#unacuriositàvenezianapervolta 282
Fra Campanere e Periclitanti
Venezia è sempre stata tutto e il contrario di tutto: Devozione sfegatata, Mito, Leggenda. La Cittò è sempre stata impegnata a dare il meglio di se per essere il top di topo: “l’eccellenza e la qualità” nel Diritto, nella Politica, sul Mercato, ma anche nel peggio: nella fame, e nel darsi botte da orbi, nel raggirare o condannare squartando a destra o sinistra, o abusando in ogni modo. Venezia sempre piena di chiese, Sante Reliquie, Schole, Monasteri e splendidi palazzi, ma anche di bèttole e luride Prigioni, Casini di bari e lusso, Carampane, Castelletti e bordelli vari, nonchè d’infinite caxette infime dove la miseria e l’ignoranza erano stabilmente di casa a volte guastando anche le regole basilari della convivenza naturale fra Padri e figli e parenti tutti.
Fra l’esuberanza sguaiata di un Carnevalee l’austerity mesta e penitente di una Quaresima, qualsiasi soppruso era non dico ammesso, ma perlomeno taciuto e coperto se si trattava soprattuto di Nobiltà o Ecclesiastici … Non a caso la Serenissima si è dotata per secoli di un’infinità di soluzioni (come tante altre città) atte ad ospitare I frutti dell’illecito, e per leccarsi le ferite di tanti disagi e magagne dall’effetto cronico o insanabile.
La lista dei “Luoghi del Soccorso” della Serenissima Repubblica la conoscete: “Pietà, Santa Maria del Soccorso, Zitelle, Convertite, Penitenti, Terese”, senza contare le centinaia di Ospizi e Hospedaletti grandi (Incurabili, Ospedaletto,San Lazzaro dei Mendicanti) e piccolo sparsi per le Contrade Veneziane buone per ogni forma di male e povertà.
Traggo da cronache Veneziane qualsiasi: 1730: “Il NobilHomo Pietro Priuli ed il suo socio Mercante di seta Pietro Signorini decidono che:“..dagli utili che piacerà a dio concedere a soradetta Compagnia, dovranno essere estratti 2% per essere dispensati in Opere Pie come tra essi compagni resterà accordato.”
Sei anni dopo nella nuova contrattualità per iI Lavoro dei Veneziani del settore, i soci Agostino Rubbi e Francesco Occioni s’impegnarono a riservare ogni anno 300 ducati “da destinare a carità ed elemosine”, confermando le volontà e disposizioni già in atto dal 1718 … Don Francesco Milesi ricevette denaro da Giovanni Luigi Occionicon le parole: “Per implorar l’Assistenza Divina … Resta convenuto dalla corrente Compagnia di far celebrare ogni anno Messe 200 a sollievo delle Anime Penanti in Purgatorio, acciò queste porgano preci all’Altissimo che tenghi lontane le disgrazie … e ducati 50 valuta corrente d’essere metà per cadauna delle parti disposti in elemosina a piacimento loro.”
Curiosa iniziativa … Stessa cosa fecero gli eredi: i quattro fratelli Occioni, nel 1804: “curandosi però di ridurre a100 le Messe, e a 30 ducati correnti l’esborso del denaro a favor dei poveri per via dei tempi diventati difficili”
Sulla stessa sintonia, nel 1781, la Società di seta Bianchi-Passalacqua:“Sembrava voler contrarre una specie di mutua obbligazione col Padreterno scrivendo: “Perchè Iddio Signore benefichi e feliciti la presente Società con abbondanti utili e copiosi vantaggi, si doverà dalla Cassa del Negozio estraere ogni anno la summa di ducati 50 correnti da lire 6,4 da essere distribuiti in elemosine per una metà dal detto Sig.Bianchi Capitalista e per l’altra metà dal detto Sig.Francesco Direttore conforme sarà dalle loro coscienze additato.”
