#unacuriositàvenezianapervolta 278
Tutto e di più in Contrada di San Zuliàn, San Biagio e San Severo.
Il solito Pierazzo Gradenigoha scritto nei suoi interessantissimi “Notatori” alla data del 14 marzo 1773: “Bando e sentenza stampata, e in questa mattina publicata in rigor di parte presa nell’Eccellentissimo Consiglio di Quarantia al Criminal contro Vicenzo Politi, o sia Puliti, solito girare il mondo senza mestiere, e di nazione Romano; come quello che, stretta scambievole amicizia sino a giurarsi fratelli con Francesco Pasquin, Lavorante Tagièr nella Contrada di San Biaggio di Castello, con esso formasse società di vagabondi, non senza presunzione, che esercitassero l’odiosa professione de ladri, e borsaioli, finalmente restasse amareggiata questa loro unione a mottivo che il sudetto Pasquino ricoverò appresso di sè la moglie di esso Politi, ad oggetto quantunque non sincero, di preservarla dalle avvanzate minaccie del marito, che, scoperta l’occultazione, meditò insidie contro il Pasquino; anziché a 2 maggio 1768, nella Calle della Madonetta a San Severo, impugnato un coltello stilato, improvisamente vibrò due ferite al Pasquino; l’una nel torace a parte destra sotto la mamella; e l’altra penetrante in cavità dell’abdome con uscita dell’omento, ed offesa dell’intestini, per cui nel giorno seguente nell’Ospitale dei Santi Pietro e Paolo terminò miseramente li suoi giorni; che però, venendo preso sia impiccato fra le due colonne di San Marco con taglia a captori, o interfettori, di ducati 500.”
Che dire ? … Il fatto si spiega da se … Evidenzio solo: che accadde in Calle della Madonetta ... Ci sono passato proprio due giorni fa, a pochi passi dai Greci, e ad altrettanti da San Severo: solo una calle e un canale … La Contrada di San Severo,secondo quanto ricorda il Lessico di Fabio Mutinelli, è stata da sempre parte delle Isole Gemelle o Gemini riconoscibili fra i Sestieri di San Marco e Castello dell’Arcipelago Veneziano ... Molto ricordata nell'antiche carte di Venezia era la “Batùa di San Severo” ad indicare un percorso alternativo a piedi più riparato da seguire (battere) di preferenza piuttosto che percorrere la più esposta alle intemperie e al sole Riva degli Schiavoni per recarsi al Mercato di Olivòlo-Castello ... L’insula di San Severoinizialmente posta sotto il Juspatronato(controllo-protezione)dei Nobili Partecipazio, passò ben presto (1185) sotto l’oculata gestione della Badessa delle ricche e potenti Monache Benedettine di San Lorenzo di Castello, che non mancarono d’accaparrarsi ogni diritto su San Severo, compreso quello d’“Inventio”, cioè di scelta e nomina del Piovano della Contrada, che doveva essere in tutto e per tutto una persona di loro gradimento per poter essere al loro completo servizio.
“Sette: San Severo … come e Sette Sante Piaghe de a Madona” esclamavano i Veneziani di ieri giocando in strada alla Tombola fra calli, corti e campielli … Alla fine della Serenissima, invece sussurravano diversamente sottovoce guardandosi intorno guardinghi: “Sette: San Severo … A remèngo San Severo !” mormoravano, perché l’ex chiesa ormai disfatta, era diventata prima ricovero dei lavoranti della Casa dell'Industria di San Lorenzo, poi officina di falegname, e infine Carcere Politicoadottato da Francesi e Austriaci per ammassarvi alla rinfusa i maltrattati e malmessi Veneziani.
Tristo destino quello della Contrada di San Severo: lì abitò anche l'Architetto Calendario: mirabile autore di tante belle e singolari parti e capitelli di Palazzo Ducale… Venne arrestato per “complicità”col Doge Marin Falier, di cui sempre a San Severo andò ad abitare la moglie rimasta “Derelicta”, cioè vedova del famoso Doge Traditore.
Nel 1500 quando Antonia(e basta … senza cognome) esercitava da prostituta “pieza lei stessa in Ruga Giuffa, poco discosta da San Severo, a scudi 2 la bòtta”, ben quattro Preti soggetti alle Monache di San Lorenzo abitavano in case distinte senza pagare affitto proprio vicino a quella donna … Loro officiavano San Severo delle Monache venendo pagati 12 ducati annui ciascuno … Antonia, invece, prestava un “servizio diverso”: “Sempre di commerci si tratta ... Antonia in proporzione prende di più !”ghignavano sarcastici i Veneziani della Contrada … Uno dei quattro Preti era Prè Daniel Grisonio, un altro: Prè Josepho Zarlino, e di un terzo e un quarto è andato perso nome e memoria … Si sapeva comunque che tutti e quattro ogni giorno si recavano a celebrare “a ripetizione” sui sette Altari della chiesa di San Severo: (San Severo, Santissimo, San Giovanni, Madonna, San Gallo, Sant’Andrea e Santa Caterina) per incassare i cespiti delle 8 Mansionerie di Messe di cui erano titolari le Monache di San Lorenzo. Da “quell’impresa” le Monache ricavavano da secoli ben 158 ducati annui insieme a diversi generi in natura.
Torniamo però all’iniziale Pasquinoammazzato di cui ho scritto all’inizio … Faceva il Lavorante Tagièr a San Biagio di mestiere.
San Biagio dove ? … e Tagièr: che mestiere era ?
La Contrada de San Biagio sorgeva e sorge a pochi passi da San Severo sulla Riva degli Schiavoni, sul bordo iniziale o estremo del Sestiere di Castello(dalla cui Matrice di San Pietro di Olivolo dipendeva). Sorgeva su un'altra delle isolette Veneziane anticamente chiamata “Làdrio”, o forse: “Adrio” ... ma detta: “dei Ladròni” dai Veneziani di San Biagio, che era zona portuale. La chiesa, infatti, veniva ufficiata in modo alterno in Rito Latino e Greco per andare incontro alle esigenze delle Comunità Mercantili Greche o Forestiere che giungevano a Venezia via mare stazionando, contrattando e commerciando proprio là nella Contrada Marittima di San Biagio sul Molo di San Marco.
SulPonte di legno di San Biagio prossimo al Ponte delle Catene dell’Arsenale (per via dei lunghi ferri attaccati agli stabili vicini per sostenere ii ponte girevole aperto al passaggio dei navigli uscenti o entranti) era proibito transitare e fermarsi sia passando a piedi che a cavallo: pena venti soldi di multa … C’era, infatti, sempre ungran concorso e andirivieni di popolo sull’attraversamento del ponte, per via che “di Quadragesima” tanti Veneziani erano soliti recarsi a frequentare i così detti “Perdoni de San Pièro de Castèoricchi d’Indulgenze preziose e di tante buone Grazie Plenarie utili per se e la propria fine, nonchè per il Destino incognito dei propri Morti.”
