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Nel palùo de San Giacomo

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Nel palùo de San Giacomo


Quand’ero bambino la ricordo benissimo … Ci passavamo accanto andando e poi tornando a Burano da Venezia … L’isola di San Giacomo in Paludo era ed è quell’ettaro di terra emersa quasi buttato là a caso in Laguna tra Murano e Burano sul Canale della Scomenzera di San Giacomo … ovverossia sui Canali de Scortegàda e del Bisàtto che vien da Muran, e che va al Porto de Sant’Erasmo da una parte e a Mazzorbo dall’altra.

Nella mia mente rivedo l’isola “imbronciàda” una volta di più d’inverno, col nebbione fisso e piovoso … e assolata e verde dietro al suo muro d’estate … Mi faceva più impressione col buio e il freddo, quand’era quasi o ormai sera nella cattiva stagione. Le passavamo accanto a bordo del vecchio e grosso vaporetto “Patàte”: il cui motore bolso e odoroso le rombava dentro nella pancia a suon di pistoni unti e forti mentre ci riportava a Burano in fondo alla Laguna.

Ciangottava il battello lento e pesante, sembrava ogni volta quasi tirare l’ultimo respiro, quando faceva il curvone acqueo di San Giacomo in Palùo… Poi se non finivamo in secca nella nebbia perché il Radar era rotto, si andava dritti per l’Isola della Madonna del Monte, e poi verso la strettoia del Nuovo Canale di Mazzorbo, e infine alla mia Burano … Giunti a San Giacomo in Palùo andando e tornando si aveva l’impressione che il più dell’ennesimo viaggio, sempre speciale per noi, fosse ormai fatto. Quell’andare vestito a festa era sempre una piccola-grande esplorazione per me: una piccola avventura Veneziana … E poi la vedevo ogni volta la Sentinella tutta buia, tetra e intabarrata nella sua cerata che grondava pioggia e buio … Erano i primi anni ‘60, gli ultimi anni in cui ancora esisteva la Polveriera di San Giacomo: vecchia Batteria Militare dell’altrettanto vecchio Sistema Difensivo Lagunare… Di lì a poco l’isola sarebbe stata consegnata all’abbandono e alla rovina più completa … Ma intanto c’erano ancora quei giovani aspri “di guardia”, relegati lì dentro a sorvegliare il niente insieme ai cagnacci notturni che venivano lasciati liberi di notte a sbranare qualsiasi cosa.

Rimuovendo con la manica del mio goffo e pesante cappotto il velo opaco dal vetro appannato del vaporetto odoroso di gente, scrutavo ogni volta con lo sguardo andando alla ricerca della Sentinella: “Eccola là ! … Si ! … Lì in fondo verso la garitta sul muro !”… Mamma annuiva “di si” senza neanche guardare … Ma c’era proprio il soldato: a volte immobile, a volte che si muoveva lento sotto alla pioggia con lo schioppetto adunco in spalla e l’elmetto o il basco in testa.

Che tempi andati ! … Mentre ci allontanavamo col battello, favoleggiavo da bimbo su che cosa avrebbe fatto quel milite a guardia di quello spicchio dimenticato di Laguna … Forse era un fantasma ? … Uno scappato via dalle tante Storie accadute un tempo in quell’isola … Tutte le isole erano luoghi magici e pieni di storie e leggende … Uno più bello dell’altro per la mia mente ... e lo sono ancora adesso.

Poi sono trascorsi gli anni … e sono un po’ trascorso anch’io ... I militari abbandonarono l’isola con le tre piccole casermette, i terrapieni, e la Madonnetta Pallida e Gotica affacciata dal muro … Ed era il 1964: avevo 6 anni ... e rimase solo quella Statua a guardia della Laguna, con i Gabbiani, i Cormorani, le Alghe … le Barene e le Acque d’intorno … e tutto rimase là sempre uguale in balia e corroso dal Tempo formando sempre lo stesso scenario bellissimo.

Sono nostalgico … forse romantico ? … E che ne so ? … La vivo così: da Buranello e Veneziano.

Oggi esiste un bel malloppo di studi e manuali interessanti e approfonditi che riassumono e hanno studiato bellamente le vicende antiche dell’Isola del Palùodi San Giacomo oggi abbandonato … L’isola se ne sta sempre lì desueta e morta nei suoi specchi d’acqua limpidi o fangosi, sempre soggetta all’illusione dell’imminente prossimo recupero: avvolta nelle brume invernali quando si veste di striminzito erbaggio secco e dei pochi alberi spogli.

Ci sono soprattutto due cose da dire del passato storico del Palùo di San Giacomo oltre alle antiche vicende archeologiche che lasciamo dire a chi ne sa per davvero.

Mi riferisco alla stagione delle Mùneghe Cistercensi, che s’intreccia con quella del Priorato dei Francescani Minori della Cà Granda dei Fraridi Venezia. Per secoli furono loro i due padroni incontrastati dell’isola, in un certo senso ne hanno fatto la Storia.

Poi c’è stato l’ultimo sussulto del Palùo di San Giacomo, quando ormai la Serenissima era quasi morente nel 1778. Il Sovrintendente alle Venete Artiglierie Domenico Gasperoni scrisse al Doge che serviva concentrare “in un solo appartato luogo tutti i depositi della Dominante spersi in tutto l’Estuario … Si pensa collocare quattro conservatori di polvere capaci di contenere tutta la quantità che capisce nei presenti depositi, che l’isola sia chiusa in un circondario di muro, che deva esservi un quartiere ad uso di una Guardia,  e una comoda Cavanna per il più facile ingresso alle barche.”