L’anno seguente: il Setificio Zaniboni provide a versare 75 ducati correnti annui previsti: “Due terzi della somma verrà distribuita fra i poveri della Contrada di Santa Croce dov’è ubicata la Tessitura nei pressi del Monastero di Santa Chiara (dove a breve sarebbe sorta la Manifattura Tabacchi). Il rimanente andrà ai poveri della Contrada di San Martino di Treviso dove opera la Tintoria della Società.La suddetta elemosina sarà col mezzo del Direttore Zaniboni pagata in mano de Parroci o delli Presidenti di Fraterna per tal oggetto.”
La Compagnia della Tintoria Zavaletti-Caenazzo stabiliva a sua volta: “Che ogni settimana si faccino celebrare 2 messe della Cassa del Negozio in suffragio delle Anime del Purgatorio acciò intercedano prosperità et aumento al negozio medesimo.”
Sorrido perplesso: quei poveri diseredati diventati “in morte” anche “Anime Purganti e Penanti in Purgatorio”, erano stati qui stessi Padroni-Dirigenti premurosi a produrli e renderli tali sfruttandoli e dando loro stipendi da fame in condizioni lavorative pessime, senza diritti e privati di molto altro ancora soprattutto le donne… La Coscienza imprenditoriale si sentiva comunque a posto, e ambiva che anche da Morti i dipendenti facessero “buon viso a cattiva sorte” a favore dell’Azienda ... Tutto giusto e in regola, come da copione … O forse no ?
I tempi, le persone e le Istituzioni funzionavano così con buona pace di tutti. 1700 e 1800 furono secoli in cui a Venezia se da una parte in modo bigotto s’era portati a tutti I livelli a mascharare e tenere tabù tante cose, dall’altra ci si peoccupava con qualche spicciolo donato di “mettere una toppa: un tacòn, di far tornare I conti salvando capra e cavoli” su situazioni che avrebbero meritato, invece, d’essere smascherate e portate allo scoperto facendo Giustizia e facendo cadere più di qualcuno giù dal suo prezioso caregòn (seggiolone):”Un’epoca con diversi falsi basabanchi e ciavasanti, un po’ doubeflace Politico-Religioso coperta da dorata facciata di Dedizione, Santità e Onestà.”
Fra le ultimissime iniziative sorte in Laguna prima che il problematico napoleonino spazzasse via tutto: buono e cattivo insieme, ce n’è una da ricordare perchè forse un po’ dimenticata. E‘ quella delledue sorelle Caterina ed Anna Castelli, che vissero in quell’epoca come proprietarie della rinomata Fonderia di CampaneCastelli “All'insegna della Madonna” da cui uscirono anche le campane di San Moisè.
A loro succedetteronella proprietà i Dalla Venezia che spostarono di un poco la fonderia appena giù dal Ponte dei Dai.
Cosa un po’ insolita: vero, parlare di Campane e Fonderie a Venezia ? La Fonderia sorgeva sull’attuale Rio Terà de le Colonneverso Piazza San Marco, a soli due passi da Santa Croce degli Armeni: area depressa bonificata e interrata dove fino al 1837 scorreva il Rio delle Strasse fra Rio dei Scoacamini e Rio dei Ferali che andava a costeggiare la zona dietro alle Procuratorie Vecchie di San Marco:RIVO AGGERRATO ACUQAEDUCTU SUFFECTO VIA NOVA APERTA EST 1837 dice una lapide collocata in zona.
Lì dunque c’era un Ponte della Campaneche scavalcava il Rio immettendo nella Calle dei Fabbri. Troppo costoso per i francesi prima, gli austrici dopo, e per gli stessi Veneziani scavare i canali. Si ritenne meglio imbonirne alcuni, così da liberare le Contrade dai miasmi e valorizzare ulteriormente alcune più centrali. Poco importava se si mandava in tilt la storica rete dei canali Veneziani dove da sempre: “sei ore a crèsse e sie ore a càla”mantenendo il secolare, anzi: millenario equilibrio naturale dell’habitat Lagunare.