Già l’antica Cronaca Savinadel 1300 raccontava che in epoca di carestia: “fo in Senato deliberado de far un deposito in Venezia di formenti, et fo fatti alcuni magazzini di granagliesul Campo di San Biasio”... In Contrada quindi esistevano un grosso Forno da pane e una trentina di botteghe dove vivevano da sempre quasi 700 persone: “miserrime” si diceva, tanto che i cinque Procuratori della chiesa di San Biagio non riuscivano neanche a far valere il loro diritto di ballottare l’elezione del Nuovo Piovano in quanto mancavano del requisito principale per poterlo fare: cioè l’essere proprietari degli stabili della zona … Non possedevano niente in realtà.
A conferma della precaria situazione della Contrada Veneziana, ancora diversi secoli, e mille passaggi di navi, merci, economie e storie di persone dopo, la chiesuola di San Biagio era mezza diroccata e cadente lasciata quasi del tutto in balia di se stessa … Perfino (1732) il padre del Piovano Domenigo Cimegotto pur essendo “di casa a San Biagio, e sano di mente e di corpo, solo un poco incomodato da pellagra”, fece testamento lasciando agli eredi, o in mancanza di loro alle Dimessedi Santa Maria della Concezione di Murano una sua casa … Neppure alla lontana gli passò per la mente di lasciare qualcosa alla traballante chiesa di San Biagiogovernata da suo figliolo:“una battaglia persa” disse, e lasciò la chiesuola e la Parrocchia in miseria.
Chiesa e campanile, infatti, risultavano cadenti ai sopraluoghi: con necessità del restauro … Anzi: di rifabbrica totale … Il Proto Giovanni Scalfurotto propose un ambizioso progetto di restauro per una spesa di complessivi 2.000 ducati … Ma chi li aveva da metterli a disposizione ? … Nessuno.
Tira molla, e molla e tira, secondo quanto raccontano ancora dai soliti “Notatori” dell’altrettanto solitoGradenigo: “Il 16 aprile 1749 il Patriarca Foscari pose la prima pietra della nuova chiesa di San Biagio su nuovo disegno di Filippo Rossi Proto dell’Arsenale ... Quattro anni dopo però, c’era ancora solo quella pietra iniziale mancando i denari, o se c’erano stati, chissà che strada avevano preso … Inutilmente s’invitò la popolazione per 2 giorni al Bacio del Sacro Manipolo in San Biagio onde aumentare denaro per la nuova fabbrica. Si provò anche a reperire fondi con caselle, turni e manipoli, lotterie, estrazioni di grazie e contribuzioni delle Maestranze dell’Arsenale e con contributi mensuali dei Devoti che si obbligavano a dare 10 o 20 soldi per 2 o 3 anni, e con caselle giranti per tutta la città.”
Niente da fare … Dopo due anni in estate, si era ancora quasi al punto di partenza … I “Notatori”raccontano ancora: “Nel luglio 1756 ci fu un nuovo invito a stampa per il Bacio del Sacro Manipolo mattina e dopo pranzo li giorni 25 e 26 susseguenti per aumentare l’elemosine ad erezione solecita della nuova chiesa parrocchiale.”
Finalmente l’ultimo giorno di gennaio 1757: “Suonarono le campane di San Biagio atteso essersi compiuto il nuovo campanile … Ma ahimè: che delusione ! … Il campaniletto era a vela, costrutto “alla romana”, cioè con una sola parete al posto delle quattro desiderate ... “Roba da miseria !” commentarono quelli della Contrada: “Non si è abituati così a Venezia.” … E infatti avevano ragione: in miseria lo erano tutti davvero.”
“Ancora nella primavera seguente del 1758, il zelantissimo Piovano di San Biagio per vedere definita finalmente la fabbrica della nuova chiesa, fece pubblicare un altro manifesto a stampa con cui eccitava la Pia Devozione dei Cristiani della Contrada e della Città a contribuire in via di Associazione almeno con 4 soldi al mese ... Ma chi lo ascoltava più ?”
Tornando allora al PasquinoLavorante Tagièr di San Biagio ammazzato a San Severo … Serve ricordare che i Tagièri erano uno dei mestieri secondari prodotti dal grande indotto della Casa dell’Arsenale Veneziano… I Tagèrierano degli addetti generici alle carrucole e alle movimentazione di barche, navi e legnami dentro e fuori dall’immenso cantiere della Serenissima Repubblica … Era una professione simile a diverse altre con le quali interagiva fortemente connessa: i Soprastanti ai pèrni, ciòdi e àncore da nave, i Conzacanevi de la Tana (lavoranti di funi e cime da navi), iFilacanevo delle Schole di San Boldo e San Bernardino, i Tornidori e Busolèri, e ultima ma non ultima: l’impareggiabile attività delle donne Velère che tagliavano, cucivano e mettevano a punto le tele delle Vele ordite e preparate in precedenza dalle Orfane dei vari Ospizi e Istituti Cittadini voluti dalla saggia e generosa Pietas e Carità Veneziana.
Quella dei Tagièriera considerata un’Arte Piccola, secondaria, un’Arte solo di nome e senza reale costrutto e riconoscimento, che operava a sostegno delle Arti Grandi dell’Arsenale, cioè: i Marangoni da Nave, i Calafatti, i Sagomadori, i Fravi, iSegadori, i Maestri agli albori e penoni, gli Squerajolie i Pegolòtti che riunirono in epoche diverse fino a 2.000-3.000 Maestranze Artigiane. Molti di quegli Arsenalotti dopo aver rigorosamente partecipato ogni mattina alla prima Messa inSan Martin presso le Porte dell’Arsenal, entravano a lavorare a turno al suono della campana sotto le tese, i tezoni, l'Isolotto e le Gagiandre dell’Arsenale provvedendo all’allestimento di chiglie, fiancate, cabine ed equipaggiamento di Galee Grosse o Sottili, Navi Tonde o Cocche, e Velieri per le Mude (spedizioni commerciali di Stato) della Repubblica. Molto spesso ottenevano anche di abitare attorno e accanto alla Caxa dell’Arsenal considerata patrimonio inscindibile di tutti i Veneziani, e arrotondavano le magre paghe fornite dalla Serenissima impiegandosi in qualche Squero delle vicinanze costruendo “barche da sotil”, cioè di piccole dimensioni.
