#unacuriositàvenezianapervolta 227
Gli antichi Canonici e le Mùneghe Bianche de San Danièl de Castèo
Oggi San Daniele di Castello non esiste più: è solo un nome o poco più nel pittoresco e periferico Sestiere di Castellodi Venezia … Sembra sia solo una Fondamenta assolata dove sventolano ordinari mutandoni e panni stesi ad asciugare al sole ... Se provi a chiedere in giro del perché di quel nome “appeso là”, qualcuno ti potrà dire: “Mah ? … Boh ? … Non so … Forse qua ghe gèra una cièsa o un Convento de Mùneghe o de Frati che se ciamàva cusì ? … O forse qua abitava Daniele Manin …”
“Manin ? … Nol gèra proprio un Santo ?”
“Eh … già … Allora proprio non so.”
Effettivamente la zona di San Daniele di Castelloè area urbana Veneziana desueta, riservata, appartata, quasi sempre silenziosa … E’ Quartiere-Insula Militare di 13.000 mq circa, collocata sul Rio delle Vergini a sud-est dell'Arsenalecol quale è direttamente collegata mediante una passerella. Ospita di fatto nell’ex Caserma: 53 alloggi e servizi della Marina Militare riattati unitamente al Demanio Comunale di Venezia negli anni 1994-1997 spendendo qualcosa come 6 milioni di euro circa … euro più euro meno … I moderni fabbricati inglobano insieme a un vecchio rifugio antiaereo il poco che resta dei due chiostri a pilastri dell'antica Corte Monasteriale di San Daniele.
La leggenda tarda avvolge gli inizi di San Daniele raccontando di una Venezia delle origini: quella di San Danieledi Castello, si dice, essere stata una delle chiese più antiche della città. Secondo tradizione era stata eretta dai Brandinisso: Famiglia Bizzantinagiunta a Venezia, di cui faceva parte un certo Bono condannato a morte per aver preso parte alla congiura contro Angelo Partecipazio nel 820 ... Altra leggenda, invece, riporta che San Daniel venne fondata dai Nobili Bragadin più o meno nella stessa epoca.
Poco cambia: tutti gli inizi a Venezia sono spesso fantasiosi, ricostruiti tardivamente, e collocati spesso fra Storia e Leggenda.
Diciamo piuttosto una parolina sul nome-titolo di San Daniele… Beh: lo sapete tutti: Daniele era un “personaggio-Santo”dell’Antico Testamento Biblico: uno dei quattro Profeti così detti Maggiori insieme a Isaia, Ezechiele e Geremia… Ecco allora emergere ancora una volta anche in quell’area discosta di Venezia quell’attitudine Orientale di Venezia che considerava e faceva spazio in Laguna a culti dimenticati o volontariamente ommessi dal resto della Cristianità Occidentale… Era una Venezia Porto di Mare oltre che tollerante, anche aperta a tutto e ad ogni incontro ed esperienza … San Daniele di Veneziae Castello andava quindi collocato accanto agli altri nomi Biblici Antichi importati in Laguna, come: San Moisè, San Samuele, Sant’Isaia (San Stae), San Geremia, San Giobbe e San Zaccaria. Quelli erano titoli-dedicazioni a Santi un po’ singolari e diversi dimenticati e messi da parte quasi da tutti: non si trovavano in giro per l’Europa dedicazioni e titolazioni intestati a loro. A Venezia: si, invece … Perciò: ecco quindi un’altra gustosa singolarità della nostra amata Città Lagunare.
Di sicuro nell’angolo più settentrionale dell’isola di Castello compresa fra Rio de le Verzene, Rio de San Daniél, il Rielo e il Rio de Sant’Ana, venne fondata inizialmente, forse nel 820 d.C, una primitiva chiesetta in legno dedicata a San Daniél Profeta, mentre il primo documento che ne cita l’esistenza risale al 1046, cioè: duecento anni dopo. Sembra che la chiesuola sorgesse già in una Corte di piccole case che fungevano anche da Monastero raccolte intorno a un cortile posto a fianco della chiesetta, mentre altre casupole stavano addossate al muro di cinta che delimitava la proprietà del Convento prospicente il canale che contornava l’isola collegata da un piccolo ponte col resto del Sestiere. Il piccolo complesso era affacciato dalla parte opposta su tre saline e tre “piscariole”, di cui una apparteneva alla chiesola,situata giusto dove sarebbe in seguito sorto l’Arsenale Nuovo di Venezia.
In quegli stessi anni in quell’area discosta ma vivissima di Castello accadeva tutto un intenso lavorio e giro di piccoli capitali: nell’agosto 1046 Domenico Vescovo Olivolense figlio di Bono Contarini, ad esempio, vendette per 15 mancosi di denaro a Vitale Malipiero da Castello col consenso del Doge Damiano Contarini: una terra sita presso“San Daniel” stipulando un apposito contratto a Rialto.
San Daniele c’era già quindi … Ma poco cambia: in un altro documento del 1138 si racconta che il Vescovo di Olivolo-Castello Giovanni Polani donò a Manfredo Abate di Fruttuaria un terreno acquitrinoso a Castello-Olivolo per costruirvi una nuova chiesa e Monastero.
E qui vi voglio !
Venezia era diventata un evento, una novità importante sullo scenario mondiale di allora, e il suo futuro suscettibile attirava l’attenzione di tanti, compresa quella dei Monaci Benedettini di Fruttuaria.
Fruttuaria ? … Ma che era ? … Un’Abbazia di antichi Monaci fruttivendoli forse ?
Assolutamente no … Fruttuariaè un nome che probabilmente vi dirà poco o niente, ma che in quei tempi: parliamo circa degli anni intorno al 1000, faceva venir la tremarella a tutti per il prestigio e la grandezza che aveva … Era un Ente Ecclesiasticopotente, che chi lo sentiva nominare pensava subito al top del top: al meglio di quanto c’era in giro di Monacale, ricco, politico, strategico ed Ecclesiastico … Quelli di Fruttuaria erano gente-Monaci particolari a cui valeva la pena far sicuro riferimento, un immenso onore, una gran finestra spalancata per Venezia sul resto del Mondo Italico ed Europeo dei“Grandi” che contavano.
L’Abbazia di Fruttuariaera un posto lontano dall’altra parte dell’Italia, non a due passi da Venezia ma bensì in fondo al Piemonte, in una zona collinare a 21 km da Torinopresso Chivasso, quasi ai piedi delle Alpi Graie e del Gran Paradiso prossimi alla Francia.
A dirvi la verità, mi ha sorpreso non poco di trovare giustapposto San Daniele Profeta di Castello di Venezia con i nomi dell’antica Congregazione Benedettina di San Benigno di Fruttuaria, ma anche con quelli di San Martino di Tripoli e San Romano di Ferrara. Negli Archivi Veneziani e Veneti si conservano documenti pergamenacei e “atti pubblici” risalenti al lontano 1000-1100 d.C. in cui si fa a loro esplicito riferimento ... Vecchiotti vero ?
L’Abbazia di Fruttuaria dedita alla Santa Madre di Dio, ai Martiri Benigno di Digione e Tiburzio, e a Ognissanti, era un’importantissima Abbazia di almeno cento Monaci sorta poco dopo l’anno mille nel territorio di San Benigno Canavese. Da lei dipendevano molti altri Priorati, Abbazie, Prepositure e semplici cellesparse in tutta Europa. La posa della sua prima pietra datata: 23 febbraio 1003, avvenne alla presenza del Vescovo d’Ivrea Ottobiano, e soprattutto di Arduino Marchese d’Ivrea e Re d’Italia con sua moglie Berta degli Obertenghi.
La volontà di fondazione dell’Abbazia venne però attribuita a Guglielmo da Volpiano Feudatario Comitale della zona e della località “in selva Gerulfia qui ab incolis appellatur Fructuaria”: luogo da riproduzione d’agnelli (in latino medievale: “fructus” indicava il parto). La zona quindi doveva essere un pecoraio, una zona d’ovili ...Altri, invece, ritengono che il toponimo indicava un terreno fertile … Poco cambia: lì sorse il nuovo grande complesso abbaziale.
Guglielmo non era un ometto qualunque, oltre ad essere artefice di numerose architetture realizzate in Francia (Digione, Fécamp, Bernay, Mont-St-Michel, St-Germain-de-Prés) oltre che nel Piemonte (Sacra di San Michele, San Giusto di Susa, San Giulio in Isola sul Lago d’Orta), era soprattutto una delle maggiori figure della Riforma Cluniacense-Benedettina che in quel momento storico stava cambiando l’intera cultura Europea.