I Fabbri di Contrada erano fra l’altro ancheFonditori di Campane, cioè: “facevano gètto di metallo fondendo campane e campanelle di ogni sorta e misura, nonché altri oggetti in bronzo come mortai, e cose simili.”
L’Arte della FonderiaCampanaria era antica a Venezia, importata dai Bizantini sulla scia delle abitudini Greco-Orientali. A Venezia si raffinò ulteriormente in quanto la vita della Città era scandita nelle ore in ogni angolo. Ai Veneziani piaceva scampanare all’inverosimile:“Ogni Contrada batte le ore sulla sua pignatta.”… Ogni casa, palazzo, chiesa aveva la sua campanella, senza contare quelle dei Tribunali, dei Capitoli dei Monasteri e degli Ospedali. Se c’erano occasioni speciali poi: vi lascio intendere. Ogni pretesto era buono in Laguna per scampanare: Feste, Messe e funzioni di ogni sorta, Ricorrenze, Funerali, Matrimoni, Processioni e mille altre solennità inventate e patrocinate da un esercito di Schole, Monasteri, Parrocchie, Preti, Frati e Muneghe ai cui richiami i Veneziani non si sognavano di non aderire e resistere in alcun modo:“ Fra piccole, sonèlli, mezzane e campanoni era tutto un fracasso da mattina a sera, e anche di notte … La Campana Prima Marangonaannunciava inizio e fine del lavoro dei Carpentieri dell’Arsenale e delle sedute del Maggior Consiglio; la campana Seconda di Nona segnava mezzogiorno; la Trottiera Terzasuonava il vespro, e dava il secondo segnale ai Nobili che dovevano affrettarsi spronando le cavalcature per partecipare alle riunioni del Maggior Consiglio; la Campana di Mezza terzaoQuartaannunciava le riunioni del Senato; la minore “la piccola” annunciava le esecuzioni capitali, mentre il “plenum” a distesadi tutto il coro-concerto delle campane contemporaneamente annunciava le grandi occasioni Liturgiche e Statali dei Giorni Ordenadi e delle Feste, che erano almeno una quarantina l’anno.”
Nell’occasione dell’elezione del Doge Domenico Selvonel lontanissimo 1071 si scrisse:“Quam magnus etiam campanarum tum fuerit sonitus nullius dicti vel scripti expositione animadverti potest”. Non meravigliò quindi un decreto del Consiglio dei Diecidel 7 febbraio 1424 M. V., che proibì di suonare le campane cittadine:“a prima hora noctis usque ad matutinum Sancti Marci”.
Ricordo che da bambino il mio vecchio Piovano Marco Polo dell’Isola di Burano mi diceva più che spesso: “Dai Stefano ! … Sòna un segno de campane che cusì xè Festa !” ed io allora accendevo tutti i bottoni delle campane del Campanil Storto de San Martin in Isola, per dare appunto un “Signum” che scandiva e interrompeva il ritmo della ordinata vita quotidiana della collettività Buranella ... A volte le lasciavo suonare proprio a lungo, perché fosse proprio Festa, tanto è vero che i Buranelli non ne potevano più, e mi mandavano a quel paese: io insieme alle campane e a tutto il resto ... Memorabile una volta: obbediente all’ordine del Piovano accesi le campane, e me ne andai a giocare al pallone nel campetto dietro alla chiesa … Chi le sentiva più ? … Le sentirono bene però I miei compaesani ... e vi tralascio il resto.
