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Il Confinio di San Lio al laudo

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Il Confinio di San Lio al laudo

San Lio… uno sguardo intenso nel cuore di Venezia … Non è facile riassumere una Contrada Veneziana.

 

Vi butto addosso una notizia del 1773 tratta dai Notatori di Pietro Gradenigo: “Allo spuntare di questo giorno, che è l’iniziale del nuovo anno 1773 m.v., fummo svegliati dall’impeto gagliardissimo di vento Scirocco-Levante, il quale fece cadere incessantemente copiosa e densa la neve, che ingombrò di molto li tetti delle case, e le strade della città con molto incommodo, e pericolo degli ambulanti. Questa giornata danneggiò assaissimo gli artisti, e li poveri, soliti girare qua e là, onde, per via di augurj fortunati e felici, lucrare consuete mancie da persone benestanti, e conosciute; ma la rigidezza intolerabile condannò molti a domestico ritiro. Si udirono anche disgrazie nella laguna appresso l’isola di San Secondo, dove si annegarono 5 giovani procedenti da Mestre e figli di alcuni bottegaj delle Contrade di San Lio e Santa Maria Formosa. Scarso fu anche il concorso del popolo alla Basilica di San Marco, nella quale oggi, e nelli due seguenti giorni, viene esposto, secondo la consuetudine, il Santissimo Sacramento alla publica venerazione, alla quale intervenne Sua Serenità con il Senato e fu presente alla predica.”

 

Un quadretto perfetto di una Venezia di ieri curiosissima, che non c’è più ovviamente.

Ancora nello stesso anno: “Per via di staffeta procedente da Brescia, si intese che Mario Colino, Barigello (capo degli sbirri) del Rappresentante di Salò Ser Gabriel Trevisan quondam Camillo, fu colpito nelle camare di esso Proveditore con archibugiate, ma non sino ad ora mortali, da tre fratelli Calcinardi, nipoti del fu Signor Giovanni Battista, anni fa ammazzato alla Gazara, e ricco cartaro sul cantone della Calle della Biscia appresso San Bartolomeo in Venezia.”

E ancora una nota dello stesso periodo circa la stessa Contrada:“il 18 Marzo 1685: il Serenissimo Maggior Consiglio., ascrisse alla Veneta Nobiltà, previo l’esborso decretato di 100mille ducati, li Signori Giacomo, Canonico, e Giuseppe fratello, e Angelo, Giacomo, Giovanni Domenico e Giovanni Donato, di esso figlioli. Erano ricchissimi mercadanti nella Dominante, e di essa famiglia tuttavia esiste Ser Faustino Padre, e Ser Piero figlio abitanti al Gaffaro. Il sudetto Giuseppe lasciò sei grazie da 25 ducati, l’una per maritare o monacare figliole della Contrada di San Lio, e queste vengono appunto estratte nella festa annualmente di San Giuseppe che segue dimani, e che era il Santo del di lui nome. La sudetta prosapia è cognominata Persico.”

Eccovi quindi tre lampi buttati là, che vogliono quasi riassumere quel che è stata la Contrade … Una fra le più vivaci e caratteristiche di Venezia in verità.

A tanti forse il nome di San Lio dirà poco o niente, ma per chi è Veneziano o appassionato di questa singolare quanto magica Città oggi convulsa e lasciata in balia di turismo e studenti, e orfana ormai dei Veneziani, quel nome significa, anzi: significava moltissimo.

 

Già nel superlontanissimo 1340 nel libro Spiritus s’iniziò a parlare della Contrada accennando al vicus qui in anguis specie retortus: “il vicolo ritorto a guisa di biscia”: la Calle de la Bissainsomma.



In quella calle nel 1300 erano andati ad abitare e lavorare parecchi Lucchesi giunti a Venezia portando con se certi particolari perfezionamenti dell’Arte della Seta: et a li Lucchesi fo consegnata la Calle de la Bissa et li fecero le sue botteghe.

Per questo per qualche tempo “la Bissa” venne chiamata “Calle de li Toschani“… Tornò ad essere rinominata Calle de la Bissa a fine settembre 1482, poco prima che si scoprisse il “Mondo Nuovo oltre l’Atlantico”, quando una sera accadde un fattaccio:“Sier Bernardino Correr della Contrada di San Pietro di Castello volle forzar Sier Hieronimo Foscari per sodomito et li tajò le stringhe de le calze (brache) in Calle de la Bissa a San Bortolomio, de sera“. Udite le disperate grida del Foscari accorse gente, e l’intraprendente Patrizio Correr venne arrestato finendo impiccato pochi giorni dopo“fra le due colonne della Piazzetta”. Il suo corpo nella stessa mattina venne bruciato, e le ceneri sparse per la Laguna davanti a San Giorgio Maggiore.

 

Venezia rimase come pietrificata ... ma i tempi e i modi allora giravano così.

 

All’inizio del secolo seguente (26 marzo 1506), il solito Diarista Sanudo andò a scrivere nelle sue memorie: in la matina achadete che apresso il Fontego dei Tedeschi in la Calle chiamata de la Bissa, a hora meza di terza, cazete (cadde) certa casa vechia, et amazò numero cinque persone che passava, et altre magagne ... cosa notanda.

 

Il 18 ottobre 1728: ancora cronaca.  Un grande incendio si sviluppò in Calle de la Bissa: prese fuoco tutto, e andarono bruciate diverse case. Furono gli Arsenalottiad accorrere per spegnere e domare l’incendio, e ci riuscirono “con febbrile lavoro e grande rischio”.

Potremmo proseguire a raccontare fino a domani … Venezia è sempre senza fine, anche se oggi sembra essere diventata un po’ senz’anima … Anima di Venezia erano un tempo le sue Contrade, che come sapete meglio di me: oggi non esistono più. Sono rimasti solo i toponimi più o meno variati, che sono un po’ come il sentore e il vago sapore del tanto che è accaduto un tempo. Una specie d’intensa eco di una Venezia che fu.

I Veneziani un tempo soprannominarono la Contrada di San Lio del Sestiere di Castello come: “San Lio al Laudo” per evidenziare il prestigio e l’importanza del posto. La chiamavano anche: “Contrada di San Lio Pappa”… Pappa con due “p” alla Veneziana, o forse “alla Buranella”, per richiamare comunque il Papa Sovrano di Roma e della Cristianità.

Fabio Mutinelli nel suo “Lessico Veneto” del 1851 scriveva fra l’altro: “Calle della Bìssa: viuzza della Città … appellala per le molle sue giravolte della bissa, biscia ... La chiesa di San Leone, volgarmente detta di San Lio, era anticamente di Santa Caterina, venne riedificata dopo il 1054 col titolo di San Leone Papa ... Nel 1520 fu di nuovo fabbricata, e nel 1783 a miglior forma ridotta. Era Parrocchiale, con sedici Sacerdoti e quattro Chierici, ed ora è Succursale dell'altra Parrocchiale di Santa Maria Formosa ...”

E’ difficile dirvi in poche parole che cos’è stata San Lio, San Bortolo e Calle de la Bissa per noi Veneziani di ieri. Andare da quella parte, in quell’ex Contrada: era un gesto, “un giro” che aveva un suo precipuo sapore, una sensazione piacevole e particolare. Dicevamo: “Vàgo a San Bòrtolo a buttàr un òcio a San Lio, ae Merceriè … E dopo pàsso par a Stràda Nòva” ... Quante volte abbiamo trascorso magari un intero pomeriggio andando a camminare da quelle parti ? … Significava entrare dentro a quell’atmosfera vivissima, che non era fatta solo dal conglomerato delle botteghe e dei bàcari-osterie delle Callette storte della bissabòvola colPonte de Sant’Antonio e delle Paste”, c’era molto di più. Intendevamo di sicuro un posto godibile dove potevamo fermarci a bere e mangiare qualcosa, o piuttosto acquistare, o più semplicemente: “far quattro cjacole (chiacchiere) e un fià de listòn (passeggiata) in compagnia andando in zò drio a la Salizàda e Calle de le Vèle co e pière sbùse … verso a Libraria Filippi, da Ratti, e dopo ancora: girando par San Zuliàn, e le Mercerie e San Marco, o voltando par Santa Maria Formosa.”

Era un piacere “andàr torsiàndo a seconda in giro par Venessia.” (andare alla derivadove ti portavano i passi). Era una specie di modo d’essere, più che far riferimento a un posto. San Lio era uno degli habitat ideali di Venezia dov’era piacevolissimo stare, andare e ritornare ... Esagero ? Non credo … San Lio era una specie di soffuso e vago sentimento in cui lasciarsi andare ogni tanto.

Non me ne voglia nessuno …. Oggi Cinesi e dintorni, e la ritornata massa turistica tornata a prendere d’assedio Venezia hanno cambiato tutto. San Lio non è più quella di un tempo, anche se è ancora e sempre là. Ha perso quel suo “sapore a pelle” che percepivamo … Rimangono le Cronache e le Storie, e i muri dei luoghi che quasi trasudano memorie purtroppo a volte quasi liofilizzate e dimenticate.

Nell’ottobre 1987, me lo ricordo benissimo, la chiesa di San Lio era ancora una delle 15 Rettorie Veneziane con annessa Casa Canonicagestite dall’ex Fondo Clero Veneto. In quegli anni era Rettore di San Lio Don Aldo Schiavon, ed erano quelli i tempi in cui dentro a San Lio c’era il quasi famoso “canarino col divano”.

Che ricordo !

Il Rettore di San Lio aveva allestito in chiesa quale “vezzo di modernità” un vero e proprio salottino allestendolo accanto all’Altare Maggiore. Aveva messo due divani perpendicolari, un tavolino con i fiori, delle belle Piante intorno, e a certe ore c’era anche il the con i biscottini. Poi c’erano le riviste e i giornali, un bel quadro collocato su un cavalletto, e una lampada da salotto. Non mancava che una bella gabbietta con dei Canarini cinguettanti … che poco dopo arrivò puntualmente.

Il buon Prete voleva dare l’impressione di una “casa di Dio” più colloquiale e confidenziale … Una specie d’atmosfera similfamiliare in cui sarebbe potuto accadere un incontro o una confidenza con“Qualcuno un po’ più su.”

Ha funzionato ? … Macchè ! … La chiesa è rimasta sempre la stessa: disertata e vuota, riservata solo a poche vecchiette di passaggio “che passavano a impissàr a candeletta par i Morti e par i vivi dopo a spesa”. La maggior parte dei Veneziani se ne rimaneva di fuori in Contrada, sempre più allergici verso quell’aria da psicanalisi un po’ asfittica e solo preteresca. Erano gli anni in cui a Taglio Corelli sul Po ci si vantava d’essere la Parrocchia più deserta d’Italia: con zero parrocchiani presenti in tutto … Record insolito, ma che marcava il fatto che i tempi erano cambiati, e che la Chiesa avrebbe dovuto un po’ cambiare con loro. Cosa che non accadde … ma lasciamo stare: sto andando fuori argomento.

Secoli fa, la Contrada di Sal Lio era un microcosmo vispissimo che dall’alba al tramonto andava ogni giorno animandosi fra affari, pettegolezzi e tanto altro. San Lio era sempre chiacchieratissima per via dei suoi Preti, che più che Clerici e Curatori d’Anime sembravano spesso abili affaristi ... Non pensatemi di parte: è la Storia Veneziana a raccontare.

