“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 149.
“La cèsa de le Sette Madonne ... a Venezia.”
La Contrada o il posto di Venezia è di quelli singolari, è una zona carina, e soprattutto quasi nascosta dentro al cuore di Venezia. Provate a chiedere a qualche Veneziano di Castello o della Baia del Re di Cannaregio: mi sa che faticherà a dirvi dove si trova. Ditegli poi per fargli uno scherzo: “Ma dai ! … Non sai dove si trova la Contrada di Santa Cristina ! … Quella della Circoncisione ?” e lo vedrete strabuzzare gli occhi più confuso e incerto di prima. In effetti quella di cui vi sto dicendo è una di quelle Contrade piccoline un po’ dimenticate, per non dire sconosciute, perché s’amalgama completamente fino a occultarsi col resto del tessuto urbano di Venezia.
Conserva, infatti, tutte le caratteristiche tipiche “nostràne” Veneziane. In Contrada esisteva un Pestrìno per macinare manualmente o con animali semi di lino e grano, e c’è ancora oggi la Calle del Fabbro, la Calle e Sottoportego del Tintòr dove nel 1713 esistevano la “casa e bottega da Tentor del Sior Domenico Anichini affittuàl de Antonio Giàmola”; la Calle del Fenestrèr, il Campiello del Spezièr, il Sottoportego del Filatoio, la Calle e Corte del Mercante, la Calle del Ràvano… e c’è perfino un ombrosissimo Sottoportego e Corte del Diavolo: perché Venezia è sempre stata un poco così … un po’ “Diavolo e Acqua Santa”insieme.
E’ stato proprio per questo, che alla fine dell’aprile 1488, il temibilissimo Consiglio dei Dieci della Serenissima emanò un urgente decreto che obbligava a chiudere il Portico antistante la chiesa proprio di quel posto, circondandolo di tavole perché: “… di notte diventava ricettacolo di varia umanità e d’imprese disoneste”. Si doveva lasciare aperta solo una portella per accedere alla chiesa di giorno, e la si doveva rigorosamente chiudere subito dopo il tramonto del sole.
“Ah ! … Gho capìo ! … A xe a cièsa de le Sette Madonne !” mi spiegò un giorno Siora Amelia.
“Sette Madonne ? … Perché ? … Mai sentito !”
“E de Sette Madonne, speravo che almànco una se ricordasse de mi … E, invènse, neanche una ! … Neanche mèzza … E vàrda dove che so, e dove che me tòcca stàr ! … Nea vita gho sèmpre creduò che quando se sèra una porta dovesse sempre vèrsise un portòn ! … E, invèsse, non se gha vèrto un bel niente … e me tòcca stàr in sto cameròn co tutte ste vècce che e se pìssa dòsso giorno e notte, e xe balènghe o mèzze fòra de zàgola (ossia: di testa. Letteralmente: “fuori dall’asola giusta della corda”)”.
Quella volta sono andato a vedere e controllare se la vecchietta Amelia della Casa di Riposo dei Santi Giovanni e Paolo avesse avuto ragione. Per far questo sono tornato e ritornato più volte a gustarmi la bella chiesetta della Contrada “còccola”, che come il solito, oggi se ne sta praticamente sempre chiusa e barricata, dimenticata un po’ da tutti, dopo essere stata: “Centro o Consultorio de questo e de quèo … e di tutto un po’” a seconda dei Preti che vi venivano collocati di volta in volta.
“Xe inutile ch’el vàrda e ch’el gìra Sior ! … I Preti gha serà bottega da un tòco ormai … e chi si è visto s’è visto !”mi ha detto un ometto seduto fuori dal suo bar, che non mi ha perso d’occhio un attimo mentre saggiavo la porta chiusa della chiesa.
“Là dentro no ghe xe più nessùn … Soltanto: Aneme … e le Sette Madonne !”
Ecco che a distanza di anni è tornata fuori ancora una volta quella precisazione ! … Siora Amelia aveva ragione.
“Sono andato a vedere Siora Amelia … Effettivamente la chiesa ha Sette Madonne … Anzi: forse ne ha anche qualcun’altra in più !”sono tornato a riferire alla nonnetta ripresentandomi a salutarla.
“Par fòrsa ! … E còssa ti credevi, che te disèsse busìe ? … O che fosse fòra come un pèrgolo ?”
“No … E’ che mi sembravano tante Sette Madonne.”
“E invesse: sì ! … Quèa cièsa là a gha Madonne de tutti i tipi … Par tutti i gusti, e par tutte le necessità.”
“Tutti i gusti ? … Come i gelati ?”