Fin dal 1286 a Venezia si ricordava Mastro Enrighetto esperto nella fusione delle campane. Fin da quell’epoca si faceva riferimento ad alcune stationesdedite all’Arte di fondere campane e altri oggetti in bronzo. Nella Contrada di San Luca nel Sestiere di San Marco c’era una “Statiòn Grande dell’Arte de Campane” non distante da Calle dei Fabbridove operavaMagister Vetor attivo fino in Abruzzo, Magister Lucas (1320), Manfredino da Venezia, che nel 1321 fuse una campana per San Giovanni in Sacco lavorando campane in tutto il Triveneto e fino in Puglia; e Vivenzio col figlio Vittore che nel 1320 fusero la campana oggi in Castelvecchio di Verona, e la “Campana dell’Arengo” di Vittorio Veneto (1342); e Mastro Vittore da Venezia, che fuse assieme al padre la campana per la Cattedrale di Verona (1358), ele tre campane della Torre del Duomo di Chioggia (1354), dove andò poi ad aggiungere campane anche Mastro Antonio figlio di Vittore nel 1426 e 1431.
Del 1361, invece, la notizia dei fratelli Vendramo dipendenti di Vincenzo Campanato o Campanariusproprietario di parecchi immobili a Venezia confinanti con la proprietà diSer Michiel Campanato e fradelli,e di terreni a Mestre, autori di molte iscrizioni incise su campane. La bottega dei Vendramo fondeva oggetti distribuiti in Centro Italia, Toscana, Gemona del Friuli (1340 e 1393), Istria, Dalmazia,Castel Tesino, Verona, Lucca, Fermo, Teramo, Urbania, ed esportava fino a Malta (1370), Cipro e Alessandria d’Egitto.
Nello stesso 1361 Vivençius dettò il suo testamento davanti al Notaio Rana, dichiarando d’avere alle sue dipendenze nella Statiòn Granda de San Luca: sette operai e due apprendisti o famigli. Con lui collaboravano anche suo nipote Belo, i due figli Vettor e Nicoleto e il fratello Nicola: tutti Mastri Fonditori riconosciuti di campane, lavèzi e mortèri.
In un inventario del 1456 vennero contati 209 tra lavèzi e mortèri pronti, 100 forme di campane grandi, mezzane e piccole e battacchi, e altrettanti fusi per “far far le forme in più volte”.
Una dinastia Veneziana diversa diCampanati o diDelle o Dalle Campanedel 1500 abitava e operava in Contrada di San Pietro di Castello, dove fino al 1661 sorgeva forse un’altra fonderia di campane. Nel 1500 a Venezia era attivo il laboratorio artigiano di Giovanni Pietro Fucina e di Gasparo Dalle Campane, che produssero un“sacro bronzo” venduto nel 1526 a Orsogna (Chieti in Abruzzo) tramite Simone Peri Campanaro, Mercatante di campane e fonditore Veneziano.
Nel 1600 entrarono in gioco nuove famiglia di Campanari attivi a Venezia: De Toni, Ciotti e Di Calderani. Macarin, e la Fonderia De Poli che fino a tutto il 1700 oltre a campane fondeva anche mortai, pestelli, e piccole bocche da fuoco in quanto l’artiglieria pesante Veneziana veniva prodotta in esclusiva all’interno del superprotetto Arsenale.
La Fonderia De Poli ha disseminato di campane diversi luoghi della Serenissima e numerosi Stati Esteri: Modena, Bologna, Francavilla al Mare di Chieti (una campana per Santa Maria Maggiore 1664), e Borgo di Bonavicina a San Pietro di Morubio di Verona (1673), avviando altre fonderie anche in Trentino, a Ceneda dal 1453 (una campana per il Duomo 1481), Udine(una campana per Castagnaro), e Trieste (una campana per San Giusto 1606).
