#unacuriositàvenezianapervolta 288
Venezia diceva anche così
Fabio Mutinelli nel suo “Lessico Veneziano” riporta fra le tante cose anche alcune espressioni curiosissime del Dialetto Veneziano di ieri. Alcune sono modi di dire davvero divertenti … secondo me … L’antichissima fraseologia Veneta, ad esempio, diceva: “Oggi mi sento: biàto” intendendo dire di sentirsi e vedersi: allibito e pallido per via di qualcosa d’indistinto che stava accadendo, rivestito come di un senso di perplessità e incertezza, quasi di confusione.
Si diceva poi: “Me sènto badanà”, per sintetizzare la sensazione d’essere: stranito, insolito, floscio e “trambasciàto”, come si può essere, quando si viene presi dall’ansia e dall’affanno, o anche dall’umidore eccessivo dell’afa: “della caldàna”… Corrisponde a quel sentirsi un po’ svampiti, senza voglia di fare e andare … forse: esausti e demotivati: “Me sènto badanà”.
Termini bellissimi secondo me: coloriti e pregni di significato … Purtroppo perduti.
Ve li immaginate i Veneziani e le Veneziane di ieri, che un tempo parlavano così fra calli, rive e campielli?
“Come va ? … Ti me par: Rosso ingalbanà (rosso acceso, come la resina del Galbano del Libano che col tempo diventava rossiccia).”
“Mah ! … Còssa ti vòl che te diga ? … Ancùo me sento un fià biàto … badanà … So ingiandolìo dal freddo (tormentato, instupidito)… No gho vògia de star là a fanfrugnàr (rovistare e trambustare in cerca di qualcosa)… Fosse anche una fasìna de legna (fascio)da butàr dentro al camìn sotto a la pignàtta ... Staria là incoattà (accovacciato, accoccolato con la testa sotto all’ala come gli uccelli) a far niente, e basta.”
Bellissimi !
Fra 1348 e 1360, e poi nel 1480, quando a Venezia: “ghe gèra carestia, e el Magnolèzo (pane mangereccio) dei Pistori veniva fatto con 3/4 de formento e 1/4 de Riso, s’inarpesàva i Morti(si arpionavano le tombe-Arche dei Morti alle pareti), e s’imborgàva(mettevano i ferri)i Sforzài (Forzati), continuando l’“Hebdomada Muta” de tener ferme anche le disperate campane dei Morti … come nella Settimana Santa ... Questo perchè infieriva su tutto e tutti la Giandussa o Glaindussa, cioè la micidiale Peste o Mal di Mazucco.”
Quando passava per strada una Meretrice con la Scabbia, un Puttanòn Gratapanze messo a disposizione spesso da una Fasservizi(serva)Ruffiana e Ochèla(loquace), si diceva: “Ecco che pàssa una Dorondòna Gratòsa… una Magiàta(giovialona, allegroccia) con le Mùle(scarpe leggere senza calcagno, ibrido fra scarpa e ciabatta)o i Mulòti(zoccoli di legno col tomaio in pelle, usati anche da Pescatori, Pescivendoli, Fantèsche, Massèe e Lavandere)ai pie (piedi)… Non a xè de certo una Maria de legno (magra, fredda e insulse, simili alle sagome della Festa delle Marie che si portavano in giro per Venezia), a pàr (sembra)piuttosto: una Farèssa, cioè un donòn, un femenòn o una femenàta feconde e prolifica de figli: una Figliaticela infrisàda ed entrante (ostinata, incaponita, che se la passa bene), che butta i fiòi (figli) dall’alba al tramonto in strada, o li deposita direttamente alla Ròda dei Esposti e de i Trovatelli della Pietà fingendose ‘na Madalèna (Maddalena pentita, lamentosa).”
A Venezia arrivava sempre di tutto: merci e persone di ogni sorta … C’erano i Paghiales o Pactuales: i Fattuali che stringevano alleanza e desideravano immedesimarsi con i Veneziani corrispondendo loro un tributo detto appunto: “Pacta”... C’erano: Patagnòti Mercatanti Siciliani, specialmente da Messina, che fra l’altro portavano a Venezia panni di cotone, e Cutulognes Francesi(coperte) importate da Barcellona.
C’erano poi: Zambèli(imbroglioni, impiccioni) che s’infiltravano dappertutto e in ogni affare finendo poi a Placitàr(accusati) davanti ai Tribunali … Il Placido era la Causa Criminale con cui gli Avogadori accusavano “a porte aperte”i rei di Plagia o Mallevarie davanti al Consiglio dei Quaranta al Criminal: “Ciò: ad esempio altrui, a terrore degli scellerati, e a soddisfazione dei buoni, affinchè essi apprendessero come a Venezia si facesse indifferentemente a tutti Giustizia.”… Patàr, invece, indicava: patteggiare con ladri e banditi per poter rientrare nello Stato Serenissimo finendo di pagare la Penàzza(mancia estorta), ed evitando le Zembàe(botte) dei Birri dell’arresto o della traduzione da un carcere all'altro.
