“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 152.
“Il mesto quanto ineludibile declino di Torcello.”
Come ben sapete meglio di me, Torcello, attraversata dai suoi tre canali è stata antichissima sede Vescovile, floridissimo Porto commerciale nell'Alto Medioevo, e luogo di metallurgie, vetrerie e lavorazione di lana finchè Venezia con Rialto le hanno rubato compito, posto, affari e prestigio lasciando quelle povere terre cinte dall’acqua in mano a pochi ortolani e vignaioli, e a quel che restava dei Monaci e delle Monache di un tempo. Già fin da allora è nata quell’irreversibile quanto ineludibile decadenza di quella splendida isola, ed è tuttora questo il destino che perdura e le spetterà probabilmente nel prossimo futuro.
Riandando indietro nel tempo, mancavano ancora parecchi anni e secoli al fatidico e temutissimo anno 1000, quando già: “nelle Tumbae de la Centrega … de Ca’Bella, e di Marci Roca/Rosulam … o nella Comenzaria que vadit ad Torcellum … o nella Comenzaria Barbarani”, o lì nei pressi, sorsero uno dopo l’altro un nugolo di presidi e realtà soprattutto di natura Conventuale e Religiosa che hanno arricchito progressivamente il piccolo arcipelago significativamente. Numerosissimi documenti quasi s’accapigliano e sovrappongono nel segnalare l’indefessa presenza e attività di Preti, Frati e Monache accanto all’intensa attività del Porto Torcellano, dei Mercanti e della gente isolana che s’intrattenevano, occupavano e vivevano quel posto remoto a noi familiare.
Lì nella Piazzetta Torcellanaoltre alla grande Cattedrale,trasposizione di quanto di buono sorgeva sul margine Altinate, erano sorti anche il Battistero e il Martyrion delle “Sante Fosche” ossia abbrunite, dalla pelle mora, di provenienza orientale. Insieme a quello ogni chiesetta dell’isola iniziò ad arricchirsi di altre Reliquie insigni capaci in quei tempi di calamitare folle di fedeli e gente di ogni provenienza Lagunare. E siccome dove ci sono fiori e miele accorrono e ronzano sempre numerosissime Api, così la Storia di Torcello venne caratterizzata da un ininterrotto alternarsi di vicende, controversie, liti, contrapposizioni e lotte per primeggiare e anteporsi fra quelli che popolarono e vivevano giustapposti in quelle isolette, spesso accanto a orti e vigne rigogliosi, e fragili e basse barchette utili per pescare, cacciare e sopravvivere.
In isola sorse ovviamente fin dal 1200 (anno più anno meno) anche l’impianto Politico del Doge Veneziano: il Palazzetto del Comune, del Consiglioe dell’annuale Podestà, e la Loggetta dove si esercitava la Giustizia, si tenevano le armi, si sceglieva e applicava i Dazi, si organizzava la lotta ai contrabbandi, e si gestiva la Cosa Pubblica attraverso Magistrati, Giudici e Notai. L’autorità-giurisdizione del Podestà di Torcello si estendeva anche su Mazzorbo, Burano, Treporti, Cavallino, Cavazuccherina (Jesolo o Villafranca), Grisolèra(Eraclea), Torre di Mosto, San Donato di Musile, San Samuele di San Stino sul fiume Livenza, Altino, San Michel del Quarto sui quali vantava diritti su paludi, boschi e prati, e poi ancora: Porte Grandi, San Pietro di Terzo con Tessera, Tre Palade con l’Ospedale di San Giacomo sul Sile, Campalto, Caverniaco e Campo Castellofino alle porte di Mestre.
Pure la Nobiltà Torcellana possedeva una valenza e un peso notevole … quasi quanto quello che andò assumendo il Patriziato Veneziano della Serenissima. Solo che a Torcello bastavano soltanto 100 zecchini per potersi iscrivere al titolo nobiliare (che non erano pochi).
Nel settembre 1204 Marco Viaturi di Torcello faceva quietanza a Costantinopoli per 4 perperi d’oro dovutogli da Giovanni Querini da Torcello esecutore testamentario del defunto Domenico Viaturi da Torcello… Qualche anno dopo, nel 1228, e sempre a Torcello, davanti a Johannes Prete e Canonico Torcellano, l’altrettanto Torcellano Nicolò Marin faceva pure lui quietanza alla moglie Donata della dote di 20 Denari Veneti e della “… arcellam nuptialem cum sua capsella et rebus intro positis” che valeva altre 50 lire … Nel 1233 Mariotta vedova di Giovanni Bianco da Torcello vendeva a Pellegrino “pilipario” di Torcelloper lire 55 di Denari Veneti davanti a Domenico Natalis Notaio, Prete e Primicerio Torcellano, la metà di una terra con casa lignea sita in Torcello confinante col Rio Maggiore, la Palude di San Giovanni Evangelista di Torcello, la terra di Sant’Andrea di Torcello, e i possedimenti di Leonardo Gumbo … L’anno seguente davanti allo stesso Prete-Notaio: Gisla vedova di Pietro di Malvarnido di Torcellofece testamento nominando esecutore sua figlia Agnese moglie di Pietro Zane, e dando somme di denaro ad Agnese e Filosa altre sue figlia, oltre che alle chiese di Santa Fosca e Santa Maria di Torcello.
Sotto ai portici del chiesone e dei palazzi di Torcello, come si legge negli antichi regesti e documenti, accadeva tutto un sovrapporsi di attività e d’intensi scambi. Sotto alle pergole frondose delle case, sotto alle gallerie fiorite degli orti, e magari davanti a un “bòn gòto de vin” Torcello viveva, e mercanti, uomini d’affari, artigiani e Nobili Torcellani organizzavano e mettevano insieme spedizioni che sapevano attraversare l’intero Mediterraneo. A Torcello si vendevano e compravano case, palazzi e terreni, e si spartivano le acque piscatorie da navigare, pescare, o sui cui cacciare e primeggiare, o dove rincorrersi e superarsi premendo sui remi. In quei momenti lontani si vergavano e scrivevano documenti giunti fino a noi di oggi, magari solo segnandoli con una semplice croce, che aveva però il senso e il valore del sangue. Era per davvero un po’ “caput mundi” la Torcello di allora, o perlomeno lo era sopra le sue Lagune.
E ancora … Nel novembre 1240 a Rialto: Martinofratello del quondam Pietro Masentani già da Burano, abitante ora in Contrada di San Simòn Profeta a Venezia, fratello di quondam Tommasinavedova di Foscari Altifrando da Torcello, fece quietanza a Filippa Masentani sua madre della dote della detta sorella. L’executore del Doge Giacomo Tiepolo assegnò a Tommasina lire 170 di Denari Veneti dei beni del marito per il recupero della sua dote, e investì Martino Masentani di terre poste a Torcello già appartenenti a Dalmatina moglie di Grifo Altifrando da Torcello… Nel 1248 si andò a Torcello per rifugiarsi e scappare dalla Peste che affliggeva Venezia … così come nel 1268, su ordine del Podestà, i Torcellani e gli uomini delle isole si recarono con barche a Venezia per salutare e festeggiare il nuovo Doge Lorenzo Tiepolo.
Frugando ancora nelle carte all’indietro, era “appena” settembre 1196 a Torcello, quando Maria Waldo da Torcellodonava ad Amabile Badessa di San Giovanni Evangelista di Torcello una terra in località Zampenigo… e nella primavera di tre anni dopo, Giovanni Pitulo Torcellano traslocato a Chioggia Maggiore, dovette consegnare una terra e una casa a Torcello alla stessa Badessa Amabile perché non le aveva saldato a tempo un debito … Nello stesso anno Maria Mudacio e Maria Greco, Monache nello stesso San Giovanni Torcellano, dichiararono che la vedova Albacara Antiqui donava tutti i suoi beni allo stesso Monastero pur di potervi entrare come Monaca … Nel primo anno del 1200, i Nobili Querini dal Confinio di San Polo e i Nobili Barozzi dal Confinio di San Moisè donarono alla temibile e determinatissima Amabile Keulo Badessa di San Giovanni Evangelista di Torcello(sempre lei !), la metà delle loro terre, ossia sette terreni siti in Trentino a Sacchetto di Vallonga in località: Ronco di Dentro, Albarellis, Salgario Gumbo, Montiano, Campo Antolino e Casale … Frà Martino, l’anno seguente,avendo ricevuto dalla stessa Badessa Keulo una vigna in Canzano, si obbligò a pagarle due anfore di vino annue … mentre un anno dopo ancora, i Torcellani Prè Damiano, Pietro Longo e Marco Scandolario vennero nominati arbitri in una lite per due terre fra la solita Badessa Keulo di San Giovannie la "massara" Deodata residente a San Pietro di Casacalba. Alla fine una delle terre venne assegnata al monastero di San Giovanni, mentre l'altra venne concessa alla Massara Deodata… che bontà sua, si risolse lo stesso a donarla all’inossidabile Badessa Keulo già impegnata a contrattare e permutare altre terre Torcellane con Lorenzo Abate di San Tomà di Torcello.
In un modo o nell’altro insomma, la Badessa Keulo l’aveva vinta sempre lei.
Nel maggio 1205, invece, mentre a Capodistria Benedetto genero di Rado con la moglie Cauriscanasi obbligavano a pagare un canone annuale di 16 orne di vino e 1/2 sesterio di noci al Monastero di San Giovanni di Torcello, presente nella figura del suo Procuratore Angelo Mudacio da Mazzorbo, che aveva loro concosse in gestione alcune terre e la chiesa di San Fabiano "de capite Pontis" in Capodistria; la solita Badessa Amabile Keulo stava “spremendo” una casa in pietra sita in Torcello presso il Rio Maggiore, la palude, la proprietà di Andrea Donà e degli eredi Trecento, a Pietro Prete recluso di San Pietro di Casacalba che aveva contratto in precedenza un debito di 100 lire di Denari Veneti con Burano da Burano senza provvedere per tempo ad assolverlo.
Tremenda quella donnetta ! … Me la immagino la Badessa Keulo, un peperino nervoso di Monaca, sempre con la bocca “pontàda” e gli occhi vispi fissi addosso, secca “incandìa”, impettita dentro alla sua palandrana e il velo scuri, e sempre pronta a contarti in tasca fino all’ultimo centesimo, mai disposta a farti credito o concederti dilazioni e qualche clemenza.
A Torcello, insomma, accadeva tutto un ambaradàn e un intenso sovrapporsi d’affari e vicende di cui quel che vi ho accennato è solo un pallidissimo riflesso.
Voglio pensare e immaginare però, che a un certo punto di quella lunga e complessa Storia, diciamo in un giorno del 1420-1430 circa, si rovesciassero ancora una volta le campane dentro alla tozza torre campanaria di Santa Maria Madre di Dio di Torcelloscampanando a festa. Stava tornando in visita ancora una volta il Vescovo di Torcello(il primo Patriarca di Venezia sarebbe stato nominato solo del 1451) per supervisionare e “pascere” le sue Lagune.
