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“SANT’ILARIO DI FUSINA … DOVE INIZIAVA E FINIVA VENEZIA SERENISSIMA.”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 141.



“SANT’ILARIO DI FUSINA … DOVE INIZIAVA E FINIVA VENEZIA SERENISSIMA.”

Se andate ora a cercare e vedere Sant’Ilario di Fusina troverete solo un mucchio di pietre abbandonate e dimenticate chiuse dietro a un cadente e provvisorio recinto: “Sant’Ilario xe quattro pière desmentegàe !”, mi raccontava qualche tempo fa un nostro illustre Storico ormai scappato dal vivere per sempre.

“Sai qualcosa su Sant’Ilario di Fusina ?” chiedevo qualche giorno fa a una mia conoscente.

“Mai sentito … Che è ?”è stata l’illuminante risposta.


La storia dell’Abbazia di Sant’Ilario di Fusina va collocata nel passato della nostra Serenissima quando era ancora combattuta fra dipendenza Bizzantina e aneliti filoEuropei e Imperiali ... ma aveva adocchiato ormai con certezza la sua via economica e Mediterranea. Di Sant’Ilario si parla pochissimo anche se è stato un “piccolo miracolo in casa Veneziana”. Sorgeva in una zona altamente strategica sul bordo, sulla gronda della Serenissima Laguna: stava proprio sull’estremo confine della Repubblica, era insomma una delle “porte estreme” da dove si poteva filtrare o uscire dalla Laguna. Per di là passava proveniente dal Nord Italiano e Padano grossa parte dei commerci, degli intrighi e accidenti, ma anche delle fortune che interessarono Venezia per alcuni secoli. Da Sant’Ilario entrarono: “Forèsti, Mercanti, Ambasciatori e Signori di ogni sorta e lignaggiodai quali la Serenissima si doveva proteggere e guardare attentamente, o coi quali era bramosissima di consociarsi ed allearsi. Quello di Sant’Ilario era uno snodo, un luogo particolarissimo dove Venezia teneva gli occhi ben aperti, e portava la mano dietro all’orecchio per sentire meglio e cogliere i grandi sommovimenti della Terraferma Veneta, Italiota ed Europea ... Il posto di Sant’Ilario era antichissimo, esisteva fin da prima che Venezia diventasse grande e Serenissima. Lì avevano posto i Monaci Benedettini che avevano capito quanto era importante quel luogo di transito dove sboccavano numerose Vie terrestri e fluviali, e non ultima: la foce del fiume Brenta in Laguna.”

Oggi Sant’Ilario non esiste più … Sorgeva nel cuore di quel che è stata la grande Zona Industriale di Marghera, vicino a Dogaletto di Malcontenta, nelle periferie estreme dei Moranzani di Fusina, sulle ultime propaggini di Marghera insomma.

“Sant’Ilaria de Fusina ?”

“Fusina ? … Ah ! … Ghe xe solo un Terminal co una specie de spiaggia … xe làssa a macchina e se ciàpa un fià de sol … non ghe xe altro.”

Sant’Ilario di Fusinaè per molti una tematica riservata a pochi “addetti ai lavori”, a studiosi abituati a inabissarsi negli Archivi e a frugar fra carte e reperti museali.

Sant’Ilario di Fusina era, invece, “Una Porta di Venezia” che apparteneva alla Diocesi di Olivolo-Castello, un luogo dove si proteggeva Venezia dall’arroganza di Padova, e si riscuotevano i Dazi e le Gabelle per conto del Doge tenendo in funzione tutta una serie di torri e belfredi, e provvedendo alla “retencio aquarum” con palade, roste, molini e stroppe.



“Già dalla fine del 1200, i guardinghi Capitani Veneziani erano prontissimi e severissimi nel rintuzzare e controllare ogni seppure minima “novitas et introdutio” o sconfinamento che accadeva nelle Valli o in direzione della laguna ... la prima freccia dei gabellotti Veneziani s’infiggeva sui carri o sulle barche, la seconda sul petto o in faccia di chi non si fermava … ma venivano seppelliti nel nobile cimitero dell’Abbazia di Sant’Ilario … Nessuno poteva avvicinarsi a Venezia: “fodiendo terram, ausellando, piscando, canna set cannellas faciendo et secando.”  … A Sant’Ilario di Fusina iniziava Venezia ... anzi: s’incominciava ad aver a che fare con Lei.”

Secondo la tradizione Sant’Ilario Vescovo morì nel 368 d.C. dopo aver governato Padovaper 12 anni: a 2 km da Malcontenta sulla “Via di Padova” sorse quasi subito un Oratorio intitolato a quell’uomo, Santo e Vescovo così singolare. Piano piano quel piccolo punto di riferimento fra i campi e le paludi divenne più consistente ospitando anche un nuovo Monastero fondato nel 819 dall’Abate Giovanni. Proveniva dall’isola di San Servilio o San Servoloin Laguna dove i Monaci vivevano “…in loco angusto et infra paludes … e privi di proprietà e di mezzi”. In seguito il Monastero di Sant’Ilario crebbe sempre più d’importanza divenendo un essenziale porto d’interscambio sulla foce del Brenta fra Padova e la Laguna di Venezia. Lo “Scriptòrium Ilariano” produsse codici di una certa rilevanza come quello ricordato e realizzato dal Monaco copista Paganus alla fine del 1100 su incarico dell’Abate Strambo. A Sant’Ilario inoltre si stendevano: sillogi di testi, note storiche e Annales, necrologi, Martirologi, Capitolari e Regole monastiche.

