#unacuriositàvenezianapervolta 244
Ieri … in Lista de Spagna a San Geremia
A volte purtroppo la Cultura Veneziana è ridotta quasi a un mero tramezzino mangiato in fretta “mordi e fuggi” in piedi … Meriterebbe, invece, d’essere una tavola ben imbandita dove rimanere a lungo seduti in amena tranquillità ... La fame di Venezianità non è facile da saziare … e non credo di parlare solo per me.
Non devo allora perdermi in lungaggini … Il Tempo stringe !
I Cittadineschi, quindi non Nobili, Frizier o Frizieri o Frigeri gestivano da tempo immemore una Bottega in Drapperia a Rialto all'insegna dell'Albero d'Oro ... Chissà ? … Forse era per quel motivo che nello stemma di famigliac’erauna torre con un albero e due draghi per parte. Lo si può vedere ancora presente inCalle Friziera a Castello sulla Cà Frizier dove abitavano:“Questi vennero da Chiozza, ed erano mercadanti de bona condition, et per le guerre vennero habitar a Venetia, et fecero molte fabbriche, et logarono el Corpo de San Magno nel suo Altar in San Hieremia, el qual San Magno habitava in una delle sue case in detta Contrà”.
Ed ecco apparire la Contrada Veneziana di San Geremia o Jeremia… che alla Tombola di Venezia: “fasèva 80” di numero: “el banco … e dòne de San Geremia: co a pànsa descusìa”… Si deve poi aggiungere anche Santa Lucia: “a Santa Lùssia: che a te benedìsse a vista e i òcci ... la Vergine-Martire Siracusana di Sicilia rubata secoli fa dai Veneziani.”… tanto per cambiare … I Siciliani col sarcofago vuoto ne stanno ancora pretendendo “il Santo Corpo”ancora oggi … che il 7 luglio 1981 con un’azione quasi in stile medioevale, è stato trafugato dalla chiesa Veneziana a mano armata chiedendone riscatto per la restituzione ... La Polizia recuperò“a gratis” la Reliquia ... Almeno così si disse ... e così è andata.
Svelto svelto ! … Non ti perdere …
A proposito de Santi, San Geremiaera considerata una delle ProtoChiese Venezianeleggendarie fondate daSan Magno… Al suo interno fin dal 1206 si conservavano le spoglie mortali di quel gran Santo che era stato Vescovo di Oderzo ed Eraclea, e poi s’era recato in Laguna per sfuggire ai Longobardi … Morì qui da noi a Venezia nel 670 … Dove e con chi abitava ?
Proprio in Contrada di San Geremia nelle Case e insieme ai Frizier… dove, fatalità, c’era anche la “Camera di San Magno” e il “Pozzo di San Magno” la cui acqua “buona e valida per ogni guarigione” faceva accorrere Devoti e Veneziani “nel bisogno” da ogni luogo e Contrada ... Sul pozzo è ancora visibile “l’armo dei Friziero” con la torre e i due grifoni.
Si viveva anche di quello una volta a Venezia … Cronache Veneziane antiche e diverse e più presumibili, invece, dicevano la Contrada di San Hieremia fondata come prolungamento e sfogo della linea urbana dell’Emporio Realtino e di San Marco alla fine dell’ottavo secolo. L’input abitativo, occupazionale e imprenditoriale lo diedero alcuni Mercanti Veneziani: i Morefrai, Caobelli, Mastropiero, Soranzo e Mauro o Marco Torcello o Tosello il cui figlio Bartolomeo portò le Reliquie di San Bartolomeoa Rialto collocandole proprio accanto al Ponte buttato sul Canaò Grandeche chiamavano del Quarterolo per il pedaggio che si pagava per attraversarlo.
Nel 1508 a Palazzo Frizierdi San Geremia venne ospitato un Vescovo Scozzese diretto a Gerusalemme, che presentate lettere commendatizie dei Re di Scozia e Francia, venne ammesso a sedere in Collegioaccanto al Doge, dove recitò una orazione in Latino che tesseva in modo entusiasta le lodi della Repubblica Veneziana …Tutti rimasero a bocca aperta.
