#unacuriositàvenezianapervolta 231
LA SAGRA DI SANT’ELIODORO A TORCELLO.
Sapete com’è … A volte, senza tanti perché, ti si accende un flash nella mente: un ricordo fuori stagione che viene a galla … e ti ritrovi a riviverlo, e perché no ? … anche a spartirlo con qualcun altro: sensazione bellissima.
Eravamo immersi nella calura estiva quella volta, intenti come il solito a scorrazzare in lungo e in largo per la nostra isola, e soprattutto: intorno e dentro e fuori di chiesa, campanile, Patronato, Oratorio e Canonica dei Preti di Burano … Si … si … Eravamo sempre noi: sempre gli stessi, la solita combriccola: “busètta e botòn” con l’ambiente dei Preti, ma anche liberi d’inventarci ogni volta come meglio ci aggradava ... Quasi ignari del vivere, ma non del tutto, vivevamo quella stagione della spensieratezza da ragazzini in cui provavamo come meglio ci riusciva a balbettare noi stesso e a rapportarci con gli altri … Insomma: ogni giorno era una nuova occasione per immergerci a frugare nello spicciolo del vivere di Burano andando a caccia di semplici ma genuine emozioni.
Erano “le ore calde brusàe” di quel primo pomeriggio: l’ora della siesta e del pìsolo, e non c’era quasi nessuno in giro per l’isola …Non esisteva allora la marea montante dei turisti che c’era fin qualche tempo fa prima del Covid … Faceva caldo ed eravamo annoiati, ma sempre vogliosi d’inventarci qualcosa … C’infilammo allora, merito della chiave che mi aveva dato in fiducia il Piovano per aprire la chiesa al mattino presto e al pomeriggio, nella Canonica dei Preti in cui tutto era immobile e saturo di silenzio. Era il frondoso ed esuberante verde giardino che c’interessava: sito ameno riservato che consideravamo un po’ nostro luogo di riferimento e ritrovo.
Consapevoli un po’ di quella nostra specie d’intrusione clandestina venialissima, quasi in punta di piedi per non disturbare c’infilammo in fretta nel verde fresco e ombroso … L’anziano Piovano Marco Polo era uno spettacolo a vedersi: se ne stava là seduto appisolato nel suo seggiolone in vimini …
Un fazzoletto stretto in quattro ciocche gli cingeva la testa, e il petto irsuto spuntava fuori dalla sbottonata veste nera talare dai mille bottoni … Ogni tanto il Piovano che dormicchiava stringendo il mano il suo breviario dalle mille cordicelle colorate dove aveva infilato un dito sudaticcio a segno, borbottava qualcosa fra se e se nel dormiveglia … Sognava forse, o in ogni caso ce l’aveva con qualcuno contro cui mormorava … Immobili davanti a lui, adocchiammo la caraffa piena di cedrata ghiacciata posta sul tavolino davanti a lui: “Buona e fresca quella !” … e dal pensare e il dire eravamo già passati ai fatti versandocela e bevendola avidamente.
Era semplice rimediare dopo: bastava prendere come altri volte la pompa per innaffiare i fiori, e ci metteva il tempo di un lampo a integrare quel liquido amarodolce rimasto … Il Piovano non si sarebbe accorto di niente … o quasi ... O perlomeno: dava da vedere così.
Insomma: ci serviva dissetarci un poco dentro a quella caldàna … e poi era già tempo d’inventarci qualcosa per ingannare quell’ennesimo pomeriggio. Lasciato lì il Piovano nel suo mondo quieto e onirico, fu ancora una volta Michele ad addocchiare l’Amolèr dell’orto de la Canonica pieno di frutti fra le fronde … Neanche il tempo di dirlo, ed eravamo già a cavalcioni dei rami intenti a ingurgitare quella prelibatezza nuova … Ma fu l’immagine che vedemmo da lassù che calamitò la nostra attenzione.
Al di là del muretto del giardino e appena al di là dello slargo della strada di “Pizzo”, c’era tutte allineate in fila una serie di vecchiette pisolanti o del tutto dormienti poste appena fuori dalla porta di casa. Sembravano quasi acciambellate con i loro vestitoni lunghi quasi ad inglobare la bassa seggiola impagliata su cui sedevano … Anche loro erano uno spettacolo a vedersi.
Nella calura estiva dopo una partita a chiacchiere e a pettegolezzi cedevano una dopo l’altra al sonno … e rimanevano là prima di riaversi e dedicarsi di nuovo al “tòco” da smerlettare, e a una salutare Tombola o una Rosariata in compagnia.
Come con la cedrata del Piovano, fu quasi prima il gesto ad attivarsi in noi piuttosto che la pensata, e già ci ritrovammo a bersagliare le malcapitate dai rami centrandole con i frutti che avevamo a portata di mano.
Divertimento assicurato condito di mille risate … Tira tu che provo anch’io, quasi birilli al bowling, una dopo l’altra le povere vecchiette divenne centri perfetti dei nostri lanci: “Ahia ! …Cossa xe stà ?” esclamò una destandosi di soprassalto.
“Ohi ! Ohi !” ribadì un’altra: “Ma che è ? … I me gha tirà un pièra ?”
