“Una curiosità Veneziana per volta.” – n° 181.
“Clamoroso furto in Contrada di San Marcuola nell’aprile 1815.”
La maxiContrada allargata di San Marcuola non si riduceva ad essere solo operoso associazionismo d’Arte e Mestiere, e quell’intenso “sentimento casa-chiesa”onnipresente dettato di continuo da Preti-Frati e Muneghe che scandivano i principi e le regole della vita di tutti … Quello che prevaleva in realtà sul palcoscenico della Contrada era piuttosto la concretezza della vita spicciola qualsiasi delle persone comuni: uomini e donne col loro destino, cioè Veneziani che stavano, abitavano, lavoravano e realizzavano fra Calli, Ponti, Fondamente e Campielli e tutto il resto ... La Storia a volte è fatta anche di “tante briciole” oltre che di eventi eclatanti.
Veniamo però subito al fatto in questione: uno dei tanti capitati in Contrada … Un episodio che non mancò di suscitare un bel clamore e incuriosire, interessare, e “saltare di bocca in bocca” per diversi giorni di tutti quelli di San Marcuola e Cannaregio.
Quasi come nelle fiabe … C’era un certo Mercante Eusebio Cartolani quondam Nicolò oriundo Trentino, che abitava in fondo alla Calle dello Squeroin Contrada di San Marciliàn sulla Fondamenta degli Ormesini giusto dove col Ponte finiva e iniziava il Ghetto e la Contrada di San Marcuola. Il nome non altisonante del Mercante non ci confonda: era un uomo che sapeva il fatto suo e conduceva con arguzia e con un certo successo i suoi affari: “… sono da 30 anni circa domiciliato in questa città, e in questa casa abitante, per cui pago d’affitto annualmente 120 ducati. Sono Cristiano Cattolico d’anni 54 ... Presso la città di Trento ho alcune poche terre di mia proprietà. Qui fo il negoziante di pelli e di altri generi di commercio, essendo la mia Dita assai nota in questa Piazza ... Sono ammogliato, ho un figlio d’anni 22 che presentemente si trova a Milano per affari, e una figlia d’anni 17, nubili, che meco convivono oltre alla moglie ... Ho poi al mio servigio da vari anni Antonio Bila Trentino e Maddalena Motta Veneziana, persone fidate e onoratissime a tutte prove, che abitano in questa mia casa …”
Il 26 aprile 1815 costui mandò il suo “Giovane de Mezzà”: Vicenzo Sartori a ritirare una considerevole somma di denaro nel Ghetto di Venezia presso il negoziante Ebreo Jacob Amorino col quale era in affari anche per un credito di varie pezze di tela di Germania. Samuel Grinaglia cassiere del negoziante (Nella deposizione al processo si descrisse: “Sono figlio del vivente Marco, Ebreo di Religione, nativo Veneziano d’anni 32, abitante in Ghetto Novissimo al n 538 … Sono Cassiere di Amorino che mi stipendia … e fo anch’io qualche negozietto per mio conto mantenendo tra una cosa e l’altra la mia famiglia consistente nella moglie e tre figli.”) contò e consegnò nelle mani del Sartori: “547 ducati d’argento, 310 mezzi ducati, e 18 sacchetti in tela gialla di soldoni mettendo il tutto in un saccone di tela bianca.”… Una bella sommetta, insomma, un piccolo tesoretto.
Alla consegna del denaro era presente lo stesso Ser Amorino che ricevette regolare ricevuta di tutto da parte del “segretario” del Mercante Cartolani.
Fatto questo, lo stesso Vicenzo Sartori(“uomo egualmente onorato” certificò il Mercante suo datore di lavoro e denunziante il furto)aiutato da un facchino del negoziante Ebreo portò la pesante somma fin sulla Riva del Ghetto Novo, e chiamò un barcarolo qualsiasi in servizio in quel momento sulla riva per trasportarla fino alla casa del suo padrone … Il trasporto venne fatto subito senza problemi, e il barcarolo portò sulle spalle la somma fin su: “nel mezà” del Mercante Cartolani depositando e chiudendo il sacco dentro a “un burò”(uno scrittoio) posto fra due finestre ... Ricevette come premio per la sua fatica una mancia di 30 soldi da parte del Mercante, e se ne andò per i fatti suoi.
Durante la notte seguente tre uomini in barca … tre ombre anonime … attraccarono nella penombra notturna alla Riva nei pressi di Calle dello Squero: uno rimase seduto in barca a vigilare pronto a fischiare in caso di pericolo, mentre gli altri due scesi a terra si diressero alla porta di strada della casa del Mercante Cartolani.
Estratto da una borsa “un succhio da fabbro” (una trivella, una grossa “verìgola”)i due forarono più volte il portone fino a produrre un buco (i Periti Giuseppe Vicenzino Fabbro e Domenico Marcol Legnaiolo entrambi di San Marcilian chiamati a investigare sul posto insieme ad Antonio Bergamo Fabbro e Vicenzo Cordella Rigattiere: “tutte persone cognite e probe di questa Contrada”, precisarono: “una rotturadi figura ovale nell’imposta stessa in altezza da terra d’un braccio e mezzo circa sopra il chiavistello della maggior lunghezza d’una quarta”) largo tanto da farci passare una mano ... Infilataci poi dentro un braccio, fecero scorrere il catenaccio interno aprendo la porta.
