“Una curiosità Veneziana per volta.” - n° 172.
“Una cruda lettera su quelli di San Marcuola nel 1820.”
(parte seconda: “la maxiContrada”)
Per chiarezza e a scanso d’equivoci, non esiste come qualcuno ha inteso una seconda o terza parte della lettera di Don Rado Piovan di San Marcuola…
Si capisce dall’auspicio delle ultime righe scritte dal Piovano che la lettera è conclusa. Quindi la “secondo, terza … o forse centesima parte” di cui vado cianciando e scrivendo, è il desidero secondo me curioso d’intuire com’era fatto quel microcosmo della Contrada allargata di San Marcuola: “la maxi Contrada del Piovano Rado” a cui si riferiva e aveva chiaramente in mente scrivendo al Patriarca Pirker.
Secondo il suo Cooperatore Don Pietro Grigato, e secondo quanto detto dal laico Antonio Tagliaferri, il “buon Don Rado”(ex Padre Somasco di origine Dalmata divenuto Piovano di San Marcuola e autore del “Quadro ragionato della Parrocchia di San Marcuola”): “…quando predica ha delle espressioni che si oppongono alla gravità e alla Santità con cui deve essere esposta la Parola Divina.”
Ahia ! … Primo giudizio severo nei confronti di Don Rado da parte di chi gli stava parecchio vicino e lo conosceva piuttosto bene. Si diceva inoltre di lui che usava parole banali e volgari nelle prediche: “… gli manca un certo grado di moderazione per essere esimio.” lo bollò in conclusione, come vi dicevo, il Patriarca Pirker… Come non bastasse, un rapporto della Direzione Generale di Polizia al Governatore di Venezia qualificò lo stesso Don Rado come: “personaggio noto per il suo stravagante carattere e per l’imprudente suo modo d’agire e pensare.”
E con questo sono due i giudizi negativi sul mittente della lettera, e per di più sono valutazioni anche un tantino pesanti … Come avete potuto leggere, infatti, il Piovano Rado era molto esplicito e non le mandava tanto a dire … “Ci andava giù abbastanza pesante”esprimendo un suo punto di vista “un po’ così”… costasse quel che costasse.
Destinatario della lettera-presentazione della Parrocchia-Contrada di San Marcuola era come vi dicevo il Patriarca Giovanni Ladislao Pirker: “El vècio Pirker … Vècio de testa, de mentalità e de comprendonio s’intende … venuto a Venezia dalla Todescheria.” così scriveva un Prete Veneziano sinteticamente su di lui.
Giovanni Ladislao Pyrker Von Oberwart era Ungheresedi nascita (Nagyláng 1772), Cavaliere di Prima Classe dell'Ordine della Corona Ferrea dell’Impero Austro-Ungarico, scrittore classicista, e poeta epico-drammaturgico poco apprezzato da quelli della sue epoca: lo soprannominarono: l’“Omero della Germania”. Di nobile famiglia, dopo aver a lungo viaggiato in giro per l’Italia, entrò dal 1792 nell'Abbazia Cistercense di Lilienfeld nella Diocesi di Passavia nell’Austria Inferiore(fondata nel 1202 dal Duca Leopoldo VI di Babenberg ) di cui poco dopo divenne Abate. Giusto nel 1820 (anno della lettera del Piovano di San Marcuola), dopo essere stato Vescovo di Spiš venne eletto a Patriarca di Venezia per espressa volontà del Governo Austriaco dei cui principi, modi e valori il Pirker fu sempre strenuo assertore, difensore e propugnatore. Impettito, Tedesco, deciso, quadrato e tutto d’un pezzo, in realtà raggiunse la città Lagunare soltanto un anno dopo accontentandosi di governarla a distanza, anche perché l’antico palazzo del Patriarca a San Pietro di Castello era stato ormai trasformato in Caserma... Pure il Papa di Roma non aveva affatto gradito quella nomina a Patriarca considerandola un sopruso del Governo Austriaco ... Venezia comunque per ospitarlo e farlo giungere finalmente in Laguna, gli destinò un’ala di Palazzo Ducale in attesa che gli fosse costruito un nuovo palazzo, o trovata perlomeno una degna sistemazione. Dopo Venezia, infine, Pirker passò ad esercitare il ruolo di Arcivescovo di Eger o Agria in Ungheria fino alla morte a Vienna che lo colse nel 1847 … Curiosità: quando se ne andò via da Venezia, non si dimenticò di portarsi appresso almeno 190 quadri di Scuola Veneziana recuperati in giro per la città e tutta la Laguna ... piccolo souvenir ?
Spreco ancora e comunque altre due parole sul quel Patriarca Pirker che dava l’impressione di voler essere un tipo piuttosto tosto … Con una certa grinta esortava i Preti a esercitare adeguatamente il loro Ufficio di Dispensatori dei Divini Misteri, e ad essere maggiormente a disposizione dei loro fedeli che invitava ad accostarsi spesso ai Sacramenti.
Non aveva peli sulla lingua il Pirker, e mostrava di sapere il fatto suo. Gli Atti della sua Visita Pastorale rilevarono, ad esempio, che i Fabbriceri di San Salvador erano “indolenti” perchè per alimentare le celebrazioni liturgiche pretendevano di sottrarre i “diritti di stola” del loro Piovano … A San Felice, invece, i capifamiglia conflittuavano col Piovano per la nomina del Sacrestano, mentre i Fabbriceri di Santa Maria Elisabetta del Lidoavevano eletto un Parroco: “senza le occorrenti intelligenze e concerti col Vicario Capitolare”… Ancora i Fabbriceri della soppressa chiesa e parrocchia di San Gregorio nel Sestiere di Dorsoduro protestavano perché il Piovano traslato a San Barnaba s’era portato via numerosi e ricchi arredi sacri in accordo col Patriarca (?) … C’erano vertenze in corso anche a San Marziale nel Sestier di Cannaregio, e perfino di fuori in campagna, cioè nelle parrocchie di Terraferma: a Quarto d’Altino …
Il Prefetto di Venezia scrisse preoccupato al Patriarca per tutte quelle insolite contestazioni: “C’è da temere l’esecrazione del Popolo semplice e religioso che ad essi (ai Preti) attribuisce la decadenza del culto.”
Di severità Monastica ed essenzialità Cistercense nell’esercitare il Culto, Pirkerebbe quasi l’ossessione di togliere e ridurre gli abusi e le ridondanze delle Liturgie e delle chiese di Venezia“rendendo più seria la Pietà”. Secondo lui tutto quell’eccesso di Reliquie, statue vestite, sopraqquadri era inutile e fuorviante: “sono stravaganze che fomentano la superstizione per le quali esiste un’inutile richiesta continua di soldi … Le statue vestite vengano ridotte almeno ad una sola … Si sostituiscano con semplici e buone statue … Si tolgano con prudenza, senza clamori e senza urtare il popolo le corone dai quadri della Madonna facendo dei Fabbriceri laici gli autori di quella sostituzione o eliminazione …” diceva.
Il Patriarca dovette subire diversi attacchi e proteste per quella sua smania di ridurre le“Musiche clamorose e le eccessive pompe di addobbi e apparati delle funzioni di Chiesa. Impediscono al Popolo di stare raccolti, e sono pure sorgente primaria di profanazione del Santo Tempio di Dio: le frequenti Processioni, le esposizioni delle Statue Sacre Vestite, e le “Esposizioni per Carta del Santissimo” ( si dicevano “per carta” per via di una stampa annuale a calendario mandata in giro per Venezia e affissa sulle porte delle chiese. Le Esposizioni duravano di solito giorni su giorni con abbondante aggiunta di Processioni e Prediche e richiamavano tantissima partecipazione da ogni parte della città) ... Erano entrate e soldi, oltre che benefici spirituali a cui dicevano tanto di tenere i Preti.
Per certe funzioni nelle Contrade Veneziane non si badava a spese, anzi si faceva a gara a chi preparava meglio spendendo ogni volta un capitale cioè:“un sproposito per finanziar l’oratoria dei predicatori di grido”, e per allestire numeri infiniti di luminarie e cere: “ogni cièsa gèra na’ Galeggiante” ... Il Patriarca Pirker incazzoso stabilì:“il numero de’ ceri non sia minore di 24 né maggiore di 30 per l’Altar Maggiore, e di 6 o 4 dove si riporrà la Sacra Pisside, e di 2 per ogni altro altare”.
Un anonimo Veneziano gli scrisse protestando:“Patriarca tanto zelo xe una cossa mal intesa che no giova no alla Chiesa ma pol farla vacillar … Nu ghe fèmo veder che tra nu Sior Lutero no xe vegnù.”… Il Patriarca non lo degnò d’ascolto, sapeva bene che fare.
Criticando gli orari d’apertura delle Chiese Veneziane prescrisse con un decreto dell’agosto 1821 che dovevano essere aperte al levar del sole dal maggio alla fine di agosto, e alle sei di mattina da settembre ad aprile chiudendole sempre non oltre il tramonto:“Si deve evitare che nelle chiese buie aperte troppo presto o chiuse troppo tardi avvengano scandali”.