Già durante il 1500, il Piovano di San Lio che pagava cantori, rombe e tromboni per la Festa del Titolo e la Settimana Santa, pagava spesso anche “per far disnàr con ale volte e al di de la Festa cum amici et Sacerdoti come ricerca la cortesia et humanità”… Non fu un caso se poco dopo venne processato e condannato il Prete Marco Benedetti di San Lio “per irregolarità gravi comprese fra: carnali, patrimoniali e vizi di gioco”Gli stessi Preti di San Lio nel 1657 finirono “col litigar fortemente fra loro per spartirsi le robbe trovate dopo la morte del quondam molto Reverendo Signor Pre Agostin Roccatagliata Piovan di detta chiesa"… Finirono tutti in Tribunale.

Famoso poi un episodio del 1743, quando il Predicatore in San Lio“che faceva tanto fracasso nei primi giorni di Quaresima(a Venezia durante la Quaresima si predicava quotidianamente in 37 chiese cittadine il Quaresimale.), s’era ridotto con le nude panche, senza credito e senza uditori”. Il motivo non stava tanto nella sua scarsa bravura omiletica, ma piuttosto nell’incoerenza fra ciò che predicava e proponeva, e quanto, invece, facevano o non facevano il Capitolo dei Preti di San Lio che gli stavano seduti accanto.  

La situazione era risaputa e considerata scandalosa ... Tutti a Venezia sapevano.

Prima di morire il Piovano Domenico Ravizza nel 1783 aveva “ridotto a miglior forma” la chiesa a sue spese trasformandola nel modo visibile ancora oggi. Fece abbattere il campanile che sorgeva incastrato fra le case, ridusse l’edificio a un’unica navata, fece decorare il soffitto da Giandomenico Tiepolo con “San Leone in gloria con l’Esaltazione della Croce, cinquanta Angeli e le Virtù Cardinali”, e lasciò tutto al suo successore: Prè Antonio Dureghello, che pensò bene di concentrare in un’unica sepoltura del pavimento tutti i contenuti delle Arche e delle numerose Tombe presenti e appese ovunque in chiesa, di cui però s’erano smarriti i nomi dei proprietari … Qualche tempo dopo, lo stesso Piovan Dureghello finì fra gli ostaggi segregati dai Francesi nella Prigione Forte di San Giorgio Maggiore, perché accusato con altri di congiura contro il nuovo regime d’importazione ultrAlpina. Le Cronache dell’epoca lo ritraggono frusto, scamiciato e malandato insieme a diversi ex Nobili Venezianiprivati di tutto e ridotti in carcere.

A inizio 1800, quando arrivarono i Francesi, i Giuspatroni di San Lio erano ancora per Diritto i proprietari degli stabili della Contrada. Erano loro a scegliere ed eleggere il nuovo Piovano della Parrocchia-Contrada, non il Patriarca o altre Autorità. Don Giobatta Garlandi fu l’ultimo dei Piovani Eletti di San Lio, e fu lui a consegnare mestamente al Piovano di Santa Maria Formosa il 24 ottobre 1810, i Libri Canonicidell’ormai soppressa e saccheggiata San Lio ridotta a Succursale dai Francesi ... Alla vicina ex chiesa della Contrada di Santa Marina le cose erano andate peggio, perché in quello stesso anno era stata demolita dopo essere stata trasformata in osteria.

Fece tenerezza a tutti l’immagine del Piovanodi San Lio che consegnava quella specie di “caretàda e imbarcàda de carte, che erano iRegistri dello Stato d’Anime e dell’Archivio di San Lio”. S’era iniziato fin dal marzo 1566 a comporlo, chiosando, documentando e ricordando tutto quanto accadeva nella Contrada, e se n’era interrotta la stesura solo durante la peste del 1639-56:“quando perfino i Preti tirarono le cuoia, e tutto venne condensato in un unico singolarissimo quanto curioso Registro degli Ammalati e Sospetti”.

L’anno seguente Patriarca e neonata Municipalitàdi Venezia discussero a lungo su come ridistribuire e spartirsi gli ultimi soldi dei Preti Veneziani finiti in miseria (non tutti), cercando qualche maniera per mantenerli: “… nel caso concreto ho assentito che delle tre congrue vacanti di San Lio, Santa Sofia e San Giovanni Elemosinarlo, quella di San Lio sia passata a San Pietro di Castello coll’onere di un assegno di lire 400 al Vicario di San Francesco di Paola e di lire 200 a un Coadiutore; quella di Santa Sofia vada a San Raffaelo Arcangelo, e quella di San Giovanni Elemosinarlo vada a San Marzial coll’onere dell’assegno annuo di lire 250 al Vicario di Sant’Alvise…” mugugnò e scrisse lo scontento e rassegnato Patriarca.

All’atto della soppressione, San Lio contava ancora circa un migliaio di Anime Venezianissime: “ … il 36% erano Nobili non abili al lavoro, mentre tutti gli altri si davano parecchio da fare per sopravvivere.”

Come vi accennavo, l’amministrazione dei Preti di San Lio non era del tutto trasparente e consona col loro ruolo … Anzi: era ingarbugliata, al confine col losco: “Ne venne fuori una gestione economica taciuta, fin troppo danarosa piuttosto che spirituale … soprattutto una plateale discrepanza fra dichiarato e amministrato.”

I Veneziani della Contrada erano perfettamente al corrente di che cos’era emerso circa i Preti di San Liodurante l’ultima Visita Pastorale del PatriarcaLudovico Flangini. Il Prelato non era passato a trovarli e salutarli per caso. Tutti sapevano, che pur rispettando sentimenti, devozioni e intenzioni dei Fedeli della Contrada, i Preti facevano girare parecchio denaro in chiesa, comportandosi da furbetti, e gestendo un vero e proprio tesoretto.

L’Eminente Patriarca di Venezia s’incazzò di brutto con loro, e li richiamò aspramente con una memorabile lavata di capo. Avevano davvero oltrepassato ogni limite con i loro sotterfugi e illeciti … Erano Preti in fondo. Li rimproverò innanzitutto per non aver officiato adeguatamente San Lio nei giorni festivi andandosene in giro per Venezia a raccattar soldi … Di conseguenza vietò loro di celebrare Messe ad ore strampalate o preste “a discapito di vecchi e infermicci”… Fece poi sindacare dettagliatamente tutta l’Amministrazione e i Libri Contabili della Chiesa-Fabbrica, i Libri della Cura d’Anime, dei Battesimi, dei Matrimoni con le relative Contraddizioni, delleCresime e dei Morti della Parrocchia.  Tutto gli sembrò estremamente trascurato, per cui ordinò che ogni tre anni si dovesse eleggere un Procuratore del Capitolo che doveva rendere conto di tutte quelle cose al Patriarca in persona. Avrebbe dovuto controllare gli Inventari delle robbe e suppellettili della chiesa:“delle cose di seta, lino e lana per l’uso degli Altari, le Croci, i Calici, i Candelieri, le Lampade, gli Argenti e ogni cosa di metallo e di valore presente in chiesa, nonché ciascuna Santa Reliquia con gli Attestati d’Autenticità delle medesime, con le carte delle Indulgenze Perpetue allegate, i Messali e i Libri del Coro.”

Ordinò inoltre di mettere uno Scrigno a tre chiavi in Sacrestia, conservato da Tre Preti, dove si dovevano depositare tutti i denari delle Messe Perpetue, Avventizie ed Esequiali ed altre che dovevano essere accuratamente scritte e segnate in apposito Libro elencando “entrate e uscite, e il corrispondente denaro”… A tal proposito, il Patriarca pretese d’aver sotto agli occhi la lista completa: “nome e cognome, età e Patria di tutti i Preti e Religiosi che officiano, risiedono e servono nella Contrada di San Lio.”

In altre parole: erano spariti fin troppi soldi ... La fiumana dei denari delle Messe: non si capiva bene che direzione avesse preso.

Il Patriarca volle ancora e subito sul suo tavolo la lista delle Schole, Confraternite di Devozione, e Oratori Pubblici e Privati esistenti, ospitati e attivi in Contrada di San Lio compresi tutti i loro antichi privilegi … Volle ed esigette: nomi e cognomi di uomini e donne iscritti, di chi e come e quanto avesse pagato, e di chi avesse fatto parte a qualsiasi titolo diverso alle attività di San Lio ... Pretese tutte le indicazioni e note dei Testamenti, dei Lasciti fatti alle Schole e ai Preti, “e di tutto il resto che fosse traducibile in denaro”.

Infine impartendo la sua Pastoral Benedizione e augurandosi che tutto procedesse per il meglio: “in santa pace a maggior gloria di Dio e a edificazione della Parrocchia di San Lio”, disse ai Preti: “Voglio Preti animati da zelo e obbedienza alle Leggi Sinodali di Venezia !” Poi quasi tuonò concludendo: “Verranno rimossi tutti coloro che si dimostreranno contrari … Non si tollereranno arbitri … e spero di non aver modo di dolermi dal controllo sull’Amministrazione dei Sacramenti in chiesa.”

Ma che avevano combinato i Preti ?

Era vero: San Lio era una piccola “macchina da soldi”, non diversamente da tante altre chiese Veneziane, Italiane e Europee … quasi tutte, eccetto che nelle povere campagne. L’epoca era quella: tutto nella Chiesa e fra i Preti, Frati e Monache funzionava più o meno così, soprattutto nelle città ... e non dimentichiamolo: Venezia era Capitaledella Repubblica Serenissima, con tutto ciò che poteva conseguire.

In effetti, secondo le numerose carte dell’Archivio di San Lio, le Donazioni con numerosi “punti di testamento”, Commissarie, Lasciti, Livelli e Legatiriguardanti cessioni ai Preti d’immobili, Mansionerie di Messe, Gestione di Arche e Sepolture in chiesa erano continuate per secoli … fin dal 1340 almeno ... C’erano poi copiosi documenti di controversie, lamentele e liti insieme a Statuti e Consuetudini, terminazioni e documenti dei Capitoli e delle attività delle Schole Piccole ospitate in chiesa … Anche quello durato per centinaia di anni: un ingente patrimonio insomma, che si sarebbe dovuto descrivere dettagliatamente nei Registri dei Conti, di Cassa e Contabilità, Preventivi, Committenze, Entrate e Uscite:“de la Condition (gestione)della Pieve, Fabbricha, Titolati e Contrada de San Leo”, nelleListe de Capitali dei Preti depositati nellaZecca di San Marco”, e negli“Inventari di beni, quadri, sacri arredi, argenti ed altre suppellettili che si ritrovano nella chiesa e Sacrestia della Parrocchiale e Collegiata di San Lio”.

Tanta ròba: San Lio era una bomboniera, uno scrigno d’Arte e Bellezza: un gioiello Veneziano inestimabile ... ma la gestione era confusa per non dire ingarbugliata e vaga … Non si capiva bene …  Una montagna di nomi, dati e notizie giustapposti: “Processi e Testamenti di Varisco-Ronzoni e Apollonia Piazza”; "Per li Commissari del quondam domino Francesco Vago Spicier “alla Calandra" contro Madona Elena Giminiani e Don Antonio Di Grandi";"Lite fra il Capitolo di San Lio e la Congregazione dei Preti di Santa Maria Formosa per la vendita di 25 campi in Villa Marzana di Rovigo lascito di Marco Antonio Patella … Lite dei fratelli Patella contro il fittavolo Bortolo Bacchiega.”; "Terminazione 4 agosto 1701 degli Eccellentissimi Signori Proveditori in Zecca che siino girati li ducati 3736 lire 20 condizionati dal nome del Reverendo Prè Antonio Rizzo quondam Giulio della Chiesa di San Leone Pappa di questa città, a nome della commissaria.”