Entrati quindi nel portico terreno della casa e salite le scale interne di pochi gradini, gli stessi due sollevarono “dai gangheri”(cardini) un portoncino chiuso facendo leva con un pesante scalpello … e aperta l’ulteriore“porta dei Mezzadi chiusa col solo saliscèndolo”penetrarono nell’ufficio-studio del Mercante, trovando al buio il burò collocato tra due finestre … Subito: “ne scassinarono la ribalta sforzandola con tre marcatissime impressioni larghe circa un dito e mezzo” … prelevarono il saccone con tutto il denaro, e già che c’erano anche altri oggetti di un certo valor trovati lì conservati … e udito latrare improvvisamente un cane che credettero fosse dentro alla casa … si diedero a fuga precipitosamente perdendo stradafacendo un cappello: “nero tondo di panno fino quasi nuovo foderato di zendalo verde con un marchio della Fabbrica stampato ed incollato in fondo portante il segno “LD+” del Cappellaio di San Lio … che me l’ha venduto già quindici giorni per lire 22”.
Sul posto rimasero abbandonati anche alcuni attrezzi: “uno scalpello di ferro lungo tre quarti di braccio, e un coltello di lama lunga otto dita traversi, larga due e mezzo, con manico d’osso nero, con veretta d’ottone presso la lama.”… I due fuggitivi poi salirono in fretta sulla barca che li stava aspettando, e indisturbati vogarono via per il Rio della Sensa scomparendo dentro la notte Veneziana.
Nessuno reagì e udì niente … Il Mercante raccontò il giorno seguente: “… i luoghi terreni della casa mia e il primo piano superiore de’ mezzàdi non sono abitati, stando tutta la famiglia a dormire negli appartamenti sovrapposti … Tutta la famiglia mia si ritirò a dormire verso la mezza notte, essendomi poco avanti io partito dal mezzà dov’era stato a scrivere.”
Tutto era sembrato filare via liscio per i tre ladri … che si erano portati in barca fino a un magazzino di San Giobbe di proprietà di un fratello di uno dei malviventi, e lì si erano spartiti il bottino dando a uno dei tre “una parte superiore” perché era stato l’ideatore del furto e quello che aveva messo a disposizione il battello.
Si fece poi l’alba del giorno seguente, quando ciascuno dei tre provò a tornare alle proprie solite occupazioni e in giro per Venezia fingendo noncuranza, mentre Silvestro Bertoldi detto Meo Battellante (“Sono figlio del defunto Lodovico, Veneziano, di Religione Cristiano, di anni 40 ... Abito in Campiello dei Trevisani a San Marcilian, ho moglie e un figlio d’anni 15, e fo il mestiere del battellante avendo un battello mio proprio con cui lavoro, essendo di posto ai Servi)fu il primo ad accorgersi del furto con scasso avvertendo la famiglia del Cartolani: “ … sul far del giorno di venerdì prossimo passato io era impegnato quella mattina di andare a Mestre a vogar nella barca di Ignazio Secco di San Giobbe, il quale dovea capitare nel Rio della Sensa alla Riva di certi Signori Ortari.”
Il Mercante allora denunciò prontamente il furto alla Serenissima, cioè a Vincenzo Goito Capo Contrada di San Marcilian: “Questa mattina (27 aprile 1815) sul far del giorno fu suonato il campanello della mia porta di casa da un tal Silvestro Meo battellante di posto a San Marcilian, il quale avvertì il mio servitore che accorse alla finestra sopra la Calle dello Squero, che la porta della mia casa era aperta, che vi si scorgeva fatta una rottura, e che ciò indicava manifestatamente esserci stati i ladri ... A quell’avviso discese tosto il mio servitore, ed assicuratosi dai segni che la Giustizia stessa ebbe motivo di rilevare, ch’era appunto succeduta una disgrazia, cominciò a gridar per la casa come un disperato, e tutta la Famiglia s’alzò dal letto, e fu meco testimonio del furto che purtroppo soffersi la scorsa notte ...”
Il Capo Contrada non perse tempo, e informò immediatamente gli organi superiori della Serenissima: “Per debito del mio Uffizio io sottoscritto Capo Contrada di San Marcilian denunzio qualmente la scorsa notte s’introdussero i ladri con la rottura della porta di strada nella casa del Mercante Ser Eusebio Cartolani quondam Nicolò posta in Calle dello Squero di questa Contrada al numero 3467; indi levata la porta della scala, e saliti in un Mezzà in primo piano, apersero a forza con uno scalpello un burò, e rubarono: 547 ducati d’argento effettivi, 310 mezzi ducati, 18 sacchetti di soldoni, un paio di fibbie da scarpe d’argento, un paio di fibbie piccole d’argento da centurini, un cordòn d’oro spagnoletto da collo del peso di caratti 38 ...”