ASan Cassiano nel Sestiere di San Polobrontolò contro l’eccessiva ostentazione dell’immagine in cera del“Cristo Morto e Deposto” collocata sulla mensa dell’Altar Maggiore:“Tocca agli Illuminati e veramente pii Fedeli decidere se quello della compunione sia il sentimento che desta quella Sacra Immagine … La plebe dei Teologi dichiarebbe eretico chi dicesse che un’immagine materiale tanto disposta ad agire sui sensi di chi la mira corra il pericolo di usurpare le adorazioni che la fede vuole tributare alla reale presenza dell’Eucarestia … Sembra che in questo caso l’Anima non sia assistita da quella rappresentazione simile …”
Su San Trovaso nel Sestiere di Dorsoduro disse, invece: “Merita riflesso e provvidenza la circostanza che nella parrocchiale, meno uno solo dei molti altari che esistono, in tutti sono stranamente agglomerate le immagini e i quadri coprendo talvolta il quadro principale di qualche merito [artistico].”
E ancora suSanta Maria Materdomini e San Cassiano (che non doveva essergli molto simpaticacome Parrocchia, perché lì si celebravano ben 7.000 Messe di cui i Preti si rammaricava di continuo di non riuscire a riscuoterne del tutto le rendite): “Le Reliquie vengano disposte con meno galanteria … Certi Corpi di Santi assomigliano a fanciulli adagiati sopra culle graziose … Si dissipi il prestigio di presentar come intatti i Corpi che non lo sono, e si esibiscano quelle Sacre Reliquie alla pubblica venerazione col sincero titolo di “Ossa Sanctorum”.”
I Veneziani chiamavano il Patriarca Pirker:“nemico giurato delle campane”, e a tal proposito gli rimproveravano la mentalità troppo Monastica e Tedesca che intendeva soppiantare quella Veneziana, tradizionale e popolare. Il 28 novembre 1822 il Patriarca emanò il“Decreto sul suono delle campane, soprattutto quelle della Basilica di San Marco” che fece inviperire buona parte dei Veneziani. Dovevano essere suonate senza strepitio e senza rompere il sonno dei Veneziani:“non a lungo nè troppo pesto” (ossia alle 9, alle 12, alle 14, al tramonto e con la Marangona di mezzanotte) non di continuo, al massimo con qualche segno speciale nelle Feste e nelle Vigilie”.
Vi potrà sembrare un po’ strana quella protesta dei Veneziani … ma quelli di allora erano dei “gran campanari” abituati a suonare a distesa “ogni quattro e quattro otto”, e a “sonàr a festa un dì si e un altro anche … e per ottenere la pioggia, scongiurare il maltempo, e invocare il sereno”… e poi come si sarebbe mai potuto rinunciare “alla campana delle Tre del Venerdì per la Crocifissiòn e Morte de Nostro Signòr” … e come non chiamàr a raccolta con le campane se si esponeva la Madonna Nicopeia in San Marco, o se si “fasèva Banca e Capitolo”, o se il Doge andava in chiesa, e si esponeva il Santissimo Venerabile nelle chiese Veneziane ? … Per buona parte dei Veneziani era sempre “cosa buona e giusta … dàrghe de campana!”
Perciò dopo un anno il Patriarca fu costretto a rivedere le sue decisioni, anche perché parecchi Veneziani gli stavano diventando ostili:“Le campane no se tòcca !” gli gridavano dietro per strada, “… a Venessia se deve sonàr !”.
E non era ancora tutto, perché Pirker ne aveva sempre per tutti:“… la Messa Cantata o Granda e le Prediche dell’Avvento e della Quaresima devono terminare sempre prima di Mezzogiorno per favorire la partecipazione alla Dottrina Cristiana” diceva ancora severo.
Ai Gesuati sulle Zattere (dove la popolazione fatta perlopiù di battellanti e barcaroli di fatica aveva carattere forte per cui i figli dovevano essere condotti quasi con forza a frequentare la Dottrina), il Patriarca Pirker osservò che c’era un’organista troppo esuberante da correggere ed eventualmente licenziare perché secondo lui suonava in chiesa “cantate da teatro”… Nella Basilica di San Marco decise di rendere più austero e di minore spesa il canto dellaCappella Marcianaintroducendo il ricorrente Canto Gregoriano. A tal proposito alcuni dissero: “Ha fatto bene ! … Ha anche epurato il Coro da tutti quei vecchi soprani castrati introducendo a cantare i bambini delBrefotrofio e Orfanatrofio cittadino.”
Mentre il Clero Veneziano lamentava carenza di Vocazioni dicendo:“le messi sono molte, ma pochi gli operai”, i Veneziani, invece, ne deploravano piuttosto gli abusi e disordini, e l’inerzia pastorale spesso ritenuta esosa e interessata. Il Patriarca Pirker considerò al riguardo:“… si troveranno sempre meno quanti possono essere Ordinati Preti sulla base di un patrimonio” … Le relazioni che gli arrivavano sui Preti di Venezia erano preoccupanti: i Titolati delle 61 Collegiate Veneziane spesso desistevano dalla frequentazione del Coro ed erano carenti di attitudine alla cura d’Anime ... l’insegnamento della Dottrina Cristiana era in grande decadimento e sofferenza … s’erano ridotte le dispute pubbliche, e non si distribuivano più ogni domenica i“Premi (buoni libro soprattutto) e le Grazie”… All’insegnamento della Dottrina Cristiana si dovevano destinare di solito almeno dieci persone“mature, caritatevoli e pazienti capaci d’istruire i giovani loro affidati e d’infondere nei cuori il Sacro Timor di Dio e di eccitare il genio e il gusto per le cose del Signore.” Sitenevano lezioni per un’ora estate e inverno, seguite da un ulteriore mezz’ora gestita direttamente dalle esortazioni del Piovano.
Centrale come sempre era la domenica giorno della frequenza di precetto e della Dottrina … La partecipazione dei fedeli in chiesa doveva essere intensiva: di mattina la Messa, fino a oltre mezzogiorno la Dottrina(destinata a uomini e donne, grandi e piccini: la quinta classe era quella degli adulti, c’era la classe:“Misteri e Atti”, e la “classe Bellarmino” destinata agli adolescenti). Di pomeriggio-sera si celebravano l’Esposizione del Santissimo e il Canto dei Vespri ... I Parroci Veneziani si lamentavano della scarsa partecipazione degli adulti delle classi più basse del Popolo “che s’attardano a lavorare anche nel giorno Festivo rimanendo senza alcuna ulteriore istruzione dopo il Catechismo imparato da fanciulli.”
Il Parroco dei Tolentini attestava con rammarico: “… diversi Madri non fanno accostare i loro fanciulli alla Confessione perché li fanno lavorare nei giorni Festivi …”
Un esercito di Confessori era sempre a disposizione: ce n’erano 14 ai Santi Giovanni e Paolo (dove su 3.600 parrocchiani: 3.000 si accostavano regolarmente alla Comunione Pasquale: erano un esempio !) … ma c’erano altrettanti Confessori nella piccola e periferica San Marziale, 20 erano quelli di San Geremia…“anche se spesso fin troppo anziani, scarsamente assidui, e non tutti premurosi di attendere al loro Ministero ... La maggior parte se ne stava in chiesa e Sacrestia a petulare e chiacchierare …”
Che ve ne pare ? … Un bel tipino quel Patriarca Pirker… No ? … ma lasciamolo perdere e torniamo piuttosto alla nostra “maxi Contrada” di San Marcuola gestita dal Piovano Rado.
Innanzitutto l’ampia area omogenea di Venezia di cui era “responsabile”, e a cui faceva riferimento nella sua lettera il Piovano Rado di San Marcuola, era compresa fra il Canal Grande (confine naturale: “de Citra” e “de Ultra”) da una parte, e il Rio de Cannaregio, Rio de San Leonardo o Lunardo, Rio dei Servi e di Santa Fosca dall’altra fino alla confluenza col Rio de Noale(dalla famiglia Anovàl o Novàl o Anovàle che abitava là in zona, giunta a Venezia da Noale verso il 982. Su alcuni di quella famiglia si racconta che vennero inviati nel 1212 da Venezia come contingente di cavalleria nell'isola di Candia-Creta, e che nel 1379 i Noàl contribuirono ai prestiti allo Stato per la Guerra di Chioggia, e che si estinsero nel 1583).
Lo stesso spicchio di Venezia inoltre era“framezzato per lungo e traverso” dal Rio di San Marcuola, dal Rio del Cristo, Rio drio alla Cièsa, e dal Rio della Maddalena che attraversavano la “PluriContrada”come arterie insite dentro a un unico corpo e “sistema”.
Lo so che non è facile, ma dovete pensarla diversa da oggi quella Contrada di Venezia: più separata e ricca di Canali e Canaletti bordati da sottili Fondamente spesso in terra battuta, e senza tutti i Rio Terà che ci sono oggi, che non sono affatto pochi. Quella di San Marcuola era una Contrada “più navigabile e sull’acqua”, con meno terraferma calpestabile, in cui era fondamentale per vivere e lavorare servirsi dell’apporto dei strategici Traghettio utilizzare una propria barca ... se la si possedeva.
