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La Sclabòna de Buda

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La Sclabòna de Buda

L’ennesimo episodio accadde fra fine giugno e luglio 1586 … a Venezia ovviamente … Dico “ennesimo” perché si trattò di un’altra sentenza che andò a pigliare e inguaiare un’altra donna sfortunata qualsiasi … Si: un’altra di quelle donne ree soprattutto d’essere donne e femmine, cioè disposte a lasciarsi portare, quasi investire, da quell’istinto e sesto senso tutto femminile che due volte su due alberga da sempre in loro, e le porta inesorabilmente ad amare.

Già … Amare … Parola grossa che spesso cambia la vita … ne so qualcosa.

L’Amore poi non rimane sempre sentimento purissimo, “ma porta talvolta a cadere dal scàgno e risvegliarsi come da un sogno.” … e allora può trasformarsi in qualcos’altro di molto più basso e terreno … mica sempre però.

Beh … Insomma … Si chiamava Santa la donna, e non era Veneziana, ma Scjavonacioè Slava, e aveva attraversato il mare abbandonando tutto: il suo paese, la famiglia, e tutte le altre cose seguendo il suo fascinoso quanto irresistibile uomo … un Veneziano … che le aveva promesso “monti & mari” se avesse attraversato l’Adriatico insieme a lui.

E lei lo fece.

Povera donna … disillusa praticamente subito appena arrivata a Venezia, e usata una volta di più come capita spesso alle donne … Non me ne vogliano: è così ... Usa e getta: si sa come va, e come va ancora a volte la Storia. Succede da quando esiste il mondo, anche se per fortuna esiste anche il contrario, cioè ci sono Storie di Storie che continuano bene e felicemente.

Ma torniamo a Santa, che era piena di quella frizzantezza ormonale, di quel sentimento impellente, e di quella gran voglia di vivere e fare che cova dentro a tante donne … Non si diede per vinta, nè si scoraggiò per l’abbandono, si tirò su le maniche e cercò di avviarsi ugualmente una vita ingegnandosi a procacciarsi il pane quotidiano. In fondo si trovava a Venezia: Capitale di un Regno Sovrano … e che Regno ! … Città vivissima e dalle mille opportunità.

Santa andò a vivere prima in fondo al Sestiere di Castello, accomodandosi fra la Contrada del Vescovo di San Piero, e poi definitivamente in quella di San Biagio ai Forni affacciata sul Molo e il Bacino di San Marco.

Quella di San Biagio era una Contrada piccolina abitata solo da 500-600 Veneziani, ma molto attiva: zona di Arsenalotti, Calafàti, Frittoleri, Pegolòtti, Consacànevi dell’Arsenal, Poveràssi, Cestèri, Capottèri, Berettèri e Marinai in servizio o in congedo sui Moli di San Marco. Era anche zona di locande e osterie, di botteghe e Pellegrini pronti all’imbarco per la Terrasanta, desiderosi di vedere le numerose Sante e Insigni Reliquie che venivano custodite nella chiesa di San Biagio … Ce n’era soprattutto una antichissima: quella della “Santa Spina del Capo di Cristo”, che non smetteva di calamitare oltre ai Pellegrini, anche Viaggiatori curiosi, Mercanti e Navigatori, Patroni de Nave, e Sforzàdi da remo bisognosi sempre di qualche buona protezione ... E c’erano sulle rive e in Contrada di San Biagio, perché no ? Anche contrabbandieri e affaristi di sottobanco. Lo sapevano tutti a Venezia: a San Biagio c’erano i Forni del PanBiscotto della Serenissima, e da sempre esisteva un fiorente contrabbando di quel prodotto realizzato con la complicità dei Forneri Veneziani a danno sia dei Pistori, che della stessa Serenissima, che qualche volta non aveva occhi a sufficienza per vigilare su tutto e tutti.

Non doveva quindi essere stato tanto difficile per una persona volonterosa come Santatrovare di che campare in quella zona Veneziana così vispa e piena d’iniziative ed energie. Tutto il Sestiere di Castello era un continuo andirivieni, e c’era tanta gente Veneziana popolare che viveva per vivere senza tanta cultura nè pretese rimanendo all’ombra della grande Repubblica Serenissima.

Mollata da sola come un cane per strada, Santa s’era improvvisata massèra domestica de Casàda, e disposta a prestare tutti quei servizi che potevano essere richiesti dalle famiglie facoltose e dai vari Monasteri presenti in zona. Inutile quasi ricordarlo: Clero, Frati e Monache allora campeggiavano quasi ovunque a Venezia, cioè erano presenti in massa padroneggiando e primeggiando quasi quanto volevano.

