#unacuriositàvenezianapervolta 204
Varotèri Veneziani
“Più facoltosi e sopra a tutti gli Homeni abbienti del Curame e delle Pellizzerie stanno i Varoteri che sono la parte eminente di tale genere manufatturiero Veneziano capace di dare di che vivere a molti.”
Questi erano i Varoteri o Vajai o Pellicciai: una categoria Veneziana agiata, la parte più nobile ed emergente, la più ricca e rispettabile, l’elite della Filiera delle Pelli e del Curameche a sua volta serviva e riforniva una classe ancora più agiata e preminente: cioè quella dominante della società Veneziana: le Magistrature, iNobiliHomeni e le NobilDonne, i Mercanti e i Dogi… Sembra che la dizione “Varoteri” derivi probabilmente da “Vaio o Varòta” nome forse di origine siberiana che indicava genericamente una pelliccia, o uno Scoiattolo o una Martora in genere … I Varoteri o Vajai o Pellizzeri erano Artigiani che confezionavano e vendevano pellicce di Vaio, Martora, Ermellino e Lattizio, Volpe, Gatto, Agnello, Coniglio, Arcoline (Capra), Schilati (Scoiattoli),Montone: le cui pelli erano dette “Moltoline”, e di Capretto: le così dette “Beccùne”.
Le Varoterie insieme alle Parrucche, Guanti, Scarpe, gioielli, Abiti Togati di rappresentanza o cerimonia, e i finimenti di lusso finivano per essere una delle espressioni più d’effetto della grandezza potente di Venezia Serenissima.
Già alla fine del lontano ottobre 1271 si elaborarono a Venezia i primi Statuti dei Varoteri che vennero poi rinnovati e integrati a più riprese nel 1312 e 1334-35 ... A Rialtoc’era la Varottaria cioè la Ruga della Pellizzaria, ma fin dal 1197 esistevano sparse un po’ per tutta Venezia diverse botteghe-laboratorio con tre-quattro Varitai o Varotai ciascuna dove i Varoteri sceglievano, pulivano, tingevano, sbiancavano e spazzolavano i prodotti forniti già conciati dai Scorzeri e Conzacurami rifilati a lavorare e vivere isolati alla Giudecca.
Il fenomeno della Garberia: cioè della lavorazione, concia e commercio ed esportazione delle pelli è esistita per secoli in parallelo alla grande lavorazione e commercializzazione della Lana, dei Panni e delle Telerie in genere ... E’ curiosissimo notare come storicamente agli appuntamenti soliti delle solennissime scadenze di Rito e delle Processioni Cittadine sia Civiche che Religiose, oltre che nelle circostanze di eventi eccezionali, intervenivano ogni anno fra trombe e cembali, gonfaloni e ghirlande i pomposissimi Dignitari della Serenissima accompagnati da tutti i rappresentanti delle Arti CittadineVeneziane schierate in ordine d’importanza. Per secoli sfilarono i Piazza “per secondi” dopo i Fabbri appunto i Varoteri-Pellicciai riccamente “addobbati di Armellino e Vaio, altri di drappi di Sciamito e Zendalo e soppannati di pelli”, e a seguire loro c’erano gli altri: i Sarti, pure loro a indossare “mantelli foderati di pelli”, e i Pizzicagnoli con “scarlatte pellicciate di Vaio”; e persino i Pescivendoli:“soppannati di Vaio” ... e non parliamo poi dei Nobili, della Signoria e del Doge com’erano agghindati, impellicciati e pomposati.
La categoria dell’Arte dei Varotèri era necessariamente connessa e dipendente dall’attività della categoria degli iscritti alle molteplici Schole, Fraglie, Consorterie e Confraternite degli Scorsèri-Consacurame o Curamèri le cui sedi sorgevano in città sotto l’egida Patronale di Sant’Andrea a Sant’Eufemia, e dei Santi Biagio e Catòldo della Giudecca. Sempre nella stessa isola esisteva il “Monte dei Corni” nella futura zona dove sarebbe sorto il Tempio del Redentore, e sempre là si lavoravano “Corde de Buèo”, e s’imbiancavano pelli e corame lavorando giorno e notte, mesi, anni e secoli come Consacurame patrocinati da una lunga litania di Santi e Madonne del Cielo: San Lazzaro, San Giovanni Decollato, San Michele Arcangelo, San Martino, San Vito, San Liberio, le Quattro Sante Martiri: Eufemia, Tecla, Erasma e Dorotea Santa Helisabetha dei Varoteri: “Ogni Compatrono, Santo e Madonna buoni sono, e un Protettore in più non guasterà mai ... Per questo ogni domenica e festa di Santo Protettore ogni Scorzere terrà bottega chiusa, e non ci sarà mercato.”(1417)
Nel 1530 il Senato stabilì che tutti i Mastri che “segnavano suole” dovevano consociarsi nell’Arte-Mestiere dei Calegheri ... Era tardi in realtà: s’era scoperta “l’acqua calda”, perché i Socholari (Zoccoleri), i Patitari, Calegheri-Solari e Zavateri erano un’Arte Vechia col “Capitolare Caligariorum” che risaliva al 1260.
Le Cronache Venezianeraccontano che le Schole dei Cuoiai-Curameri della Giudeccaancora nel 1699 avevano anche una “sede-dependance commerciale”nel cuore di Venezia: nel Sestiere di San Polo, precisamente in Contrada di Sant’Agostin poco distante dal Fontego del Cuoio o Curame di Rialto istituito nella Contrada di San Silvestro per ordine del Senato per favorire gli interessi della categoria. Nel Fontego i Partitanti dei Manzi, gli Scorzeri e i Beccheririponevano le pelli da acconciare o già acconciate che venivano ricomprate soprattutto da Calegheri e Zavateri ... e perché no … anche dai Varoteri.
Varoteri e Conciatori Veneziani dipendevano del tutto dalle forniture dell’Arte dei Beccheri e dei Mercanti da Cordoani che fin dalla metà del 1276 pagavano un Dazio d’Entrata agli Ufficiali o Signori alle Beccarie di San Marco e di Rialto per importare carni e pelli di qualsiasi tipo in città. L’esazione avveniva alle Palade di Torre Nuova, e agli Uffici di San Zulian, Mazzorbo, Morenzano e Cornio.
Quello delle Beccarie con la macellazione, vendita e consumo delle carni era di suo un “mondo complementare a parte”, che si congregava, riuniva e organizzava per conto proprio in apposita Schola di San Michele nella chiesetta di San Mattio di Rialto malfamata quanto i Beccài... e non a torto.
Il mercato delle pelli cittadine era controllato dai Beccheri che fornivano parte della materia prima di base ai Conciatori che lavoravano nei laboratori della Giudecca. I Beccai Veneziani, era risaputo da tutti: “erano gente riottosa e ingrata, dal contegno improbabile nonostante i prestiti con cui li sovveniva il Governo”… A un certo punto la Serenissima indispettita divenne severa di fronte ai soprusi, le angherie e gli imbrogli ripetuti dei Beccai: se un Beccaiodava sei once di carne in meno su un totale di dieci libbre, veniva multato di 10 piccoli e di un punto per ogni omissione perdendo la fornitura delle carni ... Se recidivo finiva per un mese incarcerato “nei pozzi”, e non poteva più esercitare l’Arte per tre anni … Multa di 25 Lire per bove, invece, carni buttate in acqua, e un mese di carcere a chi introduceva in Laguna: “carnes morticinas, infirma vel gramignosas”… Per tutto questo ogni anno al principio della Quaresimai Beccai Veneziani erano costretti ad essere “balottati” e superare una “Proba” in Quarantia per poter esercitare la professione, e Tre del Consiglio si recavano quindici giorni prima di Carnevale nelle banche e botteghe di Rialto per verificare il contegno di ciascun Beccaio.
