Quantcast
Channel: #unacuriositàvenezianapervolta
Viewing all articles
Browse latest Browse all 357

“Il Confinio di Santa Sofia e l’epopea dei Nobili Priuli.”

$
0
0

 


#unacuriositàvenezianapervolta 211

“Il Confinio di Santa Sofia e l’epopea dei Nobili Priuli.”

Santa Sofia … “So fìa de chi ?” verrebbe subito da chiedersi in scherzoso dialetto Veneziano.

E’, invece, una domanda destinata a rimanere senza risposta perché la “Sophia”è un termine antico greco che più che un Santo o una Santa, sta ad indicare la “Saggezza, ossia la Sapienza”. Ecco quindi l’ennesima conferma che Venezia l’ha sempre “saputa lunga”, e che dietro a certe apparenze ha sempre posto attenzione e fatto spazio a contenuti importanti ... e anche alternativi.

Altri tempi di certo rispetto ad oggi ! … Adesso probabilmente non ci interesserebbe affatto un contenuto del genere. Ma allora è andata così, e anche a Venezia si parlò di Sophia, tanto da dedicarle non solo una chiesa, ma un’intera Contrada.

“Aghia Sophia” era la Divina Sapienza le cui figlie erano secondo la tradizione: Fede(Pìstis), Speranza(Elpìs) e Carità (Agàpe). La “Sophia”è quindi sempre stata per secoli, anzi millenni, l’anelito di tutto un mondo Orientale e Asiatico: la sintesi di ogni Filosofia e Letteratura, la domanda delle domande, un atteggiamento interiore, mentale e dello Spirito che ha sempre fatto dannare e cercare gli uomini e le donne di ogni tempo anche oltre il Bacino del Mediterraneo.

Sophia quindi indicò e spalancò tutto un mondo di significati e contenuti verso i quali i Veneziani hanno a lungo appetito portandoseli dietro e ospitandoli stabilmente nella nostra Laguna. Non era affatto un caso se nel cuore dell’Impero politico-commerciale di Costantinopoli o Istambul esisteva (c’è ancora oggi) quel mirabile tempio di “Aghia Sophia” espressione di tutto quel congegnare interiore … e se provate a frugare curiosamente un poco nel “microcosmo del pianeta Greco-Balcanico-Anatolico-Russo-Ortodosso” vedrete che di “Aghie Sophie” ne troverete tante … quasi a bizzeffe.

Venezia e i Veneziani non ci pensarono su due volte: si portarono a casa tutto.

La Sophia incarnata in figura di Santa e Titolo è quindi migrata e sbarcata a Venezia dall’area Bizzantina-Orientale a braccetto di altri nomi significativi e originali di Profeti e Santi che hanno dato il nome e tappezzato chiese, Monasteri e Contrade di Venezia: San Paterniàn, San Procolo o Provolo, San Teodoro, San Zaccaria, San Moisè, San Samuel, San Geremia, San Giobbe ... solo per citarne alcuni.

Al di là di queste considerazioni introduttive, possiamo già dire che Santa Sofia di Venezia corrisponde ancora oggi a una chiesetta e a una Contrada abbastanza nascosta e modesta rispetto a tante altre molto più grandi e significative. La chiesa “che quasi non c’è” sembra come un souvenir incastrato fra le case. Il Confinio di Santa Sofiaè posto nel cuore del Sestiere di Cannaregio, ed è la Contrada in cui sorgono la splendida e ricamata Ca’ d’Oro, il Palazzo dei Nobili Sagredo: (i Nobili conservatori di Segreti), ma anche il pratico Traghetto di Santa Sofia che quasi da sempre congiunge assiduamente le due sponde del Canal Grande fra Cannaregio e il Mercato-Emporio di Rialto. Quel tragitto è sempre stato come un’arteria vitale, un fluire obbligato avanti e indietro, un “de qua e de là dell’acqua”, di cui Venezia non ha mai saputo fare a meno.

Quella di Santa Sofia è stata una delle prime Contrade a sorgere certamente prima dell’anno 1000 come estensione funzionale del grande Emporio Realtino da una parte, e probabilmente come espansione oltre il Canal Grande in zona San Marcuola di un primo nucleo proveniente da San Giacomo dell’Orio o del Lupriodall’altra, che andò ad occupare una zona ancora fangosa e ricca di “Piscine”e grandi spazi liberi tutti da occupare, interrare, bonificare e quindi abitare.

Il Chronicon Altinate, Galliccioli, Corner e le Cronache Antiche “un po’ industriose” di Daniele Barbaro e Andrea Navagero(che in realtà antichissime non erano perché risalenti in gran parte al 1400-1500) riportano come già esistente la chiesetta di Santa Sofia intorno al 866, edificata forse da un certo Giorgio Trilimpolo, che in altri documenti successivi del 1020 è diventato: Giorgio Tribuno commissionato dalla Nobile famiglia dei Gussoni ... Poco cambia: a Venezia si usava sempre conferire alle chiese, Monasteri e Contrade un inizio prestigioso e Nobile. La verità era, invece, che non si sapeva bene com’erano andate le cose all’inizio ... perciò quel che non si conosceva un po’ lo si inventava attribuendosi così origini alquanto pompose.

Il primo documento certo che cita esplicitamente il Confinio di Santa Sofia di Veneziaè del 1111 quando a Costantinopoli i rappresentanti degli affari delle Monache di San Zaccaria di Venezia rogarono un atto notarile commerciale in cui comparivano due fratelli Giovanni e Federico Aurio “del Confinio di Santi Sophie di Venezia”… mentre nel successivo novembre 1140 in un “Atto de Securtà” redatto da Ugerio Abate di Sant’Ilario di Fusina e Vitale Cauco si nominò esplicitamente: “Antonius Presbiter Plebanus et Notarius ecclesiae Sancta Sophie” di Venezia.

In quell’epoca quindi esisteva già la Contrada con la sua prima chiesetta ad unica navata (forse ancora fatta in legname),con portico davanti e con all’interno due soli altari dedicati a Santa Sofia e alla Mia Donna (Madonna).

A conferma di quanto quella Santa Sofia Veneziana fosse già significativa in Laguna, nel 1199 il Vescovo di Castello o Olivolo a cui appartenevano due piccole isole di 16 ettari divise da un canale davanti al Porto del Lido, affidò quelle emergenze a Domenico Franco Prete della chiesa di Santa Sofia di Venezia, perché vi erigesse un Tempio e un Monastero Agostiniano in onore di Sant’Andrea Apostolo(ebbe così inizio la Storia dell’isola che in seguito si chiamerà Sant’Andrea della Certosa).

Nel secolo seguente i riferimenti circa il Confinio di Sancta Sophia di Veneziae i suoi Preti si fecero sempre più numerosi per non dire pressanti (almeno una trentina) soprattutto ad opera di Jacobus Lampardo Piovano e Notaio di Santa Sofia che ad esempio nel 1161 rogò l’atto con cui Enrico Dandolo Patriarca di Gradoe Ildebrando Cardinale aggiudicarono alcune case alla Parrocchia di San Salvador di Venezia.

Nel successivo novembre 1203, lo stesso Pre Jacobus Lambardus venne ancora citato come Plebanus, Presbiter e Notaio dei Preti di Santa Sofia: perciò si evince che lì doveva esserci già attiva da un bel pezzo una piccola Congrega-Collegiata di Pretiche fungeva da punto di riferimento religioso e commerciale per tutta la Contrada. Un paio di anni dopo, infatti, fu il Plebanus Petrus di Santa Sofiaa concedere ad Antonio Cartura un pezzo di terreno vicino alla chiesa di Santa Sofia per un canone annuo pagabile “nella terza feria dopo Pasqua”, ossia proprio nel giorno della festa di Santa Sophia.

In quella stessa epoca la Parrocchia di Santa Sofia era affiliata e dipendeva giuridicamente da tempo dalla chiesa Matrice della Purificazione di Maria, ossia Santa Maria Formosanel Sestiere di Castello o del Vescovo. Erano suffraganee alla stessa maniera le vicine chiese e Contrade dei Santi Apostoli, San Felice Prete e Martire, San Zuane  Crisostomo, San Zuane in Oleo o Novo, San Leone IX Papa (ossia San Lio), Santa Maria Assunta o Nova, Santa Marina Vergine e San Procolo o Provolo Vescovo.  In quegli anni la chiesetta di Santa Sofiadal punto di vista architettonico doveva essere un “classico” delle chiese Veneziane medio-piccole: era suddivisa da sei colonne in tre navate, e presentava arcate a tutto sesto nella navata centrale e nel Presbiterio con finestre semicircolari centinate ai lati, e una volta a crociera con cupoletta. Un altro piccolo bijoux veneziano insomma.

Nell’anno in cui Santa Sofia venne rifatta, ossia nel 1225, Rainerius Genodel Confinio di Santa Sophia di Venezia, presentava fidejussione per Ysembardus Radarolus da Verona per acquistare 4 miliaria di fichi diretti a Verona … e una ventina d’anni dopo il Vescovo Filippo di Ferrara investì “sine fidelitate” di metà del feudo di Villanova e Vigonza e delle rispettive decime Giovanni Michiel della Contrada di Santa Sofia di Venezia, che era Podestà di Torcello… mentre il Plebanus Stefanus di Santa Sofia nel 1245 fece da garante presso Pino Vescovo di Olivolo-Castello per il Confratello Giovanni Prete della Contrada di Santa Ternita per il pagamento di certe decime sulle rendite provenienti dalla chiesa di San Marco di Baruto che gestiva a Costantinopoli.

Pensate ! … Un Prete Veneziano del 1200 che gestiva a Venezia rendite e chiese di sua proprietà in Turchia.

I Preti di Santa Sofiaerano quindi dei gran “traffeghini” molto interessati e tanto impegnati e coinvolti negli affari e nei commerci dei Veneziani che si sancivano spesso a Rialto … Nell’aprile 1268, davanti ad Antonius Prete-Piovano-Notaio di Santa Sofia, Pietro Viaro del Confinio di San Maurizio vendette per 1.000 lire di Denari Veneti ad Agnese di Caristovedova di Ansuino del Confinio di San Geremia 3 mansi siti a Casièrdi Treviso … Fu ancora a Torcello dopo una lunga lite e vertenza, che Cristiano Abate di San Tommaso di Torcello e Frate Michele Soranzo Priore di Sant’Andrea di Ammiana locarono ad Agnese Badessa di Santa Margherita per annui lire 11 di Denari Veneti, un orto confinante con la via ed il Rio Comune ed il Monastero di Torcello appartenuto a Palma vedova di Marco Cappello abitante prima nel Confinio di Santa Maria Materdomini di Venezia, e poi nel Confinio di Sant’Andrea di Torcello. Sapete chi fu il Notaio di quella complessa transazione economica ? Il Notaio Matteo de Crescencio Piovano di Santa Sofiadi Venezia ovviamente, che in fatto d’affari era un intenditore e una garanzia.

Esattamente nel giugno di dieci anni dopo, e sempre a Rialto davanti al Notaio Stefano Mauro che era Piovano della Contrada di Santa Maria Materdomini: Giacomina moglie di Giacomo della Stoppadal Confinio di San Beneto nominò suoi esecutori testamentari il marito Giacomo e il nipote Mattia Prete a Santa Maria Formosa. Lasciò diversi legati in denaro e abiti di valore a diverse persone appartenenti alle Congregazioni di San Polo e di Rialto, ai Frati Francescani di Treviso, al Monastero di San Maffio di Costanziaco nei pressi di Torcello (a Benedetta Monaca di San Maffio lasciò l’usufrutto di una proprietà sita nel Confinio di San Maurizio), e ai Frati Minori di Venezia. Al nipote Leonardolasciò un terreno sito nel Confinio di Santa Sofia con obbligo di offrire ogni anno una libbra di olio per le lampade della chiesa della stessa Contrada … Ancora negli stessi anni, Antonius Plebanus et Notarius di Santa Sophia provvide alla sottoscrizione notarile di una permuta di proprietà fra il Monastero di Sant’Ilario di Fusina e l’Ospedale di San Giovanni Evangelista di Torcello… così come Gratianus Clericus Sancte Sophiae funse da testimone alla donazione di Giovanni Bianco a Bartolotta Giustiniana del vicino Monastero di Santa Caterina; e Crescenzi Plebanus et Notarius di Santa Sofia provvide a stilare l’atto con cui Natalina del fu Marco Vitali abitante nel Confinio di Santa Sofia donò in morte una casa divisa in tre parti offrendone una ai Chierici di Santa Sofia, una seconda ai Frati del Convento di Sant’Anna di Castello, e una terza a quelli di Santa Maria del Carmelo nel Sestiere di Dorsoduro.

Ancora nel 1300 i Preti Egidio e Avanzo di Santa Sofia erano considerati fra i Notai più valenti e di fiducia di Venezia. Proprio da Prè Egidius nel 1303 Ramperto Polo Vescovo di Castello-Olivolo pretese dai Preti di Santa Sofia il versamento annuale di tre lire come “tassa di Cattedrattico”, e impose inoltre ogni tre anni un invito a pranzo per se e tutta la sua corte e famiglia nel giorno della festa di Santa Sofia … o in alternativa un altro più comodo versamento di 3 lire di piccoli … Nel 1310, invece, Nicolaus Plebanus Sancte Sophiae che era anche Procuratore del Monastero di San Maffio di Mazzorbo, venne eletto Arciprete della Congregazione dei Preti di San Canciano(una delle più importanti, antiche e ricche di Venezia).

Nella Venezia in grande espansione e affermazione del 1342, quando Lucia della Contrada di Santa Sofiafaceva la “vendrìgola” ossia la “Rivendugliola di stràzzarie”, si costruì in Santa Sofia un terzo altare dedicato al BattistaJacobo SpadaPlebanus di Santa Sophia pagò in fiorini d’oro alla Camera Apostolica la tassa sui redditi del suo primo anno di Plebanato … Nello stesso anno Prè Marchesin Piovàn de Santa Sofia lasciò al Capitolodi detta chiesa diversi campi a Mars(c)òn e Gàs(i)o che poi vennero venduti. In Contrada accadde anche un fatto singolare: si tassarono tutti i Veneziani residenti nel Sestiere di Cannaregio fra l’area dov’era sito il Monastero delle Monache Agostiniane di Santa Lucia (l’attuale Stazione Ferroviaria) e la Contrada di San Giovanni Crisostomo parte limitrofa ma integrante l’Emporio Realtino.

Tale pagamento era motivato “dall’ampliamento della pubblica strada” fra la Contrada di San Bartolomeo di Rialtocol Fondaco dei Tedeschi e San Giovanni Crisostomo con abbattimento di alcune case e anche di un campanile. Tutti avrebbero beneficiato di quell’opportunità per spostarsi e commerciare meglio con Rialto, perciò la neonata Serenissima istituì dei “Commissari ad hoc” per ripartire le spese fra tutti tenendo conto di quanto ciascuno guadagnava: chi era più ricco pagava di più. Ogni residente della Contrade di San Giovanni Crisostomo e Santa Sofia che erano le più vicine a Rialto avrebbe pagato: 2 soldi e 6 denari per ogni valore di 1000 lire delle loro proprietà; chi abitava, invece, nelle Contrade di San Felice e San Marcuola avrebbe pagato solo 1 soldo e 6 denari; mentre chi risiedeva nelle più lontane Contrade di San Leonardo o Lunardo e Santa Lucia avrebbe versato solo 1 soldo. Solo quelli che abitavano la Contrada di San Bartolomeo accanto a Rialto: erano esentasse.

Nel 1370 Giovanni Priuli Capitano del Golfo residente in Contrada di Santa Sofia venne processato per aver rifiutato di consegnare ai Signori di Notte un tale Lombardinoche faceva parte dell’equipaggio della sua Galea commerciale. Dopo averne usufruito dei suoi servigi, aveva picchiato a morte una prostituta, e connivente il Priuli era fuggito via. Al Nobile Priuli venne imposta una multa di 300 lire di piccoli ... Nove anni dopo, al tempo del Doge Andrea Contarini e degli “Imprestidi allo Stato per la Guerra di Chioggia contro i Genovesi”, la Contrada di Santa Sofia nel suo insieme si distinse egregiamente fra le altre contribuendo efficacemente all’impresa Veneziana offrendo ben 72.000 lire. (la sua fu l’ottava migliore offerta di tutto il Sestiere di Cannaregio con le sue 12 Contrade, di cui la più ricca e generosa si dimostrò essere quella dei Santi Apostoli che offrì: 176.000 lire e 700).

Fra i contribuenti più significativi del Confinio di Santa Sofia ci furono 5 Nobilomeni e 2 Nobildonne sui quali primeggiò: Sèr Nicolò Grimani che offrì da solo 30.000 lire. Ci furono inoltre ben 16 contribuenti abbienti fra cui: Barbon Battioro che diede 500 lire, Francesco Rizzo di professione Varotèr che diede 300 lire, e Pantalòn che faceva il Partidòr che offrì altre 300 lire. Le famiglie Nobili un po’ tirchiotte ma predominanti all’epoca nella Contrada di Santa Sofia erano quelle dei Michiel di Santa Sofia Nobili di III° Classe, i Dolfin di Santa Sofia, i Basegio, gli Zen e i Renier. Sempre nella stessa Contrada abitarono i Nobili Giustiniani-Pesaro, i Salamon, i Finetti, gli Albrizzi, i Zanardi, i Grassi, i Perducci, i Trevisan di Santa Sofia Nobili di IV° Classe, i Benedetti, i Giusti-Miani-Coletti-Duodo, i Da Mosto, i Sagredo che avevano un palazzo appartenuto ai Morosini con una scala pomposa che scendeva fin in mezzo al Campo Santa Sofia, e i Foscari  “al Prà” che in seguito ospitarono nel loro palazzo sul Canal Grande Ambasciatori e Duchi fra cui il Marchese di Mantova(1520) e il Duca di Ferrara(1523) che quando entrò in Territorio Veneziano a Chioggia viaggiando in incognito venne oltraggiato dai Provveditori alla Sanità in quanto non s’era palesato. Insomma in Contrada di Santa Sofia risiedeva una bella rappresentanza, una buona fetta della Creme e dell’elite della Nobiltà Veneziana più prestigiosa.

E siamo così arrivati a parlare dell’Epopea dei Nobili Priuli con quella che fu quasi una vera e propria saga Veneziana. Non penso sia errato definire la Contrada di Santa Sofia come la Contrada dei Priuli perchè praticamente gran parte del Confinio finì progressivamente con l’appartenere a loro, e fu soggetto per secoli alle vicende e alle influenze della loro famiglia. I Nobili Priuli delle Erbe o di Santa Sofia erano presenti in Contrada fin dal 1297 col capostipite Beneto Priuli la cui famiglia veniva considerata da qualcuno discendente diretta di Attila. Era una gran balla, e i Veneziani lo sapevano bene, ma stava ad indicare l’intraprendenza di quella famiglia che fin dal 1310 venne ammessa al Maggior Consiglio oltre che per la ricchezza economica e l’intraprendenza commerciale, anche per essersi distinta a favore della Serenissima durante la famosa Congiura dei Baiamonte e Tiepolo.

I Nobili Priuli divennero un po’ i boss della Contrada di Santa Sofia, o meglio: i Nobili più prestigiosi e significativi. Sembra che: “Tutto a buon fin pensate !” sia stato il loro motto ... e che con i loro Rami familiari sparsi e accasati un po’ ovunque per tutta Venezia, facessero parte dei “Curti” ossia dei clan Nobiliari detti di “Casa Nuova o Ducali”.

Esistevano i Priuli degli Scarponi del Ramo di San Felice, i Priuli “Stazio” di Santa Sofia, c’erano poi i Priuli di Cannaregio che si distinguevano dai Priuli di San Polo detti “Grassi”, e dai Priuli “Gran Can”, dai Priuli “Bruolonghi de San Stae", dai Priuli de San Samuel, de San Giovanni Nòvo, de San Pantalon e de San Barnaba che abitavano in un palazzo chiamato anch’esso “Cà d‘Oro” per il suo splendore.

Fu un po’ strana l’epopea dei Priuli, un po’ double face, perché da una parte erano considerati una Famiglia superdevota e filoPapale, mentre dall’altra erano abituati ad attorniarsi di tutte le immagini, le simbologie, le figure e le vestigia di un mondo alternativo Pagano e Antico che esprimeva“tutt’altra Religio”. L’essere “de Cièsa”, ieri come oggi, si riduceva a un’opportunità utile al successo e alla carriera, un’identità spesso puramente di facciata. I Priuli, quindi, come molti altri Nobili non furono affatto stinchi di Santi né devoti bigotti, ma piuttosto dei grandi opportunisti. A tal riguardo basti notare e considerare le decorazioni dei loro palazzi e giardini dove amavano far inscenare dagli artisti quel che era il meglio del meglio della grande epoca culturale antica, mitica, e preCristiana piuttosto delle scene evangeliche che tappezzavano già a sufficienza chiese e Monasteri.

Comunque i Priuli, che sapevano mettere insieme doti favolose da 200.000-300.000 ducati per sposare qualche loro putta di famiglia, erano considerati dai Veneziani: “devotissimi e Cristianissimi”: sette figlie su otto nate da un unico matrimonio Priuli divennero “Monache di Famiglia”. Fra i Nobili i Priuli di Casa Nova erano considerati ed avevano fama d’essere: conservatori, filoRomani, filoCuriali ossia Papalisti … anche se le cronache veneziane raccontarono di un Michele Priuli che rapì una Monaca da uno dei Conventi di Murano, e si disse anche che i Priuli avversarono non poco Fra Paolo Sarpi non tanto per le sue concezioni Teologico-Politiche, ma perché affermava cose poco utili ai fini economici e sulla gestione dei benefici ecclesiastici di famiglia. 

I Priuli di San Felice di Cannaregio che possedevano un’azienda di legnami con capitale di 4.000 ducati, e una tenuta nel Polesine, comprarono per 24.000 Ducati dal Cardinale Pietro Aldobrandini il Palazzo dei Duchi di Ferrarache divenne dal 1621 il Fondaco dei Turchi ... I Priuli di San Stae, invece, abitavano in Campo San Polo ed erano proprietari d’immobili, botteghe, magazzini, appartamenti affittati, e di campi a Mira, Arquà sugli Euganei, e in Polesine che procuravano loro una rendita ufficiosa dichiarata al fisco di soli miseri 433 ducati annuali.  

Falsi come Pinocchio ! (che non era stato ancora inventato)… Era risaputo in tutta Venezia che i Priuli possedevano molto, tantissimo di più ... L’ho detto: godevano fama d’essere avidi e tirchiotti.

In ogni caso i Priulifurono una famiglia di Nobili Veneziani prestigiosissimi. Nel loro albero genealogico annoverarono una folla di Cavalieri, Procuratori di San Marco, Senatori, Abati, Vescovi, Cardinali, e ben tre Dogi: Lorenzo nel 1556, Girolamonel 1559, e Antonio nel 1618.

In Contrada di Santa Sofia si costruirono un Palazzo su un terreno che apparteneva prima ai Nobili Michiel fin dal 1360, ed era passato poi ai Nobili Muazzo nel 1537, che lo affittarono a Girolamo Priuli per 65 ducati annui. Alla fine gli convenne comprarselo ... e quello fu l’inizio dell’espansione dei Priuli in Contrada, perché nel 1592 Michele e Piero Priuli comprarono altre case e terreni della Contrada per poi affittarli, e continuarono così per secoli giungendo nel 1700 a possedere quasi tutta la Contrada di Santa Sofia arrivando a comprare fino in quella vicina dei Santi Apostoli.

Oltre a questo i Priuli investirono acquistando interi feudi nel Padovano e nel VeroneseZuan Francesco Priuli possedeva un’agenzia commerciale a Istanbul... la famiglia possedeva un carato della Galera Foscara che commerciava con l’Inghilterrae le Fiandredove i Priuli, che non esercitavano direttamente la Mercatura sul posto, facevano vendere: cera, spezie, cotone e panni, acquistando stagno e cuoio che venivano smerciati a Tunisie Messina, e in parte poi trasportati a Venezia… Dai Priuli venne edificato il Ponte della Priula a Susegana di Treviso sulla riva sinistra del Piave dove s’incontravano la Via Claudia Augusta Altinate diretta a Feltre e la Via Iulia Augusta proveniente da Mestre e diretta a Udine … Così come furono sempre i Priuli ad occuparsi a nome della Serenissima delle frodi che da tempo si riscontravano nell’Arte della Seta di Venezia.

Nel 1334 Giacomo Priuli ottenne l’appalto di una delle Galèe di Mercato per Cipro divenendo Comandante di Galèa anche nei due anni successivi. Esordi in politica due anni dopo venendo eletto fra i Tre Savi deputati a esaminare i contrasti insorti tra gli abitanti delle isole di Arbe e Veglia sul Quarnaro. Nel 1337 come Savio agli Ordini propose alla Serenissima senza essere ascoltato misure di tutela della “Muda di Cipro” che partì ugualmente. Era nato a Venezia all’inizio del 1300 da Nicolò della Contrada di Santa Ternita nel Sestiere di Castello, e ben presto entrò dentro ai grandi giri e manovre della politica Veneziana che contava. Nel 1339 venne inviato in missione a Ferrara per rivedere i patti fra le due città, e due anni dopo partì per la Dalmazia per dirimere contrasti e violenze sorte a Zara e Capodistria, e nelle isole di Pago e Arbe ... e poi ancora: Ambasciatore presso Mastino della Scala; Capo della Quarantia(1349 e 1366);Rettore a Candia(1351-1352);Console dei Mercanti(1354);Consiglio dei Dieci(1355). Nel 1362 rifiutò la Podestaria di Torcello per assumere due giorni dopo l’incarico di Ufficiale al Cattaver; partecipò alla Commissione per regolare i rapporti col Clero Veneziano (1363), fu Provveditore da Comun(1364 e 1370)deliberando l’armo di quattro Galee per Cipro; rifiutò la Podestaria di Asolo per fare il Savio agli Ordini (1365-1366); e fu anche Consigliere Ducale nel 1367.

