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“Ciò giòvane ? … Spòstite ! … Ti xè incocaìo ?”

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“Una curiosità veneziana per volta.” – n° 154.

“Ciò giòvane ? … Spòstite ! … Ti xè incocaìo ?”
Fògo, fiamme … Tagiapièra, Fonteghèri, Zucchero e una cièsa prisòn a Sant’Aponal de Rialto.

Proprio così mi ha apostrofato qualche giorno fa una vecchia Veneziana piena di sporte mentre me ne stavo davanti alla chiesa chiusa in Campo Sant’Aponàl poco distante da Rialto.

“Ciò giòvane ? … Spòstite ! … Ti xè incocaìo ?”

Pareva pure lei rigonfia come una sporta piena. Inutilmente ho provato a dirle: “Siora … So Venesiàn anca mi.”

“E allora ? … Spostite lo stesso ! … Cossa ti fa qua impalà in pìe … fermo come un Cocòl su una bricola ? … Non ti vèdi che gho da passàr  col carèto e a spesa ? … Ti xe come i turisti, sempre col naso par aria … Incocaii … Dai bèo ! … Ch’el sol màgna e ore.”

Che aggiungere ? … Ho zompettato subito a lato provando a sogliolarmi sulla vetrina della bottega accanto … e la megera ciabattosa e iraconda ha potuto così riprendere indisturbata e non intralciata il suo difficoltoso cammino lungo le strettoie Veneziane.

Ogni giorno transitano migliaia di persone per Campo Sant’Aponàl a Venezia andando o tornado da Rialto verso San Polo e viceversa. Le strade e le callette strette sempre intasate di gente, forse la chiesa chiusa e i pochi negozi accattivanti, impediscono quasi sempre di fermarsi e sostare un attimo per gustarsi la scena tipicamente Veneziana. Di là si passa quasi sempre di fretta, e si tira quasi sempre dritto … un’occhiata e via ... Più di qualche volta vi ritorno a posta per pensare e osservare: compio un breve giro intorno alla chiesa per vedere un po’ meglio … ed è stato in una di queste occasioni che sono incappato nella vecchiaccia.

(corte del Tagiapiera e un Capitello delle colonne di Palazzo Ducale)

Alcuni giorni dopo, invece, durante una mattinata di fitta pioggia autunnale: “Acqua sotto, acqua sòra, acqua ovunque ... Te pàr de sentirte dentro a un sècio … Un pàn bagnà.” … Le Fondamente, i Campi e le Calli erano allagati, l’acqua scivolava giù copiosa dentro ai canali … I turisti senza più occhi a suon di guardarsi intorno, scivolavano inzuppati, ma divertiti, dentro alle pozzanghere … Alcuni Veneziani d.o.c., pensionati e panciuti a dire la verità, reduci da una buona bevuta e mangiata in un vicino Bàcaro di Rialto, hanno sostato un attimo “per tiràr el fià, e smaltire un poco”, rimanendo sotto all’ombrello in un angolo dello stesso Campo Sant’Aponal.

Fra do parole, una “sbetonegàda” e un’altra si è ingannato e ingarbugliato il tempo, e fra di loro sono emerse memorie e pensieri:

“Se se podèsse rancuràr tutta sta acqua … Non ghe sarìa più siccità.”

“Ti gha sentìo ? … Assolto ! … Non condannà … Innocente.”

“E no ! … Reato in prescrissiòn ! … Xe diverso, non xe a stessa ròba … Non vol dir che no ti gha commesso el fatto … Solo che xe scadui i tempi per giudicarlo.”

“Che Giustizia spontàda che gavèmo … Xe una vergogna … Tutti che màgna …”

“Lassèmo stàr che xe mègio … Ma Sant’Aponàl, el nome de sta cièsa e de sto Campo, che nome sarìa ?”

“Sarìa: Sant’Apollinare … So stà a Ravenna anni fa, e el ghe gèra dappertutto: Sant’Apollinare qua, Sant’Apollinare de là, in Classe, in Piazza, sulle strade e sui muri … ovunque.”

“I Veneziani se o gavarà portà via anca quèo … I o gavarà portà qua a Venessia, e messo qua in Campo e in cièsa.”

“Ma el càsca ancora sto campanìl pièn de lapidi e de pière scolpìe ?”

“E che ne so ?” rispose uno della combricola.

“Se sa … Non se sa … Pol anche dàrse … Starèmo a vèder …” continuò un altro.

“Cossa dìseo el Piovan ?”

“Cosa ti vol ch’el dìga ? … El gha sempre tanto da far … El xe come una trottola che gira senza sosta de continuo da Rialto fin alla Prisòn de Santa Maria Maggiòr … Nol xe mai fermo … El ghà altro par la testa ... Làssilo stàr ! … Lu, e anca el campanil.”

“Spostèmose più in là allora … Che no se sa mai ... Che no ne vègna tutto in testa.”

“Ti gha paura de finir sotto ? … Spostite allora ! … Ciàpa un’altra strada … Va par de là !”