Ancora nel 1514 Marco Frizier figlio di Missier Gasparo notificava di possedere varie case in Contrada di San Geremia dove abitava, e di avere altri beni, cioè dodici fra case e caxette anche “aChastello de fàssa a San Domenego”… Nel 1575 un altro Francesco Frizier, forse d’altro Ramo dello stesso Casato, venne eletto Cancellier Grande della Repubblica: un nome … Uno di quei personaggi che dietro alla facciata della Politica impastavano per davvero e con i fatti il Destino di Venezia … Ancora nel 1613: ai Frizieriapparteneva lo stesso palazzo a San Geremia che Antonio Friziero quondam GiovanBattista cedette a Reniero Zeno quondam Francesco Maria, guadagnandone 340 ducati in “dadie” da parte dello Stato Veneto.
Svelto svelto … che è ancora più tardi … Dalla Pianta di Jacopo De Barbari del 1500 si evince che davanti a Palazzo Frizier passava un canale: il Rio Sablone o Sabbioniramo e rientranza del strafamoso Canal Grande, detto probabilmente cosìper la presenza forse di un “terreno sabbioniccio” in zona … Venne interrato o “tombato” nel 1847 durante la Dominazione Austriaca.
Nel novembre 1529 il diciottenne Genovese Andrea Grimaldi da Crovara che abitava a Venezia in Contrada di San Geremia, venne finalmente trovato nascosto e arrestato nel Monastero dei Santi Giovanni e Paolo. Aveva ucciso un suo compagno con una mannaia e strangolato una Massèra per derubarli ... Venne buttato ovviamente prima nel “Cameròn de Fresca Gioia” di Palazzo ducale, e poi condannato a morire.
Pressappoco trent’anni dopo, nell’agosto 1562 precisamente, si buttò ad annegare all’alba con una pietra al collo nelle acque de Canale dell’Orfano il Frate Veneziano Bartolomeo Fonzio che aveva a lungo predicato “da eretico” proprio nella chiesa di San Geremia … L’Anno seguente, “quasi a rivalsa di quel gran Dottrinal scàndolo”, i Gesuiti dell’Umiltà sulla Riva delle Zattere di Dorsoduro con il loro Preposito Padre Moggiorganizzarono a Venezia l’Opera della Dottrina Cristiana ... Le Cronache Veneziane ricordano di un “gran concorso di Nobili, Cittadini e Popolani dai Gesuiti con pochi rimasti nelle parrocchie” ... Per incentivare lo studio del Catechismo i Gesuiti premiavano i fanciulli più meritevoli che meglio riuscivano nelle Dispute Catechistichecon crocette d’argento. Ovunque in giro per Venezia c’erano bimbi: “che come cavalieri portavano dappertutto le Crocette attaccate al collo, e bimbe incoronate da Croci come Regine”… Intervenne su quell’esagerazione il Consiglio dei Dieci della Serenissima, che convocò il Preposito dei Gesuitie i Piovani di San Geremia e San Moisè intimando loro “di abbandonare quella pratica poco Cristiana e quei principi perniciosi da non doversi permettere in pubblico”.
A far quasi da “controaltare a quella sorta di fanatismo”, l’anno seguente morì Marzio Marzi De Medici in Contrada-Parrocchia di San Geremia nei pressi dei Frizier al Forno, in casa di Francesco Riccio Sensale di Seta. Era stato Vescovo di Marsico e Ambasciatore dei Fiorentini a Venezia dove partecipò alla consacrazione della nuova chiesa-Convento dei Santi Rocco e Margarita presso Santo Stefano e San Marco … E fin qua ? …Niente di che … “In morte” però, nel 1574, prima di farse seppellire alla Madonna dell'Orto, confessò soprattutto e lasciò detto per testamento, che quand’era stato a Trento aveva preso come Governante Giovannafiglia dello stesso Riccio con cui abitava a Venezia. Lì “tentato dalla carne” l'aveva ingravidata, ed era nata una femmina: Mammea, a cui il Vescovo lasciò diverse sostanze … come alla sorella Ersilia.
