei figli del suo primo matrimonio, e per rivelare e “vedere” i nomi dei “malignatori” della Nobile donna morente, la stessa Strega inscenò a Palazzo Emo una messinscena di notevole effetto coinvolgendo la timorosa serva Girolama e il Prete Moroni.
Tinto di nerofumo e d’olio di mandorle dolci la mano della serva, le fece tenere una candela benedetta accesa ripetendo per 10 volte alcune formule misteriose adatte allo scopo … ma senza successo. Sarebbe dovuto apparire nelle mani della serva un Demonio che sbattendo le ali avrebbe rivelato i nomi degli autori dei malefizi. Fu, invece, necessario ripetere l’esperimento magico dopo altri 8 giorni: “perché l’ora era tarda e forse gli spiriti erano già andati via o erano impegnati altrove …” si affrettò a spiegare la stessa Laura. Perciò fu durante un secondo tentativo, dopo una nuova “apparizione spiritica” di un’ora, e dopo nuove preghiere speciali che finalmente il Demone rivelò i nomi dei figli di Marina.
Il Senatore Emo incerto sulla veridicità di quelle notizie che indirettamente lo minacciavano a sua volta, chiese ulteriori conferme e partecipò di persona a una terza seduta in cui si confermarono quelle stesse rivelazioni … La donna intanto peggiorava ulteriormente, e non migliorava neanche applicando i rimedi di Laura che chiedeva: “più applicazione e più tempo”… Il Nobile Emo allora chiese alla Striga di assistere maggiormente la moglie sempre più inferma stabilendosi a casa sua per almeno venti giorni ... le avrebbe dato anche 1.000 ducati se fosse guarita come lei prometteva.
Laura per giorni tornò e ritornò a Palazzo Emo inscenando le sue azioni guaritrici fatte di segni, unzioni, misurazioni, formule e “… applicazioni di acque sananti, radici di palma per purgare Marina, fomenti per gli umori melanconici, fumigazioni di muschi, lavande di erbe, sciroppo di semi di cedro, una “pìttima” alla bocca dello stomaco, e Finocchi di Barbaria nel brodo per quietare i dolori.” ... Alla fine di tutto, invece, la giovane serva Girolamaspinta dal suo Prete Confessore Marcantonio svelò al Nobile Emo e all’Ufficio dell’Inquisizione l’inganno di Laura che venne perciò arrestata e carcerata nonostante si fosse prodigata subito in mille scusa nei confronti dell’Emo provando anche a restituirgli parte dei denari ricevuti ... cosa che costui rifiutò.
Il Capitano dell’Inquisizione Zuane Cieregoandò a bussare alla porta di Laura alle due di notte con i suoi uomini, Laura provò a fuggire buttandosi giù da una finestra dentro a un orto vicino, ma venne presa subito dagli uomini dell’Inquisizione che la trasportarono alle Carceri del Santo Uffizio in Contrada di San Zuane Novo. Poco dopo si andò a perquisire la casa di Laura trovando in una cassella nascosta sotto al letto: “empi e perniciosi libri scritti a mano, carte piegate, ampolle d’acqua, ogli, grandi di allume di rocca, fave, aghi da cucina, e candele nere che erano state accese alla rovescia…” e nascosto sotto a un tappeto: “due pezzetti di candelette nere e una cordella rossa”. Tutto venne elencato e portato all’Ufficio della Santa Inquisizione … Non c’era più alcun dubbio, Laura oltre che una Strìa, era anche un’imbrogliona analfabeta: osservava i disegni, i circoli e le figure magiche contenuti nelle carte e nei libri, e ospitava in casa sua libri proibiti, magici, diabolici e pericolosi che le venivano forniti da Medici, Cavalieri, Frati inonesti, forestieri di passaggio e personaggi ambigui.
Una delle due serve di Laura raccontò di averla vista chiudersi più volte a chiave nella sua stanza in compagnia di putte, donzelle, donne e uomini mascherati, travestiti e stravaganti, ma anche di Frati o Monache furbeschi … Anche se non sapeva dire bene che cosa facessero chiusi lì dentro, il giorno dell’arresto l’aveva però spiata per il buco della serratura: stava seduta sopra a una cassa in compagnia di Angelo Paganini un Frate di Sant’Antonio, e tenevano in mano delle candele nere bisbigliando cose incomprensibili ... e di certo Sataniche !