E ancora: "Ecclesia Sancti Leonis contra livello Ronzoni et Donato Luchin ora Carminati"… “Livello di Roncade.” … "Pro Reverendo Domino Plebano Sancti Leonis Venetiarum contra consortes de Peregrinis de Villa Cornier"… "Processo sopra li campi della Piove et Fabrica di San Lio" Instrumento Schola dei Luganegheri per la Mansioneria di Angela Lavazzoni vedova di Alessandro Castelli” “Mansioneria Tommaso Canal del fu Antonio bladalaroli ad signum columnae” “Mansioneria Lucetta Sebenico moglie di Vincenzo Buffetti”“Mansioneria Paolina Vacca Marinelli vedova di Giovanni Andrea Cesana”… un fiume di soldi lungo secoli in cui i Preti attingevano a piene mani ...Ed è solo una parte del tutto ciò a cui accenno.

Il 20 giugno 1805 gli uomini del Patriarca iniziarono a interrogare il Piovano di San Lio: Don GioBatta Garlandi quondam Dominici di anni 57, che dichiarò, confermò e sottoscrisse i verbali della Visita Canonicaaffermando: “Ho circa 1200 Anime in Parrocchia e sono assistito dal Curato Don Giovanni Maria Falardi, e siamo 5 Confessori in chiesa ... Non vi sono ritardi nell’amministrazione del Battesimo, e succedendo casi di necessità non si tarda a supplir le cerimonie in Chiesa. Nell’amministrazione del Santi Sacramenti v’è tutta la diligenza, né mai accaddero disordini, e vi sono i competenti Registri …Celebro “Pro Populo” tutte le Feste, o supplisco nel seguente giorno feriale … V’è Dottrina di Putte ch’è molto frequentata; v’è Catechismo nel quale io mi presto, e Sesta Classe che fa il Reverendo Don GioBatta Boscaccio … Vi sono istruzioni sufficienti, e procuro di prestarmi a parlar io al Popolo dall’altare nelle Feste Principali … Si fanno tutte le Funzioni Ecclesiastiche in tutte le stagioni. I Titolari prestano il debito servizio: anche gli Alunno servono quanto possono ... Non ho che un solo Chierico, il quale si presta sufficientemente e quanto può al suo dovere …Tutti i Religiosi di questa chiesa sono buoni, vivono come si conviene al loro grado: anche in Parrocchia trovansi de Religiosi di buon costume…Il Procurator di Capitolo di mese in mese rende conto della sua amministrazione: manca un anno che termini il triennio … V’è Procurator di Cassa Fabbrica (Don Simeon De Luca), ed anch’esso di mese in mese fa Fondo di Cassa … la Fabbrica niente possiede e si sostiene coll’elemosine e coi Fondi d’Arca … Il Pievano possiede de’ beni in Trevisana ch’hanno per titolo, per antica tradizione Pieve e Cassa Fabbrica: io sono in disposizione detratte tutte le gravezze di passar alla Cassa Fabbrica la sua metà, perché essa sottostia ai pesi che ella appartengono… Di tutte le amministrazioni poi mi si rende conto … Qui i miei Preti vivono in subordinazione e buon’armonia meco: e ne sono contento … Niente altro avrei da aggiunger: senonchè ho trovato l’Archivio in qualche disordine, ma procurerò col tempo di riordinarlo.”

Furbone …

Dai resoconti, dai verbali e dalle indagini dei Curiali del Patriarca risultò che non esisteva laCassa-Fabbrica della chiesache appariva senza rendite … Solo dalla Mensa Capitolaresembravano provenire: 173,12 lire fra censi e incerti ... Alle spese ordinarie provvedeva ilPiovano, a quelle straordinarie, invece, ci pensavano le elemosine dei fedeli. IlPiovano Primo Prete del Capitolo di San Lio, gestiva oltre la Casa Canonicaanche una rendita di 3.519 lire proveniente dall’affitto di 4 case e 4 botteghe di proprietà della Chiesa, e riscuoteva un’annua Decima di lire 34. L’Ente Ecclesiastico di San Lio percepiva poi redditi da legati e da 35 campi in Terraferma, che pareva fossero di nessuno ...Sotto il Piovano Clemente Petrobelliil Capitolo di San Lio s’era comprato perfino nel novembre 1753 l'edificio-sede della Schola dei Luganegheri posto sulle Zattere di San Basilio dall’altra parte della Città …In chiesa c’era una Cassa che raccoglieva elemosine per le Sacre Suppellettili e i bisogni della chiesa dalla quale si ricavano 20 ducati al mese ... Si trovò scritto che veniva divisa a metà tra ilProcuratore della Fabbricache provvedeva alle spese correnti, e iProcuratori Secolariche avrebbero coperto le spese di eventuali restauri … Quali ?

Il Piovano Garlandiprovò a giustificarsi col Patriarca affermando che c’erano diverse spese da sostenere in Chiesa: doveva celebrare la “La Messa Pro Populo” in tutte le domeniche e feste di precetto dell’anno, che veniva a costargli lire 337, 7… Doveva poi pagare un’annuale gravezza di lire 11 al Reverendissimo Clero di Treviso, pagare altre lire 144,16 per 80 Messe dovute al defunto Reverendo Nadal Colonna, e due Esequi: uno in chiesa, e l’altro alla Veneranda Congregazione di San Salvador… C’era poi gli onorari di lire 49,12 da dare ai Preti Sagrestani; il salario di 80 lireper ilNonzolo-Sacrestano che manteneva le lampade della chiesa, suonava le campane, e forniva la chiesa nelle solennità del Titolare e dellaDedicazione;lire 78, 8 all’Organista e lire 18,12 al suo Folista; il Maestro del Canto costavalire 49,12… Poi c’erano ancora le ingenti spese per gli “aggravi della Pieve”: le ostie e le particole delle Messecostavano lire 44: il Vin da Messa“che viene daziato e computato a soldi 15 al giorno per un totale di circa lire 270, la spesa per il carbone ad uso della Sagrestia: 6 corbe a lire 54; l’Olivo per la Domenica delle Palme che costa lire 12; il Cattedrattico a lire 3,16; la festa del Titolare, e quella della Purificazione;l’imbiancadura e incolladura delle biancherie di chiesa a lire 90; i 24 pani di zucchero da dare ai Titolati, Sacristi, Curato e Organista il Giorno del Titolare a lire 2,10 alla libbra importano essendo libbre 38 di peso lire 90, e soprattutto le spese per le“buone cere” con cuis’illuminal’Altar Maggioreil giorno del Titolare e dellaDedicazione, e anche gli altri 3 altari nelleFeste Principali … Si accendono inoltre due torzi da libbre 8, cioè  da lire 93, nel Giorno dei Morti secondo il Legato della quondam Virginia Astori che aveva lasciato anche l’obbligo di celebrare in San Lio Pappa un bel Esequio ... C’è la dispensa delle candele nel giorno della Purificazione della Madonna Candelora del 2 febbraio: alli Signori (Nobili), ai Procuratori di Chiesa, ai Reverendi Capitolari, ai Giovani, ai Chierici e ai Primari Parrocchiani per un consumo di circa 60 libbre, che calcolate a lire 3,10 la libbra fanno lire 210… Infine ci sono le mancie metodiche inalterabili del primo giorno dell’anno per una spesa di lire 50 … Il tutto conta spese per lire 2.539, 19 ... A parte si assommano tutte le misure spese di acconciatura degli apparati, e biancheria, di provvista ampolle e baccinelle, di mantenimento di scovolini, di corde per campane, di rimetter lastre e vetri, di lavare in più tempi il pavimento della chiesa: tutte queste spese cadono a peso del Piovano le quali non si ponno calcolare esborsandosi le predette a piccole somme ora di soldi trenta, ora di lire 3  ... Anche tutte le imposte e tutti i pubblici aggravi estraordinari sono a peso del Piovano sicchè per questi dall’anno 1795 sino al presente ho esborsato lire 2.486.”

Ma quanto costava far funzionare San Lio !

Al Secondo Prete del Capitolo di San Lio spettava, invece, per antica tradizione un annuo Censo di lire 86,16 pagato dai Padri della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri alla Fava. Percepiva poi lire 62 dalla Schola della Beata Vergine del Parto; lire 24,16 dall’Arte dei Capelleri e la sua parte degli “Incerti di Stola bianca e nera”. (Stola Bianca indicava le offerte derivanti da Battesimi, Comunioni, Matrimoni, Cresime e offerte varie provenienti da Penitenza e Carità; mentre la Stola Nera più che spesso pingue e appetita dai Preti, indicava l’enorme massa delle celebrazioni legate agli Infermi, gli Agonizzanti, e soprattutto ai Funerali e agli infiniti Suffragi post Mortem).

Per carità ! … I Preti di San Lio Pappa non facevano mancare niente ai loro Fedeli-Parrocchiani di Contrada. Offrivano loro il dovuto: Prediche frequenti tutto l’anno, soprattutto nei venerdì di Quaresima; frequenti Processioniper calli e campielli; Esposizione Solenni del Santissimo e di diverse Sante Reliquie; s’insegnava la Dottrina Cristiana; si coltivavano Devozioni, e si ospitavano da secoli le Schole della Madonna Assunta, di Santa Maria dell’Umiltà, della Vergine del Parto, di Loreto, l’Assunta, l’Addolorata … Alcune Schole erano antichissime: risalivano al 1350.

La Madonna di Loreto di San Lio vestita e in legno dorato del 1733, ad esempio, (dal 1980 si trova alMuseo Diocesano di Venezia), secondo documenti antichi risaliva a una Madonna Vestitaposta sopra “albancòn de San Lio” fin dal 1580 … Nel 1623 contava 17 vesti “andanti da uso” alternate durante l’anno liturgico, e un abito prezioso, tre veli d’argento e tre di seta che venivano usati nei giorni di Festa. Quattro anni dopo gli abiti divennero 35 … Nel 1661 si donò alla stessa Schola: una Corona Imperiale d’Argento, e un’altra col globo che venne sovrapposta al Bambino che teneva in braccio ... Nel 1732 parti delle vesti della Madonna furono vendute, e il ricavato depositato nelle casse della Schola ... Con l’arrivo dei francesi a Venezia gli abiti preziosi dell’antico Simulacro Mariano vennero accuratamente messi a inventario dal Demanio: erano 14 … Ben presto divennero misteriosamente 6 in tutto.

Dove finirono ? … Si disse: “nelle disposizioni di francesi e veneziani “devoti”, che li trasformarono presto in denaro contante per le loro tasche e necessità.”

Per potersi iscrivere all’antica Schola della Madonna di San Lio, preclusa inizialmente alle donne, si doveva pagare una Tassa di Luminaria di 3 grossi. Ad ogni partecipazione obbligatoria ai Funerali dei Confratelli si dovevano offrire liberalmente, cioè per forza, altri 4 soldi di piccoli, mentre ad ogni “Levar Tolèlla”(convocazione del Capitolo della Schola) si dovevano pagare altri 4 piccoli ciascuno … Gratuita fu, invece, l’iscrizione per le donne quando finalmente vennero ammesse.

Gira e rigira: sempre e ancora soldi … Tanti soldi: parecchi: “... che ruotavano notte e giorno intorno e dentro San Lio”.

Per rimanere in tema, nella stessa San Lio era attiva anche una Compagnia di San Giuseppe; e la“Fraterna per il sollievo dei poveri di San Lio che provava insieme alle altre Fraterne Cittadine a risolvere il problema cronico della mendicità dilagante in Venezia. Nel 1825 le Antiche Fraterne Contradariali dei Poveri vennero riorganizzate secondo le Disposizioni Generali Cittadine Venezianedotandole di 20 Medici e 20 Chirurghi, che avrebbero operato nei 19 Circondarii Veneziani. Le Disposizioni precisavano che in ciascuna parrocchia ci doveva essere: “… un numero d’individui uniti sotto il titolo di Fraterna, che si prestavano gratuitamente ad assistere e a contribuire al miglior essere della classe degli indigenti, infermi e vergognosi … I membri delle Fraternità dovevano impegnarsi a contribuire annualmente con 2 lire austriache e 30 centesimi ciascuno”.