Alla Categoria vispa e furbetta dei Beccai appartenevano anche i “Partitanti dei Manzi” cioè i Mercanti di Bestiame che s’impegnavano l Governo per rifornire ogni mese Venezia di pelli e carni a prezzo calmierato portandole in Laguna da stati esteri come Turchia, Ungheria e Stiria… Nell’agosto 1314: Giovannino Beccaio Veneziano vendette al Comune di Treviso 200 capi di bestiame che teneva a Marghera in un luogo detto Cà di Mezzo, pretendendo dal Governo Veneziano il risarcimento del denaro denunciando di aver subito un furto … Venne arrestato e condannato ovviamente … Nell’agosto 1339 i Provveditori alle Beccarie di Venezia furono costretti a multare un Beccaio di Rialto(facendolo pagare a rate) per aver condotto da Mestre molti animali e agnelli senza pagare il dovuto Dazio agli Ufficiali. Nell’occasione si stabilì che il Cancelliere di Mestre doveva redigere e consegnare un apposito Permesso-Bolla d’accompagnamento ai Beccai mandandone una copia per l’Ufficio delle Beccarie di Rialto ... Lo Scrivano di San Giuliano de la Palada, inoltre, sarebbe stato privato del suo lavoro se lasciava passare animali di contrabbando ... Infine: le aree prative della stessa area di San Zulian e Tombello sarebbero state affittate ai Beccai di Mestre e Venezia per far pascolare Bovini, Asini ed altri animali in attesa d’essere trasferiti a Venezia.
Capirete quindi perché l’intenso e redditizio traffico del Fondaco del Curame venne soggetto fin dal 1460 alla sovrintendenza e vigilanza di Quattro Officiali alle Beccarie di Rialto eletti dal Maggior Consiglio per sedici mesi; da Due SovraProvveditori alle Beccarie di San Marco eletti dal Senatoper dodici mesi, e da un Aggiunto al Fontego eletto dal Senato per ventiquattro mesi. In seguito si giunse alla formulazione di un Collegio alle Beccarie formato da Dodici Beccai, dai Savi alle Beccarie o alla Mercanzia e dai Provveditori eletti dal Senato ... Per ogni singolo Manzo i Beccheri ricavavano solitamente lire 1.420 circa: a 1.120 lire corrispondeva il valore della carne, lire 160 quello della pelle, lire 84 il sangue, e lire 56 si guadagnava dai “menuzzami e sugne”, cioè dalle estremità, grassi, interiora e viscere degli animali che poi venivano venduti cotti per strada dall’Arte dei Luganegheri, o adoperati per ungere i mozzi delle ruote.
Nel 1402-1484 i Beccheri di Rialto gestivano 59-61 banche vigilate da un apposito Massaro, che venivano affittate una volta all’anno all’incanto. Era proibitissimo vendere carne di notte dopo la terza campana della sera.... Dal 1675 lo Stato esercitò lo Jus Privativo sulla vendita del cuoio da suola a Venezia concedendolo in appalto a Privati Partitanti per un periodo di 10 anni con un’offerta fra i 4000 e 6000 ducati per ottenere la Concessione … Le pelli degli animali pesate e bollate alle Beccarie di Rialto dov’erano sorvegliate da appositi Fanti della Repubblica, costituivano il 10% del valore intero di ogni animale, e per poterle ammettere alla Concia gli Scorzeri della Giudecca si doveva pagare un ulteriore apposito Dazio.
Due parole … due … sui Sjori Scorzeri Consacurame delle Scortegarie della Giudecca ... Erano Sjori intanto, cioè benestanti rispetto al resto del popolino“misero” che popolava l’isola.
I Conciapelle della Giudeccaavevano la propria Schola di Sant’Andrea a Sant’Eufemia fin dal 1271: Schola antichissima il cui “Capitulare Pellium vel Curaminum” con le sue 92 regole era uno fra i più antichi della Laguna: redatto addirittura prima di quello dei Vetrai di Murano. Proprio lì accanto: nella chiesa e Monastero delle Monache Benedettine dei Santi Biagio e Catoldo della Giudecca trovava sede, sotto l’Alta Protezione Celeste dello stesso Santo Andrea, anche la Schola dei Blancarii che aveva antichi Statuti e Capitolare risalenti anch’essa all’ultimo decennio del 1200 ... Ogni iscritto Scorzèrera tenuto a pagare: soldi 40 di Tassa di Benintrada, e ciascun MastroScorzèr doveva dare: due grossi d’Honorantia al Gastaldodella Schola a Natale … Nel luglio 1314 gli Scorzeri scrissero nella loro Mariegola: “… che sia detto quivi la domenica la Messa della Schola … per l’Anema de tutti li nostri fratelli di questo seculo che è passato e che devono passar…”
Nel 1519 il Capitolo degli Scorzeri approvò la costituzione di un fondo per aiutare i "fratelli nostri consumati tutta la vita nell'Arte" offrendo denaro per l’assistenza e per l'acquisto di medicine. Ogni Compagno era tenuto a versare un soldo per ogni pelle di cuoio comprata, venduta o trattata, e se avanzavano soldi nel bilancio della Schola si provvedeva a donare “Grazie da dieci ducatialle figlie povere di quelli de la Schola da maridàr o munegàr”... Nel 1690, invece, lo stesso Capitolo degli Scorzeri bloccò la proposta di assegnare un ducato alla settimana ai CapiMastri e mezzo ducato ai Lavoranti ammalati: si sarebbero dati solo mezzo ducato ai primi, e 1 lira e 11 soldi agli altri: i tempi erano magri.
Gli Imbiancadori o Sbiancadori di Tele, Pelli e Corami agivano con Biacca o Cremor di Tartaro, cioè con Latte di Calce o Cinabro artificiale: ossia con Solfuro Rosso di Mercurio. Il Cremor di Tartaro veniva lavorato a Venezia da un insieme d’imprese che operavano con 40 caldaie producendo ogni anno 300-320.000 libbre di merce del valore di 85 ducati al migliaio. Il prodotto veniva in buona parte consumato a Venezia o nel Dominio Veneto, ma veniva anche esportato in Olanda e Belgio per tingere panni fini ... In più di un’occasione i lavoranti di quella speciale categoria lamentarono con la Serenissima che le “grigole” dovevano pagare 8 lire di Dazio d’Ingresso per ogni peso grosso, più soldi 4 per ogni collo, e che in “uscita” il prodotto finito fosse gravato dalla tassa di lire 2 per ogni 1.000 libbre: era un eccesso !