“In nome di nostro Signore Gesù Cristo, durante l’impero del nostro signore Eraclio sempre Augusto, nell’anno ventinovesimo, indizione tredicesima, è stata edificata questa chiesa di Santa Maria Madre di Dio, secondo le disposizioni ricevute dal Pio quanto Devoto Signore nostro il Patrizio Isacco Eccellentissimo Esarca, e per volontà di Dio, dedicata per i suoi meriti e del suo esercito.”recita la vecchia iscrizione della Cattedrale (buona o no che sia). Quel chiesone Lagunare era un po’ il cuore di quella parte della Laguna Veneziana.
Vista perciò l’importanza di quella ricorrenza, correvano tutti in massa a raccolta per stringersi intorno al loro Ecclesiastico Signore, più che vero e proprio Pastore spirituale. Chiudevano bottega gli Artieri di Torcello andando ad appararsi da Schole, usciva dall’osteria dell’isola l’Oste togliendosi di torno la sudicia “traversa”, i Barcaroli ormeggiavano stretta alle rive la loro barca con un gesto sapiente quanto antico, i Mercantiuscivano di casa: uno tastandosi la barba profumata in faccia e la borsa gonfia legata in cintura, un altro lisciandosi l’abito di tessuto prezioso ... Accorreva la gente qualsiasi di Torcello, le belle donne Torcellane lasciando “il mastello” del bucato e la pentola sul fuoco spento; uscivano i Lavoranti dalle vigne e dagli orti sciacquandosi braccia e volto sporco, e deponendo per un attimo la loro inseparabile zappa. I Pescatori deponevano reti e remi frammischiandosi e aggiungendosi scalzi ai tanti che già s’affollavano sulla strada: quel gran chiesone stava calamitando tutti.
Ma era sulle panche delle prime file di Santa Maria che accadevano i sommovimenti e gli arrivi più strani e significativi dell’isola.
Verso quei posti quasi correvano i Borgognoni Cistercensi di San Tomà di Torcello che avevano chiesa e Convento dove forse in un evo andato sorgeva un Tempio pagano dedito a Balenus. Lì da loro forse stava sepolto il passato antico di Torcello … Il Doge Ziani nel 1212 o 1217 aveva sottoscritto davanti a Messer Michiel Bonifacio Piovan di Santa Maria Zobenigo,Nodaro Dogàl, la donazione ai Monaci Borgognoni del Monastero di Gerari nell’isola di Creta o Candia con tutti i suoi possedimenti sparsi nell’intera isola. A quella prima donazione si aggiunsero in seguito diverse donazioni di altri privati di Creta, e dopo la quarta Crociata si aggiunsero altre terre e chiese in Costantinopoli e ancora a Candia, perciò il patrimonio dell’Abazia dei Borgognoni di Torcelloera divenuto davvero considerevole.
I Borgognoni erano uno degli Ordini Monastici pieni di esenzioni e privilegi indicati dal Papa per sostituire il Culto Greco, contribuivano alle spedizioni in Palestina con 2000 marchi d’argento, ma allo stesso tempo venivano tassati di continuo sul loro patrimonio di almeno il 0,6%.
In giro per Torcello si diceva che i Borgognonice l’avevano a morte, quasi odiavano, le Monache di Santa Margherita di Torcelloche stavano accorrendo anch’esse verso la Cattedrale per quell’appuntamento importante col Vescovo. I Monaci non avevano mai digerito la sentenza del 1246 confermata da Gregorio IX e presentata dal Vescovo di Olivolo Pietro Pino, dall’Arcidiacono di Torcello, da Pietro Querini Abate di San Giorgio Maggiore, Tommaso Arimondo Canonico di San Marco subdelegato di Wido Vescovo di Chioggia, e da Pietro Piovano di Lio Piccolo. Agnese Ministra di Santa Margherita di Torcello aveva vinto la causa contro l’Abate di San Tommaso di Torcello, perciò le Monache di Santa Margherita erano libere dalla dipendenza e dal controllo dei Borgognoni, e addirittura s’invitò l’Abate del medesimo a non molestarle più nelle loro proprietà, edifici, vigne e pertinenze ... pena la censura Episcopale e Papale (che non era affatto poco: corrispondeva a una lavata di capo, e a una bella tagliata di gambe quasi sempre irreversibile).
Che poi, non era accaduto che i Monaci avvicendatisi a vivere nel luogo dei Borgognoni Torcellani fossero stati proprio “stinchi di Santo”… Più di qualche volta si erano concesse diverse eccezioni alla Regola e alla loro condotta di stampo monastico. Quando nel 1374, ad esempio, l’Abate di Chiaravalle della Colomba si recò a visitare a sorpresa il Monastero Torcellano, non trovò nessun Monaco presente nel Monastero, tranne un vecchio sacerdote e alcuni fanciulli. I Monaci vennero perciò aspramente richiamati, s’imposero limitazioni alla gestione delle cospicue rendite, e l’applicazione rigida della Disciplina e della Regola. Il Monastero possedeva diversi beni, centinaia di campi nel Padovano, e il suo patrimonio era considerato al dodicesimo posto come importanza fra tutti quelli dei Monasteri Lagunari.
Dieci anni dopo, comunque, non è che le cose andassero meglio dai Borgognoni. Il Papa avocò a se la nomina dell’Abate, e fece poi una Commenda del Monastero che diede in gestione al Vescovo di Faenza. Sul posto di Torcello andarono e tornarono i Cistercensi alternandosi con i Carmelitani, e il Senato della Serenissima lasciava fare, confermando gli eventi come fosse distratto … Lasciò fare anche quando alla morte dell’Abate Giovanni de Cappellini venne eletto dal Capitolo dei Monaci: Giacomo Girardi. I Nobili Trevisan di Venezia pretendevano un antico juspatronato sui beni del Monastero con diritto anche all’elezione dell’Abate. I Monaci si opposero, i Nobili Trevisan “contrattaccarono”... ne sortirono liti e parapiglia, nonché i soliti processi, finchè il Senato di Venezia disse basta, e impose la nomina come Abate di Pietro Spirito Canonico di San Marco, che venne subito confermata dal Papa in persona. I Trevisan masticarono amaro, ma tornarono alla carica nel 1341 ottenendo la nomina di un “Abate di famiglia”, ossia: Giacomo Castinta già Priore di San Clemente in isola ... E la Storia andò avanti così, fra conferme e disdette Papali e Dogali, e in un turbinio di nomine, rifiuti, dichiarazioni di nullità e contronomine che si protrassero per secoli.
Quell’anno nel chiesone di Santa Maria rimase, invece, vuoto il seggiolone, “il caregòn”, riservato all’austero Priore dei Monaci Cluniacensi del Monastero dei Santi Biasio e Catoldo(verrà soppresso e passato in Commenda nel 1432 alla morte dello stesso ultimo Priore). Ancora nel 1455 Donà da Casal Maciego dichiarava di lavorare 125 campi di cui 17 boschivi sparsi in 3 località diverse. Di tutti: 36 erano suoi, 7 appartenevano, invece, alla moglie che li dava in affitto, 66 erano di proprietà di San Giovanni del Tempio di Venezia, altri 16 campi appartenevano a un Frate Minore di Maciego, mentre la rimanenza dei campi apparteneva ancora alle rendite del Monastero di San Cataldo di Torcello… e di chi ancora ne gestiva le sorti patrimoniali lungo il tempo.
S’affrettavano ancora verso la grande Cattedrale, a piedi lungo i polverosi e a volte fangosi sentierucoli dell’isola di Torcello, le Monache Benedettine di quel Monastero di San Giovanni Evangelista di Torcello di cui vi dicevo prima, quello della pestifera Badessa Keulo. Si diceva fosse il Monastero forse più antico dell’intera Laguna Veneziana ... o forse Torcellana.
Nel 1343 il Monastero aveva preso fuoco, ed era andato distrutto forse per la sbadatezza di una vecchia Monaca che aveva preso sonno col lume in mano. Non ci aveva però messo molto a rinascere il Monastero, ed era stato ricostruito più grande e maestoso di prima, tanto che addirittura in esso si ospitava un opificio dell’Arte della Lana. Nel secolo seguente il Monastero ospitava donne illustri della Nobiltà Veneziana come: Diedo, Contarini, Foscarini, Marcello e Morosini, e si trovava al primo posto per importanza per proprietà e rendite fra quelli Lagunari in quanto possedeva centinaia di campi di bosco a Musestre e Meolonella così detta Zosagna di Sotto del Trevigiano, e quasi un migliaio di campi nel Padovano.
Qualche anno dopo, le stesse Monache del San Giovanni di Torcello, come andava di moda, si rilassarono nell’osservanza della Regola e rispettavano pochissimo i tradizionali costumi claustrali: assomigliavano pochissimo allo scopo che dovevano avere le Monache. Il Vescovo Torcellano Girolamo Porzia si arrabbiò non poco, e fu costretto a mandare quattro Monache Osservanti dal Monastero di Santa Caterina di Mazzorbo per provare a riformare quello Torcellano di San Giovanni afflitto da pesanti disordini.
Qualche anno dopo ancora, vennero eseguiti alcuni lavori di ripristino di San Giovanni utilizzando materiale abbandonato e dismesso dell’isola di Costanziaco ... Comunque nel pomeriggio di quel giorno, bene o male, le Monache di San Giovanni erano pure loro presenti nella maestosa Cattedrale, in attesa della comparsa dell’illustre Prelato: Autorità e Superiore di tutti.
Al risuonar del “sonèllo” dentro al campanile, che indicava l’imminenza dell’inizio della cerimonia, allungarono il passo calpestando il lungo ponte cigolante in direzione dello scampanio anche le Monache Benedettine di Sant’Antonio Abate ed Eremita di Torcello che sorgeva dall’altra parte dell’isola.
Nell’agosto 1359 il Monastero di Sant’Antonio non era stato a meno dei suoi vicini circa le cronache e le novità. Il Nobile Leonardo Balduin era stato condannato a un anno di carcere per una lunga relazione, cominciata 16 anni prima, con la Nobile Monaca Beatrice Falier residente appunto nel Sant’Antonio di Torcello. Da quella relazione era nata perfino una bambina, e si era dovuto intervenire perchè il Nobile Balduin intendeva far fuggire la Monaca dal Monastero per portarla a vivere insieme a lui fingendola sua schiava.
