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Gli Acquavitai Veneziani di San Stin
Quella della Graspètta non fu mai prerogativa esclusiva di Campagna, o tipica dei Rifugi, delle Baite e della Malghe di Montagna … Anzi. Venezia fin da sempre fu piena di “facitori, intrugliadòri e alambiccadòri de Gràspa” e affini di ogni sorta. Sappiamo anche, che fin da secoli remoti i Veneziani ne fecero una vera e propria Arte e Mestiere “ricca de secrèti”, come d’altronde si faceva quasi su tutto a Venezia.
“L’Acqua di Vita è il frutto della ricerca della Divina Essentia, l'Elisir dal Cielo, il distillato di Conoscenza Umana e Filosofia Ermetica, la Quinta Essenza di ogni cosa, l'Elemento Puro ... E’ l’Acqua Ardens, l’Anima Vini, l’Acqua Vitae.”
Nei secoli passati si è provato a distillare qualsiasi sostanza Vegetale, Animale o Minerale, dallo Stramonio al Sangue, ma le “maggiori Virtù” si ottennero con l’Acqua di Vite: l’Essenza del Vino, considerata adatta:"ad infinitos morbos, tam interius quam exterius".
Secondo il Medico Arnaldo di Villanova della fine del 1200:“L’Acquavite dissipa ogni Umore superfluo, rianima il Cuore, guarisce le coliche, asciuga l’Idropisia, le febbri, preserva dalla Peste eliminando l'aria pestilente; supporta la debolezza degli occhi; cura le ferite; giova contro i dolori di Polmone, Milza, Intestino, Denti e Testa; toglie le macchie dal viso, il cattivo odore dalla bocca e dal naso; favorisce la digestione; rilassa; fa vomitare il sangue marcio; rinforza la memoria; è efficace contro l'itterizia e le balbuzie; espelle i vermi; schiarisce la voce; converte la sterilità in fertilità; ringiovanisce l'Huomo prolungandogli la Vita; lo rinnova di dentro, e quasi novella Fenice lo rende agli occhi altrui spettabile e mareviglioso."
Fu per tutto questo che un po’ ovunque: dai Palazzi alle case, dai Conventi di Frati e Monache alle Canoniche dei Preti si provò sempre a produrre l’Acqua per la Vita, e divenne quindi davvero labile il confine e la distinzione fra Liquoreria, Speziaria e Farmacia, cioè fra i preparati farmaceutici, una buona bevuta e i ritrovati alchemici, in quanto tutti miravano in un modo o nell’altro a rendere migliore la Vita … E ci riuscirono parecchio.
Anche perché ieri e per secoli, non dimentichiamolo, si è avuta un’idea della Vita-Esistenza, e del funzionamento del nostro corpo molto diversa dalla nostra di oggi. Si era convinti che tutto e “ogni complessione” dipendesse dai Quattro Umori: Aria, Acqua cioè Flemma, Terra e Fuoco. La Fisiognomica descriveva in base agli Elementi i quattro Temperamenti Umanie i caratteri, i volti, i modi d’essere di ogni persona. Le Quattro età che viveva ogni Uomoe Donna, e la Personalità di ciascuno si distinguevano nel: Flemmatico, Collerico, Sanguigno e Melanconico. Ciascun caratterecorrispondeva, interagiva e dipendeva, chi più e chi meno, da quei quattro Elementi Vitali di base, che a loro volta subivano l’influsso di molteplici cose: come, ad esempio: le congiunzioni e gli allineamenti dei Pianeti e delle Stelle dello Zodiaco.
L’Acqua di Vita era capace di modificare, alterare o migliorare con efficacia quelle caratteristiche che stavano come in sottofondo, incorporate in ogni Essere Vivente.
Noi di oggi, ricchi delle conoscenze scientifiche moderne, abbiamo perso, giustamente, quel modo un po’ primitivo e limitato d’intenderci, che era di sicuro curioso. Lo rispolvero brevemente …
Gli Uomini e Donne dal Temperamento Malinconico o Melanconico si consideravano soggetti agli effetti dei Segni Zodiacali di Terra, cioè: Toro, Vergine e Capricorno, e dei Pianeti Mercurio e Saturno. Erano Tipi Atrabiliari, cioè affetti da eccesso di Bile Nera che ristagnava nella Milza. Per questo erano solitamente magri, deboli, emaciati e pallidi, dall’andatura pesante e dalla postura cadente, incurvati, rallentati nei movimenti e privi di slancio. Erano persone “fra Blu e Nero”, cioè: avari, tristi, depressi e inquieti, spesso accigliati e poco inclini al sorriso, gente introversa, autocontrollata nei sentimenti, fin troppo riflessiva e pensosa, realisti pessimisti tendenzialmente disfattisti, che prediligevano il freddo e il secco … Corrispondevano al Tempo Autunnale della Maturità Adulta Umana.