Ancora nel 1763 confluiva in Laguna quasi tutto il Cremor di Tartaro prodotto a San Vito al Tagliamento da un certo Luzzato che continuava ancora a chiedere esenzione dal Dazio di Condotta d’Entrada facendo notare che pagava per ben 3 volte l’imposta: 24 soldi per la fede rilasciata alla Cancelleria di San Vito, 3 soldi al barile al Fondaco di Portogruaro, e 1 ducato d’argento per ogni migliaio che introduceva a Venezia: “Xe màssa … Non ghe l’è de che viver e laoràr”.
Per porre parzialmente rimedio a quella situazione, esattamente dieci anni dopo, la Serenissima concesse ai 250 Blancariiattivi nelle 31 botteghe e 3 fabbriche cittadine di poter godevano degli stessi privilegi delle Cererie della Dominate. Venne cioè concessa l’esenzione dal Dazio d’Entrada su piombo e aceto oltre le misure di 650.000 libbre e 500 mastelli, e l’Esenzione dal Dazio d’Insidasulla Biacca, il Minio, il Piombo di latte, i Bastoni e la Piombella.
Fin dall’approvazione del primo Statuto degli Scorzeri, la Serenissima vietò di scaricare sostanze inquinanti nelle acque pubbliche: "niun ardisca tegnir tina alcuna in la qual sia acqua, dentro la pelle, sora canal, né scarnar né rader né lavar pele greze, né alcuna cosa de lume sora el detto canal ecc." ... Nel Capitolare del 1366 si precisava ulteriormente: “de non scolàr sora el canal davanti, né dar ogio over far pelle o cuori negri né tina alcuna tegnir sopra el ditto canal."
Oculata, previdente ed ecologica la Serenissima fin da allora: non male !
Non si lavorava e conciava cuoio e pelli solo alla Giudecca e a Venezia … Vi dice niente il nome di Scorzè? … La scorza oltre ad indicare la corteccia o il residuo dell’albero, indicava anche la pelle grezza non lavorata ... Esisteva nella città Lagunare un’attività simile a quella della Giudecca fin dal lontano 1271 anche nella Contrada di San Geremia nel Sestiere di Cannaregio, precisamente nella zona periferica di Sant’Agiopo o Job o Giobbe, dall’altra parte della città, accanto alla Schola dei Barcaroli(nell’area ENEL dove sorgeva l'Orto Botanico) dove ancora nel 1734 era presente l’attività-presenza di quelli della “Schola di Sant’Antonio e San Francesco d'Assisi dei Scortegadòri de manzi”: “Nel 1696 li Scorticatori de Bovi un tempo semplici operarij disuniti, ebbero la maliziosa industria di farsi erriggere in Arte (Schola di Sant’Antonio Martire dei Scorticadori a San Giobbe)per obbligar li Partitanti (appaltatori della carne) a valersi dell’opera di essi soli, e non di altri Mercenarij.”… La Schola faceva celebrare nella chiesa di San Geremia un gran messone cantato frequentatissimo la prima domenica di ottobre dopo la festa di San Francesco, e accompagnava con quattro asteprocessionali e un gran penèlo (gonfalone-stendardo) i Compagni Scorzèri Morti durante il loro funerale ... Nel 1733-34 il Senato decise di sopprimere e sciogliere tutto mettendo fine ad ogni devozione e aggregazione.
Nel 1520 il Consiglio dei Dieci permise anche la fondazione in Contrada di San Simeon Piccolo nel Sestiere di Santa Croce di un’altra Schola di Conzapelli dediti a pelli di vario tipo comprese pelli selvatiche, ma su richiesta proprio dei Varoterinel febbraio seguente precisò che la Schola doveva essere solo di Devozionee non di Arte-Mestiere… La Schola dedicata all’Arcangelo Gabrielerimase quindi attiva per qualche anno ma con scarsissima fortuna … Si conzavano pelli e carni anche a Murano che possedeva un suo Macello locale espressamente autorizzato dalla Serenissima.
Come avete inteso, quella della Concia era “l’Arte” per eccellenza che contraddistingueva la Zuecadove in una certa epoca storica si giunse a contare più di trenta Scorsarie-Scortegarìe: ambienti puzzosi, inquinanti e malsani collocati spesso sul margine più periferico e ancora paludoso e in attesa di bonifica di Venezia ... Si usavano anche i residui, e le “montagne di corna e zoccoli d’animale”delle Concerie per imbonire le “sacche e secchi” di Venezia. L’attività della Concia era complessa e di solito durava mesi, anche fino a ventiquattro a volte, e avveniva seguendo uno schema-procedimento “antico quanto il mondo” che constava in definitiva di tre momenti diversi.
Già Sumeri, Egiziani, Fenici e Romani erano stati ampiamente attivi nel settore della Concia, e ne avevano diffuso l’uso in tutto l’Impero Mediterraneo e Europeo caratterizzando di quell’opera anche la seguente epoca Medioevale.
Fin dal periodo Carolingio, infatti, sorsero un po’ ovunque Gilde di Conciatori: a Bruges, Gand e Rouen fin dal 938, a Strasburgo(982),Pont-Audemer (1093), Namur (1104), Magdeburgo(1150), in Carinzia (1220), Worms (1233), Mulhouse (1297), Berna(prima del 1332), Basilea(1384) dove era proibito conciare animali malati e pelli di Cavallo, Lupo e Cane … e finalmente: Parigi dove l'Arte dei Guantai vantava Statuti del 1190, aveva botteghe in Rue de la Ganterie, e lavoravano pelli di Lepre, Camoscio, Cervo, Vitello, Montone, Gatto e Capretto per farne guanti con pelo esterno e interno per Nobili o Guanti da caccia. Sempre a Parigi Filippo VI di Valois approvò nel 1345 gli Statuti presentati da Tanneurs, Corroyeurs et Sueurs relegando i Conciatori e i Mercanti di Pelle e Cuoio in località Chameaux le Halles aux Cuirs … e ancora sorsero Arti della Concia e delle Pelletterie a Offenbach(1388), Colonia (1356), e Vienna dove già nel 1330 esisteva una Lederstrasse: la Via del Cuoio... In Inghilterra l'Arte Conciaria esisteva fin da prima dei Normanni: Oxford, Londra, Colchester… i famosi Guantai Scozzesi di Perthgodevano di particolari privilegi fin dal 1165 … Riccardo II nel 1395 approvò gli Statuti della Skinner's Company che aveva l’obbligo di lavorare in vicinanza delle foreste regolando gli scarichi reflui delle acque ... In Spagna, infine, importando tecniche Africane e Arabe si conciava utilizzando anche Miele fermentato, Fichi secchi, sale e altri ingredienti segreti. Si produceva il “Marocchino”, il “Gademesino”e il “Saffiano”… a Cordova capitale del Califfato dal 711 si produceva il “Cordovano”apprezzatissimo anche dai Mercanti di Cordovani di Venezia.
In Italia l’Arte della Concia iniziò proprio da Venezia, che durante i secoli del Medio Evo fu probabilmente l’Emporio commerciale più importante, e uno dei centri d’interscambio politico-economico e religioso più significativi dell’intero Bacino Mediterraneo. La Cronaca Altinate racconta che nella Città Lagunare sorgevano molte associazioni d’Arte-Mestiere che subito dopo vennero congregate in Fraglie e Schole di Fratres et Sorores. Fra queste c’era il gruppo dei Sellatores(Sellai o Selèri) che lavoravano selle, finimenti e oggetti di cuoio, e i lavoratori della manifattura per la Marineria che producevano: vele, alberi e remi.