Guglielmo oltre a garantire fin da subito (1015-1016) l’indipendenza e la sicurezza economica dell’Abbazia Fruttuariense con un ingentissimo patrimonio, fece sottoscrivere a ben 324 firmatari di tutta Europa uno straordinario documento da lui redatto in cui si narrava fondazione e storia dell’Abbazia, e volle anche promuovere e irradiare in tutta Europa le elogiatissime Consuetudines Fructuarìenses, cioè le Regole di Fruttuaria che furono testo di riferimento per tutti e per molti secoli.
Anche Ottone Guglielmo Conte di Borgogna discendente di Berengario IIconferì a Fruttuaria tutti i suoi possedimenti a sud delle Alpi.
Come da tradizione dei Monasteri Transalpini, nel Presbiterio col “Santo Sepolcro di Gerusalemme” i Monaci Fruttuariensi in occasione degli annuali Riti Pasquali rappresentavano e inscenavano drammi sacri incentrati sull’episodio della “Visita delle Pie Donne al Sepolcrodel Risorto”. A tal scopo si realizzavano nelle chiese e nelle Abbazie quelle copie simboliche in muratura o semoventi in legno della Tomba del Cristo o Santo Sepolcro. La progettualità era ispirata alle descrizioni dei Pellegrini che si recavano in Terra Santa, e quello di Fruttuaria era il “Santo Sepolcro” in muratura più antico e prestigioso dell’Italia Settentrionale di allora.
Le Consuetudines Fructuarienses tramandano con ricchezza di particolari la suggestiva azione scenica che si svolgeva nella chiesa Abbaziale la mattina di Pasqua: la cerimonia iniziava col trasporto in processione da parte dei Monaci dell’importante Reliquia del Santo Sepolcro procurata per Fruttuaria dallo stesso Guglielmo da Volpiano. L’azione scenica del tutto interpretata dagli stessi Monaci, proseguiva poi con gli Angeli che attendevano seduti dentro al Santo Sepolcro annunciando: “Venite et videte locum ubi positus erat Dominus”. Allora i Monaci che interpretavano le “Tre Marie Pie Donne” entravano nel Sepolcro, e ne uscivano subito dopo insieme ai Diaconi-Angeli mostrando a Monaci e Popolo la Santa Reliquia del Sudario del Cristo, e avanti così di certo in una suggestione cerimoniale che doveva essere altissima.
Oltre la facciata della chiesa di Fruttuaria si estendeva un vasto avancorpo di portici affacciati su uno spazio aperto: forse il Cimitero, mentre accanto all’edificio ecclesiastico sorgeva la grande torre campanaria su sei piani dotata di due cappelle sovrapposte affrescate collegate da scala “intra muros”.
Insomma l’Abbazia era una cittadella attorno alla quale sorse progressivamente sotto il stretto controllo degli Abati un fiorente borgo agricolo, che ospitava anche le maestranze adibite alla costruzione e al servizio del Monastero. Nell’Abbazia sorsero diverse scuole artigiane; i Monaci si occupavano di Agricoltura, Architettura e di Letteratura, Arte, Miniatura e Pittura nel loro ambitissimo Scriptorium. All’apice del suo successo, Fruttuaria, che arrivò a contare su 1.200 Monaci distribuiti in 85 chiese e 30 Monasteri di cui possedeva rendite e beni, batteva moneta propria … Papa Giovanni XIX con apposita Bolla la mise sotto il suo diretto controllo con tutti i beni delle sue “Quattro terre abbaziali” di San Benigno Canavese, Montanaro, Lombardore e Feletto... Nel 1070 il Vescovo di Colonia Annone visitò Fruttuaria portandosi via alcuni Monaci per riformare la sua Abbazia di Siegburg.
Non tutto fu oro splendido ovviamente … Non mancarono a Fruttuaria gli eccessi e il malcostume dei Monaci, come accade sempre nella Storia, e in più di un’occasione s’insabbiarono e misero a tacere vicende, azioni turpi e soprusi, e vere e proprie incursioni che insanguinarono i centri vicini all’Abbazia.
L’Abbazia di Fruttuaria era famosa ovunque anche per un altro fatto importante: lì aveva vissuto i suoi ultimi giorni e venne sepolto un grandissimo nome di allora: Arduino di Dadone o da PombiaMarchese d'Ivrea dal 990 al 999, e poi Re d'Italia dal 1002 al 1014. Arduinofu uno dei promotori della realizzazione della stessa Abbazia, e dopo averne fatte di tutti i colori in tutta l’Italia Settentrionale di allora combattendo Imperatori, scannando Vescovi, bruciando Duomi e città, e subendo scomuniche Papali, Sinodali e Imperiali, si ritirò a vivere là i suoi ultimi anni morendo nel 1015. Venne sepolto con grandi onori sotto all’Altare Maggiore della chiesa, dove venne venerato per secoli da Monaci e Pellegrinicome fosse un mezzo Santo ... che non era stato affatto.
Furono curiose, infatti, le vicende successive di quella tomba … A cavallo fra Storia e Leggenda, verso la seconda metà del 1600, il Cardinale Ferrero Abate di Fruttuaria considerò indegno il fatto che fossero venerate come Sante Reliquie le ossa di quell’antico Re Arduino. In fondo era stato solo: “uno scomunicato uccisore di Vescovi”… Perciò le fece prelevare e seppellire in terra sconsacrata mettendo fine a quell’inconsueto culto e “dannando la memoria di quell’incauto Re mezzo eretico”.
Sempre secondo la Leggenda, un pio Frate spiò l'Abate segnandosi il luogo della sepoltura, perciò molti anni dopo, il Conte Filippo di Agliè discendente di Arduino, saputo del luogo della sepoltura, fece riesumare le ossa facendole trasportare, inumare e rispettare nel suo castello dove rimasero fino al 1764. Quando il castello passò ai Savoiaindifferenti, se non ostili, all’epopea di Re Arduino, quei miseri resti passarono deliberatamente in totale dimenticanza. Sorte però volle che ci fosse la Marchesa Cristina di Saluzzo Miolans, moglie del Marchese Giuseppe di San Martino, ex proprietario del castello, e amante del Conte Francesco Valperga di Masino dei Conti di Canavese, che si considerava discendente di Re Arduino. La donna per far dispetto ai Savoiae accontentare il suo uomo: s’introdusse nel Castello Ducale di Agliè, e trafugò la cassetta con i resti di Re Arduino trasportandoli nel Castello di Masino abitato dai "legittimi discendenti”dell’antico Re Italico.
Ancora oggi quei miseri resti reali riposano ancora là nella Cappella del Castello di Masino di proprietà F.A.I.
Ma era stato davvero così grande quel Re Arduino ?
Credo proprio di si … Aveva sposato Berta degli Obertenghi o di Luni o D’Esteda cui aveva avuto tre figli maschi. Probabile Berta era figlia di Oberto II Margravio della Marca Obertenga, di Milano e Genova, Conte Palatino di Luni e Tortona, e con diritti sul Feudo Monastico di Bobbio, su Pavia, Piacenza, Cremona, Parma e sui territori Comitali di Padova, Monselice, Ferrara, Gavello di Rovigo e sulla Marca di Tuscia.
Bella lista vero ?
La figlia Berta a sua volta non era affatto un donnino qualunque: la sua dote includeva terre nelle Contee di Tortona, Parma e Piacenza. In precedenza aveva sposato in prime nozze Olderico Manfredi al quale aveva dato tre figlie, e con lui aveva fatto grandi donazioni congiunte all’Abbazia di Fruttuaria, e fondato il Convento di Santa Maria a Caramagnae l'Abbazia Benedettina di San Giusto a Susa dove collocare le Sacre Reliquie di San Giusto da Novalesa. Dopo la morte di Olderico, Berta aveva agito come reggente di Susa a nome della sua giovane figlia Adelaide, e catturato a tal titolo nel 1037 i congiurati che volevano attraversare le Alpi dal Piemonte verso la Champagne andando contro l'Imperatore Corrado II. L’Imperatore riconoscente l’aveva ricompensata emettendo per lei un apposito Diploma Imperiale che ne confermava il ruolo preminente, comprese tutte le donazioni che aveva fatto alle Abbazie Piemontesi.
Una gran donna insomma …
Beh: quello stesso Oberto II si unì appunto con Arduino d'Ivrea nel 1002 rivoltandosi contro Enrico II il Santo Imperatore del Sacro Romano Impero.