Sempre e ancora nella Contrada di San Geremia morì anche Daniele Barbaro eletto Patriarca d'Aquileia... e nello stesso anno si diede inizio in Parrocchia “attaccato alla cjèsia” a un Seminario-Ginnasio che accolse 72 putti tolti dalle Parrocchie di Cannaregio affidandoli per l’istruzione ai Padri Somaschi. Erano governati da Giovanni Battista Contarini soprattutto, e da 6 Procuratori-Gentiluomini Laiciche li mantenevano con le pubbliche elemosine ... All’inizio c’era solo un Insegnante di Grammatica a cui si aggiunsero in seguito gli Insegnanti di Rettorica, Umanità, Dottrina Cristiana, e per i più intelligenti anche quello di Filosofia ... Nel Libro Cassa della Scuola del Santissimodi San Geremia, si è annotato che dal 1584 al 1589 il Guardiano della Schola era solito comprare candele per i Chierici del Seminario di San Geremia, che sfilavano nella Processione del Venerdì Santo in giro per tutta la Contrada ... L’Istituzione trovò molte difficoltà per sopravvivere, finchè venne in seguito tolta da lì e trasferita a San Cipriano di Murano ... e infine in Punta della Salute a Venezia.
Nello stesso secolo nella Contrada dove vivevano più di 6.000 Veneziani, erano attive 62 botteghe, che divennero 124 nel 1712, e 140 nel 1740 ... Fra queste c’erano anche due Inviamenti da Forno con casa e bottega: una delle quali “in faccia al Seminario” ... A fine 1671 le due Pistorie di San Geremia consumavano 6.181 stara di farina ... Adamo Longhena Forner a San Geremiapagava 169 ducati annui d’affitto, il Forno gli costava 25 ducati annui di manutenzione, e doveva pagare inoltre 10 ducati di Tassa per la Scuola e la Milizia da Mar della Serenissima ... Aveva 5 Lavoranti “per far pane e portar ceste”, che pagava 3 ½ lire alla settimana dando loro anche il vitto. Aveva inoltre altri 2 uomini “per andar a comandar in giro a 8 lire settimana e 2 pani al giorno”; un Infornadòr a 9 lire la settimana e 2 pani al giorno “che faceva 24 forni da 2 sater e ¾ ciascuno a settimana, per 66 stara totali di pane spendendo 24 soldi di canna da brusàr”… Il pane valeva 28 lire a staro … Capitò una rumorosa causa fra Pietro Staggietti Pistor di San Geremia e il Lavorante Lorenzolicenziato dopo che aveva servito per 13 giorni pretendendo il pagamento del mese intero ... Gli vennero pagati solo i 13 giorni.
Fermati … Basta dire ! … che stai diventando troppo lungo da leggere …
Infine Palazzo Frizierdivenne “Lista di Spagna” per via che vi abitava l'Ambasciatore di Spagna, ed era diventata una specie di zona franca di protezione ... La “Lista” era le vicinanze dell’Ambasciata dove si poteva godere in qualche modo d’una certa immunità, quasi di extraterritorialità o “d’antico diritto d’asilo”, che diventava spesso valido rifugio per delinquenti ... un po’ come capitava, ad esempio, al Ponte dei Frari che godeva di privilegio simile e della protezione-supporto dell’Autorità dei Frati della Cà Granda… Ci pensava poi la Serenissima con gli uni e con gli altri “a venir diplomaticamente a patti per andàr ad acciuffàr lo stesso chi di dovere”.
Finito ?
Si … Ultimissima … Il Palazzo Frizier passò poi al Conte Giuseppe di Montealegre che lo ristrutturò nel modo visibile oggi.