A quel gran numero di Artigiani del Mare veniva in un certo senso riconosciuta l’immagine e la competenza esclusiva della professione, dando loro la possibilità di aggregarsi in specifiche Schole d’Arte, Devozione e Mestiere.
Ai Tagièri, invece: no … Insomma: erano Lavoranti semplici, generici e meno qualificati, gente in cerca di sbarcare il quotidiano lunario, manovalanza inferiore come i Bastasi (facchini)ad esempio … A loro era lasciato di provare ad aggregarsi in qualche modo qua e là secondo quanto riuscivano e seguendo le occasioni che si presentavano saltuariamente … Diversi Tagèri, ad esempio, finivano col gravitare con altri intorno al Sovegno dei Poveri dell’Arsenal di San Domenico di Castello… o provavano a sussidiarsi e tendere la mano alla decina di facoltosi iscritti della Schola dei Mercanti da Legname, che nel 1773 riuniva sotto ilPatronato di Santa Giustina quelli (quasi tutti originari della Magnifica Comunità del Cadore) che facevano commercio all'ingrosso del prezioso materiale da costruzione. Il legname veniva tagliato nei boschi del Cansiglio, Friuli e Cadore facendolo rischiosamente fluitare giù fino in Laguna sulle Zattere del Piave, che arrivavano passando per l’Isola di San Giacomo in Paludo fino alle Fondamente Nove, in Barbaria de le Tòle, all’Arsenale o sulle Zattere sul Canale della Giudecca nei pressi del porticciolo di San Gregorio alla Punta dei Sali dall’altra parte della città.Lì si accoglievano soprattutto le Zattere che fluitavano lungo altri fiumi come il Brenta … Non a caso (1532) la Schola dei Mercanti da Legname trovò sede presso la chiesa rotonda dell’Ospedal degli Incurabili che sorgeva proprio sulle Zattere.
In conclusione quindi il Pasquinoammazzato in Contrada diSan Severo era povero Tagièrche lavoricchiava e viveva d’espedienti sulle banchine portuali della vicina Riva di San Biagio.
Questo per ricordare anche che Venezia era sempre e comunque Porto di Mare aperto a tutto e tutti, e per spiegare come e perché tanti Veneziani erano d’indole tollerante e ben disposta verso ogni diversità, sempre molto attratti dalle risorse commerciali del Mediterraneo, dell’Europa, Africa e Oriente, ma anche curiosi di ogni estrosità e singolarità esotica che finiva ad affacciarsi o dar spettacolo in Laguna … Le Mudedelle Galee sempre in arrivo e partenza sui Moli di San Marco, i Pellegrini e i Mercanti che andavano e venivano, i baracconi della Fiera della Sensa in Piazza San Marco, la Mostra delle Meraviglie, la “Santa Giostra delle altrettanto Sante Reliquie” continuamente esposte ovunque in Città in un tripudio senza fine di Liturgie, Processioni ed Elemosine, le novità del Mondo Novo con l’Elefante, lo Struzzo, la Scimmia e il finto Turco imbonitore ciarlatano che non smettevano mai di mostrare ciò che già in fondo si sapeva, erano sempre nuove occasioni per comprare, “far crèser e giràr le economie”, aprirsi gli occhi e saperne un po’ di più … Ovunque si diceva e sapeva che i Veneziani erano Mercanti, Politici e Naviganti furbi, arguti ed esperti, ma anche sempre pronti a perdersi divertendosi al gioco, nelle Osterie e nel Carnevale, o dietro alle gonne di qualche donna, o a stupirsi rimanendo imbambolati e curiosi come bimbi: “Appena ti ghe fa balàr un cavèo davanti.”
18 gennaio 1773, ancora nei Notatori: “Profittata la opportunità della oltrascritta venuta dell’elefante in Venezia, Alvise Milocco Stampatore e Librajo in Merceria dell’Orologlio, appresso la Piazza di San Marco, e alla Insegna di Apolline, fece tradurre dal Francese nell’Italiano, e publicare con le stampe, la storia di esso raro animale, esattamente scritta da Monsieur De Buffon Intendente del Giardino del Re dell’Accademia di Parigi e di quella delle Scienze ecc. Questo virtuoso libretto, pieno di varie e veridiche cognizioni rapporto alle qualità e proprietà di esso vasto quadrupedo, viene esitato al prezio di denari 1210 l’uno.”
Racconta e rapporta ulteriormente il Gradenigo: “10 Marzo; Giovedì, che divide per metà la Quadragesima; là onde, secondo antica consuetudine, viene permesso dalla Publica Auttorità alla plebe, di trattenersi nel solito divertimento di schernire, e deridere, le più attempate femine della Dominante, erigendo un adorno pergolato, e ponendo sopra di esso una statua rappresentante una donna vestita con abito di carta a fiori, con finta faccia senile, e con pettinatura e cuffia affettata, la quale, dopo li giochi di accoppare il gallo alla cieca; di mangiare le lasagne con le braccia legate ad un legno; di prendere un bisatto con li denti, posto entro una mastella di acqua tinta di negrofumo ( Fuliggine ricavata dai legni resinosi arsi); e il volo dall’alto al basso per via di una corda fatto da un cane, finalmente, fra lo sparro di codete e fuochi artifiziali, viene la figura moderatamente incendiata, ed eruttante frutta di ogni sorte, ma in altri tempi segata. Tale spettacolo si ammirò a San Luca. Si alzava un palco sul quale si collocava un fantoccio di vecchia, con una cuffia in testa e una maschera sul volto. Due guardie le rendevano onori in forma ridicola, successivamente veniva tagliato il ventre al fantoccio e ne uscivano fiori e confetti, infine il fantoccio veniva bruciato in Campo Rusolo e altrove, massime in Corte dell’Orso a San Zulian.”
Raccontava, invece, Marin Sanudonelle sue “Vite dei Dogi”: “La notte di San Bartolomeo nacquero in questa terra due figliole nella Contrada di San Biagio vive e sane con tutte le loro membra, ma erano congiunte ad invicem a femore usque ad pectora, e pareva che si volessero abbracciare” ... Ecco anche qua ancora descritto l’estraneo, l’imprevisto, la cosa curiosa che sapeva ammaliare e dar spettacolo catturando i Veneziani.
A fine marzo 1773 il buon Gradenigo continuava a scrivere curiosamente: “Nella Bottega da Caffè del Signor Giacomo Giavarina appresso San Giuliano, in questa mattina si vidde comparire una ragazza questuante, chiamata Margarita Grandona, orionda da Como, e in età d’anni 14 la quale ha la mano sinistra mostruosissima, essendo li tre dita pollice, indice, e annulare, molto grandi più degli altri, e il braccio assai più grosso del dritto. Le dita sono tutte articolate, e con facilità dalla medesima si muovono, ma non erano atti ad operare.”
