#unacuriositàvenezianapervolta 259
Un'altra Striga Veneziana ? … Si dai !
Stavolta però Bètta de Castèo finì davvero male
Le donne forestiere giunte ad abitare a Venezia, avevano spesso maggiore dimestichezza a confronto delle Veneziane circa tutto ciò che concerneva Streghe, Strigòni, Strigarie e Strighèssi vari. Spinte dal modo diverso d’intendere la Vita fuori dalla Laguna, erano spesso abituate e spinte a non andare molto per il sottile, e a trar “il maggior utile per vivere come meglio potevano”. A Venezia Capitale Serenissima, dove si era di sicuro agguerriti nelle economie, e tolleranti su tutto il resto, non mancavano frange popolari ignoranti forse un po’ ingenue e credulone, che in modo o nell’altro erano propense a cercare e trovare la loro “Verità delle cose”… Si viveva insomma.
Stavolta lo scenario dei fatti fu proprio “in casa”dell’Inquisizione Veneziana. La vicenda di Donna Bètta di Castello accadde nel Sestiere di Castello, proprio a pochi passi dal Canale di San Domenico(oggi non esiste più soppiantato dall’interrata Via Garibaldi) dove sorgeva la chiesa e il Convento dei Domenicani Predicatori e Inquisitori… Le Carceri dell’Inquisizione, invece, pare si trovassero più in centro a Venezia: in Campo San Zuane Novo, poco distante da Piazza San Marco… Proprio sul Ponte di San Domenicodi Castello ogni anno l’Inquisizione Veneziana faceva bruciare spettacolarmente tutti i pericolosissimi Libri Proibiti realizzati e venduti a Venezia, e sequestrati dai Fanti del micidiale Santo Uffizio della stessa Inquisizione ... Ed era tutto un accorrere di Veneziani a vedere l’evento, carichi tutti anche di una certa apprensione e timore: la Santa Inquisizione non scherzava, anche se la Serenissima sapeva essere tollerante e più clemente, e per questo sapeva tenere bene a freno le decisione avventate e spropositate a cui l’Inquisizione era spesso abituata altrove ... La Serenissimaè sempre riuscita a calmierare il Sacro Furore dell’Inquisizione, che così Santa non era.
Veniano ai fatti però …
Non andò affatto bene stavolta a Elisabetta: laBètta, moglie di Libero che lavorava da Calafàto nell’Arsenale di Castello. I due abitavano nella Contrada del Vescovo: a San Pietro di Castello … Bètta alla fine venne riconosciuta come Strega, e su Sentenza dei Padri Domenicani Giulio da Quintiano Commissario del Sancto Offizio, e di Frate Angelo Faventino Inquisitore Veneto finì fustigata per strada lungo tutte le Mercerie di San Marco e di San Salvadòr, poi messa “alla berlina per un’ora sulla Pietra del Bando a San Giacometto di Rialto con una mitria in testa con un Diavolo dipinto, e un cartello al collo con la scritta a lettere grandi: “PER LA SANTA INQUISIZIONE PER HERBARIE STRIGARIE E BUTAR FAVE”. Infine venne imbarcata sulla sentita di una Galea, e spedita via mare al bando per cinque anni fuori Città e oltre le terre del Dominio: fra Mentio e il Quarnaro.
Si pose una taglia di 100 ducati sulla sua testa. Se avesse osato rimettere piede a Venezia e in Laguna, sarebbe stata carcerata a San Marco per sei mesi ... Un fattaccio insomma, Bètta l’aveva fatta grossa.
Dalla storia del Processo si evince che un giorno una certa Isabella figlia del quondam Domenico Seghetti da Monteforte, abitante nel Sestiere di Castello in Contrada di San Domenico in Calle Saracina, si presentò spontaneamente dall’Inquisitore Frate Angelo da Faventia inviata dal suo abituale Confessore, e venne accolta e ascoltata nella Cappella di San Giovanni Evangelista della stessa chiesa.