Quando si diceva questo, Monastero e Ospizio in Isola ormai non c’erano più da tempo … Le spese sarebbero state ingenti, e i tempi troppo lunghi per la realizzazione. Non se ne fece niente, e Venezia Serenissima languì ancora un poco, e poi si spense abbandonandosi controvoglia nelle braccia poco ospitali degli invasori-distruttori stranieri.

I Frati Minori Conventuali dei Frari smisero d’amministrare l’isola, e Giulio Cogni prese a livello perpetuo vigna e fabbriche malandate rimaste accollandosi “in perpetuo” la manutenzione della cinta muraria dell’isola, degli edifici, e della chiesetta con i pochi arredi che conteneva ... Poco dopo l’isola venne devastata dai danni di una sonora tempesta ... Giulio con i suoi eredi entrarono in lite con i Frati per gli affitti non pagati ... ma giunsero i Militari, che presero in mano il controllo dell’isola, e della vecchia Palùo di San Giacomo non ci fu niente più.

Che dire allora su San Giacomo col suo Palùo ? … San Giacomo in Palude ?

Poco o niente … Ci sono stati quei due grandi lampi storici del passato da raccontare un po’ ... Vi dico di quelli.

Tradizioni e Storie Veneziane abbastanza recenti raccontano che a San Giacomo in Paluo facevano l’ultima sosta in Laguna le Zattere del Legname che scendevano dai boschi del Cadore e della Carnia prima di approdare finalmente alle Fondamente Nove, alla Barbaria de le Tole, e all’Arsenale: meta ultima di un lunghissimo viaggio.

Anche questo è un lampo del passato di San Giacomo in Palùo ... Immaginateli solo per un attimo quegli “uomini aspri del legname” odorosi di resina, salsedine, fatica e sudore scesi giù precipitevolmente sugli zatteroni dai Monti e dai Boschi da Rèmo della Serenissima. Si sono trovate tracce dei loro simboli e marche incisi sui legni e i muri dell’Isola del Palùo. Quello degli Zattieri era un altro “mondo a parte”, che si incontrava e sovrapponeva e intersecava con quello scintillante della Serenissima con i suoi fasti, le sue Guerre, i suoi Mestieri, i Commerci e le sue Leggi ... e le sue Galee da Guerra e da Mercato da realizzare.

Eccoli i nomi delle Aziende Cadorine degli Zattieri e Carrettieri di passaggio in Laguna nel 1500: Egidio, Paolo, Nicolò ed Ercole da Pieve, Jacomo da Perarolo, Domenico da Ospitale ... C’erano poi: Lorenzo De Calegaris da Ponte di Piave, Antonio Morgante da Noventa e Gaspare di Zenson di Piave… Ed ecco con chi contrattavano, lavoravano, vendevano e compravano: Pietro Spolverato da Venezia: Mercante d’antenne da naviLorenzo Dalle Tavole da Treviso, Antonio Scorzòn da Oderzo… E c’erano gli immancabili Nobili Veneziani ricchi e pomposi che andavano e venivano, trattando, comprando e vendendo arricchendosi e sfruttando al massimo l’opportunità che era Venezia: Contarini, Malipiero, Dolfin… e un “Clarissimo Missier Sagredo”.

Riecco quindi apparire una Venezia Serenissima laboriosissima, quasi stemperata e amalgamata con acque e terre fin nell’angolo remoto ma quotidiano e spicciolo dell’isola di San Giacomo in Paludo immersa nella Laguna Veneziana.

E Nobili Veneziani allora richiamano ancora Nobili Veneziani … perché in fondo l’Isola nel Palùo è stata abitata per secoli soprattutto da esponenti del loro Casato… da donne all’inizio: le Monache Cistercensi ... Le figlie dei Nobili Veneziani.

Guardiamole per un attimo quelle Nobili Donne Mùneghe… Solo per un attimo: … Nomi prestigiosissimi ! … Tutte donne relegate in Laguna per continuare il sogno Veneziano di preservare i capitali da figli cadeti e femmine da sposare: i soldi, il capitale, il patrimonio di famiglia venivano prima di tutto … Tutto il resto si poteva sacrificare mettendo figli e figlie a vivere costretti in isola, o sepolti vivi in qualche Monastero Veneziano … Ed ecco allora il Monastero del Paluò: un altro dei tanti sparsi in tutta la Città e la Laguna Veneziana.

Che si riducessero volentieri quelle donne d’alto rango a vivere sottomesse e misere, ristrette quasi prigioniere, in quegli stenti Lagunari così ameni ma discosti ?

Macchè … La subivano quella sorte, anche se cercavano in ogni modo che il Monastero fosse il prolungamento del loro Palazzo di Famiglia ... Badoer, Dandolo, Giustinian, Premarino, Condulmer, Cappello, Cornàro, Contarini, Memo, Nadàl, Valaresso … Sentite che nomi alti e importanti e famosi … Ma a San Giacomo in Palùoci furono anche le donne dei: Sesendalo, De Rutuy, Nuolàn, Pellàn, Forouil, Dauro, Tonisto, Maio, Nauacosso ...  e di altri ancora.