L’Abazia si emancipò progressivamente da ogni controllo sia del Patriarca di Grado che del Vescovo di Venezia-Olivolo-Castello a cui non versò più alcun tipo di tributi, né angherie, né pranzi, nè xenia … era divenuta: Abbazia Dogale. Sant’Ilario controllava tutti i territori a nord di alcuni fiumi che oggi non esistono più: l’Une(Brenta Vecchia), il Suecoe Clarino (odierna Seriola veneta), a sud arrivava a governare territori fino alla Fossa Ruga e al Canale Luva o Lova o del Cornio(oggi già Comune di Mira), mentre a ovest giungeva fino alla Fossa Gambararia (Ponte Damo, Molinrotto-Bastie), e ad est fino al bordo della Laguna di Venezia. 

Alla “Cadèna e Palàda del Borgo de Sant’Ilario” iniziava il Cal Tana ossia il porto dove avveniva il pagamento dei dazi e noli, e da dove si spedivano a Venezia: derrate, legnami, selvaggina, cinghiali e pesci che venivano pescati fino accanto alle mura del Monastero. Tutte le barche che passavano per Sant’Ilario pagavano pedaggio: all’Abazia spettava la terza parte dei noli delle barche che caricavano e transitavano, e la quarta parte del “Nolo dei battellieri”che scendevano da aprile ad agosto da Noventa fino a Venezia. Nel Monastero Dogale di Sant’Ilario vennero sepolti molti uomini di Stato della Serenissima e ben 5 Dogi (Vitale Candiano (978-979) ritiratosi dalla vita politica e fattosi Monaco a Sant’Ilario come Pietro Candiano III (942-958); Pietro Candiano IV (959-976) e Angelo e Giustiniano Partecipazio Dogi Nobili provenienti dalla Civitas Eracliana fondatori dell’Abbazia ma anche del primo Emporio Realtino nonchè di Palazzo Ducale e della Basilica Marciana).
I Monaci del Cenobio di Sant’Ilario allevavano Cani, Bracchi, Falconi e Cavalli che prestavano al Doge quando andava a caccia da quelle parti … Ogni anno nella zona di Sant’Ilario la vigilia di Natale si teneva una grande caccia le cui prede venivano distribuite ai Magistrati e alle famiglie dei Nobili di Venezia, e ogni anno il giorno della festa dei Santi Pietro e Paolo in giugno il Doge col Senato visitavano solennemente l’Abbazia … Curiosamente, Sant’Ilario collocato sopra a un'isola fluviale sabbiosa del delta dell'antico Brenta sembra essere stato un “Monastero doppio”, promiscuo, dove coabitavano Monaci e Monache: infatti i documenti ricordano che vi risiedeva anche Bona vedova di Stefano Tino divenuta prima Conversa e poi Monaca di Sant’Ilario.

Già nel maggio 883 il Cenobio di Sant’Ilario dichiarava di possedere “le Curtes” di Ceresaria e Pladano con la Cappella di San Pietro e il xenodochio dei Santi Vito e Pietro di Treviso esigendone le decime. I Vescovi di Treviso tentarono più volte e inutilmente d’assicurarsi il controllo di quel patrimonio di Sant’Ilario falsificando diplomi di Enrico II a proprio vantaggio. I Monaci di Sant’Ilario a loro volta si fabbricarono un falso diploma di Carlo il Grosso che confermava le proprietà concesse loro da Ottone III, Enrico II e Corrado II, e si rivolsero direttamente all’Imperatore che “con le buone maniere” indusse i Vescovi di Treviso a remissione verso gli Abati di Sant’Ilario. Alla fine di quell’antica e contorta vertenza Sant’Ilario concesse in feudo quelle proprietà di Treviso ad Umberto da Fontaniva Avvocato del Monastero.

Fra novembre 1025 e ottobre 1028 l’Abate Bono di Sant’Ilario forte di un privilegio di Corrado II che gli concedeva decime sulla Corte di Oriamo, acquistò dalla Contessa Edvige vedova dei Conti di Treviso oberata di debiti quasi 70 “massaricie di terra” con tutti i loro diritti di decima (44 massaricie si trovavano in Fossa Bovara, Fiesso e Perarolo dove c’era anche un molino, e 24 massaricie c’erano in Pedraga in Padovana dove sorgeva anche la Cappella di Santa Maria).

Ottenendo di continuo ulteriori privilegi imperiali nonchè la Protezione della Santa Sede che concesse a Sant’Ilario la chiesa di San Nicolò di Caxorana, l’Abate Pietro acquistò nel marzo 1113 da Agicardo figlio di Conone da Vidòraltre 7 massaricie di terra in Albaredo, Adrine, Perarolo, Borbiago e Pianiga, e quattro anni dopo il Monastero comprò per 8.000 lire “con diritto di Feudo” da Arsedisio e Widotto figli del decaduto Conte Rambaldo di Treviso (ereditati da un’ava Gisla moglie di Guido da Spoleto): la Corte di Porto comprensiva di 150 massaricie (ossia 3.000 campi) lungo tutta la Riviera del Brenta e nel Veneziano(15 massaricie in Brazido e Alterius, 23 in Porto Menài, 2 in Cùnio, 7 in Curàno, 17 in San Brusòn, 3 in Stalèrde, 15 in Tabelle e Sermacia, 1 a Strà, Fiesso e Caselle con 125 campi di bosco, 3 in Vigonovo, 9 in Bultène, 5 in Orsignàgo, 1 a Marano, 10 in Adrìne, 10 in Vetrègo, 3 a Scaltanìgo, 4 in Formìgoe 6 in Albarèa).

A Venezia inoltre, fin dai primi tempi Sant’Ilario possedeva il Priorato di San Gregorionell’omonima Contrada nel Sestiere di Dorsoduro. Sant’llario insomma fra donazioni, compere, liti, lotte e processi divenne una piccola potenza economica sull’orlo della prima Terraferma Veneziana.