“Magari quella del campanìl che casca xe solo una pensàda par attirar l’attensiòn sui restauri de la cièsa vècia e seràda che casca … Ghe piovarà dentro come su una passabròdo …”

“Me ricordo quando i a gha seràda sta cièsa l’ultima volta … Ormai no ghe andava quasi nissùn … Ma i gha seràda dalla sera a la mattina, lassando quasi e candelette impissàe su le rosticcerìe davanti ai altari … El Comune gha fatto Archivio de le carte …”

“Ròba da matti ! … Ancùo cièsa, domàn: magazèn !”

“Dopo co i anni, i a gha sgomberàda de nòvo perché cascava tutto … e a gèra anca pièna de sòrsi che rosegàva e carte …”

“Ti sa che un secolo fa sta cièsa gèra deventada una prisòn ?”

“Orco !”

“Si … Ti vedi tutte quee finestre aperte in facciata e sui fianchi ? … Prima no e ghe gèra. Le gha vèrte i Francesi per far un Carcere Politico par i Veneziani.”

“Bògia lori !”

“Sant’Aponàl  xe stà de tutto co i Francesi e dopo de lori: ricovero notturno pai poarètti, officina, magazzèn, falegnameria, carcere, deposito e spaccio di carbone, e bottega da rigattier de David Zacuti ...”

In fianco alla cièsa ghe gèra i Terasseri anni fa ? … Me pàr.”

“No … Ghe gèra quei dei baànse (bilance) !”

“Sì … ma tardi … Prima in Calle del Campanièl, tacà a la cièsa, ghe gèra i Tagiapièra … Vàrda ! Se vede ancora i Santi dei Tagiapièra ficài in muro.”

(l'altare dei Tagiapiera oggi a San Silvestro, e la sede della Schola dei Tagiapiera a Sant'Aponal)

In effetti è verissimo. Giusto in Campo Sant’Aponal, nella Calletta del Campanièl attaccata a chiesa e a ridosso del campanile, a pochi metri dal “Sottopotego del Papa Dormi”(clicca qui sopra per saperne di più) non si può non notare infissa in muro un’opera abbrunita dal tempo con incisa l’epigrafe: “M D C L I I  - SCOLA DI TAGIAPIERA”. Quella è stata proprio la sede della Schola dell’Arte dei Scalpellini e Tagiapiera di Venezia, che comprendeva anche gli Intagliadori di pietre e capitelli: Arte apprezzatissima in tutta Europa e nel Bacino Mediterraneo per l’originalità, la policromia e la grande capacità d’ornamento.

Ad essere precisi, nel 1514 la Schola dei Tagiapiera che esisteva già dal 1396, si spostò a Sant’Aponal da San Zuane Evangelista dove si trovava e dove s’era preso l’impegno col Priore dell’Ospedaletto Badoer di fare elemosine e gestire le Tessere di Carità dei Poveri della zona. L’Arte dei Scalpellini e Tagjapiera riunita come Schola dei Quattro Martiri Coronati: Nicostrato, Claudio, Castorio e Superiale(martirizzati al tempo dei Romani per essersi rifiutati di scolpire idoli pagani) figurava fra le Arti e le Corporazioni Maggiori di Venezia rappresentate sia sugli Arconi della Basilica di San Marco, che sui capitelli delle colonne di Palazzo Ducale di Venezia. Questi Artieri erano fra coloro che avevano maggiormente contribuito a rendere grande e quel che era la Serenissima. 

Nello stesso anno la Schola tramite il suo Gastaldo(Pietro Lombardo ?) approvò un progetto per la costruzione del proprio nuovo “Albergo in soler” (a più piani) su un'area presa in concessione di 10 passi x 4: "posta sora el portego de la chiesa, cominciando da la Schola de San Gottardo”. I Tagiapierapresero perciò accordi col Piovan del Capitolo de Sant’Aponal, per ottenere oltre “ad un'Arca e un Cassòn de marmo” vicino alla porta della chiesa dove poter collocare i propri Morti; un Prete che ogni lunedì doveva “dir Messa e recitar l’Officio dei Morti sulle tombe dei Confratelli”; e l’uso dell’Altar de San Gottardo con la Pala di San Nicolò per celebrarvi quante Messe intendessero, ovviamente dietro congruo pagamento.
Al pianterreno accanto al portone d’ingresso, sull'architrave di un finestrone da cui è stata tolta la primitiva inferriata, si può ancora leggere distintamente l’iscrizione: “NEL TEMPO D(E) SER ZVANE DE LOVI PISTOR A SANT’APONAL GASTALDO E COMPAGNI - MDVII A DI II DE MARZO”.

I Tagiapiera alloggiavano al soler” ossia al secondo piano, mentre al primo piano veniva ospitava la Schola dei Spitieri da Grosso. Nel 1685 una apposita Bolla Papale concesse alla Schola dei Tagiapierail raro privilegio di celebrare le loro Messe su un altare privato dedicato ai Quattro Santi Coronati”Patroni dell'Arte collocato dentro alla propria sede … Le Contrade Veneziane erano piene di Campielli, Corti, Sottoporteghi e Calli dedicate ai Tagiapiera e agli Scalpellini: la Celeberrima opera e veduta: “Il Cortile dello Scalpellino a San Vidal” realizzata nel 1728 da Giovanni Antonio Canal detto il “Canaletto” (il cortile era un tempo sito di fronte alla chiesa e Schola Grande di Santa Maria della Carità, l’attuale Galleria dell’Accademia appena al di là del Canal Grande), le riassume tutte.

