“Una curiosità veneziana per volta” – n° 50.
“L’OSPIZIO DEI CROSECCHIERI … A VENEZIA”
Quand’ero piccoletto e mia madre mi portava dalla mia isoletta spersa in fondo alla laguna fino a Venezia per effettuare dei controlli all’Ospedale Pediatrico Umberto I a San Alvise, passavamo di là. Sbarcati alle Fondamente Nove, spesso d’inverno col freddo, la pioggia e il buio, camminavamo proprio accanto a quell’edificio. Nella mia vispa fantasia di bimbo satura delle letture dei fumetti di Tex Willer, quella era la “casa dei Cinesi”. Forse per la postura e l’aspetto del Santo scolpito in facciata con la Madonna, che mi sembrava appunto un Cinese con un pacco misterioso … o forse per chissà quali motivi, m’immaginavo che ci fosse dietro a quella porta e dentro a quella casetta piena di camini una fumeria di oppio piena di tendaggi, draghi contorti, luci rossastre soffuse, geishe seminude e procaci, e uomini dagli occhi a mandorla, codini, baffi lunghissimi e coltello facile … Bambino ero, e mi portavo a spasso per Venezia le mie fantasie stretto alla mano rassicurante della mamma forte come quella di Tex Willer. Assieme a quella visione da Far West lagunare associo ancor oggi il ricordo dell’odore intenso delle colle, dei mastici, della pece e dei legni che fuoriusciva dagli ultimi squeri di Cannaregio che accostavamo, dove si ostinavano a costruire e riparare le ultime barche in un miscuglio di faville, stoppie, e rumore di seghe e chiodi ribattuti.
Col trascorrere degli anni, mi sono spesso domandato quale fosse quel posto che ogni tanto riaffiorava, galleggiava e riaffondava nella mia memoria, finchè finalmente l’ho riconosciuto, anzi, ho riconosciuto la scultura ancora infissa sopra al portale, e il ricordo si è acceso nitido nella mia memoria. Non si trattava della fumeria di Tew Willer e dei Cinesi a Venezia, ma dell’antichissimo Hospeàl dei Crocecchieri o Ospizio Zen dell’Assunta in Campo dei Gesuiti verso le Fondamente Nove.
“Chi ? … Dove ?” dirà più di qualcuno.
E’ sì … non è uno dei posti e dei luoghi fra i più conosciuti e visitati di Venezia. A dire il vero, ultimamente è davvero difficile potervi entrare e visitare almeno la Cappella di quel luogo che è stato prestigioso o perlomeno ricco di storia curiosa.
Sapete meglio di me che Venezia pullulava per secoli di Ospizi e Hospedaetti sparsi un po’ in tutte le sue Contrade. Ce n’erano davvero molti, moltissimi, e la maggior parte di loro è esistita per secoli sussidiando la città lagunare con grande puntualità e meticolosa efficienza. Gestire la Sanità a Venezia non è mai stata una cosa da poco, tuttavia bisogna dire che la Serenissima si è data molto da fare al riguardo e ha permesso che molti privati, devoti, Compagnie, Ordini di Frati e Monache e Scuole di Arti Mestieri e Devozione Grandi e Piccole potessero in proprio erigere delle realtà assistenziali davvero presenti e attive sul territorio Serenissimo fatto di Calli, Contrade e Campi.
Sapete anche che per secoli la presenza dei poveri, dei miseri e dei bisognosi a Venezia si contava nell’ordine delle decine di migliaia. In certe stagioni storiche per vari motivi si è giunti a parlare di settantamila-ottantamila e più miseri questuanti e bisognosi presenti stabilmente e imploranti un qualche aiuto in città anche in maniera importuna.
Quindi, volendo, ce n’era da fare per aiutare un po’ tutti …
Le vicende di quell’Ospizio iniziarono circa nel lontanissimo 1150, pensate quasi un millennio fa … quando i Frati Crociferi o Crosecchieri giunsero a Venezia da Roma costruendo subito Chiesa e Convento con le donazioni della nobile famiglia Gussoni. Accanto al complesso religioso costruirono anche un Hospeàl con annesso Oratorio per offrire ospitalità ai pellegrini e ai crociati in transito per Venezia diretti in Terrasanta. Si dice che l’Ordine dei Crociferi o Crosecchieri sia arrivato a gestire fino 200 Ospizi e Monasteri fra Italia, Europa, Palestina e Oriente. Niente male per l’epoca !