“Làssa stàr e Madone sa ! … Che no porta ben ! … Schèrza co i Fanti … Ma làssa star e Madonne e i Santi ! … Che no te vègna un rebaltòn de pànsa … Venèssia xe sempre stàda pièna de Madonne: Madonna dei Miracoli, de la Salute, del Monte, del Pianto e Addolorata … Madonna Nova e Madonna vecia … Madonna de le Grazie ...”
“Par tutte le disgràssie insomma !”
“Ancora avanti a tor in giro ti và ? … … Vàrda che a Madonna te punìsse ! … A Venèssia mànca solo a Madonna de le Savàtte … che sarìa quèa giusta par mi.”
Dentro alla chiesa di Santa Maria Materdomini nel cuore del Sestiere di Santa Croce, ma in realtà poco distante da quello che è stato lo stupendo Emporio della Civitas Realtina, ho potuto effettivamente vedere: una Madonna Annunciata del 1250 portata poi nella chiesa di San Giacomo dell’Orio; il curioso rilievo policromo bizantino dell’altra Madonna Orante del Concepimentodel 1200, con le braccia alzate in segno di preghiera. I Veneziani della Contrada la chiamavano: “La Madonna da le man sbusàe”, perché in effetti l’immagine doveva essere stata un'antica fontana rituale-benedizionale dalle cui mani sgorgava acqua. Deve essere giunta in Santa Maria Materdomini durante il Medioevo, e lì si è continuato a credere che potesse essere miracolosa, tanto da collocarla sull’Altare principale della chiesa. Sempre nella stessa chiesa ho ammirato anche la Madonna del Capitèo, e quella del Portego, la Madonna del Rosario, la Madonna del Tiepolo, quella “de la Pace”, la Madonna Regina, e un’ultima Madonna chiamata: “Madonna de Santa Maria Materdomini” … cioè: Madonna de la Madonna !
Incredibili i Veneziani ! … Venezia è sempre Venezia.
Comunque in Contrada non c’era soltanto la chiesetta, ma come sempre a Venezia, c’era molto e molto di più: un intero piccolo mondo, un microcosmo singolare, unico, e tutto a parte, e sempre diverso.
Sembra che la primitiva “cièsa de Contrada” sorgesse orientata diversamente volgendosi verso la calle più interna. Si diceva anche che doveva essere stata costruita probabilmente nel X secolo dalle Nobili Famiglie dei Zane e dei Cappello che abitavano nel Campo centrale della Contrada. Inizialmente, e almeno fino alla fine del 1100 se non oltre, la chiesa deve essere stata titolata e dedicata anche a Santa Cristina… e che presso lo stesso Campo Santa Maria Mater Domini (dove c’è ancora una Corte de le Muneghette), esisteva fino al 1105 sul Rio de la Pergola (il nome proviene forse da una famiglia Dalla Pergola, il cui Paolo Dalla Pergola, celebre Filosofo Peripatetico, fu anche Piovano di San Giovanni Elemosinario di Rialto, e rifiutò l’elezione a Vescovo di Capodistria nel 1448) un piccolo Monastero di Monache Francescane con un Oratorietto titolato a Santa Cristina.
Ecco perché la Contrada si chiamava inizialmente Contrada di Santa Cristina o della Concezione.
Nei “Notatori” di Pietro Gradenigo si legge:“… in Venezia gli antenati nostri ebbero divozione si grande verso Santa Cristina eroina del Paradiso. Infatti la chiesa di Santa Maria Materdomini in antichi tempi fu consacrata ad onore di si Veneranda donna, et Angelo Filomato degno Piovano, restaurando il Tempio in sontuosa forma rimise l’altare con la di lei effige dipinta da Angelo Lorenzo Bregno adornandolo con figure, scolpite da scalpello quasi impareggiabile, e non senza aiuto di un certo Antonio Minello altresì di rango uguale …”
Poi come sempre capitava a Venezia, fra un incendio e l’altro tutto venne ricostruito mutando il nome di Santa Cristina in Santa Maria Mater Domini. La Cronaca Magno racconta: “Del 1150 uscì fuoco casualmente da la Contrà de Santa Maria Mater Domini, et la bruzò tuta; poi andò a San Stài, San Stin, Santo Agustin, San Boldo, San Jacomo de Luprio, San Zan Degolàdo, Santa Croxe, San Simeon Profeta e a San Simeon Apostolo, San Baxegio, San Nicolò de Mendigoli, et San Raffael, et bruxò in Venetia assai caxe”.