A farla breve: l’Abbazia di Fructuarianon fu affatto un chiesotto di campagna con quattro galline a razolàr davanti sul sagrato, ma fuprobabilmente l’iniziativa di maggior prestigio Politico-Religioso posta in essere nelle Canavese e nell’Italia Settentrionale durante tutto il Medioevo fino a quando, nel 1477, i Monaci persero il privilegio di nominare il loro Abate sostituito da un Abate Commendatario di nomina papale. L’Abbazia di Fruttuaria diretta da un Vicarioinseguì un veloce declino fino alla sua soppressione decretata nel 1585 da Papa Sisto V, che sfrattò i Monaci sostituendoli con una Collegiata di Preti Secolari ... L’ultimo Monaco Fruttuariense morì nel 1634.
Avete capito adesso chi erano e quanto valevano quei Monaci Fruttuariensiche si spinsero fino a Venezia ?
S’insidiarono allora in Laguna approfittando della donazione del Vescovo di Olivolo-Castello, e fu lì: a San Daniele di Castello che per secoli si diedero un gran da fare … a loro modo ovviamente.
Nel 1138 arrivarono quindi a Venezia i Monaci di Fruttuaria inviati da Manfredo Abate di San Benigno di Fruttuaria, e subito si dedicarono ad ampliare il posto costruendovi il loro nuovo Monastero in pietra dove s’insediò il primo Abate Fruttuariense Veneziano: Leone Da Molin… Nello stesso anno, Enrico Dandolo Patriarca di Grado donò alla nuova comunità il Monastero di San Giorgio in Pineto sul Lidodi Jesolo soggetto alla sua giurisdizione.
Nel 1165 fu il turno di Papa Alessandro III a porre il Monastero di San Daniel di Venezia sotto la diretta protezione della Santa Sede, e ne confermò la tutela nel 1177 con amplissimo diploma conferendo al Monastero Lagunare particolarissimi privilegi e concessioni, fra cui la giurisdizione sulla chiesa-Abbazia di San Martino di Tripoli tolta dal controllo di Arcuino Vescovo di Cittanova dell’Istria in cambio di un censo annuo da offrire al Vescovo di Cittanova nel giorno della Solennità di San Pelagio Martire.
San Daniele di Castello piano piano levitò e crebbe d’importanza. Venne consacrata solennemente nel 1219 da Ugolino Cardinale Ostiense futuro Papa Gregorio IX, e il primo di maggio di ogni anno riceveva la visita del Doge e della Signoria di ritorno dal Monastero “Maritale” delle Verginidi Castello.
Poi fu tutta una girandola impazzita di soldi, transazioni, lasciti, compere, vendite e cessioni fatte dai Monaci. Protagonista iniziale di tutto quell’ambaradàn e ben di Dio fu Alberto o Alberico Priore di San Daniele, che doveva essere un gran affarista e maneggione insieme al Nobile Veneziano Leone Da Molin di professione: Avvocato… e di fatto: Abate-Procuratore del nuovo Monastero del Sestiere di Olivolo-Castello.
Alla fine del lontanissimo aprile 1140: ancora Manfredo Abate di San Benigno di Fruttuariavendette beni per lire trentasei di denari lucchesi, nel Contado Ferrarese in località Donorio e Parasacco e una terra in località Cerignanodi proprietà della chiesa di San Romano di Ferrara ad Alberto o Alberico Priore di San Daniele di Castello di Venezia, che agiva tramite il solito Leone Da Molin suo Avvocato ... In autunno a Rialto: Dorotea vedova di Marco Todero da Castello vendette per lire otto “di nostre monete” allo stesso Priore di San Daniel una terra a lei pervenuta dal defunto marito a sua volta ricevuta da Cono del Contado “Marianensi” ... Di nuovo lo stesso Priore Alberto de San Daniel, l’anno seguente, concesse a Domenico di Grauso un casale con terreno in località Via de Lugure o Liogure o Lievore per annuo canone in generi, e a Leonardo un manso in fondo Donòroin due terre site in località Lo Dosso de Rio Caurarolo per un annuo denaro lucchese.
E poi: avanti sempre così: negli anni seguenti cambiarono i nomi dei protagonisti, ma non gli scambi, gli incroci di persone e di affari, che, invece, s’incrementarono sempre di più … Nel giugno 1145 a Rialto: Massimo Urso figlio di Domenico dal Confinio di San Pietro di Castello vendette a Graziano Priore di San Daniel una terra adiacente al Monastero per lire trenta di denari veneziani … In agosto: Giovanni di Albrizo, avendo ricevuto da Liuzo Priore di San Daniel ed altri Monaci, col consenso dell’immortale Leone Da Molin, una terra in località Donòro, si obbligò a pagare annuo canone in generi … come Domenico Garcido, che ricevette da Guglielmo Rettore di San Daniel una terra in Bucca de Longuria.
E poi ancora: nel 1146 Gregorio Vescovo di Treviso donò al San Daniel le chiese di San Biagio di Canale e la Cappella di Sant’Agata di Mogliano “in ville que dicitur Rimannorum” site nel Comitato di Treviso. In cambio volle una annua libbra di incenso ed una libbra di olio … Allo stesso tempo: Elena e Prasma sua figlia donarono a Bonsignore Priore di San Daniele di Venezia una terra nello stesso Contado Trevigiano presso il fiume Zero, mentre Dodo ed Imani coniugi di legge romana gli vendettero per lire venti di denari veronesi una terra nello stesso Contado tra Zero e Sermasone.
Due anni dopo d’inverno a Rialto, il nuovo Priore di San Daniel Lanfranco fece quietanza ai fratelli Marco e Domenico Donno del Confinio di San Martino di Castello della restituzione di un prestito fatto al loro padre Pietro ... Nell’estate 1150, invece, a Parasacco,Olderico Priore di San Daniele di Venezia concesse ad Alberto figlio quondam Aimone di Lunardoun campo in località Donòrio per annui due denari di lucchesi, proprio quando Ottone figlio di Conone da Mestre donò al Monastero di San Daniel un manso in zona Trevigiana a Parlano sotto Mestre, e Treviso Filippo Priore del Monastero delle Sante Maria e Fosca di Treviso concesse ad Antonio Monaco Procuratore di San Daniele di Venezia due mansi in zona Trevigiana a Mogliano e Rimania per venti lire veronesi.
La lista continua ancora lunghissima: a Cutinadiga, Aristello vendette a Domenico Priore di San Daniel una terra in Rimania di Mogliano per lire quattordici di denari veronesi, mentre a Ferrara: Pietro Cariolo, ricevuta da Arnaldo Priore di San Daniel una terra in fondo Donoro, si obbligò a pagare annui due veronesi e cinque lire “una volta tanto”, allo stesso tempo in cui Guglielmo ed Adelarda del defunto Guglielmo di Montesello concesse a Paolo Procuratore dello stesso Priore un manso per annuo denaro veronese.
In quegli stessi anni si scompose per ben due volte di seguito perfino il Papa Alessandro III da Montpellier in Francia concedendo speciali Privilegi ad Arnaldo Priore di San Daniele di Castello confermandogli diritti e proprietà, la giurisdizione su San Biagio di Canale, Sant’Agata di Mogliano, e su tutti gli altri beni acquisiti in Padovana, Trevigiana, e a Parasacco di Donorio nel Ferrarese dove Arnaldo Priore si affrettò a concedere due terre ai fratelli Viviano e Domenico obbligandoli a pagare un denaro annuo.
Il nuovo Priore di San Daniel: Montegrande o Mongrande recandosi di persona prima aSan Leonardo di Denore e poi nella sperduta Parasacco, concesse ancora aGuidone ed Orabonaun’altra terra in Parasacco obbligandoli a pagare: “annuo canone in generi”, mentre a Ottobono da Finale vennero date cinque terre del fondo Donoro, sopra la strada Lunguri, da Tana, Tallatha, dal Trivio, da via a Fundatha ancora “per annuo canone in generi”.
Di nuovo a Caga in Sacco: Uberto Priore di San Daniel concesse ai coniugiGraziano ed Alberga una terra nella stessa Caga in Sacco “per annuo canone in generi”, e ai coniugi Fregnano e Rosaaltri beni a Parasacco in località Campo Perduto per quarantadue soldi di imperiali.
Intanto nel giugno 1173 a Venezia: Marco Orso figlio di Domenico Orso dal Confinio di San Pietro di Castello donò a Graziano suo fratello Monaco in San Daniel: una terra a Castello comperata da Caruza Donato, mentre Marco Nicola Vescovo di Olivolo-Castello concesse al Priore dei Canonici di San Daniel una porzione del Lago di Castelloadiacente alla loro stessa chiesa.