Fra l’altro c’era di mezzo anche la consistente dote che la Nobile famiglia Falier avevano versato e investito al Monastero di Sant’Antonio … e se c’erano denari di mezzo … era necessario di certo mettere a posto e sistemare ogni cosa. Ad accrescere non poco la condizione economica già considerevole del Monastero abitato da otto donne-Monache tutte Nobili, s’aggiunsero in seguito alcune Monache provenienti dal Santi Filippo e Giacomo di Ammiana, e poi quelle del Santi Giovanni e Paolo di Costanziaco: entrambi Monasteri ridotti piuttosto male a causa di un’alluvione, e “mangiati stabilmente” dalle acque alte della marea lagunare. Vennero quindi abbandonati a se stessi, e le Monache andarono ad ingrossare le fila e il patrimonio del Monastero di Sant’Antonio Torcello, che giunse perfino a far prestiti alla Serenissima in occasione della Guerra di Chioggia contro i Genovesi.
Nel giugno 1430, nel Sant’Antonio si fece spazio anche per la Badessa rimasta sola nel Santi Marco e Cristina di Ammiana. Si trattava della Nobile Filippa Codulmer, che portò con se le Reliquie del Corpo di Santa Cristina insieme a una rendita di 125 ducati anni, ma venne ugualmente accettata come Monaca Semplice. La Badessa di Sant’Antonio, invece, da quel giorno sfoggiò entrambi i titoli di Sant’Antonio e Santa Cristina ... Verso metà secolo Sant’Antonio di Torcello possedeva alcuni boschi nella zona di Terzo d’Altino, e Bortolo quondam Stefano da Casale dichiarava di lavorare 59 campi affittati, dei quali solo due di terra arativa piantata gli appartenevano con altri 15 di bosco, mentre gli altri 42 appartenevano all’Ospedale dei Santi Pietro e Paolo di Castello, all’Abate dei Santi Filippo e Giacomo di Venezia, e soprattutto alle Monache di Sant’Antonio e Cristina di Torcello ... Qualche anno dopo la Badessa di Sant’Antonio Abate citò in giudizio davanti al Podestà di Torcello e al Nobile Giudice Cesare Malipiero uno dei suoi affittuari: il Cittadino Veneziano Gaspare Saraton. Costui gestiva le due isole di San Marco e Santi Apostoli di Ammianasaccheggiandole impunemente di pietre, mattoni e decorazioni che inviava a Venezia traendole dai dormitori, dai campanili, dai muri e dalle rive che lasciava andare sempre più in rovina.
Il contenzioso si concluse offrendo sedici ducati come rimborso con soddisfazione della Badessa … e il Saratonpotè così continuare indisturbato il suo saccheggio.
Sulla stessa strada verso il chiesone di Torcello, a pochi passi dalle Benedettine di Sant’Antonio, procedevano di fretta pure le Cistercensi di Santa Margherita, che però erano pure loro Benedettine d’ispirazione, ed avevano chiesa e Monastero pieni d’Indulgenze ed elemosine. Erano sbucate sulla strada per la Cattedrale e il centro dell’isola sgusciando fuori e tagliando via per le “scavèsse”delle vigne e degli orti che cingevano ampiamente il loro Monastero ... che però inizialmente non era stato proprio ricchissimo. Il Santa Margherita nel 1300 s’era dovuto piegare a chiedere contributi, grazie e aiuti allo Stato Serenissimo per rimediare agli ingenti danni che aveva provocato “l’acqua magna … qua ruit propter malus tempus” erodendo le mura, le fondamenta, e perfino i dormitori del Monastero.
Poi piano piano il Monastero s’era rimesso e risollevato, e ora ospitava una quindicina di figlie della miglior Aristocrazia Veneziana: Boldù, Valier, Foscari e Dandolo soprattutto.
A metà secolo il Santa Margherita insieme a San Cipriano di Murano, a San Marco, all’Ospedale della Misericordia, a Santa Maria dei Crociferi, alla Mansione del Tempio e a San Nicolò della Cavana di Mazzorboera fra gli enti Veneziani che gestivano lo sfruttamento della legna dei boschi della Vicineza: una pezza di terra di 184 campi boschivi di cui il maggiore fruitore era l’Abbazia di Santa Maria di Mogliano... A fine secolo, invece, il Santa Margheritadi Torcello ebbe una flessione di presenze: le Monache s’erano ridotte a otto, perciò si pensò bene di far spazio ad ospitare con relativo patrimonio e rendite le ultime Suore rimaste nell’isola di San Giacomo in Paludoprossimo a Murano. Non erano comunque felicissime del loro stato le Monache del Santa Margherita, e più volte avevano già presentato suppliche alla Serenissima e al Vescovo di Torcello per potersi trasferite a Venezia presso Santo Stefano.
Non veniva però loro mai concesso … Perciò quel pomeriggio si recavano di malavoglia e imbronciate a quell’appuntamento a cui non potevano in ogni caso mancare ... almeno per diplomatica presenza.
Anche se fra tutti abitavano più vicine al possente chiesone di Torcello che si stagliava solenne sopra alle Lagune, giunsero trafelate e quasi all’ultimo momento le Monache di San Michele Arcangelo di Zampenigodetto delle Campanelle per via di certe campanelle “argentine” che suonavano, che sembravano quasi delle pentolacce.
Era un Monastero un po’ strampalato quello di Sant’Angelo di Torcello, o perlomeno coinvolto in vicende ambigue e insolite. Si trovava talmente in crisi economica e spiantato che gli isolani si permettevano di entravi a piacimento per derubarlo di qualsiasi cosa avessero voglia di prendere. Dovette intervenire perfino d’autorità il Podestà di Torcello in persona per ordinare a tutti i Torcellani che s’erano portati a casa oggetti del Monastero di restituirli nel più breve tempo possibile portandoli nel cortile del suo Palazzo Podestarile.
Qualche anno dopo, la Quarantia Criminaldella Serenissima condannò il Nobile Francesco Mudazio in contumacia“al bando da Venezia e Dominio sotto pena di morte”. Era entrato con un servitore nella camera della Badessa del Sant’Angelo delle Campanelleche dormiva insieme con una Suora sedicenne di nome Faustina. Il servitore aveva tenuto a bada la Badessa con un coltello mentre il Nobile Padrone aveva violentato la fanciulla …. A inizio del secolo seguente, invece, Maria Zumani Badessa di Sant’Adriano o Sant’Ariàn dei Morti di Costanziaco ottenne il permesso dal Capitolo delle povere Monache del Monastero delle Campanelle di trasferirsi presso di loro lasciando le Monache di Costanziaco senza superiora fino alla loro definitiva scomparsa e soppressione accaduto nel gennaio 1439 e decretata dal Vescovo di Torcello Filippo. Le Monache delle Campanelle di Zampenigoerano rimaste solo con 20 fiorini d’oro annui di rendita, mentre le Monache del Sant’Arian fra gli altri beni portarono con se la proprietà di una casa con terreno posta in Lio Minor confinante con altri beni dei Canonici di Torcello, e rimpinguarono le risorse delle Campanelle aggiungendovi un patrimonio di 600 fiorini d’oro annui.
Nelle acque dei canali limitrofi a Torcello, stavano accorrendo spingendo di gran lena sui remi per non ritardare a quell’appuntamento così sentito: pure i vicini, ossia i rappresentanti dei Monasteri, delle Pievanie e delle isole circumvicine. Ciascuno di loro si sarebbe accomodato solenne e impettito sul proprio scanno, o più semplicemente nelle prime file di panche di Santa Maria.
C’erano in arrivo le arruffate Monache Benedettine di Sant’Angelo dei Nani che abitavano “… nella scomenzèra del Ramo de Gagiàn”, quasi in Laguna aperta e sull’acqua Pubblica del Fondazzo, in una tumba o isoletta detta Ambrosia presso un luogo chiamato Amiani presso il Canal Costanziaco. Erano anch’esse ormai prossime alla fine e soppressione del loro istituto (1438) ... Si vociferava, infatti, che Papa Eugenio IV volesse unificarle con quelle di Sant’Eufemia di Mazzorbo.
A tempo debito la ventina di Monache di Sant’Anzolo era stato uno dei nomi più illustri di quell’angolo di Laguna Torcellana e Veneziana. Nel 1195 col consenso del Vescovo di Torcello Leonardo Donà e della vicina Piovania-Monastero di San Lorenzo di Ammiana ai quali Sant’Angelo versava una decima “pro Martiatico” e 10 libbre di olio il giorno della Festa di San Lorenzo, si era costruito un nuovo Monastero-Cappella che venne beneficiato perfino dal Doge Pietro Ziani nel 1228. Dopo di lui accadde tutto un susseguirsi di volontà testamentarie che arricchirono il Monastero: Isabetta moglie di Marchesino da Mugla, Maria vedova di Giacomo Gradenigo, Miglano de Remondino da Verona, Zorzi Marsilio ... e poi tutti gli altri.
Gli Ammianesi versavano 24 solidi alle Mùneghe de Sant’Anzolo per poter pescare nelle acque del “Sukaleo”, e nella palude del “Traglum” che appartenevano al Monastero … Sofia figlia quondam Odolrico da Sant'Elena sopra il Sile(paesetto che pagava come decima annuale a San Cipriano di Murano: mezzo staio di sorgo, mezzo staio di fava), entrò nel 1253 come Monaca in Sant'Angelo di Ammiana facendo la professione di fede. In quell’occasione donò tutti i suoi beni al Monastero nella figura della sua Badessa Maria, eccetto una decima parte che legò a sua zia materna Margherita “vita natural durante”, con la clausola che alla morte anche quei beni venissero fatti pervenire allo stesso monastero … Domenico Venier da Caorle, invece, donò a sua figlia Angelera Monaca a Sant'Anzolo d’Aymano o Ammiana, la metà di una casa in pietra sita a Caorle in località Londo ricevendo in cambio a mutuo gratuito da Filippa Badessa di Sant'Anzolo: lire 40 di Denari Veneziani che s’obbligava a restituire in rate annuali pagabili in prossima della Festa di San Michele di settembre … mentre le stesse Monache s’erano comprate a Padova tramite i loro Procuratori Enrico Morosini e Almerico de' Tadi da Ottolino Sarto figlio quondam Anselmo ugualmente Sarto, 44 campi di terra siti presso Vallonga e Melàra, e altra terra nei pressi di Piove di Sacco, due terre con edifici site presso San Siro, di cui l'una con casa in località Albareda, locate in seguito per anni 12 ad Aldegerio quondam Bennato per annui 7 moggi di grano, un centenario di lino gramolato ed altri generi.
Le stesse Monache di Sant’Anzolo acquisirono anche due terre alla Mandria di Padova, e quattro terre a Cidrago "Supra Rivum"delle quali: due mansi costituiti da un sedime con casa coperta di coppi, e un’altra pezza di terra in località Campo Musari, che venne locata per tre anni a Giovanni Longo, già da Barbano, per annui soldi 40 di Denari Veneziani e la metà dei frutti ed altri generi: sei moggi di grano, 15 staia di fava, 15 staia di legumi, 4 staia di miglio e 4 moggi di sorgo ... e in quell’occasione si aggiunse la clausola che il canone da pagare veniva sospeso: "si aliqua guerra oriretur in Paduano districtu vel inter Paduam et Vicentiam"… Nel gennaio 1294 ancora, Bartolomeo detto Negrofigli del quondam Martino da Mandria abitante a Padova, riconsegnava una terra sita in località Cirnigo a Palmiera moglie di Antonio figlio di Zilio, figlio quondam Giovanni, che abitava "in campanea Paduana nelle case di Sant'Angelo di Ammiana lungo la via da Abano a Padova”.