Nel 1700 continuò ancora il commercio di campane a Venezia prodotte dai Ravenna, Zambelli, Plati, Briseghella, Alberghetti, Martini, e da Nicola, Vincenzo e Domenico Cancian Dalla Venezia che consociate con la ditta Baso di Santa Maria Nova, misero campane in diverse chiese Veneziane: San Giorgio Maggiore (1791), San Pantalon (1801), San Marco: sostituzione della Marangona e del Campanòn de Candia (1808) e la Nona, Pregadi e la Trottiera (1819), San Zaccaria (1815), San Lorenzo (1827) e Sant’Andrea della Zirada (1838) rilevando i locali della Fonderia in Calle dei Fabbri che era stata delle Sorelle Castelli.
Rieccoci quindi alle due Sorelle Castelli.
Nel 1751 quando i Birri della Serenissima uccisero in Laguna il Buranello Antonio Vio di professione “sartorello” considerato un prepotente intollerabile già bandito più volte dalla Repubblica, sorse a Burano (1749-1797) la “Compagnia del Patrocinio delle Donzelle Periclitanti” con lo scopo più che palese dal suo stesso nome. Già l’anno precedente il Padre FilippinoFrancesco Rossi di Burano aveva organizzato insieme ad alcuni benefattori una Compagnia laica di 5 Cittadini per gestire un “capitale depositato” con lo scopo di fornire “dote da 300 ducati a fanciulle giovani fra 14 e 18 anni, già svezzate e ben addentrate nelle cose del vivere in quanto più di qualche volta traumatizzate e violentate, o reduci da esperienze travagliate, perdite dei genitori e incauti abbandoni … Le povere donzelle periclitate venivano ospitate e poste in educazione in casa di alcune Maestre Cristiane o nel Convento di San Vito di Burano, e vivevano delle solite generose elemosine dei Buranelli e di quelle diZente Nobile e Honesta de Venezia”.
L’anno seguente si provvide a redigere lo “Statuto delle Donzelle Periclitanti”, e s’iniziò a tenere un “Quaderno dell’Onoranda Compagnia intitolata: “Il Patrocinio delle Donzelle Periclitanti”, un “Quaderno rendite per Maritar e Monacar Donzelle Periclitanti”, e un “Giornal de Cassa per maridàr e munegàr Donzelle Periclitanti” in cui si segnavano gli interessi dei capitali investiti in Zecca; le rendite provenienti da alcuni immobili posseduti in seguito a Burano; le entrate delle due grosse “Commissarie Testamentarie”di Gasparo Caffrè(1778) e di Nicolò Donà quondam Nadal marito di Marina Nani Donà della Contrada di Santa Fosca in Venezia; e le liste in ordine alfabetico delle fanciulle col pagamento effettuato delle “dote”.
Di fatto s’iniziò ad ospitare Periclitanti a Burano solo nel 1782, perché Don Rossi morì nel 1763 lasciando le sue risorse all’ “Opera Pia” compresa la “casa in piazza” che venne però comprata dal Medico Albano Zampedri.
In realtà l’esperienza dell’ospitalità a Burano delle Periclitanti era una specie di trampolino di lancio che predisponeva le ragazze ad entrare dentro alle rinomate strutture Veneziane, a servizio delle Casate Nobiliari, o in Scuole o educandati privati finanziati da nobildonne filantrope e benemerite, da dove spesso finivano col maritarsi “con qualche bòn partido” o vecchio Nobile facoltoso, o ancora più spesso per vestire l’abito da Converse(non da MonacheCoriste Professe: ruolo riservato a NobilDonne con disponibilità di “doti”da non meno di 1.500 ducati e fino a 6.000) in qualche Monastero come quello di San Vito di Burano o qualche altro in Venezia Le Periclitantidovevano essere: “… in tutto povere, evidentemente Periclitanti, e soprattutto di vivacità e qualche avvenenza”(le bruttone erano proprio sfigàte del tutto … poverette).