Nella Contrada di San Zuliàn(San Giuliano)sulle Merceriedell'Orologio, de San Salvador, e nella Marzarièta de San Bòrtolocheandavanoda Piazza San Marco fino a Rialto, dove facevano il loro sfarzoso ingresso: Patriarchi, Cancellieri Grandi e Procuratori che regalavano pani di zucchero passando,era di continuo così. Lì accadeva sempre di tutto e di più, quasi la plastica sintesi quotidiana visibile dell’inesauribile voglia dei Veneziani di stupirsi e arricchirsi ulteriormente in maniera a volte anche spicciola e sempre diversa:“A San Zulian stava e operava l'Arte dei Merciai condannata dall'Ufficio del Piovego durante la Fiera della Sensa per aver posto tettoie di tela non autorizzate in Piazza San Marco ... Il Maggior Consiglio magnanimo aveva concesso una riduzione della pena, ma Merciai e Calzolai vennero puniti individualmente lo stesso per aver esposto merci oltre il limite delle bancarelle sia a San Zulian che a San Bòrtolo di Rialto … Si repressero e si fecero rimuovere anche i banchi stabili collocati sotto ai portici della Merceria dove erano stati interdetti in quanto ingombravano la via communis … Non si doveva in alcun modo prolungare l'edificio all’esterno della bottega generando impàsso.”
Già fin da prima del 1400, nella Contrada al Ponte dei Tirali o dei Baretèri, dove abitavano circa 2.300 persone fra Veneziani e non, erano certificate come presenti in Calle Larga e Corte di Cà Quartierin Spadaria le proprietà, botteghe e botteghini, volte e magazzini delle Schole di San Giovanni Evangelista, dei Luganeghèri, dei Merciai e dei Marangoni, mentre ancora in Corte di Cà Quartier, in Calle dei Balloni e in Marzaria del Relògio c’erano le proprietà della Schola Granda della Misericordia che aveva una decina di caxette affittate ciascuna per 70-275 ducati variabili annui.
Nella stessa Contradadi San Julian in Ruga ormai da tempo era ben avviata l’attività di deposito e prestito iniziata dallo Spicier Nicolò Sturion. Non si trattava di Banche, ma di comuni attività locali di Statio-Bottega, che accettavano depositi da terzi e davano prestiti fissandone l’interesse “in base e a seconda di un certo dividendo, e dopo un certo tempo” cercando di aggirare la palese usura … Così capitava anche a Rialto nelle Botteghe delle Draparie di Carlo Marino, e al Tavolo da Banco di Marino Storlado, stimato dall’Erario per lire 16.000, che concedeva tranquillamente prestiti al tasso del 12% annuo, che poteva lievitare senza tanto preavviso anche fino al 24%.
Infermo per la peste del 1400, Marin Storlado, ricco sfondato, fece testamento davanti a quattro Commissari che avrebbero gestito i suoi lasciti e patrimoni. Fra loro c’era anche il Banchiere Soranzo che lui chiamava: “compatrem meum dilectum”. Storlado lasciò fra l’altro anche 300 ducati al Monastero del Corpus Domini di Cannaregio dove s’era sistemata e ritirata a vivere “comodamente”sua figlia Suor Maria Sturion ... diventata Badessaovviamente.
Secondo quanto segnalato nei pagamenti della Decima del 1530 alla Repubblica: Melchiorre Sessa figlio del defunto Battista faceva ilLibràro a San Zulian “All’Insegna della Gatta”, comeAntonio Moretto; mentre Marchantonio de Piero lavorava e faceva affari da Marsèr allo stesso modo di Zuane de la Nave de Cristofalo, Ambroso Zerbi, Francesco Lucadei o Locatelli e Zuan Matio da la Pigna quondam Ser Piero. Gregorio de Gregori, invece, era Stampadòr a San Zulian;Zanin de Zuane era Taschèr “All’Insegna del Galo”, cioè fabbricava e vendeva sacche; Piero Badoer di Misser Albertin era Dottor; e in Merseria lavoravano anche Costanza Lipomano relicta de Missier Marco el Cavalier; Giacomo Mazzoleni che vendeva Profumi, Unguenti e Muschi, Matio Bragadin quondam Tommaso che faceva l’Indoradòr, e Rado che lavorava sulle Stadère (bilance).
Dentro alla chiesa di San Zulian, intanto, ne capitavano un po’ di tutti i colori. Nell’estate 1540 Prete Carlo Renio che era sia Piovano a San Tomà al di là del Canal Grande, ma anche Diacono del Capitolo dei Preti di San Zulian, fece causa vincendola contro i Preti del Capitolo di San Zulian per ottenere l’elezione “per saltum”… Ciò provocò gran disappunto e rivalsa dei Preti di San Zulian che non riuscirono mai nell’intento di arginarlo, compreso suo fratello Nicolò Piovano sia di San Zulian che di San Maurizio, e Titolato pure di San Tomà, che aveva comunque votato a suo favore … Cinque anni dopo: Prè Francesco FabrizioTitolato del Capitolo di San Zulian, e già Cappellano della Schola di San Rocco, e Maestro del Sestiere di San Marco finì decapitato e poi bruciato con la documentata accusa di sodomia … Storiacce da Preti, direte giustamente, che culminarono in seguito nel dicembre 1621, quando altri Preti del Capitolo di San Zulian vennero prima “a male parole e poi dalle parole passarono ai fatti con zuffa ed effusione di sangue in chiesa, che dovette restare chiusa per tre giorni fino a quando venne ribenedetta e riaperta per mano del Patriarca in persona.”
Nel 1639 il Piovan di San Zulian, dove per Tradizione ogni mercoledì sera non s’era mai smesso di cantare“le Allegrezze e le Litanie della Beata Vergine Madonna con gran concorso di molti delle Contrada”, acquistò dalla Zecca della Serenissima un posto sicuro di lavoro “di Fanteria dell’Arzento”che sarebbe dovuto andare a beneficio di suo nipote Carlo Longodi soli 6 anni. Il ragazzino avrebbe potuto così usufruire per tutta la vita di quell’ambito posto di lavoro, goderne i benefici o affittarli ad altri, con l’obbligo però che quel compito in Zecca fosse esercitato come previsto ... e secondo la Legge.