E’ sorprendente però la Storia e il destino che subì Sant’Ilario di Fusina. L’insigne complesso andò incontro a una brutta fine per le distruzioni belliche, e soprattutto per colpa dell’interramento delle acque della Laguna di Venezia.
Già fin dal 1142-1143, al tempo delle ostilità fra Venezia e Padova, i Padovani scavarono l’alveo del Medoaco Maggiore da Noventa a Porto Menai immettendovi il Brentachiamato in questo tratto Piovegella. La manovra tagliò fuori completamente Sant’Ilario da ogni via, controllo e traffico commerciale provocandogli un danno gravissimo inestimabile.
A nulla servì la concessione a Sant’Ilario da parte del Comune di Padova di poter: “…edificare molendina ad suam voluntatem et eo ubi volet…” inviando cereali già molinati all’Emporio di Rialto.  Fu un “contentino riparatorio”inutile.

Nel 1182 l’Abate Uberto concesse a Leone Paolini da Cannaregio di fondare e costituire “pro remedio anime mee” poco distante da Sant’Ilario: “… in bucha flumini Sancti Ilarii usque ad fossam quae dicitur Malanocte …”,l’Ospitale-Ospizio di San Leone di Fossamala con annessa chiesuola per adibirlo a posto di ricovero per forestieri e Mercanti di passaggio, e all’occorrenza come piccolo lebbrosario a disposizione dei Veneziani.
“L’Hospedàl de San Leon in Bocca Fluminis” posto sotto la giurisdizione del Vescovo Veneziano di Olivolo-Castello era dedicato al Beato Papa Leone come la chiesa della Contrada Veneziana di San Lio poco distante da Rialto ... A San Leone s’incontrarono i Legati Papali per risolvere la lite fra Angelo Barozzi Patriarca di Grado e Marco Michiel Vescovo di Olivolo-Castello di Venezia.

Subito ad est della cavana dell’Ospizio sorgeva “la Palàda del Dazio sul Canal di Vigo”, mentre poco distante e di fronte era attivissima la fiorente attività dei molini dei Nobili Marcello, e tutte le terre intorno coltivate quasi tutte a vigna erano state concesse in uso ai Nobili Minotto, Valier e Coco.
I Monaci di San Leone non erano tenerissimi ma spremevano abilmente le risorse dei contadini del luogo, tanto che nel 1205 frotte armate di coloni di San Gervasio misero in fuga gli sterratori inviati dal Monastero di Sant’Ilario minacciando di incendiare l’Ospizio di San Leone e di strappare la lingua al suo Rettore se non fossero state accettate le loro rivendicazioni ... Nello stesso anno il Converso Enrico indicava San Leone di Fossamala come sua residenza, e la descriveva come un’area di 60 passi x 60 passi bonificata dai Monaci con edifici, chiesa, cavana e annessi ...  In un trattato fra Venezia e Padova del 1232, invece, si cita il Priore Ambrogio di San Leone in Buca Fluminis, mentre tre anni dopo il Nobile Marino Marcello chiese alla moglie Parera un prestito da impiegare nella costruzione di alcuni molini proprio di fronte a San Leone in Fossamala ... Nel settembre 1328 il luogo era già ampiamente incannettato e abbandonato per il progressivo impaludamento e l’abbassamento del livello marino ... Il pescatore Marco Bellin affermò durante una vertenza processuale che l’Ospizio e la chiesetta di San Leone in Fossamala ai Molini di Ca’ Marcello erano ormai circondata da canneti, e che tramite “un argine di terraferma” si poteva raggiungere Sant’Ilario di Fusina. Le bocche dei fiumi Visgnòn, Brentasecca, Oriago o Roiaglierano avanzate di diverse centinaia di metri verso la Laguna. A Sant’Ilario che distava due miglia e ½ dal molendino del Visgnòn e due miglia dalle acque del Clarino, si pescavano “i Gò”: pesci d’acqua salata.

Nel 1467 San Leone era un cumulo di rovine poco distanti dall’Ospizio-Osteria di LizaFusina ... Nel 1519 quando i Nobili Marcello vendettero ai Boldùalcuni loro beni in zona Sant’Ilario la zona di San Leone era ormai soltanto un nome di un posto abbandonato ormai da due secoli.

Più o meno negli stessi anni in cui San Leone venne attaccato dai coloni, per Sant’Ilario di Fusina iniziarono le “prime grosse rògne”: nel 1214 il ricco Padovano Jacopo di Sant’Andrea di Codiverno figlio di Speronella Dalesmanini assediò e invase con le armi il Monastero minacciando di morte l’Abate Teonisto che prima si rifugiò nel campanile e poi fuggì a Venezia andandosi a riparare nel Priorato di San Gregorio. Jacopo radunò il Capitolo dei Monaci, cacciò quelli contrari, ed elesse come Abate il Monaco Baronio che gli permise di impossessarsi di 10.000 lire veronesi. Fece poi giurare ai Monaci rimasti che gli avrebbero concesso una rendita annuale di 500 lire ... ma intervenne il Papa Innocenzo III che attraverso il Vescovo di Cittanova disautorò l’Abate usurpatore trasferendo la sede giuridica e patrimoniale di Sant’Ilario a San Gregorio di Venezia. Una decina di Monaci Veneziani riuscì a tornare al Sant’Ilario di Fusina solo una quindicina d’anni dopo.

Fino a metà del 1200 tuttavia, il Monastero di Sant’Ilario tramite il suo Abate residente a San Gregorio di Venezia concesse in affitto ai Nobili Veneziani Zulian, Dandolo e Marcello di San Basilio, e in seguito anche ai Valierparte del loro ingentissimo patrimonio. Diedero in concessione le terre e le acque poste attorno all’Ospizio di San Leone di Fossamala e sui rami dei delta fluviali del Brenta, dell’Elero, Oriago, Volpadego, Moranzano e Brentasecca per costruirvi sopra numerosi mulini, e le Valli da pesca di Cona, Visgnòn e Malanotte dove i Veneziani andavano a pescare e cacciare.