 


Era appena il 1046 o 1146 quando Orso Badoer originario della Contrada di San Lio di Venezia, concesse a Giovanni Tron di Mazzorboun bel pezzo d’acqua paludosa e fangosa da bonificare per edificarvi sopra un Convento con Ospedale per Pellegrini, ovverosia anche un punto di riferimento che potesse servire anche da rifugio durante i temporali e il maltempo per chi transitava e lavorava in Laguna. Il nuovo luogo strappato alle acque sarebbe stato titolato a San Giacomo Apostolo Maggiore: il Santo famosissimo, quello di grandi e frequenti pellegrinaggi di CampoStella per intenderci ... Ma oltre ai Pellegrini Jacobei, per Venezia passavano Pellegrini di ogni tipo: c’erano anche i Romèi diretti a Roma, gli Assisiati, i Loretani, e i Micaelici diretti al Gargano dell’Arcangelo, e magari poi disposti a traghettare il mare andando in Terrasanta, al Sinai, o ai Monasteri Orientali, Armeni o dell’Athos Greco ... e altro ancora.

 

Pietro Polani Doge, fu lui che fece innalzare concretamente l’Ospizio nell’Isola del Paluò nel 16 anno del suo mandato Ducale ... e anche Papa Urbano III fece la sua parte … come Eugenio IV più tardi, circa duecento anni dopo, quando precisò che tutta quella roba Lagunare, compreso l’Hospitale Sancti Jacobi, era di diritto, pertinenza e giurisdizione del Vescovo di Torcello.

 

E saltiamo al 1228, o forse al 1238, quando l’Isola di San Giacomo in Paludo divenne insediamento Cistercense occupato dalle Monache distaccatesi da Sant’Antonio di Torcello. Erano stanche di sta là a duellare per controllare elemosine e lasciti con i Monaci di San Tommaso dei Borgognoni ... perciò cambiarono aria.

In quello stesso anno ci fu davanti ad Angelo Prete-Notaio di San Tomà di San Polo di Rialto, una donazione elargita da Pasquale Arditone Prete-Piovano di Santa Maria di Murano, che donò alla nuova Badessa Donatadel Paludo di San Giacomo l’opportunità d’incrementare le già presenti proprietà, gli emolumenti dotali delle Monache, e i capitali conferiti all’isola trasformata ormai stabilmente in Monastero ... Anche il Doge Pietro Ziani fece nella stessa epoca una buona donazione al Monastero del Palùo.

 

Nel 1250 circa, pure un misconosciuto Alessandro prestò alle Monache 28 Denari di Grossi Veneziani. L’accordo fu preso con Arrigo Converso del Monastero, e Rappresentante-Procuratore della Badessa e delle Monache del Palùo. Quei soldi sarebbero stati restituiti a rate al figlio Raniero: suo erede ancora minorenne.

 

Sotto le successive Badesse Aycha e Maria Premareno il Monastero s’ingrandì e lievitò ulteriormente. Ci furono donazioni di terreni ad Umago in Istriada parte di Ruggero Morosini di Sant’Antonio di Castello, s’introdussero fra le Monache nuove figlie della Nobiltà Veneziana che contava: a Rialto presso il Prete-Notaio Marcus Nichola da San Yeremia di Cannaregio, il Vescovo Pietro Pino di Castello di Venezia rilasciò quietanza alla stessa Donata Badessa del decimo che gli spettava sull’eredità di Diamantesorella del Nobile Marco Venier del Confinio di San Geremia divenuta Conversa nel Monastero Lagunare di San Giacomo di Palude … Anche la Nobile Maria Cappellosi fece Monaca nella stessa isola rilasciando ricevuta a suo fratello Bartolomeo residente in Contrada di Santa Maria Materdomini, dei 5 soldi di Grossi Veneziani: rateo semestrale del suo Vitalizio da Monaca ... Sua sorella Beatrice Cappello la seguì a ruota subito dopo, nominando Marino Barozzi di San Moisè Agente-Procuratore dei suoi beni e della sua dote monacale … Nell’Isola di San Giacomo si costituì anche un’area cimiteriale riservata alle Monache … L’anno seguente alla presenza di Prè Silvestro e di altri testimoni, Gerardino Longo Procuratore di San Giacomo in Paluoentrò in possesso a nome della solita Badessa Donata di tre mansi di terra siti a Favaro e Carpenedo nella Terraferma Veneziana di Mestre.

 

Sempre e ancora a Rialto un anno dopo: Guglielmo Priore di San Salvadorfece quietanza davanti a Donato Prete-Notaio Piovano di San Stin alla sempre e solita Badessa del Paludo di un legato intestatole per testamento da Maria Dauro, da spartire col potente Nobile Giovanni Badoer dei Frari, le cui sorelle: Marchesina e Mariaerano diventate Monache a San Giacomo in Paludo … In quell’occasione ricevettero dal fratello: 50 Lire di Denari Veneziani ... Altri 4 Ducati d’oro arrivarono nell’isola lagunare da Matteo Burna, che li diede alla Badessa come Dote Monastica di Caterina Burna… Pure i Procuratori di San Marco diedero alla Badessa 20 denari in 2 rate di 8 e 12 soldi, lasciti alle Monache dalla ricchissima Maria vedova di Giacomo Gradenigo. La Nobildonna aveva disposto per testamento la donazione di un insieme di cospicui legati e denari ai tutti i Monasteri e Ospedali del Dogado Veneziano: soprattutto alle Vergini di Castello, dove venne sepolta, e agli Hospedali Veneziani: Domus Dei, Domus Misericordiae, Santa Maria Crociferorum, Sancto Joahannis Evangelista, Santa Maria e San Lazzaro, e a tutti i Monasteri fra Grado e Caput Aggeris (Cavarzere) fra i quali elencò anche San Jacopo de Palude.