Ancora a San Lio si ospitava la Schola del Preciosissimo Corpo di Christo o Corpus Domini, o Confraternita del Santissimo, o del Venerabile… Risalgono al 1511-15 la Licenza del Consiglio dei Dieci e le prime convenzioni col Capitolo dei Preti di San Lio a cui la Schola chiese “di poter usufruire del luogo sotto l’organo dov’è collocata la porta grande”… La Mariegola della Schola determinò inoltre che Piovano e Capitolo della Schola: “… dovessero essere obbligati a far conciar la Cjesia in occasione della Festa del Corpo di Cristo, e di far la Processione come si fanno il giorno della Festa di San Lio.”

La Schola avrebbe garantito in cambio il pagamento di lire 4 al Sagrestano … Gli stessi Confratelli del Santissimo avevano l’obbligo di partecipare alla Processione del Venerdì Santo, e di accompagnare i Preti che portavano la Comunione a domicilio degli Infermi… Multa se non lo facevano … Messapoi ogni giovedì, e Messa Solenne ogni prima domenica del mese … Dal 1557 per ogni Confratello Morto e Sepolto si doveva pagare un ducato al Capitolo dei Preti di San Lio come risarcimento per la costruzione e mantenimento delle due Arche-Tombe realizzate in chiesa davanti all'Altare del Santissimo ... Non era un “giochino”, un impegno solo spirituale e interiore far parte della Schola: bisognava sborsare denaro di continuo … Cinquant’anni più tardi lo stesso Capitolo dei Preti di San Lio concesse ai Confratelli del Santissimol’uso della Cappella Maggiore che venne decorata e abbellita a loro spese collocandovi in parete “La lavanda dei piedi” realizzata dall’artista e miniatore Alessandro Merli, e la pala realizzata da Alessandro Spilimbergo pagato dalla Consorella Nobile e facoltosa Angelica Pellegrini ... Nel 1633 il Guardiano-Vicario della Schola commissionò a Pietro Muttoni il Della Vecchia per la parete sinistra della stessa Cappella Maggiore il quadro della “Passione di Cristo” come ringraziamento per essere scampati tutti alla peste (quella della Madonna della Salute) ... Nel Settecento la stessa Schola del Santissimo contribuì offrendo 50 ducati al restauro dell'organo … A metà secolo si compilò il “Catastico della Veneranda Schola del Santissimo Sacramento in San Leone Pappa”. Il registro è aperto da una miniatura raffigurante la serie dei Guardiani della Schola dal 1511 al 1751 disposti su una specie di albero variopinto ... Nella primavera-estate del 1752, la Schola fece un investimento: acquistò una casa in Contrada di San Canciàndalla Schola Granda di San Giovanni Evangelista, e la rivendette a sua volta dieci anni dopo a Domino Giombatta Giavarina quondam Martinper ducati 1800: procurandosi un lauto guadagno.

Qualche tempo dopo si relazionò ancora su San Lio:“Il problema di San Lio coincide con i suoi Preti … Ben 13 Sacerdoti e un Chierico ruotano e ronzavano coma Api sul Miele intorno alle attività e alle risorse della Parrocchia dove si celebravano ogni anno ben 4.132 Messe Perpetue; 55 Esequiali; 700-800 Messe Avventizie, e ci sono “da supplire” altre 4.815 Messe già pagate e garantite dalle secolari Mansionerie: un tesoretto di denari riscuotibile dalla Pubblica Zecca da saper far sapientemente giostrare.”

C’erano Messe da lire 23 fino a lire 204 ciascuna. I Preti di San Lio, esperti del settore, erano  soliti dichiarare: “Le Messe in San Leone sono ancora a 30 soldi d’elemosina e qualche volta a 36 e 36 ½ .” Intendevano dire che erano appetibilissime: più convenienti rispetto ad altre chiese Veneziane … Incredibile !

A tal proposito Don Giovanni Antonio Durighello Piovano della Collegiata di San Lio dichiarò al Patriarca il 16 settembre 1803: “Non esiste tabella di Messe ed Esequie perché non abbiamo ancora la riduzione ... Si uffiziano le Messe quando è possibile perché attesa la tenuità dell’elemosina alcuni si providero altrove … Un anno per altro le Avventizie sono 700 in 800 e sono tutte supplite … Dall’anno 1798 amministro il danaro Messe: lo tengo custodito in mia casa non essendovi scrigno in chiesa. Non ho ancor potuto far conto de miei civanzi, e se mi è graziato qualche poco di tempo, m’impegno di rassegnarlo esattamente ... Tutte le Feste di Precetto celebro la Messa Pro Populo … Le Messe da supplirsi incombenti su San Lio sono state tutte conteggiate con diligenza e dipendono da Capitoli di Zecca; de Particolari non ne ho da supplire ...4.815 Messe sono in deposito, e non vengono celebrate nonostante 4 Giovani di Chiesa tornerebbero volentieri a celebrarle con elemosina ridotta a Lire 2 come in altre chiese.”

Gli uomini del Patriarca continuarono ad interrogarlo, e lui dichiarò ancora: “Le case della chiesa, e la Tenuta e la Chiesura di Campagna si sostengono con dispendi e sacrifizi continui … Le affittanze si facevano a principio ad Triennium, e quindi ad annum: tanto per le Robbe di Venezia che di Campagna ...In Terraferma vi sono i beni nella Villa di Roncade: terreno di campi 28 circa con Fabbriche colonicheintitolati “Beni di Pieve” colle cui rendite deve pensare ai bisogni di Sagrestia ed altro; e in Villa di Biancade: chiesura di campi 7 circa con casòn capaci di rendere annualmente circa ducati 150 … Tutti gli stabili di Venezia e le Fabbriche di campagna sono di antica costruzione, e perciò bisogna di continuato dispendio per gli ristauri, sicchè in anni 12 da che sono Piovano in soli ristauri necessari ho spese lire 6.793 ... A Venezia San Lio ha una casa di residenza per il Piovano; una casa affittata a Francesco Bonomo per ducati 95 annui; un’altra casa e bottega affittate a Giovanni Antonio Cedro per ducati 52 annuali di rendita; un’altra casa pluriaffittata a più appigionati per ducati 118 annui; una caxetta data in affitto a Giuseppe Colussi per ducati 20 annui; altre 3 botteghe che rendono ducati 57 annui; e un Livello perpetuo dalla Ditta Giuseppe Carminati e figli che rende ducati 48 annui cioè lire 297, 12 …”

Un bel patrimonio … Quasi a ruota libera, il Piovano rese conto: “Circa l’elezione del Procuratore del Capitolo, si fa ogni tre anni: io mi trovo in tal incarico per il terzo Triennio, mi riservo di far sindacare le Casse da tutto il Capitolo quando cesserò da tal Uffizio ... Chiedo venia del trascorso … Ho fatto questo per evitare le dicerie, e la faraggine delle cose già accorse in precedenza in pubblico … Non posso lagnarmi della condotta di alcun Sacerdote: sono tutti buoni Religiosi, anche se vanno a cercar Messe e celebrarne anche altrove: Don GioBatta Boscaccio va a celebrare all’Ascensione in Bocca di Piazza San Marco, Don Gaetano Zeni e Don Alvise Cavalier vanno ai Mendicanti, Don Bernardo Lovisi va dalle Monache Mantellate rimpetto San Girolamo abitando da quelle parti … Solo Don Francesco Zini vaga in varie chiese, mentre Don Giovanni Maria Falardi va dalle Monache di Santa Giustina per le quali fa anche il Sagrestano … Vi è un deposito di Messe non esaurite per la mancanza di Religiosi essendo solo 8 che continuamente celebrano per gli obblighi di chiesa. Sono: io, Pre Andrea Costa Primo Prete Titolato, Pre Francesco Gattinoni Secondo Prete Titolato, Pre Lodovico Fontana Diacono Titolato, Pre Giuseppe Durello Suddiacono Titolato, e Pre Mariano Bentivenga … Pre Gio Batta Boscaccio, Pre Gaetano Zeni, Pre Bernardo Lovisi, Pre Francesco Zini e Pre Alvise Cavalier ritornerebbe volentieri a celebrare in chiesa qualor fossero ridotte le Messe a tassa maggiore, e così si addempirebbero gli obblighi correnti e si estinguerebbe il deposito.”

Curiosissimi i finanziatori del tesoretto: Lucia Arrigoni commissionò 81 Messe per testamento nell’ottobre 1696 pagando: 70 messe a lire 124, e 1 Esequie a lire 15,12. Antonia e Virginia Astori, invece, “comprarono per testamento”: 182 Messe da lire 312 nel 1741. Inoltre pagarono lire 93 a parte al Piovano per un Legato “con obbligazione di due torzi da libbre 8 l’uno nel Giorno dei Morti, e altre lire 24,16 per 1 Esequiale”;  Elena Betteni Orlandi nel 1660 “prenotò”62 Messe da lire 125 ciascuna; Elisabetta Bonotto subito dopo la Pestilenza ne ordinò 35 Messe da lire 57.7; il Reverendissimo Don Pietro Bruzzeda“segnò” 34 Messe da lire 68, e 6 Esequi da lire 82 nel 1679; Paolina Canal nel 1643 volle: 24 messe da lire 36 “con due torzi nel giorno dei Morti da lire 18”; mentre il ricco Nobile Sebastiano Cappello(1660) si accaparrò 27 Messe da lire 40.10 ciascuna, insieme a  1 Esequiale da 6.4 lire: “Non tantissimo per uno molto facoltoso come lui. Cappello è noto in Contrada per essere tirchio e avaro ... Lo fu anche in Morte.”

Ancora: Angela Lavezzari Castelli si assicurò nel 1646: 76 Messe da lire 146, e un Legato al Piovano da lire 4 … Potrei continuare a lungo: Zuanne Chegherle; Domenico Coronato; Ventura Tagliaferro; GioBatta Soldo; Costantina Sangalli; Varisco Ronzoni; Maria Roldi; Giacomo Rizzatti; Reverendissimo Don Antonio Rizzo; Giovanno Remessi; il NobilHomo Andrea Pisani; Apollonia Piazza; Innocente Perini; Angelica Pellegrini; Pietro Negri; Ambroso Grattarol; Maddalena De Mezzi … Giacomo Martini; Lucia Lodi; il NobilHomo Agostino Barbo: una bella botta nel 1647: 162 Messe da lire 272 ciascuna, 1 Esequie da lire 10,10 per due torzi nel giorno dei Morti da lire 18,5, e un Legato al Piovano da lire 17.18 … Ne salto molti altri … fino a Francesco Vago che ordinò: 290 “Quotidiane”da lire 664, ed Esequi, e Torzi nel giorno della Commemorazione de Defunti, e un legato al Piovano da ulteriori lire 13,8 … la Schola del Santissimoordinò ai Preti di San Lio per i sui Confratelli: 100: messe 52 da lire 80 con un Esequiali Comune da lire 24,16 … la Schola della Beata Vergine dell’Umiltà o di Loreto dispose ai Preti per 52 Messe da lire 104 e un Esequie da lire 12,8 riscuotibili dal Guardiano pro tempore della Schola… e l’Arte dei Cappellericol suo Gastaldo pagò per 13 Messe da lire 26, e un Esequiale da lire 12,8.

Infine la Commissaria delNobilHomo Giuseppe Persicocon Messe ed Esequi da 250 e 375 lire… col quale i Preti finirono perfino in causae Processo per una questione di “donzelle graciate dal quondam nobil huomo Giuseppe Persico".

