“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 174.
“Singolari Preti di Contrada Veneziana.”
Prima d’addentrarmi a parlare della “macchina subliminale”dell'Archivio e delle Consuetudini della Contrada di San Marcuola”(la terza parte della curiosità sulla lettera del 1820 scritta dal Piovano Don Rado di San Marcuola), credo sia necessario provare a intuire se non comprendere chi erano, com’erano e come si comportavano certi Preti che per secoli hanno formato i Capitoli Titolati del Clero delle Parrocchie-Contrade Veneziane.
Non è facile ricostruire tutte quelle identità eterogenee, e soprattutto lontane nel Tempo e dalla nostra sensibilità attuale, ma provo a delinearne qualche tratto lo stesso a partire dalle esperienze che ho avuto di alcuni di loro in prima persona … Ritengo, infatti, d’aver avuto modo di conoscere e approcciare più o meno direttamente quelli che sono stati gli ultimi Preti da Contrada Veneziana, perché quel tipo di Preti oggi non esiste più.
Per intenderci meglio: oggi buona parte del Sestiere di Cannaregio di Venezia(quello in cui sorgeva la Contrada di San Marcuola di Don Rado di cui stavamo parlando)è affidata a pochissimi Preti rimasti. Il buon Don Stefano Costantini, ad esempio, è oggi Parroco-Piovano felice dell’Unità Pastorale unificata che comprende tantissime di quelle che sono state un tempo le piccolissime Parrocchie-Contrade di Cannaregio. Sotto la sua sapiente quanto umana guida di Pastore (è mio compaesano, lo conosco fin da bambino, e quindi so bene chi è)“sopravvive il gregge” di parte dei pochi Veneziani rimasti delle Parrocchie di San Marcuola, Santa Maria Maddalena, San Lunardo, Sant’Alvise, San Gerolamo, Santa Foscae altro ancora (queste scelte conglobanti obbligate di Parrocchie sono dovute alla fortissima diminuzione del numeri dei Fedeli Veneziani, oltre alla crisi vocazionale che ha ridotto grandemente il numero dei Preti impedendone il “fisiologico” ricambio generazionale nei luoghi … Buona parte dei Preti Veneziani sono ormai anziani o quasi, e non godono più dell’accondiscendenza e del seguito dei Veneziani di un tempo).
Anche dal punto di vista “preteresco”è rimasto “poco o niente” di quel che è stata la variegata e intensa vita quotidiana delle Contrade Veneziane, ci sono come “i fantasmi e le ombre delle memorie” di quell’esperienza e di quella presenza che è stata più che assidua … Sono cambiati inoltre anche i tempi, i modi, e perfino i “contenuti e le proposte religiose”, oltre che le persone Sacerdotali con la loro tipicità nell’esserci ed operare inseguendo il loro scopo precipuo. Possiamo dire che una certa stagione delle Contrade Veneziane è tramontata definitivamente, e che una certa “identità Contradariale”è andata ormai cancellata per sempre.
Sopravvive “qualcosa”, qualche memoria sbiadita … ma forse … in qualche nostalgico e arroccato sostenitore del “tempo che fu”, ma si è di certo persa quella consapevolezza solita che formava l’identità spicciola e giornaliera della Contrada … e questo, male o bene che sia, oggi è storia e purtroppo realtà.
Dicevo, che ho fatto a tempo a vedere, conoscere e incontrare … fortuna o sfortuna non so … quelli che considero gli ultimi Preti delle Contrade Veneziane, forse gli “eredi”di quel Don Rado di San Marcuola che è arrivato a scrivere quella lettera cogente al Patriarca Pirker nel 1820.
Posso dire intanto e sicuramente, che diversi Preti dei Capitoli e delle Contrade Veneziane sono stati dei personaggi singolarissimi, non degli stereotipi ma dei tipi originali, quasi delle macchiette qualche volta, di sicuro: personalità ambiziose d’altri tempi, uomini oggi forse obsoleti e improponibili, ma che allora hanno goduto di una loro indubbia bontà, valenza ... e forse anche ambiguità.
Quel che conta poi, ai fini del nostro “curiosare Veneziano”, è che quelli che abitavano in quel che rimaneva delle Contrade Veneziane, hanno avuto a che fare direttamente e continuativamente con loro. Hanno dovuto rapportarsi più o meno per forza con quei tipi, e quasi ogni giorno hanno dovuto declinare la propria esistenza a seconda del loro modo d’essere, di atteggiarsi, di proporsi e d’intervenire. Non si viveva in Contrada a prescindere dai Preti del Capitolo.
Con questo discorso comunque non intendo entrare in merito alle qualità intime e intellettuali di quegli uomini e Preti, non tocco l’argomento delicatissimo della loro formazione, né la loro consapevolezza Dottrinale e Teologica sulle quali ci sarebbe parecchio da dire ed eccepire, né voglio sindacare sulla loro coerenza e fedeltà, o l’unione d’intenti col Patriarca e col lor mandato Sacerdotale. Voglio piuttosto accennare al loro “modus” umano di presentarsi e presenziare in Contrada, e di come certe volte la gente Veneziana si rapportava con quei Preti e uomini chiamati ad indirizzare fortemente e con insistenza la loro vita fin nel profondo.
Quale sia stato l’intento e l’obiettivo dei Preti si sa: “è quello”… C’è poco da spiegare e aggiungere, ma certi Preti delle Contrade possedevano “un quid speciale” nel viverlo e interpretarlo, che merita d’essere raccontato … (sempre secondo me ovviamente).
Sostanzialmente nella mia mente fin da giovane ho sempre identificato due tipi di Preti, quasi come due aspetti di un’unica medaglia Preteresca e Contradariola. Non distinguo affatto fra “Preti buoni o cattivi”… Dio mi strafulmini se intendessi arrogarmi e azzardarmi in giudizi … Dico e scrivo piuttosto di due modi diversi di porsi e di fare che ho avuto modo di conoscere ed esperimentare direttamente vivendo a Venezia qualche decennio fa, e ascoltando attentamente le testimonianza e i ricordi di diverse persone.
Di certo entrambe le categorie dei Preti erano immerse dentro fino al collo e oltre in quel mondo effimero, pomposo, aulico e caramelloso e ipergentilino tipico del Clero, della Frateria e delle Monache non solo Veneziani … Da una parte devo dire che sono esistite belle e brave e buone persone, “luminosi esempi di Prete” degni di rispetto e forse anche di qualche elogio: Preti, insomma, degni del loro ruolo, e coerenti con loro mandato interiore … Erano un po’ rari però e purtroppo, questo devo aggiungerlo, non sono stati la normalità come sarebbero dovuti essere.
Fra i tanti voglio ricordare, come esempio positivo, “il vecchio” Don Marchetti Piovano di San Zaccaria… Ho avuto modo di conoscerlo direttamente a suo tempo, e ho più volte parlato direttamente e ricevuto molte testimonianze da certi che l’hanno visto nottetempo portare a spalla materassi di lana nuovi a chi ne era rimasto sprovvisto a causa dalla miseria ... Se non portava quelli, Don Marchetti portava, sempre nottetempo, qualche grosso pentolone fumante di minestrone o pasta e fagioli, e se non era quello ancora: portava qualche vestito per i bimbi, qualcosa per andare a scuola, o qualche spicciolo che non guastava mai per continuare a tirare avanti … insieme a “una buona parola”… Nottetempo: era importante ! … perché si andava a lenire certe povertà coperti dalla discrezione del buio, e a sopperire senza apparire a quella che a volte era vera e propria fame oltre che plateale indigenza.