La Giustizia Veneziana avviò altrettanto immediatamente l’indagine inviando il Giudizio Criminale a caccia dei colpevoli … “e fortunatamente spuntò fuori uno sperato testimone del notturno furto con scasso.” … Si trattava di Batista Federici soprannominato Malacarne: un barcarolo che abitava giusto in una caxetta prospicente sulla stessa riva di Calle dello Squero lontana pochi passi dalla casa del Mercante Cartolani: “… sono Veneziano, Cattolico, d’anni 38, abita in Calle dello Squero a San Marcilian presso la riva del Rio della Sensa sopra il quale ho diverse finestre della casa … Fo il mestiere del barcaruolo e servo presentemente l’Ebreo Polacco in Ghetto … Ho moglie da dieci anni circa, e due figli maschi: e tengo una mia sorella nubile d’anno venticinque … L’altra sera ho incontrato li battellanti Vicenzo Merlo detto Sabào e Antonio Frizza detto Canola … Salutai il Sabào dicendogli: “Zenso caro !” … ed egli mi corrispose: “Zenso !” … Essi proseguirono sulla Fondamenta di San Marcilian e io andai a casa a cenare colla mia famiglia ... Circa a mezza notte tutti i miei andarono a riposo. Si diede poi la combinazione che mia moglie fu soprappresa da dolori di ventre, per il che chiamai in sua assistenza mia sorella Anna; e però ci convenne stare svegliati per quasi tre ore sinchè i dolori fossero cessati ... Poteva essere circa un’ora dopo la mezza notte quando sentii un po’ di romore alla riva della Calle contigua alla mia casa, e qualche parola non ben intesa da cui compresi che v’era una barca alla stessa riva ... Mi venne curiosità di vedere, e però discesi dal letto, e nella cucina ch’è a pian terreno e che ha tre balconi, due verso il rio e uno sopra la riva: apersi piano quest’ultimo e col favore d’un po’ di chiaro di luna vidi un battello dentro il quale stava seduto a puppa un uomo che non conobbi, e altri due in piedi alla riva che parlarono brevemente sottovoce a quell’uomo in modo che non potei capire, avendo solamente sentito che uno di quelli disse la parola: “si” ... Poi staccatisi dalla riva questi due nel passar dinanzi alla finestra dov’io era, in distanza d’un braccio e mezzo circa, li riconobbi senza equivoco per li due battellanti che ho sopra indicato cioè Vicenza Merlo Sabào e Antonio Frizza Canola che s’internarono nella calle … Ritornai nella camera superiore dove la mia consorte continuava coì suoi dolori; e tre quarti d’ora dopo parendomi di sentir qualche botta alla riva, discesi nuovamente in fretta, e andato al pertugio della finestra rividi quell’uomo seduto al solito luogo in battello … Da lì a quattro credi ritornarono infatti il Sabào e il Frizza, e vidi che questo teneva sotto il braccio sinistro un fagotto non molto grande, ed era senza cappello in testa, e diede il fagotto all’uomo del battello: che tutti due rimontarono, e tosto il battello s’allargò dalla riva, e si diresse verso Cannaregio val dire verso la parte di Sant’Alvise o San Girolamo.”
Testimonianza illuminante … che fu più che sufficiente … I “Birri della Giustizia”partirono subito per metter in atto una “Visita Giudiziale alle Case degl’incolpati”… Circondarono le case di Vincenzo Merlo detto Sabào, di Antonio Frizza detto Canola e di un loro conoscente: Agostino Verona: “Fatte allora accendere due torce a vento il Giudizio Criminale fece prima irruzione atterrando la porta e catturando il Sabào nel primo piano di casa sòa mentre cercava di calarsi giù in camicia da notte da una finestra posteriore verso un orto … Salendo tre scale della casa, invece, sulla Fondamenta di San Girolamo al numero 3468 abitata dal battellante Antonio Frizza, lo catturarono standosene egli ammutolito e mostrandosi avvilito senza opporre alcuna resistenza ... Il Capo del Satellizio Giudiziario provvide inoltre ad arrestare entrambi, e a perquisire attentamente sia gli imputati che ogni angolo e ripostiglio delle relative case … Contemporaneamente si provvide anche a circondare un’abitazione ai piedi del Ponte di San Giobbe dalla parte del Ghetto dove allocava in un letto a fitto un certo Agostino Verona lavorante Fabbro, che però non venne trovato … Se ne perquisì la stanza, e si andò a controllare anche a casa della sua moròsa di nome Vicenza Bergamo figlia d’un battellante a San Giobbe abitante in Calle del Figo al numero 739 (in Contrada dei Santi Apostoli) ... Nella casa consistente in due stanze terrene una delle quali serviva di cucina, si trovarono due donne: Anna moglie di Batista Bergamo, e la figlia Vicenza di anni 17, e non si rinvenne nullaltro.”
Spulciando gli Atti dell’indagine e del processo si può conoscere qualche altra notizia sul terzo degli indagati:“Agostino Verona Lavorante Fabbro in Fondamenta degli Ormesini è un giovine d’anni 22 circa, di statura mediocre, bruno di faccia, di viso tondo, collo lungo, naso schiacciato, con un neo peloso sul mento a parte destra, ha i capelli neri e lunghi con coda.”
Sembra quasi una foto segnaletica messa in mano alla Polizia e Carabinieri di oggi: “Dalla Relazione del Capo del Satellizio risultò di non aver potuto arrestarlo per essere già fuggito la mattina da Venezia per il Friuli imbarcandosi in una peotta diretta alla Fossetta … La sola cosa che si riuscì a sapere di lui da notizie di confidenti fu che aveva uno zio materno a Corbolòn sotto Motta del Friuli del quale tante volte aveva parlato ... Contro di lui si spiccò un Ordine d’arresto spedendo Requisitoriali al Capitano Provinciale del Friuli, ed al Giudizio Criminale della Motta … Inoltre si decretò il sequestro giudiziario dei due battelli dei detenuti ponendoli sotto custodia di Michele Tini Capo Contrada di San Marcuola.”