Vi risparmio il resto … Pre Simon De Luca Alunno di chiesa e Procuratore di Fabbrica eletto nel 1803, riscuoteva mensilmente la dote delle Mansionerie assegnategli percependo: lire 33,13 ogni volta con l’obbligazione di supplire a tutte le spese attinenti alle Messe. Segnava tutto meticolosamente: “entrate e uscite” in un suo libretto.

Interrogato a sua volta Don Giuseppe Durello Suddiacono Titolatodi San Lio dichiarò irritato: “Sono almeno sei trienni che Piovano e Procurator di Capitolo non hanno mai reso i conti nonostante si siano fatti diverse eccittazioni al riguardo di Don Simon De Luca … il Primo Prete Don Andrea è vecchio e non ha la testa a segno, ma come Primo Prete del Capitolo di San Lio ha rendita di 305,84 lire da casa affittata in Contrada, perciò Don Francesco Gattoni Secondo Prete e Sagrestano con Don Ludovico Fontana Diacono lo sostituiscono e percepiscono per lui ...”

Fu poi la volta dell’Alunno di chiesa: Don Simon De Luca, che interrogato il 19 giugno 1805 aggiunse, dichiarò e sottoscrisse: “Sono più di vent’anni che il Piovano è Procuratore di Capitolo, e sono due trienni e più che non viene né eletto né confermato, e che mai rende conto dell’amministrazione nonostante molti solleciti dei Preti del Capitolo vivi e defunti ... Solo in un’occasione presentò una cartina ai Capitolari rigettata da Don Brigadi (defunto) in quanto non sufficiente come rendiconto formale dell’amministrazione ... Il Suddiacono Don Gattinoni, Don GioBatta Boscaccio e Don Lodivico Fontana potrebbero render conto specialmente della Cassa Fabbrica … sempre che vi sia in chiesa ? … Siccome poi il Signor Pievano non poteasi con questo solo provento a tutto supplire, con lodevole zelo una cassella instituì [in chiesa], in cui quotidianamente si raccogliesse per le sacre suppellettili, e bisogni della Chiesa … Il di cui mensuale ritratto sinora in cumulo non risultò, che in ducati correnti venti al mese, la metà dei quali sempre al detto Procuratore consegnata fu, e l’altra si contò in ogni mese alli stessi Procuratori secolari della Fabbrica di detta Chiesa per restauri della medesima, e debiti perciò da essi incontratti … Benchè dal soprallegato Decreto della Riduzione delle Messe per la Chiesa di San Leone apparisca essere l’Ecclesiastico Procuratore della Fabbrica di detta Chiesa in dovere di pagare siccome tutte le altre spese concernenti alle Messe, così ancora il vino bianco dal Signor Piovano somministrato; con tutto ciò il sopraesposto diritto della Fabbrica della Chiesa sopra la metà delli Beni Parrocchiali pare (salvo errore) che disobblighi il detto Ecclesiastico Procuratore assolutamente dal detto pagamento del vino bianco; poichè deve anzi il Signor Piovano rendere a lui conto della metà della rendita percepita dai di lui Beni di Roncade nello scorso anno 1804, e così sempre di anno in anno ... Vero è che egli protesta di non essere in dovere di rendere conto: perché tutta in detto anno impiegolla per le Funzioni solenni della chiesa: al che il detto Ecclesiastico Procuratore in adempimento del proprio uffizio obbligato si vede di rispondere con tutto il rispetto, che nondimeno le suddette spese da lui indicate render dee conto della metà della detta rendita nello scorso anno …”

Don Francesco Gattinoni Secondo Prete Titolare e Sacrista di San Liodichiarò preso da apprensione: “Sono stato eletto Titolato di Chiesa nel 1790: già da 59 anni sono stato ascritto alla chiesa di San Lio, ed avea 14 anni … Dopo ch’io sono in Capitolo una sol volta si fece Procurator di Capitolo Canonicamente, e questo successe già otto in nov’anni circa: saranno poi 20 in 25 anni che l’attual Piovano è Procurator di Capitolo e che era ancor Giovane di Chiesa ... Sotto il Piovano Casari si eleggeva il Procuratore di Capitolo ... A San Lio v’è Cassa Fabbrica: vi sono alcuni pochi beni in Roncade, e le rendite di questa vengono spese pella Sagrestia per i cui “pesi” fa tutto il Piovano che non rende conto ad alcuno di Cassa Fabbrica.”

Don Ludovico Fontana Diacono Titolato e Sacrista San Lio:“... Saranno 10 anni terminati lo scorso agosto … Sono ascritto alla chiesa di San Leone da 56 anni, cioè dal 1747: “Nescire (Non sono bene a conoscenza)…. I Libri Vecchi stanno in scrigno in Sagrestia, e i due ultimi sul nostro scrittoio: essi sono di quattro in quattr’anni, il penultimo termina nel 1800, il corrente terminerà nel 1804. Mai ho veduto che il Piovano si sia fatto ad esaminarli: forse egli li avrà esaminati in mia assenza ... Sono 27 anni che non si elegge più il Procuratore di Capitolo: mi sovviene che 7 anni fa il Piovano fu confermato Procuratore di Capitolo … Mai il Procuratore di Capitolo ha fatto in nessuna forma la resa dei conti … Don Brigadi gridava su ciò, ma il Piovano rispondeva che andasse di sopra che gli farebbe veder tutto ... Dopo la sua morte i Titolati non hanno più dato alcun eccitamento al riguardo.”

Nell’agosto 1865, infatti, fu Don Francesco Panciera Vicario di San Lio a guidare i firmatari di una Petizione all’Austria per far abolire la Commissione che gestiva gli ex beni Capitolari ed Ecclesiasticiridotti ormai a un terzo dell’originale … Tutti i redditi associati alla Parrocchia-Contrada di San Lio erano scomparsi: equamente spartiti fra Commissione Ecclesiastica e Demanio dello Stato.

Nel frattempo avvenne un riordino e rifacimento dell’edilizia dell’ex Contrada: si eliminò la Corte Carminati traslandone il nome a un tratto di Calle del Pistor, si ricostruirono diversi fabbricati prospicienti il Campo San Lio, si mise in comunicazione Calle della Malvasia con Corte Licini alla Fava, e si gettò un nuovo ponte per raggiungere la Piscina di San Zulian.

Mi rendo conto bene d’avervi dato un’immagine frusta e un po’ trista, quasi meschina della Contrada di San Lio riassunta nel Capitolo dei suoi Preti … Ma per fortuna la Contrada significava ben di più: pulsava di tanti Veneziani “nostràni” onesti che vivevano, agivano e lavoravano, e di altrettanti “foresti” che giungevano nella “Capitale” da ogni parte del Mondo.

“La Contrada del Pappa Lio” ai Veneziani richiamava di certo il “Lèo-Leòn”, il Leone Marciano, anche se il  Pappa Lio o Leone, con due “p”, tirava in mezzo il Sommo Pontefice Papa Sovrano di Roma, che si sa: ai Veneziani non era sempre e del tutto simpatico e graditissimo.  Sembra che all’inizio nello stesso luogo di San Lio dipendente dalla vicina Chiesa-Matrice di Santa Maria Formosa, ci sia stato un antico Monastero Veneziano titolato alla Croce o forse a Santa Caterina patrocinato dai Nobili Badoer. Un primo Piovano Badoario di San Lio avrebbe dato il vecchio Monastero della Croxe all’Abate di Santa Maria della Carità di Dorsoduroliberandosi della gravosa gestione monacale, avviando così la Colleggiata-Plebania dei Preti di San Lio… La dedica di San Lio, invece, si riferiva a San Leone IX Papa e ai decenni iniziali del secolo 1000, quando ci furono le lotte fra Aquileia e Grado, e il Doge Domenico Contarinirecuperò Grado appoggiato appunto dal Leone IX, che nell’occasione ricoprì Venezia d’Indulgenze e privilegi. Da quello quindi la dedica della chiesetta a tre navate in stile bizantino basilicale, col campanile in mattoni a canna a doppie lesene e cella biforata sormontata da cuspide con pinnacoli come rappresentata ancora nel 1500 nella Pianta del De Barbari.

A quell’antico Cenobio della Crocesito a San Lio e poi traslato altrove, risaliva forse l’annuale Tradizionale Processionale dei Confratelli della Schola Granda di San Giovanni Evangelista dei Frari nel Sestiere di San Polo, che si recavano in visita aSan Lio attraversando tutta Venezia. A quel pellegrinaggio venne legata la Leggenda del “Miracolo della Croce al Ponte di San Lio o Sant’Antonio” amabilmente dipinto da Giovanni Mansueti per la stessa Schola Granda di San Giovanni Evangelista (ora conservato all’Accademia).

Per conservare quella tradizione, un Decreto del Consiglio dei Dieci del 1474 ordinò di perpetuarne l’usanza.

Flaminio Cornerracconta la Leggenda:C’era tra i Confratelli di San Giovanni un uomo di corrotti costumi, appartenente alla Parrocchia di San Lio, il quale, invitato da un altro Confratello ad accompagnare la Croce in una cerimonia funebre, giacché essa doveva un giorno onorare anche i funerali di lui, empiamente rispose: “Né voglio io accompagnarla, né mi curo che ella mi accompagni” ... Allorché il perverso morì, venne la Scuola col Sacro Vessillo a seguirne i funerali; ma, giunto il corteo al Ponte di San Leone, la Croce diventò siffattamente pesante che non ci fu forza umana capace di farla proseguire. Accorso allora l’amico al quale egli aveva data l’empia risposta e riferì il fatto; onde venne in chiaro la ragione dello strano miracolo... Fu così che ad espiazione del fatto i Confratelli della Schola vanno a visitare processionalmente la Chiesa di San Lio o Leone.”



La Contrada di San Lio era ed è uno dei microarcipelaghi di isolette Veneziane legate dai ponti, circondata dal Rio di San Zulian e della Fava, che poi diventa Rio del Piombo e più avanti Rio del Mondo Novo ... Immaginatevi per un attimo la Contrada laboriosa e vispissima di San Lio a soli due passi dall’Emporio Realtino. San Liooltre che di Palazzi, Fondaci, case e caxette, botteghe, magazzini, locande e osterie, pullulava di Mercanti, Artieri, Bastazi e Bottegai intenti a chiassare e lavorare seduti in strada, sulle porte delle loro minuscole o grandi botteghe, nei “vòlti”, o sotto ai portici dipinti o spogli quando pioveva, tirava vento, e c’erano bora o scirocco con l’acqua alta sotto a cieli sudati o pallidi, che a volte diventavano gialli e traslucidi quasi fossero malati pure loro … Immaginate anche il profumo intenso di Pepe Nero, Zenzero, Spezie e Pellami che riempiva l’aria da mattina a sera mescolandosi con i colori viola, rosa e giallo, arancione e blu cobalto delle cose, ma anche con le fogge dei vestiti dei tanti che giungevano là da tanta parte del Mondo di allora ...ceste ovunque, tappeti e stoffe, prodotti di ogni sorta … un gran numero di Capitellidi Devozione appesi sugli angoli delle callette, sugli Stazi dei Traghetti, o in cima ai Ponti ... Un ambiente curiosissimo e stupendo secondo me.

La Contrada di San Lioera come punteggiata, quasi trapunta, coincideva con i suoi Nobili e Cittadini Originari … Parliamone.