“A zènte e le famègie a volte proprio soffre per tanti motivi e avversità … e lo fanno in silenzio e nel nascondimento … Magari mangiano polenta, e pane condito col profumo della carne, o con una misera sardèlla … Però si vergognano di ammetterlo perché hanno una loro dignità da difendere …Tòca al Prete andarli a scovare e aiutarli senza umiliarli ... con rispetto, e fraternamente, come è chiamato a fare.”
A differenza di tanti altri Preti considerati “validi” secondo eterogenei parametri considerati “dall’alto”, Don Marchettiè diventato Monsignore “per meriti sul campo”, cioè perché ha incarnato generosamente un modo sincero d’essere e di dedicarsi meritevole d’elogio, ammirazione … e perché no … anche d’imitazione.
I Preti come Don Marchetti(perché non era l’unico a comportarsi così, ma era un “tipus”di Prete), andavano in giro con la veste talare consumata e smunta, riciclata a volte da un altro Prete morto, o altre volte di misura fin troppo corta tanto da far risaltare a distanza i candidi calzini delle gambette magre … Don Marchetti era “secco e tirato come un chiodo”, ed era così perchè viveva povero dando più che poteva e tempestivamente a chi aveva per davvero bisogno ... Un bel esempio di generosità e umiltà ! … pur senza volerlo monumentalizzare … Non so se oggi esistano ancora personaggi del genere ? … Si lo so: è ovvio che la Carità va fatta di nascosto, e che tante cose buone fatte non si verranno mai a sapere … Però, come nel caso di Don Marchetti, se c’è stata una buona attitudine, poi è finita con l’emergere e venire allo scoperto … Era la gente delle Contrade Veneziane che non sapeva né voleva tacere certe cose … anzi.
I Preti come Don Marchetti era facile ritrovarli intenti a “breviariare o rasariare”in tondo alla chiesa, o in qualche angolo in penombra ... A volte entrando non intravedevi nessuno, avvertivi solo un sommesso borbottio. Poi mettevi a fuoco e abituavi gli occhi al buio della grande aula liturgica, e vedevi quello lì, vestito di nero sullo sfondo scuro, che pareva confondersi con i dipinti delle secolari pareti … Sembrava quasi un’emanazione di quelle vecchie storie raccontate e dipinti sui muri.
Certi Preti simili a Don Marchetti, li ho visti direttamente con i miei occhi vestirsi mettendo gli elastici sui pantaloni o sulle maniche delle camicie troppo larghi e lunghi nascosti dalla lunga veste nera … Qualche volta indossavano scarpe usate da altri, anche di due numeri più grandi … “ma ancora bòne”… Li ho visti portare d’estate sotto alla nera tonaca talare bottonuta lunga fino ai piedi, dei polsini candidi e inamidati a manicotto, “tagliati quanto bastava fino al gomito”, al posto dell’intera camicia … Alla stessa maniera indossavano un “finto collo bianco”ugualmente sagomato e tagliato e ridotto “alla fattura da Prete” che si facevano confezionare dalla Mamma, o dalla sorella o dalla cugina Perpetua … o dalla Suore, o da qualche “bàbba-zitella” di fiducia residente della Parrocchia … Il Prete usava quel ritrovato per difendersi dall’eccessiva calura che gli comportava indossare di continuo quel sottanone pesante e sempre lo stesso (estate-inverno). Era come una divisa irrinunciabile, anzi di più: come una seconda pelle da cui non ci si poteva affatto e mai discostare … neanche per andare al bagno un momento: “La veste talare nasconde tante magagne e qualche miseria.” mi confidava e ripeteva spesso (ero giovinetto e meravigliatissimo di quell’insolito abbigliamento)… Altre volte ancora sotto quella tonaca i Preti indossavano un po’ di tutto: calde bluse e maglie fornite nella brutta stagione dalla Perpetua, o ricevute dalla gente della Contrada: non aveva importanza se erano un modello femminile, “imbottonato da donna”, o di colore celestino, rosetta o tinta giallino-crema … “Scaldano ! … e questo basta … Noi Preti dobbiamo essere poveri … e non solo dicendolo dal pulpito … Dobbiamo essere d’esempio con i fatti.”
Ne hanno sentite tante i miei orecchi, e gli occhi hanno visto altrettanto.
Una volta, dopo tanti giorni che uno di quei Preti-Piovani era imprigionato a letto per colpa dell’influenza, sono riuscito finalmente ad ottenere dalla sua Perpetua,“potente mastino da guardia”, un molosso in gonnellone fino a terra sempre all’erta, il permesso di salire in camera a salutare il mio “amico”Piovano … Insisti insisti, ce l’avevo fatta … Anzi: era stato il Piovano in persona a concedere alla “Tòtta”(così la soprannominava) di lasciarmi brevemente salire … Perciò affrontai finalmente i gradini scricchiolanti dell’erta scala in legno della Canonica.
“Una ròba svelta eh ! … Fa presto né !”mi raccomandò la Tòtta,“Vedi de non far stancàr el Sior Piovan ch’el xe fragile e pien de debolessa … No fàrghe tanti discorsi e storie: un saludìn su e via … e basta … Se no, no te o permettarò più.”
“Obbedisco !” esclamai ironico e scattando sull’attenti, e m’infilai divertito su per la scala semibuia.
Sotto a una calottina da testa mai vista in vita mia, e dentro a un camicione candido da notte d’altri tempi stava il Piovano ammalato e con la barba insolitamente sfatta. Indossava una certa canottiera bucata, consunta e giallastra: “Vien avanti … Scusa il deshabille … So un fià da casa.”… Le ciabatte che indossava allineate ai piedi del letto: “Sono quelle ancora bòne de a me povera Mamma.” Si affrettò a spiegarmi … Sotto al comodino teneva ancora “el bocàl da notte”. In un’altra occasione, infatti, ci spiegò come non era affatto comodo recarsi di notte d’inverno, col buio e col freddo fino al gabinetto ch’era situato dall’altra parte dell’appartamento della Canonica ... “Pensate che una volta il cesso del Piovano si trovava in fondo al giardino … M’immaginate con un bisogno urgente alle tre di notte ? … La necessità aguzza l’ingegno e induce alla praticità.”
“Tanto chi è vede e sa ?” si schermiva altre volte di fronte alle nostre osservazioni, “Chi oserà mai andare a vedere com’è conciato un Prete sotto alla sua tonaca o in casa sua?”
“Ma se un giorno le prendesse un malore e si dovesse soccorrerla ? … Che figura farebbe ?”
“Eh ! … Quante storie ! … Perché mai dovrebbe succedere ? … Ciò ! … Non ciamàr minga pègola e malòre !”
Mai in ferie per tanti anni di seguito, al massimo si allontanava dalla Contrada per la settimana degli “Esercizi Spirtuali” dalla quale tornava sempre provato considerandola un’esperienza “sempre indigesta”: “Dove ti vol che vada ? … Non so dove andàr … In verità me scoccia lassàr soli i me Parrocchiani, o darli in man ad altri che no i li conòsse e che me tòca anca pagàr … E po: còssa ti vol andar in ferie ? … che me casca i còppi de a cièsa in testa, e me piove dentro sora a la Madonna ? … A cièsa xe piena de debiti da pagàr … E cosa fa el Piovan ? … El va a divertirse a spese de i so Parrocchiani ? … Non sarà mai.” … e trascorreva la parte più calda nell’orto-giardino della Canonica, seduto sulla sua seggiola di vimini nell’ora più calda, a cacciar via le zanzare, e pisolare col Breviario in mano, e con due candidi fazzoletti addosso: uno intorno al collo, e uno a quattro ciocche annodate calcato sulla testa: “Tanto … Chi è che mi vede ? … e po in ogni caso … caldo o no caldo, e abbigliamento o non abbigliamento … resto sempre el Piovàn.”