Arrivò poi in Contrada di San Zulian il famoso quanto vanaglorioso Medico Ravennate Tommaso Rangone: Cavaliere, Filologo, Benefattore munifico: “che diceva, d’aver trovato il modo di protrarre l'umana vita oltre i 120 anni”… Riempì le facciate delle chiese e dei Conventi di Venezia con i suoi busti in marmo e bronzo fusi o scolpiti dal Vittoria che amava rappresentarlo fra sfere celesti, libri di Scienza e Dottrina e iscrizioni in Ebraico e Greco.
“Dopo aver arricchito con la sua sapienza e presenza, e resi illustri i Ginnasi di Roma, Bologna e Padova dove al Ponte Molin fondò il Collegio Ravenna per trentadue scolari.”, giunto a Venezia, Rangone rifabbricò la chiesa di San Zuliansu modello del Sansovino elargendo per lo scopo 900 ducati su una spesa complessiva di 1.600 ducati (i rimanenti 700 ducati furono messi a disposizione dal Capitolo di San Zulian), pagò anche l’organo nuovo per l’interno, e ancora a sue spese fece costruire la porta del Convento del Santo Sepolcrosulla Riva degli Schiavoni dove fece apporre ovviamente un’altra sua statua con epigrafe trasportata nel 1800 nel Lapidario del Seminario della Madonna della Salute…. Beneficò pura San Geminianoin Piazza San Marco, sua Parrocchia e Contrada, dove non mancò di collocare un ulteriore suo busto in bronzo finito oggi all’Ateneo Veneto.
Davvero bizzarro Tommaso Rangone… Nel suo testamento, redatto il 10 agosto 1577 presso il Notaio Baldassare Fiume, ordinò per se stesso un pomposissimo Funerale che sarebbe dovuto transitare da Piazza San Marco a San Zulian(dove sarebbe stato sepolto) percorrendo un lungo giro per la Città. Mentre passava la sua salma si sarebbe dovute suonare a stormo tutte le campane delle chiese di Venezia, e tutto il Clero sarebbe dovuto uscire sulla porta delle chiese con la Croce e l'Acqua Benedetta per aspergere il suo corpo defunto. Diede disposizioni inoltre di far comporre tre Laudazioni Funebri, di portar in processione al suo seguito i modellini della chiesa di San Zulian, le preziose suppellettili di casa sua, e i libri da lui composti, precisando perfino a che pagina dovevano rimanere aperti ... Prescrisse quali anelli si sarebbe dovuto mettergli alle dita, e come doveva essere vestito il suo Bibliotecarioche doveva aprire il suo corteo funebre.
Rangone morì … finalmente … a 94 anni, e, come aveva ordinato venne sepolto a San Zulian nel Coro della chiesa … Rimuovendo la lapide della sua tomba nel 1823, si trovò una cassa di marmo di Carrara particolarissima “a forma di corpo”, perché Rangone aveva previsto perfino un particolare incastro personalizzato su misura per collocare la sua testa, le spalle, le sue cosce e suoi fianchi da Morto ... Finì pure quel suo “strambissimo contenitore” nel Lapidario della Salute, mentre le tanto preziose sue ossa finirono nell’Isola-Ossario di Sant’Arian dietro Torcello frammiste a tante altre, Dogi e Nobilissimi compresi, di cui si perse ogni nome e memoria.
Nel maggio 1606 il Senato Terra fra le altre spese per il Nuovo Bucintoro autorizzò il pagamento di 128 ducati e 6 grossi a Mastro Zacomo “All’Insegna della Colombina”in Marsaria: “per oro, seda per cordoni e da recamàr, tende n 100, e 8 per batti coppa et felce.”
Era uno speciale Mondo a parte quello dei Marsèri Veneziani di Santa Maria a San Zulian: “Queste son le robe spectanti alla Merzaria e ai Marsèri de San Zulian”, che controllavano, misuravano e bollavano le merci nel Fontego della Ruga: “Tutti li drapi da sèda oro et arzènto; tuto l’oro et arzènto fillàdo; tutti quelli curano sèda et vendono sèda lavorata, zoè: tènta, tèlle, fostàgni, fòdre da lècto, et zupòni fati, sarzà, zambellòti, samiti, cordelàme da sèda, de rèvo e de fillo; cordoni et frixi, vellame de sèda, et ogno lauoièr de sèda, de arzènto et de oro et vellame de fillo de bombàso; scùfie et scufiòti; camise fate, lauorieri de tella de reuo, bombàso fillà et da fillar; stringhe, guanti, borse, carnieri, sacheti, tasche; broche, centi et maschere, filame; stafe, morsi e spironi et altre cose che pertiene a sellari et borchie de cavallo; ballanze et marchi; canevo, lin, soge, spagi, cengie, posne, baste, centine et centi; cortelli, rasori et forfese e subie da calleghero; canelle da agi da cusir, da pomolo, agi (aghi); magiette, bezete, tremolanti et copolete; spade, pugnali fatti, guaine et fodri da spada; cadene da cani et da chiave, martelli e tenagie; scorliri de laton e tuti lauoieri de laton fatti; pèteni, burati, spechi, fusi e fusaroli et dedali, calamari et penaruoli; Patre nostri e corone, fillo di rame, de laton, ferro, celloni, perponte, banchali, spaliere; calze, barète, cappelli; manegi da coltelli, zovi et zovedelli, zoiari fati, zocholi imbrocadi; savòn et savoneti; pèvero, carnieri, sacchi de tella; pontelli de laton e de fero da spade e pugnali, anelli e vergete de laton, strige et manegi da subie et Partesane inastade et ogni arme inastada, bende stagnade et de laton, et curame, valise, balse et basco de ogni sorta ...”
L'Arte dei Marzeri (Merciai)o Revendinisotto l’altissimo Patrocinio di Santa Maria Assunta, era una fra le più facoltose e privilegiate di Venezia, onorata e considerata grandemente anche al Mercato di Chioggia e alla Fiera di Treviso. Ottenne a livello perpetuo per le loro “adunanze”dal Piovano e dal Capitolo di San Zulian: la “domuncola”(casupola) che era stata del Barbiere Andrea, sita nella Calle a fianco de la Cjèsa in Corte Ancillotto, e un altare all’interno della stessa per le sue private Devozioni dietro la corresponsione annua di 6 ducati d'oro “puntualmente contati in mano”.
I Marzeri amavano distinguersi fra Marzeri “da bianco”; “da drappi e guarnizioni d'oro e d'argento”;“de Arte Grossa” (pelli, tele ponentine e sete varie); “de Arte Fina” (veli e nastri);“da merci de Fiandra”; “da sède e romanette” (zambellotti e bottoni); “da gucchiere”; “da calze e maglierie”;“da ferrarezza” (ferramenta e piombo);“da chincaglie”… C’erano poi iMarcerèti, cioè: i Merceri venditori ambulanti. Fra gli iscritti aderenti però si annoveravano anche: gli Occhialeri; i Liutieri; gli Orologeri (venditori di piccoli orologi personali); i Latoneri (venditori di oggetti in ottone e latta); i Muschieri (Profumieri a Aromatari); gli Stringheri (venditori di legacci, laccioli, corregge); i Telaroli (pezze di tela); i Talgia verzini (legno per tingere in rosso); e i Pirieri (venditori d’imbuti).