Lo Statuto-Mariegola dei Conciatori Veneziani indicava di usare per la concia: “Concamentum”di foglie di Sommacco e di corteccia di Rovereproibendo l'uso di “folia cocta” cioè di Sommacco bollito. Per la concia minerale, invece, si prescriveva di usare l'Allume di Rocca, escludendo però l’Allume poco puro proveniente, ad esempio, dall'isola di Vulcano.
Come sapete, la prima fase della Conciaprevedeva le così dette “operazioni umide di riviera” dette spesso anche: la “Ginestrella, il Rinverdimento, la Salatura o Scarnatura" eseguite di solito sulla sponda dei corsi d’acqua. Si trattava di bloccare il processo di decomposizione e putrefazione delle pelli grezze togliendo lo sporco, i connettivi superficiali, e i residui biologici di sangue e sterco dalla carcassa dell'animale. Alcuni usavano il fumo, altri il fuoco, altri ancora la salatura e lo sfregamento con grassi animali o vegetali per mantenere morbide le pelli che venivano perciò depilate e raschiate dal pelo, sgrassate, lavate e pulite mettendole poi nell’ambiente alcalino del Calcinaio dove rimanevano ad ammorbidire per uno o due giorni. Alcuni in questa fase curavano anche la Spaccaturadelle Pelli, soprattutto quelle Bovine, dividendole in più strati, in “fiore e crosta”, e immergendole in più sofisticati bagni di sterco di Cane o Uccelli.
Seconda fase: dopo opportuna scolatura, si rimettevano le pelli un’altra volta a macerare nel Calcinaio per un’altra settimana e più a seconda della stagione. Trascorsi quei giorni, le pelli venivano distese su un cavalletto o “galàro” e spellate ulteriormente in maniera accurata, quindi si mettevano in acqua corrente per quattro o cinque ore prima di sgocciolarle, cospargere di Vallonea sfarinata, e a volte cucirle a forma di otre per contenere l'estratto conciante vegetale: la così detta: “Rusca”, la Conciavera e propria che conteneva i Tannini della Vallonea, o del Castagno, Rovere, Sommacco, Quebracho, Mimosa, o le “galle” di Quercia di Piemonte, o la “passera” di Pino, o le cortecce del Sughero, Mirto o miscele di altre foglie e bacche. In alternativa si utilizzava, invece, il conciante minerale vulcanico dell’Allume di Rocca(alluminio) frammisto ad olii di pesce e resine. Le pelli quindi rimanevano per tre mesi e più a stagionare immerse o contenendo la Concia, venendo deposte in qualche ambiente o soffitta asciutta. Le pelli assumevano allora quel tipico colore da cuoio marroncino, oppure diventavano cuoio bianco più fragile, deperibile e non resistente all'acqua se sottoposte all’Allume.
Terza e ultima fase: le pelli venivano sottoposte alla Rifinitura prima della commercializzazione e il passaggio alla Varoteria mettendole “a vento”, ossia asciugandole inchiodate all’aria. Poi si spremevano e pressavano, si smerigliavano dal “lato carne o fiore”distendendole sul telaio, ed eventualmente si tagliavano su misura. Talvolta le pelli venivano anche tinte, ingrassate e lubrificate con oli e grassi d’animale, vegetale o minerale per ridurre ed eliminare la sensazione di ruvidezza al tatto.
La Concia era spesso un mestiere invernale perché durante l'estate ci si dedicava ai lavori agricoli ... Dai ritagli e dagli altri cascami delle pelli della Concia si ricavava anche la colla, ma, come ben sapete, col cuoio si realizzavano soprattutto: copricapo, selle, scudi, finimenti per cavalli e mezzi di trasporto, e si rivestivano mobili e libri, e molto altro ancora.
A Venezia si rifornivano di cuoio le Arti dei Caleghèri e Zavatèri, quella dei Bolzèri(valigeri), Vaginèri(foderi per spade e pugnali), e dei Cuoridoro(cuoi dorati per tappezzerie) che fin dai tempi remoti esercitavano l'arte di dorare le pelli e i cuoi per ricoprire pareti pigiandoli e folandoli con i piedi in acqua dolce. I cuoi e le pellicce Veneziani, venivano soprattutto esportati, e i Cuori d’Oro Veneziani, le scarpe, gli stivali, i guanti e le pellicce di Venezia erano considerati molto pregiati, ed era richiestissimi sia in Levante che in Ponente, nell’Europa del Nord, e fin nell’Asia più Orientale.
Curiosità nella curiosità:
Dopo l’antica moda pudica Bizantinache consigliava scarpe coprenti “a sandalo chiuso” decorate con fermagli, preoccupate di nascondere le “procaci caviglie” delle donne, si passò all’innovativa quanto bizzarra moda Francesedelle “pouaines o polognes” dette in Italia "scarpe alla polena". La Polena era il “tagliamare” della prua delle navi di cui le scarpe imitavano l'aspetto … Tragedia !
Si arrivò a realizzare scarpe a punta lunghe più di mezzo metro, per cui era necessario sostenerle con delle catenelle allacciate sotto le ginocchia per non inciampare ad ogni passo ... Boccacciosi scatenò nel descriverle: "… quelle punte lunghissime non altrimenti che se con quelle uncinar dovessono le donne e trarle ne' lor piaceri", mentre San Pier Damiani si scagliò contro quella moda dicendo: “certi calcei appuntiti come rostri d'aquila".
La moda comunque imperversò fin verso la metà del 1400 … cioè fin quando proprio i Calegheri Veneziani, che producevano da sempre: “calcarios et stivallos”, ed erano famosi ovunque per le scarpe "de somacho valentiano in cuoio finissimo”, non vollero essere da meno dei Francesi, e ispirandosi probabilmente al Levante s’inventarono una speciale novità. S’inventarono una comoda pantofola montata su zoccolo di legno decorato: i “zoppieggi e sopè” o “scarpe sotto piè”: un modello singolarissimo che andò a sostituire la vecchia moda delle “piannelle, zibrette e cancagnini” bassi, una pensata alternativa che andò immediatamente a ruba non solo fra le Cortigiane, Dame, Damigelle e NobilDonne Veneziane, ma sull’intero mercanto Europeo e Mediterraneo dove venne ovunque copiato e riprodotto.
Alcuni modelli di “chopinès Veneziani” arrivarono ad avere tacchi alti ben quaranta centimetri: buoni per l’acqua alta, o per camminare in zone fangose mi direte … ma anche per certe donne Veneziane basse che volevano farsi vedere “belle alte”.
Come per ogni moda storica ne derivò una vera e propria gara fra donne, ma anche fra uomini, fra chi “l’avesse avuta più consistente, alta e bella (la calzatura)”, tanto che alla fine dovette intervenire il Maggior Consiglioordinando che si smettesse d’usare quelle "scarpe infami"superiori “alla mezza quarta” (20cm) ... Il richiamo ovviamente venne disatteso, visto che quel tipo di scarpe imperversò diffusissimo ancora quasi per cento anni. I satirici dell’epoca dicevano che serviva una scala per baciare una donna ... ma intanto il mercato Veneziano andò a gonfie vele, e Scorzeri e VaroteriVeneziani, al pari di Guanteri, Bolzeri, Zogiellieri e Orefici, Lanieri e tutto il resto facevano affari d’oro … e la Serenissima prosperava.
