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Una storia dalla Marinaressa

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Una storia dalla Marinaressa

E‘ incredibile a volte come in ogni tempo le persone sappiano essere vendicative e perfide a discapito di ogni più eclatante verità. Eppure è così … Sembra proprio che l’Umanità in ogni epoca abbia sempre lasciato prevalere il peggio di se imbastendo storie inverosimili diventate cruda realtà.

E’ accaduto anche nel 1584 a Venezia … ancora una volta: miniera senza fine di Storia di storie. E’ capitato nella zona della Marinaressa affacciata sul Bacino di San Marco. DI quel posto oggi è rimasto praticamente niente: solo l’eco nella toponomastica ... Ha perso cioè quasi del tutto quella vitalità tipica che possedeva un tempo ... Non ci sono più gli Squeri affacciati sulla Laguna, né le barche spinte sugli scanni fino all’acqua, né l’odore dei cordami, della pece, del grasso, del legname, delle merci e della pesca … e non ci sono soprattutto quel tipo di persone che l’animavano un tempo.

La Marinaressa di Venezia, lo dice lo stesso nome, era un tempo Contrada di operosi Marinai solitari o con numerosa famiglia giusto stretti e affacciati sui Moli di San Marco, che a lungo è stato vero e proprio Porto di Venezia … La Marinarezza Veneziana poi indicava anche le persone che la abitavano, ed erano soprattutto Marinai e Artieri conosciuti e stimati in tutto il Mediterraneo e oltre. Nelle Calli, Campielli e luoghi della Marinaressa s’assiepavano ingegnosi Arsenalotti, Remèri, Squeraroli, Calafatti, e appunto Marinai giovani e aitanti o vecchi e consumati dalle fatiche e dagli anni, che andavano e tornavano sotto le insegne di San Marco e della Serenissima Repubblica con la quale erano corpo e anima.

La Marinaressa era contrada quindi di traffici, armamenti, arruolamento d’equipaggi … ma anche di contrabbandi, reduci e vecchi rimessi a terra che stavano in ospizi e osterie a finire i giorni … Ma luogo anche pieno di storie e vita spicciola vissuta: di donne, uomini e famiglie, che aspiravano alle cose concrete di sempre, di tutti, e di tutti i giorni.

Tante città di mare avevano la Marinarezza, ma Venezia ce l’aveva forse un po’ di più, perché era la Capitale, e perché fra calli e callette, campi e Contrade c’era un qualcosa di speciale e in più, una specie di amalgama particolare, una sorta di dedizione che rendevano unico quel particolarissimo contesto lagunare … Marinai Veneziani si nasceva, e si era fino alla morte, e ciò comportava una vocazione quasi totale, un fiero intento, che solo a Venezia c’era … e c’era in grandi e piccoli, uomini, donne e ., in modo che era un unicum inscindibile, una specie di vero e proprio amore, che quasi si respirava nell’aria.

Ancora oggi si può aggirarsi fra le case della Marinaressa contraddistinte da un paio di arconi del 1645-61… Sono più di una cinquantina suddivise in blocchi di caxette minori. Erano case spesso assegnate gratuitamente ai Marinai della Serenissima che si erano particolarmente distinti.

Beh … Lì sono accadute storie e anche storiacce in verità, molte delle quali sono andate perdute e dimenticate per sempre … Qualcuna è rimasta però. Quella di Giustina, ad esempio.

Giustina era una giovane donna Veneziana determinatissima e vivace che abitava la Contrada di Quintavalle di Castello: la Contrada del Vescovo e di San Pietro, in una caxetta che apparteneva alla Schola Granda della Misericordia di Cannaregio. Si era sposata con Nadalìn Barcaròl: uno straniero immigrato appunto a Venezia, da una Marinarezza all’altra, proveniente da Cattaro la così detta: “Albania Veneta” sull’attuale costa Adriatica del Montenegro.

Anche nel fiordo di Cattaro, come a Venezia, essendo città di mare c’era una Marinarezza: un quartiere di Marinai, quindi Nadalin non aveva avuto problemi ad inserirsi nella nostra Laguna, a Castello nei pressi dell’Arsenale, e lì aveva messo su famiglia … Giustina, infatti, era piena di figli.

E sapete com’è che accade spesso nelle città porto di mare, anche Nadalin per qualche motivo si trovò immischiato in qualcosa probabilmente di losco, per cui gira e volta una sera finì ammazzato vicino a casa da quattro Marinai, forse compatrioti e compagni di traffici e lavori.

Vispissima la moglie Giustina non si perse d’animo di fronte quell’avvenimento drammatico: reagì subito smascherando gli omicidi del marito. Andò a fare i nomi denunciandoli all’Avogaria da Comun: Nicoletto Gielenco, Giacomo Mustachì, Rocco dal Passo e Battista Squarzafigo  … Erano stranieri immigrati, Marinai come suo marito, per cui gli assassini vennero subito riconosciuti, inquisiti e condannati dalla Serenissima ... Per salvarsi da lunga prigione, punizioni varie e risarcimenti, i Marinai preferirono scappare dalla Laguna e dal Dominio della Serenissima abbandonando le loro famiglie.

Vivere fuori da Venezia però, non era di certo una scelta fortunata, in un certo senso pure quei Marinai si ritrovarono a vivere “vite spezzate” come quella della famiglia di Nadalin che avevano trucidato. Mogli e figlie e figlie rimasti a Venezia soprattutto, si trovarono a pagare lo scotto d’essere familiari di omicidi … Ma quel che fu peggio, fu il fatto che i familiari dei Marinai omicidi banditi cercarono di vendicarsi di Donna Giustina che aveva osato denunciare l’omicidio subito.