Tagliapietra divenne perfino un cognome molto diffuso a Venezia.

I Tajapiera erano dediti a “consàr pietre”, ed erano Artigiani che dipendevano dai “Giustizieri Vecchi”, dai “Provveditori della Giustizia Vecchia”, e per gravezze e livelli dal “Collegio della Milizia da Mar” … Gestivano a Venezia più di 30 botteghe sparse in tutte le Contrade e Sestieri ... Non erano però Scultori come erroneamente si è spesso pensato, (anche se per un certo periodo gli Scultori ne fecero parte prima di istituire una loro Accademia specifica), ma erano operai e artisti che scolpivano elementi lapidei per porte, finestre, balconi, scale. Producevano: soglie, piane, gradini, lesene, scafe, ornie, grondaie, condoti, cornici, caminetti ed altri elementi decorativi per palazzi, monasteri e chiese.
L’Arte tutelava in varie maniere i Tajapiera iscritti: ad esempio, sembra che quando morì uno dei Bon cadendo dall'impalcatura di San Giovanni e Paolo, la sua vedova abbia ricevuto già il giorno seguente la pensione utile per allevare il figlio e per poterlo poi inserire, compiuti i quindici anni, nella bottega dei Dalle Masegne… Molto spesso l’Arte dei Tagiapiera era un’Arte di famiglia tramandata di padre in figlio, e i Tagiapera-Scalpellini venivano remunerati a giornata come i Muratori, i Fabbri e i Marangoni … I Tagiapiera giungevano a Venezia anche da zone lontane: dall’estero, come i Laghi della Lombardia o i Grigioni Svizzeri, tanto che più di metà degli iscritti all’Arte erano dichiarati: “Foresti” ... Per entrarvi a far parte, bisognava superare la “proba per divenir Mastri Tagiapiera”, che consisteva nell’essere abili a scolpire “una base attica su colonna” disegnandola, scolpendola e completandola senza alcuna sagoma di riferimento.

(L'Arte dei Zuccarieri e San Gottardo dei Spicieri da Grosso)

Zanini descrisse così l’attività dei Tagiapiera: “Le pietre dure si lavoreranno a questo modo. Si disgrosseranno con i scalpelli non da taglio, come si fa con le pietre tenere, ma che siano fatti a punta di diamante, lavorate che saranno con quelli, si batteranno con la brocca, e con martelli da denti, si tritureranno a perfezione poi si fregheranno con un pezzo di mola con l’acqua fin che sia levato i segni, avvertendo di non consumare troppo la pietra, di poi con un pezzo di pietra pomice, leggera, perché la aspra segna, fregar ancora il marmo over pietra macchiata, con l’acqua fino a che si levino li segni lasciati dalla mola; poi si lustrerà con la spultia bagnata nell’orina, strofinandovela sopra benissimo a due mani, con un pezzo di canevazza, fino che il marmo sii ben unito, per finire di dare il lustro, per più schiarire la pietra, si taglia il tripolo in polvere quasi umido , buttandone un poco per volta sopra il marmo, over pietra, fregando con un strazo di tella, et per farle ancor più chiare, si fregarono con il stagno abbruciato con una pezza, che sia umido che dette pietre resteranno lucidissime.”

Tagiapiera e Scalpellini erano documentati attivi in Egitto e Mesopotamia fin da 3000 anni prima di Cristo, e per questo erano considerati una delle professioni più antiche del mondo. Del Re Salomone, si diceva nella Bibbia: “… aveva settantamila operai addetti al trasporto del materiale e ottantamila scalpellini a tagliar pietre sui monti.”… e nel Medioevo fu tutto un fiorire assiduo di costruzioni di Chiese, Cappelle, Cattedrali, Basiliche, Palazzi, Castelli e Monasteri: "Era come se il Mondo stesso, scrollandosi di dosso la sua vecchiezza, si rivestisse d'un bianco mantello di Cattedrali", scriveva Rodolfo il Glabro Monaco e Cronista dell'XI secolo.

Venezia ovviamente non fu da meno degli altri, e anche qui come altrove i Tagiapiera si associarono e riunirono in Schola, Fraglia o Fraterna ovverossia in Loggia(dal nome delle baracche di legno poste vicino ai cantieri, dove depositavano arnesi, consumavano pasti, e qualche rara volta anche trascorrevano la notte. Era anche luogo ideale per scambio d’opinioni, idee, consigli, e trucchi professionali).

La Schola dei Tagiapiera di Veneziaè stata una delle più antiche e longeve della città, la sua Mariegola risale al 1307.