Si mise subito a raccontare, e venne verbalizzato tutto: “Questo inverno prossimo passato io ho imparato di fare alcune Strigarie, quali m’ha insegnato una donna Betta moglie di Messer Libero Calafao, sta qui in Castello, sta appresso il Pistore, dove è una Madonnetta ... Essendo io inamorata di un giovane, una mia vicina chiamata Chiara vedova mi disse: “Vòi tu ch’io t’insegni una donna che sa fare molte cose da far voler bene ?” Et io dissi di si, et lei mi misse per le mani la detta Betta. Et la prima volta io insieme con mia madre chiamata Agnola andassimo a casa della detta Betta ... Et andai con quella giovane Chiara che sta in Birri, già steva a Castello, a casa di Betta et con mio madre, et mi feci conzare dalla detta Betta un pàro di fave, et così io li diedi la prima volta: una da venti, et lì era presente la Chiara ...”
Bètta iniziò subito col chiedere parecchi soldi per i suoi servizi: “uno da venti”… prezzo alto, ciò vuol dire che era parecchio sicura di se e del suo modo di fare … Aveva le idee chiare su come gabbare la sprovveduta Isabetta.
“Le altre volte la detta Betta veniva a casa nostra, et m’insegnò di buttare le fave a me. Et mi faceva dire 33 Pater Nostri per la più povera Anema che xè stada giustiziada, et quando io aveva detti questi Pater Nostri, la me fasèva dire queste parole: “Io ho detto questi 33 Pater Nostri … perché quell’Anima si parti di là e vada al cuore del tale, che non lo lasci dormire né mangiare né riposare fin tanto che non fa a mio modo ... Et questi Pater Nostri li ho detto diverse volte secondo che mi veniva il capriccio nella testa. Et mi faceva dire quelli Pater Nostri con le mani di drio, camminando sempre par casa con le porte averte. Così lei m’insegnò … Di più la detta Betta m’ha insegnato di pigliare un cuore di vitello et con della Savina dentro e del Sale et delle brocche et delli aghi et dell’olio ... Tutte queste cose a nome del Diavolo ... Et questo cuore io lo metteva al fuoco in una pignatina comprata al nome del Diavolo, et quando lo metteva al fuoco si diceva: “Metto tutte queste cose in questa pignatina a nome del tale mio inamorato chiamato Martino.” … Et diceva: “Che queste cose li vaga al cuore al nome del Diavolo, et che non possa né dormir, né magnare, né riposare finchè non facerà la mia volontà.”
Che chiacchierona di donna Isabella davanti all’Inquisitore: un fiume in piena … Aveva proprio bisogno di sfogarsi.
Raccontò ancora che Bètta le aveva comprato “12 candele da un bagattino l’una con una candela donata sopra … e che le aveva appizzàte tutte piantandole in terra in casa … e andava intorno a quelle fintanto che non erano brusciàte.” … Dicendo non si ricorda quale strana orazione “a nome del Diavolo” ... E che quando accendeva le candele con sua madre, mentre si consumavano diceva: “Come queste candele si brùsano, così si possa brusàre il cuore di Martino per te … a nome del Diavolo.”
Le aveva poi insegnato “a prendere tre pèsighi (pizzichi di sale), e a spanàre il muro col sale” dicendo: “Come questo muro si spànna col sale, così a nome del Diavolo si spanni il cuore e la mente di quel tale perché venga da me.”… Poi buttava il sale per strada e mettere cinque dita sul muro dicendo al Diavolo: “Tiò ! .. Che ti pago … Mènelo qua da me ! (portalo qui da me)… Come non posso fare a meno di questo sale, così Martino non possa fare a meno di me … Che i suoi sette sentimenti e la sua mente vogliano solo me ... Non scongiuro questo muro, né il Cielo, né la Terra, ma quel Gran Diavolo dell’Infermo più grande che sia sopra tutti gli altri, che possa andare al cuore di Martino, e che non lo lasci camminare, né praticare, né avvicinare, né leggere, né scrivere, e non possa osar con maschi o donne se non venir da me ad accontentarmi secondo la mia volontà.”
Stessa cosa faceva ancora prendendo una saliera di casa dicendo: “Di nome del Diavolo … come io non posso fare senza di te, così lui non possa stare senza di me.” … Buttava poi il sale a scoppiettare sul fuoco aggiungendo: “Così scoppi il suo cuore per me” ... a nome del Diavolo ovviamente.