Questo per farvi intendere quanto valeva e di quanto era capace un Priuli ... e non vi ho detto ancora tutto: nel 1371 ottenne dal Senato il permesso di riportare a Venezia, esenti da dazio, certe sue merci rimaste invendute a Maiorca e a Cipro; frequentò Commissioni e Zonte per traffici connessi col Levante (1370-1376), curò i rapporti col Sultano d’Egitto e questioni concernenti la Siria e i dazi di Creta e Cipro(1371); gestì i viaggi del convoglio delle Galèe per Alessandria(1371); delle Galèe per Beyrut(1374), e di quelle per Costantinopoli e Trebisonda (1376).

Dal 1372 fu chiamato a interessarsi anche di questioni concernenti la Terraferma e i confini col Padovanoe laPatria del  Friuli; fu Ambasciatore in Ungheria con Zaccaria Contarini per trattare la pace (1373); Podestà a Treviso (1374), Podestà a Chioggia (1376); Ambasciatore presso Ludovico Re d’Ungheria per contrasti sul Feltrino (1377 e 1379), e col nipote Carlo di Durazzo e Francesco il Vecchio da Carrara a Sacile per staccarli senza esito dalla Lega Antivenezianadurante la Guerra di Chioggia. Morì nel 1379 dopo questo lungo e intenso tour de force di carriere precisando nel testamento che era andato ad abitare nel Confinio di San Giovanni Crisostomo per essere più vicino a Rialto, e che era assai ricco (venne allibrato nell’Estimo del 1379 per ducati 12.000). Fra i molti lasciti ed elemosine che previde nel suo testamento, ordinò anche la costruzione di un altare in onore di San Giacomo nella chiesa di San Felice destinandovi molte rendite di un’apposita Commissaria.

Questo era un Priuli !

Quanto valeva un uomo così per Venezia e i Veneziani ? … e quale opportunità era per quelli della Contrada di Santa Sofia vivere accanto a un Priuli, o aver a che fare con qualcuno di loro ?

Marco Priuli attivissimo con i Priuli di Santa Sofia, invece, era nato a Venezia da Nicolò di Marco nella Contrada di Santa Ternita da dove si trasferì in quella di San Zan Degolà alla fine del 1200. Consigliere Ducale fin dal 1338, nel febbraio 1345 gli fu concesso il permesso di rientrare a Venezia dal Rettorato di Serravalle per occuparsi di suo padre ammalato. Negli anni seguenti occupò numerosissime commissioni e cariche di Stato della Serenissima: almeno una trentina. Rimase sempre attivo in campo mercantile e commerciale: una sua nave subì gravi danni e perdite a Cipronel mese di novembre nel 1366, ma l’anno seguente inviò ugualmente mercanzie in Fiandra come niente fosse accaduto; due anni dopo risultò coinvolto in un sequestro patito da Mercanti veneziani; e nel 1371 poco prima di morire a Venezia ordinò di vendere certi prodotti che gli erano giunti da Alessandria d’Egitto… Si occupò a nome della Serenissima dei feudi e dei Fondaci a Cretae in Siria; offrì consigli all’Arsenale su come armare le navi dei convogli mercantili rafforzandole con un numero adeguato di Balestrieri, e su come organizzare efficacemente il commercio con le Fiandre e il Levante; dispose provvedimenti in favore dei luoghi in Dalmazia, Istria e Trevigiano che avevano subito danni più gravi a causa della guerra contro Ludovico re d’Ungheria; si occupò delle vertenze fra il Vescovo di Ceneda e il Vescovo di Olivolo-Castello di Venezia per le Decime sui Morti; propose non ascoltato di costruire un Forte a Mestre per difendere la Laguna da Francesco da Carrara; si occupò dei “facti sancti Ilarii”(di Fusina) nel territorio conteso a sud di Oriago; dei confini di Chioggia e Valmareno; di Creta e dell’Istria, e della cessione dell’Isola di Tenedo; e dei rapporti col Sultano d’Egitto e del rafforzamento delle difese di Motta di Piave.

In altre parole: anche questo Nobile Priuli fu un altro “grosso calibro” utilissimo per le sorti dell’intera Serenissima.

Non esistevano però soltanto i Nobili e i Priuli in Contrada di Santa Sofia: il volto del Confinio veniva espresso in Calle del Cristo col suo originale Capitello in legno, nel Sottoportego del Tagiapiera e in quello dei Preti, nella Calle dell’Oca e in Calle Corrente… così come nelle calli e luoghi che rivelavano le attività artigianali che interessavano quel piccolo microcosmo quasi autosufficiente della Contrada.

Calle del Pestrin, Calle del Frutarol, Calle delle Vele, Corte dello Squero Vecio, Calle de la Pègola, Calle dei Pali o dei Testori sono toponimi rivelatori di presenze intense vissute … e poi c’erano le Corti e le aree tipiche dove s’assiepavano a vivere quelli della Contrada: Ruga Do Pozzi, Rio dell’Acqua Dolce, Calle dei Zotti e Calle e Rio de la Racchetta.

Nel 1397 Lorenzo Maccaruffo legò in perpetuo al Capitolo dei Preti di Santa Sofia le rendite di 2 mansi con bosco a Zero  chiedendo in cambio una Messa quotidiana e un Esequie annuale per se e per sua madre … e nel 1406 la Nobile Famiglia Sandei pagò di tasca propria la costruzione di un quarto altare in Santa Sofia dedicato a Sant’Osvaldo collocandolo accanto all’Altare Maggiore ... il celebre pittore Gentile da Fabriano che abitava proprio in Contrada di Santa Sofia a Venezia ed era amico di Jacopo Bellini(che per questo forse diede nome Gentile a uno dei suoi figli) dipinse per la chiesa di Santa Sofia una pala per un altro nuovo altare dedicato a Sant’Antonio Abate ... pagato ancora una volta dai Nobili Sandei.

Nel 1414 Giovanni Priuli s’imbarcò nella Squadra Navale Veneziana che operò nell’Adriatico contro Sigismondo Re d’Ungheria, e l’anno seguente comandò la Galea Veneziana che condusse a Napoli Giacomo di Borbone-La Marche per sposarsi con la Regina Giovanna II. Come gli uomini illustri del Casato Priuli fin dal 1420 occupò e rifiutò almeno una ventina di cariche importantissime dello Stato dedicandosi alla guerra, alla condanna a morte di Francesco Bussone detto il Carmagnola, al processo contro Alvise Correr e Pietro Morosini per un’Assicurazione Marittima, e giudicò Jacopo Foscari figlio del Doge esiliandolo prima nel Peloponneso, e commutandogli poi l’esilio riportandolo nel Trevigiano.

Era nato nel 1384 in Contrada di San Felice a Venezia da Costantino di Lorenzo e da una figlia di Giacomo Loredan di Bartolomeo, e aveva trascorso l’intera giovinezza esercitando la Mercatura nei Fondaci Siriaci curando gli affari di famiglia. Nel 1414 sposò Maria Donà di Nicolò, cugina di Andrea Donà futuro cognato del Doge Foscari, e si trasferì in Contrada di San Severo poco distante da San Marco e dal Palazzo Ducale dove suo padre aveva appena acquistato una grande casa che divenne la residenza dei Priuli del Ramo di San Severo. Morì a Venezia nel dicembre 1456 lasciando quattro figli maschi e una femmina, fra cui Francesco Priuli che sarebbe divenuto Capitano Generale da Mar ... Venne sepolto nel chiostro di Sant’Andrea della Certosa di Venezia (che oggi non esiste più):“Lodato ed esaltato per l’onestà e la purezza dei costumi”. Fu insomma un’altra carriera politica senza respiro, sempre ai vertici più alti del governo della Serenissima dalla quale ottenne molto ma alla quale offrì tantissimo. 

Intanto nel febbraio 1416 sempre in Parrocchia e Contrada di Santa Sofia dov’era stato confinato da 6 mesi con parte dei suoi libri, era morto Giacomo Vescovo di Treviso. Era un uomo di Chiesa che s’era indebitato fino al collo per aver partecipato per 9 mesi al Concilio di Costanza, e per aver poi soggiornato a lungo a Venezia … senza mai pagare.

Un mese prima di morire, trovandosi in disaccordo col suo Clero e Capitolo di Treviso che non lo voleva più “foraggiare di denari”,chiese dei prestiti a Venezia impegnando alcuni beni della stessa Mensa Vescovile di Treviso (ossia della Chiesa e Diocesi di Treviso). Dopo la sua morte i suoi libri vennero venduti all’incanto, e con i 100 ducati ricavati si pagarono dei nuovi paramenti per la Sacrestia di Treviso rimborsandone almeno intenzionalmente il Capitoloche era stato a lungo “spremuto e privato delle sue rendite”. Poi si presentarono gli Ufficiali alle Cazzude della Serenissimache tentarono a lungo di saldare i crediti lasciati in sospeso dal Vescovo defunto. Fra i creditori che esigevano rimborso c’erano: Giovanni De Palena che chiedeva 207 ducati (era stato per 6 anni Vicario Generale dello stesso Vescovo senza percepire neanche un soldo); il suo segretario: Prè Bonaventura da Ceneda che pretendeva almeno 92 ducati; e donna Antonia che chiedeva 7 ducati in quando il suo defunto marito Bertonis De Cumis da Treviso era stato per anni coppiere e domestico dello stesso Vescovo ... ma senza incassare niente.

In quei tempi non so quanto in verità importasse ancora ai Preti della Collegiata e Capitolo di Santa Sofia del Sapere, della Verità e della Conoscenza, ossia della Sofia-Sapienzache aveva dato inizialmente nome e titolo alla Contrada e alla loro chiesa. Forse ben poco o niente, perché si lamentavano che quello di Santa Sofia (che pur possedeva un buon numero di rendite e di Mansionerie di Messe) era un piccolo beneficio economico ecclesiastico troppo piccolo, forse uno fra i più poveri, meno ambiti e poco redditizi dell’intera Venezia. I Preti Veneziani “di spessore” non amavano molto divenire Preti della Collegiata di Santa Sofia. Infatti, intorno agli anni venti del 1400, venne a vivere in Contrada e chiesa di Santa Sofia il Prete-Piovano Pietro Negro: “un numero d’uomo … matto come un cavallo” ... Nei documenti dell'Avogaria da Comun si legge che venne esonerato nel 1436 dall’incarico di Pubblico Notaio perché rogò e pubblicò un testamento in cui una certa Cristina de Sana lasciava a Francesco Rizzotto Piovano di Santa Maria Nuova tutte le sue facoltà: era un falso !  … a redigere il quale la povera vecchia era stata indotta.

Come non bastasse, lo stesso Piovano Negro era famoso in giro per tutta Venezia perchè faceva pagare i funerali dei suoi parrocchiani a 3 ducati invece dei soliti 3 soldi per pagarsi così i numerosi debiti di gioco di cui era fanatico.

E non è ancora tutto: un suo figlio naturale: Antonio, avuto da una relazione con una donna della Contrada, faceva il “Cultrarius”, ed era, come si diceva spesso anche a Venezia: “talis pater talis filius”in quanto aveva messo incinta Catterina Bedotolo Badessa del Convento dell’isola di San Giacomo di Paludo poco distante da Murano. La Serenissima lo condannò a due anni carcere dal quale però fuggì l’anno seguente finendo bandito da Venezia e da tutti i Territori del Dominio Veneto ... pena la morte se fosse stato catturato.

Nel 1441 Francesco Priuli si trovava ancora “in partibus Syriae” rimanendo a lungo lontano da Venezia dove tornò solo a trentun anni dopo l’elezione del padre come Procuratore di San Marco de Citra. Era nato a Venezia nel 1423 da Giovanni di Costantino e da Maria Donà di Nicolò, e ancora nel 1479 si occupava di merci sequestrate ai suoi agenti di Damasco. Sposata Contarina Contarini figlia del Procuratore Federico di Bertucci, da cui ebbe cinque maschi e altrettante femmine, entrò tra i Pregadi, poi venne eletto all’Ufficio dei Cinque Savi alla Pace, fu Avogador da Comun(1475 e 1480); Provveditore al Sale(1476); e Savio di Terraferma(1479 - 1482 e 1483) al tempo della difficile e dispendiosa Guerra del Polesine che diede a Venezia il territorio di Rovigo, ma non il controllo sul Po.

Negli stessi anni per non farsi mancare niente fu anche Savio del Consiglio e Consigliere Dogale per il Sestiere di Castello, Capitano Generale da Mar quando Bayezid Sultano Ottomano allestì una squadra navale per muovere contro l’Egitto chiedendo a Venezia la concessione di un porto di Cipro Protettorato della Repubblicadove regnava Caterina Cornaro. Il Senato Veneziano temeva allo stesso modo sia le mire espansionistiche degli Ottomani, che quelle di Ferdinando Re di Napoli che intendeva impadronirsi dell’isola.

Lo storico Marin Sanudodei Diari scriveva in quei giorni: “…perché se intendeva el Turcho feva armada, et etiam re Fernando, per dubito di l’isola di Cypri fu terminato etiam nui far grossa armada, et preso far Capetanio General di Mar. Et cussì … fo electo Francesco di Prioli, Savio dil Conseio … El qual aceptò e andò”.

Nell’aprile 1487, infatti, Franceco Priuli sbarcò a Cipro con 500 Stradioti (mercenari Dalmati, Greci e Albanesi ortodossi che formavano unità militari di cavalleria della Repubblica di Venezia e del Regno di Napoli) per rafforzare le difese di Cerines e Famagosta; mentre il Consiglio dei Dieci inviò a Costantinopoli Giovanni Dario per dissuadere i Turchi dall’impossessarsi dell’isola. Priuli in seguito lasciò Cipro svernando a Corfù, e incrociava con le sue navi nel Mare Egeo presso Adana e Tarso quando nel maggio seguente la squadra di 84 navi Turche venne sconfitta dai Mamelucchi d’Egitto. Il Senatoallora gli ordinò di recarsi a Cipro con tredici Galèe, e vi giunse giusto in tempo per bloccare il tentativo di far sposare la Regina Cornaro con Alfonso d’Aragona figlio di Re Ferdinandodi Napoli. Francesco Priuli arrestò Rizzo de Marino e Tristano Giblet organizzatori del complotto inviandoli a Venezia, e a metà marzo 1489 Caterina Corner abdicò a favore di Venezia lasciando Francesco Priuli come Bailo di Cipro: “… né vi è memoria che ritornasse più a Venezia, essendo mancato in quelle parti …”

In seguito però a Venezia si scrisse: “… fu preso che Sier Francesco di Priuli Capetanio Zeneral da Mar vengi a disarmar, et cussì vene”. Morì infatti a Venezia nel 1491 venendo seppellito a Sant’Andrea della Certosa.

Nella stessa epoca un altro Priuli: Pietro,fece una “gran chiassata” nel 1442 con altri giovani Patrizi Veneziani che vennero esclusi da Palazzo Ducale per sei mesi. “Fatto giudizio”, sposò Elisabetta Vendramin figlia di Luca, fratello del futuro Doge AndreaVendramincon la quale “si diede molto da fare”mettendo al mondo ben dodici figli. Poi riprese l’attività della Mercatura in Levante che aveva già praticato a lungo in giovinezza apparendo ad Alessandria d’Egitto come testimone di procure, malleverie e numerosi contratti mercantili.

Era nato a Venezia nel 1420 da Lorenzo di Costantino e da Chiara Tron di Luca, e tornato a Venezia nel 1450 inanellò e intraprese o rifiutò come di solito facevano i Priuli una lunga serie di prestigiosi incarichi di Stato continuando a dedicarsi ai commerci. Solo nell’agosto 1482 venne eletto Procuratore de Supra, incarico secondario solo al titolo Dogale, e spostò così la sua residenza dalla Contrada di Santa Foscaalle Procuratie di Piazza San Marco. Più tardi divenne Provveditore sul Campocombattendo gli Estensi insieme a Marcantonio Morosini, edificò un fortino a Lagoscuro per proteggere il transito sul Po, e giunse ad assediare Ferrara. Fu quello un capitolo tristo delle guerre della Serenissima perché i soldati Veneziani si trovarono a combattere in ambienti malsani e paludosi che causarono molte malattie e morti, inducendo lo stesso Pietro a rientrare a Venezia come racconta il solito Marin Sanudo: “… amalato di dolor colici, havé licentia di vegnir a repatriar, et poi che fu venuto, referì al Senato di quelle cosse dil campo, et introe Savio del Consiglio, dove era stà electo”.

Negli anni seguenti, mentre nel 1469 “Daniele Priuli pacificò i Triestini coi Giustinopolitani, e assalse Rodi, e di non poco danaro sussidiò lo stato nella guerra di Negroponte …”, Pietro Priuli si occupò di frodi daziarie come Savio della Serenissima; reperì risorse finanziarie e fiscali per la guerra; attuò restrizioni dell’abbigliamento femminile delle Veneziane; obbligò Artigiani, Rettori e Magistrati a decurtarsi lo stipendio; e si dedicò alla correzione della Promissione Ducale per i Dogi Marco e Agostino Barbarigo con i quali era imparentato. Morì nel dicembre 1492 venendo sepolto a San Michele di Murano dove aveva speso e investito tantissimo realizzando la Cappella della Croce ideata da Mauro Codussi.

Nel 1461, intanto, era stato il turno di un altro Prete di Santa Sofia a salire all’onore delle cronache Veneziane: si trattava di Prè Vito Pugliese che venne condannato al carcere a vita per aver violentato e avuto una storiaccia infame insieme a Lucia moglie di un Agostino Lanaiolo da Feltre. Fu la stessa donna a denunciarlo e smascherarlo … ma solo perché non le aveva dato i soldi che avevano pattuito. Un anno dopo su intercessione del Principe di Taranto la pena comminata al Prete venne commutata in Bando Perpetuo.

Nel 1470 Antonio Priuli venne inviato come Ambasciatore a Firenze: “… è stà manda a Fiorenza, per haver qualche aiuto da quella Comunità contra ’l Turco”; e come Savio di Terraferma nell’agosto di due anni dopo partecipò a una vertenza con alcuni Mercanti Catalani che reclamavano per dei danni subiti da una loro nave ad opera di una Galea veneziana. Era nato a Venezia nel 1418, primogenito di Lorenzo di Costantino del Ramo dei Priuli “dal Capuzzo” di Cannaregio e di Chiara Tron di Luca, e in gioventù aveva esercitato a lungo la Mercatura partecipando alla Muda di Barbaria(1441); beneficiando di una procura in Alessandria d’Egitto per riscuotere a Rialto un credito per conto di Giovanni Dolfin(1448); e fu Capitano delle Galèe della Muda per Aigues-Mortes.

Tornato a Venezia sposò prima Elena Contarini, e poi Maria Foscari ricoprendo a sua volta numerosissime cariche di Stato come era uso di famiglia: Quarantia(1448-1451); Visdomino al Fondaco dei Tedeschi; tra i Cinque Tesorieri Nuovi al Fisco(1452); Savio agli Ordini(1453-54); Savio di Terraferma(1457, 1464, 1469 e 1471-75); Ambasciatore presso il Duca Stefano di San Saba per provare a sottrarre la Bosnia dall’asservimento ai Turchi (1463); e Camera degli Imprestidi nel 1464. Due anni dopo come d’abitudine di famiglia rifiutò l’incarico d’Ambasciatore in Ungheria per cui venne spedito come Podestà a Chioggia(1467); riacquistata la stima della Serenissima, venne inviato come Ambasciatore presso l’Imperatore Federico III; poi rifiutò di nuovo l’incarico d’Ambasciatore Ordinario a Romae anche quello a Napoli (1469) dove fu costretto ad andare lo stesso con Zaccaria Barbaro per cercare aiuti contro i Turchi (1471).

Tornato ancora una volta a Venezia, entrò nella Zonta del Consiglio dei Dieci(1473), rifiutò ancora un’Ambasceria a Firenze (1474), fu Savio sopra i Dazi e Avogador da Comun(1475); come Savio del Consigliopropose la costruzione di una fortezza antiottomana a Gradisca sull’Isonzo(1478); e morì attorno al 1480 lasciando la sua inconsolabile vedova che tre anni dopo si risposò felicemente con Pietro Corner.

La Contrada di Santa Sofia, intanto, continuava a vivere la sua storia. Non erano tutti mascalzoni e inetti i Preti di Santa Sofia: fra loro nel 1464 c’era anche Prè Pietro Bianco di origine tedesca, che era abile organaro e costruttore di diversi strumenti istallati soprattutto nelle chiese della Terra del Friuli (San Daniele, Gemona, Udine, Tolmezzo)...

Nel 1471 Tommaso De Thomeis, Sancte Sophiae Plebanus, Notarius, Vicario della chiesa Dogale di San Marco e Cancelliere Ducale rogò il testamento del Doge Cristoforo Moro… in seguito Prè Giovanni Del Lago fu Letterato e Giurista, come lo fu Prè Francesco Speranza… Nel 1488: Luca Tron Provveditore da Comun propose al Maggior Consiglio di costruire due ponti sul Canal Grande: uno che congiungesse Santa Sofia col Mercato di Rialtoe uno San Vidal con la Carità: gli risero tutti dietro spiegandogli che esisteva già dal 1342 e funzionava egregiamente l’efficientissimo Traghetto di San Giovanni Battista a Santa Sofia della Ca' d'Oro(uno dei più antichi di Venezia). Era più che sufficiente quello gli risposero.

Nel 1483, Marin Sanudo scrisse e raccontò nel suo “Itinerario per la Terraferma Veneziana”circa le residenze dei Nobili Muazzo a Bassano, e di quelle dei Cappello dal Banco. Riferì inoltre che i Veneziani erano nomi importanti presenti fra quelli dell’Arte Molinatoria e del Commercio dei Legnami, e che alcuni Patrizi come i Pizzamano, i Morosini, i Cappello, i Belegno e i Priuli erano concessionari di porzioni della “Campanea del Comune” irrigata dalla Roggia Rosà che usciva dal Brenta, derivata dai beni appartenuti un tempo ai Carraresi e ai Visconti ... Dal 1492 al 1498 Girolamo Priuli fu presente a Londra come commerciante rimanendone ammaliato. Tornato a Venezia iniziò a scrivere un suo Diario Segreto nel quale esternò aspre critiche al Governo della Serenissima, ai Nobili e alle Istituzioni Veneziane, precisando che i Conventi di Venezia troppo libertini dovevano essere tutti bruciati con le Monache dentro.

All’inizio del 1500 il Capitolo dei Preti di Santa Sofia possedeva diverse case in Venezia: “… quatuor domos in Judaica (Giudecca)… domini obligatam domini Francisci Foscari positam apud nostrum traiectum … domum obligatam positam apud porticum ipsius ecclesiae in qua habitat pomarius sive venditor fructum …” e anche alcuni campi in Terraferma presso Zero e Martellago: “… duas possesiones in villa Zerri … in villa Martelagi duos campos …” che erano stati lasciati al Capitolo di Santa Sofia nel 1485 dal Plebanus Giacomo Rizzo insieme a una rendita di 200 ducati versata alla Camera degli Imprestidi in cambio di una Mansioneria di Messe da celebrare ogni giorno in suo suffragio nella chiesa di Santa Sofia.

In quegli stessi anni in Contrada accaddero un paio di episodi inquietanti oltre che curiosi: nel 1506 ci fu quello della Meretrice de Miràn. Un Fabbro benestante abitante in Campo Santa Sofia in una casa del Cittadino Longhin, aveva una tresca amorosa con una vedova di Mirano che faceva la prostituta. Una sera la donna si recò a trovarlo a Venezia, e atteso che il Fabbro si fosse addormentato, scese di sotto in cucina a scaldare dell’olio. Salita poi di sopra, prima diede all’uomo una coltellata nel petto, poi gli versò addosso l’olio bollente, e infine lo ammazzò pestandogli un candelabro sulla testa. Già che c’era rubò all’uomo tutto il denaro che aveva addosso insieme ad altri due sacchetti di monete che trovò nella casa, e dopo aver provato inutilmente a forzare la “cassa forte” del Fabbro, se ne fuggì via dando fuoco a tutto. Quando tempo dopo la donna venne arrestata dopo un altro furto commesso a Venezia, emerse anche la vicenda precedente. Nel gennaio 1505 venne condannata ad essere trasportata su una chiatta lungo tutto il Canal Grande fino al Monastero del Corpus Domini(attuale luogo dell’accesso al Ponte Calatrava dalla parte della Stazione Ferroviaria), e poi ad essere accompagnata a piedi attraverso il Sestiere di Cannaregio fino alla Contrada di Santa Sofiadove le sarebbe stata tagliata la mano destra. In seguito si sarebbe prolungata la sua ultima camminata fino alle Due Colonne di Piazza San Marco dove le sarebbe stata tagliata la testa, e infine il suo corpo sarebbe stato bruciato, e la sua testa appesa sulla riva dell'Isola di San Giorgio Maggiorea monito di tutti … Per niente impressionate da questi fatti, nella notte del 22 luglio 1512 alcune “donne di mestiere e malaffare” con un gruppo di “Zentiluomini” uccisero Ser Battista Gradenigo… sempre e ancora in Contrada di Santa Sofia.