Santa Scjavòna fece poi anche qualcos’altro per sbarcare il lunario: vendeva “segreti d’amore e medicamentosi” insegnando alle donne Veneziane come difendere il proprio corpo dagli acciacchi e dalle angherie del Tempo, ma, esperta per ciò che le era capitato, anche dalle complicazioni interiori procurate più che spesso da mariti e compagni prepotenti, infedeli e vanesi, o dai sentimenti troppo instabili e vaporosi.

Strada facendo però, il suo bisogno si fece intraprendenza, finchè divenne autolesionismo.

Fu proprio, infatti, una di quelle donne Veneziane indotta a vivere una vita complicata a inguaiare di rimbalzo Santa a sua volta.

DonnaAntonia, venditrice di fiori in Piazza San Marco, e moglie di Geronimo Barcarolo degli Eccellentissimi Capi del Consiglio dei Dieci, comparve davanti all’Inquisizione Venezianaaccusando Santa di Stregoneria. Raccontò che prima di conoscere quella donna, suo marito era stato un uomo da bene, una persona tranquilla in diretto contatto quotidiano con personaggi potenti che contavano davvero tanto a Venezia ... Era poi spuntata quella Santa sull’orizzonte di suo marito, e lei era stata costretta a denunciarla in quanto la contrastava come rivale in Amore rubandole il suo uomo. Da quando suo marito l’aveva conosciuta non era stato più lui: l’aveva picchiata-minacciata, e buttata fuori dalla casa di proprietà dei Nobili Molin dove abitavano in Contrada di San Zuàne Nòvo poco distante da Piazza San Marco.

Interrogata di nuovo dall’Inquisizione sotto giuramento, Antoniariferì ancora che non solo conosceva la Scjavòna di cui non sapeva bene il vero nome, ma raccontò anche che la donna aveva iniziato a praticare casa sua incontrando suo marito, e che di notte usciva con lui … non si sapeva dove, e per fare che cosa: di sicuro per tradirla. Quando poi rientrava a casa il marito diventava violento e alterato: la minacciava con un coltello, e le faceva “cattiva compagnia”… Aggiunse anche che Santale aveva consigliato di non farsi trovare in casa al ritorno del suo uomo.

Ancora secondo la stessa Donna Antonia, Santa era diventata davvero spudoratissima. Spiegandole che lei non intendeva lasciare la propria casa, la Scjavona allora l’aveva derisa proponendole di adottare un rimedio per ricatturare le grazie di suo marito ... Santale aveva consigliato di prendere “dei peli rasi sotto le schàgi de le braze e de le parte de la vulva de sotto, et che ne facesse polvere in acqua rosa, et che ne desse da mangiàr et bèver al mario, et onzerli le tempie e i polsi.”

Era proprio una presa in giro della donna aggirata e anche un po’ credulona … Il rimedio ovviamente non funzionò, e allora Santasi ripropose, e propose ad Antonia di allestire un altro rimedio che considerava ancor più potente.

Provato Donna Antonia a confidarsi di tutto col marito cercando di recuperarlo, l’uomo le diede una rispostaccia: “O poltròna ! Lasciala stare ! … Guarda quante cose ti sa insegnare quella donna … Avvediti che ne sa fare davvero tante ! … E’ meglio di te.”

Ad Antonia allora non rimase che confidarsi con un Prete, che soprannominava Monsignore, ospite fisso in affitto in una delle stanze di casa sua. Fu lui a indirizzarla verso il Fante Hieronimusdell’InquisizioneGeronimo Vitriarius da Castèo Custode delle Prigioni dell’Inquisizionedove abitava con la sua famiglia.

Col Fante dell’Inquisizione si orchestrò allora di smascherare Santa, e si organizzò una vera e propria trappola nei suoi confronti. Per lei alla fine si spalancarono le porte del Carcere dell’Inquisizione prima, quelle del Tribunale del Santo Uffiziopoi, e infine quelle della colpevolezza con la definitiva sentenza di condanna.

Qualche ulteriore dettaglio ?

Va beh … Ecco qua.

Il gruppetto del Tribunale che formulò le accuse contro Santa allestendo il processo era composto dal Cancelliere Vincenzo Terlato, che si premurò di precisare che Santanon era stata solo scoperta “in fragrante” nelle sue mansione stregonesche e di herbaròla, ma che aveva esercitato una vera e propria azione sociale “dirrompente” intaccando l’equilibrio interno della Contrada Veneziana … C’erano poi il Reverendissimo Padre Inquisitore di Venezia Frate Angelo da Faenza, Desiderio Guido Vicario Patriarcale, e i Nobili Assistenti: Domenico Duodo e Pietro Morosini … e Cesare Legato Arcivescovo di Capua.