In breve tempo s’accumulavano tutto attorno in maniera vistosa i nostri “proiettili”, perciò fu gioca forza che le vecchiette alzassero lo sguardo comprendendo la nostra bravata. Le avemmo tutte sotto al muretto in un attimo: “Ciò ! Ve conòsso .. Spetta che vèda to màre … Ti vedarà !”
“E saressivo anca i fiòi dei Pretti ! … Vergognosi … Far impasso a quattro povere vècie … Perché no ne lassè in pàse: fioi de un càn !”
Ovviamente non rimanemmo zitti mimetizzati fra le foglie, e dall’altro continuammo a bersagliare le sprovvedute prolungando il nostro divertimento … Sprovvedute ? … Mica tanto ! … Qualche minuto dopo spuntarono due tre di loro armate una di scopa, un’altra con un secchio d’acqua, e un’altra ancora di una lunga “forcàda” da stender biancheria: “Adèsso ve impìro mi !”.
Beh: era quell’ultima la più pericolosa, oltre alle loro lingue sempre più esagitate … Quando colpimmo in testa per l’ennesima volta una di loro, capimmo che il divertimento era terminato. Perciò scendemmo dall’albero lasciando che dietro al muretto si esprimessero le ire pittoresche e bellicose di quelle innocue nonnine … Beh … Innocue ? … Non so fin quando: “Adesso venimo noàltre a sonàr a campanella dal Piovan ! … Non se fa i dispetti alla zente ! … Andè tutti in … (Beh: non posso scriverlo) ... Se no ghe a molè vegno de là a spaccarve el …”
Il Piovano nel frattempo s’era svegliato con quel clamore in sottofondo: “Che state combinando stavolta ?”
“Ah ? .. Niente niente … Bonsignòr … Xe sempre quee quattro vècie galline che brontola par niente…”
“Sicuri che sia per niente ?”
“Si … Ci siamo solo divertiti un poco … Niente de grave.” Precisò Tobia.
“E xe e solite befane …” chiosò a sua volta Mauro: “Xe colpa del caldo.”
A quel punto il Piovano si riscosse: s’abbottonò la veste, si tolse l’inusuale ma pratico copricapo, chiuse il Breviario e scattò goffamente in piedi: “Su … Su dai ! … Non rimanete là a oziare pigri: datevi da fare … C’è tutto l’orto da innaffiare … e poi ci sono tutti i vasi di Piante da portare in chiesa per un Matrimonio … Dai coraggio ! … Mettetevi all’opera … Datemi una mano … Che poi vi offro una cedrata fresca.”
Non che fossimo entusiasti di quella manualità da praticare, ma era il modo amichevole del Piovano che c’induceva a farlo … Perciò in quattro e quattr’otto tutti i vasi delle Piante vennero trasbordati in chiesa … e ci chiudemmo subito dopo in crocchio attorno al Piovano dentro allo stesso giardino per gustarci nuovamente quel rinfrescante liquido che ci eravamo guadagnati … Era il secondo: ma il Piovano forse non lo sapeva.
“Che fate stassera ? … Venite con me al di là del canale: a Torcello alla Sagra di Sant’Eliodoro ?”
“Sagra di chi ?”
“Sagra a Torcello ? … Ma quando mai è esistita ?”
“Mai sentito che a Torcello si tenga una sagra…”
“Si … E’ così …” ci spiegò prontamente il Piovano: “E’ vero che non c’è la Sagra di Sant’Eliodoro … Ma l’Arciprete di Torcello ci tiene tanto a questa festa … Perciò, anche se l’isola è quasi deserta come sempre, a lui sembra che capiti la Sagra perché si respira un po’ quel clima di festa insolito …. Sapete poi ? … Questa sera arriverà anche il Patriarca per la cerimonia nella Basilica dell’Assunta.”
“Il Patriarca ? … E allora è un festone importante per davvero !”
“Si.” replicò ancora il Piovano: “E servirebbero anche dei Zaghètti esperti “che sàppia pasàrghe el bastòn dorato col capèo a pònta al Patriarca con un cèrto sestìn” … Si dovrebbe dire: “Mitra e Pastorale” … Insomma: venite anche voi o no ? … Che avete da fare di meglio ? … Ci sarà di sicuro anche un bel rinfresco dopo la cerimonia ... Di sicuro l’Arciprete vi offrirà il gelato.”
Ci guardammo interrogativi in volto: “E perché no ?”
Esaurito quindi il clamore delle vecchiette rappacificate oltre il muro di cinta del giardino, ci dedicammo quindi a quella nuova trovata adatta a riempire del tutto il pomeriggio fino a sera … Era una cosa insolita: perciò ci stava.
Detto fatto ancora una volta, e fatto un breve giro per l’isola per informare le mamme a casa, entrammo nella Sacrestia Vecchia de San Martin, e cacciammo dentro a sguaciti sacchetti il fagotto delle nostre vesti da Chierichetti: “Mamma mia !” esclamò Tobia: “Se ci vede la Mastra Aurelia che facciamo sto fuffugnòtto con le vesti e cotte a ne fulmina fin a Nadàl !”
“Beh … Non lo sa finchè non vede … Andiamo dai !” chiuse il discorso Michele ... e partimmo.
