Quantcast
Channel: #unacuriositàvenezianapervolta
Viewing all articles
Browse latest Browse all 357

I Grigioni a Venezia

$
0
0

 


#unacuriositàvenezianapervolta 290

I Grigioni a Venezia 

I Grigioni sono stati parte di un Canton Svizzero, si sa … Che c’entra Venezia con loro ?

C’entrano eccome ! … Pensate che durante il 1600 alcuni Grigionesi accusati di reati comuni o di vagabondaggio, si ritrovavano in catene a remare dentro alle Galee da guerra Veneziane mandate contro i Turchi ... Vi sembra così ovvio ?

Eppure andò proprio così, anzi: in quel tempo la si considerava una cosa normalissima.

Che era successo ?

Sorprende poi scoprire che diversi nomi di famosi Artisti, Architetti e uomini di cultura illustri presenti nello scenario storico e urbano Lagunare-Veneziano del 1500-1600, provenivano proprio da là: dai Grigioni Svizzeri. Non si tratta di nomi banali: l'Architetto-Scultore Pietro Lombardo, ad esempio, proveniva dalla castellanza di Carona di Lugano presso Ciona nel Canton Ticino. Era un Grigione o Grigionese quindi, presente e attivo a Venezia già negli anni 1480-90, quando lavorò per la Schola Granda di San Marco.

Nel 1500 operò a Venezia anche lo scultore Lorenzo Bregno, che era da Osteno sulla sponda Luganese del Lago di Como, nel 1530 operarono in Laguna anche Bernardo Contin da Lugano, e Marc-Antonio Paleari ... Architetti Grigionesi pure loro.

Nel 1600, udite udite: Baldassarre Longhena Si: proprio lui, quello della Basilica della Salute e di tanti altri monumenti insigni Veneziani. Era primogenito dell’analfabeta Melchisedech Longhena e di mamma Giacomina, entrambi nativi di Morezza in Valtellina. C’erano poi a Venezia: Giuseppe Sardi figlio di Antonio muratore e architetto, originario di Morcote nel distretto di Lugano del Cantone Ticino; lo scultore Bernardo Falcone da Bissone sempre dalla stessa zona, e il pittore Pier Francesco Mola detto appunto: “il Ticinese” in quanto era da Coldrerio nel distretto di Mendrisio nel Cantone Ticino.

La cosa non cambiò nel 1700: l’Architetto e Proto Domenico Rossi era pure lui da Morcote nel distretto di Lugano del Cantone Ticino, come lo furono: l’Architetto, Incisore e Scrittore Giorgio Domenico Fossati, e perfino lo strafamoso stuccatore Abbondio Stazio che ha abbellito in modo splendido tantissime dimore Veneziane. Proveniva da Massagno nel Cantone Ticino, nel distretto di Lugano: Grigionepure lui quindi, come Carpoforo Mazzetti Tencalla da Bissone nel Cantone Ticino, e come il grandissimo Architetto Francesco Borromini, e perfino il Bibliotecario Jacopo Morelli protagonista di tante vicende storiche della Biblioteca Marciana di Venezia. Anche lui era figlio di oriundi Ticinesi, come Grigionesi nel 1800 erano il chirurgo militare Tommaso Rima, e il pittore-scenografo Vittore Pelli.

Potrei continuare ancora con la lista dei Grigionesi illustri passati per Venezia, ma andiamo oltre.

La Serenissima Venezia, lo sapete meglio di me, fu sempre lungo i secoli un importantissimo porto di mare, la Capitale, una Città aperta e lungimirante … quasi sempre … Di sicuro: un’entità poliedrica, tollerante, totipotente, disposta ad accogliere ogni alterità per arricchire la sua identità socio-politica ed economica già originalissima e singolare di suo. E’ stata tuttavia altrettanto poco disposta a rinunciare alla sua specificità: questo va sottolineato.

Detto questo: Milanesi, Greci, Genovesi, tessitori Lucchesi, Bergamaschi, Albanesi, Vicentini, Schiavoni Slavi-Dalmati, Allemanni, Fiorentini, Armeni, Turchi, Ebrei, Persiani… e chi più ne ha più ne metta, passarono per Venezia. A tutt’oggi Venezia è tempestata topograficamente dai segni del passaggio di tante identità etniche con cui ha avuto a che fare per secoli ... Fra questi: anche i Grigioni Svizzeri.

 

Un dettaglio … Fra 1698 e 1750, quando i Garzoni delle Arti Veneziane impegnate in Laguna fluttuavano fra 20 e 50, quelli dal Territorio delle Tre Leghe Grigie(Mustair, Zernez, Susauna), dall’Engadina Alta e Bassa(Scuol, Ftan, Davos, Sent, Tarasp), e dalla Val Bregaglia crebbero da 36 a 87.

Anche quelli da Cividal di Belluno crebbero da 9 a 23, mentre quelli dell’Agordino: scesero da 12 a 6, e quelli del Cadore-Ampezzano: da 34 a soli 4.

Ancora dati alla mano: nel 1735-40, sulla totalità di 548 Lavorantie 165 Garzoni occupati nelle Arti e Mestieri dello Stato Veneto, 296 e 30 provenivano “da fuori Venezia”.

Per “fuori” s’intendeva soprattutto: Grigioni e Stati Tedeschi comprensivi anche del Friuli con Pordenone e Sacile, il Cadore con Agordo, Feltre e Belluno, ma anche Brescia e le Valli Bergamasche. “Da fòra” in senso lato, erano anche quelli da Treviso e Conegliano, Padova, Bassano e Vicenza, Verona e Rovigo ... “Fòra” era un po’ dispregiativo, sminuiva:“Ma ti xè Fòra ?”

 

Si trattò quasi sempre di migrazioni abbastanza pacifiche, progressive, direi quasi soft e indolore, come quelle di oggi dei Filippini, dei Bangladesh, dei Marocchini ed Egiziani, dei Cinesi, o dei Romeni o Moldavi, che piano piano negli ultimi decenni si sono infiltrati e insediati in Italia attraverso il commercio, il badantaggio o il servizio domestico e professionale. Quella dei Grigionesi a Venezia non fu un’immissione di persone drammatica come certe di oggi che finiscono col perdere la Vita attraversando il Mediterraneo in cerca di fortuna.

Quella dei Grigioni Elvetici a Venezia, non fu comunque una presenza banale, nè una stagione breve ed effimera, ma una costante ben radicata e distribuita che durò diversi secoli segnando di sicuro la Storia Veneziana. Si trattò di un prolungato, intenso quanto proficuo interscambio culturale, che si esplicitò almeno in tre filoni d’azione.

 

1.  La manovalanza Grigionese a Venezia come fenomeno lavorativo, fatto economico-commerciale, ma anche: modo d’essere.

 

2.  I Grigioni come formidabile serbatoio di risorse umane Mercenarie adatte a guerreggiare e a rafforzare di volta in volta l’Esercito Veneziano.

 

3.  I Grigionesi portarono a Venezia i contenuti della pirotecnica Riforma Protestante. Con le persone lungo la Via dei Grigioni viaggiavano anche nuove idee e convinzioni. Non va dimenticato: “la Riforma non attecchì in Laguna se non nei circoli dei suoi Nobili, ma ci mancò un pelo, uno soltanto, perché la Repubblica Serenissima divenisse la prima realtà Protestante dentro alla Penisola Italica: un vero e proprio antagonista alla tradizionale totalità Cattolico-Papale prevalente … Se fosse accaduto: sarebbe cambiata e si sarebbe destabilizzata del tutto l’intera Storia del Mondo Mediterraneo ed Europeo di allora.”

Ma chi erano questi Grigioni ?

Apparentemente un’entità quasi bucolica, un’amena popolazione presente fra i Monti, un po’ tipo la fiabesca Heidy. I Grigioni provenivano in realtà da una precisa regione Svizzera con Coira: centro principale, sede Vescovile suffraganea di Milano già dal 453. Si trattava del Cantone Svizzero più vasto: un sesto dell’intero territorio nazionale, un’area prevalentemente Alpina-montuosa bellissima, divisa da profonde Valli, ricca d’acque e grandi fiumi: Reno, Inn o Danubio, Po e Adige … Un’importante “zona franca-cuscinetto, corridoio commerciale, Crocevia e Porta d’Europa” giusto al centro del grande virtuale scacchiere politico Europeo, dove per secoli s’incrociarono, si mossero e si scontrarono grandi potenze Europee: Francia, Spagna, Impero, Papato… e perché no ? … anche Venezia, che non dimentichiamolo: è stata forse il più grande e potente Stato Italiano del 1500, l’unico in grado di competere con i Grandi dell’Europa di allora.

Quella dei Grigionesi fu da sempre una Storia travagliata carica d’ambiguità e tensioni, un andirivieni continuo di potenze straniere, una “levata di vessilli” e un pronunciamento ininterrotto di Tribunali, un fa e disfa d’alleanze, embarghi, Pensioni e Capitolati di truppe, un continuo imporre e togliere di pedaggi e dazi sui Passi commerciali e le Vie dirette al Centro-Nord Europa da una parte, e al Mediterraneo dall’altra.