A metà del 1200 fu il turno di Romano da Ezzelino Signore di Padova di attaccare il Monastero di Sant’Ilario trasformandolo in fortezza. I Monaci scapparono di nuovo nell’Abazia di San Gregorio di Venezia lasciando un unico Monaco Guglielmo, e alla fine l’Ezzelino lasciò di Sant’Ilario solo un cumulo di rovine che i Monaci provarono a ripristinare utilizzando un cospicuo lascito di un Notaio Prosdocimo gravemente infermo che lasciò 100 denari “per l’Anema sòa”… L’Abate di Sant’Ilario-San Gregorio vendette inoltre alcuni terreni ai Nobili Veneziani: Pino, Cocco e Marcello, litigò per più di un secolo con le famiglie Da Peràga e Bàdoer per la gestione di altri terreni, e concesse ai Valier di eseguire opere idrauliche e canalizzazioni “… pro utilitate molendinorum…”nonché il libero utilizzo “…ab aqua Sisula usque ad aquam salsam.” … ma era già iniziata la grave stagione dell’impaludamento della Laguna di Venezia dovuto alla deviazione dei fiumi.

Le deviazioni delle acque portarono in Laguna sfacelo e malaria: vennero abbandonati villaggi, scomparve la Villa di Vicolo, si danneggiarono per sempre le Valli del Gambarare e tutte le terre verso Curano. L’antica Tergolache scorreva fino a Sant’Ilario a causa dell’immissione delle acque del Brenta si biforcò ad Oriamo sfociando in laguna ai Bottenighi formando l’interramento chiamato Ponta dei Lovi, mentre dall’altra parte sboccò in laguna presso Fusina ove fino al 1300 inoltrato avanzarono le paludi e i canneti raggiungendo quasi Venezia distante solo 200 passi o mezzo miglio.
Le cronache Veneziane dell’epoca raccontano che si potevano percorrere le barene con i muli arrivando fino a 50 metri dal Convento di Santa Marta di Venezia … Vero o no che fosse, di certo le deviazioni dei fiumi segnarono la fine della “Stagione Ilariana”. Sul margine della gronda Lagunare iniziarono a regnare solo grandi silenzi e sparuti gruppi di contadini, contrabbandieri e briganti che insidiavano i sempre più rari forestieri di passaggio.

Nel 1283 il Maggior Consiglio concesse al NobilHomo Pietro ed eredi dei Minotto di San Cassiano lo sfruttamento delle zone acquitrinose e lacustri sul fiume Brenta da Oriago fino alla Laguna di Venezia con la possibilità di costruire a piacimento sul letto del fiume: palade, zattere per molini, opifici e foli per la tintura dei panni.

All’inizio del 1300 il Vescovo di Castello-Olivolo di Venezia che aveva ottenuto giurisdizione sopra l’Abate di Sant’Ilario-San Benedetto e San Gregorio concesse di ospitare a Sant’Ilario un’autorità vescovile per controllare tutto il territorio di Sant’Ilario dove vivevano solo sei Monaci … L’Abate Frigidiano concesse inoltre di costruire la chiesa di San Giovanni Battista di Balleello a Gambarare, acquistò ulteriori terreni a Fiesso dove l’Abazia gestiva dei molini sul corso d’acqua detto la Botte dei Bianchi, e concesse terre, molini e un bosco al Magister Miniator Rolando del fu Goto da Padova, ma abitante in Venezia.

Quando il Dogado Veneziano era diviso in nove parti, la nona era Gambarare divisa a sua volta in quarti o quartieri: Bottenigo, Fusina, Moranzani e il Quarto da Folo… Per Folo s’intendeva una Gualchiera, ossia una macchina idraulica che percuoteva con magli di pietra i tessuti di lana già trattati e “purgati”con acqua, sapone e argilla, dando loro consistenza tipo feltro. (Anche i Nobili Bragadin, i Pesaro, il Vescovo di Torcello e i Mocenigo possedevano Foli da Lana e Foli da Carta a Padova e Battaglia e altrove … e ancora nel 1613 la Camera del Purgo di Venezia possedeva: “la giurisdizion de lavàr lane a Fusina sul folo alle porte del Moranzan pagando ai Nobili Da Pesaro 120 ducati fino al 1633, e avendo anche due case affittate per 85 e 28 ducati e una bottega de fruttarolo …”).

Sempre all’inizio del 1300, si provvide a costruire nei pressi di Sant’Ilario tra la foce del Canal Maggiore e del Bottenigo la Cappella-Oratorio di Sant’Onofrio Protettore dei Tintori, indice indiretto della decadenza dell’attività molinaria per colpa dei fiumi diseccati e troppo imboniti. Al loro posto nel territorio ormai paludoso s’erano piantate tintorie e folli da Lana e Carta.
La chiesetta di Sant’Onofrio venne quindi edificata sul letto secco del fiume di Oriagoaccanto al Canal dei Follie della Crea, e di fronte alle proprietà e alle case di Pietro Minotto risalenti al 1283. Nell’ottobre 1303 la costruzione doveva essere ormai terminata perché Bennata Minotto vedova di Pietro e figlia di Marco Soranzo lasciò per testamento una “pelle azzurra” per adornare l’unico altare della nuova chiesetta costruita “con portico davanti sorretto da pilastrini in pietra viva”. (Nel 1628 anche Sant’Onofrio era divenuto solo un toponimo: “il ramo di Sant’Anofrio ovver Paltane” a sud del fiume Bottenigo vicino al Brenta di Fusina… era scomparso tutto, non c’era più niente).

