“UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA” – n° 46.
“SAN SEBASTIANO A VENEZIA … UN BIJOUX CON UNA STORIA.”
La chiesa di San Sebastiano è di certo un bijoux, un altro dei grandissimi gioielli carichi d’arte e storia veneziani. Esistono splendide edizioni specialistiche che ne decantano le bellezze e ne sciorinano la storia, e quindi non tocca certo a me descriverne lo splendore. Però fra le righe delle tante cose ben dette e ben scritte esiste una piccola “terra di nessuno” piena di briciole e di notizie che son di tutti. E’ lì che si colloca quest’ennesima “Curiosità Veneziana”.
All’inizio delle sue vicende, circa nel 1380, il piccolo sito all'incrocio fra il Rio de San Bastian e il Rielo de San Bastian oggi interrato è stato il luogo di una classica storia veneziana di devozione, carità e riconoscenza … l’ennesima. Un nuovo tipo di fraticelli austeri i Gerosolomini dal nome contorto e quasi impronunciabile, fondati dal Beato Pietro Gambacorta da Pisa, si affacciarono in laguna in Contrada dell’Anzolo Raffael incontrando subito le simpatie dei Veneziani che li chiamarono “I Romiti di San Girolamo”.
Nel 1393 si unì ai Romiti un certo Frate Angelo da Corsica del Terzordine Francescano che possedeva un Ospizio in contrada dell’Anzolo oltre a molti altri luoghi in Romagna. Fu così che due anni dopo sorse un primo Ospizioper i poveri, seguito dopo altri due anni da un piccolo Oratorio intitolato a “Santa Maria Assunta piena di Grazia e di Giustizia” con i contributi versati dal Nobile Patrizio Veneto Sacerdote Leonardo Pisani e delle elemosine di Frate Giovanni da Ravenna.
Fra 1405 e 1455 si iniziò a costruire “con grande concorso di popolo nel sostegno della spesa” una nuova chiesa più grande con annesso capiente monastero. I lavori terminarono tredici anni dopo e la nuova chiesa orientata verso Est fu dedicata alla Madonna ma aggiungendovi anche San Sebastiano dal quale gli abitanti della Contrada si sentirono protetti e salvati durante la peste del 1464. Tanto è vero che in parecchi si riunirono nel 1470 in una Confraternita devota ospitata nella stessa chiesa e intitolata allo stesso San Sebastiano.
Ma fu solo nel 1505 che i Gerosolomini vollero ricostruire tutto di nuovo e innalzare il grande complesso monastico che è giunto quasi intatto fino a noi. Esiste ancora la raccolta dei documenti che hanno registrato le donazioni dei fedeli e le spese intraprese per demolire la vecchia chiesa e realizzare il nuovo capolavoro orientato stavolta verso Ovest realizzato dall’architetto Abbondi detto “lo Scarpagnino” astuto commerciante in pietre e capo-gestore a distanza di una nutrita schiera di tagliapietre, muratori, decoratori e fadiganti.
Tre anni dopo s’iniziò a costruire accanto il nuovo convento, e solo nell’estate di cinque anni dopo si giunse a ricoprirlo col tetto completando l’opera, mentre nella chiesa si continuò fino al 1534 con un nuovo ciclo di lavori di completamento delle tre cappelle maggiori.
Fu negli otto anni successivi, fino al 1542, che accadde una lunga stasi dei lavori in San Sebastiano “ … perché i Romiti si scatenarono” come molti degli altri Preti, Frati e Monache della società di Venezia e dell’intera Europa di quell’epoca. Nel convento accadde un vero e proprio baillame.
La crisi cominciò nel 1535 quando fu eletto Rettore Generale Fra Mansueto da Tiberiaco che si dimostrò essere un fomentatore formidabile di disordini e scandali con gravi problemi disciplinari. La Congregazione dei Gerosolomini affrontò la questione quando fu eletto Pontefice Paolo III che dispose immediatamente una serie di visite ispettive. Le relazioni del 1534 non lasciarono dubbi raccontando:
“Nel monastero sono presenti trenta Frati Eremitani di San Girolamo senza contare i forestieri che continuamente vanno e vengono ... Si pagano 12 ducati per un maestro di grammatica che abita in monastero ed altri 12 ducati a un organista ... Soprattutto i Frati sono girovaghi, discoli, scillerati e inobedienti … la Congregazione è corrotta e confusa, non vive più una vita ispirata all’originario ascetismo … ma è eccessivamente mondana e libertina, senza rispetto per la disciplina ecclesiastica, senza timore di Dio e senza onore … in cui i pochi frati buoni, se ce ne sono, sono screditati dalla moltitudine dei cattivi ...”