Venivano considerate Donne Melanconiche quelle magre, ritrose, poco amichevoli e scarsamente disponibili, quelle volubili, quelle sterili, o le zitelle senza marito. Donne spesso sofferenti di mal di testa, e dalla schiena dolente dovuti appunto all’eccesso della presenza della Bile Nera che ristagnava dentro al loro corpo. Secondo la loro costituzione, erano portate prima o poi a gonfiarsi improvvisamente per via del liquame e delle impurità che si accumulavano dentro di loro, non fuoriuscendo con la depurazione mensile del ciclo femminile.
Il Melanconico poteva esprimersi facendo tanto male quanto tanto bene: poteva convertire il piombo in oro, o essere Filosofo eternamente sorpreso dalle cose del vivere, un Veggente-Sapiente capace di captare ogni Bellezza, ma anche una persona instabile, ostinata, ansiosa, sprezzante, fino ad essere: disperato suicida, o uccisore di persone per raptus improvviso.
I Melanconici per riequilibrare il freddo secco che aveva dentro, dovevano assumere cibi caldi e umidi come: Asparagi, Datteri, Fichi, Mandorle, Mele, More, Uva, Vino rosso, Zucchero e Dolci in grado di bilanciare l'amarezza della loro eccessiva Bile Nera.
La persona Collerica-Biliosa, invece, era un Carattere Difficile per via dell’eccesso di Bile Gialla che portava sempre con se stazionando in Cistifellea e Fegato. Anche il Collerico sarà una persona magra, ma asciutta e slanciata, di bel colore. Sarà però un’irascibile facilmente eccitabile nei modi, un irruento esagerato ed aggressivo, un permaloso, furbo e mutevole, un generoso superbo, bellicoso e stravagante a causa dell’influsso dei Segni Zodiacali di Fuoco, cioè: Ariete, Leone e Sagittario, e dell’effetto del Solecol Pianeta Marte.
IlCollericosarà un uomo estivo dal bel colorito e dalla vista acuta e penetrante, uno che amerà il caldo e il secco, un espansivo solare, un generoso, fiero ed energico capace di diventare impavido, risoluto e ostinato. Apparirà quasi un eterno giovane adolescente, con i tratti del passionale e ambizioso, del propositivo attivo voglioso sempre d’affermare la propria personalità.
I Collerici sono spesso capaci d’essere intraprendenti imprenditori e leader trascinatori, ma sanno diventare anche perfetti egoisti per frustrazione, trattenitori di astio e risentimento.
“Le Donne Colleriche hanno la pelle dura, vene evidenti e colorito pallido. Sono portate ad apparire ed ad avere molta cura di se. Per questo vengono spesso considerate intelligenti, attraenti, intraprendenti e simpatiche. Sono di solito molto fertili seppure pudiche, amanti fedeli e onorate, temute e rispettate dagli uomini che amano il loro carattere che li sa intimidire. In realtà sono donne che non si fidano completamente, sono fredde e calcolatrici, libere, non soggette a superiorità, non si lasciano per davvero riscaldare da sentimenti ed emozioni, sono instabili, irrequiete e aggressive … Se non si sposano soffrono di dolori fisici, divengono deboli perché non sanno a quale uomo donare la loro fedeltà … Sembrano per apparenza migliori di quel che sono.”
Il Collerico per riequilibrarsi dovrà mangiare cibi freddi e umidi come l'Acetosa, le Amarene, le Arance, la Borragine, i Cavoli, i Cetrioli, l'Indivia, Meloni, Melagrane e Prugne.
C’era poi ilFlemmatico: persona linfatica, che portava in se un eccesso di Flegma, cioè d’Umore Acquatico. Corrispondeva a un tipo psicologicamente lento, mansueto e talvolta impacciato, un beato appagato amante della quiete, incline alla pigrizia, placido e sereno. Una persona comunque talentuoso, capace di concentrarsi con infinita pazienza sotto l’influsso dei Segni Zodiacali d'Acqua, cioè:Cancro, Scorpione e Pesci, e della Luna e Venere.