Potrei continuare ancora tantissimo raccontando di saline, altre vigne e terreni agricoli dati in gestione dai vari Priori di San Daniel a Parasacco dove a volte si consegnava al Monastero di San Daniele la metà della vendemmia, a Porto di Maggio Finale dove si dava al Monastero di San Daniele: 1/3 di tutti i frutti, e a Bosco di Guidotto, Taljata, Bussagula di Mestre, e di numerosi sedimi di manso, chiesure e casali acquisti e poi concessi a livello o “per decima” soprattutto in Rimania di Sermasone a Mogliano: per lire venticinque veronesi “una sola volta”, ma dopo averli acquistati per sole tre lire … E ancora: il Monastero acquistò altri numerosi terreni e beni a Arimaniade Molianis, ne scambiò altri con Palmiera Badessa di Santa Maria di Moglianoche pagava “le Decime” ai Monaci di San Daniel di Venezia ... e poi c’erano il fiume quasi inesauribile delle donazioni, dei testamenti e delle rinunzie a favore sempre dello stesso Monastero di San Daniel: un business immenso, che mai ci aspetteremmo da un Monastero di Monaci.
A Porto di Mestre, ad esempio: Wicemanno da Rimania di Mogliano vendette a Sebastiano da Vicenza del Confinio Veneziano di Sant’Antonin nel Sestiere Castello una terra in Rimania di Mogliano per lire centotrenta. Sebastiano da Vicenza la girò e donò subito ad Aicardo Priore di San Daniele ... I Monaci di San Daniele di Venezia, insomma, sapevano far bene i loro affari: compravano e vendevano, e davano di continuo in concessione a terzi: a Perdia vedova di Pasquale Da Molin dal Confinio di Santa Ternita di Castello, ad esempio, guadagnandoci ampiamente sopra … All’occorrenza i Monaci sapevano anche essere prepotenti e poco arrendevoli se secondo loro serviva: chi non ci stava alle loro condizioni veniva trascinato a processo dove, ad esempio: Guizzardo di Ariberto e Bongiovanni Giudici di Villanova di Ferrara decisero di un feudo a favore del Priore di San Daniel contro i villici Peppone di Grausoe nipoti contumaci: assenti perché poco informati … Per chi poi non si sottoponeva alle Sentenze: erano dolori, come per Girardino da Rivarolo, ad esempio, che si trovò costretto a pagare anche delle penalità in denaro che andarono al Monastero … Quasi sempre avevano ragione e vincevano i Monaci di San Daniel de Venetia, come con Naulo da Piove e Daniotto suo nipote che dovettero cedere al Priore: terre e casamento per pochi denari veneziani.
“Stessa musica” durante tutto il secolo 1200 quando le cose non cambiarono affatto. Ci furono numerose liti e cause d’appello per beni, “ordini di vigne”, mansi, “braide”,e “concole e chiesure di terra”fra i Monaci e chiunque: ne fece le spese una volta Guglielmo degli Inforziati che s’inguaiò con i Monaci per 23 staia di frumento immagazzinate nella sua casa di Mercatello a Parasacco… Un’altra volta al centro di tutto finì una vigna in località Valle dei Merli a Rovereto di Ostellato. Finirono dentro alla questione e davanti al Giudice: Notai, Vescovi, Procuratori, Villici e la vignaiola Buonissima ... San Daniel non guardava in faccia a nessuno: difendeva a spada tratta tutto ciò che era suo.
E continuarono indefesse le compravendite, gli “investimenti a feudo” dei Monaci Procuratori di San Daniele, i guadagni e le riscossioni delle “Decime”, l’incorporazione di beni, prati e boschi, “giorni di sale” lavorati dalle Saline … a Medelana e Rovereto di Ostellato di Ferrara, e ancora a Parasacco, a Romania di Mogliano, a Piove di Sacco, a Massafiscaglia Pieve di San Vitale territorio di Medelana in Villa di Fabbrico, e a Cavarzere, Veternigo, Favaro, Cavergnago, Bisagola o Bissuola, a Pedrisina e lungo i corsi dei fiumi: Sile, Zero e Dese nella zona ad est e a sud di Treviso dove c’erano altre proprietà di Enti Monastici Veneziani come Sant’Antonio delle Monache di Torcello e San Lorenzo di Castello che possedevano più di 100 campi trevigiani ossia 52 ettari, e inviavano di continuo come i Monaci di San Daniel: Gastaldi e Fattori di loro fiducia e gradimento per esigere censi in frumento e pagamenti ... Chi non pagava il dovuto o le relative tasse: veniva scomunicato.
Nel maggio 1217: Agnese Badessa di San Giovanni Battista di Jesolo(Equilo) promise a Rialto a Robaldo Priore di San Daniel di Castello di pagargli annualmente cinque soldi di denari veneziani come affitto di una terra sita a Mogliano in località Sermasone.
L’anno seguente in agosto, invece, a Rialto,Pietro da Vidor dal Confinio di San Simeone Profeta Procuratore del Monastero di San Daniele incrementò i possedimenti dello stesso Monastero offrendogli un’altra terra sita sempre a Mogliano. Poco dopo quel terreno venne dato in uso a Mestre, e Maria figlia del Pellettiere Giovanni garantì che su quel manso del Monastero si sarebbe sempre tenuta a pascolo una quantità sufficiente di bestiame, mentre Giovanni Bono ed Ottonello suo figlio promisero di pagare per la concessione in uso dello stesso terreno: un annuo canone mantenendovi un bue.
Il 07 febbraio 1219 fu un giorno storico per San Daniele di Castello, perché Ugolino Cardinale e Vescovo di Ostia(futuro Gregorio IX) su insistenza del Priore Alberto della CasaMadre di Fruttuaria si recò a consacrare la nuova chiesa innalzata a Castello con l’intervento di ben sette Vescovi. Oltre ai Monaci, i Nobili Veneziani, e il Doge con la Signora, presenziarono al solennissimo Rito Consacratorio: il Patriarca di Grado Angelo I Barozzi, il Vescovo di Olivolo-Castello Marco Nicolai, e i Vescovi di Brescia, Vicenza, Reggio, Feltre e Sithia di Creta. Ogni Vescovo per l’occasione concesse indulgenze ai visitatori presenti e futuri di quel nuovo tempio, e Marco Nicolai Vescovo di Castello donò al Priore Alberto per il sostentamento dei Monaci un fondo con una casa di legno, due mulini e un lago con argini intorno siti lì nei pressi a patto di ricevere ogni anno otto giorni prima della festa dei Santi Apostoli: una misura d’olio come segno di omaggio ... Non ancora contento, lo stesso Vescovo di Castello col Capitolo dei Canonici di San Pietro di Castello donò agli stessi Monaci di San Daniel una chiesola in Contrada di Santa Maria Formosa, e anche la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo… che venne “girata” qualche anno dopo ai Padri Mendicanti Domenicani(futuri potentissimi e temuti Padri Inquisitori) che stavano a dormire miseri sotto al portico di San Martin di Castello.
Il Monastero di Castello era un Porto di Mare: in tanti andavano e venivano … Qualcuno si fermava lì stabilmente come i coniugi Giovanbuono da Parasacco e la moglie Formosa che si fecero Conversi del Monastero versando a Vercellino Priore lire 30 di denari ferraresi, e donando la loro proprietà e i beni che possedevano a Parasacco ... Stessa cosa fece Enrigino dei Tadi da Padova unitamente alla moglie Alessandrina: lui si fece Monaco in San Daniele, e lei si dedicò nello stesso posto “a vita contemplativa”donando al San Daniel 150 lire e la metà di due mansi, cioè 65 campi, siti nel bosco di Sacco in Contrada di Terranova riservandosene l’usufrutto vitanatural durante. Ogerio Priore di San Daniele col Capitolo dei Monaci in cambio: diedero a Enrigino dei Tadi e alla moglie l’uso di una casa da abitare “vita durante” adiacente al Monastero, nel posto dove abitava anche Maria moglie di Matteo da Bora del Confinio di Santa Marina che era però obbligata a pagare annuo canone.
Non erano però solo dediti agli affari i Monaci … Nel settembre 1219, Giovanni Arciprete di Ferrara fu costretto ad annullare il matrimonio fra Margherita e Parisio dopo aver scoperto che costui aveva nascosto la sua identità di Converso del Monastero di San Daniele di Castello in trasferta a Ferrara dove Ugolino di Lancia e suo figlio Belincino ferirono Frate Inginanno Procuratore del Monastero di San Daniele in visita a una terra a Medelana di proprietà del Monastero.