Man mano che la Serenissima si espanse nella Terraferma buona parte del lavoro sulle pelli si spostò dalla Giudecca nei foli e nelle concerie della Dominante, anche se continuarono a convergere a lavorare a Venezia Scortegadorifin dall’Istria e dal Trentino. A Venezia rimase il “lavoro di fino, le rifiniture, e le attività più tipiche dell’Arte chi sapeva offrir al mondo il manufatto di gran pregio più raffinato”.
L’attività conciaria favorita dall’allevamento degli animali, dalla presenza dei boschi, e dalla notevole disponibilità d’acque e sorgenti adatte all’impianto di mulini, macine da Vallonia, foli, lavatoi e opifici, era già molto diffusa da prima del 1300 nei centri Veneti, cioè da prima dell’arrivo della Serenissima. L’Arte della Concia e dei Varòti fioriva a Verona, Bassano, Cittadella, Marostica, Godego, Chiampo, Arzignano, nell’Altopiano dei Sette Comuni che dal 1404 si affidò alla protezione della Serenissima, e a Vicenza, dove nel 1409 si costituì una Fratalia Teutonicorum dedita fra l’altro proprio alla Concia.
Venezia riforniva i paesi di materia prima importando pelli grezze da conciare da Barcellona, Valenza, Maiorca, Napoli, Pisa, Genova e dal Levante, mentre quelli di Terraferma le vendevano in cambio: legname e chiaro cuoio compatto colore nocciola dal buon odore di resina, oppure Camozzine e pelli Scamosciate (lavorate da Capra e Capriolo, non da pelli di Camoscio), o pelli di Daino, Bue, Vitello, Vacca e Vacchetta, Pecore, Montone e Agnellino utili per l’Arte della Selleria e Guanteria Veneziana, nonché per le vendite “minime”dei Varotieri che trattavano preferibilmente pelli di pregio.
L'Arte Conciaria si esercitò anche altrove in Italia: a Milano, Mantova, Bologna, Ferrara, Genova, Napoli, Parma dove nacquero Corporazioni che emanarono appositi Statuti, e in Piemonte dove c'erano concerie nell’Astigiano che fabbricavano i “marocchini” copiando quelli importati da Adrianopoli, Cipro e Persia, e colorandoli con estratti di bucce di Melograno, Curcuma, Kermes e Indaco … mentre in Val d’Aosta c’era l’Università dei Corciatores posta sotto la protezione di Sant'Orso e regolata dal “Codice delle catene” incatenato a uno scanno della Casa Comunale.
A Lucca secondo lo Statuto dell'Arte della Pelleriadel 1200 i Macellai potevano portare le pelli ai Conciatori di Borgo San Tomèo solo nelle ore notturne ... A Firenze, invece, l’Arte del Cuoio e delle Pellerie lavorava pelli, mantelli e cappelli essendo una delle Dodici Arti Maggiori ospitate presso la Loggia dell'Orcagna. Coinvolgeva nel commercio del cuoio e delle pelli famiglie prestigiose di Mercanti come erano i Peruzzi, i Bardi, e gli stessi Medici che si prodigavano a far “riflessare le pelli alla Fiorentina”, cioè le accostavano cucendole insieme di colori simili o diversi prima di darla a vendere ai Pellicciai-Varoteri… Curiosamente a Firenze le code di Vaio venivano impiegate anche per produrre pennelli da Pittori … e si conciava “a morticcio” o “a crudo” a seconda che le pelli di piccola taglia giunte asciutte venissero lavate e pettinate e messe a bagno in acqua, sale e farina per 15-30 giorni per diventare di pelo lucidissimo, o si trattasse di “pelli fresche” provenienti dal Macello Fiorentino che venivano: “scarnitate”, lavate con liscia, sapone e sale, unte con olio o burro, e messe dentro a un barile pieno di semola e battute con i piedi affinchè la segatura assorbisse l'unto del pelo che così restava morbido ed elastico.
Tornando a Venezia …. La Scorzeria e la Varoteria Veneziana davano origine a un ampio indotto, a un’intera filiera di Arti satelliti che derivavano e dipendevano dal cuoio e dalle pelli. La pelle come vi dicevo, guarnivano e foderavano un po’ tutto: borse, cinture, scatole, astucci, scudi, elmi e faretre, ricopriva, foderava e conteneva carte e libri: le Commissioni Dogali, le Mariegole delle Schole, i Libri d’Ore dei Nobili, le Bibbie, i Messali, i Cantorali e Antifonari delle chiese e Monasteri che venivano rilegati in “marocchino nero, marrone o rossiccio” … In questo settore i Veneziani erano considerati i migliori nell’esprimere eleganza e gusto. Fino alla fine del 1500 e ben oltre si foderava e decorava in cuoio lavorato imprimendolo a secco e con doratura in foglia d’oro a caldo.
C’erano poi i Guantai, e le altre Arti dedite a produrre il così detto “prodotto frivolo” per le esigenze di molti e delle molteplici classi sociali. Le “ciroteche o mofele”, cioè i Guanti dei Dignitari, Nobili ed Ecclesiastici non erano solo di stoffa ... Per un certo tempo esistette in Europa il tradizionale gesto simbolico con cui chi alienava un bene donava i propri guanti all’acquirente al momento della transizione di vendita dell’immobile o del terreno come simbolica garanzia della validità e bontà del contratto intrapreso ... Il Doge di Venezia ogni anno riceveva in omaggio dai Guantai Venezianiquindici paia, soprattutto di candidi “Blancari” bianchi che piacevano tanto anche alle Signore dalla pelle pallida o candida, e si usavano anche in abbinamento, già da allora, con borse e cinture dello stesso colore. La moda giunse a offrire sul mercato guanti di pelle, ricamati, o ornati in oro e argento che venivano impregnati o cuciti insieme a profumi, ambra, acqua di rose, belzoino ed altre essenze odorose.
A Venezia, come altrove, esercitavano l’attività anche gli Artieri della Schola dei Selleri, Bolzeri, Tapezieri, Vagineri e Chincaglieriche pellegrinò di sede in sede fra le Contrade di San Felice dove trovò accordo col Capitolo dei Preti per “ridursi in chiesa o Sacrestia a Capitolo”, e per utilizzare di volta in volta l'Altare della Beata Vergine, o quello di San Giovanni Battista, di San Pietro o San Gaetano ... Dopo disaccordi con i Preti i Confratelli si trasferirono a San Gallo in Contrada San Ziminian presso Piazza San Marco pagando lire 49 e soldi 12 d'affitto, finchè dopo cinquant’anni la stessa Schola si trasferì ancora una volta a Santa Maria Formosa, e poi ancora: a San Fantin. Autorizzati tardivamente a staccarsi dall'Arte dei Marzerinel 1730, i Selleri-Bolzeri-Tapezieri-Vagineri-Chincaglieri Veneziani fabbricavano e vendevano: selle, valige e bauli realizzando anche tappezzerie per poltrone e divani … Pietro Longhi dipinse per loro per 6 zecchini un "Penelo da Morti"(insegna per Funerali) dipinto "da le due bande": davanti e dietro … Ancora nel 1773, i Seleri contavano: 6 CapiMastri, 12 Lavoranti e 3 Garzoni, mentre i Bolzeri annoveravano 28 CapiMastri, 8 Lavoranti e 16 Garzoni; i Tappezzieri: 6 CapiMastri, 6 Lavoranti e 2 Garzoni … finchè poi nel 1802 venne tutto soppresso, e ogni cosa di rilievo e valore di quelle Arti venne incamerata dal Demanio o venduta e dispersa.