Tutto d’un pezzo, quasi stucchevole, se ne stava già da un bel pezzo nel chiesone in piedi, il Priore dell’Ordine dei Canonici Regolari Agostiniani di Sant’Andrea Imani e San Jacopo di Ammianella giunto in cattedrale fin dall’inizio del pomeriggio. Era l’ultimo Priore rimasto, l’estremo nome della lista dei titolari dell’isola di Ammianellacol suo Nobile Conventino che dipendeva dalla matrice San Lorenzo alla quale pagava annuo censo di 1 libbra d’olio. L’isoletta era collegata adAmmiana da un esile ponticello, e andava fiera per le sei colonne di raro marmo rosa in essa esistenti, tanto che era stata promulgata un’apposita legge nel 1329 che ne impediva l’asportazione. Dai Santi Andrea e Jacopo Imanidipendeva anche un’altra isoletta formata da due paludi con chiesetta col titolo di Sant’Eufemia posta a poca distanza da San Nicolò del Lido e San Pietro di Castello (la futura Sant’Andrea della Certosa), e sempre lo stesso Priore di Sant’Andrea gestiva le acque pescose di Sant’Arian che dava in concessione per 550 cefali da corrispondere ogni anno nella Festa autunnale di San Michele … Dopo vicende economiche alterne, nei tempi del suo massimo splendore l’isoletta di Sant’Andrè Imani ospitava più di 70 Canonici Regolari, aveva rendite e possedimenti a San Nicolò del Lido, fra Padova, Treviso, Concordia, Aquileia, Cenedese e fino in Istria, e possedeva anche l’isoletta della Granza ubicata tra Sile e Siletto: un territorio arativo-prativo, in parte coltivato e in parte incolto e boschivo con una casa e certe teze di legno affittato a livello ai Nobili Loredan, e dipendente dalla Diocesi di Treviso (Quando nel 1485 gli Avogadori da Comun condannarono Lorenzo Loredan per aver derubato la Cassa dell’Ufficio delle Cazude, l’isola de La Granza sul Sile venne messa all’asta e assegnata a Nicolò Morosini per 4.200 ducati).
Erano passati i bei tempi quando davanti al Notaio Matteo de Crescencio Piovano di Santa Sofia, Cristiano Abate di San Tomà di Torcello e Frate Michele Soranzo Priore di Sant’Andrea di Ammiana, locavano dopo una lunga lite fra loro ad Agnese Badessa di Santa Margherita di Torcello un orto confinante con la Pubblica via, il Rio Comune e il Monastero per lire 11 di Denari Veneti annui … Avevano ottenuto quel posto come lascito testamentario da Palma vedova di Marco Cappelloabitante prima nella Contrada di Santa Maria Materdomini a Venezia, e poi a Torcello nel Confinio di Sant’Andrea.
Adesso, invece, il Monastero era rimasto senza abitanti, rovinoso e in procinto di “chiudere bottega”(soppressione del 1436). Lorenzo Giustiniani Vescovo di Olivolo aveva già espresso l’opinione di unire le rimanenti rendite del Monastero con quello neonato di San Girolamo di Venezia che era stato da poco devastato da un incendio … e pure il Senato e i Procuratori di San Marco parlavano di trasportare i materiali della chiesa per impiegarli nella Basilica di San Marco a Venezia… (Alla morte dell’ultimo vetusto Priore nel 1440, infatti, Ammianella venne abbandonata del tutto e per sempre, e lo stesso Vescovo di Torcello organizzò un traffico vendendo le colonne e le campane delle chiese di Ammiana e Ammianella).
Qualche metro più in là dentro allo stesso chiesone: vanagloriosa, quasi una statua del passato, pareva la Badessa di San Lorenzo di Ammiana… Una mummia, una cariatide adatta alle risate e alle canzonature dei ragazzini di Torcello. La Badessa di San Lorenzo era tenuta ad ospitare in diverse occasioni il Vescovo di Torcello con i suoi Canonici che l’avevano scelta e nominata, dando vita a un continuo giochetto di aspettative, precedenze, concessioni, accompagnamenti e pertinenze ... e gran “garanghèlli”.
A San Lorenzo nell’isola di Castrazio le Monache Benedettine abitavano praticamente da sempre, dal 1000 o forse da prima … La Pievania di San Lorenzo mai divenuta però Arcipretale, era divenuta poi Monastero fra i più ricchi di proprietà, diritti di Decima e vari altri annessi. Dipendevano da lei le Capellanie e i Monasteri dei Santi Apostoli, Sant’Angelo, San Marco e Sant’Andrea di Ammiana, e pure le chiesette dei Santi Massimo e Marcelliano e dei Santi Sergio e Bacco di Costanziaco(già diroccata e col solo campanile già nell’agosto 1279 la prima (?), e in gravi condizioni nel 1271 la seconda).
Fin dal 1125 San Lorenzo di Ammiana possedeva beni a Lio Piccolo e Lio Maggiore in località Perettoloereditati da Domenico Lovardo e da Giacomo Nani entrambi di Lio Maggiore. Per diverse vie giuridiche San Lorenzo venne a possedere terre e vigne, valli, barene, e specchi d’acqua come: “Pantano, Fondazzo, Traglo e il Sucaleo prossime al Scanello” per le quali percepiva censo annuale anche di 700 cefali ciascuna. La Badessa Hengelmote, altra “donna di ferro”, liberò del tutto la proprietà di tutte quelle acque a Lio Maggiore occupate abusivamente dai pescatori in cambio di un censo di pochi pesci offerti al predecessore il Piovano Marco Greco. Chi voleva pescare e utilizzare le acque delle Monache di San Lorenzo doveva pagare per davvero, non fingere di farlo dando solo un obolo.
Alle Monache di San Lorenzo che avevano protestato a lungo coi Magistrati del Piovego per i sconfinamenti continui degli abusivi nelle acque di loro proprietà, fu finalmente concesso di porre una “conterminazione di palade” per segnarne i confini. San Lorenzo possedeva praticamente tutte le acque peschive di Ammiana eccetto il Fondazzo e il Rio Lovardo … Furono ancora alcune Monache partite da San Lorenzo di Ammiana, guidate dalla Monaca Scorpioni, a fondare il nuovo complesso Ospedaliero e il Convento di Santa Marta di Venezia.
Ovviamente tutta quella presenza patrimoniale diete vita a innumerevoli liti e cause giudiziarie, come quella, ad esempio, accaduta circa i beni del Lido Bovense e Lido Bianco fra Leonardo Abate dei Santi Felice e Fortunato ed Engelmota Badessa di San Lorenzo… Ancora da lei Pietro Ziani Conte di Arbe, uno dei Mercanti più abili e attivi nel Mediterraneo, acquistò dalla stessa Badessa Hengelmota tutti i beni del Monastero posti in Laguna, e glieli donò l’anno successivo divenendo mecenate, Avvocato e protettore del San Lorenzo come lo era già anche del prestigiosissimo San Giorgio Maggiore di Venezia anch’esso Benedettino ... In seguito San Lorenzo di Ammiana recepì un rilevante patrimonio immobiliare di Terraferma: a Povegliano, Casier, Piove di Sacco con numerose esenzioni da gravezze.
Pure sul San Lorenzo pesava imminente la decisione del Vescovo Giustiniani di Castello e del Vescovo Paruta di Torcello. Era già progettata l’aggregazione, beni compresi, con le Agostiniane di Santa Maria degli Angeli di Murano ... Dell’isola non sarebbe rimasto più nulla, sarebbe stata abbandonata e lasciata andare in rovina come l’aspetto che esternava la sua decadente Badessa.
Nella seconda fila delle panche del chiesone preso d’infilata dalla luce dorata del tramonto che incendiava i mosaici, sedeva anche l’ultima Monaca reduce di Santa Maria Maddalena di Gaiàtao Gajàdache sorgeva vicino a Lio Piccolo. Ormai da qualche anno le rendite del suo vetusto Monastero erano già passate al Monastero di Santa Caterina di Mazzorbo bisognoso di finanziamenti, e il luogo del vecchio Monastero risultava abbandonato e distrutto in quanto il Senato aveva concesso al Vescovo di Torcello di livellarlo per poter provvedere meglio a mantenere la chiesa e i lidi vicini. Santa Maddalena della Gaiada sorgeva sopra un’emersione della Laguna accanto a un canale, e quindi al riparo dagli impaludamenti che avevano interessato il resto della Laguna.
La sua ultima Monaca se ne stava in attesa della solenne funzione religiosa pensando con nostalgia a quando con le sue consorelle Monache occupava ben tre file delle panche di quella stessa chiesa. Tributaria di San Lorenzo col quale era legata da un intenso rapporto di odio e amore, il Monastero de la Gaiàda aveva vissuto per secoli come tutti gli altri enti religiosi vicini usufruendo dei tanti lasciti testamentari e delle donazioni dei fedeli che navigavano e vivevano nelle acque lagunari e portuali di Venezia. C’erano soprattutto certi intrepidi e ricchi Cavalieri diretti o di ritorno dalla Terrasanta che avevano particolarmente a cuore il culto per quella Santa Dama così suggestiva e misteriosa ricordata dai Vangeli. Si vociferava sottovoce che quella Santa Persona fosse stata addirittura “l’amante del Cristo”… Ma quella era un contenuto che era sempre meglio sussurrare sottovoce, perché i tempi stavano ancora una volta diventando difficili e sospettosi ... e a volte poteva bastare anche una sola parola detta male per venire perseguitati e inquisiti malamente.
Le Monache di Costanziaco, comprese quelli dello scomparso San Mauro andavano tradizionalmente ad accomodarsi sui seggioloni e le panche poste dalla parte opposta della navata della stessa grande chiesa Torcellana. Lì un tempo s’accomodavano le rappresentanti delle Benedettine diventate Cistercensi di San Matteo o Maffio di Costanziaco. Quello era un Monastero illustre e antico, se non altro per il patrimonio fondiario che possedeva ai tempi della famosa Badessa Umiltà ... Aveva beni lungo il corso del Sile nella Marca Trevigiana: a Treviso,Casier, Roncade, Casale, Musestre, Quartoe Altino ... La chiesetta dedicata a San Matteo esisteva in Costanziaco già da prima che sorgesse il sontuoso Monastero. Ben presto però s’era dovuto iniziare a svendere quel consistente patrimonio per la difficoltà di riuscire a sopravvivere in quei luoghi lagunari impervi. Si vendette al ricco San Zaccaria di Venezia un terreno sito nell’isola di Sant’Erasmo confinante con le proprietà di San Giorgio Maggiore: quello fu un segnale.