Una Bolla Papale di Clemente III del gennaio 1188 qualificò la chiesa come “Parrocchia di Preti”emancipandola dalle pretese del Vescovo di Castello-Olivolo: Marco I Nicolai ex Piovano di San Silvestro, al quale il Papa intimò di concedere al Clero di Santa Maria Materdomini una parte delle sue Decime.
La Contrada sorgeva a soli cinque minuti di strada, a pochi passi, dall’efficacissimo e attivissimo Emporio di Rialto. Per secoli quelli di Santa Maria Materdominifurono protagonisti quotidiani di quell’evento continuo fatto di scambi e commerci, così come i Preti di Santa Maria Materdomini con tutte le loro Madonne non mancarono di fungere da testimoni e Notai di tutte quelle intensissime e frequenti transizioni e contrattazioni, e di buona parte dell’attività Mercantile dei Veneziani.
Rialto era Rialto … e si trovava proprio lì accanto.
Nel marzo 1224 Rialto: Stefano Viaro dal Confinio di San Maurizio vendeva ai nipoti dello stesso Confinio: una terra e casa siti nella stessa Contrada per lire 675 di Denari Veneti. E quella transizione l’effettuò proprio davanti a Johannes Bonus Prete et Plebanus di Sancta Maria Matris Domini, e venne ratificata e confermata nel giugno seguente da Donatus Sanctae Mariae Matris Domini Prete et Notarius insieme a Leonardus Vendelino Prete, Plebanus et Notarius di San Leonardo.
Soltanto quattro anni dopo, lo stesso Doge in persona: Pietro Ziani, lasciò una ruga di case di sua proprietà site nel Confinio di San Ziminiàn accanto a San Marco, alle allora “Sette Congregazioni del Clero di Rialto” fra le quali c’era anche quella dei Preti di Santa Maria Materdomini ... Nell’aprile 1235, invece, sempre a Rialto: Bellino Lugarino dall’isola di Costanziaco vendette ad Endrebona Dolfin Ministra del Monastero di San Maffio della stessa isola, una terra con casa sita nelle adiacenze del Monastero per lire 100 di Denari Veneti. Fra i testimoni dell’atto c’erano: Johannes de Blavenus Clericus. Ancora lui ! … Era lo stesso Johannes Bonus Prete et Plebanus et Notarius di Santa Maria Materdomini, che quindi deve essere stato un professionista parecchio ricercato e affidabile.
A giugno 1251, e ancora una volta a Rialto davanti al Notaio Dominicus Russo Subdiacono di San Canciano, Agnese figlia del defunto Domenico Viaduri da Torcello, che ora abitava nel Confinio dei Santi Apostoli, vendette a Cecilia Dolfin Badessa di Santa Margherita di Torcello, e a Palma Gradenigo risiedente nel Confinio di Santa Maria Materdomini, una terra e casa sita nel Confinio di Sant’Andrea di Torcelloper lire 115 e soldi 5 … Giacomina moglie di Giacomo della Stoppa dal Confinio di San Beneto, invece, si ritrovò a redigere il suo testamento davanti al Notaio Stefano Mauro Piovano di Santa Maria Materdomini, lasciando al nipote Leonardo un pezzo di terra nella Contrada di Santa Sofia con l’obbligo di dare ogni anno una libbra d’olio ai Preti di quella Contrada. Lasciò pure dei Legati in denaro e vestiario a diverse persone: alle Congregazioni di San Polo e di Rialto, ai Francescani di Treviso, ai Frati Minori di Venezia, e al Monastero di San Maffio e alla Monaca Benedetta di Costanziaco ai quali lasciò pure una proprietà nel Confinio di San Maurizio … sempre a Venezia.
Verso la fine del secolo, la Nobildonna Maria Cappello che era Monaca nell’isola di San Giacomo in Paludo fra Murano e Mazzorbo, consenziente la sua Badessa Maria Premarino, fece quietanza a suo fratello Bartolomeo che abitava a Venezia in Contrada di Santa Maria Materdomini della retta semestrale di 5 soldi di Grossi Veneziani che lui pagava per lei al Monastero “vitanaturaldurante”.
Insomma, come avete ben capito, nella Contrada di Santa Maria Materdominiera tutto un trafficare e commerciare … e quel fenomeno continuò ininterrottamente anche nel secolo seguente, quando Leonardo Guerzius faceva il Guantaionella Contrada, Ramino faceva il Calderèr, Antonio dall’Ogio e Lunardi Dall’Agnella erano contribuenti abbienti, e Piero di fu Zane Benedetto, che era Banchiere, fece rogare l’emancipazione di suo figlio Zanninodandogli 200 lire di grossi (2.000 ducati d’oro) per formare una Compagnia Commerciale attiva per almeno un anno “per terra e per mare”, con altri due coetanei ed amici: Marco figlio di Andrea Condulmer dalla Contrada di Santa Maria Maddalena emancipato, e Jacobello figlio del defunto Lorenzo Zane dal Confinio di Santa Maria Materdomini.