Sulla Fondamenta dietro alla chiesa, saltammo dentro allegri e benintenzionati a un topoamotòr che ci attendeva odorando intensamente di pesce, nafta e catrame. Con non poca fatica l’ometto diede braccio al pesante Piovano per farlo scendere dentro alla barca che si flettè non poco verso la riva caricandosi di quel “dolce peso” … Slegammo le corde dai pali della riva spingendo al largo la barca, e presto ci ritrovammo trasbordati a Torcello: una goduria attraversare la Laguna … Stipati distesi a prua ci godemmo il fresco dell’arietta mentre la barca fendeva le acque salmastre coperte di numerose Alghe sfatte … Ci attendeva di sicuro un pomeriggio insolito “in trasferta” fuori dal nostro solito “locus”.
Sulla riva poco distante dalla Piazza di Torcello c’era già l’Arciprete Don Mario ad aspettarci: “Ben arrivati tutti !” ci disse abbracciando il Piovano e ammiccando cordiale verso di noi: “Dopo la cerimonia siete tutti invitati a cena alla Locanda Cipriani” ci disse pomposo quasi alzandosi in punta di piedi per quel suo stesso annuncio.
“A cena da Cipriani ? … Cazzò ! … Che sorpresa !”
“Benòn ... Sèmo qua Don Arciprete.”
“Don Mario …”
“Si … Don Mario Bonsignòr …”
“Non sono Monsignore, ma solo Arciprete di Torcello.”
“Va beh ... Quèo che xe … Poco cambia ... Semo venui a darve una man col Patriarca.”
“Bravi ! … Bravi ! … Sta per arrivare, infatti, andate già a prepararvi in chiesa … Oddio ! … Sta arrivando anche la barca con quelli della Corale … Bene ! … Che inizi la Festa !”
Ci era simpatico quel Pretino smilzo e delicato … Sembrava quasi consumato dal tempo … Era sempre gentile con noi, e non c’era volta che non ci autorizzasse a entrare nel chiesone antico, e perfino a salire fino in cima alla possente torre campanaria … Anche lui qualche volta, come quella sera, non mancava di offrirci qualcosa se collaboravamo alla buona riuscita delle cerimonie dentro alla Basilica o in Santa Fosca … Si sa: una bella processione piena di Chierichetti fa sempre la sua bella figura davanti alla Autorità e ai presenti … Perciò: all’opera ! … e c’infilammo in chiesa con le nostre sportule diretti alla Sacrestia.
Prima nota da osservare in chiesa: c’erano le Suore di Burano portate lì da chissà chi … Se ne stavano schierate mute e strette in panca dentro alla grande Basilica mosaicata dalle pareti dorate e scintillanti: “Ghe xe anca i Pinguini” ridacchiò Michele che non seppe trattenere la lingua ... “Zitto !” gli tirai di gomito: “Se ci sentono: sono dolori per tutti !”
La luce di uno sfacciato tramonto tiepido e rosato stava inondando la chiesa, dalle finestre scendevano coni di luce calda che andavano a infrangersi sul decorato pavimento tagliando a fette geometriche la navata e creando un’atmosfera davvero suggestiva … Ovunque c’era un intenso odore d’umidità frammisto a quello del voluttuoso incenso che usciva dalla Sacrestia.
“Anche voi Suore: tutte alla Locanda a mangiare in compagnia dopo la cerimonia ?” le approcciò l’Arciprete entrato al seguito dei Cantori … Il Patriarca stava tardando l’arrivo ... L’Arciprete sembrava un grillo che saltava euforico di qua e di là.
Le Monache si schermirono con larghi sorrisi indietreggiando timide e timorose di fronte alla profferta dell’Arciprete. Ovviamente parlò la loro SuperSuora: la Superiora, a nome di tutte: “No … La ringraziamo molto dell’invito Signor Arciprete, ma decliniamo l’offerta … Dobbiamo rientrare presto a casa dopo la cerimonia … Sapete com’è per le Suore, vero? … Abbiamo le nostre abitudini e i nostri orari … E poi: “Al suon dell’Ave Maria la Buona Monaca deve trovarsi già a casa o per via” … Noi siamo così … Sarà per un’altra occasione magari ... Grazie tante.” … Le altre Suore sembravano pensare all’unisono la stessa cosa, come avessero lo stesso pensiero nelle tante teste … Forse una di loro: quella più tondotta di tutte, non avrebbe disdegnato di certo di mettere mano e bocca su tutte quelle annunciate prelibatezze che ci aspettavano di certo alla rinomata Locanda Cipriani.
Le Suore comunque sembrarono farsi piccole, quasi liofilizzate, obbedienti e sottomesse del tutto dentro alle loro cuffie alle parole e alla volontà della loro MadreSuperiora.
“Quella lì delle Suore una volta o l’altra scoppia.” non mancammo di commentare burloni e spiritosi fra noi additandola sornioni.
La Superiora delle Suore intuito il sardonico commento non mancò di fulminarci severissima in diretta con gli occhi.