Già che siamo in argomento, in quello stesso secolo diverse “Signore” abitavano in Contrada di Santa Sofia dove prestavano stabilmente la loro opera più che ricercata da molti, e piuttosto ben tollerata dalla stessa Serenissima. Ad essere precisi, era piuttosto la limitrofa Contrada di Santa Caterina ad essere fornitissima di “donne di malaffare” spesso gestite dai Barcaroli del vicino Traghettoe ospitate spesso da argute “Massère” o parenti stretti: se ne contavano ben una trentina. Le liste che giravano per le Osterie, le Locande, i Mercati, i Traghetti e le Contrade menzionavano comunque anche Cornelia Murlaquetta di Santa Sofia che abitava in casa di Betta fia de Maria a Santo Apostoloin Ca’Michiele si faceva pagare 4 Scudi … C’era poi a disposizione: Catarina Tagiapietra che stava ed esercitava in Ruga Do Pozzi in casa di suo fratello Zorzi … ed Elena Driza che “lavorava” in Contrada de Santa Sofia in casa de la so Massèra … Nella stessa zona esercitavano anche: Viena e Giulia Barcaruola donna maridada che “prestavano le loro cure” in Calle delle Erbe “in cào alla Ruga”in casa di Chate Schiavona al prezzo di 1 o 2 Scudi per volta … Lucietta Trevisana, invece, costava 2 Scudi, e si concedeva in casa di sua madre nella stessa Contrada di Santa Sofia … Lugretia di Colti abitava lì nei pressi nella stessa Contrada “presso il Bataòr” prestando i suoi favori per 2 Scudi … e “drio la gièsia de Santa Sofia stava Donna Verginia Armano” che venne multata di 50 ducati et spese il 02 Zenèr 1598 come si può leggere “a squarzafoglio 49” nei documenti di coloro che controllavano ogni cosa che accadeva nelle Contrade di Venezia.

All’inizio del 1500: i Nobili Priuli vendettero “… a pezzi e bocconi …” a proprietari locali, la Gastaldia di Fiumicello che possedevano nella Terra del Friuli… Nel 1504 Girolamo Priuli lamentava nei suoi Diari Segreti che in quell’anno non partivano più Spezie da Venezia per il Ponente perché andavano direttamente dall’India al Portogallo eludendo la storica Via Classica del Mediterraneo. I Priuli allora non trovando più Spezie acquistarono dal Patron Federigo Morosini “una quota” della Compagnia di Galea che trasportava 200 botti di Vino Cretese e Malvasia da portare in Inghilterra. Di solito il vino veniva trasportato dalle grosse navi tonde dalle fiancate alte, mentre le Galee erano riservate al trasporto “più leggero ma più prezioso” delle Spezie. Al ritorno verso Venezia il Capitano comperò anche un carico di piombo per zavorrare la Galea pagandolo “in maòna” ossia “in società”con i diversi Mercanti Veneziani …  L’anno seguente Nicolò Priuli già Capitano a Famagosta e Luogotenente a Cipro venne riconosciuto colpevole d’essersi impossessato di denaro appartenente al Comune e a Mercanti privati. Il Consiglio dei Dieci gli ordinò di rifondere subito la somma, poi lo bandì per 2 anni da Venezia e dal suo Dominio escludendolo da ogni Ufficio e Consiglio e incarico di Stato, inibendolo inoltre per sempre dal ricoprire cariche commerciali inerenti Cipro.

Secondo il Libro dei Conti di Lorenzo Priuli, grande detentore di importantissime cariche di Stato della Serenissima e proprietario di diversi immobili in Venezia e di notevoli tenute in campagna, il periodo fra il 1505 e il 1535 fu quello di maggiore floridezza e fortuna per le sorti della Famiglia Priuli. Girolamo Priuli, Diarista e Banchiere, con Vincenzo Priuli Ufficiale di Marina e Comandante per qualche tempo delle Galèe per Beirut, che sposò una figlia del grande Banchiere di Stato Alvise Pisani di cui continuò l’attività bancaria, importavano lana dall’Inghilterra insieme con un figlio Francesco vendendola ai Drappieri Veneziani ai quali concedevano abitualmente credito di pagamento per due-tre anni.

Fin dal 1506, quando ormai i viaggi di quasi tutte le Mude delle Galèe erano entrate in crisi, il Viaggio di Barberia era considerato ancora l’unico ad essere sicuro e redditizio, e i Priuli usarono i fondi di famiglia per commerciare e investire in spezie, argento, stoffe, obbligazioni governative e soprattutto lana ... Un Corsaro Napoletano che catturò “un Barzotto” di proprietà di Matteo Priuli trovò che trasportava 200 botti dirette a Costantinopoli insieme a stagni, panni di seta e lana per un valore complessivo di circa 30-40.000 ducati … L’anno seguente Girolamo Priuli, il Diarista-Banchiere, figlio di Lorenzo Priuli(che aveva ricoperto tutte le cariche di Stato eccetto quella di Doge), inaugurò una piccola Banca: uno dei dieci “Banchi di scritta” presenti a Venezia in quell’epoca, ma fu costretto a chiuderla e liquidare dopo pochi anni, nel 1513, a causa dello scoppiare di una nuova guerra infelice che portò la Serenissima ad Agnadello. Già fin dal 1509 la Banca Priuli entrò in crisi vittima d’aver fatto credito al Governo procurandosi una perdita personale di 10.000 ducati dovuta alla soppressione dei pagamenti del Monte Nuovo: molti dei creditori vennero pagati con crediti del Governo che valevano poco o niente.

Nel maggio 1509, Alvise Priuli quondam Giovanni era uno dei sei Savi di Terraferma, mentre Lorenzo Priuli era il Cassiere del Consiglio dei Dieci. Più in alto di così dentro alla Serenissima ?

Lorenzo Priuli & Figlipossedevano 8 carati cioè un terzo della Compagnia di Galeadella Muda di Fiandra guidata dal Patron Federico Morosini e composta da 3 navi. Partirono da Venezia nel settembre 1504 dirette in Inghilterrae rientrarono a pieno carico a Venezia nell’ottobre 1505. Nel 1507 il Patron Morosini riferì a Lorenzo Priuli che il costo totale della Galea per il viaggio in Ponente, esclusi i noli pagati in Inghilterra e a Venezia, era stato di 7.503 ducati e 7 grossi: “Per Galia de Fiandre, Patrono Federico Morosini e Capitanio Marco Antonio Contarini. A Ser Federico Morosini come Patrono per tanti ne assegna per suo conto montar dita Galia 7.503 grossi 7, che tocha a noi per caratti 8: ducati 2.501 grossi 2, computano i danari ave de Vincenzo a sterlina 54 ducato, val lire 250…”

Fra 1514 e 1566 la Serenissima registrò a Catasto 6 case di cui “una roinàda” a San Domenego de Castello in Calle del Sarasin. Erano state donate da Maffio Priuli alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista per essere date gratis o a minimo canone d’affitto ai Marangoni ed Operai dell’Arsenale o a “poveri fratelli della Schola” ... Nel giugno 1515, Orsato Priuli Provveditor alle Bocche d’Anglò venne decapitato per ordine del Consiglio dei Dieci per averle cedute ai Tedeschi ... Nello stesso anno e in quello seguente, i Nobili Trevisan e Priuli acquistarono dallo Stato Veneziano le terre a Lissaro nel Padovano e ad Arlesega verso Vicenza confiscate ai “ribelli”dopo il 1509.  Altre terre comperarono gli Arimondo, i Pisani dal Banco, i Cappello i Lando e i Dolfin in un’operazione finanziaria fra Nobili e Stato che metteva in vendita 2.200 ettari di terra su 3.800 confiscati in Terraferma con un esborso complessivo da parte dei Patrizi Veneziani di 85.000 ducati … Nel 1518 risultava già appartenente ad Alvise Priuli fu Nicolò(candidato al Dogado nel 1520), la Villa signorile in Contrà Santa Giustina a Piove di Sacco lungo la strada che andava ad Arzerello. Si trattava di uno sfarzosissimo complesso edilizio disposto su tre piani, con grandi stanze e saloni, scalone monumentale a tenaglia, mascheroni, arcate, grandi fabbriche adiacenti, e giardino con viali ombrosi ed esedra con molte statue ... Nello stesso anno i Priuli possedevano 12 carati di una Galea della Muda di Fiandra che salpò all’inizio dell’anno. Gli furono addebitati 4.220 ducati: valore pari a quella della Muda di Barberia che partiva nello stesso anno … e il Registro Catastale del Padovano per Nobili e Cittadini comprendeva in tutto: 1.523 proprietari. Fra questi erano segnati: il Monastero di San Giovanni di Torcello che possedeva 465 campi, Alvise Pisani che ne possedeva 10.000, Gasparo Contarini: 445 campi, il Cittadino Alvise Saraxin: 10 campi, e Alvise di Pietro Priuli, zio del Diarista Girolamo, che aveva 250 campi.

Nel 1514 prese fuoco la Contrada di Santa Sofia, ma l’incendio venne presto circoscritto e domato rimettendo ogni cosa al proprio posto … Si provvide anche a seppellire in chiesa di Santa Sofia un paio di personaggi illustri: Nicolò Dolce Vescovo di Limisso, e Ser Armorò Pisani di 46 anni potentissimo Capo del Consiglio dei Dieci… Tre anni dopo il Marchese di Ferrara alloggiò con la moglie in Contrada di Santa Sofia assieme a un seguito di sette donne Mantovane accompagnate dai rispettivi mariti.

Girolamo Priuli, invece, era l’altro aspetto della “medaglia Priuli”, avverso alla politica e alle cariche ed intrighi di Stato ed Ecclesiastici, ma non meno afferrato nell’economia e nei commerci redditizi. Scriveva sul suo Diario Segreto: “…costatato come io appartenga ad una famiglia insigne e di sangue nobilissimo, mio padre, mio zio e tutti i miei parenti, compresi quelli acquisiti, godono di un grande onore nella Repubblica. Ed essendo io ricco, secondo il mio rango e la mia posizione, non mi mancherebbero gli onori e la dignità che spettano a tutti gli altri nobili veneziani. Tuttavia il mio spirito è sempre stato alieno e distaccato da tali onorificenze e sono dieci anni che non frequento il Maggior Consiglio o altre assemblee cittadine…”

Fra 1514 e 1518 Girolamo Priuli che era nato a Venezia nel 1486 da Alvise di Nicolò del Ramo di Santa Sofia, e da Chiara Lion di Giacomo, si trovava in Siria, poi ad Alessandria d’Egitto e al Cairo dove risolveva controversie fra Mercanti Arabi e una nave Veneziana. Aveva trascorso gran parte della sua vita esercitando la Mercatura soprattutto delle Spezie, e s’era arricchito moltissimo raddoppiando più volte il proprio capitale. Il sempre solito Diarista Marin Sanudo scriveva di lui nel settembre 1514: “… il morbo a Damasco era miorato, adeo sier Hironimo di Prioli era partito di l’isola [Cipro] e navegato a Baruto”.

Nel 1517 Girolamo Priuli venne incarcerato per bancarotta e debiti ma la causa del suo scoperto fu la Tesoreria dello Stato Serenissimo.

Tornato a Venezia nel 1520, si comprò l’ingresso in Senato per 500 ducati prima di sposare cinque anni dopo Elena Diedo di Antonio da cui ebbe un unico figlio: Ludovico ossia Alvise. Solo nel 1531 accettò di diventare Provveditore alle Pompe per calmierare le spese pubbliche e gli eccessi dei privati Veneziani; quindi fu nella Zonta del Senato(1532), Provveditore alle Biave (1535), Ufficiale sopra gli Atti del Sopragastaldo(1539), Savio alla Mercanzia(1540-42-48 e 50), nel Consiglio dei Dieci nel 1543-45-47-49-51-52-54, uno dei 25 Savi incaricati di rivedere l’Estimo cittadino(1548); Consigliere Ducale per il Sestiere di Dorsoduro(1551); Savio sopra le Lagune(1552); Governatore delle Entrate e Provveditore all’Arsenale; Provveditore all’Armamento (1553-54); e Conservatore delle Leggi e Provveditore sopra i Beni Inculti(1556).

Passata la bufera, nel 1522, fu Antonio Priuli(con Matteo Bernardo figurava fra i 4 maggiori mercanti di Alessandria dove commerciava in diamanti per migliaia di ducati) ad aprire insieme ad Alvise (assolto quell’anno dalla condanna all’esilio per l’omicidio di Giorgio Loredan figlio di Marco Antonio Capo del Consiglio dei Dieci in cambio di 1.000 ducati e di un sussidio in favore delle truppe dislocate a Padova) un nuovo “Banco di scritta” dei Priuli ancora in stretta alleanza con la Banca Pisani. Il Banco Priuli fu uno dei più notevoli del gruppo Bancario Veneziano anche se i Priuli erano impopolari e avevano sempre fama d’essere avari e grossi taccagni.

La Serenissima si servì astutamente non poco delle Banche dei Nobili, e “giocò” parecchio e a piacimento con i patrimoni e i capitali dei Mercanti e dei ricchi Nobili della finanza Veneziana. Lo Stato Serenissimo doveva ai Priuli più di 14.000 ducati, e li ripagava parzialmente di solito con obbligazioni di Stato e applicando loro nuove imposte.

Il Banco Priuli, infatti, nel 1551 finì ancora una volta col fallire e chiudere travolto dalla crisi economica generale che coinvolse tutta la Serenissima. Esisteva però un altro motivo che distraeva i Priuli dall’economia: prediligevano la frequentazione dei circoli letterari dove presenziavano: Francesco Maria Molza, Francesco Berni, Benedetto Ramberti, Pietro Bembo, Trifone Gabriele, Benedetto Lampridio, eVittore Soranzo con Lazzaro Bonamico che furono compagni di studi dei Priuli a Padova dove studiavano Filosofia, Greco e Latino e anche Aramaico. I Priuli amavano frequentare l’Abbazia dei Monaci Benedettini di San Giorgio Maggiore dove convenivano per studiare e discutere personaggi del calibro di: Gasparo Contarini, Marcantonio Flaminio, Antonio Brucioli, Giovanni Battista Ramusio e Donato Rullo, che erano in rapporti con Antonio Priuli anche “per occasione di traffichi et mercandia che facevano insieme”.

I Priuli frequentando quei Circoli esclusivi associando quindi “l’utile col dilettevole, la politica con la Mercandia, lo Stato con la Religione, la Scienza Prima col vile Commercio.”

 Alvise Priulinacque a Venezia intorno al 1500 nella Contrada di San Severo da Marco Rettore di Rettimo e Zante, figlio del Capitano da Mar che nel 1489 aveva riportato a Venezia la regina di Cipro Caterina Corner. Alvise fu membro insieme a Gaspare Contarini e Marcantonio Flaminio dell'Oratorio del Divino Amore, e conobbe a Padova Reginald Pole futuro Cardinale Inglese d’ispirazione Erasmiana di cui divenne grandissimo estimatore, amico fedelissimo nonchè assistente. Nel 1540, lo stesso Marcantonio Flaminio convinse Alvise Priuli tramite uno scambio di lettere della bontà delle dottrine sulla Giustificazione di Juan de Valdès(condannate severamente dal Concilio di Trento nel 1545-1563), e l'anno seguente lo stesso Priuli seguì a Viterbo il Cardinale Pole che era anche Legato Pontificio, entrando così a far parte di circoli d’altissimo livello. Alvise Priuli con la sua “conventicola”insomma erano diventati e considerati mezzi eretici dalla Corte Papale.

Nel 1545 dopo aver soggiornato a lungo a Bologna e Roma si recò in Inghilterra con lo stesso Cardinal Pole col quale condivideva “ogni suo pensiero … ed era conformissimo di vita, dottrina e di volontà”. Quando però salì al trono d'Inghilterra l’anti-protestante Maria Tudor “la Sanguinaria”(che fece bruciare al rogo circa 280 Protestanti), Alvise Priuli partì precipitosamente da Londra passando per la Francia, partecipò al Concilio di Trento rifiutando la nomina a Segretario come aveva fatto anche il Flaminio, e si portò a Padova col progetto di pubblicare a Venezia molti scritti che l’Inquisizione di Venezia giudicò “pericolosissimi”. 

Nel 1549 il Cardinale Pole mancò per un solo voto l'elezione a Papa lasciando il posto prima al gaudente Giulio III, e poi al fanatico e violento Papa Paolo IV che avversava e temeva moltissimo: “quella scola maledetta … la casa apostata del Cardinal d’Inghilterra … nella quale parlando di heresia, non vi è persona più del Priuli”. Giunse perfino a intentare un Processo dell’Inquisizione contro lo stesso Alvise Priuli, e il Cardinale Pedro Pacheco giunse ad affermare che il Papa Paolo IV nonostante le insistenze dell’Ambasciatore Veneziano Bernardo Navagero sancì l’abolizione degli accessi ai benefici ecclesiastici proprio per invalidare un privilegio riservato ad Alvise Priuli di subentrare nel governo e godimento del beneficio della Diocesi di Brescia alla morte del titolare in carica.

Alvise Priuli, infatti, mentre “… si teneva per certo che harrebbe havuto il Vescovato di Verona rimasto vacante”, morì proprio a Padova nel 1556 debilitato da febbri quartane, e venne portato e sepolto nella chiesa di San Severo nel Sestiere di San Marco a Venezia ... Papa Paolo IV aveva ottenuto ciò che aveva desiderato.

Daniele Priuli, invece, fornito di una buona cultura letteraria (compose sonetti, rime e versi), iniziò nel 1539 a soli diciotto anni la sua carriera pubblica entrando in punta di piedi nel Maggior Consiglio della Serenissima alla quale donò una cospicua somma dopo la battaglia persa della Prevesa. Inizialmente poco vistoso e poco intraprendente come personaggio, ottenne solo dieci anni dopo il modesto incarico della Podesteria di Pirano in Istria, e continuò per quasi vent’anni a passare di carica in carica minore senza grandi successi.

Solo più tardi, grazie all’eredità della madre ottenne con i Nobili Martinengo Bresciani e i Nobili Lion Padovani il diritto di subentrare ai Venier nel consorzio che amministrava la Contea di Sanguinetto nel Veronese ricca di amplissimi benefici totalmente esenti dal fisco cittadino Veronese. Nel 1552 i Priuli stipularono un accordo col Comune di Verona sulle prerogative annonarie, fiscali e giudiziarie della stessa loro Contea, e nel 1559 concessero a livello per 1300 ducati annui “tutti i luoghi et la giurisditione di Sanguinetto” a Pietro Avogadro Conte Bresciano che però fu padre del bandito Ottavio.

Nel 1561 lo stesso Daniele Priuli, nato nel 1521 a Venezia, primogenito dei tre figli di Angelo Marino Priuli delle Guglie Patrizio Veneziano, Giudice della Quarantia, e di Andriana di Pellegrino del Ramo dei Venier, sposò Marianna Cocco di Bernardino nipote di Giacomo Cocco Arcivescovo di Corfù dalla quale ebbe tre figli. Da lì in poi andò tutto in discesa per il Priuli, che ricoprì cariche di Stato sempre più importanti: Provveditore alle Pompe(1561),Avvocato Fiscale(1562), Senatore (1568) fino ad ottenere la Luogotenenza del Friuli ai confini con gli Asburgo dal 1571 al 1573 dove fu un critico implacabile delle pretese dei vecchi Feudatari e Nobili Castellani Friulani che non volevano rinnovarsi; deplorò gli arbitri in seconda istanza di molti Giurisdicenti; e stigmatizzò la sfacciata svogliatezza con cui i Nobili Friulani avevano mobilitato per la Guerra di Cipro solo una cavalleria pesante di 80 cavalli invece dei 300 richiesti dalla Serenissima. S’interessò inoltre dei problemi della Contadinanza sopraffatta dai debiti e dai sequestri di cui sospese tutte le imposizioni fino al raccolto seguente, pretese però le Ordinanze o Cernide di 2500 uomini da utilizzare contro gli Ottomani. A Udine potenziò la “Scuola dei Bombardieri” lottando contro le resistenze dei popolani che temevano d’essere arruolati e imbarcati come galeotti sulle Galee della Serenissima: “… numerosi erano li fuggiti con tutte le famiglie loro per tema d’andar in galìa”.

Fu poi Censore, Consigliere dei Dieci e della Signoria; Capitano di Padova (1579-1581); Capitano di Brescia dove rafforzò il castello e contrastò il bandito Alfonso Piccolomini pagando regolarmente i soldati, ma contestandone lo scarso addestramento e la disorganizzazione delle Cernide Rurali (1584-85); Soprintendente alla costruzione delle nuove prigioni (1593); e candidato a Doge nel 1595 quando gli fu preferito Marino Grimani. Daniele Priuli allora pensò bene che non gli rimaneva altro che morire, e lo fece a Venezia nel 1596 venendo sepolto nella chiesa di San Geremia.

Nel gennaio 1525 Marco Antonio Priulidi Andreaera Podestà di Rovigo, e relazionò in Senato che a Lendinara esistevano 8 Ville, mentre Rovigo ne contava 41 … Alla successiva Redecima del 1537 a dimostrazione che aveva “studiato bene” quel territorio che governava, risultò possedere 150 campi nello stesso Polesine ... Nell’estate 1527 il solito Marin Sanudo ricordava che: “… almeno 150 Patrizi occupano cariche di Governo nella Terraferma ed altrettanti nei Domini da Mar ... Alle riunioni solite del Senato partecipano 180 su 300 membri ed il quorum era di 70 individui … Su un totale di 2700 Patrizi eleggibili con quorum di 600 persone, in Maggior Consiglio erano presenti in media 1.000-1.500 Consiglieri che salivano di qualche centinaio in occasioni particolari … Numerosi patrizi si trovavano fuori città per motivi ed affari pubblici o privati … Alcuni nobili pur essendo residenti in città non avevano mai messo piede in Palazzo Ducale, altri, almeno 46: non vi si recavano da almeno 20 anni ... I membri della Signoria o Consiglio ducale e quelli del Consiglio dei Dieci indossavano sopravesti scarlatte ed abitavano nelle Procuratie Nuove accanto a Piazza San Marco, i Senatori erano vestiti di porpora, in Maggior Consiglio si entrava con la toga nera, i membri del Collegio vestivano violetto o blu a seconda del grado gerarchico ... Chi occupava le 28 posizioni in seno ai consigli esecutivi centrali dei Dieci, del Collegio e della Signoria facevano parte della Cerchia del Governo ossia della classe al potere di 100-200 individui: il gruppo di governo detti: Padri, Grandi, Homeni de conto, Primi della terra. Costoro erano i Vendramin, i Foscari, gli Zen, i Barbo, i Dandolo, i Pesaro, i Tron e i Grimani … L’unico che vestiva d’oro era il Doge eletto e scelto fra 9 Procuratori … I Patrizi appartenevano a 134 clan diversi, e solo 9 gruppi familiari non avevano maschi in età per entrare nel Maggior Consiglio … Alcune famiglie di piccole o medie dimensioni godevano di posizione di prestigio acquisendo benefici importanti: 19 erano le “Case Grandi” con più di 40 individui, ossia il 45% dell’intero Patriziato: fra queste c’erano i Nobili Priuli con 56 membri stabilmente presenti nel Maggior Consiglio ...”

Nel febbraio 1543 i Procuratori di San Marco Antonio Priuli e Venturin di Cornovi Dalla Vecchia(forse il principale Mercante da Seta di Venezia) si presentarono davanti ai Provveditori dell’Officio della Corte della Seda: Zuanne Pinardo, Francesco Traversini e Zaccaria Botta spiegando di aver ricevuto dalla Spagna: “… tre sorte Cremisi le quali disseno che nasceno nelle Indie della Cesarea maiestà dell’Imperatore … Una sorta chiamasi: Uchimillia, la segonda sorte chiamasi: Cochimeia, la terza sorte chiamarsi: Panucho …”

Si trattava cioè di nuovi coloranti provenienti dall’America: vari tipi di Cocciniglia che avevano una capacità colorante dieci volte superiore al tradizionale Kermes di Ragusa. Con quel “nuovo metodo Indiano” di tingere si sarebbe potuto abbattere i costi della produzione dei Panni di Seta Rossi, e forse prospettarsi e aprirsi a un nuovo mercato diverso e più moderno.

I due Mercanti perciò chiesero all’Officio della Seda di: “…sazarlo per vedere la sua bontà se l’è cremese o veramente non…” 

Il Provveditore Pinardo bocciò subito l’idea timoroso di quella novità inattesa, mentre Traversini e Botta più possibilisti convocarono alcuni Tintori Saxatori Ordenari dell’Officio della Seda, cioè: Mistro Batista de Jacomo sta a San Cassan e Mistro Michiel de Andrea sta al Ponte dei Meloni, insieme ad altri quattro Tintori da Seda di fiducia, ossia: Mistro Carlo de Jacomo ai Santi Apostoli, Mistro Zuà Maria de Zuane di Santi Apostoli sul Ponte, Mistro Paulo di Ventura di San Zulian e Mistro Vincenzo di Benedetto alla Maddalena.

I Provveditori consegnarono a Zuà Maria tre sacchi di Seta cruda ordinandogli di cuocerli e luminarli con i nuovi Cremese entro il lunedì seguente, e questo tornò all’Officio della Seda col lavoro svolto. Nell’occasione si aggiunsero anche altri Tintori: Adamo de Antonio sta a Santa Maria Materdomini, Bortolo de Nicolò sta a San Poloe Domenego de Michiel sta a San Lunardo che provarono tutti a tingere la seta con le sostanze nuove. Intanto il Provveditore Francesco Traversini mandò a prendere un “Zocchello de Seda” tinto col tradizionale “Cremisi Raguseo, marchiàn e grosso” e s’iniziò il confronto. I risultati vennero “saggiati”sotto giuramento, e Mistro Batista de Jacomo fu il primo a confermare la bontà dei nuovi prodotti coloranti Americani seguito da tutti gli altri all’unanimità. Fu così che cambiò la Tintoria Europea, e iniziò il declino progressivo del Classico Tessile Veneziano.