Sia presso la casa del Sabào, che presso quella del Frizza, che nella camera dell’assente Verona, si riuscì a recuperare gran parte della refurtiva:“… 4 ducati d’argento e due mezzi ducati furono trovati nella saccoccia della giacchetta di tela del Sabào, di cui fu rivestito colle braghesse corrispondenti … Dentro al pagliaccio del letto del Frizza si rinvennero in un sacchetto di tela grossa bianchiccia: 178 ducati d’argento, 100 mezzi ducati, e 6 sacchetti di soldoni in tela gialla … e sopra un tavolino nella stessa camera uno scalpello di ferro lungo mezzo braccio che il Frizza disse appartenergli … Nella stanza da letto del Verona affittatagli da Anna Visentin si aprì con un fabbro una cassetta chiusa a chiave che conteneva parte del denaro sottratto al Mercante Cartolani e alcuni cenci inconcludenti lasciati sul posto … Mancarono all’appello dell’intera refurtiva: 79 ducati per lire 632, e 48 mezzi ducati per lire 192 ossia un totale di lire 824 … Alla fine si posero i sigilli alle stanze, si protocollò la visita, e il Guardiano Capo Custode prese in consegna Vincezo Merlo detto Sabào e Antonio Frizza detto Canola richiudendoli rispettivamente nella prigione n° 4 e prigione n° 11 … Si provvide poi ad allestire subito il processo (“per direttissima”) a carico dei tre: Vincenzo Merlo detto Sabào, Antonio Frizza detto Canola e Agostino Verona: scomparso.”
Curiosissime le descrizioni dei tre individui messe agli Atti “secondo il Giudizio Criminale e in adempimento del paragrafo 373 del Codice Penale”: “Vincenzo Merlo detto Sabào è uomo di statura bassa, di corporatura scarna, viso tondo, naso aquilino, bocca grande, occhi mero e vivace, ciglia arcuate e vellose, mento rilevato, bianco di carnagione, di capelli neri alquanto ricci e tagliati all’uso dei barcaroli, barba simile alquanto folta e rasa con cicatrice che apparisce di taglio sul mento a parte sinistra della lunghezza di due dita traverse. Vestito con giacchetta e calzoni lunghi alla marinaresca, calze di filo bianche, scarpe di vacchetta allacciate di cordella nera, con berretta di cendalo nero in mano … Essere il Merlo di complessione robusta e perfetta per quanto apparve, dimostrossi riguardo al suo carattere morale impetuoso e collerico, di spirito fervido, ma vario, e incoerente nel suo discorso, disordinato e irriflessivo …”
Presentandosi al Processo da carcerato qualche giorno dopo, Vincenzo Merlo Sabàodichiarerà: “Sono figlio del defunto Antonio di anni 24 compiuti, son Veneziano nato nella Contrada di San Pietro di Castello ed abitante in questa città in Contrada di San Marcuola nella Calle delle Monache di Sant’Alvise in un appartamento superiore di due camere che mi vengono subafittate per ducati 15 annui da Vicenzo Arquino che sta sotto di me, e che ha tutta la casa in affitto ... Fui in prigione per due anni essendo altrettanto tempo che ne sono uscito, a motivo d’una impostura datami da un malevolo, d’aver tolto un paro di manini d’oro a una certa Signora che sta a San Cancian in Calle Stella ... S’immagini lei s’io son capace di queste malegrazie !”
Si capisce subito che Sabào era un uomo “che la sapeva lunga”, smaliziato e avveduto. Si sente che era già stato in prigione in precedenza, e che sapeva bene come funzionavano le cose in quelle circostanze: “Oh … la Giustizia s’inganna se mi crede capace di queste baronate … Non è vero niente, e nessuno potrà provarmi ch’io sia colpevole di questo fatto: insomma son innocente.”… Dai verbali si nota che nega ogni addebito: “Queste monete le aveva ritrovate dieci giorni avanti ai Bari presso le case nuove in un gatolo, in un dopo pranzo per accidente sulla strada, e non le ho rubate a nessuno.”… Non è furbo però il Sabào, perché si contraddice: in un primo interrogatorio aveva affermato che quelle monete: “… le aveva guadagnate da tanto tempo, e che voleva conservarle per memoria del Governo vecchio”.
Interrogato, nega anche d’essersi recato col Frizza e il Verona due ore circa dopo la mezzanotte del giovedì nel magazzino preso in affitto da suo fratello portandovi la refurtiva e dividendosi il bottino: “Chi mai ha detto queste panzane alla Giustizia ? … Non è vero niente ch’io vi sia stato … Non mi reco lì da almeno 15 giorni … Ci tengo lì qualche roba in una cassa … Io era a letto, a letto … a letto ... La Giustizia è mal informata: chi mai le ha detto queste fanfaluche ?”
Quando gli vengono messi davanti i soldi della refurtiva trovata sotto al letto del Frizza, sequestrata nel magazzino e nella cassetta della stanza dove dormiva il Verona: “Il Sabào diventò tutto rosso in faccia, ed affettando franchezza rispose a mezza voce: “Ben sarà, ma io non so niente ... Che Frizza risponda lui: in questa io non c’entro … Se Frizza è reo ha fatto benissimo a confessare: ma non per questo egli doveva imposturarmi ... Egli ha fatto aria da me lontano, ma non avrà cuore di mantenermi le cose in faccia … Se le sosterà io lo stimo assai bravo … Se questa è roba del Verona, bisogna dimandarne a lui: io non so niente.”