Ci placammo intrufolandoci in Sacrestia dove incappammo nell’Arciprete saltabeccante ovunque: “Guardate che vi ho visti e sentiti.” ci ammaestrò e ammonì divertito ma compito nel suo ruolo: “Non siate irrispettosi con le Monache, o stassera non vi farò neanche dare il gelato a cena.”
“No ! … Il Gelato no ! … Cioè: il gelato si !” se ne uscì uno di noi: “Siamo venuti per questo !”
“Faccio finta di non avervi sentito.” boffonchiò l’Arciprete … ma già “svolazzò” e scomparve via imbracciando un’antica quanto preziosa stola da Prete dorata e ricamatissima, perché una voce lontana aveva annunciato animata: “Sta arrivando il Patriarca !”
Nel frattempo era arrivata anche un’altra barca ad ingrossare “quell’allegra brigata” che stava convenendo in chiesa da diversi posti della Laguna. Si trattava della barca dei Frati dell’Isola del Deserto: allora ancora ricca e abitata in abbondanza da Frati e Novizi … Diversi Fratoni sudaticci, infatti, entrarono con brio e simpatia tintinnando i loro cordoni nodosi che penzolavano ai loro fianchi annodati ad altrettanto tintinnanti Rosari e Crocifissi … Con i loro piedi scalzi fumanti, e le loro tonache grezze andarono a piazzarsi nel Coro del Presbiterio della Basilica ... e si sentì distintamente che s’andava accendendo la Solenne Cerimonia, anche per il loro vigoroso ed entusiasta afflato.
In Sacrestia: accadde il solito impatto inevitabile … Non era la prima volta che ci ritrovavamo faccia a faccia con gli sparuti e un po’ improvvisati Chierichetti dell’Isola frontiera alla nostra … Sparuti ? … Era già troppo definirli così: erano raccogliticci oltre ad essere quattro gatti … Al confronto noi sembravamo dei Professionisti in materia: “Ecco l’Armata Brancaleone” esordì subito Mauro pizzicandoli e provocandoli … Ci divertiva ogni volta la cosa.
“Eccoli qua: i soliti cenciosi … veste “acqua alta” corta al ginocchio, che ghe scoppia sul petto: ghe partiràtutti i bottoni a raffica fra poco … e Cotta sopra sbrindellata color panna: mèza ònta … Croxe de cartòn, e bròdo co e Rane al posto dell’Acqua Santa … Veri e propri “morti de fame”.”
Non terminò la frase: il Chierichettone lo preso di mira senza farselo ripetere due volte: “Adesso te pèsto ... Ve spàcco in do.” ci disse prontamente … Ed era ciò che cercavamo ... Non c’era volta che non si alimentassero e non si riaccendessero quelle vecchie ruggini istintive fra noi ... Eravamo di un campanilismo sfegatato nonostante la giovane età … Anche fin troppo esagerato.
Per fortuna il Sacrestano baffuto, alto e grosso come un armadio, ma buono come il pane, intuì quell’inadatta ebollizione che stava accadendo fra noi ... Intervenne subito spegnendoci tutti con poche parole decise: “Ve butto tutti fòra ? … Ste bòni par piasèr … Che non xe el momento … Vardè: ghe xe el Patriarca … Volè che o ciàmo e ve lo porto qua ?”
Ci quietammo e zittimmo subito, e anche il cresciuto Chierichettone Torcellano, già su di giri quanto bastava, ridusse al minimo il suo bellicoso voltaggio rientrando nei ranghi della compostezza: “Ti resti ridicolo ...” gli buttò dietro Mauro … e l’altro grugnì mostrandogli un pugno chiuso, e facendogli cenno mulinando la mano: “Dopo …” gli mormorò.
La Cerimonia Solenne stava per iniziare … e l’Arciprete preciso come un Vigile Urbano passandoci in rassegna ci affibbiò e distribuì con buona pace di tutti: candelotti, croce e Candelieri nonché i preziosi oggetti del Patriarca al quale dovevano fungere come da provetti e svegli valletti: “Al mio cenno: scattate subito … Venite da me.” ci istruì il Segretario del Patriarca: “Svegli e composti … Vi raccomando.”
Il nostro Piovano di Burano tutto agghindato per la cerimonia come un grosso uovo di Pasqua indossando un’antichissima Pianeta ricamata, ci passò pure lui accanto prima di andare ad omaggiare il Patriarca: “Vi raccomando ! … Non fatemi fare brutte figure.” ci ammonì bonario … E uscì fuori nella chiesa la solennissima Processione: “Procedamus !” quasi gridò l’Arciprete dando il segnale da vero “padrone” della situazione.
Le Suore pallidissime e azzimate, tutte velate e chiuse da notte fino al collo, erano sempre e ancora lì: schierate come soldatini sulla loro panca dove si muovevano all’unisono alzandosi e sedendosi, e pigolando deliziosamente soavi con le loro vocine a seconda di quanto la cerimonia liturgica richiedeva … Con quel caldo che faceva anche dentro alla grande Basilica umida, erano vestite come da palombari nel loro costume medioevale mai cambiato lungo la Storia: sembravano attraversare l’aria afosa estiva passando dentro indenni fra una folata e l’altra dell’aria calda ... Solo una di loro era rossa in faccia, e larga e tonda come una Luna in tutto il resto: pareva pronta a scoppiare come i Fuochi dell’Assunta.