Nel 1452 non vollero essere da meno delle altre Arti Veneziane nell'onorare la venuta a Venezia dell'Imperatore Federico III: “I Marzeri fecero un burchio grande, con un solèr da pope a prova tutto fornido de rasi, et in mezzo una torre granda e tonda, sulla quale tre file di putti una sopra l'altra, tutti vestidi de bianco come anzoleti, e con cembali in mano; erano più di 60, et in la cima erano tre come la Trinità, e si volgevano attorno a se stessi, tirado da ottanta remi; altro con gran ruota che girava con otto putti, degli angeli che sempre stavano in piedi dreto, e a pope l'effigie de tutti gli Imperatori Romani armati all'antica, poi tante Ninfe danzanti a suon di pifferi e trombe; era pur tirato da 80 remi ... Andò la comitiva da San Clemente alla casa del Duca di Ferrara apparecchiada de rasi et altre sede”.
Altra faccia della medaglia: nel 1593 si mise per iscritto “a eterna memoria” nella Mariegola degli stessi Marzeri la lamentela che troppi di loro passavano per la Schola a prendere candele per accompagnare qualche Morto al Funerale, ma poi evitavano di partecipare al Corteo Funebre tenendosi la candela: “Peociòsi ! … Avidi ! … Morti de fame !”… Il Capitolo dei Marsèridispone che concluso il Rito Funebre tutti avrebbero dovuto riconsegnare le candele, con sonora multa per gli inadempienti contravventori.
L’Arte dei Marsèri manteneva a sue spese 292 Rematori Galeotti della Flotta Veneziana… Nel1545 contava 500 Marzèri fra i quali c’eraAntonio de Venturin che vantava un capitale di ben 25.000 ducati, ma fra gli iscrittisi annoveravano anche 7 Marzèri nullatenenti, e un Marzer mendicante ridotto in miseria ... Gli Ebrei non potevano associarsi e far parte dell’Arte dei Marsèri, ma potevano però praticarel’Arte “in silenzio” nel loro Ghetto nel Sestier di Cannaregio.
Interessantissime alcune Scritture di Compagnia redatte circa alcune botteghe “del Nuovo Commercio” presentiin Contrada di San Zulian, quando (1712) in Contrada si contavano 219 botteghe, un inviamento da Forno, e 8 dei 118 Casini Veneziani.
Nicolò Caragiani e Francesco Roncalli di Francesco con Giovanni Maria Pasquinelli firmarono presso i Procuratori Sopra ai Banchi una Scrittura di Compagnia della durata di 5 anni su un negozio di seta, oro e merli d’oro e d’argento il cui capitale a disposizione assommava a 16.000 ducati. Riguardava il negozio “All’Insegna del Gran Kan di Moscovia” situato in Merceria della Contrada di San Zulian al Ponte dei Feràli: proprietà del Capitolo dei Preti di San Zulian.
Altra Scrittura della durata di 5 anni venne redatta fra Nicolò Passalacqua e Giacinto Bristotti di Domenico, inerente il negozio di seta ed oro con capitale di 16.364 ducati della bottega “All’Insegna dei Quattro San Marchi” sita in Merceria di proprietà degli stessi Passalacqua.
Caterina Pertugi vedova quondam Gerolamo Tangro e Gaudenzio Tangro fratello di Gerolamo firmarono un’altra Scrittura di Compagnia della durata di 5 anni sul negozio di panni di seta ed oro con capitale di 29.775 ducati riguardante la bottega “All’insegna della Vergine Beata”… Domenico Pellicciolli ed Angelo Locatelli ne firmarono un’altra su un negozio di drappi di seta e drappi con oro con capitale di 12.000 ducati riguardante la bottega “All’Insegna dell’Amor della Patria” sita in Merceria di proprietà del Monastero di San GiorgioMaggiore ... A seguire: Antonio Bortoli figlio emancipato di Cristoforo e GB Recurti quondam Ludovico firmò per un negozio di Libri a stampa “All’Insegna della Religione” con capitale di 3.000 ducati sito in Merceria … Antonio Testa di Gasparo ed Antonio Rubinato del fu Domenico firmarono per 10 anni per un negozio di sete, romanette e telerie “All’Insegna della Volpe” con capitale di 8.300 ducati situato sotto l’Orologio in San Marco … GB Vicelli di Bartolomeo e Giovanni Pietro Amadis quondam (defunto) Alvise firmarono per gestire la bottega “All’Insegna della Generosità Coronata” in Merceria acquistata dai fratelli Goldini, che vendevano merci di Fiandra e drappi di seta con capitale di 23.084 ducati … Francesco Roncalli quondam Francesco e Danne De Grandi quondam Pietrosottoscrissero un contratto della durata di 5 anni su un negozio di drappi di seta con oro fondato su un capitale di 7.812 ducati investiti sulla bottega“All’Insegna della Stola d’Oro” in Contrada di San Zulian … Iseppo Pasquetti quondam Carlo e Giovanni Domenico Ricco di Massimo firmarono la loro Scrittura di Compagnia della durata di 5 anni sul negozio “All’Insegna ai Tre Cedri”che smerciava sete, passamanerie ed altro con capitale di 8.3480 ducati.
Infine: Domenico Ruberti e Francesco Locatelli con un capitale di 1.000 ducati stesero una Scrittura di Compagnia della durata di 5 anni per il negozio da Marzer di drappi di seta “All’Insegna dell’Ispirazione” sito in Contrada di San Marcilian presso il Ghetto, mentre Isabetta Madasco vedova di Valentin Barcella e Giovanni Maria Gaspari di AntonioI firmarono per il negozio di merci di seta “All’Insegna dell’Amicizia” situato in Fondamenta San Leonardo ai Due Ponti di Cannaregio una Scrittura di Compagnia della durata di 4 anni con un capitale di 11.500 ducati.