Il Flemmatico amerà il freddo e l'umido per via della Linfa che risiede soprattutto nella sua testa, da dove discende nei polmoni defluendo poi da naso e bocca. Per questo sarà di solito di colorito pallido e spento, bianco di colore, per via del torpore del suo metabolismo stagnante e rallentato. Sarà un vecchio invernalemancante di vivacità, flemmatico appunto, un tipo acquoso, ghiandolare, ormonale che tenderà a gonfiarsi e ingrassare diventando solitamente tondeggiante e vegetativo, poco attivo, dedito ad assecondare unicamente le sue funzioni vitali di base, a mangiare e dormire evitando occupazioni e impegni troppo dispendiosi.
Sarà comunque un amante dell’ordine, un diplomatico bonario, amante delle Virtù, una persona affidabile.
Nell'alimentarsi, il Flemmatico preferirà cibi caldi e secchi: Finocchio, Frutta Secca, Menta, Pepe, Ravanelli, Sale, Spezie e Vino rosso.
“La Donna Flemmatica sarà una tranquilla taciturna, una femmina molto pratica e concreta, stabile, priva d’inclinazioni, di aspetto severo, senza tanti ideali, progetti e scopi … un Essere Nerastro, forte e capace, quasi mascolino, ma che sa essere anche lascivo e voluttuoso nei rapporti amorosi, molto fertile e perciò con molti figli.”
Infine c’era il Sanguigno: un tipo rubicondo, gioviale, allegro, goloso, amante della sessualità per via dell’influsso dei Segni Zodiacali d'Aria, cioè: Gemelli, Bilancia e Aquario, e del Pianeta Venere.
Nel Sanguigno l'eccesso d’Aria che agisce dentro alla respirazione, nella circolazione e nel sistema nervoso, è causa della sua continua mobilità ed eccitabilità, del suo metabolismo accelerato, dell’aspetto robusto, e del colorito roseo E’ un individuo agile e scattante, pieno d’energia e dinamismo, leggermente malizioso, curiosissimo e vivace. E’ spesso un artista, un creativo intuitivo, un loquace chiacchierone che sa esprimersi bene, un comunicativo brillante e allegro, pronto di riflessi, ma di rimando è spesso anche un superficiale, un disordinato nelle cose e negli intenti del vivere, un volubile irrequieto e insoddisfatto: “… per loro natura i Sanguigni hanno sempre bisogno di un rimedio ... Il loro corpo vive in una continua condizione d’irritazione … Sono sempre in preda a desiderio intenso, col piacere che scaccia il dolore, ma che innesca la ricerca di piaceri che siano più forti ... Il Sanguigno possiede il dono di saper riconoscere lo Spirito, cioè il Bello, ma non sa sublimarlo, è poco intelligente in realtà.”
Dovrà quindi curare l’eccesso del suo Umore Rossoassumendo cibi freddi e secchi, aspri e amari capaci di riequilibrare il Sangue Caldo e Umido che ha dentro: Aceto, Cicoria, Fragole, Limoni, Mele Cotogne, More e Pere.
“Le Donne Sanguigne dal colorito chiaro e limpido, la carne morbida piacevole, i vasi sottili e il sangue sano privo d’impurità. Per questo sono portate all'Amore; amano i lavori artistici, sono riservate, e sempre molto considerate, ricercate e desiderate dagli Uomini … Sono tuttavia generalmente tendenti a ingrassare, nelle mestruazioni perdono poco sangue, il loro utero è sviluppato e forte, per cui sono fertili sebbene non partoriscono molti figli … Quando vivono senza marito e non hanno figli da curare, tendono ad ammalarsi …”
“Piglia once sei di Vin Bianco buono, cimette di Mortelli, di Moriche, Lentisco, Sorbe, Ancipresso … Anca once tre di Balaustia; once una di Scorza delle radici di Noce, Piretro, Glassa, ossa de Dateri bruciate, Rose bianche in botoni, Cannella fina … Pèstisi ben ogni cosa, e mèttasi nel lambico, o in una storta di vetro a distillare col fuoco soave, fin che n’esca tutta l’humidità e non distilli più. Metti l’Acqua Distillata in una caraffa, e dentro ne metti once due di Polvere di Corno di Cervo bruciato, et once una di Sangue di Drago in polvere, e tienla al Sole ben turata, per quattro dì, rimenando spesso, poi ti potrai lavare i denti con tal Acqua, che è la miglior del mondo, e da gran prencipi.”