C’erano nomi e Casati importanti e famosi, altri erano emergenti, altri ancora si avviavano al declino avendo perso la strada della Fortuna. Erano comunque loro a conferire lustro, identità e capacità economica e mercantile alla Contrada rendendola area di opportunità di lavoro e guadagno per tanti ... Già nel quasi impensabile perché lontanissimo marzo 1128 a Rialtopresso Romanus Presbiter et Notarius: “Valentino Sgaldario dal Confinio di San Leone fideiussore e Aurio Bembo del Confinio di San Salvador mediatore attestarono circa un “vadimonio” che Vitale Ingizo da Pellestrina diede a Pietro Soranza dal Confinio di San Cassiàn per il quale detto Pietro gli affidava una peschiera in Pellestrina con l’obbligo di pagare a Conzo ed Ottone Da Molin annui quattro paia di uccelli e cefali duecento.”

Oltre agli immancabili e prestigiosissimi Nobili Querini di Classe IV del Ramo di San Lio, in Contrada operavano i potenti Nobili Contarini che occupavano un palazzo del tardo 1500 alto ben cinque piani: cosa un po’ insolita a Venezia ... C’erano poi in un palazzetto archiacuto del 1400 i Nobili  Corner diventati Reali cioè fra i “grandi e principali” di Venezia, e i Giustinian trasformati in Faccanòn, che non intendevano essere da meno risiedendo in unPalazzo simile nel cuore delle Mercerie della Fava, dove fecero erigere una specola.

In Contrada risiedevano poi in Corte della Malvasia i Nobili Pizzamano di Casa Nuova e di IV Classe, che avevano ottenuto in concessione dal Comune Venezianoimportanti porzioni di “Campagna” nelle zone del Brenta irrigate dalla Roggia Rosà, dove s’impegnarono soprattutto nell’Arte Molinatoria e nel Commercio del legname. I Pizzamano non furono mai Nobili prestigiosi di Casa Granda, ma furono di certo fra quelli che le diedero parecchio “spessore”occupando di continuo diverse cariche del mirabile apparato della Serenissima. Fra 1697 e 1797, per ben 16 volte ricoprirono 33 cariche diverse di Reggimento di Stato nei territori della Repubblica. Nel 1545-46 M.Giannandrea Pizzamano fu Guardian Grando della Cà Granda dei Frari: uno dei Conventi più insigni e potenti di Venezia. Trent’anni dopo nel Capitolo convocato dalla Badessa Ludovica Morosini del Monastero di Santa Caterina di Mazzorbopresenziava fra le 28 Nobili Monache da Coro anche la Monaca Cecilia Pizzamano ... Ma da un Catastico dell’Avogaria da Comun si evince che fra 1705 e 1793 ben 13 distinti nuclei familiari dei Pizzamanovennero beneficiati per 38 volte dalla Serenissima con provvigioni e sussidi concessi solitamente ai Nobili decaduti considerati poveri e vergognosi ... Curiosità nella curiosità: nel 1763 il “sforzato di galea”Paolo Galiaz condannato due anni prima per ulteriori 7 anni dopo aver commesso un altro omicidio, si trovava a bordo incatenato sulla Galèa di Mattio Pizzamano dove scontò  25 anni di condanna al remo ... Mattio Pizzamanonell’ottobre 1797 fu fra i 35 Nobili Patrizi Veneziani accusati di congiura contro i Francesi. Vennero presi come ostaggi-complici e rinchiusi nel Forte dell’Isola di San Giorgio Maggiore ... Tutti i loro beni vennero confiscati.

Non posso in questo contesto non dire almeno una parolina su un Pizzamano famosissimo: Domeniconato a Corfù, dove suo padre Nicolò, dopo una discreta carriera al servizio della Serenissima (Conte-Capitano a Sebenico in Dalmazia, Giudice del Mobile, Savio alle Decime di Rialto), era diventato Provveditore e Capitano. Appartenevano a uno di quei rami dei Pizzamano impoveriti, ma che erano ancora benestanti in quanto possedevano oltre a Cà Pizzamano in Corte della Malvasia a San Lio, anche varie terre nel Trevigianoe nel Veronese, e diversi immobili a Venezia e Murano.

Un po’ fumino come persona, ma autorevole e deciso, Domenico Pizzamano fu uno dei diciotto Patrizi che si offrirono volontari per essere impiegati nella difesa di Venezia quando stavano per arrivar i francesi, che avevano già occupato Peschiera e Verona. Venne nominato Deputato al Castello e Porto di Sant’.Andrea del Lido e canali adiacenti con uno stipendio mensile di 110 ducati.

Disautorato e messo in disparte dopo una lite col suo potente Superiore Nani, finì Provveditore Sopra i Conti al Lido, privato però del comando di una nave. Ricevette un’indennità di 30 ducati per mantenersi una gondola, di cui gli fu risarcita anche la spesa di 248 lire venete. Poco dopo però, il Senato lo riabilitò dandogli l’incarico di Provveditore di San Maura … Non fece però a tempo a partire da Venezia, perchè il nemico francese incombeva, ed era necessario difendere il Porto del Lido da ingressi di bastimenti armati.

Pizzamano diede ordine che qualsiasi nave si fosse presentata in Bocca di Porto, doveva ancorarsi al Castello di Sanità. Se fosse stata nave straniera armata doveva ripartire subito, altrimenti i cannoni del Forte di Sant’Andrea avrebbero aperto il fuoco. Sette fregate Inglesie varie piccole navi Imperiali, infatti, ripresero subito il largo, ma furono i francesi a entrare provocatoriamente nelle acque Veneziane. Nella notte del 20 aprile 1797, tre unità napoleoniche si recarono sul Lido di Caorle catturando il pescatore chioggiotto settantenne Ménego Lombardo. Dopo avergli chiesto informazioni sulle navi, le fortificazioni e i soldati Veneziani, lo obbligarono a condurli verso il Porto di Venezia. Fu così che si presentarono in Bocca di Porto sparando le tradizionali salve di avviso-saluto, riconosciuti subito dalle vedette del Forte di Sant’Andrea. Pizzamano inviò subito inutilmente due lance ad informare la nave del divieto d'ingresso invitandola ad allontanarsi, ma visto che “Le Libérateur d'Italie”, il Brigantino francese armato continuava ad avanzare, non ci pensò su due volte, e diede ordine alle potenti batterie del Forte di Sant'Andrea di aprire il fuoco. La nave centrata più volte, venne poi speronata e abbordata dalla Galeotta Bocchese Annetta Bella comandata da Alvise Viscovich di Perasto. Morirono cinque marinai francesi e il comandante, altri otto vennero feriti e trentanove fatti prigionieri. Il pescatore chioggiotto morì una settimana dopo per le ferite riportate, ma fece a tempo a ricostruire sotto giuramento tutti i fatti raccontandoli ai Veneziani.

Eroico Domenico Pizzamano ! … purtroppo parecchio strapazzato in seguito.

Ancora in Contrada di San Lio vicino alla chiesa della Favaabitavano e operavano i Licini famiglia Cittadinesca non Nobile originaria di Bergamo. Oltre a possedere Arca di sepoltura di famiglia in San Lio, Giacomo Licini attivò nel luglio 1676 “un istrumento di livello” di ducati 600 a favore del Monastero di Santa Maria della Celestia di Castello ... Nel 1741 Bon Licini, ricco proprietario di Negozio di tele in Calle della Bissa avviato da suo padreAlessandro, si comprò “una casa in due soleri in Contrà di San Leo Papa dietro la Madonna della Fava in Corte detta del Piombo dando in permuta ad Andrea Massarini alcuni stabili di sua proprietà che possedeva alla Giudecca e in Contrada di Sant’Aponal e San Giminian presso Piazza San Marco.” 

In Contrada abitavano poi i Tasca considerati fra i 15 Casati più ricchi di Venezia. Nel 1645, in occasione della Guerra di Candia contro i Turchi, i Tasca divennero“Nobili Aggregati per soldo”con Annibale di Nicolò Tasca, che dopo iLabia e altre 10 famiglieversò all'Erario Pubblico 100.000 ducati … Si raccontava che il Tasca s’era presentato a versare i 100.000 ducati “in abito assai ordinario.”

In realtà, i Tascaappartenevano alla cerchia dei ricchi Mercanti di Seta provenienti da Bergamo. A Venezia avevano fatto fortuna diventando proprietari di diversi palazzi e botteghe nel Sestiere di Castello in Fondamenta e Calle Tasca, e a San Marco, soprattutto nelleContrade di San Bartolomeo e San Zulian dove in Merceria di San Salvador avevano le loro botteghe di“seta, lino, lana, Zambelotti e Camelòni (drappi di pelo di capra).” Possedevano inoltre un Palazzo a Portogruaro, Ville a Conselve e a Gardigiano di Scorzè, e dal 1648 alcuni opifici per macinare orzo e lavorare lino, e segherie per lavorare legname diretto poi all’Arsenale Venezianoattraverso il fiumeLemene. I Tascaerano conosciuti e apprezzati Notai Veneziani, che avevano relazioni commerciali con laFamiglia Bucareli Marchesi di Vallehermoso in Spagna, e a Venezia, come iSurian, Ottoboni, Medici, Zon, Vianol, Donini, Zaguri, Rubini, Piovene e Feramoscaebbero diversi Giudici nellaQuarantia Criminal.

Nel 1617: Piero Tasca fu Guardian Grando della Scuola Grande dei Carmini, come Giovanni Francesco Tasca nel 1628 … Nel 1644 i Tasca acquistarono da Cornelia Formenti Molin un palazzo cinquecentesco in Contrada di San Zulian prima d’imparentarsi con i Pappafava nel 1687 ... Nel 1727 Giulio Tasca dopo aver coperto la carica di Provveditore alle Biave divenne Senatore, e si diceva di lui che era un gran benefattore delle famiglie nobili basse e decadute, delle quali godeva quindi l’appoggio incondizionato invidiato dalle Classi Alte Nobiliari … Negli ultimi anni della Serenissima fra 1793 e 1795 Maria Tasca era Badessa del Monastero di Sant’Eufemia di Mazzorbo.

Continuo ?

In Contrada c’erano ancora i Toderini di San Lio: Nobili Veneziani di III Classe eMercanti di Merletti pure loro aggregati “per soldo” alla Nobiltà Veneziana con la Guerra di Morea del 1694 … Domenico Maria Toderini era Notaio a Venezia fra 1793 e 1824 … I Toderini possedevano una bella Villa a Codognè di TrevisoElena Querininelle sue famose lettere nell’ottobre 1777 raccontò che due Dame Veneziane: una Priuli nata Labia, e una Toderini nata Bon, furono costrette a starsene ritirate in casa in applicazione di un Pubblico Decreto che impediva alle donne di andare a Teatro senza maschera e “vestite con la massima indecenza ed ornate a capriccio.” in modo poco confacente allo stato Nobiliare.

INobili Orso di San Lio, invece, divenuti Nobili con altri 30 dopo la Guerra di Chioggia per aver sostenuto economicamente la Repubblica, vivevano nell’omonimo Sottoportego e Calle dell’Orsoin un palazzo in stile bizzantino affacciato sul Rio della Fava, dove c’era un pozzo di marmo rosso con scolpita l'arma gentilizia di famiglia “con l’orso in piedi” ... Altri degli Orso abitavano alla Madonna dell’Orto in un palazzo del 1500 ... Erano tutti giunti a Venezia da Lucca nel 1300 con altre famiglie dedite al Commercio della Seta… Nel primo decennio del 1500: Orso Giovanni Francesco era uno stimatissimo Notaio Veneziano.

Vi sto annoiando: lo so … Tenete duro: ho quasi terminato.

Nella Contrada di San Lio viveva in un palazzo del 1500 costruito dalla scuola di Pietro Lombardo il Casato dei Nobili Gussoni diventati poi Algarotti. Anche loro erano considerati tra i “Principali di Venezia”.