Insomma c’era un uomo amato e desiderato da Isabella, che lei intendeva catturare a suon di Scongiuri detti e ridetti a ripetizione, visto che non riusciva a farlo in un altro modo più diretto … Isabellasuggerita da Bètta, si ritrovò a ripetere di continuo come un mantra fanatico nella speranza che i suoi sogni-desideri finalmente si realizzassero … Che differenza con le donne Veneziane di oggi.
Bètta avvalendosi di volta in volta dei denari di Isabella, le insegnò “a martello” di come porsi e atteggiarsi per ottenere tramite la mediazione del Diavolo il suo scopo amoroso … Le disse anche di mettersi nuda accendendo una candela, e di dire alla propria ombra di andare al cuore del suo amato mentre lei offriva quella candela al Diavolo… Betta aveva insegnato a Isabella la notte di Natale una speciale Orazione che lei aveva dovuto poi recitare per tredici giorni di fila quando la Luna era crescente … Interessantissimo il riferimento alla Luna crescente !
C’era dell’altro ancora, e non poco.
Sempre nel tentativo di “calamitare” il suo amato, Isabella su suggerimento di Bètta, avrebbe dovuto prendere del piombo, accendere il fuoco con una fascinetta che si sarebbe dovuta trascinare dietro “al rovescio”, e poi fondere “in una padelletta” quel piombo ripetendo di continuo certe parole … ovviamente d’invocazione al Diavolo … Isabella aveva fatto tutto, e sciogliendo il piombo ne era venuto fuori una figuretta che assomigliava proprio al Diavolo Lucifero Belsebù con le corna e delle mani che strangolavano qualcuno. Isabella aveva subito pronunciato: “Io scongiuro sto piombo, et Lucifero Belsebù monta qua su, quel che sta al porto, quello dal naso storto, che rompe navi e galìe che è sora al porto … E per li cinque piccai, et cinque squartai, per li cinque dannai, per cinque strasinài, per cinque brusài, che ti vada al cuore de tal Martino, che ti tòli sette onze de sangue: quattro par mi e tre par ti per pagarti … e va al cuore de Martino: bàttelo e martirèzalo, no lo lassare né dormire, né riposàr, né far cosa di questo mondo finchè nol fàzza la mia volontà …”
Bètta ogni volta ne aveva e suggeriva sempre di nuove: “Compra del lume di rocca (allume di rocca), e mettilo sul fuoco a nome del Diavolo, e ripeti: “Come si consuma questo lume di rocco, così si possa consumare il cuore di Martino, che non possa riposare se non fa il mio volere.”
La mandò poi fuori casa a rubare del bombàso(cotone), dell’olio, un cesendèllo(una candela), un bussolà, e della sporchezza di giovane maschio, e con tutto le disse di fare un pavèro(uno stoppino), e impizàrlo a nome del Diavolo s’intende, dicendo: “Così come corrono navi e galìè, così possa correre Martino da me a casa mia.”
Le aveva poi fatto comprare del miglio, e fatto dare “a gajne e gapponi” dicendo: “come mangiano e gustano … così Martino …”
E poi aveva preso del miele, dicendo: “Come corrono le Ave (Api) al miele, così possa correre tutto il bene di Martino a casa mia.”
Un'altra volta ancora, aveva preso uno scovolo nuovo e dell’Acqua Santa di nascosto in una chiesa, “che nessuno vedesse”, e l’aveva mescolata con dell’acqua salsa, e poi aveva pulito la soglia della porta di casa con lo scopino bagnato … a nome del Diavolo … dicendo: “Come corre via quest’acqua … Così corra Martino da me.”
Un’ossessione continua insomma: una spasmodica ricerca quasi fanatica, insistente, mai doma … Inquietante … Ogni gesto era buono per evocare, chiamare, sperare … e ottenere …“in nome del Diavolo”.
Bètta era furba, ogni volta che si recava a casa di Isabella approfittava della sua dabbenaggine … E si recava spesso a trovarla. Quand’era là, le metteva una Corona del Rosario sospesa in aria davanti agli occhi, e le diceva che si fosse mossa, quei movimenti corrispondevano al fatto che Martino stava incominciando a pensare di dedicarsi a lei … Ovviamente finiva per muoversi la Corona del Rosario: piano piano … almeno un poco: “Verrà !” diceva Bètta a Isabella: “Vedrai che cederà e verrà da te di sicuro.”