I Mastri Tagiapiera, detti anche: “Paroni da Corte” per via dei depositi e cortili all’aria aperta dove custodivano i materiali e realizzavano i lavori più grossi e ingombranti, consigliavano i clienti sui migliori modi possibili, e ispezionavano le botteghe almeno una volta al mese per reprimere eventuali frodi o imitazioni ... Era proibito il lavoro notturno per la rumorosità del lavoro, e si utilizzava in parte Pietra di Verona, Porfidi, Serpentini, Pietra d’Orsena e Trachiti Euganee ed altre pietre mischie, ma soprattutto la durevole Pietra d'Istria BiancaFine o Cerenita proveniente soprattutto dalle cave di Pola, Parenzo e Rovignomentre per le fondazioni, le difese a mare e le rive, veniva impiegata una pietra di qualità meno pregiata, detta: "Grigia o Fumigata". Entrambe le qualità venivano trasportate con i “Marani” della Serenissima dalla portata di più di duecento tonnellate, che facevano la spola più volte l’anno con Venezia. In alternativa si riciclavano e modificavano blocchi già scolpiti venduti o prelevati da chiese, Palazzi Nobili e Conventi provenienti in gran quantità dalle rovine di Altino, Jesolo, ConcordiaSagittaria, Torcello e isole limitrofe, oppure marmi antichi già lavorati provenienti dalla Greciae dall’Oriente… Secondo gli Statuti del 1307: non si potevano mescolare pietre diverse nella stessa opera, ciascuna pietra veniva marchiata dal Tagiapiera che la lavorava (esistono più di 9.000 marchi inerenti a Tagiapiera e Scalpellini antichi), e si doveva specificare il luogo di provenienza al momento della vendita e messa in opera. Si puniva chi usava “pietre d’aspetto simile e di ben diverso pregio … o ardiva lavorare pietre de man bianco (sconosciute e di dubbia qualità).



L’Architetto Vincenzo Scamozzi scriveva: “Si cavano pezzi di smisurata grandezza, e peso, e gli huomini del paese sono molto pratichi, di maniera che li maneggiano con grandissima destrezza, e facilità, poiché le conducono al canale vicino alla marina, per spaccio d’un miglio, per strade molto pendenti e con slitoni posti sopra alcuni letti fatti di legnami, i quali si chiamano stasini, o sbrisse tirate con buoi; e nei luoghi difficili ed erti vanno misurando e compartendo il peso con alcuni capi di funi molto grosse e legate alla parte di dietro dei letti, e raccomandate agli alberi, ovvero ad altra cosa permanente e cosi procedono di mano secondo il bisogno”.

In Contrada di Sant'Aponal si passava di notte soltanto se si era "Tagiapiera o Scultori” in servizio, e c'era un servizio di ronda che sorvegliava le botteghe e l’attività ... Ancora nel 1715 la Fraglia e Schola dei Tagiapieraeffettuava una grande Processione con imponente concorso di popolo lungo tutte le Calli della Contrada di Sant’Aponal prima della celebrazione della prima Messa il giorno della Festa dei loro Patroni(08 novembre) ... Al tempo della soppressione napoleonica, quando a Venezia si contavano ancora 195 iscritti Tagiapiera con 33 CapiMastri, 5 Garzonie 157 Lavoranti fra cui anche qualche donna, la sede dell’Arte dei Tagiapiera divenne casa e tipografia Merlo… e in quella che è stata la sede della Schola dei Tagiapiera è finita con l’abitare la mia Professoressa di Psicologia ai tempi in cui studiavo Teologia e da Prete a Venezia.

“Ma non ghe gèra i Zuccarièri a Sant’Aponal ? … quei de la carta da Zuccaro blu ?”

“Ghe gèra anca lori, coi Mandolèri … a pianoterra dello stesso edificio ... i gèra i Speziali da Grosso.”

“Ma nol veniva da Cuba el Zuccaro ?”

“Macchè ! … Non bisogna dimenticare che Venezia veniva detta la “Drogheria d’Europa” per via del commercio delle Spezie (soprattutto per il Pepe, Cannella, Noce Moscata, Chiodi di Garofano, Zafferano), ma anche dello Zucchero.”

(la Mariegola dei Tagiapiera e il Segnale dell'Arte dei Tagiapiera)

La maggior parte dello Zucchero Veneziano veniva importato già raffinato in grosse quantità da Cipro e da altre regioni del Mediterraneo. Nell’uso comune lo Zucchero non aveva sostituito il Miele come dolcificante, ma serviva soprattutto nella Farmacopea e nella Speziaria ... A Venezia s’importava soprattutto “polvere di zucchero” ed “estratti di succo di zucchero” che venivano affidati per la raffinazione a raffinerie locali che lavoravano per conto terzi producendo dei “pani di zucchero finito” che venivano poi immessi nel mercato, smerciati e venduti … Memorie Veneziane raccontano che il primo a fondare una Raffineria di Zucchero a Venezia nel 1598, fu il Portoghese Rodrigo di Marchiano, quando ad Anversa c’erano già 19 Raffinerie da almeno cinquant’anni ... Giovanni Battista Gallicciolliricordava e scriveva che un tempo nella vicina Contrada di San Cassiano, in Corte e Calle della Raffineria, esisteva un laboratorio per raffinare lo Zucchero ... Ma diceva anche, che fin dal 1366 la ricca famiglia dei Nobili Corner di San Luca possedeva delle concessioni nel distretto di Piscopifortemente irrigato e coltivato a Canna da Zucchero, dove utilizzava: schiavi, servi e coltivatori dipendenti per lavorarla. I Corner spremevano la canna e la trasformavano industrialmente utilizzando dei mulini ad acqua, e inviavano i succhi a Venezia dove venivano bolliti e raffinati in colossali caldaie in rame.