Le cronache dell’epoca raccontano:
“… essendo venuti dalla parte di Roma alcuni monachi quali andavano vestiti de biso, descalzi; con una croce de legno in man, pieni d’ogni bontà e religion, et essendo poveri, li furono donati alcuni terreni sopra la palude, in confinanza col Canal delli Monachi dal Sacco, dove li fu fabbricado da diversi con elemosine, un’Hospedal per loro habitation con una giesola che chiamavano Santa Maria dell’Hospedal delli Monaci della Croce.”
I Frati Crosicchieri a Venezia furono subito ben visti e accolti, e soppiantarono nella zona i Monaci Sacchiti dal misero abito che: “…andavano centi con una cadena et non conversavano con persona alcuna … mentre i Crociferi usando vita onestissima, anzi santa, li Nobili et Cittadini con il Popolo andavano volentieri allo loro offici, facendoli elemosine assai, di modo che i Monaci di Santa Caterina del Sacco, vedendo ogni giorno più accrescer et concorreli assai popolo che disturbava i loro uffici, si partirono da Venezia et andarono al Monte Sinai …”
L'Hospeàl veneziano presentò fin dall’inizio quattro grandi camini collegati a dodici stanzette di ricovero. Sopra il portone d'ingresso fu posto fin dal 1300 un bassorilievo con “Madonna in trono col Bambino e San Magno”(la statua del Cinese della mia fantasia da bambino). Da lì si accedeva alle parti comuni, alle stanze allineate sui due lati, e all'Oratorio in fondo all'edificio.
Già nel 1170 fu lasciato per testamento ai Crosecchieri “alla bona memoria di Cleto … successore di Pietro”: vigne e possedimenti con acque pertinenti a Pellestrina e Chioggia. Qualche anno più tardi, anche Basilio, Domenico e Pietro Domenico da Chioggia donarono saline, terre, paludi e case sempre a Chioggia. Entro la fine del secolo, il Patriarca di Aquileia Bertoldo donò all’Ospissio dei Crosecchieri: case e palazzi a Padova, Trieste, Muggia, Fuscalia, e alcuni boschi di Meolo.
All’inizio del 1200, il Patriarca di Grado sotto la cui giurisdizione cadeva il Convento dei Crosecchieri, concesse ai Frati immunità e privilegi, e quelli offrirono simbolicamente in cambio: due annue ampolle di vino. Anche il Papa non si fece attendere, e Gregorio IX vietò a chiunque di violare l’integrità territoriale dei Crociferi veneziani minacciando con apposita bolla scomuniche e pene severissime.
Una decina d’anni dopo, come spesso accadeva a Venezia, un furioso incendio devastò Convento, Chiesa e Ospizio, ma tutto fu presto ricostruito destinandolo all’accoglienza di povere vedove ammalate, scelte e ammesse in autonomia dallo stesso Priore dei Crosecchieri.
Per far comprendere l’importanza di quel posto a Venezia in quell’epoca, il 23 giugno 1222 proprio ai Crociferi o Crosecchieri si firmò la pace fra le nemiche Serenissima e Patriarcato d’Aquileia.
Nel 1254 il personale accudiente attivo nell’Ospizio consisteva in due sacerdoti, un diacono e dieci fratelli laici del Convento dei Crosechieri … e continuavano a fioccare lasciti e donazioni.
Maria vedova di Giacomo Gradenigo dispose per testamento il 25 luglio 1267 di elargire a quasi tutti i Monasteri e Hospeàli del Dogado Serenissimo cospicui legati e denari. Beneficò innanzitutto il Monastero delle Vergini a San Pietro di Castello dove predispose la sua sepoltura, e poi gli ospedali: Domus Dei (Ca’ di Dio), Domus Misericordie, Santa Maria Crociferorum, San Joahannis Evangelista, Sancta Maria et San Lazzaro ... e molti altri monasteri “da Grado usque Caput Aggeris”. Effettivamente furono corrisposti a tutti dai Procuratori di San Marco 20 ducati in 2 rate di 8 e 12 soldi.