Ancora nel crudo inverno 1270, Pancrazio Barbo del Confinio di San Pantalondel Sestiere di Dorsoduro dichiarò a Rialto davanti al Notaio Martinus Fusculo Prete a San Thomè del Sestier di San Polo, di dovere a Marchesina Gradenigo Monaca a San Giacomo in Paludo: tre rate d’affitto di 30 Lire di Denari Veneti … Erano la somma della pigione di un manso acquistato dalla Commissaria di sua madre Tommasina.

 

Ancora nell’ultima decina d’anni del 1200: Sebastiano Venier di Santa Maria Formosa dichiarò di tenere in affitto dal Pievano di Santa Maria di Murano un tratto di Laguna nei pressi di San Giacomo in Paludodove c’era una vigna murata fra il Canale di San Francesco e quello di Sartene, e fra l’isola di Mazzorbo e quella di Carbonera … Nello stesso Parlatorio del Monastero insulare del Palùo di San Giacomo, Rolando da Padova alla presenza di Renaldo e Aumone: Monaci Cistercensi di San Tommaso di Torcello, cedette a Nicoleta Giustinian Badessa di San Giacomo due mansi di terre arative, prative e boschive nei pressi di Favaro di Mestre ricevendo in cambio proprietà nel Padovano, e 200 Lire di Denari Veneziani come conguaglio … Simeon da Favaroabitante su quelle stesse terre di San Giacomo dichiarò di aver acquistato dalla Badessa Nicoleta due buoi bianchi per 30 Denari Veneziani, e di aver ricevuto in prestito dalla stessa Monaca 26 Lire che le poteva restituire a rate.

 

Quanta roba vero ? … Che grandi attività ed economie che fervevano laggiù in Laguna … Eppure a guardarlo quel Monastero sperso in mezzo alla Laguna Veneziana pareva poca cosa quasi insignificante … Non lo era affatto.

 

Il Cenobio Lagunare del Paludo insomma divenne ricco e importante: un Ente di successo e di riferimento della Laguna Veneziana … Provate a intuire il giro d’affari che si concretizzò nel Paluo di San Giacomo in quei tempi lontanissimi … Nel Paluò confluivano di continuo oltre ai denari, anche farina, legname, legumi, salumi, uova e galline, biade, fieno e attrezzature dai possedimenti di Dese, Favaro e Carpenedo che venivano di continuo ampliati, permutati, comprati, venduti e accuditi ... A conferma di quanto fosse “felice” quell’epoca per il Palùo di San Giacomo, Doge e Signoria scelsero proprio l’ameno sito antistante il Monastero e l’isola come scenario dell’incontro della Serenissima col Duca d’Osterlik in visita a Venezia.

 

Quando il Tempo scandì il 1300 tondo tondo, il Monastero del Palùo ricevette contributi di Stato per riparare la Cavana di San Giacomo, ma capitò anche un fattaccio. L’Abate Enrico di Brondolo visitò il Monastero Lagunare femminile nel Palùo invitando la Badessa a rendergli omaggio. Visto però che quella si dimostrò riluttante e maldisposta nei suoi riguardi, la depose dal suo titolo interdicendole la guida della comunità delle Monache …. Le Monache incassarono il colpo, ma non si scoraggiarono: si appellarono direttamente al Papa di Roma: Bonifacio VIII, che risistemò tutto rimettendo la Badessa al suo posto, ma soprattutto puntò l’Abate Enrico rimpicciolendone l’influenza, e somministrandogli un “Pontifical cicchetto” … Le Monache “in mezzo alle acque” avevano ormai maturato una loro precisa fisionomia … che anche il Papa riconosceva.

 

A fine estate 1333 un certo Poluzio Superanzo o Soranzo venne denunciato dalla Badessa al Tribunale Civiledella Serenissima, che lo condannò immediatamente a pena pecuniaria. Era entrato nel Monastero con quattro soci, e aveva ricoperto d’ingiurie le Monache … Zaccaria Superanzo, o quel che era, probabilmente era un proprietario di Terraferma che aveva questioni economiche irrisolte con le Monache, forse per i terreni con cui confinavano i suoi.

 

Ed eccole qua le Monache Veneziane: alla fine del 1334, l’anno seguente alla denuncia di Soranzo, quando il Capitolo delle Monache di San Giacomo del Paluò nominò Botelino di Anzanelli di San Martino come unico e legittimo Procuratore rappresentante del Monastero, erano presenti e sottoscrissero il documento di nomina: la Badessa Caterina Minio, la Priora Caterina Moyo, ed altre undici Monache Professe: Maria Falier, Filippa Agnella Moano, Angiolina Linilano, Agnese Premarino, Caterina Grino, Maddalena Basso, Regina Moio, Caterina Brulano e Caterina Bondo... E’ quella Venezia di Nobili che ben conosciamo.

 

San Giacomo in Paluò contava anche oltre la Laguna … E’ curiosissimo leggere nella Mariegola della Schola Grande di Santa Maria della Carità(l’attuale Accademia a Venezia) nel 1364:“… la Badessa di San Giacomo de Paluo col so Convento receve nu, e nu elle nelle Oration et Beneficii, e el de far l’Officio de li Morti per li nostri Frati e nu dovemo pregar per elle e dir li Paternostri …”

 

San Jacopo in Paludo “girava” alla grande … era floridissimo: una dependance dei ricchi e potenti Nobili Veneziani.