La reputazione dei frati di San Sebastiano a Venezia era pessima, rovinata, e di conseguenza crollarono le entrate, le elemosine e i lasciti al convento. Addirittura attorno al convento di San Sebastiano, si creò un clima incandescente. La popolazione della Contrada dell’Anzolo e di Venezia manifestò vigorosamente contro i Frati e i loro comportamenti sconvenienti giungendo ad affiggere in giro dei manifesti raffiguranti “… demonii depinti et frati incatenati ...”
Finalmente nel 1539 Papa Paolo III si decise e destituì Fra Mansueto da Tiberiaco lanciando l’interdizione e la scomunica contro la chiesa e il convento di San Sebastiano.
Al suo posto nominò Vicario Generale Apostolico un certo Fra Bernardo Torlioni da Verona nato nel 1494 incaricandolo di ricoprire il Generalato vacante e di riformare la Regola della Congregazione alla sbando, cosa che questi fece prontamente nel 1541 riformando le antiche Costituzioni dei “Romiti di San Girolamo”.
La nuova regola suscitò controversie e discussioni tra i Frati e nel Capitolo Generale del 1542 la carica di Rettore Generale della Congregazione andò al più tollerante Fra Remigio da Villafranca, mentre Fra Torlioni fu relegato a Priore del solo convento di San Sebastiano a Venezia dove rimase per ben ventitrè anni fino al 1570.
Ed è qui, al centro di tutto quel “casotto storico”, che si collocò fra storia e leggenda la vicenda dell’illustrissimo pittore Paolo Caliari sopranominato il Veronese sepolto ancora oggi in San Sebastiano. Aveva incominciato a dipingere a Venezia nel 1550 realizzando una pala d’altare per la Cappella dei fratelli Giustinian in San Francesco della Vigna. Riconosciuto come “ … artista e pittor abile, original et bravo …”, negli anni 1553-1554 fu chiamato a dipingere i soffitti delle sale del Consiglio dei Dieci, in Palazzo Ducale.
In seguito, secondo la tradizione, Paolo Caliari detto il Veronese, di 27 anni, fu indotto a vivere in San Sebastiano come in prigione per un certo tempo e fino alla morte per aver offeso un potente, e aver ucciso un insultatore.
Fu lì quindi che il determinato Priore Torlioni divenne il principale committente di Paolo Veronese per la splendida decorazione della chiesa e della sagrestia che possiamo ammirare oggi.
Fra Bernardo Torlioni aveva in mente un programma iconografico semplice e chiaro: la decorazione pittorica dell’intera chiesa di San Sebastiano seguendo il tema allegorico del Trionfo della Fede sull'Eresia.
Si iniziò con la decorazione del soffitto della sacrestia con “Scene dell'Antico Testamento”, a cui seguì fino al 1556 la decorazione in tre scomparti del soffitto a cassettoni della navata della chiesa ispirata al Libro di Ester, pagato con 240 ducati al Veronese.
Fra il 1543 e il 1549 furono completati gli arredi lignei della sagrestia, fu eretto il campanile su disegno dello Scarpagnino ornato con cuspide a cipolla e con mattonelle invetriate colorate, si portò a termine la facciata col rivestimento in pietra d'Istria e si lavorò all’ampliamento dell’originario coro pensile che correva lungo la controfacciata interna della chiesa.
Per finanziare tutte quelle opere Fra Torlioni aveva bisogno di molti soldi, perciò il 26 novembre 1542 concesse al Nobile Patrizio Veneto Marcantonio Grimani di costruirsi una cappella privata in San Sebastiano. Fra i testimoni del solenne giuramento con cui i Frati del Capitolo di San Sebastiano s’impegnavano nella Sala Capitolare davanti al Notaio Antonio Maria de Vincenti a custodire e curare in perpetuo la Cappella di famiglia Grimani con i suoi ornamenti in cambio di una ricca Mansionaria quotidiana e perpetua c’era il pittore Paolo Veronese. Marcantonio Grimani figlio di Francesco, non era un nobile qualsiasi, era un Senatore famoso e attivissimo nella scena politica veneziana schierato a favore della pace con i Turchi. Fu inoltre Savio di Terraferma, Podestà di Padova, Procuratore de Ultra e perfino ballottato nel concorso per diventare Doge. Quando morì a 78 anni nel febbraio 1566 fu seppellito sotto la predella del suo altare in San Sebastiano che aveva beneficiato per gran parte della vita.
La pensata della cappella privata concessa ai Grimani fu geniale, perché fu la prima di una serie di sei costruite e concesse in San Sebastiano fra 1542 e 1554 ai Nobili Pellegrini e altri garantendo un bel flusso d’entrate e capitali nelle casse del convento “ … in cambio di Messe e Orazioni celebrate dai Frati in suffragio e per la salute delle anime dei Nobili Patrizi ...”