L’anno dopo, il Doge in persona Raniero Zen lasciò per testamento l’intero suo capitale a metà fra l’Hospeàl di San Giovanni e Paolo e quello dei Crosecchieri a cui lasciò anche i ricavi di alcuni vigneti in Istria e Muggia col vincolo d’inalienabilità, e col perpetuo usufrutto a favore degli infermi. Lasciò all’Ospizio anche la proprietà di sedici caxette nella vicina Contrada di Santa Sofia,disponendo che le rendite degli affitti fossero spese dai Commissari testamentari per acquistare letti, coperte, lenzuola, vestiario, sedie e oggetti utili agli infermi.
Il Doge inoltre, ordinò che anche i 3000 ducati della dote della moglie, nonché gli effetti personali e gli arredi della casa andassero a beneficio degli infermi, compresa la parte del nipote se fosse stato senza figli. Ogni cosa doveva essere decisa in accordo fra l’Ospitalario dei Crosecchierie il Priore dell’Ospedale.
Per tutto questo il Doge fu inizialmente sepolto nella chiesa dei Crociferi-Crosecchieri prima d’essere trasportato nel Pantheon Ducale di San Giovanni e Paolo. Questo importantissimo e molto ricco lascito denominato “Comissaria Zen” non fu lasciato in gestione ai Frati ma alla moglie del Doge, e in seguito ai Procuratori di San Marco de Citra. Come sempre la Serenissima utilizzava certe donazioni a modo suo e in maniera “oculata per il bene pubblico”, perciò il lascito fu spesso incamerato dallo Stato e utilizzato a fini bellici in più di un’occasione.
E come il solito, a Venezia ci fu un lunghissimo e secolare contezioso con cause e processi fra Procuratori di San Marco e i Crocecchieri per la contribuzione dello Stato alla gestione dell’Ospizio, con reciproche accuse di maneggi, ruberie, dimenticanze e abusi.
Venezia era Venezia …
Dal 1299 in poi un apposito Gastaldo raccoglieva a nome dell’Ospizio Zen gli affitti delle caxette della Contrada di Santa Sofia e di altre caxette che si aggiunsero in Contrada dei Santi Apostoli e a Rialto. Investiva i capitali in Zecca, vendeva e comprava, e amministrava gli interessi spendendo per le cose necessarie per “pauperibus et infirmis”. Dalle note degli antichi Quaderni dei Conti dell’Ospizio risulta che comprava: letti con lenzuola e coperte, vestiario, pezze per le camicie, scarpe, frumento, orzo, vino, olio, lardo, carne salata, pollame e uova, formaggi e pesce.
Nel 1414 furono necessari dei lavori di ristrutturazione dell’Ospizio e della Cappella interna, mentre i Frati Crosecchieri seguendo la moda del secolo facevano i capricci e si davano alla bellavita e a bagordi in giro per Venezia e il Dogado.
Articolo n°6 dei “Capitula Hospitalis Zen” del 25 gennaio 1445:
“… che ogni mattina juxta el laudabile consueto antiquo presente epsa Priora, o sua viceregente, vadino e facino andare le povere del hospitale al altare de la Madona de esso hospitale a rendere gratie a quella, et pregare Dio per el Stato della nostra Illustrissima Signoria, libertà e conservation del Monastier de Crocichieri, et per le anime de chi gli ha statuito tanto bene … dicendo cadauna d’esse povere inginocchioni: cinque Pater noster et cinque Ave Maria a riverentia della Santissima Croce et Passione del nostro Signore Jesu Christo … Tri per la Santissima Trinitade et sette per le Sette Allegrezze della Madonna ...”