Nativi di Cividale del Friuli, si stabilirono prestissimo prima a Torcello nel 1294 utilizzando per i loro commerci il Porto di Treporti, poi si trasferirono a Venezia dove divennero unadei 15 Casati più ricchi della Città con Palazzo affacciato sul Canal Grande costruito dal Sanmicheli e affrescato da Tintoretto e Zelotti.

Nel settembre 1298 però: Marco Gussoni con Marin Boccon, Carlo Regio, Girolamo Sebalachi, Dario Falier, Sabà Sorian, Zamaria Dolce, Alessandro Baron e Pietro Erizzo vennero impiccati per ordine del Consiglio dei Dieci per aver sussurrato e complottato alla Porta del Maggior Consiglio…Altri 42 complici rimasti di sotto in Piazza San Marco si diedero alla fuga lasciando i territori della Repubblica, che li condannò a bando perpetuo sequestrando tutti i loro beni.

Dopo metà 1300 il Destino dei  Gussoni cambiò significativamente in meglio quando venne scavata la Fossa o Cava Gradeniga nel Castrum di Mestre-Marghera, Vennero, infatti, danneggiati i possedimenti di Domenico Gussoni, e il Consiglio dei Dieci lo rimborsò concedendogli una casa sequestrata ai Falier, anche se il fossato già nel 1345 venne riempito di terra e acqua stagnante, e si dovette scavare il Canal Salso fra San Lorenzo di Mestre e la Palada di Marghera.

Nel 1483 il Diarista Marin Sanudo elencando le case di pietra dei Nobili Veneziani presenti a Noventa Padovana: “Villa bellissima, piena di caxe di muro de Veneti  nostri, zoè di Hirnomia Malipiero, di Piero Vitturi, di Chimento Thealdini, de Troylo Malipiero et filii, di Martin Pisanelo …” non mancò di ricordare anche quelle dei Baffo, Marcello, Gussoni, Giovanni da Rio e dei Da Buvolo (Contarini del Bovolo ?).

Dopo metà 1500 i Gussoni si fecero costruire palazzi sul Canal Grande in Contrada diSanta Fosca affrescato dal Tintoretto, e in Contrada di San Vidal venduto poi ai Cavalli ... Andrea Gussonifu Ambasciatore Veneziano a Firenze nel 1576 … Nel 1587: Andreas Stimas Chierico da Padova di 72 anni insegnava Grammatica da 15 anni a Cà Gussoni:“ora a 5 alunni pizoli che imparano la grammatica semplice…”

Non a caso quindi, i Gussoni possedevano in San Lio una Cappella privata realizzatada Pietro e Tullio Lombardo(davanti alla Cappella, nell’Arca del Santissimo sul pavimento, è sepolto il Pittore Antonio Canal detto il Canaletto, che nel1745 abitava in Contrada con le sorelle in Corte di Cà Pizzamano pagando ducati 50 annui d’affitto. Si legge nei Necrologi Sanitari:“Antonio Canal d'anni 71 da febbre et infiamasion nella vescica giorni 5, morto all'ore 7 col Medico Musolo e Capitolo di San Lio”).

Durante il 1600 a casa del Senatore Francesco Gussoni dov’era ospitata una celebre collezione di quadri, si riuniva l’Accademia Delfica detta Gussonia che si occupava di eloquenza, e di cui era Protettore con altri Nobili … Nel 1607 il filoSarpiano Cavalier Vincenzo Gussoni fu Podestà di Vicenzaal tempo dell’Interdetto per Venezia di Paolo V, quando fra i Patrizi più combattivi si schierarono a difendere i diritti della Repubblica Serenissima contro i Nobili PapalistiConservatori. In seguito divenne Ambasciatore a Parigi (succedendo al fratello Andrea), e poi Ambasciatore presso il Principe di Savoia, Ambasciatore a Londra, e Ambasciatore nei Paesi Bassi ... Fu un grande uomo insomma … un gran Veneziano.

Nel 1731: Giustiniana Gussoni fuggì da Venezia col Conte Francesco Tassis di Bergamo col quale contrasse matrimonio clandestino, e rimasta vedova nel 1736 si rimaritò con Pietro Martire Curti finendo i suoi giorni a 27 anni, nel 1739, venendo sepolta agli Scalzi di Venezia ... Donna dei Gussoni sfortunata.

Vado avanti ?

A San Lio c’erano i Cittadineschi Algarotti con Iseppo Maria Algaroti quondam GiacomoPubblico Sensale, che comprò “per uso”nel 1748 da Lorenzo e Francesco fratelli Gerardie da Faustina Lazzari relicta (vedova) Gussoni due parti di una stessa casa-palazzo a San Lio alla Favarealizzata da Pietro Lombardo e bottega. LaCalle del palazzo venne nominata dell’Algherotto cioè degli Algarotti. Nella primavera di cinque anni prima un Algarotti Capitano di Navecaricò molto zucchero a Lisbona per conto del Signor Bonomo Algarotti Mercante Veneziano fratello del Conte Algarotti Lettaro Favorito del Re di Prussia. A Cadice caricò delle botti d’olio ponendole sopra alle casse dello zucchero. Come avete intuito, l’olio fuoriuscì finendo nello zucchero, e si guastarono entrambi i capitali. L’Algarotti pretese risarcimento dal padrone della nave, e gli venne data ragione dai tre Giudici del Magistrato dei Consoli dei Mercanti.

E gli Zocchi o Zocco, o Zucchi o Zucchini di San Lio dove li metto?

Abitavano inSottoportico, Corte e Calle della Bissafra le Contrade di San Bartolammeo e San Lio Pappa:“Un testimonio citato all'Avogaria per deporre circa la condizione della famiglia medesima, di tal guisa ebbe ad esprimersi: “La Famiglia è benestante; abita uno stabile di propria ragione, et ha molti altri stabili suoi in Calle della Bissa.”

Nel 1674: “GiovanBattista Zocchi Sansèr Ordinario traslatò il 19 luglio da Riosa Signorini et heredi del quondam Lazaro Stagerer habitante a Bressa due case e una bottega in Contrada di San Bartolammeo in Calle della Bissa”.

Dieci anni dopo, Andrea Zontini quondam Zuane“traslatò” un'altra bottega nello stesso sito, pervenutagli per prelazione ottenuta all'Uffizio dell'Esaminador: “sopra strumento del giorno 8 aprile di quell'anno, in atti d'Orlando Grazioli. Il NobilHomo GiovanBattista Zocchi, oltre di essere Sensale, era anche Mercante da Droghe, e Console della Religione di Malta. Dalla moglie Maria Evangelisti, sposata nel 1639, ebbe due figli: GiovanPietro e GiovanAntonio, che, giusta il testamento del padre si divisero, fra gli altri beni, anche gli stabili in Calle della Bissa ... Da Gio. Pietro Zocchi nacque G. Battista, e da esso i cinque fratelli Pietro Maria, Andrea, Gio. Domenico, Alessandro e Sebastiano, i quali vennero il 18 giugno 1755 approvati come Cittadini Originari … Nel maggio 1719, infine: uno Stefano Zocco Venezian di anni 38 venne impiccato a Venezia per ordine del Consiglio dei Dieci.”

A San Lio, infine e finalmente, c’erano i Carminati giunti a Venezia dopo essere passati per Milano, Genova, Verona e altre città dell’Italia settentrionale. Divennero Nobili Venezianinel 1687 “per la Guerra di Morea”. EranoMercantidi parte Ghibellinadalla Val Brembilla di Bergamo dov’erano proprietari della Rocca di Cà Eminente e del Castello sul Monte UbioneGià nel 1006 Papa Giovanni XVIII detto Boccadiporcoloroparente, aveva scritto un antichissimo “Breve”a Pietro Carminatiche aveva combattuto contro i Turchi conferendogli vari privilegi e i titoli di Conte e Cavaliere. AGiacomo figlio di Pietro, visto che era già Canonico nella Cattedrale di Santa Maria, garantì la possibilità di succedere nelVescovado di Bergamo tramite diretta nomina Pontificia.  

I Carminati a Venezia andarono a stabilirsi in Contrada di San Stae e Isaia dove c’era il loro Palazzo (oggi scuola e studio-foresteria per artistiospiti dell'Opera Bevilacqua La Masa) ricco di stanze con stucchi, caminetti e soffitti decorati, e il Ramo-Salizada che porta il loro nome. In Contrada di San Lio, invece, possedevano in Calle Carminati un vasto casamento oggi scomparso e trasformato in giardino.

Alle Dichiarazioni Fiscali del 1700 i Carminati figuravano sempre fra i 70 capifamiglia “Nobili Recenti abbienti” che dichiaravano 6.000 ducati e più d’entrata. Possedevano 400 ettari a Conselve, dove le loro proprietà s’intrecciavano con quelle dei Borin, Duodo, e Dondi dell’Orologio i cui vari rami avevano quasi 1.000 ettari nel Padovano. Ancora nel 1806, “in ultimis”, quando ormai Venezia Serenissima era morente: Gaetano Carminati da Crema acquistò daiGrimani-Giustinian la loro azienda di 181 ettari a Biadene sul Montello.

Basta adesso … altrimenti vi faccio scoppiare e scappare, se non è già accaduto  … Tutto questo per dirvi quali e quanti personaggi emergenti vissero a San Lio animandone la Contrada.

Accanto ai capitali e all’intraprendenza economica di Nobili e Mercanti stavano gli Artieri-Artigiani con tutti i loro Lavoranti che davano corpo alle aspirazioni commerciali dei ricchi imprenditori protagonisti incontrastati del corpo economico della Serenissima: “In quell’epoca Civico e Religioso si sovrapponevano, per cui la chiesa era il cuore della Contrada, il punto di riferimento di tutti. Il Tempo Religioso quasi scandiva e benediceva il Tempo Pubblico-Civico ed Economico del Lavoro e del Commercio, che trovava nel Divino e nel Devozionale la sua motivazione, l’Autorità e l’ispirazione in un circolo di ritorno che non finiva mai. Arti e Mestieri si consociavano in Schole dove competenza lavorativa e sociale si coagulavano e condensavano aprendosi poi al Caritatevole, al Divino, ai bisogni dello Stato, al Suffragio e alla Beneficenza Previdente per la vecchiaia, le vedove, gli orfani e l’infermità.”

San Lio sorgendo a pochi passi dall’Emporio Realtino, ne era quasi suo naturale prolungamento, per cui nella Contrada di San Lio operava, viveva e s’aggregava un fiume di persone eterogenee e operose. Già nel luglio 1289 di fronte al Prete-Notaio Marinus Vitalis di San Basilio: Bartolomeo Michiel del Confinio di San Liofece quietanza a Nicola figlio del quondam Pietro Viaro del Confinio di San Maurizio per alcuni negozi realizzati oltremare a Capodistriacon Marino Gradenigo per un valore di 22.719 aspri baricati .

Bella cifra ! … e posto distante da Venezia, non certo appena giù del ponte.

Tutto andava e arrivava a Rialto e nelle vicine Contrade: dove nel novembre 1360 Nicolò Tedesco“laborat ad manganum San Leonis”.