 



Poi iniziò la sequela delle rogne per il Convento del Palùo… Il Monastero subì ben 15 processi in poco tempo per via di abusi sessuali delle Monache del Palùo che avevano fatto nascere ben 5 bambini ... Il Monastero Lagunare aveva ricevuto un’unica Visita Abbaziale di controllo da parte del Vescovo Domenico di Fossanova, che non aveva mancato di richiamare le Monache a un comportamento e una disciplina adeguate “curando gli Uffici diurni e notturni, il silenzio nei Dormitori, nel Chiostro, nel Capitolo e nel Refettorio”… Era compito della Badessa di vigilare garantendo il rispetto della Regola ... Probabilmente non l’ascoltò nessuno, meno che mai la Nobile Badessa ... Pietro Baseggio con l’aiuto di tre amici-complici, ad esempio, rapì dal Convento con una barca e una scala la Monaca Eliseta Zalacessio o Galaresio o Calacesio costringendola a pratiche più o meno piacevoli e sacrileghe da cui spuntò al mondo un altro bel bambino ... Venne condannato a due anni di prigione ... Un Nicola Basegio era forse uno dei proprietari delle terre di Favaro appartenenti al Monastero del Palùo.

 

Toccò poi qualche tempo dopo ad Antonio Negro Cultrario o Coltellinaio d’esser processato nel 1419 per lo scandalo d’essere entrato nel Monastero del Palùo “conoscendo più volte carnaliter” la Badessa Caterina Bedolato che partorì l’ennesima femminuccia … Probabilmente la Monaca Caterucianon aveva voluto essere a meno della sorella Agnesina che s’era sposata con 250 ducati di dote ... I Bedolato erano una Famiglia Veneziana Nobile di Procuratori e Tesorieri di Parrocchia, e di Guardie dei Signori di Notte ... Ludovico-Alvise Bedoloto sposò una Michièl, e suo fratello una Da Riva… e una delle figlie finì Monaca in San Giacomo del Palùo ... Si era insomma tutta una grande famiglia: il mondo Lagunare era piccolo e ristretto, e c’erano tanti modi d’esprimere la propria Nobiltà.

 

Pure Antonio Negro venne condannato a due anni di carcere, e la Monaca scomparve da tutti gli Atti del Paludo il cui Monastero imboccò la strada irreversibile del declino ... Diverse Monache andarono altrove o addirittura cambiarono Ordine Monastico.

 

Cinque anni dopo, infatti, erano rimaste ad abitarlo sole tre Monache e la Badessa Orsa Contarini: l’ultima della storia dell’isola.

 

Nel gennaio 1440 si processò e condannò Pietro de Zusti Procuratore di San Giacomo in Palùo a due anni di carcere inferiore con catene, e a 200 lire di multa, per aver avuto “grande amicizia e familiarità con Suor Franceschina dalla quale aveva avuto due figli” ... L’anno seguente i Quarantaprocessarono e condannarono anche Nicolò Balbi e Bartolomeo Bon a sei mesi di carcere e 100 lire di multa per aver condotto fuori dal Monastero le Monache Franceschina e Regina ... Che fatica gestire e controllare quelle Monache Lagunari del Palùo !

 

Le ultime due Monache rimaste abbandonarono l’Isola del Paluo l’anno seguente andando ad aggregarsi a quelle di Santa Margherita di Torcello. Fu Papa Eugenio IV in persona con apposito Decreto a deliberare quella sorte per le ultime rimaste nel Palùo, e fu l’Abate Pietro Blanco Delegato Apostolico di San Felice di Ammiana che rese esecutivo il decreto obbligando le Monache ad applicare la Sentenza Papale abbandonando l’isola ... Le Monache fecero allora fagotto, e si allontanarono mestamente in barca dall’isola, e fu quella la fine di uno dei grandi capitoli della Storia del Paluò... Buona parte del patrimonio del Palùo passò in dotazione alle Monache di Torcello.

 

L’isola rimase per quasi un decennio abbandonata: “disattesa e in purga affinchè s’acquietassero danni e strepiti nella memoria delle persone” Si vendettero arredi, marmi, coppi e altri materiali delle fabbriche e della chiesa, che divennero cava di pietre da riutilizzare a Venezia e in Laguna ... Ci pensò allora il Senato della Serenissima a salvare l’isola dalla rovina più completa. Nel 1455 concesse quanto rimaneva dell’isola, considerata del valore di 60 Fiorini d’oro, a Francesco Boldù da Rimini e a Pietro di Candia della Cà Granda dei Frari di Venezia: due Frati Minori che si riproposero di rimettere a posto ogni cosa, e riaprire al culto la chiesetta del Cenobio fatiscente e malfamato riutilizzando, per risparmiare, i materiali dell’Arcipelago di Ammiana, e almeno di una parte dei proventi e capitali incamerati dalle Monache di Torcello, che i due Frati erano tenuti in ogni caso “a tenere a vitto e vestimento”.

 

Le Monache Torcellane nicchiarono ovviamente: volevano tenersi il patrimonio tutto per se, poi provarono a rivolgersi al Papa Callisto III per barattare la cessione di parte di quei capitali con un loro provvidenziale trasferimento a Venezia, in città: nella Contrada di San Trovaso ... Il Papa adottò inizialmente la strategia di un diplomatico consenso assenso: “chi tace … acconsente”, e partirono i lavori di riordino dell’Isola ... Poi si schierò del tutto dalla parte del sopravvenuto Frate Francescoche si stava impegnando a riattare l’isola ... Le Monache rimasero a Torcello spiazzate, fecero a meno del denaro, e il Frate da Rimini gestì a modo suo il Palùo.