Nel 1362 la guerra di Venezia contro i Carraresi si combattè proprio su quello che era stato il territorio dell’Abbazia di Sant’Ilario … e dopo la guerra i Monaci concessero al Nobile Maffeo Emo e alle famiglie Nobili Marcello e Venier quel che restava dei loro beni devastati a Gambararecomprese le terre fra Ca’ Valerio e quel che c’era ancora di San Leone in Fossamala… L’anno seguente l’appalto del “Transito del Soldo alla Palada de Fusina e Sant’Ilario” a privati garantiva di nuovo allo Stato Veneziano un’entrata annua di 100 ducati … Cinque anni dopo si provvide a costruire un argine di separazione fra acque salse e dolci con marchingegni che consentivano di superare il dislivello: era “il Carro”, un “portello-scivolodi legno” alto 3 metri che dava accesso all’alveo pensile superiore del Brenta.

Trascorsi pochissimi anni tranquilli, iniziò nel 1379 la guerra di Venezia contro i Genovesiche decretò il ritiro definitivo dei Monaci a San Gregorio di Venezia e la fine del Borgo di Sant’Ilario: gli ultimi quattro Monaci di Sant’Ilario vennero mandati a risiedere a Santa Maria e Teonisto di Borbiago... L’ultimo documento che parla ufficialmente di Sant’Ilario e delle sue attività risale al febbraio 1390: poi più niente.


Rimaneva comunque l’ingentissimo patrimonio di Sant’Ilario sparso sulla Terraferma Veneta e in Laguna. I Monaci dell’Abbazia dei Santi Gregorio-Ilario e Benedetto di Venezia possedevano: 30 campi lavorativi, 7 di bosco e 7 di valle a Ca’ di Bosco di Dolo; 590 campi e ½ a San Brusòn dove in Contrà Argine del Brenta tenevano anche 1 vacca e 1 manzo; 16 campi di cui 10 a prato in Contrà Gorgo; 98 campi arativi-prativi in Contrà Maltempo dove c’era anche una casa e un casòn di paglia, e altri 8 campi di restàra e bosco; 40 campi alle Stradelle; 130 campi arativi-prativi ai Sabbioni dove 2 campi e ½ e 1 casa pagavano 3 ducati e regalie di un paio di galline, un pollo e 25 uova; 45 campi a prato e restàra in Contrà Brenta; e 68 campi a prato, pascolo e restàra soggetti ad acqua fra San Brusòn e Contrà Brentòn.

A Fiesso, invece, i Monaci possedevano una casa sopra il Brenta in Contrà Botte Bianchi; una casa con tesa e casòn e 40 campi e 8 pascoli, e un’altra casa con 40 campi.
A Gambarareavevano altri 1.000 campi in tutto di cui 765 lavorativi, 168 prativi, 4 pascoli, 55 valli, 8 paludivi ed altro. Secondo i Libri e le carte dell’Abbazia di Sant’Ilario ormai traslocata definitivamente a Venezia vennero dati in gestione a Pietro de Nardo(42 campi con casa di paglia, 2 casoni, 8 prati, 8 valli e pascoli al Bastiòn); a Antonio detto Zaramello(15 campi in Contrà Mira, 22 a Porto Menài, 16 a Curano, 3 a Bastia); a Pietro Xesa(32 campi con casa e tesa di paglia in Contrà Cao de Villa, altri 13 a Latàra e 6 a Mota); a Giacomo La Vida(42 campi arativi-prativi con cortivo e casa di paglia e tesa in Ca’ de Villa); a Natale fu Menego detto La Rissa(16 campi con casa di legno e tesa a Ca’ de Villa con una vacca e un manzo); a Lorenzo fu Antonio(un cortivo con casa, casòn e tesa e 18 campi a Mezza Villa, 10 campi arativi-pascolivi  a Bastia); a Gasparini Zigo(una casa e 3 casòni); a Piero Rato(20 campi con casa di paglia a Mezza Villa, e 10 campi a Curàno); a Lipo de Orazio(un casòn con 6 campi arativi-prativi a Porto Menài, e 14 campi in Contrà Valocàra); a Marco Fabio (una casa di legno, un casòn e 4 campi); ai Tuzàto(una casa de piera e una de pagia, una tesa e dei casòni, e 45 campi a Mira presso la Brenta con 10 prati e 4 valli); a Giacomo di Maràgno(una casa de piera e una de pagia con una tesa e 8 campi arativi-prativi a Porto Menài per i quali pagava ogni anno: 6 mogi di Frumento, 1 mogio di Sorgo, 1 mogio di Miglio, 10 lire di Lino, 1 paio di galline, 1 paio di polli, 1 anitra e 25 uova); ai Gasparini(1 casone e 12 campi arativi-pascolivi a Porto Menài e 1 vacca, 1 vitello ed 1 manzo in società fra loro); ai Vinciguerra(una casa con tesa, 48 campi in Ca’ de Villa, e 14 prati che confinavano con la palude del Bolpàdego); a Nicolò Delnote(2 campi in Contrà della Piazza, e 12 campi arativi-pascolivi a Porto Menài); a Blasio Segalìn(una casa, un casòn e 2 campi presso il Brollo dell’Abate); ad Antonio Fabris(due case, un bosco di 2 campi in Piazza ossia Mezzavilla); ai Gambellàno(80 campi, due case, una tesa in Piazza, a Latàra, al Bastiòn, a Curàno, a Porto Menài, e 2 vacche e 1 vitella piccola); a Perono di fu Matteo(una casa, due tese di paglia e 49 campi arativi-prativi in Piazza);e all’Abate Pietro (un “sedìmen” con brollo di 6 campi con casa grande di muro in Contrà Piazzaper suo uso come canonica (quella attuale).

Niente male vero ? … Inoltre Sant’Ilario possedeva 15 affittanze per 290 campi a Tresciegoli, 56 campi a Borbiago, 633 campi a Marcuriàgo e 58 campi e ¼ con 14 affittanze a Roncodùro… ma giusto a metà del 1400 si nominò Vescovo di Jesolo l’Abate di Sant’Ilario Andrea Bon e il Monastero-Abbazia dei Santi Gregorio-Ilario e Benedetto con tutti i suoi possedimenti venne ufficialmente soppresso e dato in Commenda al Nobile Girolamo Lando… In Terraferma l’antico Sant’Ilarioera ormai privo della copertura del tetto, non c’era più il campanile, e le pietre vennero utilizzate per costruire la chiesa di Gambarare.