“Mezza figura al naturale rappresentante la Beata Vergine in atto devoto in quadro ovale, dipinta dal famoso Giobatta Piazzetta, desiderava venderla Francesco Pigozzo Caffettiere in Merceria a San Zulian “All’Insegna delli Due Arricordi”... “La vera effigie di Marco Antonio Bragadin Patrizio Veneto, invece, che per la Fede e Patria fu scorticato da Turchi in Famagosta, sta rilevata in un Cameo di notabile lavoro, e viene esibito in vendita legato in anello dal gioielliere Girolamo quondam Pietro Scataja in Merceria tra San Marco e San Zulian “All’Insegna dello Sperone d’oro” ... Fu comprato dalla NobilDonna Chiara Bragadin …Nel negozio del Signor Giuseppe Vagner, Stampator e Librajo in Venezia nella Merceria a San Giuliano, vengono dispensate, al prezzo di lire due l’una, cento e vinti carte geografiche perfettamente impresse e delineate, ed eseguite con tutta la esattezza ... Frattanto comparvero le quattro prime, cioè la Carta Generale dell’Europa, quella della Polonia, l’altra del Mar Nero, e della Tartaria, e la quarta dell’Arcipelago, o sia Turchia Europea, come quelle che formano il teatro della guerra presente. Per compimento di tale opera, darà anche alla luce il Trattato Francese di Geografia del celebre Signor Roberto Vogondy.”
Nota diversa nel febbraio 1773, ancora riportata dai Notatori: “Fallisioni inaspettate, e sorprendenti, di Giovanni Battista Pretegiani, famoso Varottaro nella prima Merceria appresso l’Orologio; e di Pellanda riputato Naranciàro sopra il Ponte di Rialto vicino a San Bartolomeo; e del Signor Grossato, Spiciale da Droghe e Confetture nella Pescaria di San Marco.”
Sempre e ancora in Contrada di San Zulian dove abitò a lungo emorì un certo Fra Tommaso Babini Domenicano che sovraintendendo agli affari della non indifferente fabbrica del Tempio Nuovo di San Pietro Martire di Chioggia, si procacciava fruttuose elemosine che raccoglieva in tutta Venezia, venne atterrato il campanilotto ormai cadente della chiesa che al suo interno aveva un soffitto altrettanto rovinoso … Girolamo Pilotto famoso Orefice da Grosso,che teneva bottega in Campo de la Guerra, per sua Devotione nelle giornate di sabato girava per l’Officine da Caffè et Hosteriecontigue a San Marco onde raccogliere qualche elemosina per restaurare due altari di San Zulian ... Si continuava intanto, a far le Battagliole a canne e bastoni prima, e poi a pugni (proibite già nel 1509) sulPonte de la Guerradi San Zulian, come si faceva sui Ponti Veneziani di San Barnaba, ai Crocecchièri, a San Marcuola, ai Carmini, ai Gesuati, e a Santa Fosca presso San Marziàl.
In Calle e Sottoportico Fiubera a San Zulian c’eranoalcune “botteghe dafiùbe (fibbie)”, che secondo una parte presa dal Maggior Consiglio nel 1476 per moderare i costumi, “le pompe”, dei Veneziani, dovevano come “le cào (cintura)da donna” non valere più di quindici ducati ciascuna ... I Veneziani presi dallo sfarzo portavano ricche fibbie quadrate, rotonde e ovali impiantate sulle scarpe ... I vecchi Nobili pomposi le preferivano d'oro, i giovani d'argento, ma dovevano essere molto grandi, tanto che da entrambe le parti toccavano il suolo per terra.
In Corte dei Pignoli, invece, per via che lì si vendevano probabilmente pignoli o pinocchi, sorgeva un piccolo Ospizio di quattro stanze lasciate da Bonafemmina Diletti in usufrutto gratuito “per altrettante povere vedove di buona condition et fama de la Contrada” ... Ancora in Campiello, Sottoportico e Ponte dei Pignoli a San Zulian, era vissuto e abitava inCalle dei Pignoli: Agostin de Vincenti dai Pignoli quondam Tommaso, che fece testamento nel 1599 davanti al Notaio GianAndrea Trevisan ... Munifico, il Dai Pignoli oltre a lasciare diverse sostanze alla moglie Serena fiola del quondam Prandin dei Prandini, disse e scrisse che “morta lei, tutto il suo patrimonio doveva andare venduto, e destinato a celebrare quattro Esequiali annuali nella chiesa di San Zulian in sua memoria, e di dare cinque ducati annui per maridàr o monacàr povere donzelle della Contrada elette dal Capitolo della Schola del Sacramento co l'intervento de' suoi Commissarii.”
Sempre e ancora in Fondamenta dei Pignoli dentro a una Corte scònta c’era una magnifica “vera da pòzzo” realizzata dai Bon, fatta costruire dai Cittadineschi Menòr dalla Gatta insieme a dei marmorei sedili che un tempo circondavano tutta la Corte. Lì c’era un negozio-bottega-osteria “da Malvasia” gestito da Bortolo Filosi, che pagava cinquantasei ducati annui e due secchi di Moscato “a titolo di regalia” dandoli a metà fra Sebastiano dalla Gattae sua sorella Lucietta.
In Sottoportico e Corte delle Cariòle a San Zulian, presso la Calle dei Specchieriun tempo detta Calle delle Acque ... Messer Lorenzo dalle Cariolele costruiva nel 1564 in una casa-bottega di cui pagava pigione alla Piovania di San Zulian, che possedeva diversi stabili in Calle.
Un Marco Ancillottoaveva nel 1713 in Sottoportico e Corte Ancillotto a San Zuliàn la Bottega da Caffè, o come si diceva allora: la “bottega da acque della Spadaria”… Gli Ancillotto che abitavano là nella stessa Corte avevano fatto decisamente fortuna, perché come notificarono ai Dieci Savi sopra alle Decime, possedevano diverse case in Contrada di San Basilio nel Sestiere di Dorsoduro, altre ne avevano in isola a Murano, e avevano beni nel Trevisano e Padovano.
Nel Caffè Ancillottopraticava con i suoi amici (i fratelli Gasparo e Carlo Gozzi) il critico letterario torinese Giuseppe Baretti. A Venezia il Baretti, sotto lo pseudonimo di Aristarco Scannabue, pubblicò la "Frusta Letteraria", un periodico col quale si proponeva di fustigare “...tutti questi moderni e goffi sciagurati, che vanno tuttodì scarabocchiando”, operazione che a Venezia gli procurò molti nemici, tanto da costringerlo ad emigrare ad Ancona prima, e poi a Londra dove andò a morire.
Tre Capi del Consiglio dei Dieci, avuto sentore in quei giorni di quella notizia, mandarono in sopraluogo Cristoforo dei Cristofoli famoso “Fante dei Cai”, una sorta di messo-segretario con poteri paragonabili quasi a quelli di un Inquisitore. Costui con molta semplicità comunicò al gestore che la prima persona che fosse entrata nel nuovo locale di lettura si sarebbe dovuto presentare immediatamente dinnanzi al Tribunale del Consiglio dei Dieci ... Detto fatto … La Bottega da Caffè non venne più aperta, e non si presentò più nessuno a leggere i giornali.