Nel 1557 si realizzò la pavimentazione della chiesa, e dal 1558 Paolo Veronese riprese a lavorare agli affreschi della chiesa superiore, e nello stesso anno realizzò i disegni per i complementi architettonici della Cappella Maggiore: l’altare, le finestre e la cassa dell’organo con 10 registri ad una tastiera realizzato in ottobre da Alessandro Vicentino.
In un anno Veronese dipinse le portelle dell'organo e il parapetto con la “Presentazione di Gesù al Tempio”, la “Piscina Probatica” e la “Natività”.
Nel 1559 Veronese fu un fiume in piena: decorò con affreschi la parte superiore della navata centrale con i “Padri della Chiesa”, “Profeti”, “Sibille” e diversi personaggi biblici, e consegnò il disegno per i sedili del coro dei Frati che decorò con episodi della Vita di San Sebastiano.
Non pago e domo … fra 1559 e 1561 eseguì la pala per l’Altare Maggiore:“Madonna in gloria con San Sebastiano e Santi”, mentre nel 1562 dopo la fine dei lavori di sistemazione del Presbiterio ne affrescò la cupola.
Il 19 aprile dello stesso anno la chiesa di San Sebastiano fu consacrata da Gianfrancesco Rossi Vescovo di Osseno e l’altar maggiore da Michele Jorba Vescovo Arcusense in Tracia.
Nel 1564 il monastero registrò il pagamento di 12 ducati annui per l’organista, la spesa di 15 ducati per la festa di San Sebastiano, e la concessione di un nuovo pagamento a Veronese per due tele laterali del Presbiterio: “San Marco e San Marcellino condotti al martirio” e “Martirio di San Sebastiano”.
Non ancora stanco di dipingere, nel 1567 disegnò per il Refettorio dei Frati i banchi, i tavoli, e il grande quadro con “La Cena in casa di Simone” pagato nel 1570 e terminato forse tre anni dopo.
Nel 1581 i Frati chiamarono Giulio Soperchio Vescovo di Caorle a consacrare altri nuovi altari, e nel 1588 l’antico Oratorio della Beata Vergine della Pietà incorporato nella chiesa venne concesso al Nobile Paolo Lolin che commissionò una tavola a mosaico con la“Conversione di San Paolo”e si fece poi tumulare dentro insieme al fratello Giovanni.
Nel 1600 le vicende di San Sebastiano ebbero ancora qualche sussulto. Accaddero continue discordie con il clero dell’Anzolo Raffael che il Papa in persona ricompose stabilendo un contributo annuo obbligatorio da parte dei Gerolomini di ½ libbra di cera bianca e di una rendita a favore della Parrocchia dell’Anzolo.
Non s’interruppero i lasciti e le donazioni a favore di San Sebastiano. Si racconta dei lasciti testamentari da parte della Nobildonna Patrizia Veneziana Lucrezia Corner che volle essere vestita in morte con l’abito delle francescane di Santa Croce, a cui lasciò 20 ducati, e altri 20 ducati annui a sua sorella Suor Prudenzia monaca nello stesso monastero. Volle inoltre essere accompagnata alla sepoltura dalle monache di quel convento che nominò sue esecutrici testamentarie, e chiese anche di essere seppellita nella chiesa di San Sebastiano con suo marito lasciando una somma destinata a celebrare 1 messa di suffragio due volte la settimana nella stessa chiesa
La zona dei Frati, che in quel secolo e fino alla fine del seguente possedevano a Venezia rendite annue d’affitto d’immobili per 255 ducati, rimase turbolenta. Nel febbraio del 1615 Ser Pietro Vitturi figlio del defunto ZuanBatta, fu ucciso con un'archibugiata di notte a San Sebastiano, mentre se ne tornava a casa. “ … et fu detto esser stato un suo prete di casa con sospetto che fosse partecipe con Caterina Marcello sua moglie …”
Fra 1625 e 1630, anno della tremenda peste Veneziana ricordata dal voto della Basilica della Salute, “ … la Signoria e il Collegio della Serenissima ebbero di nuovo da considerare e sedare nuovi contrasti tra il Generale dei Gerolamini di San Sebastiano e alcuni suoi Frati disobbedienti …per la maggior parte effetti di fattioni e passioni de’ religiosi … e per la concessione a loro in enfiteusi di 80 campi arativi, prativi e boschivi da tempo abbandonati …”
Nel corso del 1700 la storia di San Sebastiano, invece, è solo noia totale. Si nota solo che nel 1756 si tolsero dalle volte del chiostro del convento le tele con soggetti sacri dipinte da Simone Forcellini detto Simoncino, e s’intonacarono di bianco i muri al loro posto, e che in seguito all’inizio del 1800 in occasione del Concistoro in isola di San Giorgio Maggiore per eleggere il Papa Pio VII, l’illustrissimo Cardinale Caraffa trovò alloggiò presso i Monaci Girolamini di San Sebastiano.