Il suo era un vero e proprio amore viscerale verso quelli della Contrada che considerava come una sua “creatura”, era quasi un’ossessione benevola che lo impegnava ogni giorno fin da quando apriva gli occhi, e ben oltre la campana del tramonto … Era come l’attenzione premurosa e assidua, quasi morbosa, di una madre verso il proprio figlio … e non credo di esagerare nel valutarlo tale.
In una Contrada c’era un biavaròl scapolo che portava avanti fra alti e bassi la bottega di famiglia fin dal dopoguerra. Durante il conflitto i suoi avevano fatto fortuna procurando dalla campagna, e vendendo da mangiare un po’ a tutti: Veneziani e non, Tedeschi, Partigiani, Fascisti, e a chiunque fosse disposto a pagarli in una maniera o nell’altra, poveri e ricchi, buoni e cattivi, uomini e donne, credenti e miscredenti: non faceva alcuna differenza ... Quella famiglia di Biavaròli (alimentaristi) erano diventata il punto di riferimento alimentare di tutta la Contrada … Poi in quattro e quattr’otto i genitori erano diventati anziani, e s’erano come inseguiti nell’affrettarsi a morire … E il figlio biavaròl rimase solo, con quell’unica attività da portare avanti che gli riempiva la vita dall’alba al tramonto di ogni santo giorno dell’anno.
Aveva solo un vezzo, visto che le donne per lui erano un impegno fin troppo gravoso e complesso: il gioco … e quasi ogni volta che chiudeva bottega, andava a fare le ore tarde al Casinò, o in qualche bisca clandestina delle osterie, dove si perdeva a giocare a carte con dei conoscenti fidati Nobili e no, che aveva amici da sempre. Amici si può essere di tutto, si sa … ma fuorchè nei soldi … perché man mano che il Biavaròl perdeva somme su somme, e perdeva quasi sempre, “gli amici” non gli restituivano mai quanto gli avevano vinto … E gioca oggi e gioca domani, e gioca sempre in ogni occasione che poteva per tutto l’anno … Giunse a mangiarsi un intero capitale, compresi gli immobili dell’eredità prima, e la casa di famiglia in cui viveva poi, nella quale passò a vivere in affitto … Infine, per “foraggiare” quella fame insaziabile di giocare che era diventata incontenibile e ingovernabile peggio di una malattia, s’impegnò anche la bottega ... E non fu ancora tutto: perché s’indebitò coi fornitori del negozio che non riusciva a saldare, e i debiti e le pendenze si trasformarono in pignoramenti, cause e processi con privati e con le banche, finchè si arrivò alla dichiarazione di fallimento con la perdita anche della licenza di vendere … e il rischio perfino di finire recluso in carcere.
Povero biavaròl ! … E chi è che andò ad aiutarlo in quei frangenti mettendo una buona parola anche davanti al Giudice ? … Il Piovano della Contrada s’intende ! … che alle dieci di sera, mentre il Biavaròl se ne stava ancora chiuso in bottega a provar a far tornare i magri conti impossibili, e a provare a inventariare e far girare l’attività in qualche ultima maniera; andava a bussare la porta per chiedergli una “crosta di formaggio e un bicchiere di vino”… che era disposto a pagargli: anche un milione !
E questa è stata un’altra storia, anche se l’aiuto del Piovano non bastò a salvare il Biavaròl di Contrada… Ci pensò, invece, il destino a risolvere tutto in fretta e furia scrivendo l’ultima pagina della vita di quel commerciante-artigiano. Si concluse così quell’annosa vicenda, e anche la sua esistenza: il cancro se lo portò via in pochissimi mesi.
C’era in una Contrada anche una donna, madre di un unico figlio handicappato, vedova da fin troppi anni del suo marito. Almeno una volta alla settimana si recava dal Piovano della Contrada a chiedere sostegno, ma lo faceva con garbo, quasi con riluttanza, a nome di quell’unico suo figlio “difficile”… Il Piovano che sapeva bene, non faceva una piega: quelli erano soldi giusti e ben spesi … Perciò dava, elargiva ogni volta puntualmente: un’altra volta copriva l’importo di una bolletta della luce non pagata, un’altra volta quella del gas, o le spese del fruttivendolo e dell’alimentarista, o le riparazioni pagate all’idraulico per mettere il riscaldamento in casa … Il Piovano dava e continuava a dare, pur senza abbondare ed esagerare: c’erano anche gli altri della Contrada … Qualcosa si fece pervenire alla vedova anche attraverso la Fraterna di Carità della Parrocchia … e la donna di poche parole ringraziava ogni volta, e se ne andava riconoscente per la sua strada … e così si proseguì per diversi anni.
Finchè gli occhi e gli orecchi lunghi e spalancati delle donnine della Contradascoprirono un arcano: la donna usciva dalla chiesa, compiva il giro dell’isolato, ed entrava ogni volta nella Ricevitoria del Gioco del Lotto dove si giocava tutti i soldi che le aveva dato il Piovano, per di più quasi sempre senza vincere nulla … come raccontava “a bottega” alle comari della Contrada ... E se non era col Lotto, l’avevano vista anche entrare all’osteria, dove con altre donne se ne rimaneva qualche ora davanti“a un’ombra da bere”, e se ne stava a giocare “a rubamazzetto, a tresette e a scopa”finchè le tasche glielo permettevano, cioè finchè le rimanevano vuote. Poi rientrava a casa, dove aveva lasciato “quel figlio” alle cure premurose della zia e sorella.
“E brava quella donnina !” esclamò irritato il Piovano … Venne quindi richiamata, smascherata e rimproverata aspramente dal Piovano … La cosa divenne di pubblico dominio, e per il disonore della figuraccia la vedova si ritrovò costretta a cambiare casa andando ad abitare con quel figlio a casa di un’altra sorella nel Sestiere di Castello: dall’altra parte di Venezia … e vicino a un’altra Ricevitoria del Lotto.
In seguito, parlando fra Compagni Preti di Contrada durante una convivialità di una riunione di Piovani, si ritrovarono a raccontarsi, scambiarsi e condividere le esperienze vissute nella propria Parrocchia … Capitò così che riscontrarono che forse una stessa persona s’era comportata allo stesso modo in posti diversi di Venezia … Era insolita la coincidenza: la donna possedeva le stesse caratteristiche, lo stesso modo di fare, e gli stessi problemi: era sempre lei … S’era cambiata e trasferita di Contrada, ma non aveva dismesso il vizietto di spillare soldi ai Piovani “per poi andarseli a mangiare al gioco” ... Stavolta ci scappò una bella denuncia dei Piovani aiCapiContrada.
C’era ancora un altro uomo di Contrada, un padre di famiglia benestante e con diversi figli, che possedeva diversi stabili in Venezia, fra cui una caxetta data in affitto a una vedova anch’essa piena di numerosi figli da mantenere. Anche in quel caso i soldi scarseggiavano, perciò la riscossione degli affitti languiva … E via una volta, e poi via un’altra, quel padre di famiglia padrone di casa finì con l’accettare d’essere“pagato” dalla vedova in maniera alternativa … Avete già intuito tutto (la disperazione a volte porta ad escogitare e imbarcarsi in soluzioni drammatiche e pesanti), e così il vizio travalicò ed esplose nella sua incontrollabilità, e dalla madre il padrone passò alle figlie, e dalle figlie ai fratelli … e fu tutto un gran casino impossibile che segnò quella disgraziata famiglia per sempre nel più totale dei nascondimenti.