Bètta faceva anche dei gesti ad effetto: si toglieva uno zoccolo dai piedi, e lo picchiava sul letto di Isabella gridando: “Così possa battere il cuore di Martino per te !”… E Isabella sperava … ovvio che sperava ancora di più … e continuava in quella sua pantomima che considerava efficacissima.
Isabella sperava … e pagava.
Un giorno“di Quadragesima”, Bètta era venuta a casa a gettare “le fave della buonafortuna” sul tavolo sotto agli occhi stupiti e speranzosi di Isabella e di sua madre … Poi aveva insegnato alle due donne come potevano ripetere da sole quelle “perfette Strigarie”.
Più volte Bètta aveva fatto portare dalla sua amica Chiara a casa di Isabella: dei cuori di Vitello, che Bètta poi provvedeva a “conzàre a dovere”personalmente ... Faceva preparare a Isabella un po’ di pane, che poi lo condiva con olio e sale …. Poi buttava tutto sul fuoco ad abbrustolirsi e diceva: “Come taglio questo pane con l’olio: così il cuore di Martino si tagli col tuo … e come e così si consuma tutto sul fuoco, così il cuore di Martino per te.”… Tutto a nome del Diavolo di sicuro ... e si mangiava il cuore, e si diventava tutt’uno con quella “Diabolica promessa”.
Bètta s’era fatta consegnare da Isabella anche una bella camicia nuova bianca, e un fazzoletto candido “da testa”, che ovviamente non aveva più rivisti.
A volte tutte quelle cose fatte da Bètta le sembravano un po’ inverosimili e poco credibili, allora Bètta rassicurava Isabellaconfidandole in gran segreto che pure lei andava “ai Birri Bari delle Fondamente Nove di San Canciàn”per utilizzare anche lei tutti quei spergiuri efficaci per far tornare a Venezia suo figlio Lorenzo, che s’era imbarcato come “Calafào per la Fiandra sulla Galea Balanzèra carica di frumento … ed era stato ritegnùto, e non tornato, e non se n’era saputo ancora niente.”… Poi, invece: s’era salvato ed era rientrato a Venezia sano e salvo ... Proprio da lei.
“La detta Bètta mi fece rubare un ago a nome del Diavolo, e metterlo nel fuoco, dicendomi: “Si … Come si consuma l’ago nel fuoco … così si consumerà il cuore di Martino per te.”
Alla fine, un bel giorno, dopo tutto quell’incredibile quanto sbalorditivo e insolito trambustare: comparve e si presentò da Isabella quel benedetto Martino tanto desiderato ... Aveva funzionato insomma ! … Ma era stato solo un episodio, un breve approccio casuale … Isabella voleva, invece, molto di più ... tanto di più: voleva che Martino fosse del tutto suo.
“Devi insistere ! … Non fermarti !” le disse Bètta.
Ma Isabella non aveva più soldi da spendere …. e Bètta non si fece più vedere … e di Martino si perse ogni traccia del tutto.
Per questo Isabella aveva buttato via tutte quelle cose, e s’era presentata dall’Inquisitore della vicinissima chiesa-convento di San Domenico di Castello ... proprio fuori casa, appena al di là del ponte.
Isabella non era contenta di quanto era accaduto: voleva davvero Martino tutto per se e per sempre … Non le bastava solo quella fortuita visitina costata tutti quei soldi … Isabella pretendeva molto di più: “mi ha mangiato, che è stato troppo”… Per questo si era rivolta dall’Inquisitore (non perché non credesse all’efficacia di tutte le cose che le aveva detto e fatto fare Bètta, ma perché non avevano avuto l’effetto totale in cui sperava.... Quel beneficio dal Diavolo le era arrivato solo a metà, o forse anche meno ... La sentiva una specie d’Ingiustizia nei suoi confronti, più che una vera e propria frode da parte di Bètta.)
Ancora dal resoconto di Isabella dettagliatamente messo a verbale, si apprende che quella faccenda con Bètta era durata almeno due anni, e nel far questo Isabella s’era anche grandemente angustiata interiormente … per via di quel traffico con Diavolo … e non aveva più avuto il coraggio di andare a Confessarsi, e recarsi a Messa e in chiesa … Si sentiva perduta … Nel frattempo le si era ammalata anche la madre, che se ne stava a letto ormai da quindici giorni piena di petecchie ... Era forse colpa del fatto che s’era trovata a gettare le fave insieme ad altre donne ?