Chiamato a deporre il battellante che per primo scoprì il furto con scasso, testimoniò circa il Sabào e il Frizza: “Conosco moltissimo Vicenzo Sabào ed Antonio Frizza perché fanno essi pure li batellanti … Benchè non abbia con loro la minima relazione, spesse volte mi trovai con essi nel magazzino di San Felice (rivendita di vino) a bere … Moltissima amicizia passava tra essi e lo deduco dal vederli quasi sempre in compagnia sia per istrada, sia a mangiare nel magazzino … Un tal Verona giovine del Fabbro sulla Fondamenta degli Ormesini lo conosco, perché appunto lo vedeva in unione al Sabào ed al Frezza nel magazzino, e mi pareva che fosse egualmente amico loro … L’ultima volta che lo vidi con gli altri due fu la sera del giovedì prossimo scorso ad una tavola separata dal magazzino suddetto. Io entrai in quel luogo dopo l’Avemaria, e ci stessi sin le ore tre Italiane, ed essi vi erano ancora là che bevevano, e discorrevano insieme senza che potessi sentirli … Il Sabào essendo stato altra volta in prigione, e condannato per ladro, fu sempre di pessimo concetto in questa materia ... Del Frizza non ho mai sentito dir male, e così neppure del Verona ... Del loro carattere poi non sono informato ...”
Al Processo inoltre spuntarono fuori e si racimolarono altre accuse e altri particolari e dettagli contro Sabào e Frizza che ne confermavano la reità. Venne convocato, ad esempio, e si presentò prontamente: Mario fratello del Sabào… “uomo fatto di tutt’altra pasta … E’ battelliere, e va a vogar anche nelle barche di Mestre ... E’ miserabile ma mi pare onorato non avendo mai sentito dir male di lui.”
Il giorno seguente la notte del furto aveva ricevuto stranamente dal Sabào un’insolita generosa donazione: “… sono Mario Fratello dell’arrestato Merlo Sabào ... figlio del defunto Antonio, mia madre è pure morta … Sono Veneto d’anni 26, Cattolico, ammogliato da 5 anni con Lodovica Castelli Veneziana, e non ho figli ... abito in Sottoportico Scuro a San Giobbe in una casa di cui non mi ricordo il numero della porta, che consiste in un magazzino terreno e in due camere nel primo piano superiore. Fo il mestiere del battellante avendo un battello mio proprio con cui lavoro di posto a Santi Apostoli … Non entro niente negli affari di mio fratello, cioè non ho parte nelle cose che lo rendono responsabile di Giustizia … Ero amico come lo son tuttavia di mio fratello, ma lo vedevo di raro essendo egli di posto al Ghetto ed io a Santi Apostoli, l’un dall’altro lontano ... Sono circa due mesi che avendo io un magazzino terreno in casa mia che m’era superfluo, egli me lo dimandò in affitto per lire 20 all’anno, senza dirmi la ragione per cui volesse adoperarlo; ed io vi acconsentii volentieri. Egli si fece fare la chiave della porta, e di quella della strada onde poter entrarvi liberamente senza disturbare la mia famiglia ... Nella notte del giovedì prossimo scorso alle ore due dopo la mezza notte stando in letto sentii ad aprirsi la mia porta di casa, poi quella del magazzino suddetto. M’immaginai che fosse mio fratello, ma non sapeva pensare cosa a quell’ora insolita fosse venuto a fare ... Sentii anche qualche parola, e compresi ch’erano in più d’uno con mio fratello ... Io stetti quieto nel mio letto, e la mattina dopo verso le ore 10 lo stesso mio fratello venne a Santi Apostoli al Sottoportico presso al magazzino dove mi trovavo al mio posto, e prendendomi in disparte mi domandò se aveva soldi ... Gli risposi che non ne aveva uno, come era vero ... Ed egli estraendosi di saccoccia mi mise in mano sei ducati d’argento dicendomi: “Tiò che si marendarà de gusto” ... Gli dimandai come avesse quelle monete che sono rare presentemente, e mi rispose: “Tira de longo caro ti, e non badar, magna e tasi.” … E così dicendo seguitò per la Calle del Magazzino che può condurre verso Piazza non sapendo dove andasse … Sospettai che quei danari li avesse rubati e ch’egli fosse colpevole del furto del quale intesi discorrere dalla voce pubblica quella stessa mattina … Colgo l’occasione per iscaricare la mia coscienza e per presentare li sei ducati d’argento Veneti ch’egli mi ha donato …” e li presentò involti in una carta straccia sottolinea e chiosa il verbale.
Vincenzo Merlo Sabào sollecitato dalle dichiarazioni del fratello rispose subito: “Io non diedi cos’alcuna a mio fratello Mario … Se mio fratello dice questo è un buffone, non è vero niente … Di queste cose me ne rido; io non capisco niente: stimo che la Giustizia crede queste chiacchiere…”
Sempre lo stesso Sabào provò anche a darsi un alibi per la notte del furto e per il giorno seguente giustificandosi col dire che era stato in quella sera-notte a casa della sua Comare, e il giorno seguente a lavorare col battellante Silvestro Bubo detto Stanca.
Gli inquirenti provvidero il 3 maggio seguente a convocare entrambi: “Esame di Angela Sprea Fracasso: “… Sono figlia quondam Melchiore Sprea moglie da 5 anni di Pietro Fracasso barcarolo, abitante con mio marito in Calle della Bissa sotto San Bartolamio, Cristiana Cattolica di anni 24. Ho due figli piccoli maschi e vivo col lavoro di mio marito ... Vincenzo Merlo detto Sabào è mio Compare avendomi tenuto già due anni alla fonte battesimale il secondo de’ mei figlioli di nome Vincenzo … Sarà più d’un mese che venne egli una sera a cercare di mio marito a casa mia, ci stette fermato un quarto d’ora e partì ... D’allora in poi non l’ho più veduto …”
La donna firmò con una croce la deposizione davanti a due Assessori e due Consiglieri che fungevano da testimoni.