Il Piovano però … mezza parola qua e un’altra là … venne a sapere tutto … e come da “Consuetudine dei Piovani della Contrada”, convocò quel padrone di casa disonesto, e lor redarguì come meglio poteva e doveva. Inizialmente l’uomo sembrò capire e correggersi, ma dopo un po’ il Piovano venne di nuovo a sapere dagli attenti vicini di casa della vedova, che era ricaduto nel suo perverso modo, e aveva ripreso a comportarsi nella stessa maniera facendo quasi ogni sera visita a quella famiglia verso il tramonto e prima di rientrare a casa sua.
Che fare ? … Era minato anche l’onore e il buon nome della famiglia del Commerciante, la moglie tradita, l’educazione dei figli, il buon esempio da padre.
Pensa e ripensa, il Piovano una bella sera di maggio radunò una cinquantina delle sue “accolite fidatissime”, quelle zitelle e donnine sempre pronte ad accorrere in chiesa e dal Piovano “a fin di bene e ad ogni suono di campana”, e con la scusa del Fioretto Mariano di maggio, andò a piazzarle tutte cinquanta a “tirare il Rosario e cantare cose di chiesa” giusto davanti alla porta di quella casa incriminata dove verso sera s’era già visto entrare ancora una volta l’ometto in questione. Il Piovano sapeva che a quell’ora quel padrone stava compiendo quel suo “tremendo gioco”… Prega e canta, canta e prega ad oltranza … Alla fine l’uomo se ne uscì dalla casupola andando dritto a chiedere spiegazioni al Piovano.
“Che è questa cosa Piovan ?”
“Questo è solo l’inizio” gli spiegò il Piovano, “perché visto che le mie sole preghiere non sono sufficienti a farti redimere, ho deciso che da oggi in poi mi servirò ogni giorno di queste cinquanta sante donne per provare ad indurti a dire “basta” alla tua ignobile causa ... Se sarà il caso ti seguiremo anche in Processione dovunque andrai … fino al giorno in cui sprofonderai nel più profondo degli Inferni nonostante le nostre preghiere.”
Il padrone di casa maniaco e perverso non disse nulla e si allontanò. Da quel giorno però lasciò in pace quella disgraziata famiglia, che tornò “a respirare” pur portando per sempre sulla pelle le tracce di quel pesante maltrattamento. Il Commerciante donò la caxetta alla Parrocchia, che così la concesse “gratis et Amore Dei” alla povera vedova e ai suoi figli maltrattati e indotti a quella vita scellerata.
In un’altra Contrada c’era un Nònzolode Cièsa(Sacrestano) che era ladro: s’impadroniva di buona parte delle elemosine che i Veneziani offrivano alla Parrocchia … Il Piovano aveva notato sui Registri di Cassa della Parrocchia una flessione delle entrate … ma era stato il figlio del Sacrestano a metterlo definitivamente in allarme quando un giorno se n’era venuto candidamente fuori davanti a lui dicendo: “Il mio Papà si prende sempre i biglietti rossi delle cassette” spiegò ingenuamente, “e poi se li porta a casa, e la Mamma ride contenta.” Il Piovano ovviamente “fece uno più uno” nella sua testa, e andò a contare il contenuto delle cassette delle elemosine prima che il Nonzolo passasse a vuotarle. Poi attese il momento giusto, e si presentò cogliendo sul fatto il Sacrestano giusto “con le mani nel sacco”.
Dopo aver chiuso la chiesa e svuotato e raccolto tutto, il Sacrestano stava dividendo il gruzzolotto in due parti nette mentre riteneva che il Piovano stesse intento a cenare. Da una parte, cioè la sua, aveva messo: “il cartaceo grosso”insieme a metà delle monete, mentre dall’altra, cioè quella della chiesa, aveva messo il resto delle elemosine “purgate dal prezioso cartaceo”… “Se almeno fossi stato più furbo e meno esoso, non mi sarei accorto delle piccole mancanze.” lo redarguì il Piovano,“ma arraffando troppo mi hai costretto ad accorgermi degli ammanchi ... Sei fortunato che hai una famiglia: perciò mi accontenterò che per un po’ di anni lavorerai gratis per me ... e senza più toccare i soldi delle elemosine.”
Nell’Asilo dei bimbi di un’altra Contrada, invece, c’era anche una Suora Superiora: un donnone agguerritissimo e pimpante. Sembrava un vero monumento alla Religiosità, anche perchè era ormai presente in Contrada da più di trent’anni, e aveva visto passare e crescere nella sua Scuola generazioni su generazioni di bimbe e bimbe della zona ... Era una garanzia, un’istituzione, un punto di riferimento, senonchè aveva un difetto: man mano che trascorrevano gli anni era sempre più incapace d’essere paziente con i bimbi sempre più vispi, perciò si faceva obbedire e ascoltare a suon di sonore bacchettate calate sulle mani. Chi non era attento/a e tranquillo/a, o non rispettava puntualmente le sue indicazioni: “Man sul banco !” decretava, e: tàn ! … tàn ! tàn ! dava una lunga serie di bacchettate robuste con una sua bacchetta che si portava sempre dietro.
Le bimbe soprattutto, con le quali in “quanto future donne, moròse, spose e madri”sembrava avere un conto sempre aperto … dai una volta, e dagli un’altra, andavano a casa a protestare dalle Mamme presentando le mani gonfie e i lividi sul corpo … Le Mamme si decisero perciò a presentarsi dal Piovano per protestare: “Ma ghe par modo ? … Una Suora poi ?”
Quel pomeriggio quando le donne se ne andarono, il Piovano passeggiò a lungo pensoso avanti e indietro per il corridoio della Canonica. Poi a un certo punto andò nel sottoscala, prese fuori la cassetta degli attrezzi di casa, prelevò un grosso martello e lo mise dentro a una busta di carta candida … Vi aggiunse un biglietto scritto di suo pugno di poche righe, e fece portare il tutto dal Sacrestano nelle mani della Superiora delle Suore “incriminata”.
Sul biglietto c’era scritto: “Visto il ruolo di responsabilità che Lei ricopre, e la delicatezza paziente con cui ha fatto voto di dover aiutare ed educare il suo Prossimo, le consiglio ogni sera di picchiarsi proporzionalmente le mani con questo martello in riparazione del male che provoca alle sue giovani studentesse … In fede: il suo Piovano.”
La Suora rossa in volto, massiccia, tetragona e furibonda, offesa e risentita per quello scritto, andò a presentarsi subito dal Piovano esigendo spiegazioni. Sembrava un fiume in piena, era arrabbiata: voleva sapere chi l’aveva segnalata, i nomi e cognomi … per qualche attimo il Piovano pensò che volesse picchiare le mani pure a lui, reo d’aver scritto quelle crudi e ironiche parole. Poi il Piovano rimanendo placido alzò lo sguardo dal suo scrittoio e sussurro: “Se non le garba questo mio modico invito, forse potrà piacerle meglio quello d’essere pubblicamente richiamata davanti al Popolo dal pulpito della mia chiesa durante le funzioni condannando la sua maniera … Se lo preferisce ?”
La Suora si voltò e se ne tornò senza replicare al suo Asilo-Convento, e per qualche tempo dopo “il cicchètto” del Piovano sembrò aver compreso la lezione tanto da ridimensionare le reazioni spropositate nei riguardi dei bambini … Poi però riprese la sua solita maniera:“E giù ! … Dagli ancora di bacchetta !”e ritornarono a presentarsi le Mamme dal Piovano.