Nei primi anni del 1500 quando in Contrada vivevano 821 persone, si ricostruirono la chiesa e il campanile nelle sue forme Rinascimentali che vediamo noi ancora oggi. L’iniziativa fu del Piovano Angelo Filomati che affidò il progetto a Mauro Codussi o a Giovanni Buora. Secondo il Sansovino: “… nella nuova chiesa “a croce greca”, ad ampie arcate, con pilastri di pietra grigia, e quattro Cappelle angolari, si rimise l’Altar Grando dov’era un tempo, s’innalzò la cupoletta sull'incrocio delle navate, sebbene la facciata in pietra d'Istria risultò soffocata dai palazzi prospicienti ...”
Qualche anno dopo, sempre lo stesso Piovano con l’aiuto della locale Congregazione del Clero, e con i contributi dei Nobili della Contrada: Cappello, Pisani, Trevisan, Zeno, Contarini, Diedo e Querini, fece aprire alcune finestre a mezzaluna per dar luce alla chiesa risultata troppo buia. Già che c’era, ci fece aggiungere altri 4 altari laterali, pose su un altare la pala con “La Visione di Santa Caterina”dipinta da Vincenzo Catena nel 1520, e ornò la chiesa intera con molte altre pitture e sculture ponendo sull’Altare Maggiore anche una Pala d’Argento “alla Bizantina”con 21 bassorilievi di Storie della Passione di Cristosormontate da 12 Apostoli.
Più che curiosa la storia di quel particolarissimo pezzo di pregio e prestigio, perché non furono molte le chiese Veneziane a possedere manufatti preziosi di quel tipo. Pensate alla Pala d’Oro di San Marco, a quella di San Salvador, o a quel che resta di quella di Santa Maria Assunta di Torcello, e a quella scomparsa di Caorle. Le Pale d’Oro e d’Argento furono un bene singolarissimo e piuttosto raro presente a Venezia: dei manufatti rari e preziosissimi, difficilmente rintracciabili anche in altri edifici Italiani ed Europei della stessa epoca.
La Pala d’Argento Dorato di Santa Maria Materdomini era stata trafugata e portata a Venezia come bottino di guerra da Costantinopoli saccheggiata dai Veneziani nel 1204 durante la IV Crociata. Checchè se ne dica, i Veneziani sono stati anche predoni e saccheggiatori … sempre in nome della Cristianità !
La Pala era fatta tutta d’argento dorato finissimo, e risultò sempre presente per secoli nella chiesa della Contrada di Santa Maria Materdomini. C’era segnata nell’inventario del Piovano Francesco de Barzachis nel 1412 … Nel 1575-1579 la Pala d’Argento appariva con: “… di sopra è sentano il nostro Signore con apostoli XII et sotto quelli misteri XX che son Nascita, Cincuncisione et Innocenti … se in terza parte altri 7 Misteri …” e risultava coperta da una custodia lignea decorata e chiusa a chiave … Venne citata presente nelle Visita Pastorali dei Patriarchi Tiepolo nel 1621, Corner(1636), Morosini (1648)… e fu forse il Piovano Antonio Gerardo, nel 1660, a smembrare la Pala d’Argento facendola a pezzi ... Nel 1664 il Piovano Palazzi(il Piovano Quietista di cui vi dirò fra poco) ne fece una serie di 21 piccoli quadretti con “la Passione”, e altri 13 quadretti “con gli Apostoli”… e se ne vendette l’argento “che avanzava”… Alla fine di agosto 1700 durante la Visita Badoer si segnalò che rimanevano ancora sull’Altar Maggiore: 20 quadretti di quella che era stata l’antica “Pala d’Argento alla Greca”… Infine tutto venne trafugato nel 1797 e trasferito in Francia dove se ne persero del tutto le tracce.
Ma dai ? … Strano ? … L’illuminato napoleone non avrebbe mai permesso una cosa del genere ... Ladro ! … Vile !