Nel 1549 secondo il Podestà Veneziano Bernardo Navagero, i Veneziani su 400.000 campi arativi del Padovanone detenevano 66.000 ... Tra 1573 e 1587 gli acquisti nel Vicentino dei Nobili Veneziani: Badoer, Bernardo, Bon, Contarini, Diedo, Dolfin, Foscarini, Priuli, Sagredo e Sanudo ammontavano a 500.000 ducati, e tutti si dedicarono ad ampia opera di bonifica dei loro territori.

Verso la metà del 1500 quando già la chiesa di Santa Sofia era anticipata da una casa con portico, tutte le offerte raccolte il Venerdì Santo, così come quelle della Festa della Titolaredella chiesa dovevano essere destinate interamente al Piovano che aveva l’obbligo di celebrare gli appositi Riti ... Si pagavano anche con 8 ducati annui a un Organista, e si utilizzavano altre “due paghe par conzàr l’organo”... Nello stesso portico davanti alla stessa chiesa di Santa Sofia, dal 1534 lavorava e vendeva nella sua bottega un“Naranzèr o Fruttariòl”.

Nel gennaio 1527, quando i Priuli erano “Zentilhomeni de conto” e commensali dell’Illustrissimo e potentissimo Cardinal Marino Grimani che abitava in Contrada di Santa Maria Formosa, Lorenzo Priuli e Gasparo Contarini furono scelti dal Consiglio dei Dieci per valutare il “Libro della origine delli volgari proverbi”appena stampato da Alvise Cinzio de’ Fabrizi e dedicato forse ironicamente a Clemente VII. Il testo era stato denunciato dai Frati Francescani Osservanti di San Francesco della Vigna che si erano offesi perché nelle pagine venivano definiti: “dalle gran tasche rigonfie d’oro di contro al precetto del loro Santo”… I due prescelti dal Consiglio dopo attenta analisi conclusero che il libro “non era particolarmente empio”, perciò ai Frati non rimase che comprarsi tutte le copie disponibili sul mercato che poterono … per bruciarle ovviamente.

Nel settembre 1552, invece, Andrea Priuli era stato Rettore dell’isola di Zante dove era stato costretto a prendere provvedimenti contro l’eccessiva proliferazione di nuovi impianti di Uva Passa che andavano fortemente a discapito della produzione di Grano dell’isola … e delle entrate fiscali della Serenissima. Le tasse provenienti dalla Decima del Frumento, infatti, erano scese da 3.000 a 1.400 ducati a causa di quella coltivazione impropria di vigne che lui aveva cercato di bloccare denunciando, confiscando e multando. In parallelo, invece, stava accadendo un aumento della popolazione dell’isola … che aveva sempre fame ed esigeva da mangiare. Secondo la relazione presentata a Venezia dallo stesso Priuli: l’isola di Zante in passato produceva 40.000-50.000 stara annuali di Frumento, mentre ora arrivava a produrne solo 20.000 con grave danno sia per la Signoria che per la popolazione dell’isola che sperava grandi utili, seppure non immediati, dalla produzione dell’Uva Passa. Il Priuli col suo fiuto da Mercante chiese alla Repubblica:“Non sarà forse giusto e più utile approvare quella riconversione agraria dell’isola a discapito del Frumento ?”

In quegli stessi anni i Priulipossedevano un appezzamento di 70 campi a Piacenza, dove esistevano ben 2.250 campi padovani (855 ettari) appartenenti a pochi intestatari Nobili Veneziani come appunto erano i Priuli, i Boldù, gli Zen, i Querini e soprattutto i Morosini.

 Nel 1560 Luigi Anguillara illustre Botanico di Padova inviò il suo “Trattato Quarto dei Semplici” a Lorenzo Priuli che era: Perito, Giudice, Senatore e Nobile colto e raffinato, nonchè profondo conoscitore di Piante e Botanica. Costui possedeva a Padova in zona Porta Saracinesca un bellissimo “Hortus Botanicus” con Piante rare come il “Leucojo Bulboso Minore Trifillo”,il “Giacinto Orientale”, ed il “Satirone Eritronio o Bifolio” con fiore radiato bianco conosciuto e ricercatissimo da naturalisti stranieri come Conrad Gesner, Tournefort e Giovanni Bahuino… Nel 1567 lo stesso Botanico Gesner scrisse una lettera al Medico Teodoro Zuingero perché gli procurasse la “Vera Chamoehapne e il Cirsio” coltivati proprio nell’Hortus Padovano del Priuli dove erano fioriti per la prima volta anche la  Scamorrea, l’Amomo, il Ritroe l’Antillideportati da Aleppo di Siria.

Lo stesso Lorenzo Priuli divenne Doge, (era nato a Venezia nel 1490 circa, secondogenito di sei figli maschi di Alvise di Niccolò Priuli del Ramo di San Stae e di Chiara di Giacomo Lion). Di lui si scrisse: “Gentiluomo molto honorato et di buone lettere et costumi”.Aveva studiato Latino, Greco, Teologia e Filosofia poi si era dedicato alla Politica divenendo: Senatore, Consigliere dei Dieci, Savio all’Esazione, Governatore alle Entrate, Consigliere Ducale e Savio di Terraferma: un successone insomma.

Nel novembre 1522 venne eletto Oratore al Re di Inghilterra al posto di Gian Antonio Venier, e poi Ambasciatore presso l’Imperatore Carlo V insieme ad Andrea Navagero al tempo in cui in Europa infuriavano pestilenza e guerra. L’Imperatore lo fece Cavaliere offrendogli 200 scudi, e ritornato a Venezia Lorenzo ricoprì un’altra “raffica” di cariche importantissime della Serenissima fino a diventare Doge. Suo fratello Girolamo venne nominato prima Procuratore di San Marco de Ultra(1557); poi Provveditore all’Arsenale e Conservatore delle Leggi(1557-1558), e quando nel 1559 il Doge Lorenzo morì si pose “per continuità” un altro Priuli al Dogado … seppure dopo ben 35 scrutini.

Il Residente Fiorentino a Venezialo descriveva come: “un uomo grosso che non può quasi parlare per haver impedimento ne la lingua”. In realtà Gerolamo Priuli era un uomo maestoso, generoso e devotissimo, e favorevolissimo alla presenza dei Gesuiti del Papa a Venezia. Quando in tempo di carestia venne eletto Doge fece distribuire a proprie spese denaro e viveri al popolo, e sollecitò la creazione delle Fraterne dei Poveri nelle Contrade Veneziane. Governò tranquillamente da Doge solo per otto anni subito dopo la Pace di Cateau-Cambrésis e la conclusione del Concilio di Trento(fenomeno che avrebbe segnato e influenzato per secoli la Storia dell’intera Europa). Morì a 81 anni a Venezia venendo seppellito nella tomba di famiglia a San Domenico di Castello che era appena stata restaurata insieme all’intero Convento dal fratello Doge Lorenzo.

Anche Giovanni Priuli, figlio del Doge Lorenzo, venne sepolto sempre lì a San Domenico di Castello, ma senza epigrafe, perché: “… ha commesso opere da mariuolo pubblicamente”.

Intanto la chiesa della Parrocchia e Contrada di Santa Sofia veniva governata dai Preti del Capitolo secondo le Costituzioni e consuetudini del “Liber Iurium”: In nomine Sancte et Individuae Trinitatis foeliciter amen. Hoc in volumine sunt descripta et registrata omnia instrumenta, documenta et iura spectantia et pertinentia ad ecclesiam et fabricam Sanctae Sophiae Venetiarum, necnon omnia testamentorum legata tam ecclesiae quam Capitulo eiusdem ecclesiae relicta, quod conditum fuit sub 1527 mensis iunii tempore Reverendi Domini Presbiteri Vincentii Plebani dictae Ecclesiae et hoc ad perpetuam memoriam iurium dictae Ecclesiae et ut medio scripturarum praedictarum iura praedicta conserventur et augeantur ad laudem et gloriam beatissimae Sophiae”.

I Preti del Capitolo di Santa Sofiacontinuavano a “leggere e segnare” nel loro Archivio e sui Registri Canonici l’intera vita e le vicende di tutta la Contrada di Santa Sofia (avevano iniziato dal lontanissimo 1191, e a Venezia in quei secoli non esisteva alcun tipo di anagrafe). Dal 1571 si diede inizio alla compilazione e tenuta dei Libri dei Battesimi, alle Filze e Squarzi, Pubblicazioni e Contraddizioni raccolti nei Libri dei Matrimoni; due anni dopo s’inizio a redigere anche il “Libro dei Morti”; e in un altro Libro dei Poveri apposito si elencarono in ordine alfabetico dal 1595 tutti i Miseri della Contrada”: “… 1595 adì terzo agosto ... Li clarissimi signori Alvise Malipiero e Andrea Bragadin ... i quali hanno eletto li infrascritti nella Contrà de Santa Sofia per far elletion delli poveri de ditta Contrà meritevoli di haver le casole ... iuxta li ordeni infrascripti dati al Reverendo Piovan de ditta Contrà...”

Nei Libri dell’Archivio di Santa Sofia i Piovani registrarono perfino dei pettegolezzi: il Piovano Tommaso Bianco, eletto Canonico di San Marco dal Doge Gritti, annotò a margine nel 1550 di un “paio di zoccoli comprati per la sua cognata”… così come segnò la donazione di “uno schudo del valore di lire 6.918 offertogli da Bianca Michiel e Alvise Loredan che aveva unito in Matrimonio”… di “un paio di campi venduti a Martellago per pagare alcuni lavori fatti in chiesa”… e del denaro offerto, e dei regali fatti a “Cecilia mia massèra”(domestica) che finalmente era riuscita a sposarsi liberandolo della sua presenza assillante: “Cecilia se maridò et tolse per marido Francesco Marangon, fiol de Missier Zuanmaria Marangon Visentin sta in Padova … e li ho dato doi braza de panno de Fiandra per ducati 87, e un letto con due canapàl e còlxara e cussìni e lenzuòl …”

Negli stessi anni in chiesa di Santa Sofia erano attive almeno tre Schole Piccole di Devozione: quella del Santissimo Sacramento(dal 1507), quella di San Luca dell’Arte dei Depentori(1536), e dal 1589 anche la Schola dell’Assunta… e sempre in chiesa c’erano due Madonne Vestite a cui quelli della Contrada erano molto devoti e affezionatissimi: “… una Madonnetta piccola alla greca con 10 abiti in seta neri e altre di diversi colori che verso fine secolo divennero 36 … e una Madonna Granda con 20 abiti di valore” ... In Contrada Prè Gerolamo Lonigo venne processato e condannato “per gravi irregolarità economiche dovute al vizio del gioco, e pesanti fatti di carnalità”.

Ancora lo stesso Capitolo dei Preti di Santa Sofia s’impegnò in numerose liti, processi, sentenze e controversie senza fine (alcune si protrassero per secoli) per la difesa dei propri confini, dei terreni, degli immobili e delle numerose proprietà che gestivano sia in Laguna che nella Terraferma Veneta.

Contrastò non poco con i vicini Preti della Collegiata di Santi Apostoli; con le limitrofe Monache Agostiniane del Monastero di Santa Caterina; con Laura et Alvise Finettiper dei beni della quondam Marina Barelli che aveva donato un stabile alla chiesa di Santa Sofia nel lontano giugno 1390; per una “Mansionaria lassata dal quondam don Antonio Longino sopra le case al Traghetto hora posesse da nobil huomini Foscari che pagano tal legato e mansionaria"(1400-1793); col fu Nobil Homo Ser Sebastiano Capello: “… sopra Monti per la Mansioneria della quondam Nobil Donna Biriola Michiel” (1411-1685); "Pro ecclesia Sancta Sophia contra Scolam Pictorum" e "Santa Sofia contro Depentori"(1531-1698); “circa il livello che riscuote la chiesa di Santa Sofia dalla casa in Calle dal Forno per le rappresentanze di Tomaso Sandei”; e “per il Diritto Capitolare sopra la Cappella di Sant'Osvaldo”(1387-1727); “per le case poste in Sant'Eufemia della Zuecca”, e “per la Mansioneria et Anniversario della quondam Sandei et esecuzione Speranza"(1465-1687); “per la chiesa di Santa Sofia contro don Cariteo de Caritei per la casa della Pieve” (1599-1619); “per la Mansioneria del fu Nobil Homo Ser Orsato Giustinian all'Eccellentissima Procuratia de Supra"(1462-1679); "per la chiesa di Santa Sofia contro il Nobil Homo Ser Lorenzo Morosini fu de Ser Barbon sopra il romper un muro della proprietà della medesima sotto il portego d'essa" (1221-1578); “… contro l'Eccellentissima Procuratia de Supra per la Mansioneria del quondam Prè Giovanni Mando Titolato di Santa Sofia”(1495-1541); “per la Mansioneria della quondam Elisabetta Bellionori con litigio col quondam Zuanne Battistello et partita all'uscita de ducati 400: il capitale sudeto per publica affrancazione dell'anno 1777 verrà ridotto a ducati 228 …”(1597-1678); “per la Mansioneria della quondam Cecilia Colombo con un litigio contro Vicenzo Colombo Commissario et obligazione di due case a Portogruaro et altra Mansioneria per la quondam Caterina Colombo"(1610-1701); “per la Mansioneria del quondam Francesco Donati quondam Liseo con un'informativa e giro schossi in Cecca de ducati 200: il capital sudetto per pubblica affrancazione nell'1778 fu ridotto a ducati 76, e passò investito nel Novissimo diposito in Cecca …”(1668-1778); “per la Mansioneria Zorzi Viviani Spiera"(1606-1694); “per alcuni livelli affrancati a Sabbina Brighenti, a Prè Filippo Lava, a Prè Antonio Venerio, a Pietro Baldigiani, al Nobil Homo Rezzonico et al Bonfiglii"(1645-1721); “per la Mansioneria del quondam Bernardo Sandei quondam Vicenzo et litigio col Nobil Huomo Ser Zorzi Contarini fu de Ser Zuanne Battista et con ditto Lorenzo Contarini da Padova"(1605-1680)… e poi ancora, senza fine, contro i Governatori alle Entrade e quelli alle Cazude; applicando o provando a discostarsi dalle condizioni e terminazioni imposte dai Dieci Savii; davanti ai Provveditori Sopra ai Monasteri, ai Provveditori sopra alla Sanità, ai Provveditori del Proprio, ai Provveditori da Comun e delle Acque ... e ancora baruffe, liti e ricorsi dal 1529 e fino al 1568 anche per le "Gratie a dongelle della Contrada di Santa Sofia solite dispensarsi dalla Comissaria di Monsignor Domenico Benedetto Vescovo di Città Nuova".

Che ve ne pare ?

Insomma i Preti di Santa Sofia erano dei gran baruffanti e dei bei intriganti soprattutto quando c’era di mezzo qualche  bel gruzzoletto di soldi … I soldi ieri come oggi sono sempre appetibili, e quindi anche i Preti Titolati della Collegiata di Santa Sofia non seppero esimersi dall’impegnarli nel farli crescere e fruttare più che poterono ... ovviamente s’intende: “per il bene dei poveri e dei devoti della Contrada di Santa Sofia”… Sempre ! ... e che avevate forse qualche dubbio al riguardo ?

Palazzo Manfrin Venier sul Rio de Cannaregio era l'antica “Ca' Priuli ai piedi del Ponte di Cannaregio” fatta edificare nel 1520 da Angelo Maria Priuli quondam Pietro Savio del Sestiere di Cannaregio e dalla moglie Andriana Venier che aveva sposato nel 1517. Costei portò in eredità ai Priuli il Castello di Sanguinetto nel Veronese. Due secoli dopo, Elena Priuli figlia di Angelo Maria e sposa di Federico Venier lasciò ai figli Giovanni e Pietro lo stesso palazzo dove nel 1745 si ospitò l'Ambasciatore straordinario d'Inghilterra Roberto Conte di Holderness con tutta la famiglia.

Nel maggio 1577 Paolo Priuli di Gerolamo che possedeva 377 campi a Marcon, e le cui rendite erano subordinate alla produzione manifatturiera impiantata a Bassano, scriveva nel suo testamento: “… laudo et prego miei fioli dolcissimi che alli suoi tempi volgino lavorar de lana come ha fatto molti anni li quondam miei fratelli e me medesimo.”… Dieci anni dopo, Johannes Maria SquàquaraChierico di Vicenza di 27 anni inviato dal Vescovo di Vicenza Michele, insegnava Grammatica a due-tre putte di casa di Ser Francesco Priuli a Venezia … Luchas Guadagnoli Chierico da Arezzo di 44 anni, insegnava Grammatica a nove alunni abitando da nove anni in casa di Zaccaria Priuli del quale ammaestrava i figli spiegando loro: “…Virgilio, Cicerone, Terentio et li do epistole et Latini.”… e Quintilianus Angeletus Chierico di Roma di 42 anni, che stava a Venezia ormai da sette anni abitando in casa di Lucrezia Priuli in Contrada di San Trovaso, insegnava Grammatica a un alunno di 23 anni spiegandogli: “…qualche libro volgare, alcuni Fioretti de Virtù … per esercitarsi più nel legger che per altro…”

A dire il vero è noiosissimo leggerne l’elenco, ma è sempre interessante e quasi incredibile sfogliare e scorrere la lista delle Cause Giudiziarieintentate e messe in atto e mantenute in essere per tantissimo tempo dal Capitolo deiPreti di Santa Sofia un po’ contro tutto e tutti. Pareva che non avessero altro da fare, e che pensassero solo a quel genere di cose redditizie … e forse era proprio così.

"Per il Capitolo di Santa Soffia contro don Pietro Fontana erede del quondam domino Andrea Fontana quondam Jovita per occasione della Mansionaria instituita da ditto Fontana con altro legato di cere et oglio in ditta chiesa cioè ducati 12 all'anno.” (1640-1661); “Circa la Mansioneria et Anniversario in Santa Sofia per il quondam Reverendissimo Pre' Lorenzo Crappi d'investita de ducati 3333 soldi 8, per la quondam Margherita Brugnolli e suo figlio d'investita ducati 1000, per il quondam pre Francesco Nascivera. (1667-1778); “Contro alli Governatori dell'Intrade per le Mansionerie della chiesa di Santa Sofia per li quondam Adriana Balbi Muschieti et Claudio Paulini con investita de ducati 680 et per li quondam Maddalena e Marco Franco con investita de ducati 100." (1651-1778); “Contro alli Revisori Regolatori per la Mansioneria della quondam Francesca Simeoni per il quondam Lorenzo Bartoli con un litigio contro Bortolo Basso et una investita de ducati 280 et altra de ducati 200 di legato del quondam Girolamo Negroni alli Chierici di Sancta Sofia.(1652-1778); “Per il Reverendo Capitolo di Santa Sofia contro il Reverendo Capitolo de' Santi Apostoli per la casa di Ca' Contarini."(1429-1721), e "Per il Reverendo Capitolo de Santa Sofia contro il Reverendo Capitolo de Santi Apostoli con una composizione avanti l'Eminentissimo Cardinale Vendramini Patriarca per la stessa casa Contarini.”(1616-1790); “Per una Mansioneria di Messe 12 et un'esecuzione ogni simestre per il quondam Prè Marian Lucadello e suoi Morti con un'investita de ducati 126 a San Marco."(1670-1715); “Per la Mansionaria del quondam Francesco Bianchi et per la quondam Anzola Mazorini mogier con instrumento d'investita de ducati 450 alla Misericordia per ducati 18 all'anno ... e Mansionaria del quondam Giuseppe Costantini." (1675-1765); “Per la Mansioneria per il quondam Reverendissimo Prè Francesco Speranza Piovano di nostra chiesa e de suoi Morti." (1677-1717); "Per il Reverendo Capitolo di Santa Sofia contro il Nobil Homo Ser Sebastian Capello per le botteghete sotto il portico sopra il sagrà della chiesa con terminazione delle Rason." (1534-1701); "Pro Capitulo Ecclesiae Sanctae Sophiae contra Capitulum Sancti Ioannis Chriisostomi causa Funeralis quondam Mattei Bontempo. (1701-1711); "Pro Admodum Reverendo Capitulo Ecclesie Sancte Sophie circa Mansioneriam Viri Nobilis Ser Sebastiani Capello fundatam supra livellum ducati 500 assicuratam supra domos in Iudaica pro affrancatione livelli Pasini Cavazza."(1563-1713); "Pro ecclesia Sanctae Sophiae contra Virum Nobilem Misser Gerardum Sagredo Procuratorem Sancti Marci et supradictae Ecclesiae causa clamoris Reverendi Capituli.(1555-1731); “Circa la Mansioneria della quondam Margarita Enrich rifiutata col legato lasciato a Santa Sofia."(1729-1731); "Reverendo don Pietro Colauto per messe n. 6 per la quondam Lucia sua madre et Anniversario per il quondam Signor Bortolo Palatino. Il capital Colauto de ducati 200 per pubblica affrancazione fu ridotto nell'1778 a ducati 114. (1757-1779); “Circa laMansioneria per il quondam Francesco Donati con investita in Cecca al 3%; e circa la Mansioneria della quondam Faustina Paulini, il qual capital di lire 775 ch'esisteva investito nella Scola grande di San Rocco passò nell'1764 nel publico deposito.”(1746-1781); "Pro Donna Dorotea Buggier quondam Santo di Santa Sofia contro le Reverende Madri di Santa Chiara di Loretto di Bellun con il testamento della quondam Teresa Venier.”(1620-1785); “Circa il Funerale del quondam don Iseppo Peloso morto per accidente in nostra Contrada."(1761-1763); “Contro la pretesa del Molto Reverendo Capitolo di San Luca sopra il Funeral della quondam Maria Capoccio Barbieri nostra parrocchiana morta nel 1775 e prima abitante in Parrocchia di San Luca.” (1775); "Fra il Molto Reverendo Capitolo di Santa Sofia e il Molto Reverendo Capitolo di San Giminiano circa la sepoltura del fu Nobil Huomo Ser Gregorio Michiel morto in Parochia di San Giminiano.”(1766)

 Questa è soltanto una parte di un intenso e consistente mondo di cause, processi, carteggi e risoluzioni che hanno di certo impegnato a fondo quell’entità di Preti che probabilmente hanno fatto un lavoro dell’occuparsi di quelle questioni economiche.

Un altro Priuli, Giovanni, figlio di Baldassarenacque a Venezia intorno al 1575 quando alla Dichiarazione di Redecima del 1582 la famiglia Priuli dichiarava ai fini fiscali solo poche case e terreni con un’entrata annuale di circa 1.259 ducati.

Poveri nobili ! … In realtà tutti sapevano bene che possedevano molto di più e cercavano ogni maniera per aggirare tasse e balzelli e contribuzioni verso la Serenissima.

A differenze della maggior parte dei Priuli, Giovanni fu compositore di madrigali e abile liutista, tanto che a Venezia nel 1613 lo chiamavano: “il Magnifico”. Visse a stretto contatto col famoso Giovanni Gabrieli col quale suonò nel maggio del 1595 per la “Festa della Sensa” nella Basilica di San Marco divenendo terzo organista marciano e suo sostituto nel 1607, ma non riuscì mai a diventare il suo successore. Non soddisfatto d’essere l’organizzatore dell’annuale, sontuosa e sentitissima e partecipata Festa della Scuola Grande di San Rocco, se ne andò da Venezia nel 1614 per diventare a Graz: Maestro della Cappelladell’Arciduca Ferdinando d’Austria con 60 musicisti. Nel 1619 quando Ferdinando divenne Imperatore si recò con lui a Vienna dove ebbe grande successo fino al 1626 quando morì mentre viaggiava per tornare a Venezia. Nel testamento, redatto il 18 luglio nel Castello di Klamm presso Schottwien nella Bassa Austria, Priuli si dichiarava scapolo e senza discendenti salvo il nipote Baldassare, figlio di suo fratello Francesco residente a Venezia nella Contrada di Santa Sofia.

Intanto nella stessa Contrada di Santa Sofia, la Ruga Do Pozzi apparteneva di fatto quasi per intero al Nobile Alvise Benedetti che aveva lì il suo palazzo di famiglia dove ospitava l’Ambasciatore di Mantova per 324 ducati annui. Più tardi il Palazzo Benedetti passò in proprietà a Zuan Antonio Zen, e venne diviso in molte parti che vennero concesse in affitto. Da una parte della Ruga Do Pozzi i Benedetti affittavano 3 caxete per 12 ducati, un’altra casa per 18 ducati annui, e 4 pianoterra per 5-9 ducati annui, mentre dalla parte opposta della Ruga affittavano 3 caxette per 16-18-20 ducati annui, e 3 pianoterra per 6 o 6 ½ ducati annui … Nel 1582 Piero Benedetti quondam Vincenzo affittò a Nano Bernardo (a 30 ducati annui), a Franzina Spagnola (a 16 ducati), a Vittoria quondam Francesco de Vegia(27 ducati), alla vedovaFaustina (12 ducati), a Mattio Veronese(12 ducati), a Zuan Battista Fiorentino(32 ducati), a Cecilia de Zuane(11 ducati), a Isabella Anzelini(40 ducati) e ad Alvise d’Orfici(14 ducati).

Cecilia Nani vedova di Vincenzo Benedetti affittò, invece, a Bettina Drezza(30 ducati), a Nadalin Lion(32 ducati), a Laura di Benedetti(36 ducati), e con Piero Benedetti a Catarin Testor(5 ducati), e a Marco Napolitano Sartòr in Rialto per 15 ducati annui.