“Non va così !” si limitò il Piovano un giorno quasi borbottando contro la Suora incontrata per strada. Il Piovano veniva di continuo aggiornato su quella faccenda, perché oltre le Mamme c’erano anche le sue fide “bàbbe di chiesa” che erano anche Nonne, Zie e amiche di famiglia di tanti bimbi e bimbe.
“Che Vuole farci ?” rispose la Suora ironica con un certo sorrisetto sarcastico, “Dopo una certa età è sempre difficile cambiare … Lei dovrebbe saperlo … Per una povera Suora poi, cambiare è forse difficile ancor di più.”
Il Piovano contraccambiò il sorrisetto senza aggiungere altro, ma a metà estate alla Suora giunse l’invito a far fagotto, anzi: ad allestire la sua valigia di cartone, e trasferirsi in un paesetto di montagna di poche persone anziane, dove di asilo di bimbi non c’era neanche l’ombra … Il Piovano quella sera aveva scritto in confidenza alla Madre Provinciale delle Suore… che con grande discrezione e determinazione aveva risolto il problema delle eccessive “bacchettate”. Fra le altre cose, la Suora ebbe l’obbligo prima di partire di andare a salutare il Piovano e di consegnargli “a ricordo” quella sua “preziosa bacchetta”.
“Il troppo stroppia sempre … Dovrebbe saperlo.” si limitò a dirle il Piovano, e quella stessa sera gettò nel fuoco del camino della cucina della Canonica quella benedetta bacchetta.
In una Contrada limitrofa a quella di quel Piovano, era attivo e lavorava un intraprendente Parrucchiere e Barbiere. Ci sapeva veramente fare con rasoi e forbici, ma era soprattutto abile a far invaghire di se e conquistare le donne … soprattutto quelle giovani e avvenenti, anche se non disdegnava anche le meno giovani. Era un donnaiolo avveduto, insomma, bravo a trattare i capelli delle donne … e non solo quelli. Usava il retrobottega del suo negozio come luogo dove teneva le sue tresche ... e finirono coinvolte e impelagate con lui più di qualche donna della Contrada: Nobile e non nobile, ma quasi sempre e in ogni caso: donne giovani, fresche e belle ... anche se sempliciotte a volte. Tutto filò liscio per un bel pezzo nascosto nell’omertà della Contrada, e nei segreti delle donne, finchè capitò che un marito innamoratissimo della sua moglie e della sua famiglia, andò a confidarsi e sfogarsi col Piovano, che era già superinformato di tutto.
Era quel che sperava il Piovano, non gli servì altro: quella era “la molla” in cui sperava per risolvere quella brutta faccenda … Era ora e tempo di far qualcosa “d’efficace” per il bene delle donne, delle famiglie, e di tutta la Contrada … Ma che cosa fare ?
Di certo si doveva risparmiare le donne, che erano colpevoli si in quanto “c’erano cascate”, ma era stato il Parrucchiere-Barbiere a sollecitarle e indurle a “combinare il pastrocchio”… Perciò il Piovano, vista la segnalazione ufficiale, convocò in Casa-Canonica le sue solite “fedelissime”, e chiese loro consiglio su come si sarebbe potuto agire “da donne a donne” tirando fuori le altre dall’inghippo, e inchiodando “una tantum” l’uomo alle sue responsabilità: “Ne va dell’intera Contrada !” si limitò a sottolineare il Piovano … “e anche della Morale, e del bene della Chiesa !” aggiunse come sentenziando … e le donne annuirono consenzienti.
Pensa e ripensa, le proposte furono le più disparate: qualche idea fu anche a dir poco strana e un po’ ardita e pericolosa. Una donna propose di dar fuoco alla bottega del Parrucchiere … Un’altra piuttosto di fargli rompere l’osso del collo accidentalmente da un suo cugino che ci sapeva fare.
“Di certo costui la deve smettere di procurar danni …” ingiunse il Piovano, “ma vediamo anche di non esagerare ... Procediamo con una certa delicatezza, ma con fermezza.”… e così alla fine spuntò fuori la soluzione giusta. Le donne fecero presente che in Contrada abitava un Becchèr(Macellaio) grande e grosso, e furibondo di carattere, irascibile al punto tale che bastava guardarlo storto perché si accendesse come un fuoco in un pagliaio. Costui aveva una bella figlia giovane che era “la pupilla dei suoi occhi”, praticamente la sua unica ragione di vita, stravedeva per lei … Avrebbe fatto qualsiasi cosa per favorirla … Figuriamoci per difenderla !
Fu sufficiente che “il tam-tam” invisibile ma eloquente delle donne gli facesse pervenire certe giuste insinuazioni nella bottega. Bastarono poche mezze parole dette e non dette, che ottennero immediatamente il giusto effetto sul Beccàio, che s’accese e partì “in quarta” con la stessa prepotenza ed efficacia di una freccia rilasciata dalle dita su di un arco teso.
“Stia attento Mastro … che lei ha una bella e giovane figlia … e quello non guarda in faccia a nessuno … le insidia proprio tutte.”
Il Beccàio smise sul bancone la pesante mannaia affilata e insanguinata, strinse i denti, e spalancò gli occhi: “Mia figlia ? … E che c’entra mia figlia ?”
“Tutto e niente.” si affrettò a rispondere una delle donnette in attesa di ordinare la sua spesa, “Ma quello sa fare gli occhi dolci a tutte ... le ammalia e poi le prende, soprattutto se viene a sapere che hanno rendite e facoltà … e sua figlia possiede una bella bottega ben avviata: la sua Maestro !”
“Possibile ? … Con tutte le donne che ci sono in Contrada ?” provò a sorridere e precisare il Macellaio,“volete proprio che vada a insidiàr la mia ?”
“Mah … io fossi lei, Mastro Sior Carne, starei attento a sottovalutare questa faccenda … perché l’ho già visto più volte adocchiare sua figlia e salutarla gentilmente facendole “belle e belline” ... Non fosse mai ! … Ma quello là ha già rovinato diverse famiglie, e fatto salatre per aria più di qualche matrimonio in gran segreto.”
“Ah maledetto !” esplose il Bèccaio, “Non gli darò il tempo di provare a rovinare mia figlia.” E toltasi di colpo la traversa imbrattata che gettò alle spalle e all’aria, uscì di fretta dalla bottega con la testa che gli bolliva, e stringendo nella destra la sua fida mannaia.
Il Parrucchiere ignaro vide improvvisamente spalancarsi la porta della sua bottega … Le poche donne che si stavano intrattenendo dentro se la svignarono fuori in un solo istante comprendendo “la brutta aria” che tirava, e la porta si rinchiuse alle spalle del Macellaio agguerrito. Nessuno mai seppe che cosa, come e con quale tono, parola o maniera il Macellaio spiegò le sue ragioni al Parrucchiere … Sta di fatto, che qualche giorno dopo il Parrucchiere chiuse del tutto la bottega della Contrada, e si trasferì ad esercitare il suo mestiere dall’altra parte dell’Italia … con buona pace di tutti quelli e quelle della Contrada … e anche del Piovano soddisfatto.
Infine c’era anche un Erbivendolo-Fruttarolo di Contrada… Come avete capito non si trattava sempre e solo della stessa Contrada, nè dello stesso Prete-Piovano, ma di Preti e circostanze e Contrade diverse, a volte prossime, vicine o confinanti, altre volte più lontane, magari dall’altra parte di Venezia.