Torniamo ai fatti.

Eccoli … Santa, come dicevo poco fa, propose ad Antonia un formidabile nuovo rimedio per riappropriarsi di suo marito … Sembrava un giochino a nascondino, “a gatto col topo”, ma non lo era affatto: era pura realtà.

Santa invitò Donna Antonia a comprare a Rialto: “Herbe, overossia rizoma o radice di Cinquefoglie o Herba Potentilla, Olio comune da 5-7 soldi, e un osèllo (uccello) vivo e mascholo comprati a nome del Diavolo”, poi sarebbero servite anche “delle ossa e terra da Morto prese dal Cimitero Ebraico del Lido dove se sopelisse i Zudij”.

Tutti lo sapevano a Venezia: il Cimitero Ebraico del Lido era tradizionale meta di tutte le presunte fattucchiere Veneziane, una sorta di “luogo adatto”, una garanzia d’efficacia dove cercare e trovare cose utili per allestire “stregonèssi e deleterie magie”… Un “posto senza Dio” per i Veneziani, o almeno per una parte di loro: quelli che con Cultura e Religione avevano poca dimestichezza, e facevano un gran minestrone e tanta confusione in testa di un po’ di tutto.

Donna Antonia in seguito, avrebbe dovuto preparare il fuoco acceso con del carbone in casa, e lì Santa in persona l’avrebbe presto raggiunta per concludere quel gesto insieme “mettendo su pignatella”, e friggendo allo stesso tempo: Olio, Ossa di Giudeo e Uccello spennato... Santa disse ad Antonia che “tutte quelle erano come parole di Dio”, e che durante quel gesto di spergiuro si sarebbe dovuto dire: “Nel nome di Dio, così co ti lassè el to nio (nido), così to mario possa lassar ciascheduna dona, et così come el’ Zudio scampa l’acqua del Santo Batesimo, così Hieronimus possa lassàr ciascheduuna donna e vegnir da mi Antonia.”

Avrebbe funzionato quella nuova trovata, e Antonia avrebbe riavuto finalmente il suo uomo.

Antonia ancora una volta finse di crederci.

Santa raccontò di aver imparato tutte quelle cose da Maria Greca: una donna granda da 36-37 anni, mugièr de Jacomo da Zante, che stava a San Giovanni dei Furlani, “che la fila filo sotil (linaiola) andandolo vendendo per questa tèra, che porta diversi anelli al dito e un nizioletto in testa, e una travèrsa (grembiule)addosso” … Maria Greca le aveva anche insegnato che far funzionare tutto sarebbe servita anche “acqua di stagno”, ma che lei non era intenzionata ad andarla a cercare.

Antonia stessa aveva conosciuto Maria Greca sul Ponte de la Pagia vicino al Palazzo del Doge e Piazza San Marco, e piangendo le aveva mostrato i capelli che le aveva strappato Santa ... Maria Greca però non si era mai recata a casa di Antonia.

Santa la Scjavòna quindi accompagnò Donna Antoniaa Rialto a comprare “l’osèllo mascholo” al Mercato, dicendo al venditore che le serviva per un bimbo ammalato di scrofola. Avevano anche contrattato al ribasso per quattro soldi, e alla fine avevano comprato il volatile solo per tre … Antonia aggiunse ancora che in quell’occasione aveva sentito Santa invocare diverse volte il Diavolo-Satanòn, e che l’aveva poi lasciata con tutte quelle cose in grembo a discorrere con un suo conoscente in Marsaria, mentre lei era andata a chiamare il Fante dell’Inquisizione, e poi ancora s’era recata a vendere fiori in Piazza San Marco.

Più tardi quando Antonia tornò a casa per mangiare insieme al Prete che abitava con lei, e ad altra gente, comparve Antonia col volatile e le dette Herbe in grembo. Al Monsignorecurioso di sapere rispose che portava in traversa: “solo herbette, cipolle e prezzemolo”… Quando infine la Santa mise in mano l’uccello all’Antonia, allora comparve e intervenne il Fante dell’Inquisizione, che già in precedenza aveva consigliato ad Antonia di accompagnare Santa al Mercato per coglierla sul fatto.

Santa venne quindi arrestata a casa di Antonia, e nel trambusto il povero uccelletto venne talmente stretto che mori dopo aver dato qualche sonora beccata disperata. A Santa vennero trovati addosso tutti quei strani ingredienti sospetti: non c’era più alcun dubbio sulle sue capacità e le sue intenzioni.