A proposito di “Periclitanti”… In quegli stessi anni Carlo Belli Avvocato Veneziano scrisse preoccupatissimo al Tribunale della Serenissima chiedendo di porre fine alle molestie che il Padovano Antonio Ferrarese suo Servitore procurava alla sua casa e soprattutto a sua figlia minore “da lui già deflorata, rapita et resa incinta”… Da parte sua l’aveva già licenziato e non intendeva concedergli un “matrimonio riparatore”; aveva inoltre già tolte le sue figlie dal Monastero di San Vito di Burano per assistere la madre e un fratello di soli sei anni, lì comunque rimaneva “ancora in educazione” la figlia maggiore; soprattutto si dichiarava incapace di presidiare la propria abitazione a causa delle “sue incombenze di mezà e di Foro”… Qualche tempo dopo un Fante degli Inquisitori dello Stato Serenissimo accompagnò Antonio Ferrarese fuori dello Stato Veneto … ed era il 26 aprile 1760.
Qualche altra Periclitantedi Burano finì ospite nei Monasteri diEste e Padova, e solo nel 1807, il capitale, gli interessi degli investimenti in Zecca e le rendite delle Periclitanti di Burano provenienti dagli immobili posseduti in isola vennero incamerati dall’Istituzione delle Penitentidi Venezia sita sulla Punta estrema del Sestiere di Cannaregio.
In sincronia probabilmente con l’iniziativa delle Periclitanti di Burano, secondo quanto scrisse Luigi Perotti nel 1846 nel suo:“Memoria sui Luoghi Pii e sulle Confraternite Laiche di Venezia”: “Volgeva l’anno 1748, quando il Reverendo Padre Rossi dei Preti dell'Oratorio, si fece a chiedere al Veneto Senato il permesso di aprire un Asilo per le fanciulle in pericolo. I Governatori delle Zitelle, temendo che potesse venirne pregiudizio a quella Pia Casa nel caso di legati, vi si opposero, rappresentando che in sussistenza dell'Instituto che sopravvegliavano, non abbisognava aprirņe un secondo; tanto più che ampio era il locale delle Zitelle e capace anche di contenerne maggior numero; per cui, trattandosi di una instituzione perfettamente uguale, sarebbe stato opportuno, anzi che dividerla, tenerla unita. Il Senato, per conciliare le premure delle due parti, con decreto 28 agosto 1749 permise al Padre Rossi di effettuare il suo disegno, a condizione per altro, che le fanciulle per esso raccolte, prendessero il titolo di Periclitanti, e che la casa, che avrebbero abitata in Venezia, fosse non altro che un deposito d'onde si sarebbero sparse, a breve termine, nei Conventi di Monache della Terraferma per esservi educate e mantenute co' mezzi de' quali avrebbe potuto disporre la nuova institzione … Il buon esito avuto dal Padre Rossi nella sua domanda, fe' nascere desiderio d'imitarlo a due sorelle Castelli, proprietarie di una fonderia di Campane. Offersero esse al Senato, che prontamente vi aderì, di dedicarsi esclusivamente alla educazione e al mantenimento di 12 fanciulle, al fine poi di collocarle a seconda delle oneste brame che avessero spiegate. La casa delle Castelli venne aggiustata a stanza delle alunne che furono chiamate ad abitarvi, denominate Discepole della Beata Vergine volgarmente le Campanare, dalla professione delle loro institutrici.”
Le due sorelle Castelli Campanare o Campanate, insomma, fautrici della fusione diuna campana per la chiesa della Contrada di San Luca, vendettero nel 1758 la Fonderia-bottega livellando altre proprietà che la loro famiglia possedeva alla Giudecca fin dal 1553 presso il Ponte Piccolo acquisite dai Grassetti e Perelli. Due anni dopo acquistarono una caxetta, posta in fondamenta de la Contrada della Croxe Grande, dove fondarono come Benefattrici l’Ospizio de le Campanare Periclitanti e Discepole della Beata Vergine”.