Articolo n°8 dei “Capitula Hospitalis Zen” del 25 gennaio 1445:
“ … che a septimana, over mese … che le povere a do a do, quelle cioè se possono exercitare, debbiano tegnir mundo et scovato tutto l’andeto de ditto Hospitale, tra l’una e l’altra porta, et non tegnir animale de alguna sorte nelle sue celle excepto qualche gatto …”
Nel 1500 il posto di Priore dell’Ospizio era vacante ed era appetito da moltissime organizzazioni religiose cittadine: Padri Serviti, Canonici Regolari di Santo Spirito in isola e Monache di Santa Maria degli Angeli di Murano che patrocinate dal Senato Serenissimo aspiravano a rilevarlo e gestirlo. Addirittura il 20 gennaio 1504 il Padre Generale dei Crociferi si lamentò che si voleva dare l’Ospizio in gestione come “Commenda” al figlio tredicenne del potente combattente Procuratore Nicolò Priuli. E il motivo c’era: si guadagnavano 600 ducati di Commenda e molto altro di connesso ... Lo sapeva bene la nobile famiglia Zen, che nel bene e nel male mantenne sempre un controllo ed un’ingerenza nei confronti dell’Ospizio arrivando talvolta ad occuparne delle parti affittandone a persone non bisognose e occupando terreni di proprietà dell’Ospizio.
Trascorsero 50 anni prima che il Papa Pio II si decidesse a mettere un freno e richiamare all’ordine, alla Regola e alla disciplina religiosa i Frati Crocecchieri “bellicosi”. Il Papa però si diede da fare espropriando i Crosecchieri di tutti i beni che possedevano a Venezia, passandoli in gestione come Commenda prima al Cardinale Bembo, e poi al famoso Cardinale Bessarione (quello della Biblioteca Marciana), mentre i Procuratori di San Marco del Governo Serenissimo tagliarono i contributi ai Frati e di conseguenza alle povere donne dell’Ospizio a cui venivano conferite 18 lire d’oro all’anno e una paga di lire 1 e soldi 8 in tre rate: Natale, Pasqua e Assunzione ... L’Ospizio rischiò il fallimento e la chiusura per mancanza di fondi.
Ma questo non accadde …
Passarono altri cento anni, e un secondo incendio distrusse quasi completamente Convento e Ospizio, e i Crosecchieri reintregati parzialmente nelle proprietà, ma privi delle antiche cospicue risorse economiche, fronteggiarono la ricostruzione di Convento ed Ospizio con estenuante lentezza.
Solo nel 1543 si portarono a termine le riparazioni del Convento, e solo dopo altri dieci anni si concluse il restauro dell'Oratorio. Per fortuna anche questa volta i Crosecchieri trovarono un sostenitore finanziatore assiduo nel Doge Pasquale Cicogna particolarmente legato all'Ordine dei Frati.
Ogni anno visitava l’Ospizio ufficialmente come Doge accompagnato da tutta la Signoria il giorno dell’Assunta, e fu lui a commissionare la decorazione della Cappella dell’Ospizio al trentatreenne Jacopo Palma il Giovane. Tra 1583 e 1592, pagato da Fra Priamo Balbi, dipinse per le pareti della Cappella 8 teleri narranti le vicende della storia dell'Ospizio, le devozioni del Doge, e la storia dell'Ordine dei Crosecchieri il cui simbolo è rappresentato da tre croci collocate sul sepolcro vuoto della Madonna o presumibilmente del Cristo Risorto.
Nel 1584 il Doge Cicogna risolse anche la controversia fra Procuratori di San Marco e Crosicchieri facendo loro versare gli arretrati dovuti dalla Serenissima all’Ospizio. L’Ospitalario Barbi pagò le pensioni alle donne ospitate aumentandole da 12 a 14 ducati, con pensione annua di ducati 24 al posto di 8 ducati distribuiti ogni 3 mesi invece di 2 volte l’anno. Si fornì assistenza sanitaria e medicine gratuite servendosi della “Specieria dello struzzo in Marzaria”, e si finanziò l’Ospizio con 24 ducati annui per celebrare Messe settimanali nella Cappella, comperare cere e candele varie, olio per tenere acceso giorno e notte la lampada dell’altare tutto l’anno, un sepolcro-arca nell’Oratorio per le ospiti morte nell’Ospizio alle quali si assicuravano anche le spese per il funerale. Toccò di nuovo al Capitolo dei Crosecchieri di assistere spiritualmente l’Ospizio, nominandone una Priora e scegliendo le donne ospiti.
Anche in quell’occasione, nel 1595, i Crosecchieri accolsero volentieri nella loro chiesa le spoglie e il monumento funebre del benemerito Doge Pasquale Cicogna (la tomba esiste ancora oggi nella chiesa chiamata in seguito Santa Maria dei Gesuiti).