Per continuare a salvaguardare il “benessere spirituale e interiore” di quelli che erano stati “i Coloni di Sant’Ilario”gli ex Monaci di Sant’Ilario fecero costruire e continuarono a finanziare sul delta Ilariano diversi piccoli Oratori e chiesette: Santa Maria in Folo o San Martino di Fusina ai Moranzani, San Martino di Oriago, San Teonisto di Borbiago che possedeva un suo Ospizietto, San Giovanni Battista di Balleello, San Bartolomeo di Ballò, San Pietro di Scaltenigo, San Silvestro di Vetrègo e San Nicolò di Caxozana o di Mira. Tutto passò sotto la giurisdizione del Vescovo di Treviso compresa la chiesetta di Sant’Onofrio verso il margine del Bottenigo, il Monastero delle Benedettine sulla sinistra del Brenta presso Malcontenta verso i Moranzoni, altri due Monasteri di Monache ad oriente della Fossa Gambararia a Dogaletto e in Piazza Vecchia di Mira, l’Ospedale-Ospizio di San Leone sulle foci del Brenta “in boca fluminis di Lizza Fusina”, e la chiesa di San Leonardo di Fossamala a mezzogiorno sul Ramo del Cornio.

Il Priorato di San Leonardo di Fossamala era un altro complesso appartenente ai Monaci Benedettini di Sant’Ilario costituito da una quindicina di piccole strutture soprattutto di legno e paglia usate come stalle, magazzini e fienili, con pozzo pluviale, cortile, chiesetta a tre absidi, pavimento musivo, mura costruite con materiale povero e Ospizio. Era una specie di piccolo villaggio segnalato già presente nel 1113 accanto alle proprietà e ai mulini dei Nobili Valier dove i vari Priori: Giovanni Strambo, Armengerius, Rugerius, Angelo, Clarius e diversi altri che si succedettero riscuotevano “il censo e le decime” dagli abitanti del luogo a nome dell’Abbazia di Sant’Ilario.
Stranamente come per Sant’Ilario nel 1285 fu una Monaca Agnese sorella di San Leonardo in Fossamala” a riscuotere lasciti a favore del Monastero, così come due anni dopo fu ancora un’altra Monaca Fiordelisa a qualificarsi come Procuratore del Monastero di Fossamala rilasciando quietanza all’esecutrice testamentaria di Albertino Vendelino che aveva testato a favore del Monastero Ilariano ... Nel 1348 il villaggio con la chiesetta vennero adibiti a luogo di sepoltura degli appestati di Venezia … nel 1521 della chiesetta c’erano ancora resti visibili ... il Cappellano delle Gambarare nel 1601 citò San Leonardo in Fossamala al Patriarca di Venezia come: “ancora esistente nel bosco piccolo delle Gambarare” … oggi tutto è stato “mangiato e ingoiato” dal tempo e dalla 3° Zona Industriale di Marghera.



Le cronache Veneziane del 1500-1600 continuano a raccontare che l’area di Fusina e dei Moranzani funzionava parecchio rimanendo ancora una delle “Porte di Venezia”. LizzaFusina ossia: “IssaFusina”o ZaFusinaera il posto dove continuava ad esserci “l’edificio del carroper le barche”. “Issa” in verità significherebbe in dialetto Veneto: “acqua”, ma si è sempre inteso soprattutto col significato di: “sollevare, scivolare e slittare”.
Alle Palàde dei Moranzani c’era sempre grandissimo traffico … perchè era uno dei Porti della Terraferma Veneziana. Sembra che la Serenissima abbia perfino fatto distruggere il Porto di Oriago che era in concorrenza con quello dei Moranzani e Fusina(esistevano altre Palade di Confine anche a Mestre, Trepalade, Limena, Jesolo, mentre altrove c’erano le famose “stànghe” che limitavano lo Stato Serenissimo. Ancora oggi diverse località di montagna e campagna presentano il toponimo: “La Stànga”).

Nel 1561, quando il “Transito del Soldo di Fusina” garantiva ancora alla Serenissima un’entrata di 270 ducati, si provvide a demolire il vecchio “carro di legno” per costruirvi le porte nuove. In contemporanea s’iniziò il Servizio Postale Venezia-Milanoche passava proprio di là ... Già nel 1514 il “Carro” con la vicina Osteria erano stati messi al pubblico incanto e acquistati dai Nobili Pesaro“ribattezzati”Pesaro Dal Carro. Ai Moranzani di Liza Fusina, infatti, c’erano un Osteria (l’Hostaria del Toni ai Moranzani), un forno e una Pistoria che i Pesaro diedero in affitto nel 1583 per 1.500 scudi annui, e nel 1661 a Perin Lantano per 100 ducati mensili, mentre altre stalle vennero affittate per ducati 30 annui all’Università dei Corrieri Veneti. In totale i Nobili Pesaro e Venier riscuotevano ducati 2.325 annui dal “Monopolio del carro delle barche di Fusina”, mentre i Mocenigo e i Marcello ne guadagnavano altri 170.

Nel giugno 1583 Zulian Bonazza dichiarò: “… d’essere affittuale di alcune terre pascolive e paludive al luoco di Torso nel Tezòn sopra la Brenta dalla parte di Lizafusina pagando a Laura Gritti: 110 ducati annui, 60 libbre di vedello, 100 libbre di porco, 40 libbre di onto sottil e varie regalie di pollame con un barile di agrèsta.”… Erano le aree delle Valli da Pesca che rimasero attive fino al 1900.