“Per preparare l’Aqua Celestiale, la quala se chiama Elisir Vitae, saranno necessari più di cinquanta Semplici di origine vegetale, dramme due di Mele biancho e netto, e tanto Zucaro fino, a peso quanto due volte dell’insieme precedente. Il tutto, pestato e amalgamato, dovrà essere posto in una boccia di vetro perfettamente otturabile, con tre volte tanta Aqua de Vita distillata ... Facta cum diligentia et electa dala fleuma e dale fece, dopo averla lasciata chiusa per due giorni, bisognava mettere la bòza in suso lo fornello cum lo suo lambico sopra e cum lo suo recipiente a distillare cum lento focho. El ne uscirà una Aqua chiarissima, pretiosa. E continua el focho, fino a tanto che l’Aqua comenza a mutar colore, zioè che serà biancha. Quest’ultima Acqua, pur non essendo utile nella preparazione dell’Elisir Vitae, poteva essere impiegata per far imbianchare la faza de le done ... Sapi che questa Aqua è lavamento de Rezine e grandissime done ... La prima Acqua invece andava posta in una boccia di vetro, chiusa a tenuta stagna, con altrettanta Aqua de Vita, la quale se chiama Mater Balsami ... Poi la metti a destilar a lento focho o per bagnomaria ... E prima distillerai una Aqua chiarissima e odorifera, maravigliosa, la quala tu recevi per sé; e quando lo lambicho comenza a mutar colore, e l’Aqua ne uscirà a modo de aqua pluviale, muta lo recipiente e riceve questa secunda Aqua fin a tanto che vederai uscire la terza Aqua che è in color de sangue, la quala riceve per sé in una ampola bene serata cum cera, che non possa per nulomodo spirare alcuno spirito, e salvala como faresti una preda pretiosa e como uno tesoro ascoso: che in questo è lo mazor tesoro e si è più nobile secreto che suso l’altra sia.”
Gli Acquavitai Veneziani consigliavano l’uso dell’Acqua Vitae per le sue proprietà cicatrizzanti e antisettiche, per curare ferite, piaghe ed emorroidi, per far maturare ascessi e foruncoli, per curare le infiammazioni degli occhi e dell’apparato genitale femminile. L’Aqcua Vitae era buona inoltre, per curare la Calcolosi: “Se uno la usarà per quindici dì, uno mezo chugièro, in breve tempo ogni Lepra, ogni Stiticho, Idropicho, Paraliticho, Sinchopo, Cadùco, Gotta artethico, Siaticho, Sagnario sarà guarito …”
“L’Acqua Vitae: de veghio fa zòvene, e del morto vivo … Quando tu vederai uno apresso el tratto de la Morte, e ch’el sia abandonato per morto, e tu li meti in bocha una goza de questa terza Aqua per modo che lui la ingiotisca, in manco de dire tre Pater Nostri, pigliarà forza e revegnerà. E cum la gratia de Dio de quella infermitade sanarà”.
Non vi sorprenderà quindi sapere che molto presto a Venezia sorse un’apposita Schola degli Acquavitai o Acquaviteriche associò e regolamentò tutti gli interessati e i commercianti del Mestiere e della preziosa bevanda.
Nacque ovviamente un’altra Storia Veneziana.
A Venezia fino al 1787 ci fu anche un vero e proprio Fontego de l'Aqua Vita e dell’Arte del Sulimàr, cioè della Distilleria, con tanto di “Libri Pubblici e Quaderni Bollati e Cartati del Fontego”, che si trovava in Contrada di San Provolo (poco distante da Piazza San Marco) all’inizio o fine del Sestier di Castello.
Il Fontegode l'Aqua Vita e del Sulimàr serviva per supervisionare e controllare contrabbandi, maneggi e illeciti sulla produzione e consumo dell’Acquavite in Città:“che non doveva essere di Puro Spirito, ma unicamente di Saponata e Campanella Mercantile al 4“. L’Arte degli Acquavitai era tenuta a consumare ogni anno: 52.000 secchi d’Acquavita del Fontego, ma spesso ben 33.000 secchi rimanevano invenduti in deposito.
Questo vi farà quindi già intendere come la categoria degli Acquavitai Veneziani ha sempre preferito far affari per conto proprio, liberi più che potevano delle imposizioni e dalle ristrettezze imposte dallo Stato Serenissimo.
Tracce della produzione e commercio dell’Acquavite a Venezia risalgono al lontanissimo 1300 … Curiosamente, furono donne le prime protagoniste di quell’antico commercio … Gli uomini, forse, erano più sbevazzòni che commercianti.