Infatti poco dopo le Monache andarono a vivere in alcune case prese in affitto dal Monastero di San Giovanni Evangelista di Torcello, e poi si avviò la costruzione del nuovo San Maffio trasposto nell’isola di Mazzorbo.
Poco distante dalleMonache Costanziache sedevano gli anacronistici Canonici Bigi o Bisi dell’Ospizio e Convento di San Pieretto di Casacalba che sorgeva in una vasta isola al di là del Rio Maggiore di Torcello. A vederli i Bigi di San Pieretto erano sempre come “un pugno in un occhio”con tutti quei loro rozzi tonaconi, cappuccioni e mantelloni grigi. Avevano sempre un aspetto irsuto e miserioso, spartano e trasandato, come di chi scendeva da qualche spelonca di montagna. In realtà i Bigi di Casacalba sapevano il fatto loro, e in più di un’occasione avevano dimostrato di sapersi difendere dalle pretese d’egemonia e dai soprusi soprattutto della vecchia Badessa Amabile Keulo del Monastero di San Giovanni Evangelista di Torcello ... Una voce forse maligna che girava per Torcello raccontava di come il Priore di San Pieretto fosse in combutta e trattativa col Vescovo di Torcello nel recuperare e commerciare le spoglie e i resti dell’arcipelago di Ammiana e Costanziaco. Si diceva che le pietre usate a Burano per restaurare San Cipriano di Buranofossero state prese, raccolte e vendute a Torcello cogliendole da un gran mucchio raccolto nei pressi del Palazzo del Vescovo. Ma forse queste erano solo maldicenze messe in giro dai soliti male informati di tutto.
Secondo documenti di metà 1400 sembra che il Monastero di San Pieretto sia andato progressivamente e velocemente in rovina. I Canonici Bigi disastrarono le loro economie, e le costruzioni del Convento andarono in rovina: crollò il tetto della chiesa, negli orti caddero e marcirono le capanne dei vignaioli, gli alberi da frutta seccarono perché le radici bevevano acqua salmastra, e i muri di cinta dell’isola vennero progressivamente erosi dalla acqua della Laguna. Sarebbero serviti almeno 100 ducati per riattivare l’isola ... Ma chi li avrebbe potuti tirare fuori ? … Nessuno … La terra incolta passò a far parte più tardi per pochi denari dell’ingente patrimonio dei Canonici di Torcello.
Strani quei due schieramenti di Monaci e Monache da una parte e dall’altra del chiesone Torcellano ! … Sembravano i rappresentanti di due eserciti l’un contro l’altro armato … Infatti il Piovano di San Martino di Burano giunto sul posto non perse l’occasione per rimbeccarsi subito con le Monache Benedettine di Santa Maria e Leonardo della Valverde di Mazzorbo per via del controllo e delle pertinenze di alcune acque da pesca che i parrocchiani pescatori in realtà non smettevano un sol giorno d’invadere impunemente. Per rimostranza le Monache ex Cistercensiquell’anno non avevano partecipato alla tradizionale Processione di San Vito a Burano, e quell’assenza s’era notata non poco nel paesetto coloratissimo. Il Piovano Buranello notandole le apostrofò subito: “Che c’entra la Devozione al buon San Vito con tutte quelle beghe e beghette da Sacrestia che tenete coi pescaòri ? … Avete fatto un torto a tutti i Buranelli devoti !”
Le Monache non si curarono neanche di lui, anzi: si voltarono dall’altra parte della chiesa senza neanche rivolgergli la parola … e tantomeno il saluto.
Ultimissimi, accaldati e affaticati, ma desiderosi di ben presenziare e rendere omaggio, giunsero trafelati e odorosi di sudore per la gran fatica di remare attraversando un lungo tratto di Laguna, i rappresentanti delle terre tributarie e suffraganee della Terraferma e dell’area della gronda lagunare. Ansimava come un mantice il grosso Vicario di San Mauro de le Tre Palade, e assieme a lui comparve pure il polveroso e striminzito Piovano di San Michele del Quarto, che sembrava malnutrito e consumato dalle penitenze e dalle ristrettezze del suo vivere in campagna.
Va detto che il Vescovo e i Canonici di Torcello possedevano fondi in Polesine e beni fin al di là del mare Adriatico: nell’Istria, così come detenevano anche quel lembo di Terraferma su cui affondava le radici delle proprie origini l’emporio Torcellano, ossia le zone agricole lungo il fiume Silee l’antica Via Emilia e Claudia, e le aree semilagunari di Campalto, Tessera, Altino, Trepalade e San Michele del Quarto.
La Diocesi Torcellana era discretamente vasta: annoverava 11 Parrocchie e 30 chiese con vari Monasteri sparsi a Torcello, Mazzorbo, Burano, Murano, Treporti e Cavallino, e arrivava a “governare” fino a Jesolo e Grisolera.
Ma chi ci arrivava fin là ? … Serviva quasi un pellegrinaggio, un viaggio per raggiungere quei luoghi così lontani e impervi, quasi abbandonati da Dio e occupati solo dagli uomini … Anche per quelle parti correva la “Sette Mari”: l’antica via lacustre romana, la mitica via semisommersa dei commercianti e contrabbandieri che correva fra Ravenna e Altino passando anche per Torcello, e giungendo fino ad Aquileia, Grado, Portogruaro e Concordia… e poi chissà dove.
“Guardali ! … Son proprio villici campagnoli quei Preti.” sussurrò una Monaca di Santa Margherita di Torcello a una consorella tutta azzimata e lisciata, e con un ricciolo birbante che le usciva fuori dalla cuffia fin troppo corta.
“Si dice che vivano delle poche offerte della Cassa dei Morti …” bisbigliò l’altra.
“Si vede che sono persone modeste, poco morali, poco zelanti, di poco criterio e negligenti nel compiere i loro doveri … Si dice in giro che s’ubriacano spesso … Che siano insolenti e sboccati … e che se ne stiano a giocare a carte e bere nelle osterie di paese …”
“Di uno di loro si dice che non sappia neanche leggere, né conosca la Dottrina Cristiana, e che ripeta a pappagallo le parole della Messa senza neanche comprenderne il loro significato.”
“Vivono con pochi Franchi di congrua in una casa canonica che è in rovina … Shh ! … Parla sottovoce che ti sentono … Guarda che si stanno avvicinando a noi.”
“Madre de Dio ! … Che strana “sièra” che i ghà !”.
“Avranno solo qualche centinaio di parrocchiani … 5-6 Battesimi l’anno, qualche matrimonio e tre quattro funerali … Non avranno neanche di che pagare un Sacrestano … Sono miserabili che vivono sul bordo delle paludi in zone soggetta a inondazioni e allo straripare del Sile”.
“La figlia del nostro Fattore mi ha raccontato che hanno la chiesa col tetto rotto, indecente per l’esercizio del culto, e che c’è uno schioppo appeso all’Altare della Madonna.”
“Madre de Dio ! … Sarà una zona tutta d’inconfessi, bestemmiadori, e zente separada fra lori e lontani da Dio e dalla Santa Cièsa.”
A dispetto però di quel loro stato dimesso, un po’ bucolico e apparentemente misero, la loro barca era stracolma di cesti di primizie, ortaggi, e “presenti e onoranze” che intendevano offrire al Vescovo e a tutti gli Illustrissimi di quel nobile consesso convenuto nel cuore di Torcello.
Sedevano malvolentieri in disparte e per conto proprio i “Mazzorbesi dalla puzza sotto al naso”, che erano sempre per metà presenti e metà no … Stavano, infatti, in un cantuccio della chiesa le Monache Benedettine delle Sante Eufemia, Dorotea, Tecla ed Erasmachiocciando fra loro. Scrutavano intensamente con gli sguardi tutti coloro che entravano e uscivano dal chiesone, e non mancavano di parlare fitto fitto, criticando e additando quasi con scherno prima questi e dopo quelli che passavano loro accanto. Pure quella sorta di Monache era ben dotata economicamente, perché possedeva diversi immobili in Venezia, consistenti capitali depositati nella Zecca di San Marco, e beni in terreni e campi a Mogliano e Marcòn. Al loro Monastero s’erano aggregate di fatto le ultime tre Monache del Sant’Angelo di Ammiana, e tutte insieme non erano affatto quelle “Sanctae Virgini de Maiorbio” di cui si diceva in giro, perché il Monastero della Santa Femia aveva di recente subito ben dieci processi per canti, balli, cene, fuochi d’artificio e abusi commessi con i Secolari dalle Monache da cui erano nati perfino due bambini.
Però dai … Nonostante tutto quel che si diceva su di loro, se ne stavano anch’esse presenti nella chiesa di Santa Maria per quell’occasione, e sedevano poco distante dalle Monache Cappuccine di Santa Maria delle Grazie, e da quelli di San Michele Arcangelo di Mazzorbo venuti in un’unica barca insieme al Rettore dei Santi Cosma e Damiano di Mazzorbo, che lo era pure della già soppressa chiesetta di San Stefano Protomartire di Mazzorbo. Assenti ingiustificati erano, invece, sia le Monache del Santa Caterina di Mazzorbo di certo alle prese con i loro pressanti affari. Di recente avevano integrato le loro rendite con le affittanze di centinaia di campi di bosco a Musestre e Mèolonella così detta Zosagna di Sotto nel Trevigiano, a Col di Mezzo ossia Tre Palade, e con le risorse lasciate dal completo abbandono di Santa Maria della Gaiata che erano state loro intestate dal Vescovo di Torcello Filippo Paruta insieme alle scarse rendite di San Nicolò della Cavana. Avrebbero dovuto ben presenziare a quel raduno celebrativo nella Cattedrale, se non altro per dimostrare la loro riconoscenza … Invece se ne stavano di certo in giro per la Terraferma a controllare, contrattare e amministrare in compagnia dei loro numerosi Fattori … “Prima il dovere e dopo il piacere”, aveva risposto la pingue Badessa declinando l’invito del Vescovo.
Nonostante tutto ciò il suo Monastero non navigava affatto in buone acque, tanto che di dovette perfino sollevarlo dal pagare Decime e canoni economici sia alla Chiesa che alla Serenissima. Era un peccato, perché ospitava fra le sue Monache oltre alla Nobile Badessa Franceschina Polo anche diversi nomi altisonanti della Nobiltà Veneziana che contava: Giustinian, Contarini, De Tomnasi, Valier, Celsi, Foscarini e Da Lezzeper citarne alcuni.
Mancavano inoltre nel chiesone ormai pieno di gente, anche quelli di San Pietro di Mazzorbo forse perché vergognosi di quanto in quei giorni era sulla bocca di tutti. S’era scoperto che avevano fatto scomparire il denaro Pubblico offerto per restaurare il campanile cadente della chiesa, e i fondi erano scomparsi prima ancora di allestire il cantiere.