La Repubblica delle Tre Leghe Grigionesi nacque di fatto nel 1471 a Vazerolconfederando insieme: la Lega Caddea, la Lega Grigiae la Lega delle Dieci Giurisdizioni, che pur rimanendo autonome e distinte, stipularono un patto fra loro per liberalizzare accessi delle strade e commerci, e soprattutto difendersi dagli Austriaci, che con ogni mezzo tentavano di ottenere il controllo sui Passi Alpini e la regione: “L’accordo-patto dovrà valere finché dureranno le valli e le montagne … Ogni decisione presa da due Leghe sarà vincolante anche per la terza … Eventuali discordie tra due Leghe troveranno un arbitro nella terza … Non si potrà negare Giustizia né a un Cittadino, né a un Comune, nè a una Lega; le conquiste territoriali apparterranno a tutte le Leghe; le spese di guerra saranno a carico di tutti, compreso il Clero; le decisioni comuni dovranno essere prese in una Dieta unitaria annuale ...”

Da allora fu tutto un succedersi ininterrotto di lotte … Francesi e Veneziani cercarono in ogni modo di precludere transiti e attività nei corridoi commerciali Alpini utilizzati da Asburgo e Spagnoli, che viceversa cercarono di conservarli concedendo denaro, promesse e minacce ai Grigionesi, infiltrandosi nella loro politica, creando ad arte fazioni e faide familiari, e destabilizzando e devastando le comunità di valle delle Tre Leghe. L’avvento delle Nuove Dottrine della RiformaProtestante poi, intensificò ulteriormente le tensioni nei territori Valtellinesi e Grigionesi, e nella Confederazione Elvetica originando scelte di tolleranza, ma anche dando spazio a Predicatori radicali e a Movimenti che coinvolsero di volta, anche drammaticamente, tutta l’area Elvetica e NordItalica.  Il Grigionese tuttavia, non fu mai del tutto Protestante, ma fu sempre una fibrillante regione di confessione mista a maggioranza Riformata.

I Grigioni col Corridoio Valtellinesefurono coinvolti anche nella distruttiva Guerra dei Trent'anni del 1618-48, che li sottopose a saccheggi e occupazioni diverse, alle ristrettezze delle carestie, nonchè al passaggio terribile della Peste del 1629-30.

Alcune Famiglie Grigionesi approfittarono più volte dei numerosi conflitti per accumulare cospicue ricchezze, e si specializzarono nel fornire servizi militari i cui introiti venivano poi reinvestiti oltre che in armi e nuove guarnigioni Mercenarie, anche nell’acquisto di terreni e vigneti delle Valli soggette a gravi crisi demografiche ed economiche. Giovanni Salis, ad esempio, divenne Governatore della Valtellina e in seguito Barone. Si trasferì verso il 1640 da Zizers a Tirano, dove acquistò vigne e fitti livellari dal Capitano Simone Venosta. Le proprietà del Salis unite a quelle di Castione di sua moglie, corrispondevano a un piccolo monopolio del Vino in grado di disporre da solo di ben 1000 ettolitri annui del prezioso prodotto.

Nel luglio 1620 scoppiò In Valtellinauna rivolta sostenuta dalla Spagna contro i Grigionesi Riformati. In quell’occasione: Giacomo Robustelli alla testa di un gruppo di banditi comuni della zona, diede vita al così detto Sacro Macello”:l’eccidio di circa 600 fra uomini, donne, e bambini Protestanti rifugiati a Tirano, Teglio, Sondrio e in Valtellina ... Solo pochi scapparono, e fu così che il Protestantesimo a sud delle Alpi venne quasi azzerato del tutto … Per vendetta nei Grigioni venne assassinato insieme ad altri: Pompejus Von Planta, capo del Partito Spagnolo e Cattolico, e nella Prettigovia si cacciarono gli Austriaci, che tornarono e ritornarono più volte fino al 1631commettendo atrocità di ogni sorta.

Ecco il quasi allucinato resoconto di uno Storico di parte Cattolica su quel truculento evento: “Il Sacro Macello, possiamo dire, non fu che una reazione potente contro i Padroni Protestanti, che opprimevano in ogni modo i Cattolici Valtellinesi […] È a Thusis che si stabilì il grande Tribunale dello Strafgericht, a Thusis venne condotto prigioniero e poi ucciso il povero Rusca, il santo Arciprete di Sondrio. La morte di quest'uomo, non v'ha dubbio, fu una delle tante cause che determinarono la strage dei Protestanti […] Due fazioni singolarmente ponevano a scompiglio la Rezia, una venduta a Spagna ed ai Cattolici, l'altra allа Francia e agli Evangelici. Capi di quella erano Rodolfo Planta; di questa Ercole di Salis; le due primarie famiglie dello Stato […] La Religione Cattolica era presa di mira in modo speciale; si impediva la promulgazione delle Indulgenze, si berteggiavano i Decreti Papali. Persino negli Statuti furono inclusi alcuni capitoli a favore dei Riformati. Libertà di Religione, in quei tempi, voleva dire persecuzione di quella Cattolica. […] Pascal, Governatore Francese, in una sua relazione, chiamava il Governo Grigionese: “esecrabile tiranno che sopra il capo e le fortune dei buoni incrudelisce. Il Bottero nel 1590 scriveva: “In Valtellina sono fuor di modo straziati dai Grigioni che puniscono con vani pretesti i Preti e quelli che si convertono, forzano a celebrare i matrimoni in gradi vietati […] obbligano tutti alla Messa e alla Predica degli Eretici […] Ogni sospetto di ribellione, per quella maschera d'oltraggio e di sangue che è la ragione di stato, si pagava con la vita.”