Anche gli Spizieri da Grosso si erano spostati ormai da tempo dalla Contrada di San Mattio di Rialto: “In quanto i luoghi erano pieni di persone disoneste e meretrici … e succedeva scandali”, e avevano preso posto e sede nella Calle presso Sant’Aponal occupando il piano inferiore del fabbricato dove avevano Schola i Tagiapiera al piano superiore … L’Arte del Zùcaro a Venezia era uno dei “Colonnelli” ossia delle “sottosezioni-ramificazioni” degli “Spezieri da Grosso”, ed ebbe lungo i secoli notevole attività finchè poi decadde progressivamente superata dalla concorrenza delle raffinerie di Ancona, Triestee altre città Venete limitrofe ... Ogni Raffineria da Zuccaro Veneziana ricava 1.000 libbre di zucchero al giorno dalla cui deposizione si formava il “mielàzzo”. Si depurava lo Zucchero mescolandolo con uova, scolandolo attraverso tela separando feccia da puro, e filtrandolo in stampi dopo rimestolatura al fuoco.

I Zuccherierifacevano quindi parte della Schola dei Santi Gottardo e Claudio, ossia dell’Università dei Spicieri da Grosso e deiMandoleriche producevano e vendevano al minuto e all'ingrosso: Mandorle, Olio di Mandorle, e vari tipi di Frutta Secca. Fin dal lontano 1330, a Venezia si distingueva fra Spicieri da Medicina cioè Farmacisti(gli Spetiarii Inclitae Repubblicae Venetiae era famosi e punto di riferimento per tutta Europa)e Spicieri da Grosso ossia: Confettieri, Droghieri, Venditori di cerada candele e cera lavorata, Raffinatori di Zucchero e Fabbricatori di dolci di Mandorle. Anche quella Schola o Arte va quindi annoverata fra le più antiche di Venezia.

Un decreto Veneziano del 1574 ordinava: “… Eleutari, Rabarbaro, Mana, Cassia, Scamonia falsa et altre simili false, rancide, vecchie, pessime e non sufficienti, Peppe d’India, Caselle di Gradamono, Terra Gialla, scorzi di Noci Moscate, biscotto pesto e farina d’Amito non possano esser tenute in luogo alcuno sotto verun pretesto né meno in minima quantità. Pepe Rosso montan affatto proibito eccetto nelle Speciarie Medicinali, in pena perdita et incendio robbe e di ducati 50 grossi.”

Solo dal 1675 i Mandoleri poterono separarsi dagli Spitieri da Grosso e dai Zuccarieri con i quali si alternavano ogni anno nell’occupare la carica di Gastaldo della Schola, e si misero in proprio fino alla soppressione del 1806 … Nel 1713 la Raffineria di Zucchero di San Cassiàn era ancora condotta da Francesco Astori… Circa gli Speziali da Grosso, ancora nel 1717 a Venezia si ordinava fra l’altro: “… non possano vendere ad alcuno cosa veruna corrosiva e venefica eccetto a Speziali o altre Arti a cui si renda indispensabile come a Vetrieri e Tintori l’Antimonio, agli Orefici l’Arsenio e Sublimato e ciò solo a Patroni e “giovani di botteghe” conosciuti ... Incaricati a registrar sopra un libro in nome e cognome e professione de compratori. Inibito a suddetti a comprarne per altri, nemmeno a dispensar del loro ... Cose tali siano custodite sotto chiave, proibito a garzoni il maneggiarle e venderle ... In caso contraffazioni dichiarati delinquenti li padroni stessi …”

A Venezia nel 1773 c’erano ancora attive sette “Officine da Zuccaro”dove s’impiegavano: 77 Capimastri,42 Garzoni e 71 Lavoranti … e dalle statistiche dello stesso anno, quando in maggio al Municipalista sotto i Francesi: Tommaso Pietro Zorzi, ricco fabbricante di Liquori, Dolci, Zucchero e Caffè venne saccheggiata la casa dal Comitato Veneziano delle Sussistenze, risultava che i Droghieri a Venezia erano 63 in tutto (20 Capimastri, 19 Garzoni e 24 uomini a salario), i Mandoleri erano: 231 (173 Capimastri, 30 Garzoni e 28 Lavoranti), e i Raffinadori da Zucchero: 41 (4 Capimastri, 6 Garzoni e 31 salariati Lavoranti)… Viceversa circa vent’anni dopo, nel 1797, ormai alla fine della Storia della Repubblica Lagunare, gli iscritti all’Arte degli Spizieri da Grosso erano 246, di cui 144 erano: “Rafinadori da Zùccaro” attivi in 90 botteghe, e in 4-5 Raffinerie site nelle Contrade di San Canzian, San Marcilian e San Cassian.