Poi l’ex Palazzo di Spagnadivenne sede del Pio Istituto Manin dal nome dell'ultimo Doge di Venezia: Ludovico Manin che lo istituì nel 1857: “Morendo lasciò una cospicua parte (centomila ducati) del suo pingue patrimonio ai pazzi furiosi e a tante neglette puerizie di fanciulli orfani o derelitti, abbandonati da genitori sfortunati o depravati per crescerle tra le cure di un Savio Regime, volgendoli a beneficio della società esistenze che minacciavano di maturare a sua vergogna o rovina, preparandoli nelle arti, e alla famiglia come uomini robusti, probi, intelligenti ed operosi ...”
Fu la Commissione di Pubblica Beneficenza ad amministrare l'Istituto-Luogo Pio, che iniziò ospitando un’ottantina di fanciulli già presenti a Sant’Antonin di Castello. Nell’Istituto si “ricoverava” in due modi: alcuni venivano “mandati da qualche onesto villicoeducatore ovillica nutrice delle campagne dove si potevano addestrare ai lavori dell'agricoltura”, mentre un’altra cinquantina venivano avviati giornalmente alle Botteghe di Venezia, o presso gli Artieri del Regio Arsenale per poter apprendervi un'Arte. Si evitava di collocare i ragazzi della “classe misera” nelle grandi fabbriche industriali considerate: “ambienti pregiudizievoli per la morale, in preda a disagio e vizio”, e si faceva scegliere ai ragazzi in quale delle due classi di Lavoro-Mestiere volevano istruirsi e addentrarsi.
La prima categoria comprendeva: Incisori di pietre e metalli, Gioiellieri, Orefici, Fabbricatori di strumenti, Doratori in legno o di metalli, Orologiai, Stampatori e Tipografi o Legatori di libri, Battioro e d’argento, Fabbricatori di mobili, Tessitori di seta, nastri, calze e simili, Tappezzieri, Tintori … La seconda contemplava comprendeva, invece: Sarti, Fabbri ferrai, Tornitori, Finestrai, Calzolai, Calderai, Barbieri, Fabbricatori di legno e vernici, Materassai, Falegnami, Cordai, Linaroli, Lavoratori di Canape e Cappellai.
Alla fine di ogni anno di studio e apprendimento erano previsti esami di passaggio con l’esposizione dei manufatti eseguiti ed eventuali premiazioni ... Si lavorava dalle sei ore nei mesi da dicembre a febbraio, e in progressione fino alle dieci ore di maggio-agosto.
Per le botteghe artigiane di Venezia, i piccoli opifici cittadini, e il privato “lavoro domestico a domicilio”, quella dei ragazzi e delle ragazze dell’Istituto era una più che buona opportunità. Gli Artieri“data prova di conosciuta probità e prudente contegno, di libero esercizio del proprio mestiere con bottega propria e con patente pagata dal Municipio, di perfetta conoscenza dei lavori dell’arte esercitata” chiedevano e ottenevano uno-due ragazzi dell’istituto. Il Mastro Artigiano li pagava due lire austriache al mese per il primo anno, poi aveva diritto alla prestazione gratuita della loro manodopera negli anni successivi nei quali avrebbe loro insegnato in cambio l’Arte-Mestiere sorvegliandone contegno e disciplina, e preservandoli dai cattivi ammaestramenti da parte di terzi. L’allievo, compiuti i diciotto anni e completato il ciclo di studio di sei anni era indotto a rientrare nella famiglia d’origine se c’era, o a trovare lavoro stabile presso il Mastro Artiere che l’aveva istruito iscrivendosi alla sua stessa Arte.