Nell’ottobre 1373 venne redatto in rogito notarile un contratto di Società-Compagnia valido 3 anni del tutto simile al contratto delle Colleganze Marittime che si stendevano nell’Emporio di Rialto. Davanti al Notaio Fantino Rizzosi presentarono Uliana vedova di Marco de Cresinben della Contrada di San Marcuola, e Caterina Congelo vedova di Francesco della Contrada di San Marcilian (San Marzial), entrambe del Sestier di Cannaregio. Entrambe le donne intendevano impegnarsi nell’Arte del Solimàr mettendo a disposizione e investendo nell’impresa un capitale di 300 ducati ciascuna ... Ulianaaggiunse anche la sua manodopera, e quella di una sua schiava (a proposito di chi afferma che non esistevano gli Schiavi a Venezia).
Da contratto quindi, a conti fatti e detratte le spese, ad Uliana sarebbe spettato 2/3 del guadagno, mentre 1/3 sarebbe andato a Caterina … Chi delle due avesse contravvenuto ai patti, avrebbe pagato una penale di 200 ducati d’oro ... Si sarebbero lavorate: “Solphere, Cenabrio, Arsenico e Cusegal, e si sarebbe refatta Canfora et ogn’altra cosa che aspetasse all’Arte del Sulimàr (distillazione)”, sia per vendere o barattare i prodotti, o per conto terzi ... Le spese accessorie previste sarebbero state “per un Fatòr che tegnerà el conto di la Compagnia, et farà li suoi fati in Rialto e oltro, e per fito di stancon e de volta e de legne e di boce, de lavorenti si farà bisogno e de ogni altra cosa necessaria ala dita Compagnia.”
Contratto interessantissimo secondo me … Un quadretto sull’Arte dell’Acquavitaedi un tempo lontanissimo a Venezia.
La vera e propria Schola degli Acquaviteri sorse più tardi, e verso la fine della Storia Veneziana viene ancora ricordata ospitata, e presente e attiva in Contrada di San Stin, cioè Stefanin: una delle Contrade più piccole e dimenticate del Sestiere di San Polo di cui le Cronache raccontano poco o niente ... Bellissima la Farmacia-Spezieria “Ai do San Marchi” che sorgeva proprio in Campo San Stin, conservata oggi al Museo di Cà Rezzonico.
Chissà se lì facevano e vendevano anche la Grappa ?
Ancora nel 1725, si contavano a Venezia almeno 30 Cànevedove i Canevànti vendevano regolarmente anche l’Acquavite… Nel 1759, invece: non si dovevano superare le 99 botteghe che vendevano Acquavite nelle Insule di San Marco e Rialto, mentre era autorizzata l’attività di altre 107 nelle altre Contrade della Città ... Secondo la famosa statistica del 1773, l'Arte degli Acquavitai col suo Gastaldo che sceglieva il vino per l'"abbrùgio"annoverava: 319 CapiMastro, 103 Garzoni e 242 Lavoranti, che venivano impiegati a Venezia in oltre 155 inviamenti, 6 banchetti, e 30 posti chiusi atti, che volendo, potevano diventare altrettante botteghe … Nel 1775 le fabbriche di Acquavite di Bovolenta e Sil erano ancora gestite e controllate direttamente dall’Arte degli Acquavitai Veneziani.
Solo tardivamente alla Schola degli Acquaviteri si associarono anche gli uomini dell’"Acqua negra", cioè: i Caffettieri del Caffè, e già che c’erano, si tirarono dentro anche i Venditori di Cioccholata, e di Ghiaccio e Bevande Calde o Fresche prima, e quelli del Rosolio poi: che era bevanda molto diffusa, apprezzata e assunta soprattutto dal popolino Veneziano.
Il Rosolio nient’altro era che: Acquavite aromatizzatacon essenza di olio di Rose, mentre il Mistrà era Acquavite aromatizzata all'Anice e diluita in acqua.
Curiosa la storia della Confraternita-Corporazione degli Acquaviteri Veneziani. Erano noti non solo per la loro vitalità produttiva e commerciale, ma anche per essere molto rissosi e furbi nell’agire. Numerose sono le liti degli Acquavitai raccontate dalle Cronache Veneziane: “Vi sono otto o dieci Caporiòni dell’Arte degli Acquaviteri, che stanno sempre in carica, andando di una in altra senza che alcun altro che non sia della loro fazione possa mai sperar di entrare in governo ... Fanno alto e basso, tutto quello che vogliono, e tengono tutti gli altri fratelli sotto di loro oppressi.”
I così detti “Caporiòni” avevano bottega nei luoghi più centrali e di maggior traffico di Venezia: al Fontego dei Tedeschidi Rialto, in Bòca de Piàza a San Marco, e “in Canonica verso San Provolo” dove c’era il Fontego dell’Acqua di Vita, e in Contrada di San Giovanni Crisostomo a due passi dall’Emporio Realtino dove s’incrociava ogni tipo di scambio, persona e commercio.