Circa Zuccaro e Zuccarieri, c’è una cosa utile da chiarire e sottolineare.L’Arte degli Zuccarieri non si riferiva ed esauriva affatto solo alla produzione e raffinazione dello Zucchero, quello da addizionare alla tazzina del Caffè o della colazione. Con lo Zucchero a Venezia, come altrove, si facevano tantissime altre cose artistiche, e non solo culinarie, cose tutte che oggi non si fabbricano più e sono quasi del tutto dimenticate.

Dovete sapere che i pranzi dei Nobili come quelli delloStato e dei Principi, del Doge per intenderci, erano una delle più grandi espressioni del proprio “Status”, ricchezza e prestigio. A differenza di oggi che quando i grandi Politici o Governanti s’incontrano fanno un “pranzetto o una cena di lavoro”, un tempo quella del pranzo o cena era come un rito, e una delle massime occasioni per mettere in mostra e sfoggiare tutta la propria magnificenza, grandezza e potenza. A tavola si esternava tutto quel che si era, e si usava oltre alle preziosissime tovaglie, le stoviglie e tutto il resto, soprattutto e proprio lo Zucchero, oltre alla Gelatina, il Burroe la Cera, così come il Vetro, il Cristallo, la Porcellana, il Legno, fino ai Metalli preziosi e il Marmo per costruire un’infinità di Trionfi, e Sculture Ornamentali, e scenari complessi davvero suggestivi e vistosi. (Si racconta che alcuni “desèri” (dessert) realizzati per i conviti Veneziani erano grandi fino a otto metri e composti da centinaia di pezzi fra statue, fontane, balaustre ed altri elementi monumentali).

Con lo Zucchero si inventava e creava un “gran colpo d’occhio” che aveva lo scopo d’immagare e impressionare gli ospiti, oltre che di “parlare”in un certo senso indirettamente di se, e di quanto si aveva a cuore, e si voleva e doveva sapere e intendere.

Per far questa “grande parata” s’impegnavano i migliori artisti disponibili sulla piazza. Noi siamo abituati a pensare i grandi pittori, scultori e artisti tutti compresi a realizzare grandi teleri, ritratti e pale d’altare. Dobbiamo pensarli, invece, anche dediti per molto tempo e molti giorni anche a realizzare tutta quella dovizia di soggetti ed “dolci opere” effimere, che andavano ad arricchire le tavole, e si susseguivano di continuo nei banchetti dei Grandi e dei Nobili.

Era come una specie di film continuo che accadeva sopra alle tavole dei commensali. Senza badare a spese, si cambiavano le scene insieme alle portate dei pranzi e delle cene, e si realizzava tutto un linguaggio, un messaggio esplicito e talvolta sub liminare nel presentare tutto quel “ben di Dio” che non era solo da mangiare, ma conteneva anche un significato. Spesso le tavole imbandite erano più “da vedere, comprendere e interpretare” piuttosto che gustare. Gli artisti realizzavano vere e proprie rappresentazioni di Miti Antichi, Leggende, Storie, o celebrazioni di Personaggi e avvenimenti, ma si usava anche tutta una simbologia ricchissima “per darla ad intendere” ai commensali, e per esprimere quelle che erano le Doti, la Sensibilitàe le Virtù, le propensioni e i desideri del Padrone di casa, ma anche le intenzioni, i propositi o le aspirazioni e le manie di grandezza.

Il Doge, il Principe, il Papa, il Cardinale o Vescovo, il Nobile o la Nobildonnae la Badessa, ad esempio, sedevano isolati o attorniati da tutta una serie di decorazioni, “portate”e addobbi che al solo vederli ne decantavano: il Blasone e la Nobiltà, o ne suggerivano lo splendore e le qualità “uscita dopo uscita”. Molto spesso certe convivialità diventavano uno spettacolo continuo e una successione di scene, e i commensali si ritrovavano attorniati di fiori, figure allegoriche, Santi e Madonne, scene marine e mitiche, carri trionfali, putti, corone, Pavoni, Uccelli, palazzi e castelli e quanto altro. Ogni pranzo e ogni cena era un tripudio, un teatro, appunto si diceva: una serie di Trionfi, che erano fatti a base di Zucchero.

Immaginatevi quindi quanta abilità, manodopera e profusione di risorse, impegno e persone erano necessari. Per certi Nobili Veneziani “di gran pregio” a volte era necessario impiegare più di metà degli iscritti della Schola dei Zuccherieri.
Nelle Cronache Veneziane d’Archivio, si trova annotato di una famosa “scenografia zuccherina” realizzata nel 1574 nell'Arsenale di Venezia per un banchetto offerto a Enrico III Re di Francia, dove: piatti, forchette, frutta, tovaglie, salviette e pane erano tutti fatti di Zucchero ... e come “tocco dolcissimo” finale il Re incontrò, conobbe, e poi divenne amante della Cortigiana Veronica Franco. Il convito in un certo senso raccontava, suggeriva e “parlava”, e da quel genere di banchetti spesso conseguiva di tutto.