Il Frate, infatti, si mise subito all’opera stipulando un contratto con Pietro Zorzi Iorice Tagjapiera di Pola per l’acquisto, lavorazione e trasporto di una serie di colonne da piazzare nella chiesa e nel chiostro dell’isola dl Palùo.

Si legge in un documento del 17 aprile 1459: “Fra Francesco da Rimini Rettore di San Giacomo in Paludo, alla presenza dei Mastri Antonio e  Zorzi da Corona  Tagjapiera attivi alla Cà Granda dei Frari Minori, fece pacto (si accordò) con Pietro de Zorzi Jorice Tagliapietra di Pola per una fornitura  di 70 colonne di pietra d’Istria belle et bone, senza scaje e senza difecto, zoè despontate e quadre, che s’impegna a consegnare in isola entro il successivo mese di agosto: 4 lunghe 9 piedi veneti e del diametro di un piede dovevano essere per l’Altar Maggiore per la spesa di 4 ducati ciascuna … Le altre 60 piccole dovevano essere lunghe 5 piedi a 20 ducati  in tutto ... Gli pagò anche altri 18 ducati per il nolo del naviglio.”

Arrivò però la peste in Laguna a spegnere tutti quei buoni propositi … e l’isola del Palùo venne destinata ad essere dependance di convalescenza per 35 Lebbrosi o appestati dell’isola di San Lazzaro (quella degli Armeni) ... Doveva ancora nascere il Lazzaretto Nuovo, che sarebbe sorto solo nel 1468 ... Una carta del 1469 informa che Frate Francesco da Riminidopo aver raccolto ingenti quantità di elemosine aveva fatto ritorno a Rimini asportando beni e ornamenti dall’isola.

 

Passata la buriàna della Peste, nell’aprile 1483 Leonardo Pelacan dei Frari e il Magnifico Filippo Tron furono eletti Procuratori e Sindaci dell’Isola di San Giacomo in Palùo ... Affidarono allora l’orto di San Giacomo a Maffeo Fasolo di Torcello per circa 6 anni, e l’anno seguente in settembre, il Doge Giovanni Mocenigo ordinò ai Rettori ed altri Ufficiali di aiutare il Priore di San Giacomo contro tutti coloro che con grave danno dei culti divini s’erano indebitamente impossessati dei beni dell’isola … Nella primavera 1491 e nuovamente nel 1498 si designò Fra Piero da Lucignano come Procuratore, Governatore e Rettore di San Giacomo… Costui a sua volta affittò a Graziosa, vedova di Gianantonio Bandra di Dese i terreni fra Dese e Favaro di proprietà di San Giacomo in Palude… Stessa cosa fecero nel febbraio 1512 i Procuratori Germano Casale Provinciale di Terrasanta, Guardiano della Cà Granda dei Frari e Procuratore di San Giacomo insieme al Nobile Daniele Molin affittando gli stessi beni di Terraferma a Daniele Dominici.

 

E siamo giunti al 1518, quando l’isola tornò ad essere stabilmente abitata da una nuova Comunità Religiosa. I Frati dei Fraridi Venezia provarono ad affidare l’isola a un certo Frà Albertino de Alba proveniente da Genova perché l’abitasse con dei confratelli con l’obbligo di residenza e di celebrare i Divini Uffizi. L’Isola sarebbe stata un Prioratodipendente da Santa Maria Graziosa dei Frari, disponibile anche ad ospitare in caso di necessità o pestilenza i Frati della Cà Grandasoprattutto se malati o appestati ... Nello stesso anno: Alessandro de Ferali Piovano di Santa Maria e Donato di Murano comunicò le nuove condizioni d’affittanza delle Acque Piscatorie di San Giacomo in Paludo.I Frati da Genova avrebbero dovuto corrispondergli: “ducati 60 annui in due rate, e onoranze di cievali saladi 100 a Carneval, Mazorini: pàra doi a Nadal, et anguille femenali pàra doi et ostreghe de velma 100 a Carnaval”.

 

Nel 1543, invece, s’intromise a sorpresa nella gestione dell’Isola Lagunare la Santa Sede Romana del Papa, che s’avvalse di nominare “in perpetuo” il Guardiano di San Giacomo in Palùo.  Per cominciare inviò il Frate Minore Stefano da Civita Castellana ... Ma dieci anni dopo fu il Ministro Generale dei Frati Minori Conventuali a prendere in mano la situazione, perciò l’isola passò in mano a Frà Andrea Micheli, che si sarebbe curato di risanare tutta l’isola provvedendo a nuove ristrutturazioni di Convento, Chiesa, Foresteria, Chiostro, Campanile, Orti e Isola. A tal scopo il Frate avrebbe potuto adoperare i proventi provenienti da alcune affittanze in Contrada di San Marcuola a Cannaregio “in Rio Terà”, e di altre presenti nel Sestriere di San Marco.

 

Le risorse dell’isola e del Priorato dei Frati erano tuttavia magre. I Frati provarono allora ad arrotondare recandosi di continuo in giro per le chiese Veneziane a celebrare Messe facendo avanti e indietro con l’isola. Grande protesta di Frati e Preti Veneziani … e intervento immediato del Santo Uffizio dell’Inquisizione di Venezia che impedì ai Frati del Palùo di celebrare in Venezia fino all’ottobre 1590.

 

Un documento del 1576 racconta dei Provveditori alla Sanità di Venezia Pietro Foscari e Francesco Duodo che ordinarono “di far nettare le robbe degli appestati che si trovavano a San Giacomo in Palùo”… S’era utilizzata forse l’isola come deposito di merci e vestiari infetti durante la grande epidemia che in quell’anno aveva colpito Venezia.