Tornando all’Arte dei Varoteri, il suo simbolo era una croce a cinque raggi. Aveva sede presso i Crociferi o Crosichieri di Cannaregio dove sorgeva la Schola di Santa Maria de la Visitasiòn dei Varotereri al cui pianterreno c’erano collocate le tombe, cioè le Arche, per la tumulazione dei Confratelli Morti della Schola.
I Varoteri Veneziani si distingueva fra Varoteri d’Ovra Verao Varoteri de Ovra Vechia che vendevano pelli nuove o usate, e Pelizeri de Pelli de Ghiro che a Venezia furono sempre una specialità a parte ... Le pellicce erano molto usate a Venezia come altrove nelle grandi città e Signorie Europe e Asiatiche: non dovevano assolutamente mancare nei guardaroba dei Nobili e dei funzionari del Governo che spesso li lasciavano in eredità ai propri congiunti e amici. Il commercio internazionale delle pellicce era quindi fiorentissimo, e non poteva mancare a Venezia dove giungeva bestiame vivo da macello ma soprattutto una grande quantità di pellame dal Baltico, dalla Russia, dai Balcani e Ungheria, da Creta, dall’Egitto, da diversi Porti del Mediterraneo, e perfino da Santo Domingo e dalle Nuove Americhedove c’erano immense praterie per l’allevamento intensivo e la produzione di pellami adatti per gli insaziabili consumatori Europei. Da Venezia poi le pelli ripartivano confezionate per tutta l’Italia e per l’Orientedando vita a un settore commerciale aguerritissimo capace di movimentare ogni anno migliaia di ducati ... Nel 1430 il famoso Mercante Nobile Andrea Barbarigo prese accordi con venti Pellicciai Venezianidiversi: da alcuni comprò abiti per se stesso, mentre con gli altri rifornì di continuo di pellicce lavorate il Mercato di Venezia e della Tanatramite l’attività del suo agente Nicoletto Gatta Varoter Veneziano.
L’Arte dei Varoteriera un Mestiere riservato ai soli Veneziani originari: per diventare Mastro Varotaio bisognava oltre ad essere Veneziano d.o.c., anche aver lavorato almeno sei anni da Garzone e due da Lavorante con Prova specifica dell’Arte ... Nel 1690 si contavano a Venezia: 109 Varotari attivi in 22 botteghe: 42 erano Mastri, 28 Lavoranti e 37 apprendisti-garzoni.
Secondo la Promissione Dogale del Doge Giovanni Soranzo del 1312 i Pellicciai dovevano garantire l’opera di un loro Mastro per tener in ordine le pelli di Palazzo Ducalee del Doge … L’Arte offriva ogni anno al Doge: lire 6 di piccoli, e ancora nel 1803 secondo le note della Visita del Patriarca Flangini, continuava a finanziare la celebrazione in Santa Margherita di 13 Messe: “secondo le intenzioni e gli scopi dei CoFrati Varoteri della Schola”.
Una volta alla settimana i Giudici della Corporazione dei Varoteri, che in realtà Giudici veri non erano, appianavano piccole dispute tra gli iscritti all’Arte circa questioni inerenti fino a meno di 5 lire di valore, e imponevano multe agli iscritti-Confratelli fino a 40 soldi. Gli stessi Giudici eletti dalla Banca della Scholaavevano anche il compito di assegnare e ispezionavano le bancarelle di Rialto in Ruga San Giovanni e di San Marco in zona Basilicaogni sabato e durante la Fiera della Sensa alla quale partecipavano anche i Pelliparii-Conciatori della Giudecca che avevano Ruga a San Bartolomio di Rialto, e i Cerdones-Calzolai che avevano bancarelle in Piazza San Marco dalla parte di San Gimignano ... Nel 1337 Bertuccio Stevano Giudice dei Varoteri venne espulso dal suo incarico per aver consigliato il Gastaldo dei Varoteri di gettar via gli Statutidella Corporazione-Schola. Tre anni prima i Pellicciai si erano accorti che cinque di loro si erano accordati illegalmente stabilendo prezzi che ignoravano i dettami corporativi della Schola. Il Governo della Serenissima si premurò di multarli per aver realizzato accordi: “… in danno e in precudixio de li homeni de la predicta Arte et de tutta la Comunansa de la Cittade.”
Gli uomini dell’Arte dei Varoteri erano persone molto pratiche e concrete, spesso: scaltre, sospettose, attente, e molto coese fra loro. Un “Tiziano Pellicciaio grande e grosso” possedeva una proprietà in Contrada di Santa Croce, aveva seguito e poi era subentrato al padre nella professione sposando la figlia di un altro Varotaio. Aveva inoltre nominato Pietro De Bonaventura della stessa Contrada e Pellicciaio come lui, suo Esecutore Testamentario chiamando a testimone un Luciano Pellicciaioquando decise di lasciare una notevole somma di denaro al Clero di Santa Margherita per darlo “in caritade ai poveri” ... Sempre lo stesso Pellicciaio, lasciò come dote 300 ducati ad ognuna delle sue figlie, e scrisse anche che voleva essere sepolto nella chiesa dei Croxichieri, e che se non fosse stato possibile si sarebbe fatto tumulare nelle Arche della Schola Grande di Santa Maria della Carità di cui era Confratello.
Bartolomeo Trevisan era Varotèr pure lui, e venne scelto da Caterucia moglie del Pellicciaio Guglielmo da Pavia come Esecutore Testamentario. Possedeva uno schiavo, e prendeva accordi con i Macellai-Beccheri di Rialto che gli procuravano le pelli da vendere. Nel 1384 avendo ottenuto la Cittadinanza Veneziana dal Senato era emigrato da Treviso a Venezia ... In seguito era diventato Gastaldo della Schola di San Giacomo: massima carica della Schola e incarico fra i più considerati nell’intero Sestiere di Santa Croce di Venezia. Aveva come Padri Spirituali-Padrini altri due Varoteri: Tiziano Moreto Donato di San Giacomo e Trevisan Natale a cui si rivolgeva per consulenze e affari.
Bertuccio Merlo, invece, il cui fratello era Prete a San Simeon Piccolodivenne per due volte Guardian Grando della famosa e ricca Schola Granda di San Giovanni Evangelista: una delle sette più famose e potenti di Venezia, come capitò a un altro Varoter Vendrame in seguito.
Giovanni Bovo Pellicciaio di San Giacomo era Gastaldo della Schola di Santa Caterina d’Alessandria di San Stae.