L’Erbivendolo vendeva ogni giorno buoni e freschi prodotti dalla campagna, e per di più a buon mercato e prezzo. Solo che quanto le donne della Contrada gli dicevano: “Segna ! … Che te pagarò quando me marìo me portarà a casa i schèi.” lui segnava, ma quando giungeva il momento d’essere pagato esigeva dalle donne un prezzo maggiorato di parecchio ... Esigeva, insomma, degli esosi interessi, o qualcosa del genere, non dico il doppio dei soldi, ma di certo molto di più di quanto avanzava.
“E che credete ?” si giustificava ogni volta con le donne, “Che a me le cose me le regalino ? … Non posso mica dire ai miei fornitori: vi pagherò il mese prossimo … Quelli vogliono il denaro subito, e quindi devo ogni volta metterci del mio … Ed io non sono affatto “la Provvidenza e l’Angelo Custode” di tutta la Contrada.”
E via con una e via con un’altra, e dai una volta, e dai un’altra ancora … La gente della Contrada si accorse che col trascorrere degli anni quell’Erbivendolo era stato capace di mettere insieme una piccola fortuna: s’era comprato prima una caxetta nei pressi della bottega, e poi un casòn cioè una casa più grande poco più in là, accanto al Ponte di Confine della Contrada. Si diceva anche che quando si sarebbe sposata sua figlia gli avrebbe regalato una bottega da Frutta nella vicina Contrada.
“Andando avanti così prima o poi si comprerà anche un bel palazzo contando sulle nostre spalle.” brontolava la gente della Contrada, e andò sempre più spesso acriticarlo davanti al Piovano:“Quell’uomo tiranneggia le tasche della povera gente !”
“Verrà finalmente il momento giusto per richiamarlo !” si ripeteva spesso il Piovano fra se e se .. e l’occasione venne, e il Piovano non perse l’occasione. Morì, infatti, la Madre del Fruttivendolo-Erbarolo, e la chiesa il giorno del Funerale si gremì di gente all’inverosimile perché era stata una gran brava donna generosa … a differenza del suo avido figliolo.
Quando il figlio dopo la cerimonia si recò col cappello in mano in Sacrestia dal Piovano per “pagare” il Funerale e il sontuoso corteo funebre che aveva accompagnato la “sua buona Mamma” fino al Riva o verso il Cimitero, il Piovano gli disse: “Lasci stare ! … Non voglio niente da lei oggi … Pagherà tutto al momento del suo Funerale e davanti al Padre Eterno … anche con i dovuti interessi che dovrà a tutti quelli della Contrada che ora sta derubando ...”
A quelle parole l’Erbivendolo-Fruttarolo esplose di rabbia: sbattè la porta dell’Archivio del Piovano tanto che sembrò voler farla saltare via dai cardini per corrergli dietro ... e non lo si vide più mettere piede in chiesa per tutto il resto della sua vita. Smise però anche di tiranneggiare le tasche della gente della Contrada: aveva imparato la lezione dal Piovano … Se avanzava venti: venti esigeva, e neanche un “bèzo in più” ... e il Piovano sorrise a quella notizia.
Ci sarebbe poi l’altra faccia della medaglia dei “Preti da Contrada”, quella che rivela, invece, personaggi di cui non posso rivelare il nome, e che possedevano diciamo “un modo e una levatura” diversa … Qualcuno forse potrà riconoscere il tratto di qualcuno, o magari intuirlo fra le righe di quanto vado scrivendo e dicendo … Per qualche altro Prete-Piovano di Contradache ho conosciuto direttamente, era importante ogni mattina iniziare la giornata attingendo e spremendo con attenzione e “fino all’ultima goccia” i fatti e le cronache, e perfino ogni singolo necrologio del Gazzettino: “il giornale delle comari, dei barbieri e delle massère di Venezia”… Risolta questa prima impegnativa incombenza che li tratteneva per la prima parte della mattinata: dall’apertura della chiesa con la prima Messa, durante la colazione, e fino all’ora della seconda Messa di metà mattina … il Prete lasciava “in custodia” la chiesa con le sue incombenze al Nonzolo, e si dedicava ad accompagnare con gran calma e attenzione la Mamma, o la sorella Perpetuaquando uscivano per fare la spesa:“E’ necessario ogni volta scegliere con oculatezza ed estrema cura dal banco della Pescheria … Non tutti i pesci sono degni della tavola del Prete … Serve soppesare e sottoporre ad accurata valutazione … e solo i meritevoli “potranno andare verso mezzogiorno”… Non vorrai mica che mangiamo robaccia ?”
“Scopro l’acqua calda” dicendo che i Preti hanno sempre goduto di fama di buongustai, e di non far mancare mai niente dalla propria tavola … ben oltre il superfluo … Ricordo certe luculliane mangiate periodiche fra Preti, che facevano a gara per primeggiare e ben figurare gli uni sugli altri … “El vin Santo da Messa xe bòn anca da tavola … e cusì posso scaricarlo segnandolo sulle spese della Sacrestia della chiesa.”mi spiegava un Piovano gongolandosi per la sua acuta furbata.
Ricordo anche di certe vacanze raccontate ed esibite, quasi dissertate come un “giro del mondo in ottanta giorni” da qualche Prete di Contrada d’indole “leggermente diversa” da quella del Piovano Marchetti … Mi procurava un certo fastidio vederli letteralmente “impongàrsi, trastullarsi e infervorarsi”nel raccontare agli altri delle loro crociere e dei loro lunghissimi viaggi (mica sempre solo spirituali … Non erano sempre devoti e penitenti Pellegrinaggi … soprattutto per via di certi succulenti dettagli).
Più tardi ancora e fino a mezzogiorno, se non c’era qualche “noioso Funerale di mezzo”, ci si poteva dedicare a contrapporsi “con opportune visite e giuste parole”a certi Preti: “vicini scomodi”. Certi Piovani facevano “fuoco e fiamme” contro i Confratelli rei di “rubare loro i clienti dei Sacramenti”… Ne ricordo uno in particolare, che con grande foga si lamentava affermando che: “In sta maniera e de sta cassèlla, cioè cusì fasèndo se andrà a diminuir ancor più i già magri proventi e introiti del nostro Ministero Pastorale e Parrochiale … Non ti pòl robàrme i Parrocchiani fradèo ! … Quei che sta nei miei Confini: i xe ròba mia ! … mia spettànza … Altrimenti xe come un furto fra Preti ! … che dovarò andàr a segnalar al Patriarca.”
Ricordo ancora di un altro vecchio “Prete di Contrada”… E’ un ricordo nitido, come se ce l’avesse seduto davanti, a tu per tu, proprio adesso … E’ stato una figura storica ormai tramontata, ma che è rimasta indelebile e popola ancora qualche anfratto della mia mente … Amava perdersi dentro alla nuvola profumato del suo costoso sigaro pregiato, in alternativa e aggiunta non disdegnava una buona presa di tabacco tratta dalla un’artistica scatoletta: c’era una veduta del Canal Grande dipinta sul coperchio, un po’ in stile Canalettiano … D’inverno lo ricordo avvolto nel suo pesante tabarro … Era un uomo oltre che un Prete arcigno, aspro di modo e maniera, “un austero cèrbero” che conosceva e interpretava secondo lui alla perfezione la “nobile Arte” del saper “pascere il suo Gregge”, e del scrutare e soppesare le persone che incontrava ... Ovviamente prediligeva quelle della sua Parrocchia e Contrada.