Al Processo si presentò fra le altre una testimone che parlò contro Santa Scjavòna. Si trattava di Domenica, una lavandèra dei Padri Domenicani di Castello, che abitava in Contrada di San Biagio dei Forni in Corte Seconda Grimana(dove oggi sorge il Palazzetto dello Sport).

Costei piangendo e affliggendosi non poco raccontò che Santaaveva abitato a casa sua, e che uscendo da Messa in San Biagio, aveva sentito raccontare dalla Scjavòna che conosceva Donna Antoniain quanto aveva comprato fiori da lei. In seguito era venuta a sapere che la stessa Fioraia si lamentava che suo marito Barcarolo dei Capi dei Diecila molestava, le aveva venduto molte cose di casa, e si teneva in casa una femmina, che in una certa occasione l’aveva anche presa e tirata per i capelli ... Si trattava di Santa: la Scjavòna da Budo.

In un’altra occasione ancora, lei s’era trovata seduta in Piazza San Marco quando passava la Processione della Festa della Madonna della Sensa, e la Maria Greca sedutale accanto le aveva confidato d’essere Candiòtta, e di aver strappato il cuore dal petto di suo marito e d’averlo venduto … La Santa, invece, le disse che si sarebbe recata a San Lio e Rialto a prendere cose “che potessero giovare a quella donna grama e meschina che piànze sempre” ... e in effetti quello stesso sabato l’aveva vista recarsi verso Rialto zuppa di pioggia.

Infine un’ulteriore donna testimone confermò quanto già si sapeva. Stavolta era Catherina, cioè Cathe, vedova di Valerio Caleghèr (Calzolaio) anche lei residente in Corte Seconda Grimana in Contrada di San Biagio. Raccontò al Tribunale che Santa da Budua aveva abitato anche a casa sua … in soffitta precisamente … dove l’aveva sentita “con sospetto bisegàr (sussurrare) più volte con fave”. L’aveva anche ammonita di non far più cose del genere a casa sua, e quella fingendosi remissiva le aveva promesso di non farlo più.

Quel sabato l’aveva vista portare in grembo delle herbe a cinque foglie a casa sua. Le aveva proposto anche di comprarle e prenderle “per il mal da mare, da matrice de donna (fastidi mestruali). Le aveva risposto che non ne aveva bisogno ... Le aveva anche portato dei fiori colti da un ramo di un albero che sorgeva accanto a certi Morti del Lido… A questo lei aveva detto: “Che non gho stòmego per volerli.”… Diverse volte veniva a parlare a Santa una che vendeva fiori moglie di un certo Geronimo.

All’Ufficio della Santa Inquisizione di Venezianon servì altro: tutti quegli elementi furono più che sufficienti per poter rompere quel cerchio perverso in cui agiva Santa Scjavòna.

“Non ho mai buttato fave … Né lo ho mai fatte buttar ad altri.” provò a discolparsi timidamente Santa da Budria davanti ai Giudici.

Niente da fare … Il Tribunale dell’Inquisizione Veneziano fu inflessibile con quella donna sola, che inizialmente era stata solo indifesa e a caccia di espedienti per vivere. Nel giro di soli quindici giorni emanò pubblica sentenza da eseguire immediatamente affinché quel gesto fosse d’esempio per tutti i Veneziani che abitavano la bagnata Città Lagunare.

Il 03 luglio 1586, Santa Scjavona da Buda con un cappello in testa con posto sopra un cartello che spiegava la sentenza impostole: “PER STRIGA ET HERBERA”, venne dallo stesso Fante Gerolamo Vitrarius Ministro del Santo Uffizio dell’Inquisizione fustigata pubblicamente da Piazza San Marco fino alla Pietra del Bando di Rialto dove venne messa alla berlina per un’ora. Poi finalmente venne imbarcata su una Galia Veneziana, e spedita oltremare: rimandandola là da dov’era partita “per quinquennium”. Venne cioè bandita per cinque anni da tutti i territori di Venezia Serenissima, in esilio a Buda, oltre il mare Adriatico: “infra Mentium et Quarnerium” .

Le fu posta anche una taglia di 100 lire sulla testa. Se si fosse ripresentata in Laguna e a Venezia prima di quella scadenza avrebbe fatto felice quello o quella o quelli che l’avrebbero denunciata alla Santo Uffizio dell’Inquisizione e agli uomini della Serenissima, che gira e volta erano la stessa cosa in quanto andavano a braccetto insieme ... La donna-Strìga-Herberasarebbe stata posta in “carcere chiuso” di San Marco per mesi sei.

E’ questa la trista e succinta storia di Santa Sciabòna da Buda passata per un certo tempo a vivere per Venezia.

Di lei poi non si seppe più nulla ... Una donna svanita nel niente.



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