Gian Lorenzo Bernini ad esempio, il celebre autore barocco di tante architetture e statuarie memorabili soprattutto di Roma, trascorse ore su ore e giorni e su giorni a disegnare e realizzare sculture ornamentali di Zucchero o Pasta di Mandorle per le mense dei Papi... Spesso si regalava agli ospiti la copia, il disegno di quelle realizzazioni artistiche che avevano visto troneggiare e favoleggiare sopra alle tavole imbandite dei Sovrani. Certe cene e pranzi a Palazzo rimanevano per forza “memorabili”: erano dei veri e propri eventi spettacolari sui quali il Nobile-Padrone di casa, investiva anche parecchio denaro. Le liste delle spese di certi banchetti, infatti, furono impressionanti non tanto per le compere di alimenti, le carni, il pesce, i vini e altre cose commestibili, ma proprio a causa delle spese accessorie dovute ai grandi addobbi delle stanze, e alle decorazioni scenografiche collocate sulle tavole.

Dovete sapere che a tavola spesso si susseguivano più di trenta portate ... Si dovevano rispettare decine su decine di regole di “buon comportamento e galateo”, ci si portava spesso le posate personali da casa, e c’era un’infinità di protocolli da rispettare  … Ci si sedeva spesso a tavola al tramonto rialzandosi a notte fonda, anche dopo quattro-cinque ore, dopo tutto un susseguirsi spesso ininterrotto di Musiche, poesie, balli, giochi e canti. Alla fine si andava a letto talmente “pieni e addizionati ed esausti”, che si dormiva seduti per digerire meglio, e per non soffocare a causa di eventuali rigurgiti. (non è vero che i letti di un tempo erano piccoli perché uomini e donne erano bassi di statura, dormivano piuttosto seduti, appoggiati alla testiera del letto, che era rialzata oltre che decorata pure quella.)

“Zuccarieri ? … Vàrda che ti te sbagli … Ghe gèra i Cereri a Sant’Aponal.”

“Xe a stessa ròba … I Zuccarieri fasèva e vendeva anca cera lavoràda e candele.”

“Che gran confusiòn !”

C’è però un altro fatto ancora è da ricordare: nel 1514 prese fuoco per l’ennesima volta tutto il vicinissimo Mercato di Rialto. Ovviamente ci fu tutto un fuggi-fuggi, grande distruzione e un gran casino: mezza Venezia fu ancora una volta tutta in subbuglio e devastata dalle fiamme. Ognuno, come potete bene immaginare cercò di porre in salvo tutto quel che poteva, oltre che la pelle, e ci furono migliaia di Veneziane e Veneziani che a titolo diverso spostarono, presero, arraffarono e mossero cose e persone contrastando con gli uomini che l’incendio volevano soprattutto domarlo.
La fine dell’incendio non completò quell’intensa opera di spostamento, anzi: fu solo l’inizio di tanti traslochi. Ci furono diversi Veneziani che cercarono di spostare la propria attività un poco più in là, in attesa che Rialto riprendesse di nuovo vita (come i Gatti, che di vita ne hanno più di sette) … In ogni caso, niente avrebbe fermato quell’innata voglia di Venezia di autodeterminarsi commerciando e vivendo su quelle isole Lagunari che fungevano da trampolino per tutto il resto del Mondo. Rialto, infatti, risorse poco dopo: più florido ed efficiente e ricco di prima.

Durante e dopo il gran subbuglio e riordino dovuto all’incendio, ci fu anche un’altra Schola che si spostò nel 1528 con l’immancabile approvazione de Consiglio dei Dieci da San Silvestro di Rialto a San’Aponal. Fu la Schola della Natività di Maria dei Fontegheri o Farinari che andò a mettersi dentro alla Sacrestia della chiesa del solito Sant’Aponàl, proprio a ridosso dell’abside della chiesa. In quegli anni l’Arte dei Farinanti comprendeva pure quella dei Tamiseri o Setacciadori de Farine, ed era guidata da un ricco “Compagno Mercadante de Malvasia", che per  far notare la presenza dei Fontegheri in quel nuovo posto fece collocare accanto alla porta principale della chiesa un  bassorilievo in marmo greco con la “Crocefissione”, che si può vedere ancora oggi, anche se quasi completamente consumato e perduto.

(La Schola dell'Arte dei Fontegheri, e il Crocifisso dei Farinanti)

La figura di quel Gastaldo doveva avere un gran peso e significato all’interno dell’Arte dei Fontegheri perché le disposizioni della Mariegola precisavano che i nuovi iscritti dovevano essere da lui accolti personalmente davanti all’Altare della Schola per prestare giuramento di rispetto a tutte le Regole dell’Arte, e soltanto dopo di lui: "tuti i Compagni li debbano tocàr la man"(dargli la mano) al nuovo iscritto appena accolto.