Il tutto avvenne prima del 1658 quando Vincenzo quondam Pietro Benedetti venne ferito a morte da dei ladri nel suo stesso palazzo portando all’estinzione il suo Ramo familiare ... Ancora nel 1745 il Pittore Jacopo Amiconi abitava in Ruga Do Pozzi insieme a Francesco Nassi Prete Napoletano pagando insieme 95 ducati annui.

Nel Sottoportico e Ponte della Guerra di Campo dell'Erba o della Guerra o Priuli a Santa Sofia un tempo di tenevano certi combattimenti ... Nello stesso Campo dell’Erba nel 1661, ai tempi del Piovan Prè Lorenzo Crappi, in una stessa Ruga di case si contavano ben 68 alloggi tutti affittati e di varia capienza e valore che procuravano un guadagno annuale di 1.063 ducati.

59 case venivano affittate a Nobili percependo in totale 833 ducati: ai Basadonna (16 ducati), tre parti di palazzo ad Alvise, Bortolo e Lucrezia Cappello (593 ducati), 4 case a Francesco Gussoni (42 ducati), due case ad Orsetta e Zuanne Nani (20 e 26 ducati), un’altra casa a Zuanne Querini (14 ducati), due case ad Andrea Renier (65 ducati), e altre tre a Betta e Domenego Zane  per 58 ducati.

Altre 7 case venivano affittate per complessivi 110 ducati annui a persone non Nobili ma ugualmente benestanti e capaci di pagare come Pietro Cimiani (12 ducati), Zuanne Dal Mal (12 ducati), Pietro Facchinelli (8 ducati), Pietro Mattaccini (42 ducati), Simon Porta (12 ducati) e Giacomo Valvassor (24 ducati).

Due case, infine, venivano affittate anche alla Scuola Grande di San Rocco(uno degli enti religiosi più ricchi di Venezia e proprietario di un numero ingente d’immobili sparsi ovunque) che pagava 120 ducati annui.

A seguito del testamento della Nobile Isabella Zen, la Procuratoria di San Marco dispose fra 1551 e 1555 di dividere la sua proprietà in Calle, Corte e Ramo degli Albanesi in 13 alloggi popolari da concedere per 8 ducati annui a piccoli artigiani, vedove ed immigrati stranieri.

Gran parte di quegli edifici, rughe di case, e frazioni di palazzo esistono ancora oggi. 


C’era poi, e c’è ancora oggi più che mai in fondo alla Calle del Traghetto: la magica Cà d’Oro su cui esistono libri e volumi di ogni sorta, nonché resoconti, documenti, studi e analisi storiche di ogni tipo, forma e gusto.

Che altro si potrebbe dire meglio e di più su di lei ? … Nulla.

 Quella gotica ed elegantissima “Casa da Stazio” era ed è un raffinato gioiello unico Veneziano che ha preso il nome dalle superbe decorazioni della facciata che un tempo erano molto più ricche e vistose di adesso. Sembra che la facciata fosse tutto un tripudio di smalti rossi e azzurri intarsiati in oro voluta dal suo committente il ricchissimo Mercante Marino dei Contarini di San Felice nato da Marchesina Giustinian e dal quondam Antonio “del dèo”(del dito) Procuratore di San Marco, Provveditore a Zara, Ambasciatore presso Alessandro V e al Concilio di Costanza, che aveva acquistato sullo stesso posto un vecchio edificio detto la “Cà Granda” di proprietà dei Nobili Zeno: famiglia di sua moglie: Soradamor Zeno di cui investì anche la dote per riuscire nell’acquisto.

MarinoContarini si emancipò presto dal padre e dalla famiglia con rogito Notarile presso Marco Raffanelli, e navigò tutto il Mediterraneo dedicandosi al cambio marittimo e al prestito a breve termine, e collocando fondaci e basi commerciali “di famiglia” attentamente gestiti da agenti di fiducia alle Baleari, a Valencia in Spagna e ad Alessandria d'Egitto.

Il Ramo principale dei Contarini era residente alla Madonna dell’Orto: erano una delle Famiglie Apostoliche “di Casa Vecchia” di Venezia, filoPapali e di supposte origini Romane, e fra le più antiche e  “fondatrici”della realtà Nobiliare della Serenissima. I Contarini erano anche fra le Casate Nobiliari più numerose in quanto durante il 1500 si contavano 1.523 nuclei familiari di Contarini sparsi per tutta la città.

Nella loro storia annoverarono ben otto Dogi: Domenico(1041-71); Jacopo (1275-80); Andrea (1367-92); Francesco(1623-24); Nicolò (1630-31); Carlo(1655-56); Domenico (1659-75) e Alvise(1676-84), e molti Contarini ricoprirono importanti cariche Ecclesiastiche, politiche, diplomatiche, economiche, militari, e letterarie. I Contarini della Madonna dell’Orto acquisirono attraverso matrimoni mirati vasti possessi fondiari nel Padovano; ilRamo dei Contarini dal Zaffo finì perfino con l’insediarsi a Giaffa in Siria dove divennero nel 1473 Conti di Giaffa con Giorgio Contarini, e per questo insigniti a Venezia del Cavalierato e della Stola d’Oro; c’erano poi i Contarini dal Bovolo(definiti così per la loro la bellissima scala del loro palazzo) residenti nella Contrada di San Paterniàn; i Contarini di San Silvestro; quelli di San Beneto; i “degli Scrigni o Corfù”; i “dalla Porta di Ferro”; i Contarini dei Santi Apostoli o "dalle scoàzze"; i Contarini dei Cavalli e altri ancora.

L’attuale capolavoro della Cà d’Oro è il frutto di un lungo lavorio perpetrato nel tempo e prolungato per anni dal 1421 a dopo il 1440, e realizzato da un gruppo di abili artigiani e Mastri fatti pervenire appositamente a Venezia: soprattutto Mastro Marco di Amedeo Muradòr, Mastro Zuanne Bon Taiapiera col figlio Bartolomeo e due garzoni che realizzarono il portico, la facciata a guglie e la vera da pozzo. Alla realizzazione della Ca’ d‘Oro parteciparono inoltre anche Mastro Matteo Reverti da Milano Lapicida che s’inventò la scala scoperta del cortile e il traforo della loggia del primo piano, e Mastro Niccolò Romanello che realizzò diverse raffinate decorazioni e capitelli. 

Nel 1431 Marino Contarini fece ricoprire con 23.000 fogli d’oro e con lapislazzuli dal pittore francese Jean Charlier detto Zuane de Franza Pentòr da Sant’Aponal la facciata in pietra d’Istria, le finestre, gli archi, alcuni capitelli e decorazioni.

Poi dopo un po’ di anni Marino Contarini si sposò di nuovo, stavolta con Lucia Corner dalla quale ebbe il figlio Pietro suo erede universale che a sua volta diede il palazzo in dote alla figlia che sposò Pietro Marcello che la spartì con i Loredancon i quali si sposò una nipote Elisabetta.

Sembra la cantilena di “Alla Fiera dell’Est” di Branduardi … perciò vi risparmio tutto in resto … E così, di mano in mano e di famiglia in famiglia, la Ca' d'Oro passò ai Molin, ai Zulian, ai  Donà delle Rose, ai Veniere agli Zen che frammentarono il palazzo lasciandolo andare in degrado tanto che, fra 1802 e 1808, l’uomo d’affari Giacomo Pezzi potè acquistarlo come “bene rovinoso”, prima che l’edificio finisse ai proprietari moderni ossia Moisè Conegliano, che a sua volta nel 1846 vendette la Cà d’Oro al Principe Russo Alessandro Trubetzkoyche ne fece dono alla sensuale ballerina Maria Taglioni che aveva trionfato al Teatro Gallo a San Beneto ammaliando spasimanti su spasimanti che le regalarono uno dopo l’altro: Palazzo Barzizza a San Polo, Palazzo Giustinian Businello a Sant’Aponal, Palazzo Giustinian Lolin a San Samuele, Palazzo Corner Spinelli a Sant’Angelo, e quindi la Ca' d'Oro che fece restaurare in maniera discutibile dall’architetto Giovanni Battista Medunanel 1865.

In seguito fu il turno del Marchese Tavoli di acquistare il palazzo nel 1890, e ne affittò gli appartamenti allo storico Pompeo Molmenti e alla famosa e celebratissima Contessa Annina Morosini amica dei grandi dell’epoca. Alla fine, nel 1894, si arrivò al “tristo” ma generoso Barone Giorgio Franchetti che nei primi decenni del Novecento spese denaro, idee ed energie per “salvare” quel che rimaneva della prestigiosa Ca’ d’Oro prima di spararsi un colpo in testa perché malato inguaribile. Oggi è seppellito sotto a una colonna a pianoterra del “suo palazzo” della Ca’ d’Oro.

Tornando ancora una volta a Santa Sofia e alla sua Contrada, la Schola del Santissimo o del Venerabile, o Confraternita del Corpus Dominidi Santa Sofia pagava anch’essa “un livello di lire 12”al Capitolo dei Preti di Santa Sofia per essere ospitata in chiesa e per celebrare una serie di Messe ed Esequie. La Schola era nata su espressa richiesta del Piovano e della gente della Contrada presentata al Consiglio dei Dieci e autorizzata nell’agosto 1507.

La “Banca della Schola del Santissimo”garantiva come da Mariegola e Statuto il pagamento della celebrazione di una “Messa in terzo” con Canto e Organo e una Processione intorno alla chiesa ogni ultima domenica del mese, e una "Messa Bassa ma cantata” ogni giovedì della settimana. Le offerte per pagare tali cerimonie e per sovvenire a domicilio i poveri e gli infermi della Contrada venivano raccolte in una cassetta posta in chiesa ma anche da delle questue che venivano effettuate in tutto il territorio della Contrada ogni quattro mesi: la Vigilia di Ognissanti, il primo sabato di Quaresima, il giorno dell'Assunta.

Praticamente insieme alla Comunione portata solennemente a domicilio al suono delle campane di Santa Sofia, gli assistiti della Schola percepivano anche un’utile bustarella che provvedeva a sostentarli almeno in parte. (Nel 1507 la Schola offriva a ogni malato: “un Marcello”al mese).


Una nuova convezione con i Preti del Capitolo di Santa Sofia venne redatta nel 1581 concedendo alla Confraternita l'uso di una stanza sopra alla Sacrestia e stabilendo di far diventare Altar Maggiore quello della Schola. La Confraternita in cambio s’impegnava a mantenere accesa in chiesa una lampada perenne, e a provvedere al restauro della Cappella del Santissimo inserendovi dentro anche due Arche per seppellire i propri Confratelli. 

Nell’agosto 1680 il pittore Ottavio Arnos dispose per testamento di provvedere ogni anno con alcuni beni lasciati alla Schola alla distribuzione di una quindicina di “grazie”di 10 ducati l'una “a donzelle di buoni costumi per sposarsi o monacarsi”. Nel 1720 erano giacenti inevase e non ritirate 285 “Mandati di Grazia” provenienti sempre dai finanziamenti della stessa Comissaria Arnos.

Nel 1700 il Guardiano, il Vicario e lo Scrivano della Schola del Santissimo commissionarono a Giuseppe Torretti un baldacchino intagliato per l'Esposizione del Santissimo spendendo 248 lire. Appartennero alla Schola del Santissimo di Santa Sofia sia l’Architetto Andrea Tirali, Proto e Magistrato alle Acque che ottenne nel 1706 dai Provveditori da Comun d’essere esentato (in cambio di 50 ducati d’offerta al Santissimo) dall'incarico di Vicario in quanto troppo oberato da impegni di lavoro; sia il celebre organaro Gaetano Callido che fu Guardiano della Schola del Santissimo nel 1790, e consegnò “una grazia” di 15 ducati a Elisabetta Zanardi dandole 25 anni di tempo per sposarsi o monacarsi.

Alla Visita del Patriarca Barbarigo nel 1710 quando in Santa Sofia c’erano ancora 15 Preti, e il Piovano Pietro Leoni con Prè Broggia e Prè Zio affermavano che: “tutto procedeva bene e a dovere, e tutti i Preti vivevano con giusta morigeratezza e senza scandali”, alcuni Preti del Capitolo di Santa Sofia: Prè Vincenzi Terzo Titolato, Prè Biasutti, Prè Cecchini, Prè Poloni e Prè Pasiniprecisarono, invece, che: “… il Piovano è sempre assente ai Sacramenti … che gli stessi non vengono amministrati a sufficienza dai Preti di chiesa … che non vengono ben distribuite le rendite dei beni di Zero … che non si suonano le campane quando si porta la Comunione nelle casa degli Infermi … che parte del Clero di Santa Sofia da scandalo ai fedeli con le sue dissenzioni … che non porta la tonsura, nè la veste talare … che si comunica poco … che la biancheria di chiesa non è pulita … che si alterca in Capitolo per la distribuzione dei proventi dei Funerali … che non ci sono Confessori sufficienti in chiesa … che qualcuno in Contrada muore perfino senza Sacramenti … e che i poveri della Contrada sono malamente aiutati.”

Pre’ Pisenti Sacristagiunse ad affermare in maniera severa: “… che molti Titolati disertano i Divini Uffici … discorrono in chiesa con cattivo esempio ai fedeli … celebrano in vesti smanicate, non attendono alle Confessioni … e che i Chierici Gambaro e Venier sono poco timorati di Dio, frequentano spesso l’Osteria della Malvasia, e si comportano in chiesa in modo scostumato facendo gli amoretti …”

Sempre la stessa Schola del Santissimo era abbastanza ricca e fornita di beni e capitali: nel 1772 spese 200 ducati per rifabbricare l’Albergo ossia la sede del Capitolo della Scholanel 1797 fu costretta a consegnare in Zecca:cinque lampade, due aste processionali, sei candelieri, un secchiello con aspersorio, e un ostensorio … il tutto in argento ... La preziosa Mariegola o Matricola della Schola del 1588 che era ricoperta di velluto rosso e di finimenti d’argento andati venduti è conservata oggi al Museo Correr di Venezia … Ancora nel 1803 alla Visita del Patriarca Flangini la Schola del Santissimo finanziava la celebrazione di 220 Messe annue che venivano celebrate in Santa Sofia.

Tornando alle liti e alle controversie del 1500 da cui eravamo partiti, nel 1568 il Piovano Pre Tommaso Bianco litigò a lungo con Barbon Morosini per la demolizione di un muro del portico … ma oltre le controversie si giunse anche a finanziare molti artisti che dipinsero, abbellirono e arredarono Santa Sofia: Leandro Bassano collocò in chiesa un’ “Adorazione dei Pastori”, una “Nascita di San Giovanni Battista”, e i “Simboli dei quattro Evangelisti”sul soffitto dell’andito prima d’entrare in chiesa dove c’era anche un Capitello con “Padre eterno e 2 angeli” di Baldissera d’Anna autore anche di una “Crocefissione”e di una “Risurrezione” collocati all’interno.

Jacopo Palma il Giovaneprovvide a realizzare una “Madonna Annunciata di Firenze” per la Cappellina fatta costruire dal Fiorentino Strozzi, e poi dipinse pure due portelle d’organo “figurando in essi un’“Adoration dei Magi” al di fuori, e nel di dentro un “San Giovanni e San Marco” Domenico Tintoretto dipinse un “Sposalizio di Maria” e una “Madonna col bambino”  Paolo Veronese(che abitava nella vicina Contrada di San Felice appena giù dal ponte) collocò sopra la porta maggiore di Santa Sofia un’ “Ultima cena”Joseph Heintz realizzò per l'Altare Maggiore un “Battesimo di Cristo”, e Francesco Bassano un “Gesù che predica al popolo”… Il Muranese Leonardo Corona dipinse l’“Assunta con gli Apostoli”,Alvise dal Friso detto Benfatto un’“Ascensione”, un “Gesù nell’orto” e un “Gesù al Calvario”Andrea Michieli detto il Vicentino dipinse una “Maria che presenta Gesù a Simeone”Giovanni Segalla una “Madonna e Santi con Venezia”… e infine Angelo Trevisani un “San Lorenzo Giustiniani”.

Fin dal 1570 e dopo aver studiato pochetto, Antonio Priuli entrò al servizio della Repubblica con la guerra di Cipro divenendo per due volte Governatore di Galea e “Venturiere” dell’armata, ossia alla testa di un gruppo armato autofinanziato che agiva a favore della Serenissima. Tre anni dopo ottenne il Provveditorato di Peschiera, e nel 1580 sposò Elena Barbarigo figlia dell’eroico ammiraglio Agostino della Battaglia di Lepanto del 1571 dalla quale ebbe sei maschi e otto figlie. Era nato nel 1548, secondogenito di Girolamo del Ramo degli Scarponi di San Felice e di Elisabetta di Michele dei Cappello del Ramo di San Polo. Aspirò al Dogado per ben tre volte: nel 1606, 1612 e 1615, superato prima da Marcantonio Memmo e poi da Giovanni Bembo. Si accontentò allora d’essere Provveditore Generale in Terraferma durante la prima guerra del Monferrato (1613-14); e Provveditore Generale delle armi in Terraferma et Istria durante la guerra di Gradisca contro gli Uscocchi di Segna al tempo della Pace di Madrid con l’Arciduca Ferdinando d’Asburgo ... e già che c’era prima di diventare Doge ricoprì ben 75 Cariche o “Dignità della Serenissima”, compresa quella per cinque volte di Riformatore dello Studio di Padova dove apprezzò Galileo Galilei per le sue scoperte, gli aumentò lo stipendio, e lo difese con la Signoria dall’Inquisizionefino alla sua partenza per Firenze nel 1610.

Mentre si trovava a Veglia insieme al Procuratore di San Marco Girolamo Giustinian nel maggio 1618, Antonio Priuli ricevette la notizia della sua elezione a Doge succedendo a Nicolò Donà che l’aveva preceduto ancora una volta. Durante la cerimonia d’insediamento distribuì al popolo oltre 3.000 ducati e si dice che nel tradizionale giro di Piazza in Pozzetto portato dagli Arsenalotti abbia distribuito pane, vino, barili di Moscato, prosciutti e dolci in abbondanza. In seguito guidò la Serenissima nella Guerra dei Trent’anni.

Nel 1622 disputò aspramente e senza successo tramite l’Ambasciatore Veneto Zeno col Papa Gregorio XV per ottenere il Vescovato di Brescia per suo figlio il Cardinale Matteo che era già Abate della Vangadizza. A Venezia si diceva che Antonio Priuli avesse speso 80.000 ducati per far diventare Cardinale suo figlio. Infine morì nell’agosto 1623 di ritorno da una gita sul Brenta, e venne sepolto nella chiesa di San Lorenzo secondo le sue dirette disposizioni.

Nel frattempo nell’ormai trascorso giugno 1581 era giunta in Contrada di Santa Sofia la Visita Apostolica compiuta da Lorenzo Campeggi Nunzio Papale a Veneziae da Agostino Valier Cardinale, Vescovo di Verona e Lettore di Filosofia Morale presso la celebre Scuola di Rialto. Si registrò che in Contrada abitavano in quell’anno: 3.000 Anime alle quali venivano somministrate 1.200 Sante Comunioni … In chiesa c’era Piovano Prè Luigi Della Torre con altri 3 Preti: Prè Francesco Dulcio assente perché contemporaneamente “curava Anime”a Orsagopresso Aquileia, Prè Pietro Tinco assente perché fungeva da Curato anche presso San Salvador, e Prè Girolamo Longo assente perché infermo. C’era inoltre: Prè Giovanni Battista da Acri col titolo di Diacono, e Prè Tommaso Mologno Suddiacono che avevano 205 ducati di rendita annuale, una casa per abitare, e gli “incerti di stola”, e altri 4 Chierici: Prè Sebastiano De Fracchinetti e Prè Paschalino da Motta“in minoribus”, e Prè Lorenzo Veneto e Prè Varisco che percepivano 20 ducati annui ciascuno, mentre la Fabbriceria di Santa Sofia assommava a un bilancio annuale di soli 5 ducati … Nella stessa chiesa si celebravano 5 Mansionerie di Messe quotidiane che fruttavano 123 ducati annui … c’era attivo anche un lascito particolare “per maritar donzelle”.

Nell’insieme l’esito e il giudizio della Visita Apostolica fu positivo, anche se: “… s’abbisogna d’indorare i calici per la Messa, cambiare i tappeti degli altari, imbiancare la Cappella Maggiore, rifare il pavimento, e dipingere il soffitto della chiesa, comprare un Messale e un Salterio nuovi ...”

Solo Prè Girolamo Longo“assente perché infermo” venne richiamato e condannato severamente perché “scandaloso”, cosa che gli capitò di nuovo in quanto recidivo alla Visita del Patriarca Priuli nel 1593. Marco Malardi laico di chiesa, infatti, andò a raccontare al Patriarca che Prè Gerolamo Longoinsieme a Prè Nadalin andavano sempre al Magazèn (osteria) in Calle delle Vele dopo Nona “a bere un gòtto de Malvasia e far scommesse e portandosi vino a casa.” … anche Ginetto Caenèlla Nònzolo della Schola della Madonna confermò i vizietti dei Preti che si ritrovavano spesso in casa di Prè Pasqualin… mentre Lorenzo Barbitonsore e Giovanni Nònzolo della Schola del Santissimo raccontarono che “tutto andava bene nella Contrada”.

Alvise PriuliPodestà di Bergamo fu colui che diede il nome alla Via Priula costruita tra 1592 e 1593 per collegare Bergamo a Morbegno. Sempre lo stesso Alvise Priuli riferì a Venezia che a Clusone in Val Serianavenivano commessi molti disordini nell’amministrazione della Giustizia Penale.

A fine secolo quando gli abitanti del Confinio di Santa Sofia erano scesi a poco più di 2.300, la Contrada pagava 4 ducati per la “Texa praeceptoris Sexteriis Canalis Regii”ossia per la Scuola Sestierale Pubblica che raccolse nell’intero Sestiere di Cannaregio un totale di 74 ducati. La Scuola Sestierale aveva sede proprio a Santa Sofia, e il Patriarca Lorenzo Priuli aveva concesso licenza a Bartolomeo Nardo della Diocesi Cenetese di aprirla e gestirla.

In quegli anni c’erano diversi Maestri privati e pubblici che lavoravano in zona: c’era il Maestro Baldo Antonio Penna Chierico di 47anni originario di Aquileia che era “Prete Seculàr et Dottor dell’una e dell’altra Legge et Publicus Humanorum litterarum Professor” ... Agli scolari leggeva: “le Epistole familiàr de Ciceron, un aletion de logicha et la instituta ... Oltre ad insegnar dovea anche riveder i libri che vanno in stampa che non siano contro la Fede Cattolica e contro li principi et contra i boni costumi ... Dicea di aver ammaestrato in diversi tempi 5.000 studenti, e insegna a 50 alunni …”

Insieme a costui insegnava anche Johannes D’Ogniben quondam Johannis Anthoni, che era un laico di 57 anni: “… è Magister abbachi di 20 alunni in Contrada di Santa Sofia ... Anche suo padre era Maestro, e insegna a lèzer, scriver et abbaco, e a tegnir conto de libri che chiameremo quaderno ... Lèzeno el Donado, el Fior de Virtù et Marco Aurelio ... Tutti i altri fa abbaco.”… C’era, infine, anche Aloysius Lioni quondam Petri, laico di 50 anni: “… insegna a lèzer et scriver et abbaco a 80 alunni a Santa Sofia, dove insegna da 30 anni: Vita Cristiana, Fior de Virtù et le cose moral, e Marco Aurelio Imperator…”

La chiesa e la Contrada di Santa Sofia ospitavano pure la Schola dell’Arte di San Luca dei Dipintori e Cuoridoro: la varietà dei Colonnelli” in cui era suddivisa al suo interno l'Arte della Schola, rende l'idea di quanto ampia fosse stata la varietà dei prodotti che venivano fabbricati e venduti e patrocinati dagli artigiani che erano iscritti e facevano parte a quella Schola specifica. Gli Artisti, ad esempio, che non risultavano iscritti all'Arte di San Luca non potevano vendere "Ancone"(dipinti e icone) in tutta Venezia sotto pena di 20 lire di piccoli per ogni vendita impropria”(eccetto i giorni della Fiera della Sensa in Piazza San Marco dove chiunque poteva vendere qualunque cosa). A questa limitazione erano soggetti e compresi gli Specieri, i Ricamadori, i Libreri da carta bianca e da conti, i Coffanèri o Cassellèri(decoratori di casse per corredi nunziali e forzieri), Cuoridoro(dipingevano tappezzerie in cuoio dorato o argentato), i Miniadori, gli Indoradori, i Targhèri, i Depentori, i Pittori, i Disegnatori, i Pignatèri, i Dipintori di travi e biancheria, i Maschereri, i Depentori da Elmi e Armature, i Depentori da Scudi o Scuderi, i Depentori da Selle, i Botegheri da quadri e colori e di tele imprimide con mestica, e i Coltreri da Tajo e da Ponto che non potevano mettere liberamente sul mercato: specchi, tessuti o oggetti decorati e dipinti.

Nel 1504 alcuni Giustizieri Vecchi condannarono dei Fruttaroli Veneziani perché scoperti a vendere abusivamente: "carte depente da zugàr"(carte da gioco e tarocchi dipinti) che erano spettanza e commercio solo della Schola dei Cartoleri (fabbricanti e venditori di carte da gioco)affiliati all’Arte dei Depentori.

Fin dal 1271 i Depentori di Venezia si consociarono in Arte di Mestiere, e  dal 1376 i Depentori si riunivano nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo vicino a Piazza San Marco prima di trasferirsi a San Luca e poi a Santa Sofia nel 1530, dove il pittore Vincenzo Catena permise per lascito testamentario di acquistare un terreno in Contrada “fra la chiesa di Santa Sofia e la Calle Sporca o Priuli” dove poter costruire: “su due solèri (piani), con quattro finestre per piano, e affacciata sulla strada” la nuova sede della Schola.