Nel 1619 quando s’interrò una delle due chiuse (l’altra è attiva ancora oggi), ai Moranzani di Fusina funzionava ancora la Palada per la riscossione del Dazio della Serenissima. Nei pressi c’era la famosa “Presa d’acque della Cerinòla o Seriòla”: l’acquedotto dove la Serenissima faceva depurare le acque in grandi vasche prima d’inviarla “con bùrci” a Venezia dove si riempivano le cisterne dei pozzi, e la si vendeva in giro per le Contrade con i bigolànti.
Quattro anni dopo, Domenico Papacizza Gastaldo dei Nicolottidi Venezia dichiarava “interrato” tutto quello che era stato il sito Ilariano: “… tutto Bombagio et San Marco di Lama et tutti quei luoghi da Lizafusina fino ai lidi et il Melison, per causa del Brenta, che se Dio non provede nel Melison vi s’anderà presto camminando…”mentre Nadalin Gritti altro Nicolotto ricordava: “… haver preso dei cievoli dentro di quelle bricole che adesso si può dire vigna …”



Nel 1693 Giovanni Battistae i fratelli Sebastiano e Lunardo Venier acquistarono per ducati 784 dal Magistrato alle Acque in società con i Foscarini e con Giobatta Cellini(che possedeva anche una terza parte nell’uso delle Porte del Cavallino e della Fossetta): “… l’uso delle Porte col diritto di esigere per la Serenissima il Dazio del Transito delle barche con l’aggravio degli homeni che assistono a serràr e vèrser e porte, e l’obbligo di tenerle in acconcio con le case e fabbriche, oltre il danno che se può ricevere a causa dei giazzi invernali”… Allo stesso tempo si risarcirono con 581 ducati annui i Nobili Pesaro per le perdite dovute alla costruzione delle nuove porte della Conca dei Moranzani, per cui erano stati costretti a spostare la loro redditizia attività di lavaggio delle lane in acqua dolcevicino a Mira.

Al “Carro delle Porte dei Moranzani” passavano pagando “regolàr tariffa”decretata dal Senato della Serenissima:
___Barche da Padova che pagavano vòde: 12 franchi, 1 lira se piene con persone, 1 lira e 10 franchi se con robbe.
___Barche dalla Villa vòde: 16 franchi.
___Barche da Este, Frassene, Moncelese et altre vòde: 1 lira, cariche: 2 lire e 10 franchi.
___Barche da frutti da Vicenza vòde: 1 lira e 10 franchi, cariche: 3 lire.
___Barche da vino de Mercanti vòde: 2 lire, cariche: 3 lire.
___Burci col timòn in pope vòdi: 1 lira e 10 franchi, carichi: 3 lire.
___Barche o burci con timòn alla banda vòde: 2 lire, carichi: 3 lire.
___Burchielli de particolari vòdi et con persone: 8 franchi.
___Peote de particolari vòde et con persone: 8 franchi.
___Barche da LizaFusina et Marghera: 8 franchi.
___Gondole: 4 franchi.
___Barche discoverte o con capuzzi e simili: 8 franchi.
___Barche da Piove vòde: 8 franchi, cariche: 10 franchi.
___Barche da Miran vòde: 8 franchi 8, cariche: 10 franchi.
___Zattere: per ogni “duo zatuoli vòdi”: 2 franchi, carichi: 4 franchi.



Un gran bel commercio avanti e indietro, e un gran“dèntro e fòra” redditizio dalla Serenissima. Qualche famiglia Nobile Veneziana provvide per comodità a costruirsi una “Villa da Statio” ai Moranzani: i Marcello e i Memo che possedevano in zona 3 casoni e 110 campi. La maggior parte delle aree prative e da pascolo dei Moranzani di Fusina appartenevano, invece, ai Nobili Pisani e soprattutto ai Muazzo che possedevano in Contrà del Folo:“… casa da stacio, cortivo e dòi campi di broli e 50 campi”. C’erano poi presenti a attivi in zona anche i Nobili Da Canal che erano padroni di 300 campi arativi, 100 di prato e grandi quantità di paludi; c’erano vari rami dei Marcelloche assommavano più di 120 campi e 25 casòni ai Moranzani e altri 240 campi al Bottenigo, e i Siori Cappello che possedevano: “… un pèzo d’argine dal secondo taio fin a Fusina, 30 passi lontan dall’hostaria e l’arzere da Lizza Fusina, fino alla Resta d’Aglio” da cui traevano una rendita annuale di 180 ducati.



Raccontano ancora le cronache Veneziane, che l’ultimo giorno del mese di aprile 1639 il Vicario del Patriarca di Venezia si recò in Visita Pastorale passando per LizzaFusinaalla chiesa e Parrocchia di San Giovanni Battista di Balaello in Gambarare soggetta alla Diocesi di Venezia. “… A Fusina dove un tempo sorgeva Sant’Ilario venne ricevuto dal Reverendo Pievano, dai Cappellani e dai Massari di detta chiesa con cavalli e carrozze, come pure dagli abitanti del luogo … Lì di fronte comparve Ser Giovanni Momolo fu Adamo barcaiolo di Fusina e residente del posto, di cui è proprietario insieme agli altri abitanti consegnando uno scritto a me Scrivano … Poi davanti agli stessi Vicario e Vescovo si presentarono Maddalena moglie di Michele Marano, il predetto Giovanni Momolo, Matteo Gabbro figlio di Angelo, Elisabetta moglie del detto Giovanni, e Giacomo figlio di Michele Marano. La sunnominata Elisabetta parlando in lingua volgare disse che il Piovan di Oriago ha portato via la chiave della chiesa di Fusina màrti (martedì) passato, qual chiave sempre è stata tenuta da noi, et lui la portò via con finta che venne a dir Messa, et per questo siamo restati tutti questi giorni senza Messa e senza poter sonàr l’Ave Maria, et hieri venne qui a posta la mattina et messe quell’arma de cartòn sula porta (lo stemma del Vescovo di Treviso)… Per il passato il detto Piovano fu a casa da me con la cotta et stola dicendo che mi voleva sposàr par davvero, che ero una bestia et che vivevo in peccato mortal, et io non volsi perché sono stata già sposata alle Gambarare, faccio con le Gambarare et voglio essere con le Gambarare (ossia sotto la giurisdizione di Venezia)”.