All’angolo con la Calle Larga c'era e c’è ancora lo stemma degli Spaderi con tre spade sotto a un Leone Marciano … La Spadaria a Venezia praticamente c’era stata da sempre (almeno dal 1200) con diverse botteghe di Spadèri e Cortelèri che producevano e vendevano su ordinazione: spade, pugnali, coltelli, lame, forbici, aghi, e foderi di ogni genere e misura.
Una vecchia Cronaca Veneziana ricordava gli Spadaj Veneziani vestiti di Rosso e Verde nel luglio 1574, intenti ad accompagnare remando dal Palazzo Cappello di Murano fino a San Nicolò del Lido di Venezia: Enrico III nel suo viaggio OltrAlpe per essere incoronato Re di Francia e Polonia. Il Collegio il 6 luglio di quell’anno aveva ordinato alle Arti Veneziane di allestire ciascuna una barca “convenientemente adorna con la quale partecipare al fastoso corteo navale per il celebrato Re”. Gli Spaderi comparvero allora con: “Una lussuosissima barca tutta addobbata a cuoi d'oro, con armi antiche e trofei, un'antica insegna di battaglia, e trentotto gajarde bandierine turchesche.”, mentre la Fusta o Bergantino dei Marzeri: “risultò fra le più fastose barche, tanto da essere collocata a poppa del Bucintoro Dogale, accanto a quella degli Orefici che aveva un Fanò illuminato da arzenterie.” … I Marzèri spesero nell’occasione: lire 323 e soldi 6 di grossi per le fatture di stoffe per la vestizione dei rematori, per i Musici e mance, per donativi e “spese da bocca” ... Il prevalente motivo di tutta la decorazione dell’intera festa fu il Giglio dei Valois.
Erano “Uomini con le palle”gli Spaderi Veneziani… In Spadaria esisteva una pietra con quattro palle da gioco immessa sul selciato. Nel 1700 era sorta l‘abitudine fra i Veneziani di mandare qualcuno nelle botteghe della Spadaria per farsi dare le quattro palle pattuite: “Prendile pure … Sono là fuori” diceva il Bottegaio, “e portatele via se ci riesci.”, ed era tutto un ridere davanti all’ennesimo caduto nel giochetto popolare … Solo i bacchettoni e austeri Austriaci pensarono bene di andare a rimuovere la pietra ... Fine del felice giochino secolare.
Forzati ad unirsi come sottocategoria (Colonnello)dei potenti e ricchiMarzèridi San Nicolò di Bariospitati in San Zulian, c’erano con gli Spadèri anche i Vaginèri o Vaginài della Schola di San Giminiano e Sant’Elena. Costoro erano fabbricanti e venditori di custodie, foderi e astucci, non pensate maliziosamente ad altro, in quanto s’ispiravano nell’espressione generica alla famosa “custodia” naturale femminile. Seguendo la moda del tempo, i Vaginèri realizzavano evendevano oggetti lavorandoli in cuoio dipinto e ornato, oppure col legno legandoli insieme con metalli anche preziosi, niello, miniature, mosaici, osso o avorio, o in forme di lusso buone per ogni voluttà e tasca: “Vendevano anche: ventagli, pettini, specchi, libri, fialette odorose, penne e calamai, bicchieri, confetterie e sale che confezionavano alla Francese, alla Fiamminga, alla Spagnola o all’Olandese con ornamenti che richiamavano svolazzi, fogliami, volute, ma anche riprese di soggetti allegorici e mitologici secondo le tendenze artistiche del momento provenienti da tutta Europa, dal Mediterraneo, dall’Africa, e da non lontanissimo Oriente.”
1771: “Venezia Serenissima era divenuta un po’ fatta e decadente”: andava ormai giù in picchiata in verità … Sulla Mariegola dei Vagineril'unico componente della Schola rimasto che godeva di una qualche forma di retribuzione era il Nonzolo della chiesa e Schola, “al quale venivano corrisposte 10 lire annue per portar gli avvisi, impissàr i mòccoli, e sonar la campanella.”
In parrocchia di San Giuliano terminò i suoi giorni il 14 giugno 1789, in età d'anni 84, l'architetto Tommaso Temanza. Racconta il Benigna che, durante il funerale: “nacque rissa fra il Nunzio della Schola del Santissimo di San Zuliane quello della Schola del Santissimo di San Giobbecon istrappo del manto dalla cassa mortuaria e gran scandolo di tutti.” ... Secondo voi: quale sarà stati il motivo ?
Nel maggio 1797, quanto la Serenissima Repubblica “stava tirando ormai gli spàghied esalando l’ultimo sfortunato respiro”, qualche facinoroso dalla mente agitata e surriscaldata andò in Calle del Nuovo Commercio in Contrada di San Zulian, ad assaltare furioso la casa e il negozio con l'annesso spaccio di liquori del Droghiere Tommaso Piero Zorziquondam Antonioconsiderato “partitante Francese”:“Per ore venne asportata ogni mercanzia, gli arredi e gli indumenti della bottega, e strappate persino le inferriate delle finestre, le porte e le finestre stesse lasciando solo i muri nudi e lo stanzone spoglio.”
Al Ponte dei Baretteri, invece, altri scalmanati gettarono in acqua e in strada tutti i libri del Libraio Foglierini che aveva ceduto metà della sua bottega all’Incisore Sardi. Secondo costoro era colpevole d’aver affisso un manifesto inneggiante alla Democrazia ... Stesso trattamento subirono i Librai Salvioli e Curti abitanti in casa sua: “Con le pagine dei vecchi manoscritti e Libri da Messa, da Coro e da Musica dei secoli passati, strappati finalmente via a viva forza dalle mani avare e avide degli ormai cenciosi Frati e Preti, sempre comunque pronti a vendere l’Anima di tutti per quattro soldi rinunciando ad ogni Verità e Libertà, si pensò bene d’incartare ortaggi, frutta, carne e pesce, e perché no anche la farina o qualsiasi altra spesa del Mercato e della Pescheria.”… Il SalumaiofiloFrancese al Ponte dei Barcaroli venne trascinato in Piazza San Marco e ridotto in fin di vita, costretto a rivelare nomi di presunti complici e cospiratori, che vennero immediatamente catturati e tradotti nella fusta trasformata in prigione ormeggiata davanti al desueto Molo di San Marco.
Che squallore e tristezza nelle antiche Contrade Veneziane di un tempo …. Ma quanta Vita !