Ancora oggi si possono notare sui pilastri d'angolo di sinistro e destra dell’edificio i due bassorilievi ovali che raffigurano l’Evangelista San Luca con suo simbolo del Bue intento a dipingere. La Sala del Capitolo si trovava al secondo piano e conteneva dipinti di Jacopo Palma il Giovane, Pietro Liberi, Alessandro Varotari detto il Padovanino, Battista Del Moro e Domenico Mancini.

Fra gli altri era Confratello di quella Schola il pittore Gentile da Fabriano che abitava proprio in Contrada di Santa Sofia, e lavorò a Venezia dopo il 1425 su commissione del Senato nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale dove dipinse “Il conflitto navale fra il Doge Ziani e Ottone figlio di Federico Imperatore” ottenendo dalla Serenissima una pensione annuale e il privilegio di vestire “la toga al modo dei Nobili Patrizi Veneziani”.

L’Arte di San Luca nel suo insieme era considerata poverissima, anche se nel 1522 concedeva 6 Grazie di 10 ducati l’una a 6 donzelle di almeno 15 anni per maritarsi o monacarsi … il suo Gastaldo o Sindaco doveva però saper leggere e scrivere, e il suo Nonzolo aveva il compito di esporre “il penèlo della Schola (gonfalone) nelle feste di San Marco, Pasqua, Natale, Sensa, Pentecoste e soprattutto nel giorno di San Luca(18 ottobre)Patrono dei Depentori. Portando lo stesso “penèlo” il Nonzolo doveva aprire il corteo funebre e partecipare anche ai Funerali dei Confratelli Dipintori fino a “consegnarli” all’Arca della Schola.

Nel 1588 gli iscritti all’Arte de San Luca de Depentori pagavano ogni anno il giorno di San Luca i 30 soldi della Tassa “Luminaria” ricevendo in cambio “Pan e candela”. La Schola giunse anche a contrastare col Capitolo della Basilica di San Marco perché non offriva regolarmente “cere bòne” alla chiesa del Doge. Il Gastaldo dei Depentori si recò allora in Basilica con alcuni Compagni della Schola con stendardi ed insegne, e offrì al Doge 30 torzetti da 1 lira e 2 torzetti da 2 lire intonsi come segno di riparazione.

Nel 1626 quando era Piovano di Santa Sofia Prè Giovanni Turatto: Antonio De Aleardi Gastaldo dei Cuoridoro propose alla sua Arte di ritornare presso la chiesa di San Luca, e offrì per la Festa Patronale di quel Capitolo 2 ducati annui e altri 4 ducati per allestire addobbi e pagare Cantori e Sonadori ... Nel 1651 chi vendeva abusivamente Maschere in giro per Venezia doveva pagare alla Schola 2 ducati annui di multa. Ancora nel maggio 1782 i Maschereri e il Colonnello dei Dipintori presentarono all’Inquisitor alle Arti una supplica contro l’illecita concorrenza di estranei che producevano “Maschere” ricorrendo al “lavoro nero” e rivendendo poi il prodotto all’estero: “… Essendo però incombenza dell’Arte nostra il formare e vendere volti ad uso di Maschere, non solo per la Dominante, ma molto più per esteri Stati, costretti siamo rivolgliersi a certe donne la di cui incombenza si è di formare di scheletri quali poi da noi terminati con pittura e cera, servono questi a sostegno dell’Arte nostra e mantenimento delle povere nostre famiglie ... Insorti dunque in questi ultimi recenti tempi diversi contrafacenti, quali, non ascriti in Arte, si fanno leciti assumere in sé di nascosto commissioni per esteri Stati, trovando il modo di suplir alle medeme perché facile e comodo li riesce il provvedersi dalle suddette donne delli suaccennati scheletri piturati, poscia questi supliscono alle suddette commissioni che senza tali contrafacenti e comodo della comprenda de scheletri medemi, impossibile le si renderebbe il dar esecuzione a tali commissioni: oltrechè da tal libera vendita di dette donne ne nasce che persone anco di estero Stato, facendosene provista, portano con ciò l’Arte fuori del Stato. Motivo per cui l’Arte nostra a poco a poco verebbe a distrugersi … Suplicano perciò genuflessi che dall’innata Pietà e Giustitia dell’Eccellenza vostra venghi permesso e rilasciato un comandamento penale a dette donne, acciò, intercette in tal modo ad esse la libera disposizione e vendita a contrafacienti et estere persone, siano costrette il solo farne l’esito a CapiMastri; i quali con venerazione soccombono agli aggravi che dal Sovrano suo Principe li viene addossati, e perciò sperarne a simili contrafazione la venerata Giustizia e Protezione, per sollievo dell’Arte nostra e delle proprie famiglie …”

Nel 1682: il Senato rilevò che su 200 Pittori presenti in Venezia solamente 30 erano iscritti all’Arte dei Depentori: “Tutti sono tenuti ad iscriversi per il buon ordine dell’Arte. I Pittori foresti sono tenuti all’iscrizione dopo 6 mesi di permanenza a Venezia.”In seguito i Pittori ottennero di separarsi dagli altri rami dell’Arte divisa in più di 100 botteghe costituendo un “Collegio dei Pittori” con Banca propria di: Prior, Consiglieri, Conservadori, Tansadori e Scodidori che inizialmente si riunirono in casa del Pittore Cavalier Liberi ... Solo nel 1750, infatti, il Senato istituì la Pubblica Accademia di Pittura e Scultura,che al tempo del Prior Giacomo Marieschi prese sede sopra al Fontego della Farina sulla Riva di San Marco.

Secondo un Inventario del 1762 “de’ Depentori rimasti a Santa Sofia”,che il Gastaldo Pellegrin Arzentini passò in consegna al suo successore, si legge:“… nella Schola di conservano un Crocifisso di bronzo dorato per l’Altar … un soraporta in Sacrestia di cuoridoro con l’immagine de Gesù Cristo che porta la Croxe istoriato ... La Sacrestia è tutta fornita di cuoridoro con sottobalcon e soprabalcon … 10 brazzaletti di ferro dorati per l’Altar … 1 pezzo “de cuoro” in fondo la prima scalla, con adornato di fiori e frutti naturali e con l’immagine della Beata Vergine e San Luca … 1 quadro in Sacrestia con l’immagine di San Luca, di pittura buona antica, con soaza d’oro … 2 Reliquiari di legno dorati nelle sue custodie, uno per parte dell’Altar … 1 Reliquiario di legno dorato con “Ossi de’ Santi Nocenti” … 1 detto senza reliquia … 2 Anzoli, un per parte dell’Altar, di legno dipinti … Al secondo piano gli ambienti della Schola contengono sul soffitto del primo pianerottolo un dipinto di Angelo Mancini: “Madonna con bambino”, e una tavola dell’Altare del Polidoro. Di sopra ci sono diversi quadri di Giulio del Moro: “San Luca ed un altro Santo Vescovo”, “Ritratto di Giulio del Moro” e “Cristo che da la mano a San Pietro sulle acque”. Ci sono inoltre lavori di Pietro Liberi, un chiaroscuro di Bernardo Strozzi: “Gesù  tra Mosè ed Elia”, “San Luca che predica” e “La pittura”  di Jacopo Palma, un “Buon smaritano” di Alessandro Varottari, e un’ “Annunziata” di Angelo Mancini con ai lati un “Miracolo di Cristo” e le “Tentazioni di Cristo”.

Ancora nel 1773, i Dipintorierano attivi il 35 botteghe con 100 iscritti all’Arte, di cui 17 erano Garzoni, 34 Lavoranti e 49 Capimastri. I Disegnatori di Stoffe, invece, lavoravano in 3 botteghe, ed erano 11 di cui 5 Lavoranti e 6 Capimastri; i Cuoridoro erano 11 attivi in 4 botteghe; e gli Indoradori: 144 in 33 botteghe … Nel 1797 quando l’Arte Riunita de Depintori pagava al Capitolo di San Luca 12 lire e 8 soldi, e “impiantava stendardo” spendendo 88 lire 88, gli iscritti erano: 263 in totale ... Infine nel 1807 l'Arte dei Pittori venne soppressa. Il Demanio ne incamerò tutti i beni, e l’edificio della Schola venne venduto a privati che lo trasformarono in abitazione, panificio e bottega.

All’inizio del 1600 il Patrizio Sebastiano Cappello residente in Contrada di Santa Sofia, lasciando rendite ad entrambi i Monasteri, chiese e ottenne dalla Badessa del Monastero delle Benedettine dei Santi Cosma e Damiano della Giudecca dove sua figlia Contarina viveva come Monaca d’essere sepolto in una cripta della Cappella del Santissimo già concessa anche i Nobili Venier. In quel sepolcro di famiglia fece convergere anche i corpi della sua prima moglie Contarina e della figlia Morosina sepolti nel Monastero sempre di Benedettine di Santa Croce della Giudecca dove viveva come Monaca un’altra sua figlia Grazia… Cinque anni prima, vivevano a Venezia: 1.967 maschi Nobili sopra i 25 anni appartenenti a 139 Casati diversi. Fra costoro: i Contarini erano: 100, i Morosini: 68, i Querini: 54, e i Malipiero e i Priuli: 52 ciascuno … Zuan Francesco Priuli fu in quegli stessi anni l’artefice principale dell’ammortamento del Debito Pubblico … spedì a un suo agente a Pera panni di lana della sua bottega: “roba squisitissima e panni di seta comprati con molta diligenza” ... Viceversa: Antonio Priuli del Consiglio dei Dieci commerciava in diamanti per molte migliaia di ducati ... Fece partire da Venezia per Tripoli più di 2 milioni d’oro: la metà in contanti e il resto in “pannina, panni di seta e altre merci”.

Nel giugno 1603 Francesco Priulivenne nominato Savio di Terraferma dal Senato della Serenissima che in realtà voleva impegnarlo economicamente come Ambasciatore in Spagna dove fu costretto a recarsi l’anno seguente. Lì dovette interessarsi dei frequenti sequestri di navi Veneziane da parte dei corsari spagnoli, dell’aggressiva politica del Governatore del Ducato di Milano, e dell’Interdetto. Il Nunzio Pontificio Giovanni Garcia Millinicercò più volte di scomunicarlo per impedirgli di rimanere accanto al Re. Filippo III, invece, lo nominò Cavaliere, e quando tornò a Venezia relazionò in Senato sul punto di vista della Corte Spagnola circa l’Interdetto imposto dal Papa su Venezia. Pur essendosi ammalato, Francesco Priuli accettò ancora di diventare Ambasciatore alla Corte Cesarea di Praga nel 1609 da dove aggiornò di continuo il Collegio della Serenissima e Fra Paolo Sarpi circa le liti tra Rodolfo II e i suoi fratelli circa la successione ormai imminente … Infine morì, sempre a Praga nel maggio 1610. Era nato nel 1570 a Venezia nel palazzo di famiglia in Contrada di Santa Sofia, da Lucrezia Contarini e da Michele di Francesco, e pur essendo un “Nobile devotissimodi grande cultura e pregio e con copiosa libraria”, rifiutò una ricchissima Prelatura Ecclesiastica preferendo servire lo Stato per il quale divenne Diplomatico al seguito di Francesco Vendramin (futuro Patriarca di Venezia) e Ambasciatore in Spagna nel 1592. Nella penisola iberica imparò a parlare il Catalano, viaggiò moltissimo e tenne un diario sulla Spagna e i suoi usi e costumi, poi rientrato a Venezia divenne Savio agli Ordini, e Ambasciatore presso il Duca di Savoia nel 1600.

Nel 1606, ai tempi di Prè Domenego Querengo Piovano di Santa Sofia e Canonico della chiesa Ducale di San Marco, sulla scia di un decreto del Senato del 1529 si istituì in ciascuna delle 69 Parrocchie-Contrade Veneziane una Fraterna per i Poveri provando a risolvere la mendicità dilagante in città e in Laguna conseguente a guerre, epidemie e carestie. La Fraterna dei Poveri di Santa Sofia era presieduta dal Piovano e composta da 300 fra Mercanti, Nobili, Cittadini, Artieri e Bottegai che s’impegnarono da essere: “Custodi et deputadi delli poveri et infermi di essa Contrà esercitandosi quelli di sovvenir et consolar gli infermi et famiglie bisognose, provvedendo a loro di Medico, medicine et dinari delle cerche fatte in essa chiesa a questa istanza”. Si raccolsero fondi, elemosine e lasciti testamentari a favore dei poveri della Contrada incapaci d’essere avviati al lavoro e segnati in appositi Registri, mentre la maggior parte dei foresti", invece, vennero rimandati ai loro luoghi d'origine. L’iniziativa non ebbe molto successo, perché poco dopo s’istituì a Venezia il grande Ospedale Pubblico che si fece del tutto carico della precaria situazione cittadina.

Girolamo Priuli sposò nel 1618 Franceschina Dolfin con una dote di 200.000-300.000 Ducati: un’enormità per quell’epoca ... Lorenzo Priuli, invece, sposò nel 1526 Zilia Dandolo figlia del potente Patrizio Marco, mentre loro figlio Giovanni sposò Isabella Giustinian… Infine Adriana Priuli sposò Francesco Corner del Ramo di San Polo che nel 1656 divenne Doge della Serenissima.

Nel 1622 uno zuccherificio di proprietà de Priuli posto in Contrada di San Canciano passò in proprietà a Grazioso fratello di Bartolomeo Bontempelli legato ad un livello di 18.000 ducati da pagare ... Due anni dopo, quando il Nobile Antonio Grimani lasciò in eredità fra le altre cose: 12.000 ducati investiti in un saponificio con la raccomandazione ai familiari di continuare in quell’iniziativa, Zuanne Dolfin, Agostino Nani e Alessandria Paolo Paruta esercitavano la Mercatura con Costantinopoli, mentre Alvise Mocenigo e Zuan Francesco Priulilavoravano con la Siria commerciando panni di lana. Giacomo e Giovanni Battista Foscarini dei Carmini si dedicavano al commercio dei grani insieme a Nicolò Donà e a Zorzi Corner di Giovanni I che si occupava anche di bestiame, e Antonio Priuli mercanteggiava legname in tutto il territorio della Dominante.

Nel 1642 nella Confinio di Santa Sofia vivevano 2.100 persone … nel 1661, quando Carlo Manzoni faceva il Frutaròl in Contrada, c’erano attive 75 botteghe (83 nel 1712) fra cui un “inviamento da Forner con casa e bottega” affittato per 160 ducati annui … Negli stessi anni venne rinnovato il tetto e il pavimento della chiesa, fu rifatto l’Altare Maggiore, ampliata la Sacrestia ad opera del Piovano Tommaso Curini e dell’Architetto Antonio Gaspari(che voleva ricostruire Santa Sofia alla maniera di San Marziale e San Moisè: ossia ad unica aula-navata centrale). Santa Sofia venne quasi rifabbricata a 8 altari (Santa Sofia, Santissimo, Sant’Antonio, Crocefisso, San Giovanni Battista, San Mattia, San Vincenzo e della Madonna) divenendo una tipica chiesa-bijoux Veneziana tappezzata di pregevoli opere d’Arte.

Alle Visite Patriarcali Morosini, Badoer, Barbarigo e Corner si confermò di volta in volta “la proliferazione” nell’edificio di “Madonne Vestite” di ogni sorta. Alla Visita del Patriarca Badoer nel 1695 si segnalò la presenza della Schola dell’Assunzione della Beata Vergine con un simulacro Mariano che possedeva molte vesti preziose … C’era poi una Madonna Annunziataricoperta di abiti ed ori … una Madonna del Pianto con argenterie, 21 abiti e 6 veli … e un’altra Madonna del Rosario ugualmente fornita d’argenterie, e rivestita anch’essa con 6 abiti e altrettanti veli “di pregevole fattura”.

Nel 1650 nacque Alvise Priuli da Marcantonio del Ramo di San Barnaba e da Elena Basadonna. Costui fin da giovanissimo ebbe “una fissa”: voleva diventare Auditore della Sacra Rota di Roma, un incarico un po’ insolito ma di certo al vertice della gerarchia ecclesiastica e della Curia Romana-Papale ... nonché una carica dal notevole interesse economico. Alvise iniziò la sua “scalata” fin da giovanissimo ottenendo prima il Canonicato del Duomo di Treviso, poi accompagnò l’Ambasciatore Michele Morosinipresso la Santa Sede di Roma ottenendo nel 1674 d’entrare fra i candidati all’Auditorato. Venne scelto però Antonio Paolucci, e Alvise si consolò assumendo il ricco e prestigioso beneficio dell’Abbazia di San Zeno a Verona che conservò per tutta la vita. Morto Paolucci di nuovo l’Abate Priuli tornò alla carica provando ancora una volta a conseguire quel benedetto Auditorato di Rota: finì di nuovo fra i quattro nomi proposti al Papa.

Perfino l’Ambasciatore Veneziano Girolamo Lando caldeggiò a nome della Serenissima la nomina del Priuli presso il Papa Innocenzo XI, considerando il Priuli come: “…soggetto per nascita, virtù et costumi che non può essere più proportionato a così grand’ufficio”.

Ma probabilmente dalla Nunziatura di Venezia, giunsero, invece, al Papa di Roma altre scritture anonime che stigmatizzavano la vita scandalosa dello stesso Alvise Priuli che aveva ben tre amanti di estrazione sociale diversa: una Nobile, una Monaca e una Cortigiana.

La prestigiosa nomina perciò si fece attendere e gli sfuggì ancora una volta ... Priuli però non si scompose.

L’anno seguente seguendo un percorso didattico facilitato: “more nobilium”, cioè riservato ai Nobili, ottenne a Padova il dottorato “in Utroque Jure”, e nell’ottobre 1689 coronò finalmente il suo sogno divenendo Auditore della Rota con l’appoggio del futuro Papa Ottoboni che era amico dalla famiglia Priuli: ce l’aveva fatta !

“Chi la dura la vince” , come si dice di solito … e il Priuli rimase Auditore della Rota per 23 anni fino alla morte ... non senza aggiungervi strada facendo qualche altro beneficio economico di contorno per integrare il suo già imponente patrimonio. Priuli assunse il beneficio dell’Abbazia di Villanova di Camposampieroche gli rendeva 2000 ducati annui (1692), poi la Prefettura dell’Università della Sapienza di Roma(1694), e il Cardinalato di San Marcelloche il Papa gli fece bramare e attendere fino al 1712 quando la sua carriera corse in discesa vedendolo eletto in diverse potenti Congregazioni Romane: quella dell’Immunità, del Concilio, dei Vescovi e dei Regolari. Già che c’era, divenne anche Protettore dell’Ordine della Santissima Trinità per il riscatto degli Schiavi e Camerario del Sacro Collegiofino alla morte che lo colse a Roma nel marzo 1720.

Alla fine lasciò i suoi libri e le sue numerose argenterie alle sue Abbazie; e dispose un cospicuo legato per il mantenimento di giovani Patrizi Veneziani presso il Collegio Clementino dei Padri Somaschi di Roma. Venne tumulato nella chiesa di San Marco di Roma in un sepolcro sontuoso ornato di statue, con tanto dl busto in marmo e dovuta iscrizione a perenne gloria … nei secoli dei secoli: Amen !

In Veneto intanto, nel 1659, si scavò la “Roggia Moranda di Ca’ Priuli” sul fiume Brenta, e l’acqua presa dalla Moranda di Ca’ Corner in Contrà delle Motte scorreva fino a Treville chiamandosi: Seriòla o Ceriòla Priuli… In Contrada e chiesa di Santa Sofia continuavano a funzionare diverse Schole che coinvolgevano i Veneziani della Contrada: la Schola dell’Assunzione della Beata Vergine, la Compagnia-Schola-Sovvegno di San Lorenzo Giustiniani, dal 1690 la Schola-Sovegno di San Francesco di Paola, e soprattutto la Schola della Madonna o dell’Assunta che pagava lire 20 di Livello al Capitolo dei Preti di Santa Sofia per Messe ed Esequie … Celebrava una Messa Cantata con Processione intorno al campo ogni prima domenica del mese ed il giorno della festa ... e ogni sabato: una “Messa Bassa” ... (Nel 1803 alla visita del Patriarca Flangini: Schiavon Pietro stramazzèr era ancora: Guardiano della Schola della Madonna) ... Nel 1591 negli ambienti della chiesa di Santa Sofia si scriveva: “… Si spenda quanto occorre per le bolle del “Perdon d’Assisi” ottenute da Roma ... Quanto si ricaverà dalle offerte del Perdon d’Assisi serva per maritare donzelle della Contrada.”… Nel 1594 il Gastaldo ed il Vicario della Schola della Madonna le donarono: “un Penèl (gonfalone) de legno dorato co la Beata Vergine”... Nel 1610 si scrisse: “… si spenda quanto occorre per terminar il quadro della Natività della Madonna”.

Nel 1676 però la stessa Schola della Madonna era ormai in declino: si richiamò il Nonzolo perché ricordasse agli iscritti l’obbligo della partecipazione alla Messa della prima domenica del mese a cui non partecipava più quasi nessuno … Lo stesso Gastaldo della Schola tuonò: “Chi osasse prestare le aste d’argento della Schola pagherà 50 ducati di penalità, metà dei quali saranno devoluti all’Arsenale”, ma gli fu risposto: “Almeno altri usa quelle ròbe che vien solo trascuràe e desmentegàe da noialtri” ... Nel 1692 in un Inventario redatto dal Piovano di Santa Sofia circa la Schola della Madonna si elencava: “… un paramento bianco in terzo con piviale, molte vesti della Madonna, una corona d’argento, una corona di cartone, e una corona di ricamo.” di cui pochi s’interessavano.

Poi non se ne seppe più niente.

Nella Terraferma Veneziana di Marocco sul Terraglio in via Gatta esiste ancora oggi sulla facciata di una modesta Villa ora appartenente ai Nalesso, “un’arma gentilizia”, ossia lo stemma dei Nobili Priuli documentati lì presenti fin dal 1631 … Fra 1661 e 1664, ai tempi del Podestà e Capitano Alessandro Priuli s’imputò per la seconda volta a Margherita Boccato d’aver fatturato Andrea Cavazzin e altre persone. L’accusa oltre che dalla voce pubblica, venne confermata anche dai Cappuccini della Fontana di Bottrighe, che considerando le strigarie commesse dalla donna, avevano ispezionato ad Adria i letti della donna. Lì avevano rinvenuto e fatto bruciare: “… pezzi di tela, fave, grani di formentòn, e diversi ossetti da morti …”

Sembrava tutto fatto: quella donna era da bruciare senza esitazione.

Il Podestà Alessandro Priuliperò non era molto convinto di tutta quella faccenda. Decise perciò di vederci chiaro, e fece condurre una nuova indagine scrupolosa che fece emergere dietro alle accuse dei vecchi risentimenti per un fidanzamento rifiutato, delle ruffianerie, e delle invidie per l’attività manifatturiera esercitata dalla stessa Donna Margherita che sapeva abilmente “… esistàr canne e grisiòle…”

La donna “… davanti a un gran fòco di carboni acceso da suoi piedi snudati …” venne difesa anche da alcuni Medici. Il Podestà Priuli allora accolte riprove e testimonianze, eseguiti certi sopraluoghi, e andando controcorrente assolse Donna Margherita e incriminò i suoi accusatori condannandoli a pagare le spese del processo e a restituire “la so bona fama a la donna”.

E bravo Priuli !

Nello stesso anno in Calle Priuli detta dei Cavaleti agli Scalzi di Cannaregio a Venezia, laNobildonna Paolina Priuli relicta Ser Zamaria possedeva cinquantanove caxette … Donna Soffietta Priulli figlia di Ser Ferigo e consorte di Messer Almorò Tiepollo ne possedeva altre nel Sestiere di San Marco … Così come Dona Isabetta di Priuli relicta Ser Zamaria per conto de Ser Alvise e fratello Priuli suoi fiolli  … e Ser Sebastian di Priuli quondam Ser Piero habitante in Valpolesella sotto Verona … Il NobilHomo Ser Alvise di Priulli figlio di Francesco istituì una Comissaria nella Schola di San Giovanni Vancellista de Muran … Vincenzo Priulli quondam Andrea habitante a Fogiaschea sotto Vicenza pagava: lire 1, soldi 18, e denari 5 di tasse … Donna Lugretia Priulli relicta in terzo voto di Ser Cabriel Corner residente nel Sestiere di Castello ne pagava: lire 1, soldi 15, e denari 2 … Il Priorado di Ser Lodovico di Priulli sito nel Sestiere di Dorsoduro contribuiva con lire 16, soldi 3, e denari 8 … Ser Nicollò Dolfin quondam Piero e Ser Zaccaria Priulli del defunto Ser Anzollo moglie e nepoti quondam Ser Daniel del Sestier de Cannaregio pagavano: lire 1, soldi 7, e denari 10 … mentre Ser Zamaria di Priulli di Ser Anzolo Maria e nepoti quondam Ser Daniel residenti a Cannaregio contribuivano alla Serenissima: lire 22, soldi 7, e denari 8 … e via così per tanti Nobili Priuli che stavano in Venezia.

Nel 1668 Prè Francesco Speranzalaureato in Filosofia e Diritto, Canonico Ducale, Vicario Generale del Martinengo Vescovo di Torcello, ProVicario Generale del Patriarca Sagredo e Confessore delle ricche e potenti Monache Agostiniane del Monastero Dogale delle Vergini di Castello (presso le quali morì nel 1677) divenne Piovàn di Santa Sofia… Nella stessa estate il Nobile Ottavio Labia indispettito dal divieto d’uso della parrucca imposto dalla Serenissima, spinse altri Nobili a negare il proprio voto “circa quell’infausto decreto”.Venne subito ammonito dal Tribunato degli Inquisitori di Statoinsieme ai Patrizi Girolamo Priuli, Alvise Foscari III°, Gerolamo Giustinian e Lunardo Loredan, che trasgredendo gli ordini della Serenissima avevano portato alcuni capelli posticci in testa.