Un impegno speciale poneva il Governo Grigionese nel diffondere anche in questa Contrada Cattolica il Protestantesimo. A questo scopo aveva stabilito che, dove fossero più di tre famiglie riformate, si dovesse mantenere a spese della comunità un ministro e fabbricare la chiesa. In tal modo era riuscito a mettere il ministro in quasi ogni luogo […] Uno dei più strenui difensori del Cattolicismo era l'Arciprete di Sondrio Nicolò Rusca. Quest'uomo, nato a Bedano, terra del Luganese, aveva studiato a Pavia e a Roma, poi nel Collegio Elvetico di Milano, e di lui San Carlo aveva divinato grandi cose. Quando venne fatto Arciprete di Sondrio correvano momenti tristi: il suo predecessore era stato rapito, e si dice, avvelenato in prigione dal Governatore. La Riforma s'era estesa tutt'intorno. Il Rusca, dottissimo nelle scienze sacre, si mise a predicare e a combattere. Resistè con grande animo e forza ai novatori, dei quali fu detto il martello. Riuscì a impedire s’istituisse in Sondrio un Collegio Calvinista. Naturalmente i Protestanti lo odiavano e cercavano ogni pretesto per perseguitarlo. Il Governatore lo condannò a grave multa, ma il popolo tumultuò e si fu a un pelo di far sangue. Allora il Capitano denunziò l'affare a Coira, ma l'Arciprete, difeso da Anton Gioiero, venne lasciato libero. Non essendo riusciti i suoi nemici a farlo condannare, gli opposero d'aver tramato per ammazzare Scipion Calandrino Predicante di Sondrio. Ma anche da quest'accusa riuscì innocente. Con maggior accanimento si misero all'opera i suoi nemici per perderlo. I predicanti andavano intanto guadagnando sempre terreno presso il governo, e continuamente lo eccitavano a operare efficacemente per strappare anche alla Valtellina la fede Cattolica. A questo scopo, sotto il Predicante di Sondrio Gaspare Alessi, si tenne un conciliabolo, prima a Chiavenna in casa di Ercole Salis, poi a Bergün, paese romancio alle falde pittoresche dell'Albula. Spargendo false voci si riuscì a sollevare il popolo e a fargli prendere le armi contro i fautori di Spagna e di Milano; i castelli dei Planta vennero diroccati, uomini malfattori entrano a forza in Coira e fecero man bassa dei Cattolici; poi tutta quella moltitudine si portò a Thusis. Quivi con grande solennità si proclamano tredici nuovi capitoli dello stato, e si piantò lo Strafgericht, al quale questa volta si aggiunge un Consiglio di Predicanti. Da questo momento incominciò una vera persecuzione legale contro i Cattolici. A perpetrare i loro ribaldi disegni sopprimono ogni libertà e danno principio a un vero regime di terrore. Il primo che ne andò di mezzo fu il settantenne e podagroso Zambra, che, accusato di aver favorito l'erezione del forte di Fluentes, viene squartato; si bandì poi una taglia sul capo di Rodolfo e di Pompeo Planta, sul vescovo di Coira Giovanni Flug, e di altri profughi, e vengono erette forche sulle loro case atterrate.  In quella frenetica persecuzione non poteva essere dimenticato il Rusca. Marcantonio Alba di Casal Monferrato, predicante di Malenco, a capo di 40 satelliti, la notte del 22 giugno dell'anno 1618, lo assalì nella sua Arcipretura e, per la via di Malenco e dell'Engadina lo trascinò a Thusis. Quelli di Sondrio, appena vennero a conoscenza del fatto, ne provarono un immenso dolore. Il povero Rusca, non ostante le valide difese di Gianpietro Morosini di Lugano, sotto un cumulo di accuse, alcune già da tempo dimostrate false, sebbene patisca di ernia, è sottoposto due volte alla tortura e con tanta atrocità, che nel levarlo è trovato morto. E quei feroci suoi nemici, non contenti ancora, fra scherni e insulti, ne fanno trascinare per le vie a coda di cavallo il cadavere e lo seppelliscono sotto le forche. I Cattolici Valtellinesi, all'annuncio dell'orribile morte del santo Arciprete, giurarono in cuor loro vendetta. Erano spinti a questo in modo speciale da quelli che, non potendo sopportare il giogo dei Grigioni, si erano rifugiati in altre contrade, donde spronavano continuamente i fratelli a sollevarsi una buona volta per la causa santa, promettendo di venire in loro aiuto. Capo dei fuorusciti era un certo Robustelli di Groppello, parente dei Planta perseguitati, perseguitato egli stesso: “uomo di alto sangue, di animo gagliardo, e male al servire disposto, agiato dei beni di fortuna e ricco di quell'ambizione che dei sacrifici altrui sa fare vantaggio proprio.” Il desiderio di vendetta, da parte dei Valtellinesi, era andato crescendo per le voci che si erano sparse, “che i riformati avessero in animo di fare un vespro siciliano, di ridurre alla nuova religione tutta la Valtellina”.  Si prestò fede adunque a quelle voci e si preparò la vendetta: tremenda vendetta ! […] I Valtellinesi non tardarono a dar esecuzione al loro feroce disegno. Il Robustelli radunò in casa sua a Groppello alcuni Valtellinesi di spiriti turbolenti, e con eloquenza dipinse loro i mali della Patria e i pericoli della Religione. Ma i pareri erano diversi. Alcuni pochi dicevano di pazientare, ed erano i più prudenti, quelli che aborrivano dal sangue e dai mezzi estremi. Ma i più, sordi a ogni voce di moderazione, persuasi della necessità di liberare la patria e di purgarla dall'eresia, per bocca del Robustelli, dichiararono essere venuto il momento d'agire: “Centomila cattolici, dalle fonti del Liro e dell'Adda, elevano un voto: cento milioni di cattolici in tutta Europa aspettano da noi esempio e ci preparano applausi e soccorsi.” Ad animi già eccitati ed esacerbati non era bisogno di altro; tutti entrarono in questi pensieri. Ma come riuscire nella grandiosa impresa ? Alcuni proponevano di levarsi in armi, intimare ai Grigioni di partirsi. "Ma no, no”, gridava il dottor Vincenzo Venosta: “non è più tempo di mezzi consigli .... che clemenza ? che discorrere di diritto, di pietoso o di crudele, quando si tratta di salvare la Patria e la Religione ? Non sono costoro che uccisero Biagio Piatti, e il santo arciprete Nicolò; che chiesero a morte i migliori di noi, che congiuravano per scannarci tutti ? Gusti il popolo la voluttà del sangue e sia suggello al voto di eterna nimistà con questi esecrati padroni.” […]  Già era stabilito che il 19 luglio mentre i riformati sarebbero raccolti alla predica festiva, si dovessero assalire e trucidare tutti: nel punto stesso sarebbero entrate truppe milanesi nella valle; i Planta dal Tirolo, il Gioiero, già podestà di Morbegno, dalla Mesolcina piomberebbero sopra la Rezia. Ma quest' ordine venne turbato dal Gioiero stesso, il quale il 13 di quel mese valicò il San Bernardino, scese nella valle del Reno e marciò su Coira, credendosi, con un tal colpo, di dare buon principio all'impresa. Ma i Grigioni lo respinsero e dispersero la sua ciurmaglia. Per questo non si perdettero d'animo i congiurati, nè deposero il pensiero della vendetta, che anzi aspettarono il momento opportuno per riprendere il loro disegno. Ma ai Grigioni era trapelata la congiura: avevano perciò raddoppiato la sorveglianza, domandato le chiavi di tutte le fortificazioni e armerie, perquisito alcune case e posto sui campanili delle sentinelle, le quali dovessero subito sonare a stormo non appena avessero sentito qualche rumore sinistro.  I congiurati allora credettero bene di affrettare la strage; questa doveva incominciare a Tirano, la terra maggiormente oppressa dai Grigioni. Già sono raccolti nella casa del Venosta e aspettano con desiderio feroce che calino le tenebre per dar principio alla loro vendetta. La notte scende tetra e paurosa, quasi presaga dell'orribile misfatto: i congiurati escono e si appostano nei vari punti del paese e stanno ad aspettare. Quando in cielo comincia ad albeggiare, si odono quattro archibugiate che si ripercuotono sinistramente nel buio della notte, come un urlo tremendo: è il segnale. Le campane tosto suonano a stormo, e i poveri abitanti, svegliati di soprassalto, si vanno domandando il perchè di quel suono; quando da ogni parte del paese sentono levarsi grida spaventose e vedono i riformati inseguiti e barbaramente trucidati. È un fuggire, un urlare, un ammazzare da ogni parte; le donne s'inginocchiano dinnanzi ai sicari, mostrano i loro bambini e, con alte grida, domandano la vita dei mariti, ma inutilmente. Sono sì orribili i delitti di questa strage che la penna rifugge dal descriverli. Il furore di sangue si propaga di paese in paese, di valle in valle. A Bruscio il Robustelli schioppetta ben 30 persone e mette fuoco a tutto il paese. Tutti vedono in questo un furore di vendetta che certo non è secondo il Vangelo: “Guai, se il popolo comincia a gustare il sangue. È un ubbriaco che più beve, più desidera il vino.” […] Ripurgato Tirano dell'eretica peste, si spediscono a Teglio uomini vestiti di rosso che annunziassero il felice cominciamento dato all'impresa. E anche qui scene raccapriccianti; gli Evangelici vengono sgozzati in chiesa; 19 che si erano riparati nel campanile furono soffocati; più di 70 se ne uccidono d'ogni sesso, d'ogni età. Persino una ragazza di 14 anni, certa Margherita, che, con la viva eloquenza d'una giovinezza innocente, opponeva il capo alle ferite di suo padre. Intanto Giovanni Guicciardi levava a strage i paesi da Ponte in giù alla Val Malenco, e drizzava i sollevati con forte mano sopra Sondrio, sede del Magistrato Supremo della Valle. Anche qui molti sono barbaramente trucidati. Pensi, a chi ne basta l'animo, l'orrore di questa giornata in cui ben 400 persone furono uccise nel modo più feroce. La ciurmaglia stanca ma non satolla andava gridando: "Ecco la vendetta del Santo Arciprete !” […] Come sempre avviene in questi tumulti, molti, col pretesto di difendere la religione, coglievano l'occasione di sfogare odi antichi e vili passioni. Nemmeno le donne vennero risparmiate, e quando non si trovarono più vittime nell'abitato, s’inseguirono i fuggitivi nelle foreste; si entrava nelle caverne, nei recessi più nascosti e lì si uccideva, si trucidava, e beati quelli che morivano al primo colpo; altri erano straziati orrendamente: si arrivava persino a far scoppiare la polvere nella gola ... Questi gli orrori di quella orribile strage, alla quale giustamente venne dato il nome di macello.”

Fu poi il turno della Francia del Cardinale Richelieu, che ordinò a più riprese l'occupazione-liberazione dei territori Grigionesi. La vicenda si concluse nel 1626 col Trattato di Monzon, col quale:Asburgo Spagnoli e Francesi si spartirono i territori Grigionesi ad insaputa degli interessati, mentre paradossalmente le truppe Papali mantenevano l'occupazione delle Valli Grigionesi garantendo controllo, ordine, e soprattutto Ortodossia Religiosa Cattolica ...  I Grigioni delle Tre Leghe ovviamente non la presero bene, e cercarono di destreggiarsi e difendersi dando vita ad episodi di contestazione e protesta che vennero repressi brutalmente. Giorgio Jenatsch Pastore Protestante e Soldato-Condottiero di Coira, ad esempio, venne assassinato in quanto ritenuto una minaccia per gli affari politici ed economici di Spagnoli, Milanesi, Francesi, Austriaci e Papato messi insieme.

Tutto questo per provare a dirvi in sintesi chi erano i Grigionesi … Torniamo però a Venezia.

Che aria tirava in quei tempi in Laguna ? … Che stava succedendo ?

Erano ancora gli anni travagliatissimi dell’epocale lotta col dilagante Turco della Sublime Porta ... A Venezia si percepivano ancora gli echi delle vicende dell’ottuagenario Doge Jacopo Foscari, che nel 1456 s’era accordato con Sforza e Maometto II.  Scoperto dal Consiglio dei Dieci, venne costretto a deporre le insegne Dogali, ad abbandonare il Palazzo entro otto giorni pena la confisca dei beni, e a morire “di crepacuore”nella sua casa in Contrada di San Barnaba finendo sepolto in Santa Maria Graziosa dei Frari.

Toccò poi ad altri Dogi in successione di guidare la Storia Veneziana e reggere il micidiale confronto col Turco: Pasquale Malipiero, Cristoforo Moro, Nicolò Tron, e Nicolò Marcello. Il Duca di Atene venne travolto dalle armate Turche che si presero Argo e Morea. I Veneziani(12 galee) d’intesa col Papa(8 galee) provarono timidamente a reagire e a contrastarli allestendo una flotta ad Ancona, ma sfiga nella sfiga, Pio II morì lasciando tutto in sospeso, e non se ne fece nulla. I Turchi allora s’introdussero ulteriormente in Istria, trattenuti appena dagli Albanesi.Il Sultano assediò Negroponte travolgendo le fragili difese del Capitano Generale Antonio Da Canal, e si prese poi tutta l'Eubea sterminandone la popolazione segando a metà il Bailo Marco Erizzo.