Cambiando argomento … Nel 1586 Aldo Manuzio il Giovane raccontava nella “Vita di Cosimo dei Medici” di come sua madre Maria Salviati venne a rifugiarsi e a vivere con lui giovanissimo a Venezia dopo che Firenze si arrese a Carlo V: “… ed abitò più d'un anno in casa Cappello nella Contrada di Santa Maria Mater Domini, nel Rivo detto della Pergola col Sior Bartolomeo Cavaliere, padre della Serenissima Gran Duchessa presente, et coi fratelli mentre viveva il padre …” Raccontava anche di come un giorno Cosimo, giocando e scherzando con alcuni coetanei Veneziani fosse caduto in acqua, dove sarebbe affogato se non fosse intervenuta prima sua cugina Luigia d'Appiano, che l’aiutò afferrandolo per i capelli, e poi un Frate di passaggio che lo trascinò fin sopra alla riva ... L’anno seguente, Hieronimus a Lignamine quondam Johannis, laico di 29 anni, insegnava in Contrada di Santa Maria Materdomini a 80 alunni: “… a lezer, scriver, abbaco e quaderno…”dicendo di se stesso: “… Son Artimeticho, e tengo Scuola Publica a Santa Maria Materdomini … dove insegno el Donado, Fior de Virtù, Marco Aurelio, la Dottrina Cristiana, et altri libri che ghe da i padri; e a quei che principia la Grammatica ghe insegno i nomi, i verbi et le concordanze et che imparano a mente.”… Ancora alla Visita Apostolica del 1581, si ricordava della presenza di un antico “cimiterietto chiuso”, forse anche verticale e sovrapposto oltre che interrato, che contornava la chiesa di Santa Maria Materdomini: la “Cièsa delle Sette Madonne”.
E siamo alla vicenda singolare e stranissima di un altrettanto strano Prete che visse proprio in quella stessa chiesa e Contrada insieme alla storia di un certo Crocefisso Miracoloso, che probabilmente lui stesso mise in piedi. Il Prete Veneziano divenne famoso a Venezia, innanzitutto perché considerato un Prete Quietista. Per questo motivo diede parecchio filo da torcere sia al Patriarca di Venezia, ai suoi colleghi Preti del Clero Veneziano, ma soprattutto all’Inquisitore del Santo Uffizio di Venezia, che saltò per aria dal suo scanno quando venne a sentire circa le cose che il Prete predicava alla gente della Contrada di Santa Maria Materdomi.
Il Prete in questione era Prè Giovanni Palazzi, che fece scrivere di se accanto alla porta principale di Santa Maria Materdomini di cui era divenuto Piovano e Arciprete della Congregazione dei Clero nel 1664: “Mundo ignoti ne et Deo ora viator”, ossia: “Prega perchè quest’Anima ignota per il Mondo non lo sia anche per Dio !”.
Strambissimo uomo e Prete !
Di certo fu uno Storico di un “certo calibro”, un buon Giurista, e ricoprì pure diversi incarichi di prestigio dentro al Presbiterio Veneziano. Fra 1671 e 1699 scrisse e pubblicò a Venezia parecchi libri e Commentari Storici, sugli Imperatori del Sacro Romano Impero, e sulla Storia della Serenissima con i suoi numerosi Dogi, l’Aristocrazia Nobiliare e i suoi Cardinali. Scrisse pure: “Leo Maritimus seu de Dominio Maris”, e poderose opere di Storia Ecclesiastica. Insegnò Giurisprudenza a Venezia e Diritto Canonico a Padova, e scrisse pure Orazioni Funebri per Nobili, e nel 1681: “La virtù in giocco, overo Dame Patritiae di Venezia famose per la nascita, per lettere, per armi e per costumi”. Un personaggio eclettico, insomma.
Ma fu la pubblicazione della sua “Apologia”, delle “Meditazioni sopra la Passione”, l’“L’Armonia Contemplativa”, “Vita, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo”, e “Vita di San Pietro” di netta ispirazione e stampo Quietista che un po’ lo incastrarono procurandogli parecchi dispiaceri e molte calunnie soprattutto da parte dei suo colleghi Preti.
Nel 1678 erano accaduti a Venezia diversi contrasti fra i Confratelli dell’Oratorio della Fava(Quietisti pure loro), tanto che era giunto a Venezia anche il famoso Petrucci per mettere un po’ di pace. Negli stessi anni, invece, erano usciti alle stampe ben undici libriccini scritti dal Piovano di San Stin: Michel Cicogna, tutti colpiti immediatamente dal Santo Uffizio dell’Inquisizione con ben cinque condanne: “perché in odore d’eretica idea di stampo Quietista”. Invece di rabbonirsi la situazione, e quasi come risposta, sempre a Venezia presso la tipografia di Giovanni Giacomo Hertz, si stamparono i testi fondamentali del Quietismo: ossia le opere del Molinos, del De Cucchi, del Malfi, del Malaval e dello stesso Petrucci.