Risale al 1775 l’ultimo atto riguardante Sant’Ilariodi Fusina: si decretò la fine della sua Storia millenaria scandita dalla serie di più di 35 Abati sopprimendo del tutto la Commenda Ilariana e di San Gregorio di Venezia. S’incamerarono e indemaniarono tutte le rendite e il patrimonio vendendo tutti i beni che erano rimasti, destinando 250 ducati annui al mantenimento della Cappella-Oratorio di Sant’Ilario costruita a memoria nel 1648 dove un tempo sorgeva il grande complesso Abbaziale dei Santi Ilario e Benedetto di Fusina.

In realtà all’inizio del 1800 di quell’Oratorio rimanevano solo resti … Qualche ignoto ieri come oggi intascava quei 250 ducati annuali senza far niente … In quella che era stata l’area Ilariana abitava un migliaio di persone ... Uno dei proprietari terrieri voleva costruire una nuova chiesa dedicata a Sant’Ilario, ma il Piovano più vicino: “non volle affatto saperne”.

Fino al 1805 Giuseppe Giolo ottenne in subappalto dai Nobili Venier l’uso delle Porte dei Moranzani pagando un canone annuale di lire 1.600 a Maria Contarini vedova Venier e agli altri soci: Foscarini, Giustinian, Mocenigo e Colledani. … e Luca Dal Campo residente in Contrada di San Giovanni Evangelista a Venezia pagava l’affitto del canale ai Nobili Pesaro, e ai Dolfin per: “el carro, la casa e l’hostaria di Issa Fusina dove si lavano le lane … che rendono 1500 ducati annui”.



Poi giunsero i Francesi con napoleone che espropriarono e indemaniarono tutto. Gli Austriaci dopo di loro ridistribuirono per breve tempo “le competenze” agli ex Nobili Veneziani, finchè alla fine con l’annessione del Veneto all’Italia l’uso e la proprietà delle Porte dei Moranzani di Fusina passarono allo Stato ... Ogni mese transitavano per i Moranzani oltre 650 “bùrci a cargàr acque a dòi soldi il viaggio”, e oltre 300 barche “a soldi quattro di passaggio”.



A causa dei continui reclami presentati contro gli abusi, le vessazioni e indebite esazioni dei “Tiranti dell’Alzaia”, l’Intendente di Finanza del Dipartimento dell’Adriatico stabilì nel maggio 1810: “le Tariffe per il diritto di Attiraglio con cavalli da Fusina a Dolo e viceversa Chi avrà esatto oltre la tariffa verrà multato di lire 10 italiane, e se recidivo: licenziato dal Servizio” …Per ogni cavallo usato per tirare il Burchiello si pagheranno 5,12 lire da Fusina a Dolo come per la Corriera da Padova … sulla stessa tratta i Militari pagheranno solo 4.10 lire a cavallo, le barche dal Portello di notte, i battelloni da Frassene, Cologna, Bomba e Vo’, e i burchielli a quattro balconi pagheranno 5.63 lire, i bùrci carichi: 6,14 lire; le barche da Vicenza, Este, Monselice, San Zuanne, Frassene e Caneve: 7,68 lire; le barche da frutti: 6,14 lire; i bucintori, i burchi forranti, le Corriere da Firenze, Bologna, Ferrara, Modena, Roma e Rovigo: 8,19 lire; e da Fusina al Taglio con barche da Maran e barche da Piove: 6,14 lire …”

Fra 1873 e 1885 quelli che furono i terreni e le adiacenze di Sant’Ilario passarono in proprietà al Marchese Saibante che fece effettuare degli scavi e ricognizioni guidate dal Regio Ispettore dell'Antichità e i Monumenti, il cavaliere Eugenio Gidoni:“Ne venne fuori dai terreni abbandonati e incolti … l’iconografia di una chiesa a pianta basilicale a tre navate spartite da due file di 6 colonne, lunga più di 30 metri e larga 15 … con tre distinte absidi profonde trasformate in Cappelle affiancate da una base rettangolare interpretata come campanile, e un triplice pavimento sovraposto di cui quello inferiore di genere musivo … presentava inoltre un incipiente presbiterio analogo a quello di Sant’Ambrogio di Milano … forse il più antico esempio di Basilica a tre absidi sorto nel Veneto …”


Infine nel 1936, dove un tempo sorgeva Sant’Ilario andarono ad abitare alcuni sfollati dalla Giudecca di Venezia… s’era già provveduto in precedenza a costruire una chiesetta utilizzando il vecchio altare del rimasto Oratorio del Redentore… Alcune memorie locali ricordano dei militari dei Lagunaridi Malcontenta che costruivano terrapieni intorno alle polveriere della loro caserma prelevando terra dai vicini dossi incolti e dal “tumulo” dove un tempo sorgeva il complesso di Sant’Ilario.

“A Sant’Ilario se va a morìr d’inedia, isolamento e malaria”diceva i vecchi Preti inviati in quel luogo a soggiornare a volte quasi per castigo ...  Poi in zona giunse il Capolinea del tram Velocifero delle Guidovie della Società Veneta che rimase in servizio fino al 31 gennaio 1954, il collegamento con vaporetti per Piazza San Marco a Venezia, e nel 1974 si costruirono scuola e cinema per le 900 famiglie della zona che contava 3.500 abitanti … Di quel che era stato Sant’Ilario di Fusina non esisteva più traccia e notizia … solo silenzio.





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