Nel 1681 ai tempi del Piovano Prè Francesco Bellotto si provvide a rialzare il pavimento di Santa Sofia perché troppo soggetto all’alta marea: “Si commissionò il lavoro all’artigiano Andrea Comminelli e al figlio Giobatta della Contrada di San Maurizio, e si realizzò la nuova pavimentazione utilizzando pietra rossa di Verona e pietra bianca di Rovigno … e già che s’era in opera, si provvide anche a rifare le colonne dell’Altare di Sant’Osvaldo ...”

In quegli stessi anni in chiesa erano attivissime ben 5 Schole di Devozione: la Schola del Santissimo, la Schola dell’Assunta, la Schola di San Francesco di Paola, quella di San Lorenzo Giustiniani, e la Schola-Sovegno dei Barcaroli di San Giovanni Battista. C’era poi la solita Schola dei Depentori in Calle Sporca, la Fraterna dei Poveri e la Schola della Dottrina Cristiana a cui prestavano aiuto 66 donne operaie popolane guidate dalla Priora Nobildonna Vincenza Fini… La Fabbriceria della chiesa di Santa Sofia era composta da 25 Procuratori di cui 12 erano Nobili della Contrada … e la Messa Solenne e Cantada nelle feste di precetto doveva essere obbligatoriamente partecipata da tutto il Clero del Capitolo de Santa Sofia ... Ogni sabato si cantava Compieta e Litanie della Madonnaall’altare dell’Assunta con la partecipazione di quelli della Contrada … I Padri Gesuiti preparavano i maschi della Contrada alla Prima Comunione tenendo lezioni nella vicina chiesa dei Santi Apostoli… e in Contrada vivevano anche Luterani, fra i quali c’erano alcuni Calegheri(Calzolai) e un Oste.

I Veneziani della Contrada testimoniavano di loro: “… sono tranquilli e non recano disturbo alcuno, e quando passa il Santissimo per la Contrada si genuflettono … Forse sono solo miscredenti …”

La Schola-Sovegno più importante e frequentata della Contrada e della Parrocchia era quella di San Giovanni Battista dei Barcaroli del Traghetto della Ca’ d’Oro posto fra Santa Sofia e la Pescheria di Rialto (esiste e funziona ancora oggi).

L’associazione-fraglia era nata nel 1342 (gli Statuti dell’Arte dei Traghettatori sono del 1344: i più antichi di Venezia e della categoria) scrivendo nella sua Mariegola (la Madre di ogni Regola): “Missier San Zuanne pregi continuamente Jesu Christo nostro Redemptore che mantenga la nostra citade de Venexia in bon stado, in paxe et in charità con tute le tere de li fedeli Christiani ... Amen”

La Fraglia d’Arte, Mestiere e Devozione si occupava oltre che d’offrire indicazioni operative per la categoria, anche di sussidi e previdenza sociale accogliendo fino a 100 iscritti: “tutti boni homini et bone donne” che potevano essere anche estranei al Traghetto, ma di età non superiore ai 35 anni. A costoro garantiva assistenza Medica, medicine di uno Speziale, sostegno agli infermi per 6 settimane e fino a 2 giorni dopo la completa guarigione. Non si concedeva assistenza e sovvenzione in caso di “Morbo Gallico”(Sifilide), né per cadute e ferite volontarie.

Si trattava di moltissimo per quell’epoca in cui a Venezia non esistevano sussidi e organizzazioni sanitarie e previdenziali come quelle di oggi.

I nuovi iscritti pagavano 1 ducato di “Benintrada”, e poi 18 soldi mensili insieme alla tassa delle “Luminaria” a Natale (per un “Vivo”costava 4 lire, e a nome di un “Morto”costava 1 lira e 4 soldi).

La Schola annoverava anche un ramo femminile che si eleggeva una propria Gastalda-Priora e 6 Degane che prestavano assistenza alle iscritte che non potevano recarsi in chiesa. La Mariegola recitava: “de non recever alcuna femena in la Schola per men de grossi VI de Benintrada”.

Nel 1516 sul Capitolo 53 della Mariegolasi precisarono i probabili confini dell’area del Traghetto sul Canal Grandosu cui verteva il lavoro dei Barcaroli: il Traghetto poteva arrivare fino “alle barche de la Lozeta e del bùrcio de le Becarie”… e si minacciarono penalità di 25 lire ed altre pene compreso il carcere, a “chi osasse far noli al Traghetto da la Pescaria che buta a Santa Sofia” ... Nel 1593 la Schola dispose che nel Traghetto funzionasse per 15 anni una barca o “Libertà soprannumeraria” per poter pagare “le spese dell’Altare Novo in cjesia” mettendo il ricavato in una cassa speciale chiusa con 2 chiavi: una consegnata al Piovano di Santa Sofia e un’altra al Gastaldo della Schola. Nel 1603 la raccolta di denaro venne prorogata per altri 10 anni per poter pagare la nuova Pala dipinta per lo stesso altare della Schola.

Dal 1533 al 1565 la Scuola si trasferì “sventatamente” sull’Altare dei Trevisani alla Madonna dell’Ortoforse a causa della ricostruzione della chiesa di Santa Sofia, ma nel 1582 ritornò a Santa Sofia firmando una concessione col Capitolo della chiesa per usufruire di un’Arca sepolcrale in chiesa, della Cappella di San Giovanni, e di una sede per riunirsi sopra alla Sacrestia offrendo 30 ducati annui ai Preti di Santa Sofia ...  Nel 1633: i Provveditori da Comun suggerirono che: “… ogni turno de Barcaroli debia tenèr acceso il feràl davanti a la Madonna del Traghetto” ... Nel 1652 tutte le 23 barche del Traghetto di Santa Sofia dovevano dare 2 lire alla Schola … Chi “operava contro la Repubblica”, chi viveva “in pubblico peccato”, chi seminava discordie e si dava al gioco, e chi diceva villanie contro il Gastaldo o i Compagni della Schola: veniva escluso dalla Schola annotandolo in uno speciale Quaderno de la Schola.

Secondo quanto ricordato dalla Visita del Patriarca Badoer del novembre 1690, il Sodalizio del Traghetto aveva sede e altare in chiesa di Santa Sofia al cui Capitolo dei Preti: “… i 121 iscritti della Schola di San Zuane pagano di livello al Capitolo di Santa Sofia per Messe ed Esequie lire 43,8 ... il Sovegno della medesima Schola lire 31.”… Dagli stessi verbali di quella Visita si evince che nella chiesa di Santa Sofia c’erano presenti 13 Preti dei quali 4 erano Confessori e altri 14 Chierici dei quali 9 erano consacrati “in sacris”. Nella stessa Contrada di Santa Sofia abitavano 25 Preti di cui solo 8 erano afferenti alla chiesa mentre gli altri servivano in altre chiese della città … Uno dei Preti non volle dichiarare le proprie generalità: era uno strano  Prete Francese che abitava in Ruga Do Pozzi a Santa Sofia, celebrava Messa nella chiesa dei Miracoli, e teneva in casa una donna Inglese che però non andava mai a Messa … Un personaggio insolito, un po’ particolare, sul quale la Serenissima fece i suoi bei ragionamenti senza mai perderlo d’occhio.

 Il Piovano insieme al Primo Prete Paganelli raccontarono che in Contrada esistevano “ridotti non convenienti per lo stato religioso”, ma non si potè dire quali Preti li frequentavano essendoci anche movimento di altri “Preti foresti”. I due Preti di Santa Sofia si limitarono ad affermare e testimoniare davanti al Patriarca: “ … dei Preti di Santa Sofia uno si reca dal Trincadini, e un altro in Contrà di San Marziale da Gaio Barbier dove si tengono ridotti di Preti …”

 Prè Brassi, Terzo Prete del Capitolo di Santa Sofia precisò: “… nel Ridotto di Gaio Barbier vanno Preti Secolari che giocano e scommettono senza alcun riguardo alle persone e alla Religione …”

Il Secondo Prete Toffaninprecisò ancora: “… in Contrada c’è anche uno Scaletèr Luteràn (pasticcere) inconfesso che intende a tutti i costi obbligare suo figlio alla stessa professione di fede” ... Due laici interrogati riferirono che c’era una donna che veniva spesso in chiesa per provocare “a cose non punto belle”il  Prete Suddiacono di Santa SofiaNadalin Cecchini precisò che si trattava di Anna la domestica di Prè Carlo Vincenzi, una “donna di fama leggera” che abitava in Contrada di Santa Fosca ai piedi del Ponte de Noal. Si aggiunse poi che: “Prè Carlo insieme a Prè Zio sogliono vestire in curtis … e Prè Carlo insieme a Prè Barbini dopo la Messa in Nocte di Natale avrebbero infranto in maniera non da poco la legge del Celibato …”

 Prè Carlo allora venne interrogato … Ammise tutto, e si scusò di tutto ... Si mise poi anche a verbale che il Piovano Prè Domenico Todescato praticava spesso la Spezieria “attendendo ai fatti suoi”, e possedeva rendite da botteghe e da case alla Giudecca, e dalla proprietà di Zero Branco in Terraferma dalla quale ricavava: 18 staia di frumento, 83 ettolitri di vino e 2 capponi, un paio di anitre, e 33 uova come onoranze. Infine il Patriarca esortò i Preti di Santa Sofia a non celebrare matrimoni di gente che ignorava di conoscere il Pater, l’Ave, il Credoe i Misteri principali della Santa Fede:“… Almeno si sappia che esistano certi argomenti …  Per sposarsi in chiesa lo si consideri: necessario”.

Nel 1621: i Provveditori da Comundiffidarono i Pescatori e i venditori di frutta e verdura di Rialto dall’occupare con le loro merci la Riva del Traghetto di Santa Sofia dal lato della Pescaria pena lire 25 multa e confisca di tutte le merci: bisognava non intralciare il lavoro dei Barcaroli del Traghetto di San Giovanni Battista di Santa Sofia.

Dal 1686 in poi, gli stessi Barcaroli si obbligarono a pagare 2 lire per ogni defunto della Schola-Sovegno del Traghetto di Santa Sofia al quale garantivano: “un Esequie solenne in canto”. I Barcaroli Morti dovevano essere adeguatamente “bagnati e preparati” per il Funerale ... Ad ogni Morto spettavano: 25 Pater-Ave… e doveva essere accompagnato alla sepoltura: “con la Crose et Penèlo (gonfalone) de la Schola”… e gli si dovevano celebrare tante Messe di Suffragio quanti erano gli iscritti della Schola: “Non sia mai che un uomo del Traghetto di Santa Sofia debia presentarsi al Dio Superno a man scorlàndo … e senza i suoi dovuti suffragi …”

La sepoltura per i Barcarolipoveri era gratuita, e gli iscritti che morivano fuori Venezia avevano diritto a: “… una Messa Esequiale con in mezo la glesia uno tapedo et un cusinello e de sora uno pallio con la Crose suso e da cavo li arda 2 candelotti che mete a li corpi con 5 candele e sia messo in meco de la glesia lo pennello segondo usanca, e la recita dell’Ufficio come se il cadavere fosse presente”.

In chiesa di Santa Sofia c’era una Cassetta che raccoglieva elemosine a favore della Schola del Traghetto che ogni anno celebrava con Vespri, Processione e Messa le due feste solenni del 24 giugno e del 29 agosto: San Giovanni Decollato “dando a tutti pan et candela”… così come a Natale “quando la Fraglia del Traghetto di Santa Sofia debia far e dar pan benedetto a tuti li fradeli e soròr di questa benedetta e Santa Schola”.

Ogni seconda domenica del mese ogni iscritto della Schola del Traghetto pagava 7 soldi di piccoli perché venisse celebrata una Messa Solenne-Alta-Cantada per tutti gli iscritti; e ogni lunedì, invece, si faceva celebrare per 1 soldo di piccoli per iscritti: una Messa Bassa-Letta a cui partecipavano tutti gli Ufficiali della Scholadei Barcarolide Sancta Sophia ... Inoltre la Schola faceva celebrare per 1 lira anche delle “Messe dello Spirito Santo” prima delle nuove elezioni alle cariche del Sodalizio ... Ogni anno quindi si celebravano ben 69 Messe a pagamento fra le quali: 12 Messe Alte mensili e 4 Messe Basse ogni lunedì.

Si pagava inoltre anche un “supplemento”di 20 soldi annui “per il sovegnimento dei poveri della Schola” ai quali andavano anche le multe e le pene pecuniarie ai Confratelli che erano di solito di 5 piccoli ciascuna … Chi si ammalava poteva mettere un altro a lavorare al proprio posto al Traghetto … e si affittavano 2 barche del Traghetto per aiutare i Confratelli in stato di necessità, donando 6 ducati “una tantum” alle vedove dei Barcaroli.

 Sapessimo fare oggi cose del genere !

Ancora nel 1770 quando il Traghetto di Santa Sofia aveva ancora 48 Libertà(licenze concesse dalla Serenissima per traghettare) che si potevano ereditare, affittare, vendere e comprare; si esercitava servizio notturno sul Canal Grande con 14 barche precisando che i confini del Traghetto de Dentro de Santa Sofia(il raggio d’azione) andavano dalla Calle della Ca’ d’Oro al Campo di Santa Sofia e alla Calle Dragan, mentre dall’altra riva si estendevano: dalla Riva dell’Olio alla Lozzetta, alla Pescaria e a “Tre volti” delle Fabbriche Nove … Nel 1779 tuttavia, il Piovano di Santa Sofia Don Pierantonio Colauto attestava che ormai da 3 anni il Sovegno del Traghetto era estinto e disciolto, anche se la Congregazione Delegata richiamava il Gastaldo del Traghetto di Santa Sofia all’obbligo di tutti gli addetti del Traghetto di frequentare le lezioni di Catechismo settimanali nella chiesa loro assegnata che era quella di San Mattio di Rialto.

Ve li vedete e immaginate i Barcaroli del Traghetto recarsi ordinatamente a frequentare il Catechismo serale ?

Giunto il 1700 anche nel Confinio di Santa Sofia, Girolamo Negroni della stessa Contrada lasciò per testamento alla chiesa due quadri dipinti da Antonio Zanchi con “San Girolamo e Sant’Erasmo”, che però non giunsero mai in chiesa prendendo chissà quale altra strada … Il celebre “amateur”Giacomo Casanova, invece, “insidiò”Caterina Caretta che abitava in Contrada di Santa Sofia e finì col farla abortire presso le Monache di Santa Maria degli Angeli di Murano ... Nel giugno 1722 secondo quanto scritto nei documenti della Quarantia al Criminal, il cameriere Antonio Polinari uccise per motivi di gioco “… con una spada larga che aveva cinta al fianco” in Corte del Magazen alla Cà d’Oro il bottaio Giovanni Capulin ... Due anni dopo in Calle Priuli a Santa Sofia, sempre secondo le Raspe dell’Avogaria da Comun, Bernardo Bonlauti e il figlio Giovanni entrambi Barbieri litigarono aspramente con Giuseppe Seleri dopo una partita in Calle della Racchetta a Santa Catarina nei pressi di Santa Sofia. Dopo un primo approccio i tre s’azzuffarono di nuovo in Fondamenta Priuli, e il Seleri buttò in acqua Giovanni Barbiere minacciando i due di dura vendetta.

Il giorno dopo, infatti, “armato di spontòn, vitivo e zacco” andò a cercare i due barbieri che armatisi a loro volta lo aggredirono alle spalle. Il Seleri che non era uno sprovveduto reagì subito ferendo Bernardo Bonlauti al ventre e al braccio destro, ma venne a sua volta ferito più volte alla testa, scivolò e cadde a terra, “… e i Bonlauti lo ridussero a mal partito e alla morte che raggiunse dopo una dolorosa agonia che durò 16 giorni”.

Pietro Priuliintanto, si stava dando un gran da fare nel 1706 per diventare Commendatario dell’Abbazia di Santa Maria della Vangadizza in Polesine succedendo al Veneziano Daniele Dolfin. Era nato a Venezia nel 1669, figlio di Alvise di Giovanni. Suo zio Lorenzo era stato Vescovo di Lesina; e la madre Vittoria Ottoboni era nipote del Cardinale Pietro che divenne Papa Alessandro VIII nel 1689. Fu tutto facile quindi per Pietro Priuli che si fece Abate e divenne Referendario in Utriusque Signaturae trasferendosi a Roma dal nuovo Papa Innocenzo XII nel 1694. Lì assunse la carica di Gran Curiale e Presidente della Camera Apostolica, e a trentasette anni divenne Cardinale Diacono di Sant’Adrianofacendosi Prete (cosa che prima non era).

“Troppo potente quel Veneziano a Roma !” si disse di lui.

Perciò venne subito allontanato da Roma nel 1708 nominandolo Vescovo di Bergamo al posto del defunto Alvise Ruzzini, e dandogli una bella pensione di 1000 scudi annui. Contrariamente alle aspettative però, Priuli si affezionò a Bergamo e visitò in lungo e in largo il suo territorio per 8 anni visitando tutte le chiese Arcipretali della Val Seriana, poi quelle della pianura, quindi tutte quelle della Val di Scalve, Clusone, Lovere e Gandino.

Insomma: anche quel Priuli sorprese un po’ tutti.

Come Nobile Patrizio della Serenissima, Priuli non si dimenticò di Venezia, e le offrì migliaia di ducati per la guerra spogliando Bergamo letteralmente. Nel 1720 tornò a Roma come Cardinale di San Marco risiedendo a Palazzo Venezia sede degli Ambasciatori Veneziani. Già che c’era partecipò ai due Conclavi che elessero Innocenzo XIII e Benedetto XIII, poi ritornò di nuovo a Bergamo per il Sinodo Diocesano nel 1724, prima di ritirarsi a Venezia per motivi di salute presso il palazzo di famiglia per trascorrere una buona e serena vecchiaia … Per far questo si assicurò nel 1726 anche le rendite della Commenda del Monastero di Sant’Andrea di Busco di Treviso. In realtà si godette poco la vecchiaia, perché morì non ancora sessantenne due anni dopo, e venne trasferito “nella sua Bergamo” dove venne sepolto nella Cattedrale di Sant’Alessandro.

Sempre all’inizio del 1700 si prolungò la Roggia Priuli sul Brenta uscendo da Galliera, e la Roggia Cappella venne prolungata fino a Treville prendendo il nome dagli stessi Priuli... A Bassano proprio sotto il castello e poco prima del ponte una poderosa rosta alimentava fino a 10 ruote appartenenti ai Molini dei Priuli che fin dal 1400 sorgevano accanto a quello dei Padri di San Fortunato… Ancora fra 1705 e nel 1793 i Nobili Priuli vennero considerati dalla Serenissima alla stregua dei Nobili Poveri. Secondo un Catastico dell’Avogaria da Comun, infatti, i 9 nuclei familiari dei Priuli vennero sussidiati dalla Repubblica con ben 28 provvigioni-sussidi pubblici. Non erano affatto poveri in realtà … ma le sovvenzioni pubbliche ieri come oggi facevano gola a tutti … E chi più riusciva … più otteneva e prendeva.

Allo stesso tempo alcune Commissarie del quondam Reverendissimo Lorenzo Crappi, del quondam Gerolemo Galedin, e di Donati abitante in Contrada di Santa Sofia rimpinguarono ulteriormente, se ce ne fosse stato bisogno, le Casse del Capitolo di Santa Sofia alle quali si aggiunsero anche i proventi della Commissaria di Don Bartolomeo o Bortolo Zorzi Primo Prete Titolato di Santa Sofia che oltre al Legato dei beni immobili lasciato nel 1764 per testamento, lasciò anche dei libri accuratamente stimati e inventariati da Antonio Foglierini “libràro matricolato”.

Nel 1714 a Venezia si contavano 216 famiglie Nobili Patrizie suddivise in 667 casate, e con 2.851 Patrizi maschi attivi in Maggior Consiglio. Fra quelle si estinsero in breve tempo 233 nuclei familiari antichi presenti nel Maggior Consiglio già dal 1297. Cinque di quei nuclei andati estinti erano Priuli, mentre altri nuclei dello stesso Casato erano piuttosto decadenti … Quattro anni dopo, infatti, Marco Priulifiglio di Andrea chiese con insistenza alla Serenissima una provvigione di 5 ducati al mese per ciascuna delle sue figlie: Anna Maria e Laura: “… per la propria infelicissima conditione … continuo e incessante sagrifitio di rassegnazione, d’obbedienza, e di fede alla Patria adorabile eccelsa …”

Incredibilmente quelle provigioni vennero accordate dalla Serenissima per ben 50 anni consecutivi ! … e ancora nel 1761 le discendenti: Marta, Laura, AnnaMaria e AnnaMichela e Luca Priuli ricevevano contribuiti di Stato Serenissimo per 401 ducati annui.

I privilegi erano privilegi, e la Serenissima seppe mantenerli in piedi e garantirli per i propri Nobili fino alla fine della sua Storia.

Nel maggio 1733 gli Inquisitori di Stato fecero comparire davanti a loro Giovanni Girolamo Priuli di Ferigo relegato nel Castello di Chioggia. Fu riconsegnato al padre nel suo Reggimento di Crema, chiedendogli di modificare la sua condotta per la quale avrebbe meritato un castigo ben peggiore ... In quello stesso anno a Padova presso Pontemolino erano ancora attivi i tre Molini Priuli: due erano “terragni”e uno galleggiante: era l’unica macchina a sandoni non destinata a ridurre in farina i cereali come tutti gli altri della Terraferma, ma fungeva da: “… pestrina de macina da valonia per uso de pellattieri.”… I Priuli inoltre comprarono nel 1741 dai Nobili Bon:“… una Villa con Loggia, Scalinata, Arcate e Colonne, Oratorio e un gran bel Parco cinto da alto muro”a Malcontentaverso Oriago sulla via Padana … Di nuovo nel settembre 1741 gli Inquisitori di Stato ammonirono severamente ma con clemenza Alvise Priuli, altro figlio di Ferigo del Ramo III dei Priuli di San Polo accusato d’insidiare la NobilDonna Elisabetta dei Nobili Donà del Ramo di Sant’Agnese, introducendosi perfino “… con abiti mentiti nella sua stessa habitazione …”

Il Priuli ascoltò il richiamo degli Inquisitori di Stato e fece giudizio, e si sposò nel 1755 con la Nobildonna Marina Mocenigo.

Antonio Marino Priulidel Ramo degli Scarponi di San Felice, invece, divenne nel 1733 Arciprete del Capitolo di Padova dove si laureò in Utroque Iure, e poi ottenne la carica di Vescovo di Vicenza con rendita annuale di circa 5.000 ducati, dove si dimostrò ostile verso l’Abate Giovanni Checcozzi accusandolo di Giansenismo ed Eresia, inducendolo a processo davanti all’Inquisizione di Venezia, e portandolo fino all’abiura finale. Priuli era un uomo tradizionalista, erudito e di cultura, con una biblioteca ricchissima stimata come una delle più insigni di Venezia. Era fratello di altri cinque tutti con lo stesso nome, suo padre fu Podestà di Bergamo e Censore, sua madre era figlia del Doge Giovanni Corner… Il suo imponente palazzo di famiglia del 1300 con due facciate sull'acqua in Contrà di San Felice poco distante da Santa Sofia venne distrutto da un devastante incendio nel 1739.

Nelle “Memorie” del Benigna si legge: “A 8 marzo 1739, quarta Domenica di Quaresima, fu il fuoco nel palazzo di Ca' Priuli Scarpon a San Felice, havendo principiato nella cucina di sopra, et ha circondato tutto il grande palazzo con averlo consunto et incenerito.” ... E qualche anno dopo sempre nelle stesse Memorie si aggiunse ancora: “A 11 settembre 1741: è caduto e morto un huomo nel disfare il palazzo rovinoso di Ca' Priuli Scarpon a San Felice”.

Per niente turbato “da que’ banali danni e semplice incidente di percorso”,lo stesso Antonio Marino Priuli divenne Cardinale facendosi conferire la Commenda dell’Abbazia di San Gregorio di Venezia che gli rese 4.265 ducati annui, e quella dell’Abbazia di San Eufemia di Villanova di Camposanpiero di Treviso che gliene rese altri 3.634 … Divenuto “vecchio e malato”, fu messo da parte nel 1767 dallo stesso Papa Clemente XIII che lo mandò come Vescovo a Padova. Lì, invece che quietarsi, il Priuli si rianimò e iniziò un’altra vita visitando capillarmente tutta la Diocesi e contrastando tutti i Monasteri e i Canonici del Capitolo di Padova per niente disposti a rinunciare ai loro antichi diritti e privilegi. Riformò il Seminario Padovano trovato decadente, indisciplinato, in grave crisi economica e pieno di studenti privi di vocazione ecclesiastica riportandolo a un certo splendore e con 200 seminaristi; si schierò contro il Professore Angelo Antonio Fabbrointeressando Lorenzo Grimani Inquisitore di Stato che ottenne dal Senato di allontanarlo dallo Studio Padovano; e solo nel 1772 si arrese alla morte nella villa di famiglia di Treville venendo poi sepolto nella Cattedrale della stessa Padova … Altro che vecchietto il Priuli !