“Sono il battellante Silvestro Bubo detto Stanca quondam Silvestro, Veneziano, Cattolico d’anni 38, fo il mestiere di battellante avendo un battello in mia proprietà con cui lavoro di posto ai Santi Apostoli ... Abito a San Felice in Calle del Forno al numero 4388, son ammogliato da 12 anni circa e non ho figli … Lavoro insieme col fratello di Sabào, e sono due anni circa che lavorai con lui una volta nel Canal della Giudecca a trasportar barili di sardelle da un bastimento a un magazzino di San Trovaso. E questa fu l’unica volta che fui in sua compagnia … Venerdì ultimo scorso lavorai a trasportar dieci carra di legne col mio battello dalla Dogana ai Santi Apostoli per un signore che mi diede tre lire …” e si sottoscrisse pure lui alla fine della deposizione.
Gli alibi del Sabào risultarono quindi essere inconsistenti, cioè Sabào aggiunse ulteriori falsità alle sue negazioni: la Comare non lo vedeva da più di un mese, e il collega barcarolo da più di due anni.
Si chiamò a testimoniare anche Alberto Pena figlio del defunto Achille: “Sono Veneziano, Cattolico d’anni 53, conduttore del Bastione o Magazzino da Vino a San Felice, ammogliato e con due figli che attendono essi pure alle cose mie …” L’Oste oltre a confermare di conoscere i tre imputati, precisò che erano stati da lui sia il giovedì che il venerdì: “… quando mangiarono pesce per 12 lire in punto dando sei pezze di nuovo stampo dette Provinciali da lire 2 l’una, e che pagò insolitamente per tutti il Sabào.”
Si convocò a processo perfino la moglie dello stesso Sabào: “Vicenza figlia del defunto Marco Malatesta, Veneta Cristiana di anni 21, da tre anni moglie di Vicenzo Merlo detto Sabào ... Si rifiutò d’essere esaminata apponendo un segno di croce sulle carte davanti a testimoni, e si limitò a dire: “Ho un piccolo figlio d’anni due … Io non voglio esaminarmi sopra mio marito. Egli è stato messo a torto in prigione, ed è uomo onorato ...”
Il Barcarolo Antonio Frizza raccontò, invece: “… la moglie del Merlo l’aveva pregato per Amor di Dio di non fare baronate, se non voleva vedere l’esterminio delle sue creature, ma ch’egli le dimenò un pugno per farla tacere, dicendole: “Cogiòna ! … Deboto saremo ricchi”
Vincenzo Merlo Sabào non perse l’occasione di tacere, e saltò su subito: “Io rispondo che costui fa la commedia, e se la fa e se la dice a sua posta, e s’inventa a capriccio delle cose ... Insomma non è vero niente, e il Frizza è un biricchino ...”
Fra le tante persone che si presentarono al processo, si ascoltò e interrogò di nuovo: Vincenzo Sartori (“impiegato fin da 8 anni circa come Scritturale o Agente, o Giovine di Mezzà del negoziante Sior Eusebio Cartolani figlio del vivente Andrea, Veneziano, Cattolico, d’anni 32 ... Abito nella Corte del Basegò a Santa Margherita … Tengo la scrittura doppia del suo negoziato; scrivo e registro le lettere di corrispondenza, e vado per suo conto spesse volte a riscuotere o a pagar del denaro … Vivo e mantengo la mia famiglia composta da moglie e di due figlioli col salario che mi da il Cartolani [40 fiorini al mese, e gl’incerti, colle mance ch’esso mi da fra l’anno, saranno poco più poco meno di 10 fiorini al mese] e con qualche aggiunta di utilità incerte che derivano da tale occupazione non avendo alcun altra rendita ... Mio padre vive da me separato.) Sartori non mancò di accusare a sua volta Vincenzo Merlo detto Sabào: “Il battellante Vincenzo Merlo Sabào era alle Rive del Ghetto Novo, e abita in Calle delle Monache a Sant’Alvise … E’ di condizione miserabile … Per quanto mi è noto è vizioso, ed abbia fatto capo con qualche altro della sua indole per commetter il furto … Aggiungo però quest’aneddoto, venendomi per avventura qualche sospetto nella mente, che il battellante il quale sapeva dov’era stato riposto il danaro, possa essere reo o complice in qualche modo del furto ... Ora mi sovviene, che portato appena il sacco del danaro in battello, un altro battellante ch’era sulla riva del Ghetto Nuovo domandò al Sabào: “Cossa gastu là dentro ?”, e il Sabào gli rispose: “Gnente gnente” … la quale risposta così tronca può forse essere stata maliziosa per non darmi ombra; e però mi nasce ora il sospetto che quell’altro battellante (era Antonio Frizza) possa essere uno de’ complici del furto ... Costui lo conosco soltanto di vista, ma non so come si chiami ... E’ di statura alta, scarno di corporatura, lungo di faccia, e moro in viso, ed aveva un cappello tondo e nero in testa … Mi veniva risposto dagli altri battellanti ch’era al magazzino a bere… Così conchiusi che fosse un uomo vizioso e dedito al vino, e che quando guadagnava quattro soldi andasse subito a beverli …”
La figura di Antonio Frizza, invece, emerse diversa dalle supposizioni del Sartori. Innanzitutto confermò ogni addebito, confessò tutto e raccontò “… e descrisse distintamente l’andamento dei fatti”.