Nel 1564 i Frati Crosicchieri di Venezia erano economicamente agiati: il Convento possedeva proprietà di molte case e terreni a Venezia, nel Dominio, a Padova e Treviso. I Frati investivano capitali nei Banchi pubblici e nella Zecca della Serenissima e ricavano utili da diverse Mansionerie di Messe finanziate e lasciate dai devoti … Tuttavia il bilancio del Convento segnalava un passivo di 1.360 ducati.
Nel Convento vivevano ben 59 persone: 27 sacerdoti di cui molti figli di Nobili di Venezia: Boldù, Barbaro, Condulmier, Michiel, Pasqualigo, Zorzi, Badoer, Moro, Nani che spesso si ritiravano con i Frati per trascorrere insieme la Settimana Santa. C’erano inoltre: 16 novizi, 2 diaconi, 5 suddiaconi con 1 maestro di teologia, 1 di grammatica e greco, 2 per la musica. Nel conteggio si dovevano aggiungere 4 conversi per i servizi interni, 1 avvocato ordinario, 1 avvocato straordinario, 1 medico, 1 cerusico, 1 quaderniere, 2 fattori, 3 barbieri, 1 organista e accordatore, 1 lavandaia e 1 lavandaio, 1 cuoco col sottocuoco, e 2 famigli che gestivano la cantina e facevano il pane per tutto il Convento dei Crosecchieri.
Nel 1649 e 1654 i Procuratori di san Marco eseguirono alcune indagini sull’operato dei Crocecchieri. Risultarono alcune inadempienze: non tutte le camere venivano occupate stabilmente dalle assegnatarie ma solo la metà. Sette titolari vivevano e dormivano in altri luoghi, ossia percepivano la pensione di 24 ducati annui senza averne realmente bisogno, oppure subaffittavano la stanza ad altre donne povere. Prima fra tutte le inadempienti era la Priora, che rimasta vedova, era entrata ad abitare dopo la peste nell’Ospizio. Aveva 2 figli Frati Crosicchieri, e nella sua camera viveva in realtà Adriana Allegretti parente del Priore dei Crosecchieri al quale prestava servizio. Anche altre 3 donne ospiti non occupavano le camere dell’Ospizio, perché abitavano di fatto nel palazzo dei nobili veneziani per i quali lavoravano. Una certa Libera nipote del Piovan della chiesa di Santa Sofia viveva in canonica con lui. Una donna Anzola lavorava a servizio di Ca’ Priuli, e abitava a Vicenza presso parenti, al suo posto occupava la stanza donna Laura di 50 anni col marito, messa lì dai Frati Crocicchieri perché pagata da loro, lavava drappi e panni del Convento.
Inoltre, i Procuratori che indagavano rilevarono la presenza nell’Ospizio per 4 mesi di alcune Buranelle:
“ … madre con due figlie una grande et una piccola et un figliol maschio di anni dieci incirca infermo, persone non gradite alle ospiti, che si faceva regolarmente visitare da un uomo che diceva essere suo marito suscitando il dubbio che praticassero vita scandalosa ... Sono state inserite da uno dei Frati Crocicchieri di cui la Priora volle tacere il nome ...”
E venne il 1656, quando Papa Alessandro VII, stanco della vita dissoluta e poco devota dei Crosicchieri, ne decretò definitivamente la soppressione. La Serenissima “dispiaciuta” ne incamerò immediatamente tutti i beni e proprietà presenti nello Stato Veneto impiegandoli per la guerra di Candia. Al posto dei Crosecchieri giunsero a Venezia i Gesuiti che alla presenza di 3 Procuratori di San Marco e del Legato Pontificio Carlo Caraffa comprarono Convento e Chiesa dei Crosecchieri per 50.000 ducati d’argento demolendo e ricostruendo tutto.
L’Ospizio collocato di frontefu escluso dalla trattativa, rimase sotto la giurisdizione dello Stato Serenissimo affidata ai Procuratori de Citra, e fu destinato ad accogliere le vedove dei soldati morti durante le guerre contro i Turchi, e poi le solite donne povere, vedove, vecchie e inferme. Le pensioni delle quindici ospiti chiamate “Camerieste” furono ridotte a 20 ducati annui nel 1672 , e a 10 ducati nel 1695.