Nelle seconde e terze file della grande aula ecclesiastica se ne stavano ancora l’uno accanto all’altro quelli e quelle della vicina isola di Burano che parevano tutti fratelli e sorelle. Erano accorsi fra i primi con grande anticipo, sempre entusiasti di presenziare e partecipare. C’erano le Monache di San Mauro e quelle di San Vito, mentre erano ovviamente assenti quelle delle Cappuccine per via della loro vita di stretta clausura piuttosto ritirata … Non mancava, invece, il chiassoso e rubicondo Piovano di San Martino che s’era presentato insieme a una nutritissima compagnia di barche piene di Buranelliche da soli riempivano quasi ogni spazio di quel che rimaneva della chiesa. Sorridenti e devotissimi stavano pressati l’uno accanto all’altro, e non c’era musica, canto o orazione alle quali non partecipassero pieni di grande entusiasmo, sempre felici di omaggiare “il Pastore di tutti”.
“Viva il Vescovo ! … Viva ! Viva !”non mancarono di gridare applaudendo impunemente quando quello comparve ieratico e pomposo sulla porta principale della Basilica Torcellana. Il gesto scomposto non mancò di suscitare il disappunto indignato di molte di quelle figure allineate sulle prime file della chiesa.
“Devono sempre mettersi in mostra e farsi vedere per quel che sono quelli di Burano.”mormorò stizzita la Badessa di San Antonio Abate di Torcello che tirò su col naso, e si portò subito un fazzoletto ricamato e profumatissimo davanti alla faccia.
“Pezzenti ! … Pescaòri morti di fame …” le sussurrò pianissimo accanto piegando la testa verso di lei, la consorella Badessa delle Campanelle, che “una tantum” le andava di sparlare delle altre.
“Non c’è nessuno da Murano stassera ?” aggiunse guardandosi intorno rammaricata fingendo stupore.
“Ah ! … Quello è un altro mondo al di là delle acque … Si sentono più affini a Venezia che alle isole … Quelli trattano e partecipano direttamente alle “cose grandi” della Serenissima, sono poco propensi a ossequiare il Vescovo di Torcello e noi poveri isolani Lagunari ... Ci considerano “servette”.
Infine, in un angolo in piedi, silenzioso accanto a una colonna e con un cappellaccio nero in mano, se ne stava quasi vergognoso di presenziare il chiacchierato Rettore di San Bartolomeo di Mazzorbo, che era come fumo negli occhi per molti di quelle contrade e isole. Poco discosta da lui e con le maniche avvoltolate fin sopra ai gomiti, se ne stava anche una delle ultime Monache di San Nicolò della Cavannabiscottata, quasi annerita dal sole e a suon di rimanere sulle rive dell’isola mettendosi in mostra a chiedere l’elemosina alle barche che passavano allungando una lunghissima canna a cui stava appeso un grazioso cestino.
“Che vergogna !”mormorò stizzita una Monaca fra le altre, “Se ne sta a gridare: “Un pane per amor di Dio !” con quel suo vocione da Coro … Dovrebbe starsene, invece, a cantare Laudi e Uffizi piuttosto che concedersi ad eccessi e bagordi di ogni sorta … Avrà subito non meno di sei-sette processi portando il disonore nel suo Monastero.”
“Che sfacciata !”commentò subito un’altra guardandola di sottecchi, “Mi sento quasi a disagio per lei solo a vederla … Mostra indifferenza, e sembra voglia scuotersi e buttarsi alle spalle la polvere untuosa di tutta quella faccenda … Ma non funziona così ! … Che svergognata !”
Era stata celebre a lungo e sulla bocca di tutti la serie delle vicende del settembre 1428 che avevano portato il Nobile Tommaso Dandolo a giudizio e a condanna a 2 anni di carcere inferiore per aver conosciuto carnalmente Suor Clara Rubeo dell’Isola della Cavannella ... Insieme a lui s’era condannato a 2 anni di carcere nelle celle inferiori anche il Nobile Fantino de Cà Pesaro che aveva avuto provati rapporti sessuali con Suor Filipa Barbarigo, e per lo stesso motivo si sentenziò la stessa pena pure per i Nobili Marco Barbo, Albano Cappello e Tolomeo Donato e per il non Nobile Jacopus Barotarius… e ancora si condannarono: Jacobys Michiel Strazzarolo, il pittore Pietro Vercio, Maneto Buco, Andrea Barbo fratello di Marco, Paolo Soranzo e il Nobile Nicola Grioni per altre nefandezze compiute insieme a Suor Orsa e le su accennate tesse Monache. Pietro Blanco infine subì doppia pena per aver agito carnalmente con due Monache insieme: la solita Suor Filipa Barbarigo e Suor Baratella della Fontana che era pure Badessa del Convento di Sant’Angelo.
Insomma era stata un’ecatombe … un immane storiaccia.
All’ora dell’inizio della cerimonia la chiesa traboccava di persone: gente di classe e pomposa, degnissima di ogni rispetto, e folla “bassa” di popolani a cui si aggiungeva la massa raccogliticcia della Schole di Torcello con le loro cappe rituali, e il decorato “pennello da Processione”(gonfalone) che aleggiava sopra alle teste pronto a intrufolarsi sotto ai portici della Basilica al corteo dei Preti, Monaci e Canonici che s’era fatto numeroso. Quelli delle Schole erano dei bei personaggi, sempre presenti ed entusiasti, e sempre disposti ad aggiungere “un solèro”(portantina decorata con una scena religiosa), un’immagine o statua di Santo da portare a spalla, o qualche asta processionale adorna di Alloro o Ulivo per arricchire e allietare la sfiata di ulteriore colore e devoto decoro.
Per ultimissimo e davanti a tutti, proprio in primissima fila, e sopra uno scanno dorato seppure scheggiato e sbiadito e dal velluto consunto, andò a sedersi il Podestà di Torcelloattorniato dai suoi scagnozzi, e dalla solita corte petulante e vanagloriosa dei suoi collaboratori, accoliti e figuranti dalla dignità a volte precaria. In ogni caso quell’uomo era “il Primo”, ossia il diretto rappresentante della Serenissima padrona di tutto, anche di quello spicchio recondito di Laguna, che non mancava mai di presenziare.
In quegli stessi anni il Dogee il Consiglio dei Dieci della Serenissima avevano disposto di costruire e provvedere alla manutenzione di ponti e rive anche di Torcello provvedendo appositi contributi di 60 grossi. In cambio e per riconoscenza, il Podestà di Torcello non mancava di tenere unite quelle Contrade, e di organizzavano all’occorrenza di portarsi con barche ad incontrare, onorare e festeggiare il nuovo Doge di Venezia, o a rendere omaggio a qualche illustrissimo visitatore della città lagunare. Nella sua sede Torcellana, invece, non mancava di discutere e inventarsi col suo Consiglio di Statuti parlando di fedeltà al Doge e alla Serenissima, dell’uso delle armi, delle proprietà e della disciplina della caccia e della pesca. Amministrava pure la Legge e la Giustizia, a volte alta e severissima circa cause sofisticatissime, e altre volte bassa e spicciola trattandosi di questioni di gioco, misure di vino da servire nelle osterie, circa l’ospitalità nelle locande, la violazione delle Clausure, e le bestemmie verso Dio, Santi e Madonne. Il Podestà con i suoi uomini non mancavano di provare ad arginare e combattere i contrabbandi lagunari allestendo “palade”, luoghi di dazi e controlli, e applicando pene, contravvenzioni, sequestri di barche e materiali.
A dire il vero la carica di Podestà di Torcello non possedeva quel valore altisonante di tutte le altre ambitissime cariche di Stato Veneziane. Per la categoria dei Nobili sempre affamata di benefici era un po’ un ripiego, ma era pur sempre un impegno importante e di una certa dignità ... anche se collocato scomodamente in fondo alla Laguna. Infatti furono Podestà di Torcello nomi insigni: Nani, Barbaro, Zane, Contarini, Coppo, Michiel, Bondulmer, Valier, Baffo e molti altri.
La Serenissima rispondeva a suo modo tutelando quelle fragili terre grondanti dalle acque impedendone l’inopportuno e incontrollato saccheggio. Leggi del Comune di Torcelloproibivano l’asporto di beni dalle isole, minacciando frusta in piazza, avocazione di un occhio, taglio di una mano e impiccagione per i furti di valore superiore a 8 ducati ... salvo poi scoprire che era lo stesso Vescovo di Torcello il principale protagonista nell’organizzare e tenere le fila di tutto un florido commercio di rovine, marmi pregiati e manufatti spogliando la Laguna di Torcello ... Guarda te come andava la Storia !
Quando Dio volle, iniziò la grande funzione col Vescovo, e l’incenso riempì con le sue volute odorose la grande aula Ecclesiastica. Partirono i canti e la musica, e iniziò la grande Processione-Cerimonia che aveva raccolto tanti da ogni parte della Laguna. A quell’ora bisognava spingersi con forza, fare “a sportellate” per riuscire ad entrare in chiesa:“non se buttava dentro un baìn”.
In quel momento la Cattedrale pulsava zeppa, piena e occupata in ogni posto come una qualsiasi cappelletta di campagna … Il momento era solennissimo, quasi storico, e Torcello di certo viveva.
Qualche giorno fa, sotto a un cielo digitiforme di nuvole cotonate scure che non presagiscono niente di buono, stavo osservando quel bottone luminoso che brillava alto ad Oriente verso l’alba. Ho visto uccelli neri ignari solcare e seguire rotte invisibili in cielo, e di sotto sulla terra, c’erano, invece, erbe seccate cresciute in silenzio bucando il nero asfalto cotto dal sole. Tutto mi pareva immoto e uguale, come se niente fosse cambiato dentro al nostro solito scenario lagunare Veneziano. Pensavo: “Gli anni, i secoli trascorsi, non hanno affatto cambiato e invecchiato queste nostre Lagune ... Sembra tutto uguale, cambiato pochissimo ... Solo l’insulsaggine violenta, gratuita e assurda degli uomini scandisce e segna i calendari con le sue macabre performance distruttive e autolesioniste sempre nuove ... Pare essere questa l’unica novità delle età dell’Umanità, l’unico accadimento che spezza l’immobilità di questo scenario idilliaco quasi perfetto e perpetuo.”
Ascoltando rapito una rapsodia musicale arcana e senza parole, un insistente contrappunto sonoro agile, ritmico e danzante, ho colto come un pressante invito, un richiamo a tornare ancora una volta nella Laguna Torcellana, mia casa d’infanzia e adolescenza. Ho resisto un poco a quel canto ipnotico e fascinoso quasi da sirena, poi mi sono lasciato calamitare e prendere, quasi sedurre, e mi sono avviato a sbarcare a Torcello in un “dì di Festa”, molto simile a quelli accaduti ieri, l’altro ieri, ieri l’altro ancora ... e qualche secolo fa.