Nella tarda estate di tre anni dopo: Maria di Zara schiava e Fantesca di Zanino Bottaio di San Lio rubò da un cofano del suo padrone molti panni tra i quali: “quattro tunicas a pueris cum perulis et capetis argenti” ... Circa dieci anni dopo al tempo del Doge Andrea Contarini e degli imprestiti allo Stato per la Guerra contro i Genovesi che presero Chioggia, la Contrada di San Lio nel suo insieme si distinse per quando seppe offrire a Venezia, cioè 63.000 lire. I maggiori contribuenti della Contrada di San Lio furono 7 NobiHomeni e 18 contribuenti abbienti: Alberto Becher diede lire 1.000; Alvise Casellèr offrì lire 300; il Banco di Cambio della Contrada mise a disposizione lire 1.000; Fior Murèr de Sunesese diede lire 1.500; Federigo Samiter lire 300; Marco e Stefano dal Beretin Capelleri lire 500; Roco Bon dalla Risuola lire 1.000; Zuane Cafa Botèr lire 1.000; e Zuà Gabriel Gastaldo lire 500.”

Tre secoli dopo: nel maggio 1606: il Senato della Serenissima tra le altre spese autorizzò quella per il nuovo Bucintorodando mandato di pagamento di ducati 66 e grossi 7 a Mastro Alessandro Stramasser “All’Insegna del Sant’Antonio in Calle della Bissa per lana f.66 e per stramazzetti”. Autorizzò anche il pagamento di ducati 238 e grossi 5 e piccoli 1 a “Mastro Bernardo dalla Franze a San Lio per franze grande e picole de seda et oro e fiocchi et cordoni per le cortine, batti coppa e felze”, e il pagamento di ducati 92 e grossi 22 a “Mastro Zaccaria Sartor a San Lio per la fattura della coperta granda, felse, batti coppa, coltrine et altre spese. In tutto si spesero ducati 3.086  grossi 10 e piccoli 27.”

Sessant’anni dopo, in Contrada di San Lio abitava “il Sig. Zuane de Pietro Veler Fiamengo in uno stabile del NobiHomo Pietro Mocenigo in Calle delle Vele”, quando Marco Contarini era proprietario d'una casa “in Contrà de San Lio, in Calle dove si vende il giazzo”, e  Zamaria Rota Tornidor aveva un piccolo magazzino in Salizzada de San Lionon lontano da una bottega da Cassellèr“All'Insegna della Nave”in Calle della Nave ... La famiglia Nave non abitava là, ma nelle vicinanze della chiesa della Fava, che era parte della stessa Contrada.

All’inizio del seguente secolo, quello “dei lumi”, la Quarantia Criminal bandì Lorenzo Bazzato per aver ucciso una sera alle due di notte un diciannovenne milanese Giacomo Pezziaspettandolo in Calle di Sant’Antonio a San Lio vicino al Pistor. Con inaudita violenza lo colpì più volte al ventre con un coltello, poi sparì nel nulla, e non venne mai più trovato.

In contrada all’epoca c’erano 74 botteghe con un Inviamento da Forno con casa e bottega, e la vecchia Spezieria da Medicine o Farmacia “Al Pellegrin” condotta da Pietro Venanzio Consigliere(diverrà in seguito Farmacia Monico, poi Guerra) ... Sempre e ancora in Contrada di San Lio, Bernardino Savoldello quondam Antonio faceva il Pistor a San Lio al Ponte del Pistór dove fin da ben prima del 1670 si consumavano annualmente 6.788 stara di farina. Il Savoldello fece fortuna con la Pistoria, in quanto andò a investire 6.000 ducati nell’Arte dei Pistori di cui era iscritto. L'Arte dei Pistori possedeva “Inviamenti” ovunque in Città, ma gestiva soprattutto le due grandi Panaterie per la vendita del pane che stavano a San Marco presso il Campanile con 19 botteghe, e a Rialto di fianco alle Beccarie con 25 botteghe.

A metà secolo, quando morì in Contrada Pietro Guarnieri“valoroso artefice di liuti, violini ed altri strumenti d’arte, figlio di genitore di stessa professione”, secondo i“Notatori” di Pierazzo Gradenigo:“Antonio Dini da Roma che introdusse in questa Dominante l’ammaestramento di giovini nella rara Manifattura di Arazzi e Tappeti, attualmente lavora nella Contrada di San Lio un stupendo Pannello con la Vergine Madre ed il Bambino mediante fini lane colorite, intrecciate con fili d’oro e questo deve servire onde in avvenire precedere nelle più solenni Processioni la Veneranda Congregazione de Preti sotto il titolo di Santa Maria Materdomini. Il Dini gode uno stipendio mensuale et un privilegio concessole da la munificenza del Senato il 2 maggio passato ... Tempo fa costruì sino il vero ritratto di Ser  quondam Antonio che gli donò 30 zecchini.” … “A fonditori di piombo in Salizada a San Giovanni Crisostomo, in Contrada di San Lio et appresso la chiesa di Sant’Agostino fu concesso permesso di fondere piombi nelle situazioni nelli quali s’attrovano, dalla mezza notte però sino al levar del sole nell’inverno, dalle 5 sino alle 9 d’estate, sempre però in fornelli possibilmente appartati con la canna alata e situata in modo da non inferire incomodo e pregiudizio…”

Nella Contrada di San Lio lavoravano e si consociavano gli uomini della Schola di San Giacomo Maggiore o Apostolo dell’Arte dei Cappelleri di Lana e Pelliccia o Feltreri.Sul primo altare entrando in San Lioa sinistra c’era l’Altare della Schola dei Capeleri de Feltroadornato con una tela di Tiziano Vecellio, il famoso: “San Giacomo Apostolo di San Lio”. Il dipinto venne commissionato nel 1558 daVenturino di Varisco Mercante Bergamasco per essere collocato davanti alla sua sepoltura di famiglia, ma nel 1566 non era ancora pronto né l’altare né tantomeno il dipinto.

I Capelèri erano un’Arte Veneziana Antica il cui Capitolarerisaliva al febbraio-marzo 1280, e i cui prodotti finiti venivano bollati e foderati distinguendoli fra “Cappelli di castor, di mezzo Castor, d'Agnino di Spagna, di Gambello, d'Agnino di Padova, di lana pregiata o ordinaria”. I Soprastanti dell'Arte stabilivano le misure e le forme dei cappelli, esaminavano i lavori trovandone i difetti e valutandone la buona confezione, visitavano 3 volte al mese la trentina di laboratori dell’Arte, e controllavano che venissero rispettate le norme dell’Arte: “Non si dovrà lavorare di notte dall’inizio di febbraio a San Michele … Ogni Mastro non potrà stipendiare se non un solo altro Mastro, due Lavoranti e un Garzone ... La vedova di un Capelèr potrà continuare l'attività del marito Morto, ma solo per un anno.”

I Cappelleri Veneziani avevano in San Lio accanto all’altare anche la loro Arca di Sepoltura. Si congregavano là organizzando un tradizionale “Pasto comune di carità” ogni prima domenica di febbraio … Nel 1680 vennero rimproverati i circa 150 Cappelleri attivi a Venezia, perché da tempo trascuravano l'Altare, e disertavano la Festa del Patrono “con scandalo dei fedeli di San Lio”… I Cappelleri allora si giustificarono dicendo che nella stagione estiva quando cadeva la Festa del Patronomolti Cappelleri si trovavano fuori dalla Laguna impegnati nella Fiera di Senigallia. Si spostò allora la data della Festa.

Ancora il 05 ottobre 1785 il suddito Nicolò Parochi ottenne il privilegio per 15 anni di produrre a Venezia cappelli di truciolo candidi e colorati, di varia foggia e ornamentazione, simili a quelli prodotti anche a Mantova, Modena e in Toscana, e di gran moda in tutta Europa in controtendenza con la moda dei cappelli all’inglese, Francese, Tedesca e di Terraferma. Tre anni dopo, l’industria-fabbrica privilegiata del Parochi aveva una giacenza di 3.346 cappelli di pregio, inviava via mare 4 colli con 1.729 Cappelli alle Fiere di Sinigaglia tramite il socio Bortolo Celiniritornandone a Venezia 150 d’invenduti, e impiegava 170 persone quasi tutte donne che lavorano a domicilio in diverse Contrade Veneziane, soprattutto in quelle di Sant’Antonin e Sant’Aponal, o erano “figlie dell’Ospedale degli Incurabili”, o Buranelle o Converse e Monache del Monastero di San Vio di Burano… Per il Parochi lavoravano anche altri 15 civili, fra cui una donna, che non volevano essere nominati.


Oltre ai Cappelleri, a San Lio c’era anche l’anticaSchola dei Santi Quirico, Giuditta e Lucia dei Tiraoro e Battilorodel 1309 ospitata inizialmente nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo. Fu dopo una lite (1709) fra il Gastaldo Pizin Bossi e il Capitolo di San Lio, che i TiraBattilorosi spostarono accanto alla chiesa di San Stae affacciata sul prestigioso Canal Grande (1711)costruendovi la loro nuova sede. La loro decina di preziose botteghe rimase comunque a San Lio accanto agli Oresi, Zogelieri, Indoradori e Cuoridoro loro acquirenti concentrati a Rialto. I Tira-Batioro a foja(foglia) o a tassètto”(detti così per il loro piccolo incudine) erano un mestiere artigianale esclusivo, praticato da poco più di una dozzina di artieri ultra specializzati che riducevano l’oro in filo intrecciandolo poi con fili di seta che venivano applicati su stoffe ricamate e preziose; oppure riducevano l’oro in sottilissime lamine usate per confezionate "libretti e Breviari di pregio” ...  Quando nel 1595 i TiraBattiloro attivi a Venezia erano 41 in tutto, di cui 12 ormai vecchi e inabili al lavoro, in parallelo il Consiglio dei Dieci approvò gli Statuti, e autorizzò la Schola d’Arte-Mestiere della Nazione Tedescadei Batioro Alemanni, che associando una cinquantina di iscritti, fabbricava e vendeva “stagnole da colori” sotto la protezione di Santa Barbara. Non fraintendete: non era cosa da poco. Fabbricavano lamine d’oro inserendole dentro a doppie guaine di pelle o tra copertine lignee, e con queste decoravano mobili, cornici, suppellettili distinguendosi ma integrandosi con i Battiloro Venezianiper qualità e tipologia della lavorazione.  Poco prima della Grande Peste del 1620, i Battioro Allemanni intendevano ritornare in patria a causa della grave congiuntura economica del mercato veneziano. La Serenissima allora andò loro incontro riservando l’esclusiva di quei lavori solo a moglie e figli degli Artieri Tedeschi. Superato il periodo di crisi, l’Arte Tedesca-Venezianacontinuò la sua opera in Laguna fino al 1804.

Nel 1750: i Mercanti si lamentavano che i Filatori d’oro e d’argento avevano accresciuto di un terzo le loro pretese, nonostante da un carato d’oro traessero solo 12-13 braccia di filo contro le 15-16 che sapevano trarre un tempo. Dicevano inoltre che i loro figli avevano riempito l’Arte di gente inesperta e incapace. Risolsero ogni questione i Francesi giunti a Venezia all’inizio del1800: soppressero l’Arte trasformandone la sede in deposito di carbone, poi, vista che era scomoda, la lasciarono andare in rovina del tutto. Come ultimo atto frutto di connaturale alta e raffinata sensibilità: “vendettero le banche, gli inginocchiatoi, il vecchio altare, i seggi e gli schienali intagliati in legno dipinto della Schola dei Battiloro provenienti dal vecchio coro della chiesa di San Stae: come legna da ardere.”

Ho finito …Qualche mese fa ormai, giusto sul Ponte di Sant’Antonio a due passi da Campo San Lio, una vetusta Veneziana si lamentava incazzosa a gran voce: “E’ una vergogna ! … Diversi euro par una bossètta de disinfettante ? … e do euri obbligatori par la mascaretta par podèr entràr in Farmacia ? … Ma còssa xèla ? Un’oreficeria ?”

La Contrada di San Lio sta respirando e bisbigliando ancora ... sottovoce.



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