 

I Frati del Palùo erano miseri … Supplica al Consiglio dei Dieci del Guardiano dei Frati di San Giacomo in Paludo quindi, nel 1598. Il Frate del Palùo chiese in elemosina alla Serenissima per allievare la povertà dei Frati dell’Isola: “almeno una quantità di legne per scaldarsi d’inverno … a merito dell’ospitalità che si da di continuo ai pescatori della Laguna”... Nel marzo seguente il Consiglio dei Dieci decretò l’assegnazione annuale di “sei carra di legna da ardere di Frati del Paluò di San Giacomo”.

 

Stessa cosa nel 1631, al tempo della grande pestilenza Veneziana, quella del voto della Madonna della Salute: la situazione dell’isola era ancora miserrima … Ben due Priori di San Giacomo in Palùo:  Gabriele Brosi e Francesco Molini rimasero vittime del contagio ... Entrambi avevano servito isola, chiesa e convento senza ricevere nulla in cambio … L’isola di San Giacomo venne poi affidata a Frate Bonaventura Puppi alle stesse condizioni, cioè gratuitamente, senza alcun guadagno né sovvenzione … Una decina d’anni dopo, i Frati pur di racimolare qualcosa per sopravvivere, lasciarono l’isola per qualche giorno mettendola a completa disposizione di un gruppo di Nobildonne Veneziane guidate da Marietta Furazzi(fondatrice in seguito delle Terese col nome di Suor Angela Maria Ventura) per compiervi Esercizi Spirituali ... Qualche soldo arrivò di sicuro da quella provvisoria cessione, così come dall’affitto delle parti coltivabili e bonificate dell’isola soggette a continui inventari e numerazioni di Piante, Frutteti ed Erbe coltivate … Nell’autunno 1648 Fra Giulio Giuliano Guardiano di San Giacomo con Prete Felice Bona, e Prete Francesco Soranzo si recarono in isola a controllare le bonifiche realizzate dall’ortolano Domenico. Fu con soddisfazione che costatarono che l’opera di bonifica dell’ortolano aveva procurato terra per un valore almeno di “Lire mille e cento” ... Il nuovo orto venne quindi subito affittato al Signor Mattio per 50 ducati annui.

 

Era comunque tutta una lotta per tenere viva l’isola … Nel novembre 1652 Giovanni Priuli e Filippo Balbi affittuari dell’orto furono condannati a pagare 51 ducati di affitto arretrato e a pagare le spese del processo ... Nell’aprile 1666 si nominò Fra Tommaso de Trau Governatore di San Giacomo conferendogli la possibilità di chiedere l’elemosina in giro a favore dell’Isola ... A tal proposito, si era costretti a baruffare di continuo col quelli della vicina isola della Madonna del Rosario, il cui Cappellano cercava di accaparrarsi e riscuotere più che poteva delle magre elemosine di chi passava da quelle parti questuando e assillando in barca, e allungando grosse e lunghe pertiche verso chi transitava nei pressi della sua isola ... Si arrivò nel 1746 con Andrea MinioPodestà di Torcello che comunicò all’Avogador Piero Querini“… di aver intimato a Padre Giuseppe Stopa Cappellano della Beata Vergine del Rosario della Madonna del Monte di astenersi di conferirsi con battello et cassella a ricercar elemosina da tutte le barche, battelli, gondole et altre che transitano per detto loco a discapito del Loco et Ospizio chiamato San Giacomo in Paludo.”

 

Vita grama in ogni caso per i Frati del Palùo di San Giacomo: troppo scomoda e lontana l’isola dai fasti Veneziani … Era sempre estremamente complesso e oneroso mantenere in ordine e provvedere all’efficienza dell’intera isola. Serviva sempre rifare le coperture, rinsaldare i muri, e rivedere le pareti degli edifici, della chiesetta, delle cavane e dei dormitori spesso rovinati dalle intemperie ... Nel luglio 1683 Beneto Folchion Marangonerilasciò fatture per ducati 70 per i lavori resi nell’isola di San Giacomo in Paludo: rifece principalmente le coperture nel chiostro dove furono risistemate anche alcune colonne, riparati alcuni buchi nel muro, e ricostruite le coperture e le terrazze del dormitorio e della foresteria ... Anche Angelo Mazon Murèr rilasciò un’altra fattura per 11 ducati per aver ripavimentato e demolito, rifatto i tetti di dormitorio e foresteria, inserito degli “arpesi” nella muraglia della foresteria, riedificato e rifatto il chiostro comprensivo di colonne rimosse e poi ricollocate e aver rifatto i terrazzi … Secondo una descrizione del 1690, la chiesetta dell’isola lunga 23 passi veneti e larga 10 passi disponeva di tre Altari: quello maggiore dedicato a San Giacomo, quello titolato a Santa Maria e San Giovanni Battista, Sant’Antonio e San Bernardino, e quello di San Nicolò di Bari ... Zuan Maria Fravo e il Murer Zuan Antonio de Cristin rilasciarono ricevuta per ducati 56 da lire 6 e soldi 4 a Padre Andrea Guardiano dei Frati Minori di San Giacomo: avevano provveduto quasi alla rifabbrica dell’intera chiesetta di San Giacomo in Paludo.

 

Nel 1728 a San Giacomo risiedeva un certo Gian Maria Maffi di Pordenone… e nel 1735, secondo una stima d’inizio novembre di quanto si doveva trovare in isola fatta dai due ortolani nominati: Santo Zenon dai proprietari: i Frati Minori Conventuali della Cà Granda dei Frari, e Donato Bortolotti che non sapeva né leggere né scrivere e firmava con una croce davanti a Francesco Cavassi Testimone, per Bernardo Linzi Ortolano affittuale dell’Orto rimosso dal suo incarico. Dal documento si può evincere la notevole estensione delle terre coltivate.