Nel 1230 avvenne poi un gran baruffone fra B. Abate di San Martino di Tripoli della Diocesi di Cittanova e i Monaci di San Daniele di Castello circa il controllo economico sulla stessa Abbazia di San Martino. Ci finirono dentro un po’ tutti: Bongiovanni Monaco di San Daniele di Venezia, Gerardo Vescovo di Cittanova, Guido Vescovo di Jesolo(Equilo), il Piovano di San Ermagoradi Venezia(San Marcuola), e Catulo Arcidiacono, Facino “Magister Scholarum” di Cittanova, un certo Mastro Paganino, e perfino il Papa Gregorio IX che convocò tutti ad Aquileia per intendersi e riconciliarsi risolvendo la faccenda. Alla fine si emise una sentenza con la quale si stabilì che il Rettore dell’Abbazia di San Martino di Tripoli sarebbe stato nominato dal Priore di San Daniele, ma avrebbe prestato giuramento di fedeltà al Vescovo di Cittanova… E così si pose fine a quel gran casino di soldi e Monaci ... Ma, siccome gli affari erano affari, si ordinò a Domenico Abate di San Martino di Tripoli di pagare due moggi venetici di grano e quattro anfore di vino a Ogerio Priore di San Daniel.
Venezia Serenissimaintanto non rimase a guardare: Stefano Badoer, Nicolò Cauco e Marino Ambasciatori del Doge Giacomo Tiepolochiesero che i beni appartenenti al Monastero di San Daniele siti a Denore, Parasacco, Medelana e nel Polesine di Capo Pide venissero riconfermati, e che eventuali turbative fossero giudicate dal Podestà di Ferrarainsieme ad altri rappresentanti eletti dai Veneti ... Subito dopo tale intesa, Giovanni Michiel e Giacomo Barozzi Legati del Doge per gli affari di Ferrara notificarono al Villano degli Aldigerii, a Marchesino dè Massaroli, e al Giudice Molinario di ridare al Monastero di San Daniele di Castello il possesso dei beni siti nel Ferrarese che gli spettavano.
E ripartì di nuovo la lite con l’Abbazia di San Martino di Tripoli: da una parte si schierarono a favore di Ogerio Priore i San Danielegli Abati Oberto di Fruttuaria e Giovanni insieme a Olrico Priore, Guglielmo Preposto, Uberto Cellerario, Pietro Camerlengo, Martino Elemosiniere, Pietro Sacrista, Arduino “Cantor” e altri 17 Monaci; dall’altra c’era, invece, Domenico Abate di San Martino di Tripoli di Cittanova da solo, a cui venne intimato con lettera di consegnare senza tante storie i beni della chiesa-monastero a San Daniele di Venezia pena la scomunica.
L’Abate Domenico rifiutò di acconsentire a quel comando, per cui si scatenò contro di lui l’ira sia di Papa Innocenzo IV che del Vescovo di Caorle che gli commisero di: “restituire in integrum tutti i beni e diritti del Monastero di San Daniel”.
Tutto si quietò quando Cadolo Arcidiacono Emonense Procuratore del Vescovo e del Capitolo di Cittanova fece quietanza ad Ogerio di San Daniele dei censi dovuti e di due annualità di censo future a iniziare dalla Festa di San Pelagio ... L’Abate Domenico venne invitato a presentarsi a Venezia entro 10 giorni per rendere conto, e venne ammonito di non più intromettersi nell’amministrazione dei beni di San Daniel.
Qualche anno dopo a Venezia: Bonaccorso Vescovo di Cittanova continuava a fare quietanza al Priore di San Daniele di una libbra di pepe e di una di incenso come censo annuo dovuto dall’Abbazia di San Martino di Tripoli di Cittanova.
A metà agosto 1250 a Ferrara: Albertino dè Figareti ricevette a livello da Arduino Priore di San Daniele una pensione annua di un ferrarino e un terzo di un casale sito a Parasacco per 25 soldi ferraresi, perché ne aveva spesi altrettanti per portare frumento in nave da Parasacco fino al Monastero di Venezia … In cambio lo stesso Albertino dè Figareti da Parasacco rinunciò ad ogni suo diritto su una terra che possedeva a Parasacco dandola al San Daniel col suo Priore Arduino ... Più o meno nello stesso tempo: Marco Contarini Avvocato della Contrada di San Silvestro, Consigliere e Patrocinatore e Nunzio Speciale del Monastero di San Daniele concesse a Mastro Berrardo figlio di Bartolomeo una terra in Terranova in Contrada Dal Nespolareda lavorare al canone annuo di 30 starii di frumento da consegnare aRodolfo Priore di San Daniele insieme alla terza parte dei frutti e alla Tassa di Decima.
Qualche anno dopo, invece, Giovanni Priore insieme al Capitolo dei Monaci di San Danielricevettero a Rialto un mutuo da Giovanni Grapiis da Chioggia Maggiore del valore di lire 60 di denari veneziani per acquistare bestiame concedendogli le rendite dei beni siti a Chioggia Maggiore a Denore pertinenza di Parasacco, località Prato Nogara per sei anni al prezzo di lire 100 di denari veneziani. Quella somma incassata dal Monaci venne impiegata per riattare tutto il Monastero di Castello a Venezia.
Come vedete e potete costatare il Monastero di San Daniel era più che altro una vera e propria Agenzia d’Affari e Immobiliare più che un’Abbazia di spiritualissimi Monaci … I tempi erano quelli, e anche a Venezia si usava così con buona pace di tutti.
E la Serenissima ?
Lasciava fare … Solo nel 1305 e nel 1326 chiese di acquistare dal Monastero di San Daniel il grande Lago de San Danièlper ricavarne la Darsena Granda dell’Arsenal Novo ... I Monaci di Castello, col beneplacito del lontano Abate della CasaMadre di Fruttuaria, e del Vescovo di Castello-Olivolo che aveva giurisdizione su tutta la zona ovviamente accettarono … In cambio la Serenissima offrì al Monastero una bella rendita annuale in denaro ... I Monaci erano proprio pingui.
Infine, come per ogni Storia al Mondo, iniziò la decadenza e il calo veloce quanto inesorabile del Monastero di San Daniel con i suoi Canonici Fruttuariensi… In brevissimo tempo scemò l’osservanza della Regola Benedettina, scese drasticamente il numero dei Monaci, e rimase a Castello solo il vecchio Priore Giorgio di San Giorgio del Piemonte: uomo perverso, avido, riottoso, e notoriamente scismatico che era giunto a parteggiare per l’Antipapa Clemente VII… Papa Urbano VI riconosciuto dai più come Successore Titolare di San Pietro lo fulminò e sospese mandandogli contro a suo nome l’Abate di San Giorgio Maggiore di Venezia di fronte a Piazza San Marco … Il Priore Giorgio venne quindi cacciato, e al suo posto s’insediò come Priore Antonio Gallina Monaco Professo di San Giorgio Maggiore.
I lontani Monaci di Fruttuarianon presero bene quella soluzione, e tornando ad imporre a San Daniel un loro Priore … E si andò avanti così, fin quasi a metà del 1400, quando Michele da Sebenico ultimo Priore di San Daniel dipendente da Fruttuaria si dimostrò del tutto inetto e incapace d’amministrare e governare il Monastero di Castello “che cadeva rovinoso” ... Alla fine il vecchio Monaco si arrese non senza “far capricci”, e rinunciò al suo titolo Abbaziale pretendendo però una pensione di 100 ducati annui sulle rendite del Monastero … Solo dopo lasciò libero il posto ... forse non era così stupido come si diceva di lui.
Terminò così la grande stagione di San Daniele di Castello gestito dai Canonici di Fruttuaria come fosse una megazienda ricchissima tutta dedita agli affari.
E la vita Monastica, la Preghiera, e quelle cose là ? … Beh dai ! … Non siamo sofistici … “Quelle cose là” secondo i Monaci di allora potevano benissimo aspettare: prima venivano i soldi e gli affari no ? … e quel “prima”durò secoli.
A riprova di questi, fin dal 1272 a San Daniele i Monaci Canonici di Fruttaria ospitarono una tipica e antichissima Schola di Devozione e Arte-Mestiere Veneziana: la Schola della Madonna di Marina dei Merciai e Marineri di Chioggia… Pensate che i Monaci si siano interessati a seguirla assistendo spiritualmente i Confratelli Iscritti alla Schola ? … Macchè ! … Niente di niente … La Schola in balia di se stessa si trascinò per un bel po’ di secoli fino al 1634, dopo la Peste, quando venne rifondata su autorizzazione del Consiglio dei Dieci, che ne permise anche il trasferimento da San Daniel a San Francesco di Paola dove la Schola resistette fino alla caduta della Repubblica. All’arrivo dei Francesi a fine 1700, gli Iscritti alla Schola della Madonna di Marina erano ancora ben 492.