Quei Caporiòni erano dei veri e propri furbetti, perché usavano dei prestanome per occupare i posti migliori, e per coprire il reale giro e la consistenza del lavoro controllato da pochi ricchi che volontariamente eludevano “la regola dei 100 passi”della distanza fra botteghe simili imposta dalla Serenissima. Pur di averne l’esclusiva e alzare i prezzi e i guadagni, arrivarono a comprarsi quasi tutte le rivendite del Mestiere aprendone una solo ogni 200-300 passi. Arrivarono anche ad affittare botteghe ad alcuni perché le tenessero chiuse o aperte per soli 4-5 giorni l’anno “per salvare l’apparenza”, e fecero di tutto per ridurre e ostacolare l’attività dei così detti “raminghi da fuori Venezia”, che non erano “Possessori titolati d’inviamento o bottega”, ma producevano e vendevano come ambulanti senza sede autorizzata, senza limiti d'esercizio, e soprattutto: senza appartenere all’Arte degli Acquaviteri.
La Serenissima furba più degli Acquavitai, ovviamente si accorse “del giochetto”, in quanto vide diminuire paurosamente le entrate dei Dazi dell’Acquavite, e del Ghiaccio-Caffè. Perciò intervenne nel 1658 propinando multe di 100 ducati ai prestanomi, disponendo sull’apertura delle botteghe, ed espellendo per 10 anni i facinorosi dell’Arte.
Fin dal 1596 si era approvato un Dazio o Tagliòn sull’import-export dell’Acquavite fra Venezia il Modenese, Udine, Rovigo, Treviso e Chioggia. L’Acquavite arrivava spesso “grezza” a Venezia, si pagava il trasporto, e la si depositava in Contrada di Sant’Aponal poco distante dal Mercato di Rialto. Da lì, dopo averne saggiata la bontà tramite “la prova delle flèmme”, cioè dandole fuoco, l’Acquavite veniva distribuita in tutte le Caneve e Botteghe della Città dove veniva elaborata, cioè “raffinata” per la vendita.
Un secchio d’Acquavite, cioè 10,73 litri di Grappa, veniva a costare al Bottegaio dalle 14 alle 17 lire compresi i Dazi che si pagavano a Rialto prima che il prodotto venisse spartito fra i vari acquirenti. C’erano 6 mesi di tempo per pagare il Dazio sull’Entràda dell’Acquavite, cioè sulla sua produzione, e un anno per pagare il Dazio sul Consumo dello stesso prodotto ... I contravventori ritardatari avrebbero pagato “una mora” del 10% sulla quota da pagare.
Esisteva a Venezia tutto un commercio elaboratissimo sulla vendita, commercio e distribuzione dell’Acquavita, che passava di mano in mano, ogni volta alzando il prezzo ... ieri come oggi ... Esisteva un Conduttore del Dazio sull’Acquavite, che trattava il Monopolio esclusivo del commercio dell’Acquavita col Governo della Repubblica, ma faceva riferimento all’Arte degli Acquavitai circa le quantità del prodotto che veniva trasportato e distribuito in giro per Venezia e la Laguna a spese dell’Arte stessa. Alcune volte il Conduttore del Dazio dell’Acquavitesubappaltava la vendita dell’Acquavite nella Terrafermaaggiungendovi “una sopratassa di 4 e di 10 soldi per lira”. sui rispettivi Dazi d’Entrata e Consumo.
Curiosa la figura di quel Conduttore del Dazio dell’AcquavitaeScotidòr(esattore)del Dazio Ghiaccio-Caffè per Venezia e Dogado. Rimaneva in carica per 8 anni con l’obbligo di versare all’Erario della Repubblicala somma di 25.000 ducati annui ... punto e basta. Come, con chi, e in che modo lo faceva: erano affar suo ... Il Conduttore guadagnava su quanto riusciva a ricavare oltre alla cifra che doveva ad ogni costo allo Stato ...Gli era severamente proibito di far concessioni e di lavorare con gli Ebrei, e se non pagava quella somma “in due parti”, cioè “ad ogni serrata di 4 anni”, avrebbe dovuto sborsarla di tasca propria.
Fu verso la fine del 1618, che il Capitolo Generale degli Acquavitai con 86 Acquaviteri, si riunì nel Convento dei Domenicani di San Zanipolo(Santi Giovanni e Paolo), per ballottare e approvare i primi otto capitoli del loro nuovo Statuto-Mariegolastabilendo di continuare a ridursi (riunirsi)presso il Refettorio dei Padri Predicatori e Inquisitori… Quale posto più adatto ?