“Sempre secondo il Giudizio Criminale in adempimento del paragrafo 373 del Codice Penale si analizzò essere il Frizza: “Giovine di statura alta, magro di corpo, di facci oblunga, di carnagione bruna, capelli castagni e tagliati sino alla nuca, mostacchi e poca barba sul mento rasa, occhio azzurro, guardatura torva, ciglia raggiunte e rare di pelo, naso rincagnato, bocca grande , denti piccoli bianchi e radi, mento appuntato, collo lungo … vestito di giacchetta di panno verde, logora, gilè di tela galla, braghesse lunghe di tela verde, calze bianche di canape, scarpe di vacchetta allacciate con cordella nera … Si dimostrò sempre uguale nelle sue asserzioni, e sincero, placido, e fermo di carattere, e pentito del fallo commesso … Si rinvenne a casa sua la maggior parte della refurtiva e uno scalpello di ferro strumento non verosimile per la sua professione di battellante … Piange e singhiozza nel testimoniare e accusarsi e incolpa Merlo Sabào come causa e “pietra di scandolo di tutto”.”
Circa la personalità del Battellante Antonio Frizza, il Tribunale andò il 30 aprile a sentire il parere sia del Reverendissimo Pievano di San Marcuola: “Prè Alvise Benasutto quondam Vincenzo, Veneziano d’anni 59, da 10 anni Piovano di San Marcuola, abitante nella canonica parrocchiale… “, che l’opinione del Curato di San Marcuola.
Il Primo Prete di San Marcuola convocato precisò: “Lo conosco moltissimo essendo mio parrocchiano, abitante da circa due anni sulla Fondamenta di San Girolamo. E’ giovane d’anni 18, fa il Battellante al Ghetto, e sento dir con mio dispiacere che sia stato posto in prigione come correo di furto insieme ad altri miei parrocchiani: Vincenzo Merlo detto Sabào Battellante che fu retento, ed Agostino Verona Fabbro che parimenti conosco … Frizza è un giovane di buonissimo carattere, un po’ vivo, che non fece mai (ch’io sappia) male azioni, e che contro il costume di molti del suo mestiere dava indizi di vita cristiana col farsi vedere alla chiesa e con confessarsi regolarmente ogni mese dal mio Curato ... Io lo attesto per averlo tante volte veduto in chiesa, e per aver di lui una perfetta cognizione. Dirò anzi che sentito l’arresto e la sua incolpazione io esitava a crederla sembrandomi quasi impossibile che così ad un tratto avesse declinato dalla buona via; per lo che non ho tra di me dubitato che non fosse stato traviato da cattivi compagni … Vincenzo Merlo detto Sabào, invece, è un uomo stato altra volta carcerato per ladro, di mal concetto nell’universale in materia di furti; ed aggiungerò poi che per quanto mi risulta dalle voci comuni è uomo vizioso, dedito al vino, al giuoco, e piuttosto all’ozio che al lavoro; che non si vede mai a fare le cose da Cristiano, e che insomma conduce una vita cattiva … (secondo il Prete Curato: “… conduce una malavita viziosa, senza far i doveri del Cristiano, essendo dedito al gioco e alla crapula, e facendo anche stentare la sua famiglia com’ebbi ragione di rilevare da sua moglie la quale alcune volte si lagnò meco della cattiva condotta di suo marito ... Anzi una volta già un mese circa avendo incontrato per istrada il Sabào, lo presi in disparte e rimproveratolo della sua malavita senza nominargli la moglie, lo corressi ammonendolo a far le cose da Cristiano. Egli parve alla mia ammonizione compunto: ma per quanto ne so continuò secondo il solito, e nessun effetto ritrasse dalle mie parole.) … Del Verona non intesi generalmente dir male, e qualche volta l’ho veduto a Messa nella mia chiesa ...”
Il Reverendo Curato Don Basilio Basili figlio quondam Alvise, Prete d’anni 42, Veneziano e da 4 anni Curato a San Marcuola abitante nella canonica del Reverendo Piovano dichiarò ancora: “... Frizza detto Canola Battellante al Ghetto ed abitante sulla Fondamenta di San Girolamo in casa d’un certo Amolo Barcaruolo lo conosco moltissimo essendo anche nato nella mia Parrocchia ... Suo padre sta da qualche anno colla di lui famiglia alla Giudecca, e conosco poi il detto giovane perché da circa un anno vien da me a confessarsi … Della sua condotta io non posso dirne che bene: è giovane di buon costume, che si confessa da me ogni mese, che s’accosta alla Santissima Comunione, e che vive bene essendo libero e senza impegno di famiglia, che coll’utile del suo mestiere può benissimo mantenersi.”