Quel che è più curioso è che situazioni simili erano considerate come normali e accettabili da tutti: non solo dai Monaci interessati, ma anche dalla Serenissima col suo Doge, dai Nobili e da tutti i Veneziani: allora si viveva così.
E volete sapete il colmo di colmi ? … Nonostante i Canonici avessero navigato per secoli nell’oro un po’ come il Paperone Disneyano, lasciarono il Monastero di Castello in situazione davvero disastrosa: ridotto a un rudere cadente … Incredibile no ?
Chiesa e Convento quindi su indirizzo di Papa Eugenio IV, col consenso della Nobile Famiglia Bragadin, e su ordine del Patriarca Lorenzo Giustiniani finirono in mano nel 1437 alla pia donna Chiara Ogniben Sustan che provvide a inserirvi alcune Monache Agostinianeprelevandole dal Monastero di Sant’Andrea della Zirada(oggi presso il People Moves di Piazzale Roma). Papa Alessandro IV si affrettò in seguito ad assoggettare le Monache ai Canonici Lateranensi di Venezia dimenticando la vecchia storia di Fruttuaria, mentre Giulio II le trasformò a sua volta in vere e proprie Canonichessecon relativi privilegi, “rocchetto” e abito bianco che andò a sostituire quello vecchio grigio ... Fu così che a Venezia s’iniziò a chiamarle “le Canonichesse Bianche”, e con loro incominciò il nuovo capitolo della storia di San Daniele di Castello.
Le Monache di certo non intendevano andare ad abitare dentro a una topaia, perciò per prima cosa avviarono grandi restauri e rifacimenti che si protrassero dal 1451 al 1473 modificando il primitivo assetto gotico di San Daniel ... Poi, se i Canonici prima s’erano dati da fare … Eccome che s’erano dati da fare !!! … Beh … Le Monache nuove arrivate non vollero essere di sicuro da meno nella gestione di San Daniela confronto con i predecessori maschietti: perciò restauri e abbellimenti di chiesa e Monastero proseguirono almeno per un altro secolo e mezzo.
La chiesa di San Daniel di Castello divenne quindi davvero bella a vedersi: a partire dalla grande Abside con tre Cappelle a pianta quadrata, era suddivisa in tre navate sorrette da tredici colonne in marmo rosso di Verona collocate sull’antico pavimento davanti al Coro Pensile delle Monache. Il chiesone possedeva ben nove altari e l’Altar Maggiore "con ben inteso disegno, et di finissimi marmi"ornato nel 1663-1664 dalla colossale pala Barocca dipinta da Pietro Berettini detto Pietro da Cortona su commissione della Badessa Foscarina Diedo con: “San Daniele nella fossa dei leoni” ... Pietro da Cortona era in stretto rapporto a Roma con l'Ambasciatore di Venezia Niccolò Sagredo(futuro Doge nel 1675), e dipinse la pala pel le Monache di San Daniel a Roma inviandola arrotolata a Venezia.
La pianta del De’ Barbari del 1500 mostra San Daniel come edificio gotico con facciata a lesene rivolto verso l’Arsenale di Castello: la chiesa conventuale era preceduta da un portico e mostrava sulla destra il campanilequadrato a trifore con cuspide conica e pinnacoli.
Di volta in volta la chiesa venne poi arricchita da pregevoli opere d’arte realizzate da firme famosissime: Jacopo e Domenico Tintorettodipinsero: l’“Adorazione dei Magi”, la “Visita ai Pastori”, la “Nascita di Maria”, e la “Disputa di Santa Caterina con i Dottori”. Alvise Vivarini da Murano, invece, dipinse due tavole circa nel 1485: “una Santa Martire e Santa Chiara”ricordate dal Boschini nel 1664 come poste ai lati di un altarolo sotto al Coro delle Monache, il Fiammingo Maarten de Vosrealizzò due tele con le “Storie de San Daniel”, Alessandro Varotari detto il Padovanino realizzò il “Battesimo di Gesù”, Massimo Cappuccino cioè Marco Basaitidipinse nel 1498 per le stesse Monache: “San Girolamo e Sant’Agostino”,Ottavio Angeran: la“Vergine col Bambino, San Giuseppe e i pastori”, Luca Giordanoun“Annnunziata”, Zanchi: un quadro lungo collocato sopra il Coro delle Monache, e Francesco Pittoni due mezzelune con:“Azioni della Vita di Cristo” e la “Sacra Famiglia”.
Dentro al sontuoso chiesone le Monache non mancarono di procurarsi e conservare: “un Santo Dito di San Giovanni Crisostomo”, “una Santa Porzione della mascella di San Beda Monaco detto il Venerabile”, “un nodo di San Quirico fanciullo e Martire”, “un’articolazione del Santo Dito di Santa Margherita Vergine e Martire” pure lei, “una porzione delle Sante Ossa di San Pietro, di San Paolo, San Giacomo Minore, San Filippo, San Mattia e dei Santi Giovanni e Paolo”, ovviamente: “un Santo Osso del Santissimo Profeta San Daniele”, e “il Corpo Santo di San Giovanni Duca d’Alessandria”.
Niente male ! ... Davvero una bella scorta di Sante Reliquiecapaci di calamitare in continuità Pellegrini e Veneziani.
La risposta dei fedeli Veneziani e non già ve la immaginate: non si fece attendere ... Nobili e Cittadini iniziarono a beneficiare ulteriormente il Monastero delle Canonichesse Bianche, e a desiderare di trovare onorevole sepoltura in San Daniel. Nel 1478: Nicolò Grandiben Ducal Secretario figlio di “Marchiò paron de nave”e suo figlio Girolamo, pure lui Ducal Secretario, vollero per testamento beneficiare chiesa e poveri di San Martin di Castello facendosi seppellire in chiesa di San Danieldove fecero sorgere la loro Cappella Funebre di Famiglia lasciando annuo legato alle Monache “a propria Memoria”.
A inizio secolo accadde un fatto strano fra le Monache di San Daniel: l’episodio di una Monaca visionaria: Suor Maria Angela Salvadori che venne prontamente rinchiusa nel campanile della chiesa a pane e acqua, e poi dichiarata pazza e bistrattata dalle altre Monache. Morì nel 1521, ma alla fine venne considerata mezza Santa tanto da seppellirla su di un altare in chiesa.
Dopo quel prodromo insolito le Monache ebbero un buon periodo d’Osservanzatanto da essere inviate nel 1521 a riformare le vicine scapestrate Monache Cistercensi della Celestia che in quel momento storico ne stavano facendo di tutti i colori.Inutilmente nel 1519 il Patriarca Contarini dopo una Visita ispettiva al Monastero in accordo col Consiglio dei Dieci e con le due sorelle Loredan: rispettivamente Priora e Abbadessa della Celestia, aveva trasferito lì alcune Monache Cistercensi dai Santi Mattio e Margherita di Mazzorbo, e poi quelle diSan Daniel di Castello con l’intenzione di riformare il Monastero Veneziano ... Niente da fare: fu un completo fallimento.
Le Monache con familiari e parenti al seguito guidati dal Nobile Marco Loredan si recarono in Collegio dove c’era anche il Patriarcae il Vicario per dolersi fortemente del fatto che s’erano introdotte nel Monastero anche le Monache di San Daniel che appartenevano ad un altro Ordine mentre avrebbero preferito consorelle del proprio ... Il Collegio diede ragione al Patriarca.