Figuratevi l’Inquisizione di Venezia !
Il Quietismo del Prete Palazzi di Santa Maria Materdomini era “sottile”… “Ma pur sempre Quietismo insidioso” ribadì l’Inquisizione Veneziana. Il Piovano provò a destreggiarsi scrivendo le sue operette spirituali e teologiche mettendo solo le sue iniziali, e utilizzando un luogo d’edizione falso (Anversa) per sfuggire alle indagini. Nel suo testamento alla fine della sua esistenza si rammaricò: “Ho vissuto in Santa Maria Materdomini sine querela per 47 anni … Portai alla Chiesa: Pianete, Messali, Camici, Cotte, tutto di valore. Rifabbricai per ornamento della chiesa: Pulpito, Confessionari ed altro di mia borsa. Mantenni oltre la mia continua assistenza, anche un Curato Forestiere, e introdussi in chiesa un altro Confessore … Soprattutto ho sorpassato le zizanie de gli ingrati …”
Fu la sua esagerata ed eccessiva devozione per il Crocefisso che gli procurò critiche e grandi dissapori. Rifondò e ricostituì infatti in Santa Maria Materdomini la Schola del Crocifisso con proprio altare.
“Al nome d’Iddio e della Santissima Trinità: Padre, Figliuo et Spirito Santo et della Gloriosa Vergine Maria, et di tutta la Corte Celestiàl. Per riverire il segno della Santissima Croxe havemo elleto nella cièsa de Santa Maria Mater Domino l’altar nostro nel 1551 lo dì settimo de maggio, et lì principiato una Schola et Fraterna con ordini stabilii, come qui appar …” diceva già la vecchia Mariegola della Schola.
La nuova sede sorse accanto al vicino Ponte del Cristo: “… e la Schola de a Croxe gèra una de quelle arzille, perchè ha anche finanziato Jacopo Tintoretto circa nel 1561, per fargli dipingere un largo telero (228x508 cm) con le “Storie dell’Invenzione della Croce” insieme a tutti i Confratelli e i Gastaldi della Schola, che è stato posto nel braccio sinistro del transetto di Santa Maria Materdomini.”
Il 10 marzo 1665 il Consiglio dei Dieci autorizzò la fondazione pure di un Suffragio de la Croce che affiancasse l’attività della Schola, e ne aumentasse il numero degli iscritti. Il Capitolo dei Preti di Santa Maria Materdomini accordò ospitalità al Sodalizio, con la celebrazione di una Messa Solenne il 3 maggio, Festa dell'Invenzione della Croce, l'esposizione del Santissimo il giorno di Ognissanti, e una Processione per tutta la Contrada.
Fu proprio per adornare l’altare della Schola del Crocefisso, che Prè Palazzi comprò a Messina nel 1686 un Crocefisso che dichiarò a tutti i Veneziani: “essere Miracoloso”. Prè Palazzi raccontò di come quel Crocefisso attraversò indenne tutte le acque del Mediterraneofino a giungere a Malamocco sulla tartana “Madonna delle Vigne” guidata dal Capitano Girolamo Amerigo, per poi essere tradotto e collocato in Santa Maria Materdomini. Tutte le altre navi nello stesso tempo andavano a picco per le gravi condizioni avverse del mare e dell’atmosfera, mentre quel solo suo Cristo compiva ovunque passava “tremendissimi e superbi miracoli” per chiunque incontrava.
I Veneziani della Contrada, e non soltanto quelli, iniziarono ad accorrere in massa dal Crocefisso diSanta Maria Materdomini… e Prè Palazzi per assecondarne l’impulso e “la Devotio” mise in piedi tutta una serie di Pratiche di Pietà del Crocefisso. Organizzò per quelli della Contrada e per i Veneziani: “i primi venerdì del mese del Crocefisso”, i “5 Venerdì delle 5 Piaghe”, i “15 giorni dei 15 Misteri della Santa Croce”, i “Venerdì di marzo della Santa Croce”, e i “33 giorni della Croce in ricordo degli anni di Cristo” ... e via così.
Fu un successone, e la chiesa di Santa Maria Materdomini era sempre piena … con grande invidia dei colleghi Preti e Frati (soprattutto per la grava perdita e calo d’elemosine).