Dalla parte opposta della chiesa, su panche ricoperte da un drappo rosso sgualcito e smunto, stavano schierati impettiti Ufficiali della Guardia di Finanza, della Marina, dell’Aeronautica, Carabinieri, Polizia ed Esercito tutti pieni di decorazioni e mostrine con mastini e lacchè servizievoli e pieni di premurose attenzioni che li seguivano come ombre: “Quei ghe porta l’acqua con e rèce se ghe serve ... e i ghe nèta el piatto dove i magna co carta da 10.000 lire.” … Accanto ai Militari stavano i Politici e qualche bel nome altolocato: qualche Assessore, un paio di Avvocati e Banchieri … Una nutrita schiera insomma di personaggi importanti accorsi da Venezia per l’occasione.
E poi c’erano sparsi un po’ ovunque Pretonzoli e Piovani lagunari grassocci, sudaticci, ingolfonati nei loro paramenti da cerimonia e col fazzoletto madido serrato in pugno.
Proprio per ultimo, quando ormai stava decollando la Cerimonia, arrivò anche il Piovano austero di Mazzorbo ponendosi solitario in un angolo … Se ne rimase lì incandito e ossuto tutto perso nei suoi pensieri e senza scambiare parola con nessuno. Sembrava che per lui non esistessero né tempo né stagioni ... e neanche gli altri … Anche con noi era sempre essenziale, quasi brusco: ci rispondeva a monosillabi apparendo quasi scostante … Che gli avevamo fatto ? … Niente … Boh ? … Solo una volta ci disse dietro calcandosi il “cappello da Zorro” in testa: “Voi Buranelli siete tutti dei gran presuntuosi … Pieni di se … Veri antipatici.”
“Senti chi parla !” gli dicemmo in coro … Non ci salutavamo neanche a volte: un vero fantasma vestito da Prete … Che tipo !
Comunque su tutti e tutto fece effetto e gran clangore festoso la Corale dei Cantori di Burano … Non c’era tutta la pomposa ed efficace solita Corale dell’Isola, ma solo una parte: quattro gatti sparuti la cui voce un po’ si perdeva dentro a quel gran chiesone … Per via della Feria Estiva mancavano alcuni pezzi grossi fondamentali: non c’era, ad esempio, quello col basso in gola che faceva vibrare tutta la chiesa … ma si esibirono lo stesso virtuosamente e con grande dolcezza dando gran lustro alla Cerimonia guidati come sempre in maniera egregia dal Maestro Francesco Dei Rossi che saltellava come una cavalletta e si destreggiava davanti a loro smanacciando provvidi segni d’attacchi, ghirigori canori e secche chiusure a pugno chiuso in aria.
Cantarono più volte e neniarono in maniera provvida anche in antico latinorum con arzigogolati versi contorti di cui non capivano niente … Però quelle erano le cose giuste da cantare in quella circostanza, tanto è vero che tutti i Frati, le Suore e i Preti si appaiavano ogni tanto ai Cantori gorgheggiando a loro volta in maniera più o meno traballante e mezzo stonata … L’Arciprete soprattutto canticchiava ovunque andava quasi fosse l’amplificatore semovente di quelle solenni cantate … La Cerimonia quindi procedeva lentissima: “lònga più de un Passio”: sembrava non finire mai … Anche se quasi tutti al loro posto parevano non subire in alcun mudo il peso di quella cosa così lunga e cerimoniosa … In realtà anche loro scalpitavano come noi agognando il termine di tutto: solo che non lo davano a vedere.
A Torcello insomma: era Festa e Feragosto, e tutto ci poteva stare ... Man mano che calava la sera e poi la notte s’intravedevano alte e lontanissime in Cielo le Stelle dell’Assunta, anche se gomitoli di nuvole scure stavano capitombolando verso la Laguna calando dalla parte del tramonto … Gatti sgarruffati vagabondavano liberi per l’isola senza casa né padrone, Piante e Verde di ogni sorta s’aggrappavano ovunque riempendo l’aria di effluvi dolciastri o amari che sapevano di salsedine ... Zanzaroni e Tafani non erano teneri con noi visitatori, e arrivavano a flotte, a volte a nugoli, a pungerci indistintamente: loro si che facevano festa e banchettavano prendendo noi ... La Fiera-Sagra di Sant’Eliodoro era un evento, ma non esisteva: non c’era una bancarella, gente in piazza … nessuno … L’isola come sempre sembrava avvolta dalla Morte in vacanza … C’erano solo pochi isolani in giro, e i pochi turisti spaesati e curiosi col cappello di paglia in testa … L’antica Fontana in bocca di piazza sembrava stanca di sputare acqua giorno e notte … e anche le galline dell’isola sembravano diminuite di numero, e perfino i piccioni sembravano diversi: più impacciati e imbranati nel volare rispetto ai nostri di Burano.
“Ma se pol savèr chi gèra sto Sant’Eliodoro ?” mi sussurrò Michele tarantolato sul suo sgabello accanto al mio.
“Boh ? … Chissà ? … Un concorrente dei Santi Patroni de Buran forse ? … Non so.”