Accadde poi la contorta e controversa vicenda di Ciprocon i suoi complicati maneggi, e la deposizione della Regina Caterina Cornaro vedova del Re Giacomo II di Lusingano… Fu poi la volta (1474) della flotta di Pietro Mocenigo che entrò a Famagosta... Poi ci fu la vicenda di Scutari assediata da 80.000 Turchi, che resistette con Antonio Loredan. Il Doge Mocenigo si portò a Venezia la malaria che lo accoppò …Toccò allora al Doge Andrea Vendramin, e poi ancora al Doge Giovanni, fratello di Pietro Mocenigo a tenere in pugno la situazione.

Maometto II allora, bombardò Scutari che cadde, s’iniziarono trattative di pace inconcludenti, e i Turchi entrarono in Friuli fino al Tagliamento e l'Isonzo. Due anni dopo (1479) i soliti Turchi si presero anche le Cicladi, poi Santa Maura e Cefalonia, incendiarono Otranto, e realizzarono il loro porto militare a Valona… Venezia perse anche Lemno e l'Albania, e si ritrovò costretta a pagare 10.000 ducati per mantenere la libera circolazione dei suoi commerci nell'area dell’Impero Ottomano.

Fuori da una guerra e dentro per un’altra: nel 1481 Venezia cercando di riprendersi il Polesine, s’impelagò con Ferrara guidata da Ercole I d'Este alleato per matrimonio con Ferrante d'Aragona Re di Napoli, con Firenze e Milano. 

Nel frattempo, negli stessi anni 70-80 del 1400, il lungimirante, seppure indeciso, Senato della SerenissimaRepubblica promulgò un decreto in materia di “opere, artifici e brevetti”, estendendo la tutela della Legge alla proprietà intellettuale e alle invenzioni favorendo così il primo sviluppo tecnologico-industriale e la crescita economica dello Stato Veneziano. Si favorì e incoraggiò l’arrivo in città di autori stranieri “ragguardevoli”, cioè: capaci di nuove scelte e scoperte proponendo loro di realizzarle e immetterle nel mercato Lagunare … o perlomeno di copiarle. Storicamente il Senato della Repubblica giocando fra Monopolio di Stato e attività delle Corporazioni, inseguì l’ammodernamento del Mercato e della produzione del Lavoro arrivando a riconoscere e concedere oltre duemila brevetti-patenti in materia di mulini, macchine scavatrici, metodi per la tintura dei tessuti, medicamenti e molto altro ancora.

Stavano cambiando i tempi e i modi del lavoro indubbiamente.

Fu nel 1489, e poi a fine secolo, che Johann von Erlach da Berna prima, e il Conte Jörg von Werdenberg-Sargans poi, rappresentanti entrambi dei Confederati Svizzeri e delle Tre Leghe dei Grigioni, giunsero a Venezia in cerca di alleanze con la Serenissima ... Non se ne fece nulla in quell’occasione, ma Venezia si mostrò fin da subito magnanima e generosa verso gli Elvetici donando pensioni a Politici e Uomini d’affari Svizzeri perché evitassero di prendere accordi commerciali con Francia, Spagna, Austria… e magari anche col Papato, sfavorevoli a Venezia.

Gli avveduti Grigionesi, consapevoli del proprio valore strategico e commerciale, si comportarono secondo i consigli dei Veneziani … anche se nel 1509 non mancarono di mandare i loro Mercenari con la Francia nella Lega di Cambrai proprio contro Venezia, nonostante la Serenissima li avesse cercati con Hieronimo Savorgnàn per allearsi con loro. I Grigionesi insomma facevano i loro interessi, il doppio gioco qualche volta, vendendo e offrendo le loro forze armate al miglior alleato, e giocando per secoli con tutta una lunga catena d’imposizioni, concessioni e dazi utili a finanziare le loro iniziative sociali e le loro cariche locali.

Tre anni più tardi (1512), divenuta confinante con Serenissima a seguito di nuovi eventi bellici e politici, la Confederazione e le Tre Leghe Grigionesinon mancò d’inviare Martino Bovollino, Notaio e Poeta Mesolcinesefino in Laguna, chiedendo a Venezia di riconoscere l'annessione della Valtellinada parte loro ... Due anni dopo ancora, Serenissima, Francia e Papamediarono insieme la pace tra le Tre Leghe e il Castellano di Mussoche costrinse i Grigionesi a cedere le Tre Pievi.

Da metà 1500 la stagione della Riformasi fece strada, e buona parte dei Commercianti di Zurigo attivi a Bergamo aderì alla Nuova Fede suggerita dai Protestanti. L’Inquisizioneli incalzò immediatamente, costringendoli a scappare e a trovar rifugio nei territori delle Tre Leghe Grigionesi. Tra costoro c’erano diversi membri dei Nobili Martinengo da Barco di Brescia, alcuni artigiani della Val Trompia Bresciana, il Teologo Girolamo Zanchi, il Medico Guglielmo Gratirolo da Bergamo, e i fratelli Bellinchetti che si occupavano di estrazioni minerarie.

Nel 1554 il Grigionese Friedrich Von Salis col figlio Johann si recò a Venezia con successo ottenendo dalla Serenissima: tutela religiosa dei Grigioni, esenzioni dai Dazi, trattati favorevoli per i Commercianti di Zurigo, possibilità giudiziaria d’estradizione, l'accesso dei Grigionesi al Fondaco dei Tedeschi di Rialto, e il diritto di girare armati in territorio Veneziano: cosa rarissima.

Solo più tardi, dopo che i Grigionesi beneficiarono del sostegno di Venezia durante la Guerra di Svevia, si giunse nel 1570 a un’intesa vera e propria fra Veneziani e Svizzeri del Libero Stato delle Tre Leghe con concessione reciproca di speciali privilegi. I Grigionesi allora conclusero una Capitolazione Militare con la Serenissima che prevedeva la fornitura di 4.000 uomini armati disponibili per qualsiasi scopo dei Veneziani.

Fu da allora che aumentò il flusso migratorio dei Grigioni verso Venezia e le Lagune ... Almeno 3.000 Engadinesi, Bregagliotti e Grigioni Protestanti dalla Mesolcina e dalla Calanca della Lega Cadé(furono quantificati in 7.000 per eccesso) si trasferirono nel Dominio Veneto e nella Città Capitale Lagunare dove poterono godere del privilegio di praticare il commercio ed esercitare Arti-Professioni pur essendo Riformati-Protestanti. Secondo una statistica ufficiale Veneziana furono forse meno di 1000 i Protestanti Grigionesi scesi a risiedere stabilmente a Venezia (620 attivi come Lavoranti, e diversi altri non applicati a specifica Arte di Mestiere) ... Si arrivò anche ad organizzare dei Servizi Postali bisettimanali con Corrieri che percorrevano la Via dei Grigioni fra Ginevra, Zurigo e Venezia attraversando Valtellina, Valchiavenna, ValCamonica e Bergamasco e arrivando fino a Lione.

Riconoscibilissimi i cognomi dei Grigionesiandati a vivere a Venezia: Bonomo, Tognon, Picoli, Traversi, Stopan, Bonifacio, Gaudenzio, Cristofoli, Martini, Vasalli, Zambon, Barti, Bosio, Gondina, Prevosto, Traversi, Permise, Zorzi, Belli, Dant.

Facciamo però adesso un balzo in avanti nel Tempo per non farla troppo lunga.

Nel 1571 accadde il gran casino politico-economico della superfamosa Battaglia di Lepanto: la “madre di tutte le Battaglie Veneziane”. Insieme fu forse il successo e la batosta, l’episodio più travagliato e dispendioso dell’annosa lotta contro il Turco. L’importante però era che fosse sempre Venezia a fungere da protagonista e a ben figurare ... A Lepanto il Grigionese Josua Salis comandava un Contingente di 600 Rematori Grigionesi Cattolici che s’erano messi al servizio di Venezia.

Attorno al 1600, Francesco Pontesi stabilì a Venezia come "addetto commerciale" delle Tre Leghe Grigionesi, che esportavano con continuità in Laguna: bestiame da macello, formaggi engadinesi, prodotti dell’industria serica, vasellame in pietra ollare di Piuro, importando viceversa nei Grigioni: sale, vino e cereali ... In cambio: la Serenissima poteva beneficiare della forza militare mercenaria di un paio di reggimenti Zurighese e Bernese degli Svizzeri-Grigionesi.

Nel frattempo, come il solito, i Grigionesi continuarono a mantenere buoni rapporti paralleli col Ducato di Milano sottomesso al dominio Spagnolo. La Spagna quindi reagì immediatamente all’alleanza fra Grigioni e Veneziani, e costruì l'imponente Fortezza di Fuentes sul Monteggiolo di Colico, dove all'imbocco della Valtellina l'Adda sfocia nel Lago di Como, cercando così di ostacolare il traffico dei Veneziani verso Chiavenna e le Valli Retiche ... Gli Spagnoli chiamarono il Forte: "Giogo dei Grigionesi sul Pian di Spagna", mentre i Grigioni lo chiamarono "Tomba degli Spagnoli" in quanto il Forte era sorto su paludi malsane invase dalla malaria che fece strage fra Spagnoli e Milanesi. Da allora l’alleanza e interscambio politico-commerciale fra Grigioni e Venezianifunzionò, e durò per secoli. Tanto è vero, che ancora nella prima metà del 1700 le Autorità Veneziane si preoccupavano d’informare puntualmente il Consiglio di Sanità di Zurigo quando scoppiavano epidemie nella Regione Adriatica e Lagunare.