Ci pensò la bufera Napoleonica, tanto per cambiare, a ravvivare gli eventi, spegnere la ricca quiete devota, e rovesciare e ribaltare tutto.
Nel 1806 si trasferirono e concentrarono nel convento di San Sebastiano i Padri della Vittoria di Verona che non si sapeva più dove collocare.
Nel 1810, invece, si chiusero a Venezia altri 14 conventi-monasteri. Nel solo Sestiere di Dorsoduro furono soppressi e chiusi: Gesuati, Redentore, La Salute, i Carmelitani Scalzi dei Carmini e i Girolamini di San Sebastiano con 17 monaci dentro. Tutti gli ambienti con le loro ricche biblioteche, eccetto quella degli Armeni di San Lazzaro in isola, passarono in proprietà al Demanio che svendette tutto a poco prezzo. In realtà nella gran confusione molti libri di pregio e manoscritti famosi erano già stati rubati, nascosti o venduti dagli stessi frati.
Due anni dopo, nel settembre 1812 furono venduti all’asta come “scarti”per 6.900 lire a G.S.B.Ferro 21.738 volumi“dei Frati di Venezia” fra i quali c’erano 1.238 libri della Biblioteca dei Girolamini di San Sebastiano assieme ad altri 6.150 degli Scalzi dei Carmini e 3.681 dei Frati Cappuccini del Redentore.
Il dipinto della“Cena” di Paolo Veronese fu strappato dal Refettorio del Convento e portato a Milano dove fa ancora parte oggi della Pinacoteca di Brera.
Dalla chiesa di San Sebastiano sparirono ancheuna “Madonna di Pietà” con quattro abiti, e dalla sacrestia una “Beata Vergine”dentro ad una nicchia di cristallo con guardaroba di sette abiti pregiati e quattro veli in tessuto di grande valore.
Nel 1821 il Patriarca austriaco Pirker in visita a San Sebastiano consigliò di abbattere la chiesa e di spostare tutti i dipinti del Veronese nella vicina chiesa succursale di Ognissanti (l’attuale ex Ospedale Giustinian). Per fortuna non lo ascoltarono.
Si pensò bene, invece, fra 1851 e 1856 di riattare l’ex convento di San Sebastiano introducendovi la sezione femminile dell'Istituto Manin, sotto la direzione delle Suore Figlie di San Giuseppe del Caburlotto. La scuola-convitto-orfanatrofio proseguì la sua opera fino al 1921 quando venne chiusa e conglobata con l’Istituto delle Zitelle in fondo alla Giudecca.
Le Suorine completarono l’opera acquistando il terreno del vecchio squero accanto alla chiesa e costruendovi sopra il loro nuovo palazzo: la Casa Madre Generalizia, Convento, Noviziato, Collegio trasferendosi a fianco della chiesa di San Sebastiano.
Ultimissimo atto: nel 1971 l’Università degli Studi di Venezia acquistò il complesso dell’ex convento dei “Romiti di San Girolamo” come li chiamavano i Veneziani e delle Suorette Canossiane per ospitarvi la facoltà di Lettere e Filosofia. Durante i lunghissimi restauri si rinvennero i resti di alcuni corpicioli di bimbi seppelliti e celati nei muri e nel giardino. Furono le tracce delle solite storie dei monasteri e degli orfanatrofi dove le maternità scomode e i rapporti equivoci erano all’ordine del giorno.
La chiesa di San Sebastiano, invece, venne affidata a un Rettore intramontabile, quasi eterno, e subì le vicende di tantissime altre chiese veneziane: “chiusa, aperta, chiusa, aperta” con qualche raro e provvido restauro per conservarle in piedi.
La chiesa di “San Bastiàn” per molti anche dei Veneziani oggi è poco più che un nome, una delle tante chiese davanti alla quale si tira dritto. Se ci entri sembra di entrare in una bomboniera, in una di quelle scatoline cesellate, decorate e preziose in cui un tempo si tenevano le gioie preziose. Ci si emoziona e ti si scalda la pelle solo al tenerle strette in mano.
“Non ci sono mai entrata … Dovrò farlo.” mi ha detto di recente una che abita lì vicino da una vita intera.
Siamo alle solite …