Il buon Prè Palazzi lasciò denaro, sempre per testamento, ai conTitolati Preti di Santa Maria Materdomini, alle Schole del Sacramento e dei Morti della stessa chiesa, a tre Vergini della Contrada da Monacare, al Campanaro, e istituì pure due borse di studio per due Chierici della Contrada che si fossero recati a studiare “volonterosamente” a Padova. Pensate che ancora nel 1722, il Signor Giustinian Bianza come Esator della Schola del Venerabile in Santa Maria Mater Domini, riscuoteva dei soldi dalla“Commissaria Palazzi” per sovvenire“a li poveri di detta contrada per volontà del defunto Prè Palazzi".
E bravo il dottissimo Prè Palazzi ! … Nonostante i suoi libri siano stati giudicati: “proibiti e messi all’Indice”, e nonostante si sia beccato un paio di condanne da parte dell’Inquisizione Veneziana.
Nel 1622-1629, quando a Venezia infuriava la grande Peste e Moria del Tempio della Salute, Damiano Bernardin Casarol a San Marco “all’insegna del San Girolamo”, lasciò del denaro per celebrare ogni giorno una Mansioneria perpetua di Messe nella chiesa di Santa Maria Materdomini: “sull’Altar del Cristo Miracoloso”… Nel 1645, subito dopo gli anni della Peste, quando in Contrada erano rimaste attive solo 3 botteghe, una relazione medico-fisica sopra i sepolcri esistenti nelle chiese del Sestier di Santa Croce a Venezia dove s’erano tumulati i cadaveri infetti della “recente Morìa”, diceva: “… esser necessario di ben chiuderli et inarpesarli”. In Santa Maria Materdomini: “… ne esistevano in numero di sei …e in una Scoletta accanto (quella della Croce) in numero di quattro …Con nuova terra sia coperto quel Cimiterio, e lastricato con pietre cotte un pezzo di terreno nel Campo in cui esistono eminenze che coprono i cadaveri.” … Piano piano in Contrada si riprese la vita di sempre, e all’inizio del 1700, nel 1712 precisamente, le botteghe aperte erano di nuovo: venti.
Nel 1744 dal censimento dei 118 Casini di Venezia risultava che uno di questi era dislocato a Santa Maria Materdomini dove da sempre erano attive e risiedevano “suadenti donne di malaffare”… Nella “Cièsa delle Sette Madonne”si succedettero i Piovani don Giovanni Marchetti, dal 1754 al 1781; don Antonio Coltrini; don Ignazio Montàn e don Giuseppe Zappella… e nel 1790 in Contrada c’erano 303 persone abili al lavoro fra i 14 e i 60 anni (esclusi i Nobili che non lavoravano e vivevano di rendita, i quali ammontavano al 32% della popolazione della Contrada). La Contrada nel suo insieme contava 931 abitanti, funzionava la Spezieria da Medicine: “Il San Bernardo”, e in Contrada c’erano 30 botteghe appartenenti a ben 36 padroni !
Alla fine di febbraio 1796: “Esistevano in Contrada dei dilettanti di prosa con a capo un certo Lanza, chiamato Gnòcola, Scudiero del Doge, il quale insieme ai fratelli Moro (che non appartenevano già più al Patriziato) e due donne di casa Gritti, aveva costituito una Società che dava le sue recite in un locale presso il Campo di Santa Maria Materdomini. Le due attrici erano due civettòne sempre in cerca di amanti, e accanto alla sala dove si recitava vi erano altre camere da conversazione; forse per questo gli ammiratori correvano in folla …”
Nel settembre 1803, alla Visita del Patriarca Flangini alla chiesa e Contrada di Santa Maria Materdomini e agli Oratori privati di Ca’ Pesaro e della famiglia Sartorio, si relazionò fra l’altro: “In Contrada ci sono 900 abitanti di cui 600 miserabili, ma c’è una Levatrice ... La Cassa Fabbrica è in miseria in quanto la Rendita Fissa percepita dal Governo di 1.000 ducati non viene più percepita dalla caduta della Repubblica, e neanche i Legati a Beneficio dei Preti Titolati ... E’ ancora attivo il Legato del Piovano Palazzi di 800 ducati istituito per incrementare la Devozione al Crocifisso Miracoloso ... Le entrate della chiesa sono: 213,7 lire da Legati e Mansionerie di Messe, con uscite: 385 lire, di cui 90 per la Festa della Purificazione, e 130 lire per: ostie, vino e carbone.