Nell’insieme il fenomeno delle migrazioni dei manovali Grigioni a Venezia fu un evento storico controverso, che registrò sia rimostranze e insofferenze dei Veneziani, che quadretti di perfetta integrazione fra Grigionesi e Contrade Veneziane e Isole Lagunari.

In verità, c’era già stata fin dal Medioevo una flebile migrazione stagionale dei Grigioni delle Tre Legheverso Venezia dove c’erano Mercanti da Basilea e Zurigomenzionati già all’inizio del 1300.  Dalle loro valli i Grigionesi calavano per offrire manodopera nel Nord Italia. Alcuni Grigionesi nel 1350 si stabilirono a Venezia per colmare le perdite demografiche e lavorative-artigianali dovute ai molteplici episodi di Peste, mentre i Veneziani da parte loro frequentavano la Fiera di Zurzach ... Altri Grigionesi da San Gallo fin dal 1362 si dedicarono, invece, al commercio di bestiame, di tele di Lino con la Laguna, e si prestarono ben presto come Mercenari al servizio della Serenissima.

Nel 1400 giunsero quindi in Laguna: Calzolai, Fabbricanti di cinture, Pasticcieri, Salsicciai, Balie, Cestinai, Pittori e perfino raccoglitori e venditori di capelli ... Venezia Capitalein quelle epoche, giungeva ad avere una popolazione di quasi 100.000 Anime, e i Grigioni Svizzeri riuscirono ad ottenere dalla Serenissima una sorta di concessione-riconoscimento simile a quello dei Cittadini Originari, dato a pochi Alleati dei Veneziani.

Fu allora che alcuni inviati di Venezia come Giovanni Amati, Francesco Brunicardi e Niccolò Bernardo si recarono a Lucerna e Zurigoper concludere un vero e proprio patto militare cercando almeno 1.000 uomini da arruolare. Nel 1458 Antonio di Giacomo fu il primo Fornaio Grigionese ricordato a Venezia, ma nel 1484 alcuni Veneziani vennero arrestati per rappresaglia dai Grigioni a Weesen… Venezia di conseguenza abolì subito i privilegi concessi ai Grigionesi presenti in Città riducendo le migrazioni, e aumentando i dazi ai Mercanti da San Gallo ... Poi ritornò la calma e la normalità, tutti gli scambi ripresero come il solito, e Valtellina, Valchiavenna, Tirano e le Valli dell’Adda e della Mera appartenenti alle Tre Leghe Grigionesi e al Vescovo di Coira furono il passaggio naturale obbligato attraverso il quale i Veneziani condussero i loro commerci da e verso l’Europa. Ogni anno molte decine di migliaia di capi di bestiame, e molte altre merci venivano condotte dalle Alpi dei Grigioni verso la Pianura Padana e Venezia, e con loro scendevano altri migranti, e studenti diretti all’Università di Padova. Lì il Grigionese Thomas Von Schauenstein fu Rettore della Facoltà di Diritto (1583-85); Nicolò Guicciardi ed Ercole Guarinoni del Territori delle Tre Leghe furono Rettori della Facoltà delle Arti nel 1539 e 1584, e il Gesuita Barthélemy Souvey di Corbières fu Professore di Matematica dal 1624 al 1629 … Niente male come risultato.



A Venezia però, già nel 1493 la Corporazione dei Scaletèri Venezianimugugnava e si lamentava per i troppi concorrenti giunti dall’Engadina ... Veniamo quindi all’Arte dei ScaletèriVeneziani.

I Grigioni giunti a Venezia si affiliarono subito alla Schola dei Scaleteri di San Fantin nel Sestiere di San Marco. Quella dei Scaletèriera un’“Arte Antica” ricchissima: possedeva rendite da diversi immobili in Città, e la sua sede era tappezzata da più di cento opere d’Arte di autori prestigiosissimi: Tintoretto, Caliari, Vittoria, Palma, Zanchi.  Unita fino al 1663 con l’Arte dei Casaròli (venditori di formaggi, olio e insaccati), quella dei Scaletèri era una di quelle Schole che facevano a gara per primeggiare in Città per sontuosità e prestigio mirando ad entrare nella cerchia ristrettissima delle“Schole Grandi”… Soltanto per poco non vi riuscì.

I Scaletèrierano Pasticceri che producevano:“buzzolàdi, ciambelle, biscotti, dolci, sfogliatine e confortini fatti a scacchiera”. Ancora verso metà 1800, Giuseppe Tassini ricordava: ... certe ciambelle, che usavansi in antico, specialmente nei matrimonii, appellavansi "scalète" perché avevano impressi alcuni segni somiglianti ad una inferriata, oppure ai gradini di una piccola scala”.

I Grigionesi quindi, s’infiltrarono e trovarono spazio progressivamente nell’ambito della Schola minandone soprattutto la qualità dei prodotti. Tanto fu vero, che a un certo punto l’Arte sentì il bisogno di tutelarsi ufficialmente contro i Grigionesi provando ad ovviare e contenere i cali di stile che intaccavano il Mestiere: “… che non se deba vender ròba alcuna el di de Nadal e el Venerdì Santo, ne’ per Pasqua, se non in casa, tenendo el balcòn serà … Che niùn Mastro Scaleter no possa levar più de una bottega de l’Arte nostra … Che non se possa mandar più de un scagno, e ch’el sia bolàto, e che nessun possa mandar per la terra a vènder … Che nessun no possa far l’Arte se non ha forno, e tutti li ferri bisognevoli in casa sua. Se alcuno vende sue massarie de l’Arte, e poi voglia tornar al Mestier: paghino ducati a ben entràr … Che nessun no possa far lavorar de pasta, e massima i Foresti che non hanno bottega … E’ proibito modellar la pasta a forma di done, cavali, gali, oxeli, calisoni ne cesteli, e di portare alle Feste e al Palio de San Lio: piavole, done, e bosolài imbroài … come alla Festa della Sensa: non si può tener  più di uno scagno o cassa … E’ inoltre proibito tràr l’attenzion de clienti con grida a San Marco e a Rialto, e d’entrar dentro a Cjesie (chiese) a vendere dolci durante le cerimonie delle Cresime … Che nessun possa tenir bottega de Scaletèr, vender, nè far venir ròba alcuna pertinente all’Arte del Scaletèr, se non sta quattro anni iscritto, e che non sapia ben lavorar el nostro Mestier … I Scaletèri Grigionesi non si potranno recarsi alle Feste del Lido …”

Ancora più esplicita fu a fine ottobre 1529 una delibera del Capitolo dei Scaletèri: “Al fine xoviàr a le giotonerie, e a tutela delle frodi dell’Arte ponendo freno a Maestri, Lavoranti e Garzoni che fabbricano e vendono dolciumi mettendo cose più tosto da amorbàr, che confortàr quelli che li comprano … Con pena di lire 150 ai trasgressori da dividere in 3 parti: una ai Signori alle Biave, un’altra alla Schola, ed un’altra all’accusatore, si denunci chi porti su li scagni, a Feste, a Perdòni, a Rialto, ne Hosterie e Magaceni, e in locho alcuno di questa terra, chi produce merce non conforme alle regole.”

Non servirono a molto però quelle prese di posizione dell’Arte, perché ancora a metà 1700, il consistente numero dei Grigioni Protestanti iscritti all’Arte degli Scaletèri, riuscì a far deliberare l’abbandono dell’antica sede dell’Arte nei pressi della chiesa di San Fantin, facendo preferire il Fontego della Farina di Rialto per tenere i Capitoli(assemblee)dell’Arte ... Ne nacque ovviamente un acceso diverbio fra Scaletèri Veneziani Cattolici e Scaleteri Grigionesi foresti di Religione Riformata provenienti soprattutto da Bellunese e Trentino.

Intervenne allora il Senato della Serenissima proibendo ulteriori accettazione di Grigioni nell’Arte dei Scaletèri:  “C’ancosia che el sia per andar del tutto in ruina el Mestier nostro di Scaletèri per il moltiplicar fano a la sornàta molti de Todeschi e de altri diversi luogi, i qual stano in casa a settimana et etiam molti de loro per casa, algua fameia vivendo con puocha spesa, i quali se soleva acordar con noi Maestri per nostri vendadori con andar vendendo con el cesto per la terra bosolai e a le feste con li scagni, e no lavorava con li ferri dell’Arte, ma i quali adesso levan botega e quella tien fina li hano acquistado qualche ducato e poi …”

Il Senato intervenne ancora nel 1745 dopo lunghe trattative decretando: “Resta pertanto permesso all’Arte de Scaletèri di provvedere in qualunque luogo dello Stato li formenti per il loro consumo, e così pure di farne ovunque più le piacesse la Macina …” ma si proibì ai Grigioni di occupare posti di dirigenza nell'Arte determinandone le scelte. I Scaletèritornarono quindi nell’antica sede in Contrada di San Fantin.