Serve aggiungere un’altra nota importante, cioè che tutto il territorio della “maxiContrada” era circondato “come a corona” dalla vivissima zona della cintura periferica costituita dalle ampie proprietà, e dalla notevole presenza Monasteriale di Cannaregio. Mi riferisco alle zone di Santa Maria dei Servi dei Padri Serviti(dove abitava il famoso Paolo Sarpi), alla Madonna dell’Orto ossia San Cristoforo Martire degli Umiliati e Cistercensi, a San Joppo o Giobbe dei Frati Minori Osservanti e Mendicanti, a San Bonaventura ancoradei Frati Minori, e alle aree d’influenza delle potenti quanto industriose e regolate Monache Agostiniane di Sant’Alvise e di San Girolamo delle Monache Gerolimine, che consideravano la Venezia di loro pertinenza come un grande Monastero allargato e diffuso tutto da governare … Non dimentichiamo di aggiungere da una parte il non lontano influsso e interesse delle Monache Agostiniane del Santa Caterina, e quello degli altrettanto famosi e potenti Frati Crosicchieri o Crociferi verso le Fondamente Nove sostituiti poi dai Gesuitiugualmente siti in Santa Maria Assunta.
Insomma la larga Contrada di San Marcuola era come circondata “a salvagente” da quella potente cerchia di figure Regolari e Monastiche, che venivano considerate anche … a suon di liti, processi e cause … comeun’aspra “concorrenza” sia dal punto di vista economico, che per le competenze specifiche e le implicazioni di natura religiosa.
Oltre il Ponte di Noale da una parte sorgeva poi l’altra “maxiContrada” unitaria dei Santi Apostoli, Santa Sofia, San Felice e San Cancian che includeva la zona dei Birie delle Fondamente Nove; mentre dalla parte opposta oltre il Ponte delle Guglie sorgeva la Contrada similare di San Geremia con i vari “Conventi satelliti” delle Monache Agostiniane del Corpus Domini e del Santa Lucia, quello di Santa Maria di Nazareth dei Carmelitani Scalzi, San Giobbe e il singolare complesso delle Penitenti(oltre il Rio di Cannaregio).
Rientrando nello specifico di San Marcuola, va detto che come tante altre zone di Venezia era zona d’Ospizi (Ospedaèto Bonzio e Hospeàl de Messer Gesù Cristo), e di Pizzocchere ed Eremite o Romite… Ancora nel 1740, ad esempio, oltre alle Pizzocchere Servite di Santa Maria dei Servi, esistevano le Pizzocchere di San Marcuola(anche se in realtà abitavano in Fondamenta di San Girolamo oltre il Ghetto) che possedevano una rendita annuale di 40 ducati provenienti da affitti di beni immobili posseduti in Venezia.
Come ho già avuto modo di dire, le prima tre e poi sei Eremite di San Marcuola abitavano sostenute esclusivamente da elemosine e seguendo la Regola di Sant’Agostino nell’aereo “romitorio” collocato sopra al portico antistante e il tetto della chiesa. C’era una traballante scaletta esterna che s’arrampicava sulla facciata di San Marcuola permettendo d’accedere al piccolo Oratorio-Dormitorio ben dotato di paramenti e ornato da dipinti di Girolamo Pilotti, Matteo Ponzone e Palma il Giovane. Dopo infinite diatribe col Capitolo dei Preti di San Marcuola, le Romite dovettero finalmente traslocare nel dicembre 1695 andando a vivere in Contrada di San Trovaso nel Sestiere di Dorsoduro, dove divennero le famose Romite di San Trovaso sostituite molto più tardi dalle Suore Cannossiane.
Ai margini della Contrada di San Marcuola sorgeva e sorge ancora oggi oltre l’omonimo Rio e Ponte, il temibile Ghetto dei Giudei citatimo e deploratissimo nella lettera di Don Rado … Quello del Ghetto, come potete evincere chiaramente dalle parole del Piovano di san Marcuola, fu per secoli un grosso problema non solo logistico soprattutto per il Capitolo dei Preti di San Marcuola… anche se di fatto la presenza degli Ebreia Venezia è sempre stata una grossa opportunità per molti. Per i Veneziani Cristiani tuttavia, soprattutto quelli “assidui, accaniti e proprio de cièsa”, quella con gli Ebrei con i loro tre Ghetti era una “contrapposizione severa” e una “spina dolorosa nel fianco”. I “Perfidi Judeos” erano il “nemico giurato della Chiesa e della Cristianità” collocato oltre il Rio del Ghetto, che era come la trincea di un confine da difendere, e “un Atavico Male” da cui trovare riparo. Non servono giri di parole per comprendere come per il Piovano di San Marcuola (così come per buona parte dei Veneziani dell’epoca) la presenza dei Giudei in Laguna fosse considerata una vera e propria peste e calamità. Il “posto-insula dei Giudei” erano un “insediamento Demoniaco da temere e da cui grandemente difendersi tenendosi a debita distanza” ... L’Ebreo veniva considerato con ostilità: “era vile, Satanico, maledetto da Dio e dagli uomini, scarto della Storia, e demoniaco in ogni sua espressione … bambini e vecchi compresi”… Il peggio erano “le perverse donne Ebree”, e i Mercanti-Commercianti considerati sentina e concentrato di ogni malizia, inganno e vizio.
Quello dell’Ecclesia Cattolica Veneziana era un sentimento viscerale, quasi angosciante e ossessivo, una sensazione di vera e propria ripulsa storica che alcuni fra i Veneziani provavano nei riguardi di quel “Popolo Dannato Crocifixòr del Salvadòr del Mondo” … Va detto e aggiunto però sinceramente, che “tutto quel che non poteva entrare ufficialmente dalla porta entrava tranquillamente dalla finestra” in quanto i Veneziani della Contrada di San Marcuola e delle altre Contrade Veneziane hanno sempre intrattenuto per secoli formidabili relazioni sociali e commerciali con gli Ebrei, che sono stati protagonisti veri e propri dei Commerci e delle economie della Venezia Mercantile e Bancaria ... e non solo (tutto questo meriterebbe un interessantissimo quanto curioso discorso a parte. Esiste una splendida e ricchissima bibliografia al riguardo … ma non è questo il luogo e il caso per affrontarla).
Rimanendo ancora sul pezzo, cioè sulla “maxiContrada” di San Marcuola, se proverete ancora oggi a scrutare con un po’ d’attenzione i Niziolètti che tappezzano i muri delle case e dei palazzi della Contrada, non potrete non avere di rimando quello che è stato il volto ben preciso di quel che era la Contrada di ieri. I toponimi Veneziani non mentono, sono come una fotografia verosimile, anzi: una radiografia di quel che è stato il posto e le persone … lo raccontano in un certo senso. Basta leggerli e lasciarsi condurre un poco dalla fantasia, e si vedrà subito com’era animata e vissuta quella Contrada.
C’erano i luoghi dei Mestieri e delle Arti dei Veneziani: Calle Fighèro, Calle del Tabacco, il piccolo dedalo di Calli e Callette della "Calle dei Colori" dov’era presente un opificio che lavorava colori: verderame, cinabro, prussiato di ferro, azzurro e altro per tingere tessuti. Nei pressi di San Lunardo in un edificio di Calle Da Mosto o dei Colori, sorgeva l’Ospedàl de Messer Gesù Cristo o Pisani di cui non si sa molto, se non che nel 1538 la Nobildonna Cecilia Bernardo-Pisani fondò un Ospedaèto e testò a suo favore: “affinchè potessero essere ricoverate lì almeno tre povere donne … alle quali si doveva elargire trentasei ducati annui ciascuna, assieme ad una botte di vino e altri generi di conforto”. L'Ospizio era affidato alla gestione e cura dei Procuratori de San Marco de Citra, e rimase attivo fino alla caduta la Repubblica nel 1797 quando l'edificio venne avocato al Demanio e venduto a privati che lo trasformarono in abitazioni mettendo fine al suo secolare scopo … Percorrendo la Contrada si calpestano “i masègni” di Calle del Zavatèr, Calle de a Pàgia, Calle del Luganghèr, Calle del Magazèn, Calle e Sottoportego del Pegolòto, Ramo e Corte del Tagiapièra, la Calle e Ponte dell’Aseo dove sorgeva un'antica fabbrica d'aceto già nel 1400-1500, di cui forse era proprietario Missier Anzolo da l'Aseo morto per ferite in Contrada secondo i Necrologi Sanitari della Parrocchia: “adì 13 Zenèr 1587” ... Dello stesso Ponte dell'Aseo scrive anche il solito Diarista Marin Sanudo in data 28 luglio 1499: “E' da saper ieri fo ritenuto per il Consejo dei Diese uno Citadin vechio e richo nominato Pasqualin Milani, qual teneva una botega de ojo, et una di tele, et fo per sodomia con un Vincenzo Sabatin, et fo trovato in casa di una meretrice al Ponte del’Axeo ...”
Annotava anche il Gallicciolli: “un gran incendio sviluppatosi íl 3 agosto 1725 al ponte medesimo.”… e ancora si potrà trovare: Calle de le Pignàte, Sottoportego e Campiello del Bottèr, Calle del Pistòr, Calle del Zolfo, Calle del Tiracàna, delle Conterie, dei Perlèri, e Calle della Màsena dove nel 1661 in Ramo e Calle della Masena c’era “una casa da Masena da Lin voda” di proprietà di Paolo Marioni.