Quando incontrava uno o una, si soffermava ogni volta a scrutarli dalla testa ai piedi con uno sguardo truce e indagatore, come con un’estemporanea e veloce radiografia, uno scandaglio … Poi strizzava gli occhi come a soppesare e mettere a fuoco la persona, e dentro di se ne ricapitolava le gesta, precedenti, doti e difetti traducendoli un attimo dopo in un approccio conseguente … Ogni parola che gli usciva fuori in seguito assomigliava ogni volta di più ad una obbligatoria valutazione, o a un estemporaneo piccolo processo con tanto di subitanea sentenza ... I Preti di Contrada per via delle confidenze, delle notizie riportate, e soprattutto tramite la Confessionee la Direzione Spirituale sapevano tutto di tutti e di ciascuno: pregi, difetti, successi ed insuccessi, limiti e segreti … Tante persone davanti ai Preti erano come nudi, un libro aperto, come di fronte allo specchio … Sembrava che ogni volta incontrandoli, il Prete fosse tenuto come da obbligo “a far loro i conti in tasca”…
Da un apparentemente generico “Come va ?” che riassumeva tutto e niente per chi era estraneo e non sapeva, il Prete e l’interessato, invece, risalivano e richiamavano immediatamente tutta una serie di contenuti condivisi, e un’intimità e un vissuto ricapitolato e rivelato apertamente da chissà quanti anni. Ne veniva fuori ogni volta una sfilza di veloci consigli, prescrizioni, raccomandazioni e indirizzi esistenziali spiccioli da cui il casuale “l’incontrato/a” non poteva mai esimersi.
“Me raccomando !” concludeva immancabilmente il Prete-Piovano, “Fa il bravo/a ! … Ti ti sa be perché te digo cusì !”
Era come un veloce check-up, una ripassatina in giudizio svelta svelta … che però ogni volta colpiva il segno e lasciava un suo invisibile effetto … La sensazione che provavo in quel momento era come di un elegante violenza, come se il Prete in maniera impalpabile denudasse l’intimo delle persone mettendolo nella piazza della sua comprensione e gestione … Non so perché, ma incontrare lui per i suoi Parrocchiani era un po’ come doversi presentare all’Ufficio di Polizia per un controllo obbligatorio.
Quando intravedeva per strada certe facce, lo sguardo del Piovano s’incupiva e faceva febbrile e indagatore … Era come se corresse a leggere in rapidità dentro di se un dossier, una pagina spalancata di un libro invisibile che teneva sempre aggiornato e disponibile da leggere, pronto per ogni evenienza ... Più di qualche volta neanche salutava e rispondeva alle sollecitazioni e al saluto di qualcuno/a se secondo lui “non erano persone degne e meritevoli”(come era riassunto dentro se stesso).
A volte proprio si portava appositamente da una parte all’altra della sua Contrada: “per aver meglio sott’occhio il mio Gregge … Io conosco bene le mie bestie ... So con quale stampo sono fatte.”
Terminato poi quel suo giro di controllo “sulla normalità” della Contrada, se ne tornava sui suoi passi fino a rientrare in chiesa: “ovile e casa di tutti”… dove lì sembrava proprio a suo agio, e dotato di quella dimestichezza, disinvoltura, abilità e scioltezza con cui un vero pastore governava le pecore e i caproni a lui affidati.
“In cièsa e nei luoghi annessi e limitrofi, come la Canonica e gli Oratori, sono “nel mio”, come un pesce dentro all’acqua.”… Anche lì il suo atteggiamento era sempre deciso: se ne stava sempre sulla difensiva o piuttosto pronto all’attacco di chiunque non difendesse o amasse i “Sani Principi del vivere, i Santi Pilastri, cioè i dettami e le Sante Dottrine Eterne ed immutabili della Fede e di Madre Chiesa”
Certi Preti di Contrada erano nelle loro Chiese come Giudici Apocalittici, quasi“padroni e gestori delle cose Rivelate e della Verità Etico-Morale del Vivere”… A tutti sapevano indicare dal pulpito(a volte con autentica veemenza) la “giusta direzione”… e allo stesso tempo sembravano dei San Michele con la bilancia del Giudizioin mano, capaci di soppesare l’essenza di tutti ... soprattutto degli inadempienti, che erano la quasi totalità di quelli della Contrada.
Chi poteva mai dichiararsi senza peccato, non emendabile, non passibile di miglioramento o “a posto” ?
Nessuno.
“Il Prete”, m’istruivano: “E’ importante che sia sempre “convinto”, che possieda ovunque e in ogni circostanza un buon contegno, il giusto cipiglio, che sia assertore dell’ordine e della buona costumanza, e che sia consapevole della sua alta dignità.”
Usciva “sull’Altar a dir Messa” lo stesso, anche se su Venezia si stava abbattendo un violento nubifragio e temporale … In fondo alla chiesa c’era solo la solita vecchia zitella mezza sorda, persa e odorosa, e completamente inzuppata (in tutti i sensi) … Pareva una mezza strìga avvolta nel suo scialle di lana nero … Di solito non diceva neanche mezza parola, neanche se le pestavi i piedi, ma non mancava mai di presenziare in chiesa … Il Prete le si rivolgeva lo stesso: le faceva un fervorino e un predicozzo sul Santo del giorno, anche se era da sola in chiesa: “E che debbo forse aspettar sempre i comodi de stàltri par dir sta Messa ? ... Quando xe ora xe ora ! … Chi c’è c’è … e chi non màgna gha magnà … Mi pàrto lo stesso … Dio xe sempre puntuale e presente … Non manca mai … Sèmo noàltri ad essere sempre rovèrsi e assenti … Se anche questiòn de bòna educasiòn … e de disponibilità.”
Era sempre così, con quelle sue continue “cavatèlle”, e con quel suo modo a volte indisponente fatto di battute e continue ironie e sarcasmi, che lo facevano sempre sembrare: gajardo, vispo, e sempre impegnato e dedito sul pezzo da mettere in scena sul palcoscenico della Contrada … Anche se non era proprio così, e non era affatto vero … Spesso c’era molta apparenza, e si faceva parecchio credito su molte cose all’occorrenza, soprattutto quando ci andavano di mezzo i suoi interessi.
A volte finiva col strafare: una volta durante la “festa feriale” della Madonna di Pompei(usanza e devozione sempre poco sentita a Venezia e nel Veneziano), un attimo prima di mezzogiorno, mi disse: “Dàghe de campane ! … Che recitarèmo a Supplica alla Madonna … Se ciàpa anca l’Indulgenza ... a zènte vegnarà.”
Risultato ? … Chiesa piena ? …Tutto un accorrere di quelli della Contrada ? … Macchè ! … Dopo l’intenso scampanio in chiesa non si presentò nessuno: neanche uno o una ... era l’ora di pranzo fra l’altro, e faceva un caldo “boia”.
“Che si fa adesso Monsignore ? … Desistiamo ?” chiesi dieci minuti dopo a chiesa ancora deserta.
“Ma che scherzi ? … E che vuoi fare ? … Si va lo stesso !”
“Ma come ? … Io e lei e basta ?”
“Davanti a Dio e alla Madonna conta sempre anche uno solo ... Anche perché si presenta a nome di tutti … Come Mosè sul Monte delle Tavole delle Leggi ... Come il Cristo issato da solo sul Calvario ... e poi: io e te siamo già in due … Andiamo quindi ! … Procedamus ! … Bisogna avere sempre un po’ di Speranza … Non vorrai mica essere un incredulo miscredente ?”e ci avviammo nella chiesa completamente e desolatamente vuota.