“Ssssss … Ste bòni … Stè quieti.” ci brontolò dietro uno dei Piovani assisi nel Presbiterio absidato poco distante da noi … Che occhi che aveva quella Madonna posta in alto sopra le nostre teste … Vista da lì vicino e da sotto incuteva un po’ timore: pareva volesse sbirciare e penetrare dentro al segreto di noi stessi ... anche se sapevamo bene che in fondo era “un personaggio Buono” che popolava chiese e pensieri di tanti.
Ci pensò il Patriarca Luciani durante il suo predicone a dirci qualcosa su quel misterioso Eliodoro ... Non si sapeva granchè di lui, se non le solite quattro notiziole trite e ritrite attribuite a tutti quelli del passato ... Insomma: esistevano chiesoni pieni di Santi e Madonne di cui si sapeva ben poco … Se non che erano là quasi da un millennio ormai mescolati con Attila, con i profughi Altinati e con tante altre persone qualsiasi che avevano popolato le nostre Lagune per lungo tempo.
“Non dimentichiamolo.” disse a un certo punto il Patriarca: “Da Torcello deriva Venezia ... Fu proprio uno qui di Torcello che portò a Venezia il Corpo Santo di San Marco … Quindi in questo posto oggi così povero di gente si affondano lo stesso le nostre radici Veneziane.”
A quelle parole facevano “di si” con la testa sia le Suore, che buona parte di quelli che s’assiepavano in chiesa … In fondo le panche erano però vuote … e anche gli Ufficiali Militari sembravano d’accordo col Patriarca … Solo che sembravano impietriti e inespressivi, quasi paralizzati dentro alle loro splendide divise.
“Woh ! … Torcello come Venezia … Che stranezza ! … Ma che importanza che ha quest’isola quasi abbandonata.”
Non si finisce mai d’imparare e scoprire cose nuove da sapere.
Quando Dio volle la Cerimonia senza tempo volse al termine mandando in mille pezzi una parte dell’Eternità.
Le Cicale fuori sul prato urlavano tutto il loro disagio e contento dentro a ciò che rimaneva del pomeriggio estivo, mescolandosi col picchiare dei tacchi dei Militari che a fine cerimonia si recarono in fila a salutare e omaggiare il Buon Patriarca.
Poi tutti all’unisono si riversarono festosi, quasi in nuova insolita processione, stavolta verso la Locanda di Cipriani dove li aspettava un imbandito superbanchetto offerto dall’Arciprete, ma anche dallo stesso Cipriani … Solo le Suore, come previsto, e i Cantori si eclissarono insieme agli sparuti fedeli e i turisti ... Scomparve anche il Chierichettone bellicoso, mentre il forzuto e accorto Sacrestano rimase con pochi altri e altre ad accudire e chiudere il chiesone prima di riportarsi a casa propria ... La Sagra di Sant’Elidoro volgeva al termine: s’era di già esaurita prima ancora d’incominciare.
Nella Locanda quindi rimasero oltre al Patriarca: le Autorità Civili e Militari, e tutta la Preteria e Frateria che in questi casi sapeva benissimo quel che c’è da fare e non fare.
“Eminenza” esordì ancora una volta l’Arciprete indossando una lucida tonaca di qualche misura in più: “Adesso serve fare onore al Cuoco, alla tavolata degli illustri ospiti e alla buona Cena.” … Il Patriarca sorrise, e iniziò a sbocconcellare appena un pezzetto di pame quasi fosse un uccellino. Ogni volta che gli presentavano una pietanza succulenta declinava muovendo debolmente a mezz’aria la manina accompagnando il gesto con un pallido sorriso d’approvazione … Era molto parco, oltre che umile e modesto il Buon Luciani.
Stessa cosa non si potè dire per il resto dei commensali: Militari, Civili ed Ecclesiastici in primis: c’erano mandibole che si davano un gran da fare, e gole che non smettevano d’innaffiarsi di prelibatezze e vino: “Assaggiamo anche questo ! ...Vediamo allora un po’ di quello … E perché no un poco di quell’altro in fondo ? … Mmm ! Che profumo ! … Che sapore delizioso questo.” … I camerieri laccati dentro alle loro giacche bianche non mancavano subito di accorrere e riempire i piatti, oltre che i bicchieri collocati davanti a certi tovaglioli candidi inizialmente, e poi macchiati, infilati nel collo delle divise militari e nel colletto delle tonache ecclesiastiche sempre più sbottonate ... I Frati a loro volta, ci avevano messo un attimo a liberarsi dai loro grezzi sottogola col cappuccio appendendolo all’attaccapanni ... Sembravano tanti piccoli impiccati ... Così come i Militari s’erano tolti fasce e cinturoni d’ordinanza sbottonando le elegantissime divise ... Un paio di Piovani poi: non c’erano per nessuno. Con le maniche avvoltolate fin sopra al gomito, erano del tutto intenti a forchettare e ingurgitare facendo per davvero onore al bel banchetto imbandito: “Evviva Sant’Eliodoro !” partì a un certo punto un brindisi: “Evviva il Patriarca … e la Marina … e l’Esercito Italiano … l’Aereonautica … i Vigili del Fuoco … i Carabinieri … la Guardia di Finanza … la Polizia … e tutti i Frati e i Preti della Laguna !”