Il 2 maggio, visto che Sabào sfidava il Frizzi a confermargli e dirgli in faccia certe accuse, si provvide a metterli a farli incontrare e mettere a confronto … Sabào negò ancora d’aver incontrato Frizza al magazzino insieme al Verona: “Se il Frizza è matto vada a farsi legare … Io non potrò mai dir queste cose perché non sono vere.” ... Frizza, invece, precisò ulteriormente circa il Verona: “Nel magazzino da vino mi ha detto: “Gran bezzi che ga sti Mercanti: bisogneria cavarghe sangue” … Merlo Sabào ha risposto: “Magari: come se podaria far ?” … e il Verona: “Co una merda de gnente: andargheli a robàr … Za ti si sa dove che i xe” .. e Merlo Sabào mi disse ancora: “Se ti ga cuor Toni, questo xe’l momento.”… e mi fece coraggio dicendomi che la cosa restava occulta, che il Verona aveva una trivella e uno scalpello ed altri ordigni opportuni a tal uopo … che avremmo fatto un buco nella porta, aperto il catenaccio per di dentro, che la Famiglia Cartolari abitava nei superiori appartamenti, e nessuno avrebbe sentito, e che il bottino era riguardevole, e ci avrebbe arricchiti …”
Tanto per non cambiare, Merlo Sabào replicò subito “con isdegno” al Frizza: “Io dico che costui è un calunniatore, che vuol importunarmi, e che ha detto delle bugie tanto fatte … Che tu sia maledetto ! … Anche questo hai avuto cuor di deporre ? … Dunque, io fui quello che t’ha sedotto a fare una tal baronata ? … Sei un mentitore !” … Poi insorgendo con impeto e disprezzo ancora contro il Frizza: “Tu dici della panchiane ! … e non è vero niente: briccone e barone che sei ! … Ladro e indegno che sei tu ! … Io lo nego e negherò tutto in eterno ...”
Antonio Frizza continuò a confessare e deporre: “… che per strada abbiamo incontrato il Barcarolo Malacarne salutandolo, e che il Sabào l’aveva accompagnato fino ai Santi Apostoli cercando di convincerlo sull’affare, mentre Verona li stava già aspettando a casa del Sabào preparando gli attrezzi … e che poi avevano portato il battello in Rio della Sensa un’ora dopo mezza notte … che il Verona era rimasto a bordo all’erta, e che in caso di contrattempo avrebbe dato un fischio per avvisarli ... Poi che con Merlo Sabào avevano usato la trivella per il buco, e lo scalpello per far leva sulla porta interna della scala sollevandola dai gangheri … e che compiuto il furto e impauriti da un improvviso abbaiare di un cane che sembrava essere in casa lasciarono in fretta il luogo lasciando alcuni oggetti e perdendo il cappello nel portico … e che risalendo in barca la trivella fu gettata nel rio … e che s’erano poi diretti al magazzino in Sottoportego Oscuro a San Giobbe dalla parte del Rio, sito riservatissimo, dove si accese una candela di sevo col battifuoco, e si fece la spartizione della refurtiva avendo il Merlo Sabào una parte maggiore per aver ideato il furto e messo a disposizione il suo battello … Poi si mise il resto in una cassa, e Merlo Sabào uscì per andare a dare alcuni soldi a suo fratello … Ci lasciammo che era quasi giorno … Io nascosi il denaro nel pagliericcio eccetto due ducati che la mattina seguente portai in elemosina alle Cappuccine di San Trovaso onde pregassero Dio secondo le mie intenzioni, che non mi succedesse alcun male … Salutai il Verona che era nella sua bottega a lavorare agli Ormesini, e sulla riva del Ghetto incontrai Sabào allegro che tintinnò i soldi in saccoccia ... Poi andammo a mangiare bene pesce a San Felice dove Sabào pagò per tutti lire 12 ... Sentimmo qua e là alcuni discorsi, e la notte ultima scorsa fui sorpreso dalla Giustizia e arrestato scoprendo il deposito del denaro nel mio pagliericcio …”
Frizza pareva un torrente in piena, e alla fine firmò la deposizione-confessione anche lui con una croce prima d’essere “restituito alle carceri”.
Il 5 maggio il Giudizio Criminale restituì contro ricevuta al Mercante Cartolani quanto rimaneva dei suoi denari e degli effetti di sua ragione come da quanto costituito agli Atti … Il 9 maggio 1815 seguente, il Primario Medico Carcerale visitò Merlo e Frizza in carcere trovandoli quanto alla loro fisica costituzione d’ottimo robusto temperamento, non attaccati da morbo alcuno, e in conseguenza atti entrambi a soffrire tutti gl’inasprimenti voluti dal Codice dei Delitti: cioè la berlina, il pubblico lavoro, il digiuno ed i colpi di bastone …Perciò il 16 maggio 1815 si propone per Vincenzo Merlo detto Sabào la pena di 10 anni di Carcere Duro coll’inasprimento dell’esposizione alla berlina e colle regole prescritte dal canone 19 del Codice Penale, mentre per Antonio Frizza detto Canola si proposero: cinque anni di carcere duro (ridotti poi a due), “riservata la facoltà all’Imperial Regio Tribunal Superiore di minorargliela siccome può farlo al senso del 441 ...”
La Sentenza definitiva dell’Imperiale Regio Tribunale d’Appello Generale fu deliberata il 26 maggio 1815, e letta a chiara e intelligibile voce a parola per parola dal Segretario del Tribunale agli imputati e condannati il 30 maggio seguente …Lo stesso giorno venne notificata anche al Soprastante alle Carceri.
Quelli e quelle della Contrada di San Marcuola, ma anche gli altri delle Contrade Veneziane, nonché quelli del Mercato di Rialto, di Piazza San Marco e dei Moli Marciani ebbero per un bel pezzo di che dire e raccontare …
Sono stato ieri pomeriggio ad osservare dal vivo quelle Calli, quelle Rive e quei posti … Sono trascorsi due secoli, e non sembra essere cambiato quasi niente ... Tendendo l’orecchio sembra ancora di udire certi brusii, e certe mormorazioni notturne … e forse anche lo sciabordio di certe acque mosse nottetempo da certi remi furtivi di una barca leggera occupata da tre ombre scure.