Segue ancora: Calle Spezièr, Calle del Specchièr, Sottoportego e Corte del Diamantèr, Campiello e Fondamenta dei Fiori, Calle del Forno, Campiello del Remèr, Fondamenta de la Pescaria, Corte e Calle Correra, e la Corte dell’Ogio dove sulla sinistra c’era il grande deposito visibile ancora oggi dove s’immagazzinava e stoccava il prezioso liquido untuoso che andò storicamente e clamorosamente a fuoco il 28 novembre 1789 … rappresentato da Francesco Guardi: “… non lungi dal Campiello del Tagiapiera ai Santi Ermagora e Fortunato (San Marcuola) arse il dì 28 novembre un memorabile incendio, di cui nel Giornale Veneto: “Il Nuovo Postiglione o Novelle del Mondo” si trovano i cenni seguenti: “Accesosi fortuitamente in uno dei magazzini da olio, trascorse come torrente pel vicino canale; distrusse d'un lato le case adiacenti lungo il Campiello, le Colombine, ed il Volto Santo, e dall'altro tutto lo spazio tra il canale stesso ed il Campiello dell'Anconetta ... Le case perdute furono circa 60, abitate da 140 desolate famiglie, tra le quali 50 composte da circa 400 indigenti” … Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori” precisò: “… i predetti magazzini appartenevano alla ditta Giovanni Heilzelmann, ed erano pieni di 240 mila libre d'olio, e l'incendio ebbe origine dal fuoco ivi tenuto per disgelare l'olio, o dalla dimenticanza di spegnere la lucerna pendente dal soffitto” ... Continuò ancora a scrivere “Il Nuovo Postiglione”: “… il medesimo Doge soccorse i danneggiati dell’incendio con 24.000 lire; Giulio Corner con 16.000; Giulio Contarini con 5.000; e la Società del Nobile Casino di San Samuel con 4400. Aprironsi inoltre offerte volontarie nelle chiese dei Santi Ermagora e Fortunato (San Marcuola), San Polo, San Giovanni in Bragora di Castello, e San Zuliàn di San Marco.” ... Ancora i giornali ricordarono: “… in seguito, alcuni buoni temponi o male intenzionati s'aggiravano di notte quasi fantasmi per le macerie delle fabbriche incendiate, spaventando i passanti.”
Fra i tanti Mestieri e Arti della Contrada va sottolineata l’importanza fondamentale e l’operato irrinunciabile dei vari Traghetti “de fòra”, “de dèntro” e “da paràda” presenti in zona. Oltre a segnalare i confini precipui e i limiti fisici e dell’azione economica della Contrada, i Traghetti hanno giocato un importante ruolo d’unione e integrazione fra tutti quelli della Contrada … I Traghetti erano come il riassunto e l’emblema del formidabile brulichio formicolante che ogni giorno investiva e riempiva la vita della tipica Contrada Veneziana di San Marcuola: erano un continuo tramestare produttivo e laborioso dall’alba al tramonto ... nonché occasione d’incontri, scambi, contatti e interrelazioni polivalenti e spesso fruttuose di ogni sorta.
Dal 1494 s’incominciò ad ospitare nella chiesa della Maddalena su concessione dei Giustizieri Vecchi la Schola-Fraglia del Traghetto di Santa Maria Maddalena “per San Stae”. Quello della Maddalena era uno dei “Traghetto de Dentro” più antichi della città (il settimo più vecchio), con posto d’attesa principale o Stazio nella Calle e Sottoportico del Traghetopoco distante “dalla Riva de Citra situata in Fondamenta de le Colonete”a pochi passi dalla chiesa della Maddalena. Sulla sponda opposta del Traghetto, cioè: “de ultra el Canal”, c’era San Stàe(che sarebbe Sant’Eustachio nel Sestiere di Santa Croxe), dove esisteva un pregevole altarolo dei Gondolieri decorato con un bassorilievo lombardesco rappresentante una “Vergine e Santi”(oggi al Museo Correr).… Il Traghetto praticava soprattutto il passaggio trasversale del Canal Grande: era cioè un “Traghetto da Paràda … Se veniva “parài”, cioè spinti, condotti e trasportati al di là del Canal Grande”, ma poteva anche condurre ovunque in giro per Venezia e la Laguna applicando tariffe di Categoria con supplemento esposte in ogni Stazio delle Gondole.
Il Traghetto della Maddalenapossedeva 25 barche di cui 12 in servizio notturno, ed altrettante “Libertà”cioè: posti di lavoro, o “diritto acquistato od ereditato d'occupare un posto nel Traghetto esercitando il mestiere di Barcaiolo” ... Negli Statuti del Traghetto scritti nella Mariegola era previsto che all’atto dell’iscrizione quando si doveva versare una “Tassa di Benintrada e Luminaria”, non si dovesse avere più di 40 anni ... Sempre nella Mariegola si descriveva l’organizzazione delle Cariche Direttive della Fraglia: “la Banca”, e gli obblighi verso i Compagni poveri dell’Arte che sarebbero stati soccorsi in Vita e sepolti in Morte a spese della Schola ... Nel 1503 su iniziativa della Banca del Traghetto, i Capi Sestiere di Cannaregioapprovano la decisione di comminare una multa ai Compagni che si fossero serviti delle Rive del Tragheto dal suono della“marangona di mezzanotte” fino alle due di notte … Sette anni dopo, 30 Gondolieri addetti allo Stazio della Maddalena, ricordando che fra loro c’erano sei Gondolieri-Barcaroli “vecci et impotenti” che non potevano versare il contributo mensile per aiutare i malati, e la concorrenza serrata dei vicini 36 Gondolieri del Traghetto del Gètto Vècio de San Job, e dei Traghetti del Ghetto Novo, Santa Sofia, San Felise, Riva de Biasio, San Marcuola-Riva dei Turchi, San Marcillian e della Madona de l'Orto che faceva ridurre di parecchio i guadagni, chiesero ai Proveditori de Comun di non rimpiazzare i Compagni “passati a miglior vita”, e di ridurre il numero delle barche a 20 e poi a 15 per contenere le spese … Visti però gli scarsi vantaggi conseguenti a quella scelta, di nuovo si chiese nel 1528 agli stessi Proveditori de Comun di aumentare il numero delle barche di una unità al fine di utilizzare il maggiore guadagno per aiutare i soliti Confratelli bisognosi del Traghetto … “Tira e molla … càva e metti e zònta e barche”… Il Capitolo dei Gondolieri propose di approvare una multa contro chi occupava “la Cavanella de San Stàe” (ormeggio coperto), e di multare di 10 soldi anche i Compagni che non utilizzavano “il fèlze de copertura” nelle giornate di pioggia, o quelli che facevano aspettare inutilmente le persone in attesa sull’altra sponda … Di rimando e in parallelo, gli stessi Proveditori da Comun ordinarono anche che la prima e la seconda barca che iniziava il “servizio da nolo” al mattino provvedesse a tenere puliti i gradini della riva … Che “el primo nolo” inoltre “impìssa el feràl de la Madonna, pena un quarto d’olio”… Costatando inoltre che c’erano spese eccessive per restaurare le rive in prossimità degli Stazi della Madalena e San Stàe, ordinarono anche l'elezione di due Sindaci Supervisori precisando: “el Traghetto spende impunemente màssa schèi ...”
Recitavano le Mariegole dei Traghetti, ossia la “Màre di tutte le Regole” per gli Stazi e dei Gondolieri: “Tutti gli appartenenti ai Traghetti di questa città vivano con timidità di Dio e con qualche ordine … non vi debba essere tra loro: risse et costiòn, inzurie e litigi … non si manchi di rispetto a chi chiede prestaziòn de servizio.” … “In ogni barca non ci siano più di quattro persone a lavorare” … “Gli uomini dei Traghetti accompagnino i Confratelli e le Consorelle ai Funerali portandoli in barca fino al Cimitero eccetto che in tempo de Pestilenzia” … “sepoltura gratuita a spese della Schola per i frari e le soròre poveri” … “si paghi un soldo al mese di Luminaria per Nostra Donna … la Madonna”, e 4 soldi al mese “per l’ammalà” che dava diritto a ricevere 40 soldi alla settimana in caso di malattia … Era previsto il pagamento di penalità in cera e olio, e sospensioni se si offendevano gli Ebrei. Si veniva banditi dal Traghetto dai Provveditori da Comun se le colpe erano gravi … “Se fàssa paràda senza impegno (si traghetti gratuitamente) per Frati, Monache e Clero”… e i Gondolieri frequentavano d’obbligo il Catechismosettimanale in una precisa chiesa loro assegnata, con pene e multe se erano assenti o si presentavano in ritardo. (Ve li immaginate i Gondolieri di oggi al Catechismo obbligatorio ?) … Il 3 dicembre 1781Gastaldo e Compagni del Traghetto della Maddalena-San Stàedenunciarono aiProvveditori da Comunil Gondoliere recidivo Antonio Pelosi (già sospeso dal lavoro del Traghetto) “per non essere andato una domenica alla lezione della Dottrina Cristiana, per essersi dato a giochi violenti nel nostro confin, per aver preteso di aver sempre la prima barca, per aver fatto aspettare i passeggeri, minacciato bruscamente chi osava riprenderlo, per dire di non voler badare a nessuno ...” Venne condannato dopo avergli già tolto “la vòlta (il lavoro)”, a pagare quattro libbre di cera ai Provveditori da Comun, e due libbre al Capitello del Traghetto .. e finalmente si calmò.