Nell’Arte si accettavano come iscritti anche "forestieri non sudditi",a patto che riuscissero a superare la “Prova d'Entrata”, e la successiva “ballottaziòn del Capitolo Generale della Schola”(votazione per approvare l’ammissione alla Schola, che doveva avere almeno 2/3 dei voti favorevoli dei presenti). La “Proba d’Entrada” consisteva nel riuscire a produrre Acquavite d'Anice e Vernice di Liquore… Se qualcuno riusciva malignamente ad iscriversi all'Arte degli Aquaviteri privo dei requisiti previsti, la Schola sarebbe stata multata di 100 ducati, 1/3 dei quali andava al denunciante che rimaneva anonimo.
Dal 1637 però, gli Acquavitai Grapparoli, dopo diverse divergenze e debiti con i Padri Domenicani di San Zanipolo, si spostarono dall’altra parte della Città accanto a pochi passi dalla Cà Granda dei Francescani Conventuali: altro colosso dei Religiosi Veneziani, andando a pagare 100 ducati annui d’affitto ai Preti del Capitolo della Contrada di San Stin. Lì riprese la tipica attività confraternale della Schola degli Acquaviteri: “che inizialmente badavano a risparmiare, e a non imbarcarsi in spese pazze per la Festa Patronale, o in spee per abbellimenti estremi della loro sede, come accadeva spesso nell’ambiente delle Schole Veneziane.”
Accadde il contrario, invece … Gli Acquavitai s’invaghirono presto di un Altare proprietà di un certo Antonio Rota Manfei, che finirono col comprare nel 1648 per 200 ducati. Solo che nel 1654 dovevano ancora finire di pagarlo avendo consegnato al proprietario solo 50 ducati … Finirono tutti in Tribunale, e l’Arte degli Acquavitai si trascinò in ristrettezze, processi e debiti … per secoli !
Ciò nonostante, nel 1662, l’Entrata Ordinaria del Dazio sull’Acquavitasempre in crescita costante, figurava come voce permanente e significativa dell’intero bilancio dello Stato Veneziano.
Curiosissime ancora le vicende del 1733, quando: Zuanne Mano assunse la gestione del Dazio dell’Acquavita dalla Serenissima per 25.877 ducati insieme a una giacenza di Acquavita nel Fontego impossibile da smaltire. Capita tardivamente la scelta sbagliata, Mano subappaltò il Dazio al Veronese Giuseppe Personi: che inconsapevole e sprovveduto più di lui, si ritrovò con un debito di 40.000 ducati altrettanto impossibile da smaltire.
Nel 1734-37 l’Arte degli Acquaviteri per non farsi carico dei debiti del Fontego dell’Acquavita, rifiutò la gestione del commercio dell’Acquavite legata al Dazio dello Stato. Intervenne allora quasi di prepotenza il Senato e la Conferenza dei Governatori alle Intrade rappresentata dai Governatori: Pizzamano, Diedo e Soranzo, dai Deputati: Mocenigo e Vendramin, e dagli Aggionti: Giustinian e Morosini, che imposero agli Acquaviteri Veneziani l’uso di fabbricare l’Acquavite con Vini imposti e gestiti dallo Stato. Chiusero poi tutte le Caneve e le rivendite Veneziane sopprimendo ogni privilegio dell’Arte, e imposero a tutti l’utilizzo del Fontego Pubblico con i suoi prodotti:“Vari tipi di Rosolio aromatizzati, il “Canelin”: Cannella Garofalata, Mandorla amara, al bergamotto, all’Anice o “Anesino” e “Mistrà”, al Finocchio, al Maraschino, alla Melissa. Ed ancora: Rosoglio Barbados francese, Rosoglio di Seleno, Spirito di cedro e Acqua d’oro di Portogallo, Vino Raffinato Schiamone, Vino Bianco Ordinario.”
Tutta merce venduta a carissimo prezzo: “roba cattiva … e la gente va in collera e si nausea ... Quel che si vendeva in un giorno non si vendette in un mese.” … Nel 1748 in Calle dei Cerchieri in Contrada di San Barnaba si scoprì un Fontego abusivo attrezzatissimo che vendeva incontrollato prodotti di ogni sorta … Andò male anche per il nuovo Conduttore dei Dazi sull’Acquavita, che dichiarò fallimento dopo appena 4 anni, in quanto s’era assunto un impegno con lo Stato per30.000 ducati provando ad agire contro la palese ostilità degli uomini dell’Arte dell’Acquavite.