Dal Libro dei Conti dell’Ospizio Zen si evince che ancora nel 1752 le Cameriste percepivano 14 ducati, e 27 ducati nel 1768 quando: “La Priora riceve 10-15 ducati per la sua buona custodia et diligenzia”.
Stranamente l'Hospeàl sopravvisse agli editti del 1806 del Signor Napoleone.
A Venezia nel 1819 s’istituì la Pia casa di Ricovero nell’Ospedale dei Derelitti a Castello, e s’accorparono in quell’Ente tutte le rendite degli Ospedaletti sparsi per la città. Ne rimasero attivi solo 16, fra cui l’Hospeàl Zen ai Gesuiti vicino alla Contrada dei Santi Apostoli le cui povere percepivano un assegno mensile di 4,70 lire austriache ossia 1 ducato d’argento veneto.
Nel 1876 il dipinto dell’“Adorazione dei Magi”di Palma il Giovane presente nella Cappella dell’Ospizio, fu rovinato dal calore di una vicina fornace. Fu messo all’aperto ad asciugare sotto la pioggia, e in seguito se ne tagliarono via due teste rovinando definitivamente il quadro. Alla fine del 1800 la tela fu dichiarata scomparsa e venne sostituita da una “Circoncisione” di Paris Bordone, che scomparve a sua volta misteriosamente.
Nel 1884 l'Oratoriovenne intitolato per un breve periodo a San Filippo Neri e San Luigi Gonzaga dalla Pia Unione che l'ottenne in concessione.
Infine, l’Ospizio dopo la caduta della Repubblica venne restaurato più volte a cura della Congregazione di Carità, e passato all'I.R.E. e al Comune di Venezia fu restaurato ancora nel 1982 e 1984. E’ tutt’ora attivo dotato di quattordici camerette.
Qualche anno fa passando ho visto il Campo dei Gesuiti che traboccava di chiassosa vitalità. Alcune mamme s’assiepavano attorno ai passeggini, diversi bimbi si rincorrevano e flottavano intorno cavalcando bici e impallonando la facciata dell’antico Ospizio Zen chiuso. In un angolo litigavano e amoreggiavano due adolescenti acerbi, mentre altre donnine sedute in crocchio chiacchieravano a raffica riassumendo la storia del mondo e di tutto quanto accadeva di notabile nei dintorni. In uno degli angoli dell’antico convento dei Crosecchieri abbandonato e invaso da qualche famiglia abusiva era attiva una Stazione dei Carabinieri.
Di questi tempi l’ex Convento dei Crosecchieri è diventato un pensionato per universitari. Uno dei chiostri è il plateatico di un bar deserto, mentre nel Campo dei Gesuiti due badanti in sosta se ne stanno “stravaccate” in panca aggiornandosi l’un l’altra dell’ultimo valore del cambio del dollaro … Dall’altra parte, proprio di fronte all’Ospizio Zen, un vecchio in soprabito e col cappello sghembo legge un giornale a gambe accavallate, e una donna di mezza età in ciabatte e con le calze arrotolate chiama e dialoga sul bordo della riva con una truppa di gatti con le code alzate in aria a punto interrogativo.
Giorni fa, passandoci accanto, ho notato la porta centrale spalancata … Mi sono immediatamente catapultato dentro alla penombra scura dell’ingresso nel goffo tentativo di vedere ciò che rimaneva dell’antico Ospizio dei Crosecchieri.
“Cosa vòllo ? … Dove vàlo ?” mi ha incalzato subito una vecchietta smilza, sospettosa e risoluta uscita dal niente con uno scialletto di lana azzurro sulle spalle.
“Xe questo l’Ospeàl dei Crosecchieri … Sjora?” ho provato a dire.
“No ... No … Non abita nissun qua con quel nome … No ghe xe nessuna Sjora Crosieri … Bona sera.”
E scuotendo la testa seriosa e perplessa mi ha spinto fuori richiudendomi la porta in faccia … mentre da sotto usciva una sorta di antico alito umido, misto di vecchie memorie Serenissime e Storie di Cinesi e di Tew Willer …