Pagava pena di 20 soldi e allontanamento dal lavoro del Traghetto per quindici giorni chi offendeva il Gastaldo (raddoppiata la pena se si rifiutava di pagare) … “Chi compie “noli di barca” abusivi paghi ammenda da uno fino a 25 ducati” che veniva spartita a metà fra il denunciante, mentre l’altra metà andava utilizzata: “per l’escavasiòn de Rii e Canali de questa nostra città.”… “Chi gioca sulla riva del Traghetto sia soggetto a multa di 4 soldi e perda “una volta” di lavoro”.
Dal maggio 1858 il Municipio di Venezia fece sostituire l’antica “provvidenza giornaliera de un soldo per l’ammalà” costituendo un nuovo: “Fondo di Soccorso per i Barcaruoli dei Traghetti per il comodo pubblico ed il benessere della numerosa classe dei Barcajoili e delle loro famiglie”. Contemporaneamente tutte le Fraglie o Compagnie dei singoli Traghetti Veneziani costituirono un ulteriore fondo che contribuiva al sostegno presente e futuro dei propri Gondolieri tramite un esborso giornaliero di 6 centesimi da maggio ad ottobre associato ai cespiti delle multe inflitte per le contravvenzioni. Di conseguenza ai “Gondolieribisognosi”si corrispondeva: lire una al giorno estendibile a lire due per quelle situazioni che le singole Fraglie avessero segnalato come particolarmente bisognose d’assistenza. Agendo in quella maniera, le entrate e le uscite del Fondo di Soccorso per i Gondolieri per quell’anno furono di: lire 3.960,12 da Esazioni; lire 54 da multe; e lire 1.000 da una Largizione del Comune da parte del Principe Ereditario ... Si spesero, invece: lire 1.220 per pagamenti ad ammalati; lire 194,40 per spese amministrative ed altro, e ci fu un Civanzosulle esazioni di lire 2.545,72.
E così la vita e il lavoro dei Veneziani nella “maxiContrada di San Marcuola” si concretizzava e realizzava sotto l’egida altissima e assidua della Serenissima … e dei Preti del Capitolo di San Marcuola: erano questi due gli “osservatori e i motori”che facevano “girare” e dettavano“le regole” della vita e delle attività di tutti.
Accanto all’attività preziosa e irrinunciabile dei Traghetti, fin dal maggio 1474 il Consiglio dei Dieci concesse di aggregarsi in Arte et Schola anche al singolare gruppo dei Fenestrèri e Piombadòri, che andarono “a riunirsi pagando affitto”presso la chiesa della Maddalena: “…Magister Fenestrarum Viticarum Venetiae [potranno avere] Scolam et locum in quo possint, apud aliquam ecclesiam, reducere se, sub titulo et nomine alicuius Sancti.”
L’Arte dei Finestreriraccoglieva e consociava gli Artigiani che fabbricavano e vendevano telai per finestre e piombi per fissare le lastre di vetro. Secondo la statistica del 1773-79 in città erano circa 131-135 (52 garzoni e 78 lavoranti), e costruivano in 52 botteghe finestre di due tipi: a rulli tondi di vetro uniti da piombo filato, oppure a vetri in forma ottagonale alternati a lastre più piccole romboidali sempre tenute insieme dal piombo. La “Proba d’Ammissione all’Arte”consisteva nel saper realizzare una finestra quadrata di 5 piedi per lato con telaio e solo sportello con vetro tondi a squadra. Per lungo tempo i Finestraiformarono “corpo unico”(chissà per quale analogia di mestiere ?) con gli Acquavitai, gli Arrotini e i Pestrinai, ed erano caratterizzati da un’insolita apertura di assunzioni verso “Garzoni Forèsti (esteri)” che provenivano dalle terre suddite Protestanti dei Grigioni Italo-Svizzeri. Questa particolare condizione di tolleranza creò non poche diatribe, polemiche e questioni, soprattutto col Clero Veneziano (in particolare con i Preti di San Marcuola), tanto che il Senato della Serenissima giunse a decretare: “… che niuno possa essere eletto per CapoMastro nelle Arti dei Finestrai, se i votanti della Banca e Capitolo non fossero almeno per due terzi appartenenti al Cattolicismo” ... Ancora nel 1742 i Finestraisi lagnavano della cattiva qualità dei “rui da vètro da finestra” la cui produzione era monopolio esclusivo di Stefano Motta(per 10 anni consecutivi Gastaldo dei Verieri) contestandone il privilegio. Non ci fu però nessuno che si propose per sostituirlo ... e tutto proseguì come sempre, come s’era fatto per secoli.
Altra figura“un po’ a parte” ospitata nella Contrada di San Marcuola era la Natiòndei Lucchesi: una sorta di comunità di “rifugiati politici” antelitteram presente a Venezia, e ancora attiva nel 1884 ... “Lucchesi … co a spùssa sotto al naso”dicevano i Veneziani della Contrada, forse invidiosi per via della singolare storia, l’avvedutezza commerciale, la riconosciuta abilità manuale, e la capacità di guadagno dei Lucchesi. Fin dal 1398, infatti, scappando via dalla Toscana sconvolta dalle lotte fra Guelfi e Ghibellini e dalle persecuzioni di Uguccione della Faggiola e Castruccio Castracani, i Lucchesi erano giunti a Venezia dove avevano acquistato dal Nobilomo Marco Barbarigo: " un terren vachuo ne la Contrada de San Marcuola per prescio di ducati duxento d'oro lo qual'è per mezzo la Chiesa oltre l'orto.”… un fondo incolto insomma, dove s’erano costruiti il loro Ospizioe “… fabbricato due rughe o strade di case spendendo 14.000 ducati."… Si trattava della Corte del Volto Santo visibile ancora oggi (in Strada Nova poco distante dal Casinò Municipale e da San Marcuola)circondata dall’acqua come un piccolo Ghetto, col pozzo in mezzo, la Schola, e le sette caxette dell’Ospizio intorno. I Lucchesi quindi vivevano un po’ al margine della vita della Contrada (risiedevano un po’ ovunque nel Sestiere di Cannaregio). Infatti, non a caso crearono la loro “sede religiosa” della loro Schola: “oltre il Rio de la Contrada”, presso Santa Maria dei Servi, quasi a volersi tenere “a debita distanza” da quelli di San Marcuola, cioè “liberi”dal controllo talvolta ingerente e pressante anche dei Preti del Capitolo di San Marcuola. Come ben sapete, i Lucchesi hanno vissuto una loro particolare vicenda storica all’interno di Venezia che li ha a lungo cercati, ospitati, cazziati e utilizzati fino a incorporarne del tutto buona parte ... Nel 1506 la Schola del Volto Santo dei Lucchesi aveva già depositato e accumulato nelle casse del Monte Vecchio di Venezia 17.000 ducati … e nel 1678 venne coinvolta e partecipò “liberalmente e con generosità” alla rifabbrica della chiesa di Santa Fosca offrendo ancora 6.000 ducati.
E con questo abbiamo detto“un poco del tanto” che brulicava quotidianamente in Contrada di San Marcuola, che formò per secoli come vi dicevo un secolare “unicum Foraniale di quattro chiese”: San Marcuola, Santa Maria Maddalena, Santa Fosca e San Leonardo, cioè un’enclave solidale e fortemente interdipendente, correlato e profondamente connesso d’intenti nel cuore del Sestiere di Cannaregio. Lungo i secoli è accaduta come un’unica “gestione” (non solo spirituale) di tutta la zona da parte del Capitolo dei Preti di San Marcuola, che ebbero sui Veneziani della zona un influsso molto superiore a quello che fu dei Nobili e dei CapiContrada. (Questo è un aspetto poco studiato della Storia di Venezia. Si potrebbero aprire praterie infinite d’indagine e studio considerando nei dettagli il singolare epifenomeno delle Contrade Veneziane ... Chissà, magari prima o poi qualcuno si dedicherà a farlo … Sarebbe una ricerca e un arricchimento culturale dei Veneziani davvero curioso quanto interessante).
Ora diamo brevemente uno sguardo sull’altra faccia della gente che popolava la Contrada allargata di San Marcuola, cioè consideriamo i ricchi e i Nobili che popolavano in gran numero la “maxiContrada”. Secondo quanto scrivevano i Preti del Capitolo di San Marcuola, i Nobili erano: “Classi Distinte, di civile ed agiata condizione … ma anche società pervertita, introversa e oscura”… I redattori degli Atti della Visita del Patriarca Pirker hanno, ad esempio, commentato e rimproverato in certe righe: “… nell’Oratorio Azzo si nota una pittura che ha della immodestia vedendosi Maria Vergine con una mammella scoperta ... E’ un’indecenza !”... I Nobili di Venezia tuttavia, come si scriveva all’epoca, erano: “… razza eletta, scelta nel mazzo del qualunquismo, benedetta dall’Alto, destinata a godere in anticipo delle cose del Celesti … e perciò esente da tanto putridume del comune e ordinario vivere sociale”.
Però ! … Che alta considerazione che avevano di se ! … Tutt’altro che meritata in molti casi leggendo com’è andata la Storia.