Nel 1750 l’Arte degli Acquaviteri Veneziani provò a smuoversi e a riprendere l’iniziativa: prese in affitto, poi comprò per 270 ducati la volta-locale n° 20 presso il Mercato “nel primo solèr de le Fabriche Nove dieRialto, le Case Rosse ... sopra il Canalazzo, dove custodire con la dovuta diligenza: Registri, Libri e le altre carte dell'Archivio della Schola.”
Dieci anni dopo, dopo numerosi contrasti interni, l’Arte provò a prendere in gestione il Dazio dell’Acquavite dallo Stato autotassando ciascun iscritto “per 30 soldi al secchio” per sopperire all’annoso problema dei debiti e delle giacenze inutilizzate rimaste nel Fontego di San Provolo. Si venne a compromesso con la Serenissima rivedendo l’entità del Dazioda pagarle fissandolo a soli 8.000 ducati annui, e decidendo di utilizzare “per l’abbrugio dell’Acquavite Veneziana”: metà (poi per 1/3) dei Vini di Stato. L’Acquavite alla fine sarebbe stata venduta a 14 soldi la libbra, e non più ai precedenti 18 soldi … L’Arte degli Acquavitai stava annaspando e provando a salvare il salvabile degli affari … un po’ come stava facendo l’intera Serenissima.
Si giunse poi anche ad espellere dalla Città e dallo Stato Veneto i Grigioni Svizzeri nel 1766. I motivi furono altri in realtà, ma i Grigioni trafficavano al ribasso, producevano in proprio, vendevano il prodotto come ambulanti, e partecipavano scarsamente alle attività dell’Arte tenendo aperte le botteghe perfino nei giorni festivi … Poi l’Arte spendendo 200 ducati provò a prendere il controllo anche della produzione dell’Acquavite prodotta in Terraferma ad Adria e Padova … Si era nel 1781: era tardi ... In quello stesso anno, quando c'erano 260 Facchini-Bastazi senza titolo che lavoravano per le botteghe dell’Arte, la Schola degli Acquaviteri “con la sua Banca, il suo Gastaldo, il Vicario, lo Scrivano, 3 Compagni e 3 Sindici eletti per 3 mani di election la prima domenica di giugno”si chiuse storicamente “ai Forestieri”… Brutto segno.
Nell’agosto 1776 gli Acquavitai chiesero l’esonero “per i vari incomodi, danni e li pregiudizi che ne derivano” dalla partecipazione con due botteghe alla Fiera della Sensa in Piazza San Marco, che doveva essere in se un grande palcoscenico promozionale dove mettere in mostra “le bontà dell’Arte”. L’insolita riunione degli Acquaviteri Veneziani per decidere al riguardo si tenne nella Schola dei Fruttaroli in Casselleria in Contrada di Santa Maria Formosa. C’erano presenti 138 Acquavitai di Città, e intervenne anche il Giustizier Vecchio Cassièr, che era esterno all'Arte, scelto dalla Banca della Schola, ma rappresentante dello Stato … 98 furono i votanti favorevoli, e 40 quelli contrari … La petizione non venne accolta dalla Serenissima, e gli Acquavitai, nolenti o volenti, dovettero presenziare in Piazza an Marco con i loro banchetti e i loro prodotti tipici.
Infine nel 1797, quando Venezia Serenissima nel suo insieme era ormai morente, l’Arte degli Acquavitai dava ancora segni di vitalità contando ancora 749 iscritti ... In quella stessa epoca però fioriva ormai grandemente il contrabbando delle Acquaviti da fuori Venezia, e la produzione-vendita dell’Acquavita era diventata abusiva e incontrollata anche in Città e in Laguna … I produttori privati di Grappe e Acquaviteagivano e commerciavano incuranti “delle gravezze” che incombevano sulle loro teste, e dimostrando di non aver paura della: “pena-condanna a dièse anni de prisòn, del Bando e del rèmo a Galèa” ... Inutilmente quelli dell’Arte ripetevano: “Fuori dell'Arte resiste solo una degenere matrice alchemica con sembianze losche ... Gli Spargirici ed i contrabbandi di Ràcchia Istriana, dal Montenegro e dalla Dalmazia ... Anziché distillatori, sono Desfilatori ... Diffidatene !”
Nessuno li ascoltava … Poi comparve napoleonetto, che spazzolò via tutto e tutti … e a Venezia si ricominciò da capo su tutti un po’.
Rimase l’Acquavite … ma non gli Acquavitai … e neanche Venezia Serenissima.