E non fu tutto … Di nuovo nell'agosto seguente, e di nuovo le quattro Badesse Conventuali di Santa Maria delle Vergini di Cà Donato, San Zaccaria di Cà Michiel, e quelle della Celestia e Santa Martaaccompagnate da molti parenti si recarono in Collegio. Anche stavolta era presente il Patriarca giunto apposta da Mirano ... Le Monache si gettarono ai piedi del Doge, e la Badessa delle Verginipronunciò un forbito discorso-orazione in latino a difesa della propria libertà ed economia: “… A San Zaccaria dove le Monache erano tutte Nobili, ora sono poste Monache di un altro Ordine ed altra Regola ed abito e bastarde Greche e popolari … qual anni 760 è sta cussì, e hanno speso ducati 46.000 ne la chiesa e Monasterio e nel Refettorio bellissimo e li è stato tolto …”Le Monache aggiunsero ancora protestando che al Monastero di Santa Chiaraerano state date appena 11 staia di frumento, e che non avrebbe avuto vino perché era tempestato ... I parenti alla fine si accanirono anche con villanie contro il Vicario del Patriarca… Il mese dopo il Patriarca annunciò al Consiglio dei Dieci che il giorno prima le Conventuali della Celestia avevano abbattuto il muro che conduceva al granaio delle Osservanti, ed accusò il loro Procuratore Girolamo Girardo di aver favorito l’incidente. Il Girardo citato in Consiglio si giustificò dicendo che le Monache avevano agito così solo dopo che il Patriarca aveva dato l’ordine alle Osservanti di cedere parte del grano alle Conventuali ... Aggiunse che lo stesso Doge aveva autorizzato la Badessa Loredandi abbattere il muro, e di fronte a quelle giustificazioni tutto fu messo a tacere ... Il mese seguente, ed era ottobre, le Monache ripreso a vivere a loro modo spandendo e spendendo come se non fosse accaduto niente.
Insomma: a Venezia e in Laguna con le Monache stava succedendo un gran casino ... Nel 1564, ossia qualche decennio dopo, il Monastero di San Daniel era prospero: pagava 12 ducati annui per l’organista e ne spendeva 30 ogni anno per allestire e animare con grandi celebrazioni e mangiate le due feste di San Daniele e San Giovanni Martire… Il Monastero possedeva rendite annuali da diversi beni immobili a Venezia, e 35 ettari di campi a San Giacomo di Musestrelle dove vennero censite: 12.300 piante fra Viti, Onari, Stroperi, Talponi, Salgheri e Noghere da nose … Le Monache erano ricche insomma: tanto è vero che a fine secolo riattarono, abbellirono e modificarono un’altra volta la chiesa.
Poi a inizio 1600 anche le Monache di San Daniel finirono col scatenarsi … Papa Clemente VIII venendo a sapere del modo disordinato di vivere delle Monache di San Daniel, si affrettò ad affidarne il controllo e la giurisdizione direttamente al Patriarca di Venezia sottraendole alla sua diretta sudditanza e dipendenza.
Aveva visto giusto il Papa: le Monache di San Daniele di Castello avevano perso del tutto il controllo del loro stile di vita trasformandosi in gaudenti, e passando con disinvoltura di scandalo in scandalo senza alcun ritegno ... Era di pubblico dominio a Venezia che le Monache di San Danielpraticavano scandalosamente col Nunzio Pontificio Offredo Offredi da Cremona Vescovo di Molfetta, con Domenico Bollani Vescovo di Canea, e con diversi altri Nobili Veneziani: perfino con Pietro Pellegrini Segretario del Consiglio dei Dieci.
Due Monache: Suor Livia Vedoa Portinaia, e Suor Innocenza Ottobon Vicaria denunciarono ai Provveditori Sopra ai Monasteriche il Podestà di Vicenza Francesco Badoer ed il Segretario dei Dieci praticavano in continuità il Monastero frequentando carnalmente con Suor Ludovica Chicco e con Suor Anzola Soranzo... Il Vescovo Bollanibaciava sulla bocca Suor Zanetta Balbi alla porta del Monastero, e il Nobile Marco Antonio Michiel si baciava, invece, con Suor Eletta Balbi. Le Suore accusarono inoltre Suor Ludovica di aver ritratto il suo amante con le sembianze da San Francesco venerandolo nella sua cella, mentre la Balbipossedeva il ritratto “in oro” del Nunzio … Suor Serafica Balbi coinvolta in uno scandalo lamentò d’essere “Monaca forzata”: “… sono stata tradita dalli miei propri parenti … Vorrei piuttosto esser nata da un fachin …”
Partì un’indagine che venne affidata ai Padri della Carità che fecero di tutto per raffreddare e ignorare la cosa senza intervenire in alcun modo.
Venne fuori poi ancora che il Nobile Giulio Dal Molin, già ammonito a non entrare nel San Daniele, vi entrava tranquillamente, e si aggiunse che in una festa in maschera fatta nel Convento c’era stato presente anche il Nunzioriconosciuto da certi effetti personali che indossava ... Le Monache riferirono ancora che erano stati segati alcuni ferri delle sbarre alle finestre, e che alcune Monache avevano fatto amicizia con i Guardiani di una delle Torrette dell’Arsenale da dove andavano a vedere le Suore e parlare con loro a cenni.
A fine aprile 1604 la Priora di San Daniel Suor Clementia Spinosavenne convocata e comparve per i fatti davanti ai Provveditori ai Monasteri affermando di non saper nulla e che non c’era nessun disordine nel Monastero. Anche le due denuncianti: Innocenza Ottobon Vicaria e Suor Livia Vedoa Portiera ritirarono la denuncia negando di saper qualcosa: erano state minacciate pesantemente … Due mesi dopo però arrivò l’ammissione di Suor Aurelia Foscarini che raccontò che nel Parlatorio il Dal Molin faceva presenti e baciava Suor Serafica, e che la Priora era costretta a stare al gioco ... Il Dal Molin stava aspettando in barca gli esiti della Visita dei Provveditori ... Anche Suor Ottavia Contarini ammise che il Podestà Badoer si era trattenuto nel Parlatorio scuro del Monastero con Suor Ludovica mentre il Segretario Pellegrini era stato nel Parlatorio Grando con amiche e parenti e Suor Querina, Suor Ottoboni, la Ziliola e la Soranzo ... Suor Livia Vedoa ammise infine di aver visto entrare il Badoer, il Michiel, il Dal Molin, il Pellegrini e il Vescovo Bollani che visitava la sua amata Suor Pisani.
Alla fine: tutti vennero assolti eccetto il Nobile Dal Molin a cui furono inflitti in contumacia 10 anni di bando da Venezia e dai Territori della Serenissima ... Un gran casino insomma.
Nel 1609 il Patriarca Francesco Vendramin di nuovo in Visita esortò ancora le Monache del San Daniel ad evitare stoffe fini e colorate, specialmente la seta, ad indossare un alto soggolo, una lunga veste e a coprire le spalle e petto con veli in abbondanza ... I capelli dovevano essere tagliati corti e non si dovevano assolutamente tenere: funghi nelle tempie e boccoli o zuffi diabolici in capo ... Erano permesse solo scarpe basse, e abiti e biancheria delle Monache dovevano essere identici.
Altri episodi simili sospetti accaddero ancora lungo tutto il corso del secolo segnalati dalle Visite del Patriarca Zane: nel 1616, 1666, 1680, 1682 e 1684: c’erano frequentazioni fra Preti e Converse, presenza di Musici in Convento, visite, doni, serenate e canzoni ... Le Monache nei giorni di magro avrebbero dovuto cavarsela con sole due uova al giorno ... mentre in realtà … Le Monache lasciavano in eredità: vestiti, mobili e anche intere celle arredatissime, e tralasciavano le devozioni personali troppo spesso dedicandosi a perseguire profitto personale: cucendo, ricamando vestiti, fazzoletti ed accessori che vendevano fuori dal Convento in tutta Venezia ... Lo stesso Senato Terra aveva speso per il Nuovo Bucintoro venti ducati e sei piccoli dandoli proprio alle Monache di San Daniel: “per la fattura di aver recamatto il felze e la Giustizia della Barca Dogale”.
Nel febbraio 1616 si avviò un processo: “per frequenza di un Prete con una Conversa, ricevendo da essa doni, ecc ...”
Nel 1624 le Canochesse Bianche erano 79, le Converse 17 e 6 le “fie a spese”cioè le Educande … Circa dieci anni dopo le Canonichesse erano diminuite di numero: erano solo 51, le converse 21 e le “fie a spese” soltanto 3 ... Dieci anni dopo ancora: 44 Monache e 20 Converse … era iniziato un declino di San Daniel ?
Negli anni cinquanta del 1600, dopo la Peste, i Monasteri delle Vergini, di San Lorenzo, San Zaccaria, dei Santi Cosmo e Damiano e dei Santi Biagio e Cataldo della Giudecca vennero esclusi dal Senato dall’elenco delle elemosine di grano annuali che la Repubblica faceva ai Monasteri Veneziani a Pasqua: non erano considerati affatto bisognosi ... mentre, viceversa il Convento del Santo Sepolcro con 55 Professe ricevette 36 staia di grano essendo considerato fra i quattro più poveri della città assieme al Santa Maria Maggiore, Santa Croce delle Francescane e il poverissimo Santa Maria dei Miracoli ... A metà strada come economie, cespiti e ricchezze, stava il Santa Chiara con 43 Professe, il San Daniele di Castellocon 41 Canonichesse Professe, il Santa Giustina con 19, il Sant’Alvisecon 56, il San Gerolamo di Cannaregio con 52, e il Santa Caterina con 56 Monache Professe che ricevettero 2 staia di grano ciascuno.