Le ragazze, viceversa, venivano ospitate negli Istituti sotto la direzione iniziale di una volontaria Dama Protettrice dotata di “buoni principi”, e soprattutto dalle indubbie disponibilità finanziarie utili per far quadrare in qualche modo il bilancio. In seguito le ragazze furono sottomesse all’egida di Sacerdoti coadiuvati da Educatrici. L’affido all’Istituto veniva realizzato in vista della possibilità di collocare le fanciulle come domestiche presso qualche onesta famiglia o coinvolte in qualche altrettanto onesto progetto matrimoniale di buon partito ... qualche arzillo vecchio facoltoso, che di solito non mancava mai sullo scenario sociale.
L’idea circa la Donna rimaneva sempre la stessa: madre di famiglia dedita ai lavori di casa e dei numerosi figli, o al servizio come domestica-cameriera per la quale erano buoni il Laboratorio di stiro, bucato e cucina. Nel 1877 si scriveva: “i tempi sono cangiati ed è necessario che l’opificio apra le porte per quelle (donne) alle quali più non s’aprono le porte del chiostro”… Pressati quindi dai “tempi nuovi”, si ampliò il panorama occupazionale femminile insegnando alle ragazze anche il Cucito e Ricamo, la Sartoria, il Lavoro a maglia e a Merletto, ma anche la Pittura su Porcellana, la Composizione Floreale, la Telegrafia e Dattilografia, e la Contabilità Commerciale ... Nella Venezia affacciata sulla nuova economia industriale del Cotonificiodi Santa Marta si propose alle ragazze degli Orfanotrofi il Corso di Aspatore per Cotonificio per la manipolazione e avvolgimento delle matasse tessili.
A farla breve … perché è tardissimo …. A metà 1800 i ragazzi assistiti dall’Istituto Maninerano oltre 300, e il Pio Ente era ritenuto dai Veneziani “il meglio possibile” della Carità Municipale … L’istituto ospitava fanciulli e fanciulle abbandonati che non avessero ancora compiuto i dodici anni … Come requisiti era necessario essere presentati da informazioni di Parrocchie e Fraterne, e mostrare alla Direzione opportuna Fede di Battesimo e Certificato di Cresima che confermassero la “buona inclinazione”della famiglia.
La gestione dell’Istituto era soggetta alla sensibilità e alla Cultura Etica-Religiosa del tempo di stampo Asburgico e da Antico Regime conservatore, che intendeva perseguire la “pubblica felicità” accogliendo, tutelando, curando ed educando i minori poveri o privi di genitori ... Il “Regio Sovrano Governo sapiente e bene avveduto”, tutto dedito al rilancio economico di stampo ormai industriale-manifatturiero, vedeva la bontà di tale iniziativa soprattutto in chiave di sicurezza sociale, per distrarre la popolazione dall’ozio improduttivo, dal vagabondaggio, e dal disordine trasformandoli in maestranze produttive ... Il“volgo” secondo il sentire dei “Ceti Alti” quel tempo era soggetto a un Destino di accontentamento del proprio stato, di riscatto, penitenza, assiduità nel lavoro, e obbediente sudditanza rispettosa dell’Autorità Costituita da Dio ... un meccanismo perfetto che non si doveva intaccare.
Come si faceva un po’ ovunque per l’Europa oltre che in Italia, Preti e Suore che erano spesso docenti e mediatori tra l’Istituto e la Società del “Mondo di fuori”, oltre alla Cristiana Morale Educazionecon gli Esercizi Pii della Religione impartivano agli Orfani “rinchiusi”anche l’Istruzione Elementare di base che si svolgeva prima nelle ore serali, poi per un’ora al giorno a metà giornata dopo il pranzo … il cui vitto era per scelta dell’Istituto: “sempre sufficiente, frugale, e da poveri” ... La Cultura Letteraria si apprendeva su due livelli: il primo sul leggere, scrivere e conteggiare, mentre il secondo livello implicava il saper comporre e l’Aritmetica. L’Insegnamento Professionalevero e proprio occupava poi giornalmente per dieci-undici ore, e a questo via via venivano aggiunti Corsi supplementari utili ed integrativi come potevano essere la Geografia, oppure il Disegno Geometrico e d’Architettura, o a mano libera ritenuti fondamentali per l’esercizio di alcuni Mestieri.