In chiesa di Santa Sofia al tempo di Prè Andrea Sturioni Procurator del Capitolo della chiesa, con i contributi dei fedeli, della Schola di San Francesco di Paola, e degli artisti Andrea Tiralli e Iseppo Torretti che offrirono: 15,10 e 6 ducati, si provvide a finanziare la costruzione di un nuovo organo “a sette registri, con ripieno, pifferi, voce umana, flauto, cornetta e duodecima …” commissionandolo al Prete organaro Pietro Nacchic (ossia Nacchini) ... Nel 1730 il Piovan di Santa Sofia litigò parecchio con la famiglia Sandei e con la Schola del Santissimo per l’uso di un locale attiguo alla chiesa usato come magazzino … Nove anni dopo Benedetto Marcello che era molto affezionato alla Contrada scrisse numerose composizioni liturgiche musicali per la sua chiesa e il suo Piovano Prè Antonio Capretta… Nel 1741 il solito Capitolo dei Preti di Santa Sofia dopo aver ampliato la Sacrestia a spese dei Nobili Morelli e della Schola de Depintori, deliberò di: “… supplire alle gravose spese nell'incontro dell’escavazione delle Arche riservate ai Preti Titolati sepolti in chiesa destinando a tale scopo una quota dei proventi derivati dai funerali celebrati in Santa Sofia … Per deposito dunque di tal Cassa il Capitolo commise al Reverendo Procuratore pro tempore che nell'incontro di tumulazione d'adulti in chiesa debba dall'offerto ducato per arca estraer la metà, cioé lire 3.2, e similmente dall'offerta degli “Anzoletti” sepolti in chiesa levar lire 2 e registrarle nel capitolar libro e debbasi dal reverendo procurator suddetto custodire tal annuo provento sino all'occorrenza della necessaria escavazione e supplir possi alle minute annue spese ch'insorgono per il governo e riparo delle suddette arche.”

A fine secolo Pietro Priuli possedeva una fabbrica a Selvana, e rendite a Porcia e a Rorai in Friuli… S’erano completati i lavori del Palazzo dei Priuli di San Geremia a cura di Andrea Tirali discostandosi dalla classica moda di copiare le antiche architetture Greche … I Priuli del Ramo di San Geremia erano stati un ramo povero del Casato ma di antica nobiltà, ma da quando acquisirono dai Pesarol’eredità di un palazzo nel Rio di Cannaregio s’impegnarono in tutta una serie d’imponenti acquisizioni immobiliari sparse in tutta Venezia assumendo grande prestigio fra tutti. Marc’Antonio Priuli divenne un grande Senatore della Serenissima Repubblica, e sposò la sorella del celebre Pietro Basadonna: “… il più scaltro e raffinato cortigiano che cammini il Palazzo, onde lo chiamano: “Fia mia”, che è molto più che puttana vecchia … il suo giudizio non è grande, ma politico e cortigianesco …”

L’ultimo giorno di febbraio 1760 la chiesa della Contrada di Santa Sofia di Venezia prese fuoco ma venne subito restaurata rifacendola con un nuovo organo (1773)… Nel luglio dello stesso anno Bortolo Scuri gestiva una Malvasia in Contrada di Santa Sofia per la quale pagava una rata mensile di 20 soldi al Fiscal, 20 soldi al Nodaro e 10 soldi al Fante come rata della tassa annuale che bisognava corrispondere ai Sette Savi alla Mercanzia della Giustizia Nuova ... Durante tutto il secolo la Collegiata di Santa Sofia versò e registrò in Zecca capitali obbligati legati a Mansionarie, Anniversari e Legati lasciati a Santa Sofia ottenendone “Pro” del 3 % regolarmente riscossi … La stessa Collegiata dei Preti di Santa Sofia vendette la carica d'Esatòr delle Tanse e dei Campatici della città di Verona investendone il capitale in Zezza nel Deposito Novissimo al 3 ½ % d’interesse; e investì altri 650 ducati provenienti dalla Mansionaria della quondam Perina Balduin nella Schola Granda di San Marco.

Contemporaneamente sempre lo stesso Capitolo dei Preti di Santa Sofia riscuoteva “Livelli da Schole e Suffragi”ospitati in chiesa; incassava soldi da numerosi “Livelli, Mansionarie, Legati, Anniversari ed Esposizione del Santissimo celebrati in cièsa”; possedeva e gestiva “n° 8 Case e caxette in Sant'Eufemia della Zuecca …; era proprietario di beni, 57 campi e chiusure dati a livello annuo di frumento e onoranze a coloni della Villa-Borgo di Zero nella Podesteria di Mestre. (Come già vi ho detto, questi ultimi beni erano stati ceduti per testamento ai Preti di Santa Sofia di Venezia da Lorenzo Macaruffo, e il Capitolo non si risparmiò di litigare per la loro gestione, per alcuni danni subiti, e per la vendita con le famiglie Celeghin e Gasparini, con Francesco Castrato, e col NobilHomo Ser Nicolò Pizza dal 1393 al 1784 ! … Per 4 secoli ! … Che ve ne pare ?)

Tutte le rendite del Capitolo dei Preti di Santa Sofia venivano accuratamente registrate nei “Libri Cassa” di Santa Sofia, e finivano in un unico “Partidòr” che veniva poi spartito fra i componenti del Capitolo secondo il grado della “Dignità Titolare” di cui ciascun Prete godeva il beneficio … Nel 1776 celebravano in Santa Sofia ben 45 Preti che per la maggior parte abitavano nei pressi della chiesa: molti provenivano ed erano originari da Como, alcuni da Piacenza, Scio, Avellino, Concordia, Giarre in Sicilia, Aleria in Corsica, Padova, Belluno, Brescia, Modena, Bergamo, Arbe, Bologna: 24 avevano più di quarant’anni, e undici avevano superato la sessantina: … “un piccolo esercito di celebranti che si occupava  in pianta stabile e come Api sul Miele di un succulento patrimonio e giro di Messe” ... Fin dal 1300 i Veneziani erano consueti a recarsi in pellegrinaggio fino al Santuario di Sant’Osvaldo a Sauris di Sotto in Friuli, e avevano costruito a Venezia in Santa Sofia un altare dedicato a quel Santo. Nel 1752 i Preti Luzzana e Trognon di Santa Sofiapensarono bene d’incrementare quell’antica devozione istituendo a Venezia una Schola o Compagnia di Sant’Osvaldo. L’idea piacque a quelli della Contrada ed ebbe successo venendo approvata anche dal Consiglio dei Dieci nell’anno seguente. Dieci anni dopo la Schola di Sant’Osvaldo contava ben 250 associati iscritti fra cui 43 Religiosi, 2 Monache, 100 uomini fra cui c’erano anche dei Nobili, e 200 donne fra le quali c’erano anche alcune Nobili Dame.

Nell’ultimo quarto del 1700 nel Confinio di Santa Sofia risiedevano 555 famiglie Veneziane con 904 uomini fra 14 e 60 anni: considerati abili al lavoro. In Contrada poi abitavano anche 11 famiglie Nobili che non lavoravano e vivevano solo di rendita rappresentando il 36% dell’intera popolazione della Contrada che contava 2.535 persone in tutto. 64 erano i Cittadini, 480 gli Artieri, 53 i Religiosie i Preti, 799 le Donne di cui 98 lavoravano come Servepresso i Nobili … I Putti fino ai 18 anni erano: 416, mentre le Putteerano: 393; gli Uomini sino ai 50 anni: 631, sopra i 50 anni: 181 … C’erano inoltre presenti: 50 Forestieri, 62 Servitori de Casàda, 20 Gondolecon altrettanti Barcaroli, e 2.090 “Aneme da Comuniòn”… Nel ministero di Piovano in Parrocchia e Contrada, a Prè Collauto seguì Prè Martino Ortolaniche era abile Predicatore Quaresimalista, autore del trattatello: “Il Libro del Cristiano ossia l’uso del Crocefisso”, e capace di radunare a casa sua un’Accademia Ecclesiastica che studiava la Scrittura a cui partecipava anche il Canonico Cicuto Capo Ispettore di tutte le Scuole Pubbliche di Venezia.

Nel dicembre 1787 accadde in Contrada di Santa Sofia un altro fatto insolito: Abram Geremia Calimani di 58 anni, figlio del Rabbino Simone Calimani, ricevette il Battesimo Cristiano-Cattolico alla Pia Casa dei Catecumeni nel Sestiere di Dorsoduro dopo aver percorso tutto l’itinerario catecumenale di rito Cattolico. Nell’occasione venne accompagnato dal Nobile Girolamo Ascanio Molin, da Francesco Ballarin, e dal suo Piovano di Santa Sofia: ossia Don Martino Ortolani di cui vi ho detto poco fa.

In quegli stessi anni i Priuli aggiunsero due Barchesse laterali e un Oratorio dedicato a Sant’Andrea e alle Sante Elisabetta ed Elena alla loro Villa Signorile di Piove di Sacconel Padovano. Ci misero dentro anche un bel altare barocco intarsiato con marmi policromi … ma vollero che gli spazi interni alla chiesetta fossero ben demarcati e distribuiti per riservare posti “adatti e alti” per i Padroni Nobili e altri “più bassi” per la semplice servitù. (La villa verrà utilizzata come ospedale militare durante la terza guerra d’indipendenza, mentre durante la prima guerra mondiale fu alloggio di sfollati, magazzino e sede del Comando Tedesco. Venne incendiata nel 1940, ma dal 1957 venne nuovamente adibita ad uffici e magazzino di tabacchi)… Nel 1772 le proprietà più consistenti di Nicolò Tron(uno degli ultimi boss dell’antica Serenissima) vennero intestate a Loredana Tron moglie di Antonio Priuli che possedeva 100 ettari a Gambararee 355 ettari a Cà Tron a Musestre… Cinque anni dopo Elena Querini nelle sue lettere ricordava che due dame veneziane furono costrette a ritirarsi in casa per comando pubblico. Avevano trasgredito al decreto che impediva di andare a teatro senza maschera ed abito confacente allo stato nobiliare. Secondo le voci che circolavano per Venezia, le due donne apparivano spesso a teatro: “… vestite con la massima indecenza ed ornate a capriccio …”

Le due Nobildonne erano una Priuli nata Labia ed una Toderini nata Bon… Nel 1781, invece, l’Accademia dei Nobili della Giudecca presentò una supplica alla Quarantia Civil Vecchia lamentando il mancato introito di 200 ducati annui dovuto per testamento del 1623, da parte della NobilDonna Anna Maria Priuli a cui erano pervenute le sostanze del NobilHomo Ottaviano Bon ... A fine 1700 nella Terra del Friuli esistevano le piccole proprietà di 100-200 ettari delle famiglie Friulane dei Sbruglio, Valentinis, Asquini, Girardis e Fabris che affidavano a fattori la gestione le loro tenute. La maggior parte delle terre Friulane appartenevano però a 3 Famiglie Nobili Veneziane: i Riva, i Priulie i Morosiniche da sole possedevano 2.345 ettari ossia il 34,6% dell’intera superficie catastatica del Friuli.

Nel 1789 nella chiesa di Santa Sofia venne fondata la Compagnia dei Morti per volontà dei Veneziani della Contrada e soprattutto grazie al generoso contributo di Antonio Sgualdini venditore di pentole. La Compagnia si preoccupava soprattutto di far celebrare ogni anno tutta una serie di Messe per i Morti di cui il Sacrestano di Santa Sofia rilasciava quietanza di pagamento al Cassièr della Compagnia dei Morti registrando tutto puntualmente in appositi registri ... Se si voleva celebrare Messe per i Morti nei giorni festivi bisognava pagare un apposito supplemento … Nel 1794 divenne Piovano di Santa Sofia Prè Giovanni Capretta, poeta Bernesco e autore del poema: “Il Mondo della Luna” scritto quando fu costretto a riposo a causa della “Podàgra”mentre era Parroco a San Nicolò di Barbuggio nel Polesine. In Santa Sofia di Venezia fondò l’Accademia dei Sofronomi che nel 1803 si fuse con la famosa Accademia Veneta e Letteraria di Santa Apollonia.

E siamo finalmente al 1800 … Era ora direte !

Nei primi anni del secolo Bartolomeo IV Priuli ereditò tutto l’ingente patrimonio dei Nobili Priuli “che avevano continuato a fare alto e basso nella Contrada di Santa Sofia alla maniera che sapevano fare i Nobili”… All’ultima Visita Pastorale del Patriarca Flangini prima della “tempesta napoleonica”, quando ancora il Fornaio Martino Gattiebbe il coraggio di far fabbricare in Calle del Forno in Contrada di Santa Sofia un Oratorio-Anconeta dedicato alla Natività di Maria e a San Roccocollocandovi dentro un vecchio Capitélo di legno molto venerato dai devoti della Contrada … Nelle congiunte Contrade di Santa Sofia e Santa Caterina si contavano 3.500 abitanti soprattutto Veneziani ... Nei pressi di Santa Sofia era attiva la Spezieria da Medicine “Ai due Persici”, e operava in pianta stabile una levatrice ... Fra i tanti fedeli e devoti che risiedevano in Contrada si annotava e segnalava un solo impenitente, e un solo concubinario: Gabriele Piazza che era: “oscuro Professore Alchimista e uomo di cattivo nome”.

Intorno alla chiesa di Santa Sofia ruotava ancora la vita e l’attività di 22 Preti fra i quali c’erano anche un Napoletanoe un Trevisano… Si teneva e insegnava la Dottrina Cristiana per le Putte nella chiesa di Santa Caterina che era “assai ben frequentata” … e il Piovano possedeva una rendita di 1.250 lire annuali provenienti per 202,14 ducati dall’affitto di 2 case e 7 botteghe a Venezia, e da alcuni livelli e da 1 quarto d’affitto di vari campi in Terraferma.

Gli altri titolati della Collegiata di Santa Sofia possedevano come entrate: il Primo Prete 109 ducati con spese di 34 ducati; il Secondo Prete 87 ducati con spese di 32 ducati; il Terzo Prete 85 ducati con spese di 30 ducati; il Diacono 123 lire nette; e il Suddiacono 98 lire nette ... Uno soltanto dei Preti: Don Bagolìn, era dedito al vino e in certe occasioni faceva chiasso in Sacrestia: “… Prete indiscreto, torpido e intrigante”dicevano di lui i suoi colleghi Preti, “Vuole soggiornare senza permesso e gratis a Zero nel villino rovinato dall’invasione dei Francesi e destinato alla famiglia del Procuratore del Capitolo di Santa Sofia e a spese di codesto …”

In chiesa dove si predicava tutto l’anno, si celebravano l’Ottavario dei Morti, e i Vespri tutte le domeniche eccetto che nella stagione invernale … Nel solo 1802 si celebrarono ben 810 Messe da Funerale, altre 5.000 vecchie Messe perpetue finanziate da antichi testamenti risalenti ancora al 1600 e 1700; 32 fra Esequiali e Anniversari, e altre 1.000 Messe avventizie “ordinate al momento”.

Giunti i Francesi a Venezia, nel 1810 tutte le pale d’altare di Santa Sofia compresa l’“Ultima Cena” di Paolo Veronese(trasportata alla Pinacoteca di Brera di Milano), e le portelle d’organo del Palma(finite prima in Seminario e poi all’Accademia) vennero prese e portate via insieme ai paramenti liturgici, le suppellettili di chiesa e ogni altro arredo di valore. La Municipalità Provvisoria requisì argenterie in Santa Sofia per un valore di 472,3 ducati, il Capitolo dei Preti e il territorio della Contrada vennero annessi a quelli di San Felice e Santi Apostoli, e la chiesa di Santa Sofia venne venduta dal Regio Governo a degli imprenditori Ebrei che ne fecero magazzino di sabbia chiudendo molte delle 16 finestre, e vendendo il pavimento alla vicina chiesa della Maddalena… Il 30 aprile 1812 il Governo comunicò al Patriarca di Venezia: “… essendo mancato ai vivi il Parroco di Sant’Ermagora e Fortunato (San Marcuola), ed essendo stato sostituito al medesimo il Parroco della riunita chiesa di Santa Sofia che porta con se la congrua di lire 276, ed essendovi la circostanza che la parrocchia di Sant’Ermagora non ha che la rendita fondiaria di lire 107,6, propongo d’investire definitivamente il Parroco di entrambe le rendite perché passino a suoi successori come congrua stabile di Sant’Ermagora e Fortunato…”

Furono le ultime schermaglie giuridico-economiche del nuovo Governo di Venezia circa la chiesa di Santa Sofia … Nel gennaio 1815 il Locale della chiesa di Santa Sofia in Venezia e annessi vennero inclusi nella “Lista delle vigne, orti, beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti”Prè Giovanni Bellomo ex Prete di Santa Sofia, Letterato e Professore di Storia e Filosofia inneggiò  prima a favore “della nuova idea Francese”, poi fu prontissimo a cantare la vittoria dell’Austria su napoleone esaltando l’arrivo a Venezia del Patriarca Milesi e dell’Imperatore Francesco I°(come sempre la Chiesa si schierava dalla parte del più forte e di chi le conveniva di più)… Nel 1817 l’ex Capitolo soppresso di Santa Sofia possedeva ancora alcuni stabili dall’affitto non pagato, alcuni fondi posseduti da beneficiati defunti, qualche bene in terreni a Zero che le procurava una rendita annuale di 285,51 lire, e una Vigna a Malamocco di proprietà del defunto Parroco di San Giovanni Crisostomo che rendeva lire 70,01 annue … Alla Visita del Patriarca Pirker esistevano ancora in circolazione 20 abiti della Madonna di Santa Sofia, e 5 vesti e 3 faccioli per vestire “la Madonna in piedi”, e perfino “una statua di Sant’Osvaldo vestito” … mentre nel 1823 l’organo di Santa Sofia costruito dal Callido venne trasportato a Sant’Antonio di Pellestrina dove si trova tuttora ... Infine nel 1834-36: Giovanni Battista Rebellini impiegato del Lotto e nipote di un Padre Somasco ricomprò gli edifici di Santa Sofia per 3.500 lire Austriache contanti (secondo una voce maligna anonima: “… quei soldi erano stati frodati al Banco del Lotto”).

Santa Sofia venne perciò restaurata: si portarono via burci su burci di macerie, si raccolsero numerose offerte dai fedeli e da ex Sacerdoti della stessa chiesa come Prè Antivari e Prè Avon (6.152 lire Autriache in tutto). La famiglia Zoppetti pagò il restauro di un muro, altri ridussero per motivi statici e restaurarono il tozzo e ora sproporzionato campanile collocandovi una formella di Sant’Antonio Abate recuperata in chiesa … Si rifece il pavimento in cotto e un nuovo altare con i rimasugli di quegli vecchi andati distrutti, e si posero sopra due statue di “San Luca e Sant’Andrea”offerte dalla Famiglia Colombo che le aveva recuperate dall’incendiata e distrutta chiesa di Santa Maria dei Servi di Cannaregioche sorgeva non molto lontano da Santa Sofia.

Si regalarono nuove argenterie, Messali, candelieri d‘ottone, sete, banchi e quadri perchè tutto l’arredo originario era andato perduto … L’impresario Veneziano Varetton donò un paio di busti, un lavello in marmo per la Sacrestia, finanziò il restauro delle Cappelle laterali e la ridipintura della navata principale con aggiunta di affreschi e stucchi ... Un certo Barbison regalò un Crocifisso che venne collocato sull’Altare Maggiore … la Famiglia Dal Senno offrì due tele della Scuola di Leandro Bassano: “L’Adorazione dei Magi” e un “Cristo deriso”… il restauratore Antonio Florian diede un quadro con “San Carlo Borromeo”Maddalena Berardi da Venezia mise a disposizione una pala realizzata dal Vicentino Giambattista Maganza con: “La Vergine, Santa Veneranda e Sant’Antonio da Padova” che venne riadattata a un altare tagliandola in tre pezzi ... E dopo aver speso 6.288,87 lire si fece finalmente ribenedire la chiesa dal Patriarca Jacopo Monego riaprendola al culto.

Il Rebellini per completare l’opera destinò per il mantenimento della chiesa uno stabile di sua proprietà che avrebbe dovuto procurare una rendita annuale di 130 lire. Santa Sofia venne perciò restituita ai fedeli della Contrada che non esisteva più, come Oratorio di San Felice e con l’onere di mantenerla aperta pena il passaggio dell’edificio in libero uso agli eredi dello stesso Rebellini.

Nel maggio 1792 nacque a Venezia Marc’Antonio Secondo Nicolò Priuli. Educato nel Seminario di San Cipriano di Murano, socio dell’Ateneo Veneto, fra gli “Scienziati Italiani” nel 1847, fu sostanzialmente un uomo moderato e di mediazione. Come Assessore Municipale di Venezias’impegnò con Pietro Du Bois, Pietro Bigaglia e il Podestà Domenico Morosini fra 1828 e 1831 per ottenere dall’imperatore Francesco I il Porto Franco di Venezia, e con Daniele Manin, Leone Pincherle, Valentino Pasini, Gian Francesco Avesani, Agostino Sagredo e il Podestà Giovanni Correr fu protagonista del biennio del Risorgimento Veneziano nel 1848-49.

Insieme all’Abate Pietro Canal, suggerì ai Veneziani che era meglio arrendersi e non resistere all’Austria perché ne avrebbe subito le ritorsioni. Per questa sua posizione centinaia di Veneziani andarono a manifestare violentemente sotto Palazzo Priuli, ma quando Venezia capitolò all’Austria lo scelsero con Manin, il Patriarca Jacopo Monico, il Podestà Correr, il Principe Giuseppe Giovanelli, Giacomo Treves de’ Bonfili ed Edoardo Becker per trattare con gli Austriaci.

Priuli si recò in delegazione a Viennasottomettendosi all’Imperatore e provò a convincerlo a non essere punitivo con Venezia confermandole il privilegio del Porto Franco. L’Imperatore stizzito con Venezia per le spese di guerra inizialmente non accettò la proposta, ma si ricredette nel 1851 proprio per le insistenze dello stesso Marc’Antonio Priuli che nominò Cavaliere di terza classe dell’Ordine Austriaco della Corona Ferrea. Il Priuli però rifiutò la candidatura a Podestà di Venezia, e nel biennio rivoluzionario e fino agli ultimi momenti della sua vita, dedicò energie e sostegno economico alla diffusione degli Asili dell’Infanzia per le classi popolari sviluppati a Venezia dal 1830 sull’esempio di quelli realizzati a Cremona da Ferrante Aporti

Marc’Antonio Priuli morì a Venezia l’11 febbraio 1854, senza lasciare eredi chiudendo così l’ennesima pagina dell’antica saga dei Priuli che fra 1843 e 1874 possedevano ancora terre a Meolo, Dolo, Vigodarzeree nel Polesine, oltre che una tenuta di 850 ettari a Turriaco di Monfalcone.

Ancora nel 1853 nella chiesa di Santa Sofia “dove pioveva dentro”, si continuava a celebrare pratiche devozionali come la Via Crucis, e ogni Martedì Santo si andava ad esporre fino a mezzogiorno le Reliquie della Passione impartendo una solenne benedizione finale per i pochi fedeli dell’ex Contrada rimasti che continuavano a presenziare a quei riti. La chiesa aveva più che mai bisogno di restauri urgenti per i quali Don Epis Parroco di San Felice chiese aiuto al Governo in quanto l’edificio lasciato dal vecchio Rebellini(andato in fallimento) non era sufficiente al mantenimento della chiesa che sopravviveva grazie alle sole elemosine dei fedeli (lo stabile del Rebellini messo a disposizione di Santa Sofia era sito a San Sebastiano. In realtà era gravato da numerose ipoteche, e non venne mai donato veramente e giuridicamente alla chiesa).

Nel 1872 si provvide a realizzare e aprire “la Strada Nuova” che congiungeva Rialto con la Stazione Ferroviaria attraversando tutto il Sestiere di Cannaregio … Il Rettore di Santa Sofia: Don Missiaglia fece riattare la chiesa rifacendo l’atrio-ingresso e altercò non poco col vecchio Rebellini in quanto il Prete-Piovano aveva già ceduto al Comune parte del fondo dalla chiesa per ottenere dei finanziamenti per i restauri, e intendeva anche vendere qualche opera d’Arte e un paio di campane di Santa Sofia. Il vecchio che aveva salvato la chiesa dalla rovina e dalla demolizione non voleva saperne di quelle manovre.

“Sono io il padrone qua dèntro … e fuori della porta vedo lo stemma di sua Eminenza il Patriarca e non il suo …” gli ribadì storicamente Don Missiaglia furente. Non fu di certo riconoscente con quell’anziano donatore che di fatto salvò Santa Sofia.

Nella Visita Pastorale del Patriarca Cavallari del 1907, su Santa Sofia si scrisse: “Nulla di rilevante.”… Nel  1911 il Piovano di San Felice Monsignor Luigi D'Este realizzò il Patronato di Santa Sofia nei locali semiabbandonati della chiesa … Alla Visita Pastorale del 1919 col Patriarca La Fontaine si richiamò la necessità di rinnovare gli arredi, gli abiti liturgici, i Confessionali, d’indorare la porticina del Tabernacolo, rimuovere i fiori di cartapesta polverosi e smunti messi in giro per la chiesa, e rimediare alle tovaglie degli altari incartapecorite e pregne d’umidità ... I Patriarchi Piazza (1945) e Agostini(1951) di fatto non aggiunsero altro di significativo … e siamo ai giorni nostri: Santa Sofia non è più quella di un tempo ... così com’è cambiata quasi del tutto la vita di quelli della sua Contrada, di tutti i Veneziani, di Venezia e di tutto il resto.

E’ rimasta soltanto la Storiaa volte inseguita e frequentata da pochi curiosi ... come te che sei riuscito a leggere fino a qui le mie forse noiose parole.




Viewing all articles
Browse latest Browse all 357

Trending Articles



<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>