Insomma mi sono recato a Torcello il giorno della Festa della Madonna Assunta 2017, e anche quest’anno dentro al gran chiesone Torcellano si è ripetuto il fenomeno della visita del Patriarca. Non esistono più le tante figure Monacali e Religiose di un tempo, né c’è più tutto quell’entusiasta accorrere da ogni parte della Laguna che accadeva una volta, ma si trattava comunque di un’occasione per chiamare a raccolta.
Dei vecchi MonaciBorgognoniè rimasto solo il nome del canale, e non è neanche visitabile lo scarno cumulo delle pietre rimaste del loro sontuoso Monastero … Tutto intorno, navigatori arditi della Lagune, quasi come novelli Ulisse, lanciano sulle acque, capelli al vento e torace in avanti nel sole, potenti cabinati bianchissimi e bellissimi. Le loro barche, come mitiche creature uscite dal Mare, solcano le acque prua all’aria e “a tutta birra” incuranti dei limiti e dei divieti di velocità della navigazione … Non con uno, ma con due motori solcano e aprono le onde correndo via come su un autodromo. Le onde rimbalzano arrabbiate, s’allargano, percuotono, mordono e rubano via non solo le slabbrate bricole rimaste, ma anche le barene, e infine quel che rimane delle precarie rive delle isole … Le mura crollano ingoiate dall’acqua, e con loro quel che resta di tanta parte della Torcello e della Laguna di ieri.
Non ci sono più le lucciole a lumeggiare nei cespugli di notte lungo la strada che porta al cuore di Torcello. E’ stata pure lei rifatta e privata del vecchio selciato di un tempo ... e all’imbrunire pure i Grilli sembrano afoni e con poca voglia di farsi sentire, mentre sopravvivono le Cicale sempre in gran spolvero e capaci di furoreggiare concertando dall’alba al tramonto. In alto rauchi Gabbiani volteggiano in cielo alternandosi a sparute Rondini, mentre di sotto qualche Tortorella candida importata presenzia qua e là sulla piazza Torcellana dando pacifico spettacolo. Gli arbusti bassi che un tempo cingevano l’isola piena di vigne e orti sono ora diventati alberi selvatici e muraglia verde impenetrabile, spinosa e incolta … Dov’è finito l’ometto che un tempo sparava a sale a chi andava a rubargli le uve e la frutta nella vigna e nell’orto ? … E dove sono finiti tutti quei cani chiassosi e bellicosi che ti latravano dietro furibondi mordendoti le calcagna se solo osavi sbarcare nell’isola calcando i terreni cintati ?
Non c’è quasi più niente e nessuno: Torcello oggi deserta facta est ! … sebbene sia piena di gente.
A prima vista non si direbbe, perché tutto sembra bello e in ordine nell’isola Torcellana. Candide tende svolazzano al vento su prati rasati e pettinati scrupolosamente ... Lungo la via principale ristorantini dai menù prelibati e per tutte le tasche punteggiano la scena dove un tempo sorgeva la sola misera osteria … Fiumane di turisti di ogni sorta sbarcavano in continuità affamatissime affollando curiose l’isola da ogni parte ... A ogni ora del giorno l’aria è pregna d’invitante profumo di pesce fritto e arrosto che è andato a sostituire l’odore antico dell’incenso che si percepiva un tempo … I bimbi invadono chiassosi i prati assolati giocando sotto a un cielo azzurrissimo da cartolina, il canale principale di Torcello è intasato di barche di ogni tipo e costo … mentre ometti fanno la siesta pancia piena all’aria distesi all’ombra, e donnette vezzose, viceversa, se ne stanno a godersi il sole prendendosi la tintarella e perdendosi in infinite ciacole ...Nella Piazzetta più avanti dopo il magnetico Ponte del Diavolo(col Diavolo presente ancora oggi, sotto nell’ombra dell’acqua immota), il “caregòn de Attila”è sempre lì al suo posto preso di mira più che mai dagli scatti fotografici dei visitatori che raccontano ad amiche, amici, mogli, figli e nipotini di quando si mettevano già in posa in quel posto quand’erano bambini.
E non è tutto … In questi ultimi anni s’è ripristinato il vecchio tragitto da Altinofino a Torcello, Burano e San Francesco del Deserto tornando ad unire e riattraversare canneti, barene e tratti di Laguna fino a raggiungere i luoghi che sono stati le radici di Torcello ... Schedine elettroniche seminascoste adese ai lampioni dell’isola, leggibilissimi “QR Code” rinviano quasi magicamente a interessantissimi siti web che sciorinano un’infinità di new curiose e dati storici su Torcello e la sua antichissima civiltà. Che si vuole di più ? … Non c’è che da interessarsi e servirsi di tanta dovizia d’offerta.
Mai come oggi si è discusso, cercato, scavato, trovato, ricostruito e analizzato sulla millenaria Torcello e le sue Lagune giungendo a spaccare in quattro il capello delle scoperte, dei reperti e dei dati storici. A volte quasi ci si perde fra competenze e in diatribe sofisticatissime lontane dal sentire dei comuni“bassi mortali”. Ci si spartisce i tasselli di quel lembo di Laguna manovrando e frugando qualcuno nel fango, disquisendo e arzigogolando altri sul significato di una lapide, struggendosi altri ancora su quale sia il prezzo più adatto del biglietto da far pagare per entrare a godere delle bellezze del chiesone, o dannandosi a collocare in maniera ottimale i reperti rimasti … Non si avverte più quello scopo d’insieme, quell’anelito unitario che faceva un tempo vivere l’isola ...
Torcello è un po’ ombra di se stessa, quasi desaparecida e priva di destino, le manca l’Anima. E’ stato come vedere una potente Ferrari ancora funzionante collocata dentro a un capiente museo, un cimelio da osservare e basta. Qualcosa da patrocinare e sponsorizzare, ma non più utile, un meccanismo prezioso originalissimo, ma inceppato, senza pezzi di ricambio, non più vitale.
A riprova di questo, un vecchietto ha dato immagine della reale consapevolezza limitata e modesta che nutriamo noi di oggi di fronte a tanto prezioso spettacolo. Stanco e disinvolto si è seduto abbandonandosi sopra a un reperto antico del Museo.
“Scusi ?” lo ha apostrofato subito il gentilissimo custode, “Questo è un reperto antico ! … un po’ di rispetto per cortesia ... Si sieda da questa parte se ne ha bisogno.”
“Ah si ? … Questo coso sarebbe un reperto prezioso ? … Chi l’avrebbe mai detto ?”
Quanto “prosciutto” sui nostri occhi miopi e ignoranti !
Comunque dentro a questa specie di statica apatia, all’inizio del pomeriggio il buon erudito Marco Molin ha come dato una scossa all’isola calamitando i tanti Veneziani nostalgici e interessati come noi, inducendo tutto a calarsi dentro alle pieghe dei misteri fascinosi della storia plurimillenaria di Torcello. Col pretesto d’inseguire un insolito percorso Mariano-Torcellano, ha consolato e nutrito il nostro curioso cercare strappando dall’oblio tante cose di quest’angolo prezioso di Laguna, e ha rinverdito i lustri di Torcello rispolverando la sua storia maiuscola. Con simpatia e con quasi omiletica sapienza ha tratto fuori le vicende dimenticate di tanta parte del patrimonio artistico-storico-devozionale di Torcello, e ha attirato la nostra attenzione soprattutto sulle formelle rimaste dell’inusuale quanto preziosissima Pala d’Oro di Torcello, suggestivo resto dell’abitudine lagunare di addobbare gli altari interpretata anche nelle ricche Pale d’Argento e d’Oro presenti pure a San Salvador (ancora presente) e Santa Maria Materdomini(perduta)di Venezia, ma anche a Caorle, oltre che nella superfamosa Pala d’Oro di San Marco… Il disfattista napoleone e l’incuria degli uomini a volte hanno smembrato, venduto o buttato in un angolo di magazzino un po’ tutto ... L’ignoranza quindi non ha età né mai fine.
Oltre a illustrarci quell’impareggiabile gioiellino, ci ha mostrato e illustrato reperti di mosaico, arredi e cicli pittori di pregiata fattura di chiese e monasteri scomparsi dalla Laguna. A un certo punto del pomeriggio però il buon Marco è come volato via, punto da un’Ape invisibile, rapito e trascinato fuori da una chiamata irrinunciabile: stava arrivando il Patriarca “sul primo binario”, perciò bisognava come un tempo correre ad accoglierlo e accompagnarlo, quasi da buon padrone di casa e maestro delle cerimonie … Anche stavolta le campane di Santa Maria si sono ribaltate solenni e festose come un tempo dentro al tozzo campanile vigile sulla Laguna e sulle isole rimaste semideserte e quasi prive di gente rispetto a un tempo.
Infatti poco dopo ha fatto la sua illustre comparsa il Prelato Patriarca rivestito del suo vestitone aranciato … sembrava un bonzo buddista. E così come quella volta, il chiesone di Torcello si è riempito di folla … anche se era molto diversa da quella di quella volta. Oggi c’eravamo noi, nostalgici Venezia qualsiasi, ad affrettarci sui posti insieme agli amici, ai familiari, e agli amici degli amici dei concertisti e coristi convenuti in chiesa per l’occasione. A far più “numero”c’erano gli immancabili turisti, qualche Religioso e Prete, e qualche sparuto Torcellano rimasto. Non c’era affatto la trafila dei Monaci e delle Monache di un tempo, né le folle devote provenienti dalle isole della Laguna Torcellana. Non c’era neanche il seggiolone riservato al Podestà, a dire il vero non ho visto autorità cittadina di alcun tipo … Chissà da quanto la campanella della presenza Civico-Politica non suona più a raccolta in cima alla torretta del Palazzo Podestarile ?
Di nuovo il nostro Marco Molin ha ripreso in mano la situazione e la scena inducendo tutti a mettersi testa all’insù a fissare lo splendido mosaico del Giudizio Universale di Santa Maria. Le sue spiegazioni lo hanno fatto quasi parlare di nuovo, ne hanno risaltato i simboli, rivelato le significanze recondite, svelato i segreti arcani, e messo in luce le fisionomie e i dettagli gustosissimi. A un certo punto la parete dorata decoratissima è sembrata quasi ridestarsi dal suo antico sonno, e rianimarsi come fosse un film di oggi. Sembravano occhieggiare e socchiudersi gli occhi dei Cherubini e dei Serafini, muovere le ali gli Angeli in infradito e gli Arcangeli in babucce rosse … Le acque salvifiche della Vita Eternamente giovane apparivano scorrere sulla parete preda della luce dorata del tramonto, così come sembravano avvampare, ardere e bruciare le fiamme del fiume infernale … Brillavano, pulsavano e scintillavano le Stelle della pergamena degli avvolti Cieli e Mondi Antichi e Nuovi srotolati dall’Angelo, e tromboneggiavano possenti e acuti, quasi entusiasti, a destra e a manca gli altri Angeli che richiamavano ogni Creatura ad ab-surgere di nuovo a nuova Vita uscendo dal sonno della fatidica Morte.