In giro per Venezia ancora c’erano quelli che soprannominavano Falilèla, che corrispondevano a certi Villici, Campagnoli, Galeotti volontari che venivano assoldati e reclutati per pochi soldi da un Fapèle(ingaggiatore, caporalato d’uomini)o Mèngo col modo di fare da Fàrfo(voce autorevole, e gergo da Sbirro) e Gregùgno(voce bassa, finta aggraziata, come da fasullo Greco raffinato). I Falilèlafinivano a servire sulle Galee a remo, o negli Ippagoghia vela (navi portacavalli). Venivano scherniti, canzonati e presi in giro di continuo dal Popolino soprattutto, a volte anche presi a gnàsse(botte) ... C’era perfino una canzonaccia che ad ogni verso alternava un ritornello che sbeffeggiava i Falilèla Ninfadàri (effeminati): “I Falilèla xè stràmbi Zinzapopoli (fanno ragazzate, leggerezze), si vestono in piena estate di Gàmbelo e Gambelòtto (Cammello)per far apparenza … Sono intentii (litigiosi), stanno a guardare il niente grattandosi la barba o una Gàlta o Guànta(guancia) ... I xè zente che prova a inraisàrse(mettere radici) in Laguna e in Città abitando misere soffitte e luminàli(abbaini) ... Si credono abili Sjor Gasparo Guantadòr(validi borsaioli, complici e ricettatori), mentre in realtà sono solo bassi e ingenui Frisopìni o Frisopine fufìgnài (strapazzati) che si credono furbi e gherminella (scaltri), ma che, viceversa, vengono presi in giro in quanto facilmente raggirabili ...Si dice di loro, che quando salgono sulle navi mangiano zuppa di macinatura o tritume di Frisòpo: el Maszamurro, al posto del buon PanBiscotto che usano di solito “come Grazia” i Veneziani.”
In parallelo a loro, ci sono anche Hòmeni Fentizzi, cioè: “Quella gente del Popolino Grasso e appena agiato, che è pigro, lento, effimero, fièvole (deboli e stanco) e poltrone ...Spesso vivono ingalonài e ingatolài(si diceva di nave che rischiava di piegarsi e rovesciarsi col vento, avviluppata, inzampigliati e attorcigliata)… I Fentizzi sono: Fiàmola di carattere, cioè: banderille legate alla punta di una lancia, o sulle estremità degli alberi di una nave, messe al servizio del miglior offerente senza badare a coerenze, risultati e convinzioni. Sono zènte appariscente che si lascia flottare liberamente al vento, privi di valore e significato come un nastro vezzoso legato ai capelli di una donna, che può significare tutto o niente ...Sono gente: Fumàda, altiera e albagiosa, un fià Fùmia (tanta) per l’idiotismo, bisognosi d’essere inanzolài dal Cielo, e de la protesiòn de Santa Fèmia (Eufemia)e del Gesondio(Gesù Dio).”
Secondo antichi documenti Veneziani, in quella stessa epoca tanti erano: “Nui e crùi (nudi e crudi), poveri in canna, miserabilissimi … Chi non era Patrizio Lustrissimo (illustrissimo)o Magnifico, che viveva trastullandosi civilmente di rendita fra ori, argenti, zòje (gioielli)e contanti scuciti in mano ai Jocolàri (Gioiellieri), era semplice Venessian Plebeo e ludro (vestito di cenci, a volte s’impeciavano per farne fiaccole)che andava a Lumàr de notte(pescar di notte con una lucerna”; o andava a porre Escandurie (trappole)per prendere i Totani di Valle … Altre volte andavano anche a lumàr nell’invernèssa (inverno mite) tendendo agguati in giro di giorno e di notte.”
“C’erano poi i “Magnapègola de Castèo”, che lavoravano nel Contrabbando o da Lavèzeri(Calderai e Pentolai); s’inciurmavano in qualche Maràn a Vela, o Manzèra o Burcjo da buoi che faceva spola fra Dalmazia e i Macelli di Venezia; piantavano pali o Mede (brìcole) in Laguna, nei canali e nella sboccatura dei fiumi;o si prestavano a forza di magre braccia a far la Parenzàna, cioè ad apparecchiar le navi a prendere il mare, o a Libàrnavi, bastimenti, navicelli (alleggiarle, sollevarle, equilibrarle scaricando o spostando parte del carico su barche piatte più piccole)o Ubi investiti o ingiaràti(arenati) ...Altro Popolino Veneziano era Lavorante andando per le Isole e in Terraferma a servizio del Saltàro dei Boschi(guardaboschi), o prestando manodopera per il Piovegàn del Magistrato del Piovego che apprestava i lavori di acque e strade pubbliche ... Nel 1676 il Piovegàn era: Carlo Bulinoto di Mestre, che si occupava di accomodare il Terraglio per facilitare il passaggio delle merci da e per la Germania.”
Infine c’erano mille e altre persone in giro per la Città Storica Bagnata: “C’erano: Zònfi (monchi), sordi, òrbi, muti e zòtti (zoppi)che con Endègoli e Preteste varie (scuse, sotterfugi) non facevano niente, o mendicavano soltanto aspettando il miracolo della Provvidenza … Facevano Listòn e Passèlego (cicaleccio), o s’adergevano da Moscardin (provocatore amoroso) in Piazza San Marco(passeggiando avanti e indietro lungo le Liste bianche di marmo del pavimento della Piazza). Ogni tanto entravano ad accendere una Ròta (candela tonda,candeluzza, cerino fatto a cerchio, che ogni domenica o giorno festivo si offriva al Doge: “omni die Dominico rotai duas, unam ad legendum lectiones, et alteram ad cantandum responsoria”)nel candelaio della Basilica di San Marco; ovvero andavano ad assistere da Murlòni(sciocchi)agli spettacoli, alle Momarie e alle Bombarie(bubbolarie)di buffoni che si fingevano eroi; ovvero stavano a giocare a Morelle con pallottole e piastrelle fino a paìr (smaltire)la bàla (la bevuta); o rimanevano a bocca aperta stupiti di fronte a qualcuno che gli sventolava davanti una Zèttola misteriosa(ritaglio di carta)che indicava tesori misteriosi, e pratiche magiche meravigliose venute dal lontano e Oltreterracqueo Oriente.”
Venezia viveva, pulsava, diceva e parlava …