Nicoleto Bianco Varoter era Gastaldo a Sant’Angelo, e venne ucciso mentre beveva a casa di un suo amico: Andrea Rastellofunzionario Governativo, da un suo Lavorante: Francesco da Modenacol quale aveva avuto un diverbio accusandolo di non lavorare … Il Pellicciaio Giovanni Saimben fungeva da Procuratore della Parrocchia, mentre Luciano Datale, Varoter pure lui, era Priore dell’Ospedale di San Giovanni di Murano… Il Pellicciaio Marco Rosso di Santa Croce lasciò 50 ducati in beni e denaro come dote al suo schiavo.
Secondo l’Estimo del 1379: Augustin de Pellegrin della Contrada di Sant’Aponal era il Varoter in assoluto più ricco dichiarando 4.500 lire di grossi di capitale, seguito da Marco Rosso della Contrada di Santa Croce che dichiarò 4.000 lire ... Sette Varoteri benestanti avevano reddito tra 500 e 1.500 lire: Nicolò Panciera della Contrada di Santa Marina a Castello possedeva 1.300 lire, Bartolamio de Ugolin di San Pantalon: 1.000 lire, Nicolò de Francesco Pelizer pure lui di San Pantalon come Zuan da Vanezo avevano rispettivamente 1.000 e 500 lire, mentre Luca Da Canal Varoter a San Boldopossedeva pure lui 500 lire. Zanin Saiben di San Simeon Grando Profetaera padrone di un capitale di 1.000 lire ... Altri quattro Varoteri avevano reddito di 300 lire: Donato Varoter a Santa Maria Formosa, Francesco Rizo Varoter a Santa Sofia di Cannaregio, Lorenzo Rosso Pelizer a Sant’Aponal e Palamide Pelizer a Santa Croxe.
Qualche anno dopo, era Mastro Pellizer Bartolomeo Brocha con 1.000 lire di Estimo ad essere uno dei sedici uomini più ricchi della Contrada-Parrocchia di San Giacomo dell’Orio. Possedeva una stacione-laboratorio in Ruga a Rialto, e nel 1364 affittò una volta-magazzino nelle vicinanze. Suo figlio Bernardo fece lo stesso mestiere, mentre sua figlia Margarita sposò un altro Varoter che viveva in Contrada di Sant’Agnese che allora era una delle zone più appetibili e strategiche del movimento commerciale Veneziano ... Due Varoteri fecero da testimoni il 29 maggio 1355 alla stesura del Testamento di sua moglie Fantina, mentre nel 1371 un Terrazziere Marco lo nominò Procuratore dei suoi affari, e il Calafato Antonio Rossolo designò a Testimone insieme a due Preti di San Giacomo della dote di sua figlia ... Una volta venne multato per aver tenuto luce accesa nel suo negozio di notte provando ad avvantaggiarsi slealmente sui suoi concorrenti in affari, ma per tre volte “la fece franca” tramite giuste conoscenze con Patroni altolocati ottenendo Grazia per crimini commessi da lui e da suo figlio. Non a caso era iscritto anche alla Schola Grande di San Giovanni Evangelista: associazione in cui confluivano Nobili e Nomi prestigiosi, ricchi e potenti come i Nobili Badoer ch’erano intrufolati e introdotti dappertutto … Accadeva ieri ciò che accade ancora oggi … Nel 1372 andò a risiedere in Contrada di San Simeon Grando.
Più di qualche volta, secondo le indicazioni della Mariegola della Schola, i Varoteri mettevano in piedi delle vere e proprie indagini private con adeguati compensi per scoprire eventuali mercanti ladri o imbroglioni, oppure la provenienza di pellicce rubate o di merce ricettata e contraffatta … La Serenissima fingeva d’ignorare e lasciava fare, anche se aveva “occhi e orecchi dappertutto … anche fra i Varoteri della Schola”… e intanto il commercio proliferava e continuava.
Secondo l’usanza delle Schole d’Arte-Mestiere-Devozione Veneziane, anche i Varoteri si radunavano “in Capitolo a Levàr Tolella”(la piccola stringa nominale in legno con inciso ciascun nome dei Confratelli che veniva infilata “come presenza” su un’apposita rastrelliera collocata in muro della Schola), così come partecipavano stabilmente ai “Corpi”: cioè alle Agonie e Funerali dei Confratelli e Consorelle Morti ... I Varoteriinoltre praticavano fra loro diverse forme di sovvenzione, carità ed assistenza ai propri iscritti fornendo Doti e Grazie per monacarsi o maritarsi alle figlie dei Varoteri … e organizzavano Questue a favore: in primis dei Poveri della Schola diventati tali per le disgrazie del mestiere, e poi s’interessavano eventualmente anche dei“miseri comuni della Contrada” dove vivevano e lavoravano.
In definitiva: la Schola dei Varoteri, pur essendo classificata come una delle Schole Piccole di Venezia, era benestante come i suoi iscritti. Fin dall’inizio del 1500, infatti, concedeva in uso gratuito alcune case-alloggio di sua proprietà agli iscritti poveri dell’Arte … Nel 1562 il Capitolo dei Varoteri decise che i Confratelli Poveri che avevano ottenuto l'assegnazione "gratis et amori Dei"di una casa della Schola dovevano essere sempre presenti alle Funzioni Religiose di Chiesa a nome della Schola. Se non fosse stato così, dopo la terza assenza sarebbero stati privati del Beneficio loro concesso ... Ancora nel 1661 la Schola dei Varoteri possedeva una rendita annuale di 488 ducati da beni immobili dati in affitto a Venezia, che nel 1712 si ridusse a 280 ducati, e a soli 24 nel 1740: quando si percepiva già che i tempi e i modi a Venezia stavano cambiando andando verso qualcosa di nuovo e diverso.
Accadde però nel 1657 il “fatto epocale” dei Varotieri: i subentrati Padri Gesuiti riammessi a Venezia acquistarono dalla Repubblica l'intero complesso che era stato per secoli dei Frati Crociferi di Cannaregio decidendo di ricostruire e ampliare l'antica chiesa-convento abbattendo tutta la serie degli edifici circostanti tramite i quali si accedeva per un arco anche alle Fondamente Nuove. I Varoteri della Schola de la Visitasiòn, come i Devoti della Schola de la Conceziòn, e le Schole di San Cristoforo, dell’Arte dei Passamaneri e dell’Arte dei Samiteri furono quindi indotte a trasferirsi altrove. I Gesuiti spostarono in fretta e furia in Sacrestia la pala del “Martirio di San Giovanni Battista tra i Santi Lanfranco e Liberio”consegnata nel 1610 da Palma il Giovane per la Cappella a destra del Presbiterio dove stava l'Altare della Scholadei Varotieri, e rasero al suolo ogni cosa riedificando tutto da capo.