Solo vent’anni dopo (03 ottobre 1778) il Collegio-Conservatorio di Fanciullevenne ufficialmente riconosciuto dal Senato Veneto come Opera Governativa: “a condizione che non si erigesse un nuovo Ospedale cioè un nuovo Istituto Assistenziale, e non avesse un Oratorio Pubblico.”
Il patrimonio delle Periclitanti fruttava la rendita lorda di Lire Venete 16.112,12. Avevano inoltre Capitali depositati in Zecca per ducati effettivi 281,046:19 ... Le rendite di ognuna delle Campanare ammontava a Lire Venete 342:7, e tenevano in proprietà ulteriori Capitali in Zecca per la somma di ducati effettivi 7631:11.
L’Opera Pia delle Campanere Periclitanti fu attiva fino al 1797, quandocaduta la Repubblica, e in applicazione dei decreti del 1807, l’Istituto-Ospizio venne soppresso trasferendo le ospiti presso il grande Ospissio delle Zitelle della Giudecca.
L'edificio in realtà rimase vuoto e inutilizzato, fino a qualche tempo dopo quando ritornò di nuovo a ospitare giovani educande cambiando nome in Ospissio del Beato Giovanni Marinoni. Il tutto fino al 1850, quando caxetta, vicina antica chiesa di Santa Croxe e annesso Convento vennero del tutto demoliti per allargare gli ameni Giardinetti Papadopoli(oggi di fronte al Ponte di Calatrava a un passo da Piazzale Roma).
Ancora negli anni 80, quando facevo il Prete a Venezia, ho raccolto tristissime confessioni “d’insospettabili” che sottoponevano vedove e ignari bimbi e bimbe ai peggiori sopprusi in cambio di un tetto dove stare, e di quattro soldi per sopravvivere. Quei bimbi e bimbe, così come certe donne, furono fra gli ultimi ad essere ospitati in quelli che furono i resti degli antichi “Soccorsi e Opere Pie della tramontata Serenissima”. Gli insospettabili che li avevano traumatizzati e trascinati in basso in quelle squallide condizioni, spesso andavano ogni Domenica a collocarsi elegantissimi in primo banco in chiesa davanti a Dio con a braccio la bella sposa e la perfetta famiglia. Non mancavano mai di far centellinare pomposamente l’obolo generoso della carità adergendosi a modello di ogni bella virtù.
Che schifo mi facevano quelle orribile facciate !… Le ho sempre considerate disgrazie vigliacche davanti a Dio, sulle quali non si sarebbe dovuto tacere per via del segreto confessionale. Quel che mi schifava di più era il fatto che diverse persone “per bene” che tutto sapevano, ritenevano che era bene per tutti che regnasse quel totale velo di omertà e silenzio sopra quelle situazioni rimaste impunite: “Ci penserà alla fine Dio Giudice di tutti, che tutto vede e tutto sa” mi ripetevano bèceri e ricchi di compatimenti e scuse anche certi miei Confratelli Preti, che non intendevano toccare in alcun modo certi “castelli di carta vuoti ma benemeriti” che primeggiavano comunque nella Società dei Buoni.
Colori politici multicolori gestiti dal vento si sono alternati nel gestire Venezia allineandosi nel tacere come i loro predecessori mantenendo lo “status quo” del sistema così come hanno fatto tanti, Sindacati ampiamente venduti, e Politicanti e Sindaci sempre in primo banco in Basilica di San Marco a baciare patriarcali mani, per poi andare a comprare per poco o niente le terre dei contadini Veneziani per farne futuro Aeroporto, o discarica delle peggiori cose prodotte dal moderno benessere industriale … Tutti sapevano tutto di tutti, ma era comodo sussurrare che forse non era accaduto niente per rispetto alla memoria dei Tanti, e dei Principi, e dell’onore delle Istituzioni, e della solidità affidabile della Struttura Sociale.
Bah ! … Che falsi ipocriti ! … anche se grandi affabulatori assistenziali.
Anche questa comunque è stata Storia Veneziana.