Si legge ancora nella Mariegola dei Scalèteri Veneziani all’anno 1790:“Laus Deo Beatte Mariae Virginis e San Fantin ... Cassa tenuta e  aministrata da me Giseppe Blèatto atual Gastaldo dell’Arte de Scaletèri de questa Città, sostenuto il carico per la seconda volta nell’anno sopradetto ... Seguirà li spesi e scossi seguiti e fatti nel corso di un anno intiero, come segue … e prima le spese: diritti pagati all’Ufficio del Frumento da  cui dipendono le Arti addette alla lavorazione delle Farine … A sua Serenità Regnante il consueto censo; da Pasqua le solite fugazze alli Nobili Homeni Protettori dell’Arte; simili fugazze alli soliti nomi che l’Arte annualmente gli corrisponde, come da conto appar …”

Nella pagina a fronte nel dettaglio si annotò anche il notevole passivo economico dell’Arte sottoscritto dai Sindaci della Schola e dagli Ufficiali del Fontego di Rialto… Il solo Gastaldo era creditore per lire 476, e a seguire erano segnati tutti i crediti di tutte le botteghe di Città distinguendo fra Scaletèri Veneziani e gli ancora numerosi Scaletèri Foresti Calvinisti delle Tre Leghe Grigie ... Si annotò anche la spesa mensile sostenuta per mantenere acceso tutta la notte il "publico feràl (lampione)collocato sul cantòn de la Schola".

Nel Capitolo Generale dell’Arte dei Scaletèri del 24 settembre 1750: più di ¼ dei partecipanti risultava ancora di Religione Protestante, perciò i Confratelli Cattoliciappoggiati ovviamente dalle Autorità Ecclesiastiche di Città, s’impegnarono nel sopperire e prevalere su quelle “pericolose deviazioni religiose”.

Storia analoga e parallela a quella dei Scaletèri, fu quella della presenza dei Grigioni nell’Arte dei Caleghèri (Calzolai)Veneziani. Inizialmente ci fu l’episodio di Laura Fabri quondam Giovan Antonio della Contrada di San Cassiano di Rialto, che arrivò ad adottare Alvise de Busi Caleghèr da Bergamo con bottega in Calle dei Botteri. Costui scalò in seguito la realtà dell’Arte dei Caleghèri Veneziani divenendone il Gastaldo fino al 1584 ... Solo ai Capi Bottegaresidenti da almeno 4 anni a Venezia venne dato il diritto di voto all’interno della Corporazione. E furono lotte e processi continui fra Caleghèri e Zavattèri (Ciabattini) autoctoni e foresti, con spese legali ingentissime: 11.000 ducati di debito, cioè circa 500.000 euro attuali ... Durante la Festa della Sensa del 1771 si giunse quasi allo scontro fisico con i Zavattèri perché alcuni Caleghèri facinorosi sequestrarono con violenza a un Zavatèr della merce dal banco considerandola contrafatta e realizzata con cuoio usato spacciandola “par scarpe bòne”.


Da Tradizione, ogni primo venerdì del mese si assegnava con sorteggio i “posti in Piazza, al mercato del mercoledì in Campo San Polo, e del sabato in Piazza San Marco e a Rialto”. Erano gli unici giorni in cui si poteva vendere fuori bottega negli “Stazii dell’Arte”, dove si poteva tenere un solo canestro-cesto di “bòne scarpe” ... Molti Grigionesi, invece, s’industriavano a vendere ovunque impunemente per strada intaccando gli interessi e le Regole della Schola dei Caleghèri.

A Venezia si recitava nelle botteghe dei Caleghèri e per le Contrade: “Le scarpe d’un villan no le farà mai bela pèca (impronta)… Xè mègio fruàr le scarpe che i niziòi (lenzuola) … Scarpa comoda: no fa mai mal … Ogni bella scarpa deventa ‘na brutta zavàta … Nessun sa dove che strènze la scarpa, se no chi la porta … Scarpa larga e gòto pien, ciapa le ròbe e la Vita come le vien.”

Benvenuto de Venzone, Calzolaio in Contrada di Santa Maria Nova, e il suo Lavorante Nicolò da Udine arrivarono a discutere e litigare circa la paga. Secondo Nicolò avanzava dal Mastro: 50 soldi, mentre Benvenuto gliene voleva concedere solo 30 … Nicolò lo uccise … Testimoni: altri due Lavoranti di Benvenuto: Pietro e Zoanuto de Cremona, e Domenico da Cremona Lavorante di un altro Calzolaio Veneziano.

Ci furono poi parecchi intrallazzi, intrighi, sfruttamenti e deviazioni fra Veneziani e Foresti dentro all’Arte dei Calegheri di San Tomà … Famosa fra tutte la vicenda dell’inflessibile“Aggionto” Piero Zappa entrato nell’Arte nel 1650, eletto appunto come “Aggiunto”dalla Giustizia Vecchia: “per via de la revision di alcuni maneggi nell’Arte del 1569”. Indagando troppo nei fatti dell’Arte, divenne obiettivo di una vera e propria congiura da parte dei Caleghèri.

Giacomo Hullo Masser dell’Arte nel 1660 strappò dalla Mariegolaalcune pagine che attestavano l’iscrizione all’Arte dello Zappa accusandolo d’essere un abusivo della professione mai iscritto al Mestiere, e di aver strappato le pagine della Mariegola per evitare ogni verifica. I Magistrati Venezianiallora interrogarono tutti i membri della Banca dei Caleghèri, che in accordo col Massèr confermarono tutte le accuse contro Zappa, che venne quindi condannato innocente a 5 anni di remo in Galea con i ferri ai polsi ... Sopravvissuto alla pena e rientrato a Venezia nel 1680, Zappa trovò la forza di trovare altri documenti, e di provare quindi la sua corretta iscrizione all’Arte e la sua innocenza. Giustizia venne fatta nei confronti dei suoi accusatori.

  • Arti ambulanti da strada o affiliazioni vere e proprie alle Schole d’Arte e Mestiere ?

Un po’ uno e un po’ l’altro con disappunto dei Veneziani allergici a tanti privilegi, al fatto dei contrabbandi, delle imitazioni e contraffazioni per aggirare gli alti prezzi Veneziani, e che tanti guadagni prendessero le strade delle Patrie Estere….Caso raro: Martin Sprecher di Coira che, giunto a Bergamo nei primi anni del secolo con 25.000 Gulden, era rientrato in patria 50 anni più tardi con un patrimonio di 500.000 Gulden ... Si trattava tuttavia di casi sporadici, mentre le botteghe dei Grigionesi a Venezia erano di solito molto piccole, di modesta rilevanza economica, e con un ridotto giro di capitali. Gli emigrati nello Stato Veneto furono per la maggior parte poveri popolani e piccoli o piccolissimi artigiani che per secoli provarono a inviare buona parte dei loro guadagni nella Patria d’origine.

I Grigionesi residenti a Venezia, quindi: si affiliarono per secoli alle Schole d’Arte, Mestiere e Devozione Veneziane, si congregarono a Capitolo, officiarono gli Altari di fronte ai quale tenevano le loro Arche Funebri (tombe), parteciparono alle Processioni in giro per le Contrade, frequentarono e celebrarono le Feste Veneziane e le Funzioni del Culto Pubblico, accompagnarono i Funerali, sedettero alle cene e ai pranzi sociali, e s’impegnarono nelle opere di Carità, soccorso e previdenza sociale comune. La Serenissimavigilò attentamente su di loro non permettendo mai che i Grigionesifossero presenti in numero eccessivo dentro all’organizzazioni cittadine e nei quadri direttivi dei Capitoli e Banche delle Schole delle Arti. In quanto Protestanti, poi, non dovevano superare 1/3 del totale degli iscritti, così come solo 1/3 delle botteghe poteva essere in mano a sudditi NonCattolici... A Venezia finiva spesso col prevalere lo stampo Cattolicofortemente imposto dalla Tradizione, dal numerosissimo Clero, Frati e Monache, e dalla presenza stabile del Nunzio Apostolico Papale residente a San Francesco della Vigna.

Le Cronache, le Mariegole, e gli Atti Capitolari delle Schole Veneziane ci mostrano i Grigioni presenti come CapiMastri dell’Arte dei Piombadòri e Finestrèri “da rulli e vetri”attivi in tutta Venezia, presenti anche a Santa Maria Materdomini nel Sestiere di Santa Croce, con sede nella Contrada della Maddalena a Cannaregio. I Grigioni a Venezia lavorarono da:Calzolai, Aquavitai in Contrada di San Stin nel Sestiere di San Polo, Arrotini e Guacoltelli ridotti (associati) in Contrada di San Zàn Degolà, e poi come: Caffettieri, Prestinài in Contrada di San Mattio di Rialto, Pasticceri e Spazzacamini e Vuotalatrine.I Grigioni si occupavano in tutte quelle mansioni e prestazioni secondarie, ruoli modesti direte … ma essenziali nel normale contesto lavorativo e urbano della Città. Antonio Cicogna e Agostino Sagredo scrivevano che quegli immigrati Grigionesi rubavano il lavoro ai Veneziani: “Si esercitano nel cavar le latrine, gente che davasi la muta un anno per l’altro, e che estraggono da circa ottomila ducali all’anno togliendo l’impiego a’ sudditi”.


Gli Scoacamìni Grigionesi “che sgombravano i fumaioli Veneziani”si occupavano anche di svuotare e accudire le fognature. Abitavano in buona parte nei pressi di San Marco, dove c’è ancora oggi una Calle dei Scoacamini ... Erano spesso “gente di strada” provenienti appunto dalle Valli del Lago Maggiore, dalla Val di Non, Valcamonica, Val Brembana, Val d’Ossola, Valtellina e dal Bellunese.