“Mmm … saranno anche giusti questi discorsi, ma qui non si vede nessuno.” ho detto a me stesso senza il coraggio d’esternarlo temendo la reazione del Piovano.
“Gnnèèèè …” fece dopo un altro quarto d’ora una porta cigolando in fondo alla chiesa.
“C’è un fedele finalmente ? … Anche se un po’ ritardatario…” pensai.
No … era solo un titubante turista, che spintosi dentro nell’androne della chiesa avvolta da una penombra attraversata da raggi di sole, si mise timidamente a inquadrarci e fotografarci mentre eravamo intenti, ginocchioni per terra sui gradini dell’Altare della Madonna, a recitare la nostra “quasi disperata” Orazione e Supplica alla Madonna di Pompei.
“C’è gente ?” mi sussurrò a un certo punto il Piovano senza voltarsi e senza alzare lo sguardo dal suo libretto dorato rivestito di lucido cuoio.
“No … e solo un turista.”
“Caccialo via ! … Non venga qui a rompere le scatole e disturbare il Rito Sacro.”
“Ma quale Rito ? … Siamo solo noi due.”
“Mandalo via ti ho detto ! … Ogni Rito Liturgico merita rispetto … La chiesa non è mica un bazar … e neanche il posto delle giostre.”
“Gnnèèèè …” ripetè di nuovo la porta rugginosa: il turista se n’era andato spontaneamente. Non era affatto interessato a quanto stava succedendo lì dentro … Con un breve sguardo aveva già visto tutto … e quella volta le cose andarono così.
Di solito quando giungeva a suonare la campana del mezzogiorno, come puntuale arrivava a campanare “l’Ave Maria della sera” che segnava la fine del giorno, il Piovano rientrava nella Canonica: “Andiamo a mettere le gambe sotto alla tavola, a farèmo onor al rinomato desco della Santa Provvidenza” ripeteva ogni volta… Faccia paffuta e rubiconda, e pancione abbondante e sempre più prominente tanto che non si riusciva quasi più a cingerlo con la fascia bordata di autorevole rosso, che si doveva per forza immancabilmente allargare … mi diceva: “Mangiare e bere è come un trionfo, è come partecipare al suono di un orchestra … La buona tavola è come una suadente e piacevole sinfonia, come un rito importante a cui non si può mancare … Potrò forse quasi proferire bestemmia o affermazione sacrilega … ma la tavola vale quasi quanto l’Altare.”… (e a volte anche di più a giudicare dal suo atteggiamento, e vista l’intensità e il gusto, nonché l’assiduità con cui si dedicava ampiamente a quell’amabile incombenza).
Un giorno un carcerato esagitato, alticcio ed euforico appena uscito fuori di prigione, sentendosi quasi offeso nel ricevere l’obolo che il Piovanotraeva ogni mattina per la lunga fila dei questuanti che s’assiepavano ogni mattina sulla porta della chiesa e nei dintorni della Canonica quasi braccandolo; gli prese il borsellino nero da donna degli spiccioli strappandoglielo di mano, e messagli una mano direttamente sul collo e spingendolo su per il muro esterno della chiesa, gli disse ruvidissimo: “Tu sei un cane, non un vero Prete ! … Sei un cane ricco e rabbioso che abbaia a tutti … Possibile che tu non riesca a concedere un osso vero a chi ha più fame di te ?”
Poi lo lasciò lì terrorizzato e ansimante, sudato zuppo dalla testa ai piedi, e tremante e senza parole con quella faccia minacciosa che dal quel giorno gli pareva di avere e vedersi sempre davanti di continuo. L’energumeno aveva poi buttato all’aria il borsellino con tutti gli spiccioli incurante di tenerseli, poi se n’era andato scomparendo nei meandri delle calli della Contrada.
Non gli era mai successa una cosa del genere in vita sua al Prete. Si strappò in fretta il collare da Prete che gli pareva insolitamente soffocarlo … Poi a stento si trascinò “al sicuro” in chiesa gridando aiuto, ma senza aggiungere una sola parola di spiegazione. Ci raccontò tutto solo molto più tardi. In quel momento provava solo una chiara sensazione in testa, che ci riassunse poi con queste poche parole: “Io non sono un cane … E’ questo nostro mondo di oggi che è diventato una razza rabbiosa, violenta, senz’Anima e senza Dio … Questa umanità viscida e impazzita s’accontenta sempre di meno … A niente gli serve e gli basta la Carità … Vuole tutto a suo modo, che è quello sgarbato e violento, quello da parassiti che non hanno nulla da perdere … Non sanno neanche loro che cosa vogliono … Sono come bestie nello stagolo che grufolano grattando la terra … Neanche il carcere sarà sufficiente: dentro o fuori che stiano sarà sempre la stessa minestra, la stessa cosa … C’è in atto una vera e propria lotta per la sopravvivenza, e non sempre qualcuno ce la fa … Tanti hanno un Dio per conto loro, e non so se sia un Dio come quello nostro dei Preti che abita in aria … A volte nonostante tutte le nostre scoperte, le Matematiche, le Scienze, le Economie e le Filosofie … mi vien da pensare che l’umanità sia solo una bestia priva di sentimento, e di qualche fine e utilità ... Altro che Speranza …e disegno d’Amore e Salvezza !”
E detto questo, si lasciò accasciare nel seggiolone del suo studiolo, e preso dal tavolo uno dei suoi sigari profumati, ne sputò via un pezzo, e provò ad accendere il resto mimetizzandosi dentro alla nuvola del fumo. Trascorse soltanto un attimo, uno soltanto, e come nauseato e schifato con un gesto brusco e nervoso l’ho visto schiacciare il sigaro nel portacenere di bronzo, e poi buttarlo fuori dalla finestra spalancata sul giardino: “Anche i sigari non sono più gli stessi ! … Non hanno più gusto neanche loro.” ha concluso, e se n’è andato via scuotendo la testa, e sbatacchiando la porta … ma senza aggiungere più nulla.
Ecco raccontato parte di ciò che intendevo riferirvi sui Preti di Contrada.
Come potete intuire non è affatto tutto … Anzi ! … Servirebbero mille post come questo per poter dire meglio e di più, e forse non basterebbero lo stesso … Le cose dette sono solo qualche briciola di un tanto vivissimo che è accaduto intensamente ogni giorno per secoli dentro alla Contrade dei Veneziani. L’ho scritto per riferire di un mondo recondito ormai scomparso, e di figure reali che hanno a lungo popolato e “guidato”, un po’ a modo loro se volete, gli spicchi e gli angoli remoti (cioè le Contrade) della nostra Venezia.
Con quanto detto non intendo affatto infierire sulla categoria dei Preti e sulla loro Memoria. Ricordando questi aneddoti e questi singolari personaggi ho solo voluto indicare uno speciale “substrato umano” su cui collocare quanto dirò e scriverò la prossima volta circa “l’Archivio e le Consuetudini deiPreti della Contrada di San Marcuola” ...
In un certo senso i Preti dei Capitoli delle chiese e delle Contrade Veneziane sono stati dei personaggi che hanno incarnato e vissuto e condotto personalmente “il destino” della Contrada, servendosi di alcuni “strumenti operativi” e di alcuni “strani apparati” che sono stati: l’Archivio, le Consuetudinie lo Schedario della Contrada, che sono stati come “il cuore, la sintesi e forse anche la molla propulsiva” della vita della Contrada.
Ma ne parlerò meglio la prossima volta, quando vi dirò finalmente circa: “La “macchina subliminare” dell’Archivio e delle Consuetudini della Contrada di San Marcuola.” di cui spero d’avervi agevolato e favorito il senso e la comprensione.