Il Piovano ha come rendita: la casa di residenza in cattivo stato, ed entrate: lire 93 da contributi di Schole. I Preti Titolati percepiscono: il I° Prete entrate: 243 lire; il Prete Diacono entrate: 38,10 lire; il Prete Suddiacono entrate: 19,5 lire … i dodici Sacerdoti di Chiesa sono poveri ed infelici, e operano arbitrariamente la riduzione delle Messe … ma il Parroco da loro Messe “da poco”: 30-33 soldi, e si tiene tutte quelle da 2 lire … Manca l’elemosina di 6.000 Messe per suo difetto … ha registrato Messe non celebrate … non celebra la Messa “pro Populo” da 3 anni (era una Messa apposita dedicata alla gente della Contrada) …don Bon celebra altrove per ricevere elemosine più ricche, e non rende conto di 24 Messe ricevute dal Parroco … don Martini beve smoderatamente ed è ubriaco quasi ogni giorno con iscandalo … e con qualche parola libertina. Le correzioni non hanno sortito effetto positivo su di lui … In chiesa si lamenta molto del bisogno degli arredi Sacri che sono in rovina, come il tetto della chiesa …”
Al tempo del disastro napoleonico, invece, in chiesa c’era don Domenico Bazzanaspedito a fare il Parroco nella vicina San Cassiano, come accadde al suo successore don Ambrogio Piccioni, e poi a don Simeone Marinoni, che avevano anche loro in tasca la nomina per Santa Maria Materdomini, ma a causa del riordino delle Contrade, dei Monasteri e delle chiese di Venezia, dovettero andare ad esercitare come Piovano della vicina chiesa di San Cassàn.
“La cièsa de Santa Maria Materdomini ghà un campanil che par che gàbbia el capèo … Xe un campanìl scònto, ma bèo massiccio.” si diceva e scriveva a Venezia.
Il vecchio primo campanile in cotto alto 33 metri, con trifore e cuspide conica a pigna, era stato costruito nel 1384 a spese del Nobile Marco Cappello ... Nel 1503 venne trasformato, e vi si accedeva attraverso un portichetto buio sormontato da un monogramma “M”, da una piccola corona, e da una “Madonnetta col Bambìn” che dava direttamente anche sul Campo Santo ... In quegli anni il Piovano di Santa Maria Materdomini chiedeva alla Serenissima l’esenzione dalle tasse per la povertà della chiesa, il cui Capitolo dei Preti secondo i Catasti dell’epoca era il più povero di tutta la città di Venezia … Nel 1726 siccome il campanile era pericolante, il Piovano Giacomo Marchetti provò a farlo rinforzare dal lato della Calle, ma nel 1740 improvvisamente crollò giù tutto, e tre anni dopo si ricostruì il campanile che vediamo oggi collocandovi e adattandovi tre campane grandi provenienti da Sant’Antonio di Torcellodemolita, ed una campanella più piccola proveniente da San Canciano di Cannaregio di Venezia.
Nel 1879 don Antonio Galimberti, Vicario della “Cièsa delle Sette Madonne”dall’agosto 1865, e fra i coraggiosi firmatari di una Petizione all’Austria per far abolire la Commissione per la gestione degli ex Beni Capitolari ed Ecclesiasticiridotti ormai ad un terzo dell’originale (il Sovrano Imperatore neanche gli rispose), “fece collocare a sue spese un orologio sul campanile che mai innanzi c’era stato, e cominciò ad annunziare le ore nell'anno 1879", come ricorda una lapide ancora presente dentro alla torre attuale.
Nel 1829 intanto, s’era buttato via con un certo sdegno il barocco Altare del Crocefisso che aveva secoli prima fatto tanto discutere e contestare, pregare e guadagnare i Preti e i Veneziani. Lo si ritrovò solo nel 1960 dimenticato in una soffitta di San Cassiano, e al suo posto, sempre nel 1829, si collocò un vecchio Altare con San Francesco, San Bernardino, Sant’Antonio, Santa Chiara e Santa Elisabetta d’Ungheria finanziato e costruito dal Nobile Alvise Malipieronel 1537 (il San Ludovico [Alvise] scolpito al centro portava le sue sembianze) per la chiesa di Santa Maria Maggiore, che era stata di recente sventrata, trasformata in stalla e magazzino, e poi inglobata nel nuovo Carcere Maschile.
Fino a qualche decennio fa, se si voleva trovare qualcosa d’argento lavorato decentemente a Venezia, ci si doveva recare per forza nelle botteghe del Campo delle Sette Madonne(Santa Maria Materdomini), che era sinonimo di qualità e “buona maniera, e mano artistica”.
Provate a chiedere oggi a un bimbo Veneziano di Castello, della Giudecca o di Cannaregio dove si trova quella chiesa e quanto resta di quell’antica Contrada ? … Credo intuiate già la risposta.
Tutto è passato oggi in quel posto … come Siòra Amelia.