Come sempre accadeva a Venezia, anche la Schola dei Farinanti erogava assistenza, sussidi in denaro e medicine e Medico per gli iscritti (eccetto che per i mali incurabili, e per chi non fosse stato trovato a letto nel corso della visita d'ispezione nei giorni di malattia ! ... Niente di nuovo sotto al sole.) … Lo stesso Gastaldo stipulò, inoltre, un accordo col Piovano di Sant’Aponàl per avere in uso in chiesa un paio d’Arche per i propri Morti come quelle dei Tagiapiera, celebrando per loro una Messa al giorno come per i Tagiapiera, sull’Altare della Madonna a fianco di quello dell’Arte dei Tagiapiera ... Rieccoli qua !

I Farinantinon volevano né dovevano essere da meno dei Tagiapiera… Si era proprio a Venezia.

In quelle stesse circostanze concitate, insieme a quelli delle Schole si spostarono più in là dal bruciacchiato Rialto anche le Prostitute. Erano, si diceva a Venezia: “… le donne di malaffare dedite al Meretricio e al mestiere del godimento, l’impegno più antico del Mondo”. Avevano dovuto anch’esse abbandonare la zona del “Castelletto di Rialto” andato rovinato … e i vari Lupanari di San Mattio composto da ben 34 volte, magazzini, botteghe e Osterie come quella della Stella, Al Figher, Alla Croxe e Al Gambaro dove le donne stavano di giorno fuori appostate in mostra e cercando d’accattivarsi sempre nuovi clienti”. Trovarono posto nelle vicine case delleCarampane(nome che indicherebbe prostitute sfiorite), ossia nei pressi di Cà Rampani, proprio nella zona della Contrada di Sant’Aponal.

Secondo il solito Diarista Marin Sanudo, nel 1500 c’erano a Venezia circa 11.654 Prostitute dette: “Contesse e Mamole” ma anche “Donne del peccato e Dèdite”. Erano un po’ tantine: una folla se guardiamo a quelle stime del Sanudo … Immaginate la concorrenza … Ma consideriamo anche il fatto che corrispondevano a un decimo dell’intera popolazione di Venezia ...

Sarà stato proprio così ?

In ogni caso la Serenissima le favoriva in molti modi, quasi precorrendo certi tempi, perché oltre a tenere buoni e soddisfatti tutta una serie di Marinai, Mercanti, Forestieri e uomini di Mare, erano pure una fonte pressochè inesauribile di contatti e informazioni riguardo a tutto quanto accadeva in quel loro largo mondo, e non da ultimo su tutto ciò che succedeva nelle case, nei palazzi e dentro alle vite di tanta parte dei Veneziani Nobili, Cittadini e popolani qualsiasi ... e ancora di chissà quanti altri personaggi di passaggio.

I registri della Giustizia Veneziana raccontano: “… Giacomo Davanzago, ex Capo Sestiere, venne chiamato da due meretrici sue amiche per aiutarle a resistere allo sfratto esecutivo da una casa in Corte Pasina in Contrada di Sant’Aponal presa in affitto dal Nobile Federico Michiel … il Davanzago giunto sul posto si mise a menar fendenti di spada contro il Nobile Michiel e i suoi amici, gli strappò le chiavi della casa dalle mani, e rimise dentro le due donne … Venne processato, interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e condannato a 100 lire di multa …”

Variopinto il microcosmo che esisteva nella Contrada di Sant’Aponal …

“Ti savèvi che Bianca Cappello moglie di Francesco De Medici e Granduchessa di Toscana venne dichiarata nel 1579 dal Senato della Serenissima: "vera et particular figliola della Repubblica” ? … Pensa che Bianca Cappello quindici anni prima abitava proprio qua in Contrada de Sant’Aponal a Venezia, e che a sedici anni scappò via da suo padre e dalla Laguna in compagnia del Cassièr di una Banca Fiorentina. La Repubblica di Venezia in quel momento decretò: “… che fosse vituperosamente bandita, e che se vi venisse a Venezia fusse fatta morire"… Ma quando dopo qualche mese Bianca intrecciò una relazione amorosa con Francesco de' Medici, il Cassièr morì assassinato misteriosamente, e il De Medici la sposò che era ancora in lutto della moglie appena morta, la Serenissima cambiò parere.”

“Interessante … No lo savevo .”

“E ti savevi che in sta Contrada de Sant’Aponal fra 1651 e 1661 ghe gèra in Corte Petriana un piccolo edificio da Musica, un Teatrin de Sant’Aponal con un certo gioco prospettico all’interno, dove se eseguiva “Opere in Musica” su libretti de Giovanni Faustini e con la direzione artistica de Francesco Cavalli ? … Tutta l’attività gèra finanziada dai Nobili Alvise Duodo e Marc'Antonio Correr.”

“No savevo neanche questa.”

“E ti savevi che tanto per cambiare, nel gennaio del 1815: “… i locali della cièsa de Sant’Aponal in Venezia compresa: Sacrestia, caxetta e Schola di San Gottardo e dei Mandoleri erano nella Lista delle vigne, orti e beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti ...” ?”

 “No …”

“Ma insomma … Non ti sa niente ! ... Ma andemo a beverse un’altra “ombretta” che se megio ... Prima che sta piova ne immarsissa come e bricole de la Laguna.”




(Corte Petriana dove sorgeva il Teatro Sant'Aponal)


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