Che spettacolo !
Tutti rinnovati e rinati da se stessi uscivano fuori da decrepita esistenza come di crisalide, si scuotevano di dosso il vecchio “modus vivendi”… Perfino sgusciavano via viscidi dai teschi i serpenti infernali, fiorivano come giardini le zone palustri avvizzite, e sembrava quasi che una brezza di novità fuoriuscisse da quella Biblica e Apocalittica Scenainondando e coinvolgendo tutti coloro che sostavano nel chiesone sottostante.
Dalla parte opposta dell’aula sacra gremita di facce rivolte verso l’Alto, dentro al catino absidale dorato, la grande Madonna Azzurra e Pluristellatasembrava quasi abbassare le palpebre e abbozzare un vago sorriso, mentre il Bimbo Salvifico che teneva in braccio pareva quasi accennare a un vago saluto muovendo la manina.
Ho socchiuso e riaperto gli occhi per qualche istante … Era pura magia da illusionista ? … Forse sì … ma anche un poco no. Era in parte realtà espressa davanti ai nostri occhi.
Sbadigliava intanto il Patriarca aranciato con le gambe accavallate, tenendosi il mento fra le mani … Sbadigliava pure dalla parte opposta, quasi slogandosi la mandibola, un gatto Torcellano smunto apparso sulla porta della chiesa, intento ad osservare l’inusuale spettacolo … Improvvisamente una turista entusiasma si è alzata in mezzo a tutti, e si è messa a scattare freneticamente foto a destra e a manca puntando i mosaici estasiata dopo cotanta spiegazione. Immediatamente un’energica donnina col cartellino al collo le si è fatta prossima indicandola minacciosa a dito puntato: “Ferma ! … Che fa ? … Non si può !” le ha furoreggiato impercettibilmente sottovoce fulminandola metaforicamente col dito. (Chissà perché poi nella Basilica Torcellana non si può fotografare quando ovunque nel mondo si è rimossa quell’odiosa quanto inutile limitazione ?).
La poesia del tutto si è spenta subito irreversibilmente … e la donna mortificata si è riseduta al suo posto facendosi piccola e profondendosi in scuse. S’è consumato così il magico momento della catechetica meditazione artistica ... mentre si è passati a citare Fatima e Pastorelli, inerpicandosi in discorsi e considerazioni dottrinali distanti e di certo sconosciute a quelli che hanno voluto, ideato e costruito quei disegni mosaicali meravigliosi così pregni di contenuti.
Sembravano sbiadire certe parole moderne, non reggere il confronto con tanta bellezza e spessore dei contenuti antichi. Forse gli antichi Torcellani di un tempo non avrebbero capito e apprezzato i contenuti della “nostra buona e santa tradizione”, non avrebbero colto il senso di certe nostre convinzioni, né si sarebbero riconosciuti in certi concetti e principi della nostra Chiesa Cattolica di oggi … A confronto con l’intensità profonda e ricchissima espressa dai disegni biblico-catechetici dei mosaici, certi discorsi e certe sottolineature odierne hanno un sapore un po’ insipide, quasi da ultimo discorso della serata, quello della frutta, dell’ultima portata della serata … Oggi dentro alle chiese sembra muoversi e parlare seguendo un’altra lunghezza d’onda, balbettando solo vaghi e poveri accenni. Si è persa quasi del tutto la forza di quel mondo tutto Quaresimale e Battesimale fondato su un grande itinerario di cambiamento esistenziale quotidiano celebrato anche nel chiesone Torcellano. I contenuti dei mosaici e delle pietre sembrano lontani, muti, quasi assopiti. Lì dentro non si celebre più in massa la grande Notte delle Notti Pasquale, la solenne Rinuncia al Male rivolti contro i luoghi bui dell’Ovest e del Settentrione … Né si entra più dentro alla chiesa con la Luce in faccia rinati nell’alba della Risurrezione, dove la Vergine dorata illuminata da mille luci fioche offre il Figlio Redentore e Salvatore fissandoti occhi negli occhi.
Ha suonato un cellulare in chiesa … Era quello di un anziano Prete accaldato e appisolato in un angolo (stava meditando ad occhi chiusi). Ha sobbalzato su se stesso e sul pancione quando gli è trillata la suoneria barocca provando a dissimulare il fatto. Poi ha risposto sottovoce trattenendo a sua volta con la mano un largo sbadiglio ... Almeno avesse avuto un bel Canto Gregoriano come suoneria.
Quel chiesone e Torcello mi sembrano un posto pieno di storie da raccontare, ma privi di chi le sappia presentare autorevolmente … Suonano sì le campane … ma è come se mancasse qualcosa e qualcuno, i protagonisti. Ci si sente come in un cinema dove non verrà proiettato alcun film, come in uno splendido teatro dove il palcoscenico rimarrà disertato e senza commedia … E’ strana la sensazione: Torcello sembra una matassa priva del bandolo, una fiaba che ha perso il suo nocciolo: una Cenerentola che ha perso l’altra scarpetta, un Pinocchio senza Fatina, con Geppetto annoiato e stanco d’inseguire quell’inutile burattino … Non sono sufficienti gli spettatori in un posto per far accadere la magia dello spettacolo.
Per fortuna il Canto e la Musica bellissimi si sono levati nella grande Basilica a pareggiare, assopire e mettere da parte i miei foschi e critici pensieri. La voce polifonica e suadente del coro, e il suono magico del flauto traverso hanno preso a volteggiare nella Basilica, arzigogolare e abbracciare le colonne, i mosaici, e salire fin sulle volte e le capriate del soffitto. L’atmosfera si è fatta “angelica”, e il momento solennissimo … Pareva d’essere partecipi di un eco preziosissima proveniente da un altro Mondo senza Tempo, un’emanazione speciale che ci avvolgeva fuoriuscendo da dove non si osa e non si riesce dire compiutamente. Una parentesi e una sensazione impareggiabili.
Alla fine tutti hanno applaudito entusiasti i musicisti e coristi … Anche il Patriarca aranciato, solenne e pomposo al centro della scena … Si respirava un senso di Festa a Torcello … anche se mi sono chiesto dov’era andato quel tempo in cui il modestissimo Patriarca Albino Luciani arrivava, quasi trasparente e schivo, andando d’istinto ad accomodarsi umile fra le persone qualsiasi lasciando vuote le sedie di rappresentanza poste al centro della chiesa.
Evitava le vesti pompose il Patriarca Luciani ... Ringraziava così calorosamente il militare che l’aveva condotto col motoscafo fino a Torcello, che sembrava essere quello la persona più importante, il protagonista del momento. Quando in quegli anni si entrava nel chiesone il giorno dell’Assunta d’Agosto era quasi sempre semideserto e vuoto ... Non c’era la folla di oggi. Però Luciani sapeva dare sostanza a quella scena con la sua genuina e pregna semplicità, sapeva come accendere il Mistero conferendogli un aspetto spicciolo, naturale, quotidiano, alla portata di tutti … Luciani sembrava un Santo Vescovo scappato fuori dal mosaico absidale in cui stava in confidenza insieme alla Vergine Blu col Figlio Amabilissimo.
Lo so … Altri tempi, altre circostanze, altri modelli … altro vento che spirava una volta su Torcello …
Oggi nel chiasso di Torcello si percepisce un gran silenzio, come un’assenza, un qualcosa che si è rarefatto. Non basterebbe però scavare in profondità nella melma del fango, nè sarebbe sufficiente scoperchiare tutte le barene intorno per ritrovare quel qualcosa che manca … Ho sbirciato per un attimo di sotto dentro alla Cripta della Cattedrale in cui tanto ho giocato e fantasticato durante la mia adolescenza e prima giovinezza a Burano … Niente ! … Sembrava un’altra, un luogo diverso, estraneo ai fatti … Ho provato allora a scrutare intensamente lo strano “Crocefisso a pioli” che domina la navata rubando la scena alla Madonnadorata del catino absidale. Non si sa mai chi guardare dei due: se Lui davanti o Lei dietro o viceversa ... Entrambi hanno qualcosa da dire, sembra si rubino la scena reciprocamente da secoli.
Sulla curva dell’abside di Santa Maria fra l’altro si legge un ’iscrizione: “… Sono Dio ed Uomo, immagine del Padre e della Madre … Dal colpevole non sono lontano, ma al pentito sono tutto vicino …” e ancora: “… Quanto alle persone Dio è trino: unica è la sua essenza divina ... Egli rende fertile la Terra; stende i Mari; fa risplendere il Cielo …”
Ma niente lo stesso … Questa sera la Mater Maria Azzurra e Stellata pareva tacere austera imprigionata nel suo mosaico … Si sente che lì dentro non c’è più un Episcopo seduto sulla Cattedra a pascere un Popolo vivo … Si avverte che non funziona più il Battistero che sapeva inventare nuovi Cristiani dai Catecumeni durante la Notte delle Notti Pasquale. Si percepisce che la Cappella Eucaristica col stupefacente Agnello Pasquale non dispensa più “Pani Santi”da condividere … Pure il sublime mosaico parietale Apocalittico del Giudizio non grida più a nessuno il suo Messaggio strepitoso … Il chiesone sembra un elegante scheletro spoglio, un cembalo che non tintinna più, un tamburo senza pelle, una chitarra senza corde, una cornamusa bucata, un piffero spezzato … un luogo dove tutto sembra assopito, come spento e distante.
Ho sentito il bisogno pressante di uscire da quel chiesone per ritornare a immergermi nell’aria fresca e dentro al tepore del sole, riassaporare la gente, e sentirmi più vivo ... Infatti sono uscito, anche se la solenne cerimonia non era ancora terminata.
In questa ennesima ricorrenza dell’Assunta mi è parso che Torcello assomigli a un arzillo pesce che salta fuori vispissimo volteggiando in aria dal suo elemento acquatico avvitandosi alto carico di riflessi scintillanti … Non è però una Laguna aperta quella che lo contiene e dalla quale salta fuori con forza, ma forse una pozza d’acqua chiusa che si sta progressivamente e inesorabilmente asciugando ... Non si avverte più vibrare e respirare Torcello seguendo il ritmo delle maree e delle ore … E’ diventato la dependance della consumistica ed effimera Venezialand di oggi. Per questo l’avverto così mesta, struggente e decadente … un liscio deserto d’acqua su cui si specchia l’azzurro del cielo solcato dagli aerei che si sparano in alto salendo dal Marco Polo di Tessera.
Ma forse è solo una mia povera opinione.