Ai Varoteri quindi non rimase che trasferirsi altrove, e lo fecero andando a collocarsi definitivamente in Campo Santa Margherita nel Sestiere di Dorsoduro dall’altra parte della città, dove c’era sempre un mercato fiorentissimo, e c’erano frequenti possibilità di scambi commerciali. Nel 1725 portandosi dietro fra le altre cose anche la Madonna dei Pellicciai del 1501 tratta dalla vecchia sede, edificarono la Schola Nova collocando sopra alla porta della facciata sud un’apposita iscrizione che recita: “D.O.M. - AEDES ARTIS VAROTARUM - AB ANNO MDI - IVXTA TEMPLUM S MARIAE - CRVCIFERORUM DENVO LATITVU - EXTRUCTUM SITA - HICLOCI EX SENATVS CONSVLTO - AERE TVM P P SOCIETATIS IEVS - EX PACTO POST DIREMPTAS CONTROVERSIAS - TVM EIVSDEM ARTIS - AMOTO VICINAE OBICE - VENVSTIVS RESTITVTVR - ANNO M D C C X X V.”).
La Nova Schola dei Varoteri sorse quindi autorizzata dal Senatoisolata dal resto delle case per distinguersi, e venne costruita sfruttando il rimborso di quasi 2000 ducati che i Gesuiti delle Fondamente Nove avevano dato ai Varoteri come “bonauscita”. L’edificio tozzo, a pianta rettangolare e “in stile antico” ancora oggi visibilissimo venne realizzato giusto sulla comoda riva dell’antico Rio Businiaco detto solo in seguito Rio della Scoazzera prima d’essere interrato durante il 1800. Da li si poteva facilmente approdare e partire immettendosi con le barche nel vicino Rio di San Barnaba e poi direttamente nel magnifico Canal Grande ... Il 02 gennaio 1725: “il Tagjapiera Pietro Torresini, che ha laboratorio di pietre vive, robba nova e vecchia lavorata alle Zattere, rilasciò ai Confratelli Varoteri: una polizza per i lavori eseguiti nella costruzione della Schola Nova dei Varottieri in Campo Santa Margherita lungo il canale dove aveva messo in opera pietre da lui condotte, e pagato a sue spese peata et homeni.”
Infine nel 1738 si iniziò ad applicare a Venezia la “Regola del Turno”secondo la quale l’Appaltador doveva ripartire a rotazione le pelli ricevute dalle Beccarie di Rialto tra tutte le 32 Scorzarie della Giudecca. Nei decenni seguenti inoltre, avendo introdotto a Venezia “l’uso nuovo del cuoio all’Inglese”, cioè molto grezzo e poco conciato, molti ScorzeriVeneziani finirono con l’essere esclusi dall’Appalto della Concia per cui: “alcuni vivevano nell’opulenza ed l’atri andavano a mendicar impiego”… Nell’ultimo terzo del secolo nei dodici laboratori-botteghe-Scortegarie rimaste alla Giudecca lavoravano circa 150 Scorzeri fra Garzoni, Lavoranti e Capimastri che non potevano conciare né pelli di Cavallo né di Somaro ... Non ebbe risultato la richiesta degli iscritti all’Arte di aumentare il prezzo del loro lavoro ammettendo che “per star nelle spese” ultimamente lasciavano parte del grasso e del “carnuzzo” attaccato alle pelli, e riducevano di tre mesi il tempo d’immersione delle pelli nel galàrocon conseguente calo della qualità e della durata del cuoio prodotto ... Poi la situazione degli Scorzeri andò precipitando: calò ulteriormente il numero delle Concerie, e i Conzacurame divennero tutti salariati “a soldi 9 per libbra di cuoio conciato netti di fattura” dei Partitantidi Rialto ... L’ultima Mariegola dei Conzacurame venne acquistata nel 1853 per 50 lire austriache da Emmanuele Cicognadal Negoziante di Pellidella Giudecca Giuseppe Frollo.
Se per i Scorzeri-Conzacurame le cose non andavano molto bene, non è che per i Varoteri siano andate molto meglio: in parallelo a quegli eventi lavorativi ed economici incresciosi, per i Varoteri fu la fine, e il loro tempo finì ... Alla caduta della Repubblica l’Arte contava ancora 69 iscritti presenti in città, ma la moda della “modernità francese” proponeva fogge e costumi diversi, e anche buona parte dei Nobili e delle Magistrature che costituivano l’asse portante del lavoro e dei guadagni dell’Arte dei Varoteri venne “mangiata e cancellata” dagli eventi Storici … a Venezia, ma anche in tutto il resto del mondo si respirava ormai un’aria diversa, e la foggia delle pellicce e dei Varoteri “andò un po’ in cavalleria” ... Nel 1810, al momento della soppressione della Schola dei Varoteri, si trovò al suo interno una Pala d'Altare con altri tredici quadri di cui due "di gran pregio” portati a suo tempo dall’antica sede dei Crociferi: una “Risurrezione di Lazzaro con Marta e Maddalena” dipinta da Carletto Caliari figlio del Veronese, e un“Gesù guarisce il paralitico” realizzata da Pietro Liberi… Il 25 gennaio 1815: “… il Locale dell’Arte dei Varotteri in Campo Santa Margherita a Venezia affittato a Assagioli Angelo per 85:00” faceva parte della “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezianei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti.”
Fu così che la ex Schola dei Varotieri divenne via via: deposito di carbone, forse Cinematografo dal 1910 al 1915, di sicuro: Scuola di Mistica e Propaganda Fascista, poi: Sede della Democrazia Cristiana, quindi Sede del Consiglio di Quartiere, e infine dopo l’ultimo risanamento strutturale: Ufficio Comunale a tutt’oggi.
Venezia e la Terraferma iniziarono quindi a vivere una nuova epoca con dinamiche economiche, sociali, religiose e lavorative diverse … Dopo il 1850 nacque la tecnica industriale del “bottale”: macchina rotante che accellerò di molto il processo dell’antica Concia. Gli Artigiani-Pellaiiniziarono a lavorare le pelli in poche ore, invece che in giorni e mesi come facevano un tempo ... Il nome di Varoteri andò in disuso fin quasi a scomparire … Nel 1910 si brevettò la Concia Chimica che ancora oggi usa Sali di Cromo trivalente, e siamo ai giorni d’oggi, quando nei Distretti Conciari del Comprensorio del cuoio Italiano s’impegnano più di 1300 aziende e imprese sparse fra Veneto, Toscana, Campania, Lombardia, Piemonte, Marche, Campania e Puglia ... Nel 2010 l'Italia ha prodotto in maniera industriale 128 milioni di metri quadrati di pellami e 10.000 tonnellate di cuoio-suola importando materie grezze da più di 122 Paesi ed esportando prodotto conciato finito in altrettante Nazioni.
E le pellicce … le Varòte ? … Sono diventate in buona parte sintetiche pure quelle sulla scia della sensibilità ecologista che un tempo era sentita e vissuta anche a Venezia diversamente.
Dei Varoteri oggi rimane solo quell’angolo singolare di Venezia che langue muto in fondo a Campo Santa Margherita nella sua quasi insignificanza dentro all’agitato mondo notturno degli Spritz, dell’evasione e delle Birre ... e di tutto il resto. Solo ogni tanto qualcuno alzo lo sguardo interrogativo verso quel casone tozzo e isolato rimasto in fondo al Campo.
Giorno fa a una famigliola di turisti curiosi di passaggio un Veneziano ha spiegato senza aggiungere altro: “Ah quella ? … A gèra a Casa del boia.”
Ma anche no … Gli antichi Varoteri si sono ribaltati nella loro polverosa tomba.