Nella Contrada allargata di San Marcuola esistevano diverse famiglie Nobili “Antiche e Originarie”: c’erano quelle “della prima ora e di Casa Vecchia”, quelle del secondo e terzo momento: “di Casa Nuova o Casanova o Novissime”, e quelle divenute “Nobili per soldo” cioè comprandosi a più riprese il titolo nobiliare … Dentro a quella “folla di Nobili” esisteva tutta una scaletta di valenze e privilegi che contraddistinguevano e spesso contrapponevano i Casati fra loro. Si rivaleggiava e primeggiava l’uno sull’altro a suon di capitali, patrimoni sparsi in giro per il mondo, e capacità di emergere politicamente e sui mercati.
Basterà ancora una volta leggere i soliti Nizioletti dipinti sui muri della“maxiContrada” per individuare e ritrovare tutti gli epiteti pomposi, i nomi e i titoli Nobiliari “spalmati”sulla realtà urbana dove sorgevano i preziosi e lussuosissimi palazzi dei Nobili di Contrada. Nei pressi della Calle dei Colori verso San Lunardo, c’era ad esempio la Calle Da Mosto dove abitava un “Gaspare Mosto da San Leonardo”che nel 1300 fece parte della Scuola di Santa Maria della Misericordia. La famiglia Mosto, o Da Mosto, o CàdaMosto proveniva da Padova o da Oderzo ... Un Alvise Da Mosto fu famoso viaggiatore Mediterraneo ed Europeo durante il 1400: navigando verso le Fiandre fu costretto per i venti contrari a fermarsi a Gibilterra dove incontrò uno dei figli del Re del Portogallo Enrico di Aviz, che lo convinse ad esplorare le coste Africane prospettandogli ingenti guadagni col commercio delle Spezie. Partito quindi nel 1455, il Da Mosto toccò: Madeira, le Canarie, Capo Bianco e raggiunse la foce del fiume Senegàl ... Poi insieme al Genovese Antonio Usodimare raggiunse anche le foci del Gambia dove andò a sbattere contro l'ostilità degli indigeni. Un anno dopo ritentò l'impresa risalendo il Gambia per 70 miglia e raggiungendo il Senegal meridionale, le Isole Bijagos e avvistando l'Arcipelago di Capo Verde ... Vittore Da Mosto, invece, fu Governatore di Nave nel 1701, Almirante delle Navi nel 1708, e Provveditore di Santa Maura nel 1709: morì insieme a 260 persone nell’incendio che fece esplodere la sua nave carica di munizioni ... Questo per dire come in certi angoli di Venezia si riassumevano volti ed esperienze capaci di coinvolgere e d’interessare luoghi lontanissimi del mondo: Venezia era per davvero Porto di Mare spalancato e disponibile ad ogni esperienza, in un certo senso era per davvero una “caput Mundi” singolare.
In Calle Rabbia(che non si chiamava probabilmente così per l’impeto rabbioso con cui la Peste aveva colpito quella zona della Contrada, ma più verosimilmente perché lì abitava una famiglia borghese di cognome Rabbia), un Mercante Francesco Rabbiaaiutò nel 1374 Lucia Tiepolo a fondare la chiesa e Monastero del Corpus Domini(dove sorge oggi la Stazione Ferroviaria e il Ponte di Calatrava) ... Un altro Paolo Rabbia Mercadante navigò nel 1421 nonostante una furiosa tempesta nei pressi del Golfo del Quarnaro in Istria. Riuscì abilmente a salvare se stesso, l’equipaggio, la nave, e soprattutto il suo prezioso carico, perciò giunto a Venezia andò a fare voto di ringraziamento davanti alla Reliquia della Santissima Croce della Schola Granda di San Giovanni Evangelista ... Anche il solito Diarista Marin Sanudoriferì qualcosa nel febbraio 1508: "si fece festa etiam in Cannaregio per le nozze del fio di Fazio Tomasini con una Rabbia".
Potremmo procedere a raccontare in questa maniera quasi all’infinito: in Contrada abitavano i Nobili Giovannelli: Bergamaschi da Gandino, Mercanti di seta e oro, proprietari di miniere di preziosi nell'Europa orientale, Nobili e Magnati del Regno d’Ungheria, Conti del Sacro Romano Impero e di Morengo e Carpenedo, feudatari dei Castelli di Telvana e Castel San Pietro in Trentino, e dei villaggi di Caldaro, Castel Varco e Baumgartnoss in Tirolo, e proprietari di numerosi e sontuosi palazzi a Gandino e Clusone, a Venezia, Morengo, Padova, Torreglia e Noventa Padovana, Lonigo di Vicenza e Roma ... I Giovannelli divennero Patrizi Veneziani dal dicembre 1668 sborsando i famosi 100.000 ducati nelle Casse della Serenissima impegnata nelle spese per la Guerra di Morea ... Dalla famiglia nacque lo schivo e riservato Federico (Ferigo) Maria ultimogenito di Giovanni Paolo e della seconda moglie Giulia Maria Calbo, che il Senato con 146 voti a favore e 63 contrari votò, elesse e mise a governare Venezia come Patriarca dal 20 maggio 1776.
Di lui si raccontò che s’insediò pomposamente in Venezia scortato da un seguito sfarzoso di quasi tutti i Patrizi Veneziani vestiti in toga rossa. Lo accompagnarono lungo tutte le Merceriee fino alla Sala del PienCollegio in Palazzo Ducale dove ricette l'investitura a Patriarca da Paolo Da Ponte Vescovo di Torcello. Poi da lì in compagnia del Doge Alvise Mocenigo si portò fino alla Sede Patriarcale di San Pietro di Castello con un corteo acqueo simbolico di 72 "peòte"(una per ogni Parrocchia-Contrada di Venezia) ... Si scrisse ancora di lui che usufruendo del suo ingente patrimonio fu prodigo nel soccorrere i numerosissimi poveri Veneziani, che promosse il Culto dei Santi e le Liturgie, e curò la formazione del Clero che era scadentissima … Nel 1779 consacrò la nuova chiesa di San Marcuola, e negli anni seguenti non mancò d’inaugurare e consacrare quelle rinnovate di: San Basso, Santa Margherita e San Barnaba... Si disse e scrisse ancora: “ch’era Patriarca un po’ scalcinato”perché in uno dei suoi discorsi alla città si spinse a definire Venezia: “Città non del tutto cara e ben accetta alla Provvidenza Divina.”, e che dietro di lui ci fosse sempre lo zampino pronto e attivo di sua madre, sua ispiratrice e accompagnatrice per quasi tutta la vita … Quasi cieco, il Giovannelli visse la caduta della Serenissima nel maggio 1797, e andò a giurare fedeltà al nuovo regime accompagnato dai Canonici, dai Piovani delle Contrade e dal buona parte del Clero Veneziano, invitando i Veneziani a obbedire “alle nuove leggi… rispettando però la Religione”… Identica cosa fece quando arrivarono gli Austriaci a Venezia, tanto che l'Imperatore lo designò come: “suo intimo e personale consigliere”… Se non è stato opportunismo questo ? … “Sono cambiati i gestori della cosa pubblica, ma l’osso da spolpare rimane sempre lo stesso, e su di esso avidamente s’avvanzano e si gettano illustri cani affamati di ogni sorta ... Povera Venezia !” commentarono con un certo sarcasmo alcuni Veneziani di quegli anni (non è cambiato molto a confronto con oggi)… Il Patriarca Giovannelli morì di colpo apoplettico a Conclave in corso durante l’elezione che generò Pio VII nell’Isola di San Giorgio Maggiorea Venezia giusto nell’anno 1800. I Cardinalirinchiusi dentro al Conclave vennero a sapere della sua morte soltanto quattro giorni dopo, e per omaggiarlo gli pagarono le spese del funerale che venne celebrato privatamente e senza alcun apparato e pompa in San Francesco della Vigna ... Solo 40 giorni dopo (!) il Governo Austriaco concesse ai Veneziani il permesso di celebrarne le Esequie Solenni nella chiesa Cattedrale di San Pietro di Castello ... e questo a dire quale fosse in realtà la scarsa considerazione di cui godeva il Patriarca da parte dall’Imperatore.
Nel Casato dei Giovannelli Veneziani ci fu anche un Benedetto Giovannelli “Cavalier ricchissimo, devoto, di nobilissimo cuore e caritatevole con i poveri, che non voleva denaro ma l’abbondanza di tutti”, che esercitò da Podestà di Treviso nel 1696 in tempo di carestia. Fece rifornire Treviso di vettovaglie, frumento e granoturco, sorgo e miglio facendoli vendere a proprie spese a prezzo minorato (nei mercati di Montebelluna e Badoere si vendeva il sorgoturco a 30 lire, il sorgorosso a 17 lire, il miglio a 20, il frumento da 36 a 55 lire lo staio, e lui lo faceva dare a 26 lire pagandone la differenza e spendendo fino a 20.000 ducati);costrinse i Mercanti che tenevano chiusa e nascosta “la ròba” a venderla sul mercato, e i Fornai a panificare e vendere a prezzo bassissimo la farina gialla (quattro soldi la libbra, quando tutti la davano a sei soldi):“… la gente veniva a Treviso dalle ville di campagna dove si moriva di fame e miserie, e si portava via i sacchi pieni … Alla mattina si trovavano i morti di fame per strada … e alle nove del mattino i forni e le botteghe erano già vuote…”
C’era insomma “una foresta di Nobili” nella Contrada allargata di San Marcuola… di tutti i tipi, borse e qualità ... che fra l’altro si spostavano di continuo di palazzo in palazzo, e da una parte all’altra di Venezia seguendo il successo commerciale, economico e politico, e scegliendo di volta in volta palazzi sempre più arditi e prestigiosi tanto da dare nome a parti intere, Corti, Ponti, Fondamente e Campielli della Contrada.