Giustina venne denunciata all’Inquisizione Venezianaadditandola come perfida Striga Herbarola.

Furono soprattutto Camilla mugièr de Zan Alvise Spira“sta pure lei in Quintavalle”, sorella di Giacomo Mustachì, e Modesta figlia dello stesso Mustachì(nel frattempo morto ?) uno degli assassini ad allestire ed architettare tutta la messa in scena, una vera e propria farsa ai danni di Giustina.

La figlia insieme alla Madre organizzarono tutto, e assoldarono perfino dei falsi testimoni che comparvero a deporre contro Giustina nel Tribunale dell’Inquisizione Veneziana. Si presentò, infatti: Anzolettavicina di casa di Modesta e Camilla, pure lei residente a Quintavalle di Castello a Venezia ... A seguire andò a testimoniare anche Messer Marin Bevilacqua “che soleva attender all’Officio de la gièsia” … e a costui seguirono ancora: un Cappellèr e uno Strazzaròl che stanziavano di solito a San Provolo presso “la Porta” della Corte delleMùneghe de San Zaccaria spesso ina attesa di espedienti per vivere.

“E’ una buttafave, fa strigarie … fa martelli co naranzai … E’ una pubblica Herbèra, bestemmiatrice di Dio … Invoca tutti li Dimoni dell’Inferno, e fa pignatelli ... e ha insidiato me con strigarie, furfantarie e incantesimi cercando di mettermi sulla mala strada con la scusa di procurarmi amanti … Faceva questo all’ora dell’Ave Maria, che quando suonava: lei gettava giù del sale in strada …” andò a dire all’Inquisizione: Modesta la figlia dell’assassino: “La voleva far tuor un sòrze (un topo), cusìrghe i òci e l rècie (cucirgli gli occhi e gli orecchi), e metterlo in una scatola, e tenirlo e darghe da mangiàr … Voleva poi che prendessi una stringa di cuoio e un chiodo, e con quelli scongiurar una Stella e ligàr el sonno, e farme ben sposàr tolendo anche una miòla da morto (midollo d’ossa di Morto): “Se lo baserài con la miòla in bocca el te sposarà” … Io non volevo fare quelle cose … Per questo chiedo di dar condegno castigo a quella scellerata ... Arpia della Contrada de Quinta Valle dove abita la Marinarezza.”

Anzoletta la vicina di casa, figlia del defunto Domenico De Rubeis(Dei Rossi … come me) moglie di Hyeronimus Pedòta per l’Istria(pilota di barca da diporto), testimoniò che: “Si ... Era vero che Giustina aveva fatto e insegnato strigarie e buttato fave con Modesta …L’aveva spaventata con quei loro gesti, tanto che non le aveva volute più per casa ... Con Giustina c’era anche sua figlia Valeria, e insieme usavano forbici, cenere, croci e tamìsi (stadèra) dicendo: Per San Piero e per San Paolo ….  Lo Angiolo Bianco e lo Angiolo Santo …e altre parole per scoprire se qualcuna voleva loro bene … Giustina in un’occasione le aveva consigliato di rubare e nascondere una corda mettendola dentro al Zupòn (giubbotto) di suo marito, garantendole che così l’avrebbe affatturato garantendogli il suo amore.”

Camilla la sorella dell’assassino Mustachi a sua volta andò giù pesante con le accuse contro Giustina: “Si mette su contro Modesta per farla sposare a chi vuole lei: con Jacomo Fabbro paròn de bottega in Cào de Rio de Castello … Fa scongiuri sul muro con le cinque dita invocando cinque Diavoli … Diceva: “Belzebù, Lucifero, Solfanello, Gran Dimonio dal Naso Storto io vi scongiuro ! … che vi portiate dal luogo dove vi ritrovate.”… Ha poi conciato aranci, pane, sale e savina mettendoli sul fuoco … Io ho detto a Giustina che stava facendo peccato, ma lei mi ha risposto:“Melchiòna ! Sono cose che fanno anche i Preti e i Frati … Son fiabe ! … Non è peccato ... Anzi: fatelo anche voi ! … così vedrete se vostro marito vi vuole bene.” … Frequenta anche una vecchia donna Striga di San Provolo, di nome Lucia, che abita sotto a un portico ai Santi Filippo e Giacomo, e ha i capelli tinti di rosso … La vecchia si è presentata in Corte da noi, e volevano conciare un parpagnàcco (pane di formentone) per darlo poi da mangiare alla putta Modesta … Era riuscita a farla desistere, anche se la vecchia aveva detto che sarebbe stata capace di farle morire tutte …”

Interrogata ancora, Camilla confermò di non aver nulla contro Giustina, di non essere in “disamicizia”, ma di agire solo per amore di Verità.

Tutto sembrava convergere perfettamente a danno di Giustina, e all’Inquisizione forse non pareva vero d’aver fra le mani un caso così esemplare sul quale poter giungere presto a opportuna Sentenza.

Solo che intervenne subito l’Avogaria da Comun della Serenissima chiamata in causa dalla stessa coraggiosa Giustina, per cui l’Inquisizione fu indotta a chiudere immediatamente il processo. Le donne e i testimoni rei di tanta falsità vennero diffidati e minacciati dalla Serenissima delle pene più severe: “de star anni doi in presòn serrate, et esser frustrate”, e fu ingiunto loro di non importunare, “né offender, né molestar coi fatti” in alcun modo Giustina e la sua famiglia.

Una tantum, la Giustizia si fece sentire a Venezia.

E qui finisce già questa storia: una delle tante della Marinaressadi Venezia.




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