Era una “punizione del Cielo perché aveva evocato il Diavolo” ?
Dopo aver attentamente ascolto Isabella, l’Inquisitore di San Domenico di Castello si recò di persona nei giorni seguenti a far visita a casa della vecchia donna ormai inferma … Voleva controllare la veridicità di tutte quelle cose dette da Isabella … e trovò per davvero: Donna Angela, la madre di Isabella “decumbente malata” a letto.
L’anziana Donna Angela confermò con un filo di voce all’Inquisitore che era vero che Donna Bèttapraticava spesso per casa loro: “E’ la moglie di Libero Calafàto dell’Arsenal, che abita nella prima porta della Calle vicino al Pistore dalla parte di San Domenico, tra l’uno e l’altro ponte … sotto al portego con la Madoneta … nella Calle che si dice del Sarasìn.”
Isabella mogièr de Zanetto Canatòn Barcariòl promise davanti ai Giudici dell’Inquisizione che mai e poi mai si sarebbe fatta nuovamente irretire in cose simili, che avrebbe mantenuto il segreto e il completo riserbo su tutto quanto era accaduto, e che avrebbe riferito al Santo Uffizio qualsiasi cosa sospetta di cui fosse venuta a conoscenza in futuro.
Il segreto ? … Tutta Castello e Venezia sapevano tutto di tutti, e ancor più anche di quella “faccenda della Striga Bètta de Castèo”… Venezia a quei tempi era come un unico grande condominio.
Isabella firmò tutte quelle sue testimonianze e deposizioni … Siccome non sapeva né leggere nè scrivere, su indicazione dei Segretari-Scrivani del Santo Uffizio appose un bel segno di croce in calce al documento che le venne sottoposto.
Bètta, invece, venne subito dopo convocata dall’Inquisizione Veneziana, e comparve davanti ai Giudici dell’Inquisizione… Invitata a giurare la Verità, negò poi ogni cosa e addebito che le veniva attribuito … Negò perfino di conoscere Isabella e Chiara ... anzi: disse che le conosceva appena di vista ... Che era stata una sola volta a casa loro per andare a ritirare della seta e delle cordelle: “Signor no … Tutto questo non è vero … Queste cose mi nun le so far ...nè le ho insegnate a far sull’Anima mia.” replicò agli interrogatori non senza una certa alterigia.
Venne messa in carcere.
Stavolta sia Inquisizione che Serenissimarappresentata nella sua autorità civica dai Nobili Vito Morosini, Zaccaria Contarini e Domenico Duodo, si trovarono concordi nella conclusione: Donna Bètta di Castello aveva travalicato il passo “esagerando troppo con i suoi imbrogèssi e sotterfugi”… con le sue performance aveva intrigato e imbrogliato davvero troppo … Serviva quindi darle un’opportuna lezione, che servisse anche da deterrente e monito per eventuali altre donne come lei nella sua stesse condizioni: “che non si fossero messe in testa di far cosa simile”.
Così alla fine di tutto sentenziarono insieme: l’Illustrissimo Domino Cesare Costa Legato Apostolico a Venezia, il Molto Reverendo PadreMaestro Angelo Mirabino Inquisitore Generale, e i Nobili Veneziani raccolti insieme … e così accadde … e si era verso la fine dell’estate del 1587 a Venezia ovviamente.
Del Diabolus in giro per le Contrade Veneziane pareva non ci fosse alcuna traccia evidente … né tantomeno del bramato Martinocosì sognato, voluto e cercato a tutti i costi da Isabella.
Helisabet sive Bètta da Castello figlia dell’ormai morto Gianti Bastazo: “… abitante in Contrata de Sancti Petri de Castello in rivo Sancti Dominici” finita in carcere, venne prelevata dal Commissario e Maestro dell’Inquisizione Geronimo Vitrario he applicò nel dettaglio e fino in fondo quanto previsto dalla esemplare sentenza … “perché ogni Veneziano e non: veda, capissa e impari come finirà chi vorrà aver a che fare con la Strigaria.”