Fu grazie all'interessamento ed alla cospicua donazione di circa 50.000 Lire Austriache di rendita del Conte GianBattista Sceriman Vicepresidente della Commissione Generale di Pubblica Beneficenza che l'Istituto si allargò occupando il Palazzo che mise a disposizione in Lista di Spagna, e poi si sdoppiò mandando le ragazze nella sede dell’ex Convento dei Frati Gerolimini di San Sebastiano gestito dalle Figlie di San Giuseppe di Luigi Caburlottoa Dorsoduro. I ragazzi, invece, oltre ad occupare lo stesso Palazzo Sceriman di Cannaregio, entrarono nel grande circuito degli Orfanatrofi Veneziani che comprendeva oltre “il femminile delle Terese”, anche il “Maschile della Visitazione ai Gesuati sulle Zattere di Dorsoduro”, oltre che altre sedi minori alla Giudecca, nelle Isole e in Città.
Nel 1868 si accusò la Congregazione di Carità di abusi compiuti dai Maestri delle Officine troppo anziani, malretribuiti ed eccessivamente irreggimentati che usavano per interessi privati la manodopera a costo zero del lavoro dei ragazzi ... Non li rifornivano a sufficienza degli attrezzi adatti, non garantivano agli Orfani un conveniente inserimento nel mondo lavorativo “delle basse forze”, né si curavano dell’aspetto educativo-morale di cui l’Istituto si faceva fautore … Spesso non riuscendo a sfruttare ulteriormente e come volevano il lavoro dei Laboratori e dei ragazzi, alcuni Mastri se ne andavano lasciando un buco d’insegnamento a metà dell’anno scolastico ... non insegnavano le Arti nella loro interezza, ma solo in quel che loro serviva per i loro scopi.
A un certo punto l’Istituto si trasformò in una specie di Scuola-Collegio Professionale adatta ai figli della classe popolare … A più riprese si operarono soppressioni d’Officine e Laboratori obsoleti sostituiti dall’opera di costose macchine che rendevano sempre meno competitivo il lavoro artigianale. Per mancanza soprattutto di fondi e d’investimenti, si chiuse l’Officina dei Tessitori, quella dei Mosaicisti e del Cartonaggio, e l’Officina Elettro-Meccanica priva di proposte di lavoro e commesse. Si provò ad aprire senza successo un’Officina di Fonderia, ma non si riuscì a trovare né un ambiente adatto nè un Mastro competente nel settore ... Dopo aver bocciato l’istituzione di un Officina Doratori e di un Laboratorio per Maestri Incisori, si chiuse anche il Laboratorio appena aperto degli Scalpellini per l’incapacità didattica del maestro giudicato artigiano troppo grossolano.
All’Esposizione Universale di Torino del 1898, tuttavia, l’Istituto Manin di Venezia conseguì la medaglia d’argento per la bontà e originalità dei manufatti prodotti dai suoi laboratori ed eseguiti da “fanciulli abbandonati trasformati in cittadini onesti dediti alla Patria, e intelligenti operai” ... Fabbri, Rimessai, Scalpellini, Intagliatori e Intarsiatori, Fonditori, Cesellatori, Lattonieri, Calzolai, Tipografi.