Non godevano di buona reputazione, venivano pagati con “un bicchiere d’acquarello, e un pezzo di pan fresco, non portando altra mercede indietro, se ben col mascarone al naso s’affatica come un can per un’hora di lungo a scovare et nettare quanta immonditia ne’ camini ritrova.”… Si diffidava spesso dei Grigionesi considerandoli imbroglioni e gente che lavorava male: “Quando i Spazzacamini vanno in volta il tempo si conturba, quasi, che il Cielo si sdegni di ricevere il fumo, e la caligine, che da’ camini leva il raschiatore della spelonca fumicosa per sua onta e dispetto.”

Un esempio: il 01 novembre 1701, morì a Pordenone: Zuane Messer Manella Heretico Grigione nella Contrada del Campanile(oggi di San Marco): “In quanto Eretico-Protestante sia sepolto fuori dal Cimiterio di Chiesa per ordine dei Signori del Governo, appresso la casa ultima dei Reverendi Vicarii de Pordenòn”... Manella proveniva dal Libero Stato delle Tre Leghe dei Grigioni, e faceva parte di un gruppo di commercianti di tessuti a cui nel 1609 la Repubblica Veneta “accordò il diritto di praticare un culto domestico nelle propria lingua”.

Andando per un attimo ai numeri: ancora nel 1704, i Grigionesi gestivano 95 pasticcerie su 104 di Venezia … A metà 1700: ben 194 attività e botteghe erano gestite a Venezia da Grigionesi (quasi sempre di Confessione Evangelica, solo 14 erano Cattolici), dando lavoro a più di 500 Grigionesi. Nel 1764, ancora, le botteghe Grigionesi aperte nella sola Venezia erano 245 … 51 erano botteghe di Acquavitai e Distillatori di Grappa; 35 erano botteghe da Scaletèri (Pasticceri); 86 da Caleghèri(Calzolai); 13 da GuaColtellini e Arrotini (nel 1773 i venditori di acquavite Gigionesi erano 75 su 100, e gli Arrotini Gigionesi erano 23 su 39 in totale); 3 da Fenestrèri e Piombadòri; e 6 da Pestrinèri che lavoravano e vendevano: latte, formaggi, burro, panna e ricotta.

Furono napoleone e i Francesi giunti a Venezia all’inizio 1800 a spazzolare via del tutto e definitivamente ogni traccia di quel mondo sociale e lavorativo pretendendo gli inventari delle cose delle Schole, la nota di tutte le riscossioni fatte dal Massèr per la “Cassa Gastaldia o della Milizia da Mar, per la “Cassa della Giustizia Vecchia o Cassa Massaria”, delle caxette date in concessione, delle doti concesse alle figlie dei Calegheri, ad esempio, e soprattutto le liste e i Registri con la provenienza degli iscritti per sottoporli a controllo fiscale … La sede dell’Arte in Campo San Tomà venne quindi chiusa e trasformata in officina di Fabbro … All’epoca i Grigioni se n’erano già andati da Venezia.

Soprattutto dopo la “missione andata male del Rappresentante di Venezia Colombo presso le Leghe dei Grigioni”, la Via dei Grigioni fu per sempre preclusa a Venezia e ai suoi commerci ... In quell’occasione il Veneziano Colombo venne vilipeso, ignorato e canzonato dai Grigioni Svizzeri. Rientrato in Patria, invece, Colombo divenne Cancelliere Grande, perciò fece venire a galla anche la notizia che i Grigionesi Elvetici s’erano serviti della Serenissima per far lievitare offerte, pagamenti, sussidi e pensioni da parte dell’Austria, e che Il partito filoAustriaco Grigionese auspicava in realtà una rottura con Venezia favorendo i Capitolati con i Milanesi ... Crebbe allora il risentimento contro i Grigioni in Laguna, soprattutto nel Popolino e fra i Patrizi della Dominante.

Inutilmente nel febbraio 1766 i Comuni Confederati Elvetici inviarono a Venezia l’Ambasceria di Peter Conradin Von Planta per provare a ricucire lo strappo. Il danno ormai era stato arrecato alla Serenissima ... Pur essendo accolto con cortesia, il Diplomatico Grigionese non venne nemmeno ammesso al cospetto delle Autorità Lagunari ... Anche il Dottor Bonom commerciante Grigionese, inviato a Venezia privatamente dalla potente Famiglia Salis a supporto dell’Azione Diplomatica ufficiale delle Leghe Svizzere, tentò inutilmente di fermare sulla porta del Senato l’autorevolissimo Andrea Tron: “el Paròn de Venèssia” incaricato delle trattative. Le Cronache raccontano che lo Svizzero venne respinto dal prestigioso Patriziocon uno scatto di collera rifiutando di prendere in considerazione le lettere che gli porgeva: “Mi rispose che a causa d’avere il nostro Pubblico minchionato la Repubblica ... non poteva promettere protezione, e di non essere più tempo, et insino alla terza volta disse precisamente non doversi mai minchionare la Repubblica, per questo avete perso la bottega.”

Inutilmente anche il Duca di Praslin“provò a chiedere clemenza per i Grigionesi e le Leghe”all’Ambasciatore Veneziano presente a Parigi ... Perfino il Governo Francese si rivolse alla Serenissima cercando di appoggiare l’azione diplomatica del Planta: niente da fare. Venezia e il Governo di San Marco risposero evasivamente e con cortesia … il destino dei Grigionesi a Venezia era ormai segnato: “non c’era posto a Venezia per doppiogiochisti traditori e irrispettosi verso la Repubblica Serenissima”.

A loro volta, nell'agosto 1766 i Grigioni delle Tre Leghe rifiutarono la proposta di Venezia di migliorare congiuntamente la rete viaria tra i Passi Alpini utilizzata da Svizzeri e Veneziani, e stipularono un nuovo Trattato-Capitolato con i Cattolici Austriaci a favore di Milano e a discapito di Venezia. Adams riferiva:“A Venezia la popolazione è molto maldisposta verso i Grigionesi che ritengono dei parassiti … La ricorrente richiesta delle pensioni arretrate poi, non poteva che inasprire ancor di più gli animi e l’opinione pubblica Veneta.”

La Repubblica Veneziana allora reagì “con un provvedimento d’espurgo dei circa 7.000 Mercanti, Artigiani e commercianti Grigionesi da Venezia e da tutti i suoi Territori". I Grigionesi in realtà non vennero sfrattati dalla Laguna, ma fu loro impedito di lavorare. Nel giro di pochi mesi le loro botteghe vennero liquidate con forti e inevitabili perdite, e s’avviò così un esodo generalizzato dei Grigioni dalla Lagunae dall’intero Stato Veneto. Un uomo di fiducia dei potenti Salis Grigionesi faceva loro rapporto scrivendo da Venezia nel novembre 1766: “Di pazienza han bisogno i poveri Grigionesi, che ogni giorno vedono più da vicino la loro rovina, e al loro crudele destino debbono sottostare, mentre sono stati lasciati e rimangono senza aiuto”.

Il 20 dicembre 1766: a soli dieci giorni dal termine ultimo dell’espulsione da Venezia, i Scaletèri Grigionesipresenti in Città: “distribuivano al Popolo una cesta di biscottini, e poi 18 lire in soldoni dicendo: gridate tutti Viva San Marco … e Bernardo Birron, Scaletèr in Contrada di San Luca aggiungeva: “Per andare in malora, non ci vuol avarizia”.

Il flusso dei Grigionesi si riversò prima nella Lombardia Austriaca e verso Gorizia e Trieste, ma esercitando “Arti e mestieri inutili e superflui, anzi tendenti ad esmungere le nazioni presso le quali dimorano ... si considerano per gente piuttosto nociva e per conseguenza da allontanarsi dallo Stato”. L’emigrazione si disperse quindi al di qua e al di là delle Alpi, e nell’ultimo trentennio del secolo piccoli nuclei Grigionesi si vennero a costituire in quasi tutta l’Europa: Spagna, Russia fino a Pietroburgo, Sicilia, Trieste e Impero AustroUngarico, ma anche Inghilterra, Francia, Olanda e Belgio.

Da quel momento si allentarono i legami fra Venezia gli Svizzeri di Zurigo e Berna, e i Grigioni, e si mise fine agli arruolamenti delle truppe Svizzere ... Di pari passo dal 1797, a causa dei divieti d’importazione in Lombardia e Veneto del Salgemma cresciuto di prezzo in maniera spropositata, prese il via la stagione del contrabbando, fino ad allora limitato solo a piccoli commerci di libri, vino e formaggio. Il commercio proibito con i Grigioni e i Territori Svizzeri divenne mezzo di sussistenza per molti ...  Ancora nel 1810, oltre un centinaio di contadini di vari paesi a valle di Tirano si recavano “in spedizione oltre confine con un bisacchino di sale estero in spalla” attraversando montagne alte più di 3.000 metri, fino in Valtellina e Val Poschiavoper poi defluire nell’Italia Padana e Veneta ... Durante il periodo napoleonico i Dazieri erano autorizzati a sparare contro chi tentava di passare il confine ... In quelle occasioni diversi vennero uccisi, ma ciò nonostante il “commercio proibito” crebbe trasportando anche: Tabacco, Zucchero e Caffè, ma anche generi coloniali, Ferro, Petrolio, polvere da mina, tessuti, Vino e molto altro ancora.

  • Veniamo ora alla seconda considerazione sui Grigionesi: le Capitolazioni Militari fra Grigionesi e Veneziani.

Oltre ai Lavoranti e Artieri, Venezia utilizzò per secoli l’alleanza con i Grigioni come serbatoio dove attingere risorse umane per le sue guerre. Lo fece numerose volte tramite lo strumento delle Capitolazioni, che era un accordo pecuniario col quale si reclutavano squadroni di Mercenari Svizzeri ben addestrati ed equipaggiati … Altro che la notoria neutralità Svizzera !