Da maggio 1659 a giugno 1660: di nuovo processi per “Visite frequenti di otto Preti Secolari e Nobili ai Monasteri dell’Umiltà, Corpus Domini, San Daniel, Sant’Iseppo e Celestia”.
Sei anni dopoil Capitanio Lorenzo Ferro denunciò ai Provveditori sopra ai Monasteri che un intero gruppo di Musiciinvitato da Diana Foscarini nipote di Gerolamo fra cui il Formenti, l’Orbo de Milan, e alcuni Cantori del Teatro di San Lucasi era raccolto nel Monastero di San Daniel dove avevano cantato con suono e musica un’intera opera alla presenza dei GentilHomeni Tommaso Corner di San Leonardo con la moglie, Piero Foscarini e Piero Dolfin del Teatro di San Luca e di tutte le Monache… Tutti vennero ammoniti verbalmente dai Provveditori davanti ai quali dovettero comparire ... Monache comprese.
E poi si continuò ancora “a catena” per almeno altri vent’anni: “Processo con le Monache di San Daniel per tre Patrizi in Monastero e per aver condotto Musici e fatto cantare alcune canzoni”… “Processo per colloqui frequenti di un Nobile con le Monache di San Daniel e San Girolamo”… “Processo per pratica amorosa di un Prete con una Conversa di San Daniel”, e ancora: “Processo per discorsi di un Prete con una Monaca” ... A metà degli anni 80 del 1600: “Processo per visite frequenti di un Patrizio in Monastero”,“Processo per serenata alle Monache di San Daniele, San Cosmo della Giudecca e Sant’Andrea della Zirada”, e “Processo per una Serenata” nell’agosto 1684.
E giunsero quindi i primi decenni del 1700 “secolo dei lumi”, quando a seguire prima il Proto Andrea Tirali rilasciò una scrittura per un restauro di ducati 1.500 del coperto della chiesa e del campanile di San Daniel ... poi i Periti Ignazio Caccia e Filippo Rossivalutarono restauri dei muri perimetrali e del campanile del Monastero per la spesa di 2.958 ducati … Nel gennaio 1774 i Tagjapiera Fioreti Antonio e Resegatti Francesco rilasciano una scrittura, e il Murer Pelle Piero un’altra per il restauro di San Daniel per la cifra di 8.028 ducati … Secondo una Terminazione del Gradenigo del 1746: il Monastero di San Daniel possedeva un bosco a Mogliano nel Mestrinoin cui era proibito tagliare i roveri, e il guardiano era autorizzato ad usare con disinvoltura lo schioppo … Le Monache possedevano 26 campi e ½ a Canale di Rovigo con una casupola e una casa colonica.
Col permesso del Senato solo tardivamente nel 1748-1757 si ospitò in San Daniele la Schola di San Giovanni Duca d’Alessandria… Si trattava più che altro di una Devozione soprattutto delle Monache che coinvolsero diversi iscritti e Confratellli. Si curava la Festa annuale Patronale: occasione di bisboccia, bussolai, canti e festino liturgico-casereccio delle monache interno che si prodigavano in solenni messoni, addobbi, e spese per musica e mangiate nel Convento … All’esterno nel popoloso e operoso Sestiere di Castello arrivava solo l’eco di qualche energica scampanata che induceva qualche vecchierella e pochi devoti ad affacciarsi nella chiesa monasteriale, mentre tutto il resto rimaneva chiuso e ovattato negli ameni quanto nobili chiostri delle Monache.
I Confratelli della Schola erano tenuti a pagare una tassa annuale di Benintrada di lire 8, e fra loro venivano eletti ogni anno 4 Confratelli su cui gravavano più che altro le spese della Festa Patronale che non dovevano superare le 100 lire di spesa ... Tutta la raffica di Messe celebrate in quel giorno sarebbero andate a vantaggio spirituale degli iscritti ... Per ogni Morto Confratello, inoltre, si celebravano 12 Messe Esequiali.
Una decina d’anni dopo la Schola già fluttuava e altalenava dando segni di evidente crisi: erano le Monache soprattutto a far andare avanti la faccenda … Nel 1768 si provò a risollevarne le sorti inventandosi di offrire una “Grazia da 5 ducati”(una miseria)per le donzelle popolane di Castello, che fossero state figlie degli Iscritti alla Schola, e che, fortunate, avessero estratto “la bàla d’oro” … Ciò nonostante la Schola andò in ulteriore decadenza fino ad essere abbandonata.
Nel 1785: da 7 anni la Schola possedeva un capitale di 200 ducati risultato inattivo ... Solo le Monache come da prima della fondazione della Schola continuarono a loro spese a celebrare la Festa Patronale “con gran lustro”… Sei anni dopo si fece un ultimo “inventario delle robe della Schola” da cui risultò: “una Matricola coperta di velluto chremese con placchettine d’argento e la soa cassettina de tola” ... L’anno seguente i Provveditori da Comun soppressero la Schola assegnando i beni al Monastero “per saldo debiti”.
E siamo giunti all’epilogo: alla fine di San Daniele di Castello… Ultimissima noterella conclusiva di questa mia ennesima “Una Curiosità Veneziana per volta”.
Dopo metà giugno 1806, al tempo della seconda occupazione Francese di Venezia, venne dato l’ordine di sgombero controfirmato dalla Badessa per la soppressione di Chiesa & Monastero di San Daniele nel Sestiere di Castello: luogo comodo: “presso le mura dell’Arsenàl, che dovevano per necessità di forza maggiore essere trasformati rispettivamente in Caserma e Magazzino per il comodo dei Regi equipaggi della Militar Marina …”
Le 26 Nobilissime Monache Agostiniane dette ancora da tutti: “le Canonichesse Bianche” vennero sfrattate e concentrate assieme a quelle del Monastero Cistercense della Celestia, e subito dopo sposta insieme a queste nel superaffollato Monastero Agostiniano di Sant’Andrea della Zirada nella periferia più estrema dall’altra parte della città.
Il Convento fu adibito prima a magazzino e poi a caserma, e la chiesa spogliata e depredata di tutto prima d’’essere demolita nel 1839 sotto gli Austriaci per far posto al Collegio Militare per la Regia Marina. Le colonne di marmo della chiesa furono comprate all’asta per 189 fiorini austriaci da Amedeo Ballarin Tagjapiera alla Misericordia, che a sua volta le rivendette per essere utilizzarle nella costruzione dei gradini dell’Altare del Duomo di San Donà di Piave… la “Nascita di Maria” diDomenico Tintorettovenne data dagli Austriaci allaParrocchia di Cavazzo Carnico di Pordenone ... e così calò del tutto il sipario su San Daniele di Castello.
Non furono però dome del tutto, né consapevoli dell’accaduto le Monache di San Daniel! … A causa delle differenti Regole, ma soprattutto dello stampo e della diversa estrazione sociale, le donne Nobili Monache iniziarono a contrastare fra loro strappandosi cuffia e capelli e ingiuriandosi reciprocamente … Erano incredibilmente incuranti degli eventi storici che avevano già decretato la fine di quel loro secolare quanto effimero mondo dorato, nè riuscirono ad adeguarsi alla nuova circostanza. In flotta andarono tutte a lamentarsi con la Badessa Chiara Madonna Pesaro affermando delle Consorelle: “… (sono) effetti di vero sovvertimento … un continuo contrasto di esercizi religiosi e pratiche di pietà”.
Povere donne Monache ! … Un Mondo a parte consumato dal Tempo.
Poi piano piano tutto si acquietò e si spense … e la Storia continuò il suo corso anche a Venezia.
Nell’odierno fascinoso Sestiere di Castello di Venezia resta traccia di San Daniele solo nella toponomastica col Ponte, Rio, Campo e Ramo de San Daniel ... Rimane poi una statua di San Daniel reduce dall’antico sito, e una vera da pozzo a suggerire dove un tempo sorgevano probabilmente i chiostri di San Daniel. C’è ancora un’iscrizione epigrafica della fondazione di San Daniel mangiata e corrosa dagli elementi naturali e dal tempo, collocata ancora oggi nel chiostro del Seminario Patriarcale della Salute sempre qui a Venezia ... e infine esiste un pugno d’opere pittoriche depositate alle Gallerie dell’Accademia.
Del “vaghissimo”San Daniele di Castello rimane solo altrettanto vaga memoria.