Nella sub-Contrada della Maddalena risiedevano i Barbaro di San Cassan: Nobili di V Classe residenti in un palazzo affacciato sul Canal Grande; c’erano poi gli Emo “sul Canal Grande” provenienti dalla Grecia; i Molin-Erizzo della Maddalena (originari di Capodistria e giunti a Venezia nell’800) divenuti tali a seguito del matrimonio di Giacomo Erizzo con Cecilia Molin nel 1650; e i Molin-Querini-Gaspari della Maddalena “sul Canalàsso”. Entrambe le famiglie erano Nobili di III Classe, e possedevano un palazzo con facciata giusto sulla curva del Canal Grande all’imbocco del Rio della Maddalena dove nacque e visse il Doge Francesco(1646-1655).
Non mancarono in Contrada i Nobili Magnooriginari di Oderzo, che abitavano proprio accanto alla chiesa della Maddalena. Si misero un gran rilievo di San Magno in facciata (rimasto visibile seppure consumatissimo ancora oggi); i Marcello-Del Majno della Maddalena di Classe IV, imparentati con i Nobili Pindemonte-Papadopoli, e con i Sangiantoffetti. C’erano i Nobili Moro, gli Zen, e i Marcello che avevano palazzo in Corte Erizzo dove nacquero diversi personaggi famosi: Lorenzo Marcello(1603)Capitano da Mar che durante l’assedio turco di Candia bloccò lo stretto dei Dardanelli, e quasi entrò in Costantinopoli senonchè una cannonata lo spazzò via costringendo i Veneziani a desistere; sempre nello stesso posto nacque Benedetto Marcello (1686) celebre compositore e musicista. C’erano i Nobili Soranzo di III Classe: “Longhi di Casa Vecchia” provenienti da Santa Margherita, e divenuti Piovene dal 1760 quando Cecilia, figlia di Piero Soranzo, sposò Gerolamo Piovene portandosi in dote il palazzo Lombardesco del 1500; c’erano i Nobili Padovani Contin residenti in un sontuoso palazzetto gotico: “Ribelli ad Agnadello” erano stati definiti a Venezia, ma erano stati anche primi deditori di Padova a Venezia, e fra i Contin si scelse nell’aprile 1618 Tommaso Contin come perito (insieme a Giovanni Alessandro Galesi e Camillo Guberni)per individuare la causa della strana morte di otto Monache di San Maffio di Mazzorbo: “… le Monache di San Maffio di Mazzorbo presentarono una supplica per considerare le cause per le quali il mal d’aere possi aver preso tanta forza … che in pochi giorni habbi cagionato la morte di otto d’esse Reverende Monache …”
Tommaso Contin e compagni alla fine individuarono la causa di quelle strane morti nel fatto dell’afflusso delle acque dolci provenienti dai fiumi Marzenego, Dese, Zero e Sile che entravano a sfociare in Laguna. Le acque s’erano inquinate, frammischiate, stagnate e imputridite, e le Monache avevano bevuto dal loro pozzo: “acqua marcia maleficata” che le aveva fatte morire ... Sempre lì nella stessa Contrada stavano i Nobili Donà dalle Rose, e i controversi Nobili Torniello di origine Milanese: che ebbero un Stefano Torniello che venne impiccato a Venezia nel 1659 per ordine del Consiglio dei Dieci, e un Giorgio Torniello che più tardi nel 1797, fu viceversa uno dei 25 illustrissimi Segretari del Senato, e Baldissera e FrancescoTorniello: due illustri Notai Ducali dell’Extraordinario.
Nella vera e propria Contrada di San Marcuola cuore della “maxiContrada” abitavano in Fondamenta dei due Ponti i Balbo di San Marcuola Nobili di IV Classe; c’erano poi i Duodo di San Marcuola di III Classe poi trasferitisi a San Barnaba; i Grimani-Calergi di San Marcuola considerati fra i 15 Casati più ricchi di Venezia; i Mora di San Marcuola di IV Classe; i Da Mosto di San Marcuola di V Classe; Michiel; Vendramin-Calergi; i Zorziinsediati dal 1762 in un palazzo archiacuto affacciato sul Canal Grande; e i Rubini o Rubin di San Marcuola Nobili di IV Classe d’origine Bergamasca, Mercanti di Seta prima e poi Mercanti di Sapone(divenuto più redditizio della seta), divenuti “Patrizi Veneziani per soldo” nel 1646 subito dopo e insieme ai Labia, e ai vari nuovi Nobili: Widmann, Zaguri, Tasca, Correggio, Antelmi, Medici, Gozzi e Zenobio ... I Rubin però vennero accettati nel Patriziato Veneziano con ben 50 voti contrari, segno di disagio nei loro riguardi da parte dei Nobili Originari, che li consideravano a loro dire:“bassi gestori al tacito servizio del vero potere che conta”. In seguito i Rubin appartennero alla ristretta cerchia dei Cittadini Originari Veneziani che si presero cura della Cancelleria Ducale fino ad essere Segretari del Senato e dei grandi Consigli di Stato ... Furono fra le famiglie nobiliari che ebbero maggiore accesso a rilevanti Cariche Ecclesiastiche: stavano stabilmente all’interno della Corte Pontificia, e furono insieme ai Surian, Ottoboni, Medici, Zon, Vianol, Donini, Zaguri, Piovene, Feramosca e Tascafra le 11 “famiglie Aggregate” che fornirono in quantità e continuità i Giudici della Quarantia Criminal della Serenissima … Un Michele Rubin fu Guardian Grando della Scuola Grande dei Carmini nel 1622: giusto poco prima della “grande Moria” del Voto della Madonna della Salute ... Un nipote di Donà Rubin che di nome faceva GiovanBattista, dopo essere stato Governatore di Spoleto, Frosinone, Viterbo e Macerata, venne eletto nel 1684 a Vescovo di Vicenza, e nel 1690: “assunse a Cardinale” ... I Rubinisi estinsero nel 1756 in un Antonio quondam Camillo, nipote dell’Illustrissimo quanto Eccellentissimo Cardinale Alessandro.
Ancora in Contrada c’erano: i Nobili Venier di San Lunardo di V Classe; i Nobili Caotorta: esclusi e poi riammessi al Maggior Consiglio, proprietari a Meianiga nel Padovano di: “… domus magna de muro, cum una alia domo parva et curtivo, et cum campis duobus terre partim brolive et partim arative…”. Furono prossimi ad estinguersi nel 1527, Segretari Ducali ancora e invece nel 1731, Notai Ducali dell’Extraordinario nel 1797 alla fine della Serenissima, e “riciclati” ancora dagli Austriaci come “Nobiltà valida” nel 1819.
C’erano: i Correr-Contarini; i Donà-Tedesco; i Grimani-Mayer; iGritti-Dandolo di San Marcuola di III Classe; Longo; Loredan-Gheltoff di San Marcuola di IV Classe; i Memmo di IV Classe, che nel 1761 disponevano di: 4 gondole, 12 servitori e 3 massere ... Nel 1791, corsi e ricorsi storici: “… il Memmo non ha più barca, è ridotto in miseria.”, e divennero Martinengo-Mandelli-Donà delle Rose.
Non mancavano in Contrada i Casati considerati “minori”, ma pur sempre prestigiosi e ricchi: Marini, Zecchin-Della Torre, e i Nobili Nani di Casa Nuova ma di origine Altinate, definiti: “casetta” dagli altri Nobili per non aver mai avuto Dogi in famiglia, e considerati: “una fra le case più basse e meno prestigiose condannate ad eterno quanto disperato tramonto”… Non era vero, forse era tutta invidia degli altri Nobili, perché i Nani dal 1310 al 1407 erano stati una fra le 15 Famiglie più importanti di Venezia capaci d’imporsi e prevalere fino a partecipare al temutissimo e potentissimo Consiglio dei Dieciinsieme ai Contarini, Morosini, Michiel, Dolfin, Loredan, Venier, Marcello, Corner, Trevisan, Foscari, Molin, Soranzo, Zorzi e Falier ... Fatalità: buona parte di quelle famiglie risiedevano nella “maxiContrada” di San Marcuola, e nel 1797: la biblioteca privata aperta a pubblico profitto dai Nani di San Trovaso era considerata una delle sette principali delle famiglie Patrizie Veneziane e dell’intera città.
Nella parte della Contrada che riferiva a San Lunardo risiedevano: i Cappello di San Lunardo di Classe II, dei quali Piero Andrea Cappello quondam Piero Girolamo di San Leonardovedovo di Elena quondam Giobattista Albrizzi prese in moglie nell’ottobre 1423 la NobilDonna Eleonora figlia di Odoardo dei Collalto del Ramo di San Lunardo Damigella della Regina d’Ungheria dove il Cappello era Ambasciatore. Si diceva in giro per la Contrada che la dote della sposa fosse misera: di soli 2.000 fiorini, quasi come una Cittadina o una fortunata popolana qualunque … ma si aggiungeva anche che la Reginale aveva regalato una collana di perle del valore di 11.000 fiorini ... Nella stessa zona abitavano anche i Querini Papozze di San Lunardo di I Classe; i Venier di San Lunardo di V Classe che si spostarono presto ad abitare verso San Marcuola in un palazzo maggiormente confacente alla loro condizione; i Correr-Contarini; e i Nobili Emo in un palazzo del 1700.