Di fronte all’Inquisitore che la minacciava dicendole che se non confessava ammettendo ogni responsabilità l’avrebbe sottoposta “all’esame vigoroso del tormento”, Laura si accontentò di pronunciare poche parole: “Se sapessi fare ciò di cui mi accusate sarei una gran donna !”
La Nobile Marina Emo moribonda nel frattempo s’era ripresa, anzi: era guarita del tutto … Non si sapeva bene né come né perché né quando né quanto, ma comparve perfino davanti all’Inquisizione al processo contro Laura. Fu strana la presenza di quella donna perché pareva quasi non si trattasse di se stessa … In quei momenti sembrava quasi che lei non fosse presente e si stesse intrattenendo in altre situazioni ... Infatti furono esemplari e sorprendenti le sue poche affermazioni: “Il tutto è nulla.” disse riassumendo tutta quella losca e intricata faccenda ... e tutti rimasero allibiti … Laura e i Giudici compresi.
Ma non finì tutto così … perché Laura in seguito venne anche minacciata da Nicoletto Sfachiotto Calenti, un “bravo” inviatole dalla famiglia Emo. I Nobili non solo erano scontenti perché non aveva guarito la Nobildonna Marina, ma erano soprattutto irritati e sconvolti perché Laura aveva coinvolto e “tratto in basso” in quella pubblica faccenda l’onore della loro importantissima Casada.
Laura finì quindi nello squallore del carcere dell’Inquisizione per 8 mesi in attesa del processo … e dopo la celebrazione dello stesso venne condannata il 3 marzo 1655 dal Nunzio Apostolico Carlo Caraffa in persona che prima la fece abiurare, e poi la destinò a 10 anni di carcere “senza riserva di grazia”, e a recitare per il detto periodo due volte alla settimana il Rosario per la Beata Vergine.
La clemenza del Santo Uffizio però fu grande, perché Laura riuscì qualche volta ad uscire in permesso per Pasqua e Natale … finchè ne uscì … ma solo per pochissimo tempo, perché già nel 1660 incappò in un ulteriore mandato d’arresto a causa di nuove denunce “per pratica di strigarie” fatte da un Barbiere di Sant’Antonin, da un Chirurgo, dai vicini di casa, e da altri soliti amici e conoscenti che si erano serviti da lei comprando rimedi ... Fra le altre cose le Veneziane Caterina e Benedetta testimoni contro di lei al processo, si lamentarono che Laura: “aveva mangiato loro una man de bèzzi (soldi)” ... Per la Striga Laura era la fine …
Quando Michael Cataneus Capitano delle Guardie dell’Inquisizione andò a bussare per l’ennesima volta alla sua nuova porta di casa in Calle Larga dei Furlani, Laura si lanciò in un’ultima fuga disperata e rocambolesca: aprì “un luminare”, e scelse di scappare per la via dei coppi e dei tetti ... Il Capitano allora forzò “con ingegno” la porta ed entrò con i suoi uomini, ma lei già aveva saltato due tre case dall’alto e stava già buttandosi sopra al tetto di una casa contigua e più bassa ... Gli uomini dell’Inquisizione circondarono l’isolato … Accortasi che non aveva scampo, Laura tentò il tutto per tutto: “… saltò di sotto, ma rotolò da basso e di sotto cadendo dentro a una corticella sconta e chiusa da dove le guardie ebbero difficoltà d’andarla a recuperare aprendo due tre porte e cancelli e scavalcando perfino un muro”.
La trovarono riversa per terra ai piedi di una“vera da pozzo de pièra”, contro la quale Laura aveva battuto malamente la testa cadendo dall’alto. Quando la raggiunsero per portarla via in barca già non rispondeva più. Infine venne portata di nuovo nelle Carceri del Sant’Uffizio dove venne vista subito “secondo il bisogno” da un Barbiere delle Prigioni Pubbliche perché non si trovava in giro nessun Cirusico …
Le cronache giudiziarie ricordano che Laura si riprese un poco, fece la Comunione, si confessò … e disse che non le serviva niente.
Stavolta in casa sua le guardie trovarono altri oggetti equivoci: “… pezzetti di piombo, cordelle annodate, fave, candele nere, un pezzetto di testa di morto, aghi da cucire, chiodi e oggetti magici … e altro ancora di compromettente.”
Quando il Barbiere tornò nella cella per rivederla la trovò morta ormai da un pezzo … avendo ancora addosso due fogli scritti di sortilegi, e intorno al collo le sue solite cordelle rosse.