In uno ricerca-studio sull’Istituto Manin si legge: “Fino al 1868 alcuni giovani maschi e femmine, raggiunta l’età dell’emancipazione dall’Istituto, trovarono impiego e sbocco professionale sia nella stessa struttura che li aveva accolti, che nel mondo lavorativo esterno. A puro titolo d’esempio: fra gli Allievi usciti da 1892 al 1898, su nove Rimessai: uno trovò lavoro all’Arsenale, uno andò a fare il Sacrestano, uno si diede alla Musica, mentre tutti gli altri si occuparono presso laboratori o ditte Veneziane. Fra i 30 Fabbri dell’Istituto, invece: due andarono a lavorare col padre, uno divenne Carpentiere alla Svl, uno operaio alla Meccanico Moro, uno alla Ditta Isabella, due allo Layet, uno all’Arsenale, uno all’Elvetica di Milano, uno a Genova allo Stabilimento Marittimo, uno a Trieste, uno all’Acquedotto di Verona, uno da Pietro Tis, mentre altri s’impiegarono come Facchino, Orefice, in una Mescita di vino, a vendere ostriche, e a lavorare presso le officine Meloncini, Tendarini, Donaggio, Cendali, Zanpolo, Bianchini e al Cantiere navale di Sant’Elena della Società Veneta, uno andò inserviente allo Stabilimento Petroli, uno fuochista a Santa Margherita, e tre risultarono semplicemente ritirati dall’Istituto dai legittimi genitori.
Dei cinque Falegnami uno è diventato dipendente dell’Orfanotrofio Maschile, mentre un altro si trova presso la Casa di Custodia di Bologna, uno fa il Merciaio a Udine, uno l’Oste, uno Il Falegname a Montagnana, e l’ultimo è dipendente di una ditta di mobili artistici.
Dei sette Scalpellini uno lavora presso alla Zanusso, uno all’Officina Galvan, e uno alla Biondetti, uno presso lo scultore Sanchetto, uno è ortolano a TrePorti, uno fa l’affittacamere con la madre, e un ultimo si è impiegato come contabile presso una società di assicurazioni.
Fra i quattordici Intagliatori: uno è diventato Marinaio, uno è passato all’Istituto Coletti di Cannaregio è ora fa il Merciaio, due sono dipendenti della Topo, uno della Dal Todesco, uno espulso vive con la madre, un altro espulso è ora al Turazga a Treviso, uno lavora presso l’intagliatore Bianchini, uno ritirato dalla madre fa l’Orefice professione di famiglia, uno dopo avere esercitato come Intagliatore, lavora col padre come Legatore di libri, dell’ultimo, espulso, non si sa nulla ... Infine tra i calzolai risulta un solo allievo ritirato dalla madre.
Gli allievi turbolenti troppo vivaci venivano imbarcati come mozzi in bastimenti mercantile ... Dei giovani espulsi uno divenne Pizzicagnolo, un altro andò a lavorare all’Arsenale, e di un ultimo non si seppe più niente.
Circa le 122 ragazze Orfane delle Terese negli anni 1885-1897: ben 93 riuscirono ad ottenere un lavoro retribuito. Oltre alle due fortunate che si fecero rispettivamente adottare dalla Contessa Bembo, e sposare dal Conte Avogadro, le altre: 19 erano divennero Ricamatrici; 12 Cameriere; altre 11: Lavoratrici in Bianco; 9: Domestiche; 9: Operaie al Cotonificio che nel 1887 aveva 919 addetti di cui 273 erano donne; 7: Sarte; 3: Maestre di Studio o d’Istituto; 4: Lavoratrici a macchina o da calze; 2: Infermiere; 2: Bambinaie; ed una rispettivamente: Guardarobiera, Operaia in Fabbrica di fiammiferi, Guantaia, Merlettaia, Tappezziera, Fiorista, Vicedirettrice di negozio … Infine 18 s’erano Maritate, e altre 11 vivevano da Casalinghe.”
L’Istituto Manin fra alti e bassi di stagioni incoerenti, tensioni, ristrutturazioni, episodi di ribellioni interne, e affidamenti a personaggi politici di volta in volta di tendenza diversa, rimase là fino al suo scioglimento definitivo negli anni 1960 ... Dentro a quei muri accadde tanta Storia Veneziana … parecchio sofferta … ma pur sempre Storia con la“S” maiuscola.
Ho fatto tardissimo ancora una volta: lo so, me ne rendo conto … Sono sempre lunghissimo, prolisso e interminabile … Non c’è tempo per queste cose … ma c’era da dire e ricordare anche stavolta.