Nella zona di Santa Fosca, invece, in Corte Barbaro abitavano ovviamente i Nobili Barbaro; c’erano inoltre i Barbarigo, i Bragadin-Vellutiin Calle e Corte Bragadin; al Ponte e Calle Correr abitavano i Correr-Contarini di Santa Fosca: Nobili di II Classe in palazzo archiacuto del 1400; c’erano ancora: i Costa; in Calle, Campiello e Fondamenta Diedo risiedevano i Diedo di Santa Fosca Nobili di III Classe in palazzo del 1700 attribuito ad Andrea Tirali che secondo la tradizione eresse un palazzo tale da far ombra a quello vicino di Francesco Grimanidistrutto nel secolo scorso; c’erano i Donà dei Santi Apostoli divenuti poi Giovannelli di Santa Fosca di II Classe: una delle 25 Famiglie Ducali, Nobili di III Classe, poi spostatisi a Riva di Biasio oltre il Canal Grande. Abitavano un palazzo archiacuto della fine del 1300 che Filippo Calendarioarchitetto di Palazzo Ducale pare ne abbia seguito la costruzione. Nel 1538 venne ceduto ai Donà di Urbino e in esso si celebrarono famosissime feste: quella per le nozze di Guidobaldo II d’Urbino con Vittoria Farnese nel 1640, ad esempio, e quella pomposissima del 1709 durante il soggiorno a Venezia di Federico IV Re di Danimarca. Il palazzo passò quindi ai Principi Giovannelli che vi raccolsero un’importante collezione d’opere d’Arte andata oggi dispersa fra cui sembra ci fosse anche “la Tempesta” del Giorgioneche venne poi comprata dallo Stato per la neonata Galleria dell’Accademia.
In Fondamenta Grimani abitavano i Grimani da San Moisè di III Classe; i Nobili Michiel stavano in un palazzo del 1500-1600, mentre al Ponte Pasqualigo risiedevano i Nobili Pasqualigo poi Giovannelli in un altro palazzo del 1500. I Gussoni di Santa Fosca che risiedevano al Ponte di Noale erano originari di Cividale del Friuli e passati per Torcello, risiedevano come Gussoni della Vida in Calle Minio in un palazzo costruita nel 1500 dal Sanmicheli con facciata sul Canal Grande affrescata dal Tintoretto e col cortile interno dipinto da Gianbattista Zelotti. Anche i Gussoni erano considerati fra le 15 Casade più ricche e intraprendenti di Venezia: furono spesso Podestà e soprattutto Ambasciatori della Serenissima, e alla fine del 1600 palazzo Gussoni di Santa Fosca conteneva una celebre collezione di quadri raccolta dal Cavalier Vincenzo, e ospitava l’Accademia Delfica detta Gussonia: “solita occuparsi d’esercizi di eloquenza estemporanea e bel parlare”, di cui il Senatore Francesco Gussoni insieme a Zuanbattista Corner e Alvise Duodo erano i Protettori. L’emblema dell’Accademia Letteraria Delficache era anche filoSarpiana, era un tripode col motto: HINC ORACULA… “ne faceva parte anche un poetastro d’epoca Cristoforo Ivanovich”recita una nota storica sull’Accademia… Giustiniana Gussoni fuggì nel 1731 da Venezia insieme al Conte Francesco Tassis di Bergamo, col quale si sposò con matrimonio clandestino, e rimasta vedova cinque anni dopo, si risposò con Pietro Martire Curti, morendo a soli 27 anni, e venendo sepolta nella chiesa degli Scalzi a Venezia … Sempre negli stessi anni i Gussoni finirono con l’estinguersi col Senatore Giulio che nel 1739 lasciò i suoi beni per metà alla moglie Faustina Lazzari, e per metà alla figlia Giustiniana. Il palazzo di famiglia di Santa Fosca passò nel 1747 per via ereditaria ai Nobili Minio con l'obbligo ai beneficati di aggiungere al proprio cognome quello dei Gussoni, e mancando eredi maschi, il palazzo sarebbe dovuto diventare proprietà della Casa Professa dei Gesuiti delle Fondamente Nove di Venezia … che una sentenza provvide ben presto e prontamente ad escluderli.
Quasi come un largo fiume che fluisce di continuo e senza fine, c’erano ancora in Contrada: i Priuliin un palazzo del 1600 con aggiunte del 1700; i Ruoda diventati Nobili nel 1685“per la Guerra in Morea”; i Tirabosco in palazzo del 1500; i Longo di Classe V in un palazzetto gotico d’inizio 1400; i Pesarodi origine romagnola, che stavano in un altro palazzo archiacuto del 1400, divenuto proprietà nel 1615 dei Nobili Pappafava per via del matrimonio di Pesarina Pesaro con Bonifacio Pappafava… In Fondamenta Vendramin c’era il loro Palazzo di fine del 1400; c’erano i Lucadi Santa Fosca di III Classe; e i Zulian-Priuli di Santa Fosca in Corte Zulian di III Classe poi andati in Contrada di San Felice … Nella Contrada allargata di San Marcuola-Santa Fosca-San Lunardo e della Maddalena abitavano insomma un po’ tutti: c’era anche la così detta: Ca’ del Duca dove nel 1531 il Duca di Urbino Francesco Maria della Rovereamico di Alfonso D’Este ed il Leonardi, suo rappresentante stabile presso il Governo Veneziano, discutevano dell’arte della guerra antica e moderna, degli ordinamenti di campo, di macchine ossidionali, di castrametazione, di progettazione di piazzeforti, di città murate, della progettazione di architetture di porte urbane, della struttura di ponti da buttare attraverso i fiumi e del rapporto tra organizzazione e le decisioni relative a tutto questo e dell’arte del governare ... Il Duca come s’intende era un esperto d’armi e della guerra, e arrivò a realizzare nell’Arsenale dei Veneziani dei pezzi d’artiglieria capaci di allungare di 2 miglia il tiro contro i Turchi … Infine c’erano i Moro e i Da Canal nelle Fondamente che portavano il loro stesso nome; i Nobili Zen di Santa Foscaconsiderati fra i dieci Casati più poveri di Venezia; e gli Zancani o Zantani o Centani di Casa Nova oriundi di Jesolo nell’omonima Calle e Ponte: “Negligenti nell’essere Nobili e nel Consiglio”, avevano altri Rami del Casato a San Tomà e San Vio nel Sestiere di Dorsoduro … Un Nicolò Zancani venne eletto Piovano di San Pantalon nel 1315 … Andrea Zancani fu Ambasciatore di Venezia a Costantinopoli nell’ultimo anno del 1400, e l’anno prima ad Antonio Zancani Consigliere a Candia venne rifiutato da Antonio Baffo e Bernardino PolaniConsiglieri di Rettimol’accesso all’isola come nuovo Governatore. I colpevoli vennero condannati a un anno di prigione, e all’esclusione per 10 anni da ogni Ufficio dell’isola di Creta … Antonio Zentani nel 1500 si dedicò alla costruzione dell’Ospedale degli Incurabili sulle Zattere di cui gli Zentani furono spesso Governatori e munifici benefattori essendo un po’ “i boss” e notevoli proprietari di case nella limitrofa Contrada di San Vio del Sestiere di Dorsoduro.
Mi fermo qua … Non sarebbe più finita … E’ come scoperchiare una scatola cinese dentro alla quale ne trovi sempre un’altra, poi un’altra e un’altra ancora senza mai finire … E poi non voglio stancarvi e annoiarvi troppo ancora una volta … Ci tengo a non sfiancare del tutto i miei “due…”illustri e pazienti lettori che seguono le mie “Una curiosità Veneziana per volta”… Tutto quanto ho riassunto sulla “maxiContrada” comunque è solo come “la cornice”, un assaggio, un accenno, il contenitore o se volete il palcoscenico del “ricchissimo copione” descritto nella lettera di Don Rado e accaduto dentro alla“Contrada allargata” di San Marcuola a Venezia.
Mi chiedo però: chi era quel Don RadoPiovan di San Marcuola, o meglio: … quale ruolo interpretavano i Preti del Capitolo di San Marcuola sulla vita e la storia delle gente di quella Contrada Veneziana ?
Mi risponderete: facile ! … I Preti facevano i Preti ! … Che altro vuoi che facessero ? … Si sa bene che cosa fanno e facevano.
Ne siete proprio sicuri ?
Ritengo, invece, che i Preti del Capitolo di San Marcuola al pari di quelli degli altri Capitoli delle chiese Veneziane, Lagunari e della Terraferma, abbiano “avvertito come nessun altro il polso degli accadimenti e della gente”, avuto una consapevolezza particolare della Contrada, “giocato” un ruolo specialissimo, esercitato un “influenza e un condizionamento forte”… che neanche immaginiamo, e che soprattutto non merita d’essere dimenticato.
E cioè ? … Quale sarebbe ? … Che cosa intendo dire ? ... e a quali fatti e considerazioni mi riferisco ?
(fine della seconda parte/continua con la terza parte: "La “macchina subliminale e le Consuetudini” dell’Archivio della Contrada.")