Era tutto un continuo tintinnare di bicchieri che quasi pacifica raffica a salve non smetteva di susseguirsi nel giardino della Locanda parato a festa senza trascurare di ricordare qualcuno … La notte incombeva sopra tutti … e in lontananza un cupo brontolio ricordava a tutti che si stava avvicinando un temporale.
“Un assaggino Eminenza ? … Tanto per gradire ?”
“Va beh … Dai … Una tantum … Con moderazione … Altrimenti stanotte non si dormirà per via della pesantezza.”
“Bon … Bon … Davvero bon …” si diceva dall’altra parte della tavolata dove sedevano in amabile compagnia un bel Fratacchione e un Prete dell’Estuario che non la smettevano d’ingozzarsi “alla più non posso” ingolfandosi rubicondi … Ne faccio il nome ? … No … Meglio di no ... Solo l’austero Piovano di Mazzorbo s’era presto dileguato senza aver scambiato battute con nessuno … Pareva infastidito da quella sensazione … Infatti: si tolse dal collo il tovagliolo candido, recuperò il cappello “da Zorro”, e scomparve nel buio senza salutare nessuno … Il piatto rimase immacolato e vuoto sul posto a lui riservato, dove dopo un poco andò a piazzarsi un Ufficiale stanco di condividere le solite “chiacchiere da Sacrestia” dei soliti Preti.
Ogni tanto qualcuno, non dico chi, quasi destandosi dalla trance semiagonistica del pasto, s’indirizzava con lo sguardo dalla parte opposta della tavolata mandando un cenno d’approvazione e saluto al Patriarca, che gli rispondeva con un cenno rimanendo spesso in silenzio … Il Patriarca non perdeva di vista nulla di quanto accadeva dentro a quella allegra scena ... Solo verso la fine della serata deposto il tovagliolo ancora quasi intonso e pulito, e dimentico di tutto quanto accadeva in tavola, si dedicò a un interloquiare fitto fitto insieme a un Comandate o Generale calvo e asciutto che gli era andato a sedersi accanto.
Dopo un po’ il clamore dei discorsi e degli scambi amichevoli e cordiali era cresciuto in parallelo al rossore di certe guance sempre più accaldate: “Proviamo insieme un canto tradizionale Veneziano Eminenza ? … In suo onore ?” esordì dal fondo un Prete vistosamente alticcio: “No … No … Grazie ... Lasci stare … Credo sia ormai tardi, e sia giunto il momento di mettere fine a questa bella serata … Vorrei ritirarmi se non vi dispiace … Domani dovrò trovarmi con i Vescovi del Triveneto: sarà una giornata impegnativa.”
Sembrò un segnale, un ordine inviato a tutti … Il festoso banchetto si spense immediatamente … Ognuno, infatti, s’affrettò a ricomporsi … Qualcuno sorseggiò l’ultimo bicchiere … Riapparvero “come Api sul Miele”: Segretari e Assistenti, le divise tornarono a imbottonarsi e le cinture a cingere certi ventri a volte un po’ enfi … I cappelli graduati tornarono sottobraccio, e le spade da parata rivennero imbracciate … Si formò subito una fila di nomi che uno dopo l’altro si recarono ad omaggiare il Patriarca prima di farsi ingurgitare dall’incombente notte Torcellana recandosi al loro motoscafo che li aspettava a riva col motore già acceso.
La compagnia si sciolse: a pancia piena e gola sazia per i più … e traballando saturo di discorsi e chiacchiere per qualche altro … La notte piano piano prese il sopravvento su tutto scambiando chiacchiere, saluti e convenevoli con assoluto silenzio ... A ovest in fondo lampeggiò il Cielo … Gli rispose un brontolio basso ma ancora lontano ... L’aria mossa dal vento portò l’odore di pioggia, di terra bagnata, e di putritudine delle barene Lagunari.
Rimasero intorno i camerieri della Locanda che quasi danzando fra i tavoli si muovevano felpati sparecchiando … Apparivano e scomparivano addentrandosi a braccia piene nelle cucine … Sembravano fantasmi candidi … Mentre in un angolo, quasi invisibile, sostava immobile, silenzioso, e con gli occhietti scintillanti di soddisfazione l’Arciprete di Torcello in attesa d’accompagnare il Patriarca nell’ultima passeggiata fino al motoscafo dell’Arma dei Carabinieri che l’avrebbe riportato a Palazzo Patriarcale a Venezia.
Un altro gelatino ragazzi ? … E’ un peccato lasciarli là … Ci mormorò un cameriere robusto ma dal sorriso affabile: sembrava il capo che governava tutta quella gran tavolata … Dal suo cantuccio l’Arciprete interpellato con lo sguardo dallo stesso Maitre: fece di si … Poi lo sentimmo dire: “Si … Dagli pure un altro gelato … Si sono comportati bene stassera … Meglio di qualche altro.”
E scoppiò nella penombra una risata mentre da un angolo rispuntò il Patriarca sfregandosi le mani dopo essere andato a fare pipì.
“Anche il Patriarca va in gabinetto ?” fece Michele.
“E perché no ? … E’ umano no ?”