 

Ecco com’era il Frutteto-Orto di San Giacomo in Paludo: “Albori fruttiferi ritrovati tra grandi, picoli e mezani: n° 900; Vide grande e piccole: n° 869; Calmoni di Spin Bianco: n° 136; Pomèri Grandi: n° 14; Polle de Fighèr piantate da novo: non considerate … Il Legname delle suddette Vide abbiamo stimato valer: ducati 60;li Erbazzi di più sorte stimati valer: ducati 112; il casotto et il pareo di grisione attorno la Cavana: ducati 5; il pontil fuori dell’Orto sopra la Laguna con suoi palli stimato valer: ducati 5.

 



Nel 1750 si concesse al Prete Vincenzo Carnetti proveniente dalla Dalmaziadi dimorare per due mesi a San Giacomo in Paluo ... Vincenzo Coronelliinsistette per sapere dalla Serenissima a quale titolo Antonio Pittoniaveva demolito i cameroni di San Giacomo in Palùo

 

Nove anni dopo, i Frati della Cà Granda dei Frari unitamente a quelli dell’Isola di San Giacomo supplicarono il Magistrato ai Revisori dei Dazi: “affinché si restaurasse la pubblica cavana di San Giacomo atterrata da un turbine.

 

Fino al 1755 un Borzieri della Marca Anconetana si prestò per quattro anni come Custode dell’Ospizio di San Giacomo in Isola, e per questo provvide ad ingrandirla e mantenerla a proprie spese ... Venne nominato Priore dell’isola a vita.

 

Nel 1759, quando nell’autunno un altro forte turbine devastò l’isola, “la vigna del Palùo” venne affittata a Benedetto Bortolotti… Durante un sopralluogo del 1766 realizzato dai Savi Sopra le Decime di Rialto, si costatò che il degrado e lo stato precario delle strutture insulari, compresa la cavana, era alto: il tutto abbisognava di nuovi restauri:“Era presente una chiesa vecchia con sagrato sopra al canale, dotata di una sagrestia. Dietro al sacello e alla sagrestia vi era un fabbricato di grandi dimensioni con entrata e due stanze a pian terreno, al di sopra un portico e due camere il tutto fabbricato (o rifabbricato) di recente, cioè negli ultimi 4 anni (si era appoggiato ai muri laterali della chiesa e ne aveva utilizzato anche parte del tetto). Attaccata alle suddette fabbriche c’è una piccola stanza usata come cucina dal laico dell’ordine, unico abitante dell’isola. Al di fuori della cucina erano stati demoliti gli edifici del convento antico e la parte verso Mazzorbo era stata ridotta ad orto. Anche la cavana antica verso Venezia era ormai diroccata. La parte dell’isola rivolta verso la città era intermente adibita ad orto ed data in affitto.”

 

L’anno seguente si formulò una perizia di spesa per escavo e ricostruzione integrale della Cavana, e l’anno dopo ancora i Revisori e Regolatori sopra Daziesposero al Senato l’urgenza dell’intervento in quanto la Cavana incominciava a crollare ... Il 06 agosto 1768 allora, esattamente un anno prima della soppressione definitiva del Convento, il Pubblico Perito Paolo Rossicome ultima voce della lista delle spese per l’ennesimo meticolosissimo restauro della Cavana del Paludo precisò sulla minuta diretta al Senato Terra:“Occorre in detta Cavana il poner un San Marco scolpito in pietra viva, posto e incasatto dentro in uno delli muri acciò significa Cavana di Pubblica Ragione: ch’el si sappia … Costerà 56 lire.”… Era tardi però … Venezia stava già morendo, anche se non ne era ancora consapevole del tutto.

 

Si provvide poi a demolire e riadattare formando nuovi ambienti da riutilizzare secondo le esigenze del momento ricavando spazi da dare in affitto e coltivare ... Infine si giunse al 1769 quando una terminazione del 20 dicembre decretò la soppressione dell’Istituto-Ospedaletto di San Giacomo in Palùo ... L’onere della manutenzione della chiesetta spettò per intero ai Frati Minori dei Frari di Venezia perchè godevano ancora delle vecchie rendite dell’isola: “Dovranno provvedere a mandare in isola un Sacerdote a celebrare almeno nei giorni festivi per i due-tre Ortolani che la coltivano.”

Negli anni settanta del 1700 spuntarono i primi progetti di riconversione militare dell’isola ... Nel 1789 l’Esattore del Convento ancora in attività fu costretto a scontare la cifra pattuita a causa dei danni apportati alle viti da una nuova ondata di maltempo ... In quella stessa occasione si certificò che il tetto della chiesa aveva bisogno di notevoli restauri perché cadente, le poche fabbriche rimaste erano pericolanti, i coltivi inutilizzabili, vigne e alberi da frutto scarsamente produttivi a causa dell’incuria e abbandono … L’isola necessitava di continua manutenzione e cura, o sarebbe morta.

 

Infatti così accadde … Iniziò cioè la gestione militare dell’isola che si protrasse fin quasi ai giorni nostri … Ma questa storia andate a vederla voi, magari provando a sbarcare nell’isola, dove vedere quanto è rimasto di quest’ultima epoca accaduta nel Palùo di San Giacomo ... nella Laguna Nord Veneziana.

 

 


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