Un lampo illuminò di nuovo il cielo: “Arriva … Xe el temporàl dell’Assunta … Nol manca mai.” commentò il capobarca che ci stava già aspettando ormeggiato a riva: “Spero che fasèmo a tempo de tornar a casa a Buran asciutti … Se ve sbrighè un fià con tutti sti saludi …” Fu proprio lui, invece, a corricchiare goffo ad omaggiare e baciare l’anello e la mano al Patriarca: “Eminente … Che piacere salutarla.” Il Patriarca non mancò di corrispondergli scrollandogli con una mano i capelli riccioluti e brizzolati sul capo.
Poi toccò a noi, ancora con l’ultimo ghiacciolo in mano, di omaggiare tutti insieme il Patriarca spinti come da chioccia dall’Arciprete di Torcello ancora ringalluzzito e contento: “Ringraziate il Patriarca che ci ha onorati della sua visita.” disse giulivo.
“Grazie a voi, invece, di questa bella occasione che abbiamo condiviso insieme … Davvero bravo Signor Arciprete ad organizzare tutto … Le sono grato.” cinguettò leggero Luciani … Grande uomo ! … Indimenticabile.
L’Arciprete non stava più nella pelle: quelle erano le sue piccole ma grandi soddisfazioni: “Dovere Eminenza ... Dovere d’ArciPrete.” chiosò umilmente … Il Patriarca rispose con un sorriso e toccandogli leggermente la spalla.
Dentro al buio Torcellano il rinfrescante gelato sciolto dal caldo ci colava sulle dita: ci affrettammo a succhiarlo in fretta ... Il Patriarca salì poi aiutato da un giovane Carabiniere che gli fece il saluto militare sostenendolo mentre scendeva dentro al motoscafo … Il buon Prelato chinò la testa seguito dal suo Segretario, e s’infilò dentro all’andito ombroso della barca … Pareva stesse partendo per una missione segreta: “Ma quando farà Monsignore questo Arciprete ?” mormorò di nuovo Michele: “Sta zitto !” gli intimò Tobia: “Non sono cose da dire … Ti racconterò un’altra volta qual è la storia.”
S’accese un altro lampo che mostrò nuvole scure straziate in cielo, e subito dopo schioccò vicinissima la saetta … Il rombo del tuono fu possente. Il motoscafo col Patriarca dentro s’allontanò andando al minimo con le eliche che mulinavano l’acqua scura … Si ficcò sotto a passare imboccando il lugubre quanto antico Ponte del Diavolo che si stagliava sul fondo … Chissà se il Diavolo aveva timore del passaggio di quel Patriarca che in tanti consideravano mezzo Santo ?
Intorno intanto era tempo di Lucciole, Pippistrelli e Grilli: tutti dediti a proprio modo a inscenare un ineguagliabile e spettacolare concerto Naturale.
“Andèmo dai … Prima che a vègna.” brontolò un po’ spazientito il barcarolo traghettatore ... e fece rombare a sua volta e salire su di giri il motore del suo topoamotor.
“Dai saliamo … Andèmo a casa.” sentimmo dire dentro alla notte … Poco distante le luci della Locanda s’erano spente, anche nella Piazzetta di Torcello deserta col Caregòn de Attila sembrò che qualcuno avesse abbassato le luci … Solo la fontanella in pietra sul bordo della riva si dava un gran da fare buttando acqua, gorgogliando e bisbigliando inesausta.
“Don ? … Ci lascerà salire in campanile e scendere nella Cripta la prossima volta ?”
“E’ chiuso … E’ pericoloso … E se poi suonano le campane … Che fate ?”
“Dai Arciprete … Ci lasci salire …”
“Va ben dai … Si: la prossima volta … Andate intanto … Grazie che siete venuti.”
“Grazie a lei della cena soprattutto.” si alzò ancora una volta nel buio del mare di cordiali risate ... Si strinse qualche mano … Volò qualche tenue o gridato saluto: “Notte Arciprete ! ... Buone còse … Gràssie pal bon vinello.” gridò il traghettatore spingendo la barca distante dalla riva. L’Arciprete divenne una sagoma scura che si fece sempre più piccola in lontananza … Il Piovano di Burano lo salutò ancora con un vistoso cenno del braccio.
Attraversammo in fretta la Laguna con la prua della barca che fendeva le acque scure … Scoppiò il temporale: “un seravàl” (come avrebbe detto mia suocera), e giungemmo così a Burano bagnati fradici come pulcini … Piovan compreso: “A domani … Ciao … Ciao … A domàn ... Andèmo a casa a sugàrse …”
“Te par ore da arrivàr ?” esordì la mia Mamma appena misi piede dentro casa dando vita alla sua immancabile manfrina: “E vàrda come ti xe ridotto: tutto stònfo … Un pipìn negà.”
La lasciai dire non replicando neanche un poco … Finchè poi si spense e si esaurì da se lasciandomi stare … Era tardi ormai, il temporale era terminato e stava ritornando la caldàna estiva … La giornata era terminata ... Un’altra giornata vissuta in più ?
Si … una di quelle che oggi ancora ricordo anche se lontanissima, quasi sommersa nei meandri profondi della mia mente di quasi vecchio Buranello … Che tempi !