I Grigionesi avevano fatto dell’Arte della Guerra una risorsa, un modo di vivere e lavorare. Interi paesi Grigionierano dediti per mestiere alle armi organizzati in reclutamenti e leve più o meno coatte. Famiglie agiate e potenti gestivano quella risorsa economica offrendosi di volta in volta al miglior offerente.

Di sicuro si concluse nel 1560 una delle prime Capitolazioni Militari fra Venezia e i Grigioni. Il Colonnello Melchior Lussi, futuro Landamano di Nidvaldo, si offrì a Venezia comandando un Reggimento di 12 Drappelli di Svizzeri… Dopo di lui, fu il Bregagliotto Hercules Salis con i figli Rudolf e Abundius, a stipulare un’altra Capitolazione con la Serenissima mettendo a disposizione un intero Reggimento armato e fornitissimo di tutto.

I Mercenari erano una specie “di usa e getta da guerra” a disposizione di tutti … Convenientissimi anche per i Veneziani.

Durante il 1600 continuarono gli accordi, le intese e le Capitolazioni. Ci fu una Capitolazione col Reggimento Werdtmüller; nel 1652-64 il Reggimento Büeler da Soletocombattè per Venezia nella guerra contro i Turchi a Creta e in Dalmazia; nel 1658 anche il Reggimento Weiss fu a fianco di Venezia ancora in Dalmazia.

Nel 1671 Georg Von Orelligiunse a Venezia come Delegato Particolare di Zurigo e Berna per riscuotere pensioni e arretrati per almeno 104.000 ducati ... Nel 1687 Venezia concluse in fretta e furia un’altra Capitolazione con i Cantoni Svizzeri poco convinti della bontà dell’idea che non andò a finire bene. Del contingente di 2.500 Mercenari da Soletta e San Gallo partiti per la Grecia, il Peloponneso e la Morea condotti dal Colonello Sebastian Peregrin Schmid da Urano, ne tornarono vivi in Svizzera nel 1691 solo 200. Il Nunzio Apostolico residente a Venezia aveva fatto grande opera di propaganda indicando l’impresa come: “Novella Guerra Santa … Atto di Liberazione del Santo Sepolcro e di Gerusalemme”. Il Reggimento salpò da Venezia, e dopo quasi un mese di navigazione giunse in Morea, dove si unì all'esercito Veneziano. In luglio l’armata venne trasferita a Negroponte per conquistarla, però malattie e insuccessi in battaglia decimarono l'esercito, tanto che a fine ottobre l'assedio venne interrotto, e si rimandarono i Mercenari Svizzeri prima a Lepanto, e poi in Patria. Scoppiarono allora tensioni e s’incrinarono le relazioni fra Venezia e gli Svizzeri. Si criticò il cattivo trattamento che Venezia aveva riservato ai Mercenari, emersero anche conflitti interni fra gli Ufficiali Svizzeri, e non ultimo: la Serenissima si rifiutò di pagare “il soldo pattuito”. Per una decina d’anni ci fu una sostanziale distanza fra Venezia e i Grigioni.

Di nuovo nel 1705 però, Venezia spedì Vendramino Bianchi in Svizzera, dove l’anno seguente riuscì a concludere un'alleanza con Zurigo, Berna e con i Grigioni del Libero Stato delle Tre Leghe. Si considerò l’evento un successo, e si giunse a festeggiarlo pubblicando anche un resoconto storico pomposo sulla buona alleanza fra Confederazione Svizzera e Venezia.

In realtà si era ormai agli sgoccioli con l’esperienza storica delle Capitolazioni con la Svizzera.

Nel marzo 1848, comunque, dopo i Francesi e napoleone, quando si proclamò la Repubblica di San Marcoinsorgendo contro gli Austriaci, s’invocò ancora una volta il ricorso alle truppe Svizzere per difendere Venezia. I Cantoni Svizzeri Liberalideclinarono l’invito, mentre il Capitano Turgoviese Johannes Debrunnerreclutò 126 Mercenari recandosi a Venezia “per garantire ordine e disciplina”. Dopo la resa di Venezia l’anno seguente, tornarono in Svizzera solo 61 uomini: meno della metà.

Ancora nel 1862 s’istituì a Venezia col Console Victor Cérésole una Rappresentanza Consolare permanente dei Grigioni, mettendo ancora una volta per scritto le vicende dell'intera storia delle relazioni diplomatiche tra Venezia, le Confederazioni Svizzere e le Tre Leghe Grigionesi ... Cinque anni dopo, sorse a Venezia anche la Comunità Valdese, nei cui Registri si elencarono puntualmente le famiglie: Bondi, Candrian, Thoêni, Jöhl e Riccard… tutte di Grigionesiancora presenti a Venezia.

  • Infine, terza e ultima considerazione: la Riforma Protestante a Venezia.

Insieme alle persone giunsero e passarono a Venezia anche le idee. Cioènella Repubblica Veneziana dai mille volti trovò spazio anche la Riforma Protestante introdotta dai Grigioniforse inconsapevolmente ... ma anche no.

Iniziò così una stagione di grande travaglio e mutamento interiore del Veneto e in Laguna. Le nuove Dottrine Protestanti, si sa, furono rivoluzionarie per l’epoca. Parlare di “Giustificazione, Predestinazione, Salvezza dell’Anima e dell’Esistenza tramite la sola Fede, e non per merito delle opere, dei Sacramenti, dei Suffragi e delle Elemosine mediate dal Clero e dalla Chiesa”, sarebbero argomenti che non sorprenderebbero né impensierirebbero più di tanto noi di oggi lasciandoci parecchio distratti, lontani e indifferenti Non fu affatto così allora a Venezia. Insieme con i Grigioni iniziò a circolare in Laguna un vero e proprio fiume di libri proibitissimi tradotti in molte lingue. Venezia fu a lungo forse il più grande emporio librario d’Europa, un grandissimo pulpito, una cassa di risonanza e amplificazione immane su cui salirono Predicatori entusiasti, Liberi Pensatori, Filosofi e Religiosi vaganti di ogni sorta.

I nomi ? … Semisconosciuti per la maggior parte … Alessandro da Pieve di Sacco, e i Veneziani: Bartolomeo Fonzio Frate Minore Conventuale che si recò poi in Germania a Strasburgo, prima di passare ad insegnare e predicare a Roma, a Fara in Sabina, Modena, di nuovo Venezia, e poi ancora: Ferrara, Padova, Ancona e Osimo. Venne arrestato nel maggio 1558 a Cittadella(dove furono attivi e perseguitati anche il Maestro di Grammatica Pietro Speciale, che abiurò nel 1551 dopo lunga carcerazione; Agostino Tealdo giustiziato “come Anabattista” nel 1555; e Francesco Spiera, che si lasciò clamorosamente morire disperato d’inedia dopo essere stato costretto ad abiurare le proprie convinzioni). Trasferito in prigione a Venezia, Frate Fonzio venne processato dall'Inquisizione Veneziana, rifiutò di abiurare, e in quanto Eretico Relapsovenne condannato a morte e annegato in Laguna il 4 agosto 1562. Dopo di lui toccò anche al Frate Francescano Conventuale Girolamo Galateo del Convento dei Frari di San Polo, che venne incarcerato e processato per eresia da Gian Pietro Carafa (futuro Papa Paolo V) su incarico di Clemente VII. Protetto dal Governo Veneziano, il suo processo si trascinò senza fine, venne rilasciato, per poi essere incarcerato di nuovo. Alla fine morì in carcere nel gennaio 1541.

Gian Pietro Carafa definì quegli uomini: "maledetta nidiata che semina il veleno dell'eresia nella Repubblica Veneziana." Venne per questo a insediarsi in pianta stabile nel territorio della Serenissima insieme a un suo gruppo di fedelissimi superortodossi: i Teatini residenti soprattutto nel Convento di San Nicolò dei Tolentini (poco distante dall’attuale Piazzale Roma dei tram e bus):“Tutti quei movimenti eterodossi sono pericolosissimi: da controllare e cancellare ad ogni costo.”

Eletto poi Papa, lo stesso Carafa conversando a Roma nell’ottobre 1557 con l'Ambasciatore Veneziano Bernardo Navagero, riferendosi ancora alla nota vicenda del Frate Galateo finalmente morto, gli disse: "Frate Galateo morì pur in prigione, se bene ne fu cavato sotto pretesto d’indispositione, una volta. Ma, perché faceva peggio che mai poi che fu relassato, andando nelle botteghe de lebrari, spetiali et calzolari a seminare il suo veneno, la Signoria fu forzata a farli dare delle mani addosso una altra volta, et morì in prigione. Et noi, essendo venuto nella chiesiola di San Nicolò un Capo di Diece, che non vogliamo nominare, lo facessimo cavar di chiesa, con dir che gl’era scomunicato per non haver fatto il debito suo contro quell’heretico."

Curiosa anche la figura dell’Ambasciatore Veneziano Bernardo Navagero. Pur essendo stato membro del Consiglio dei Dieci, Ambasciatore presso l'Imperatore Carlo V, presso il Sultano Solimano il Magnifico, presso l'Imperatore Ferdinando I e il Re di Francia Francesco II, venne comunque sospettato d’eresia, e denunciato senza remore "come Luteràn" insieme al fratello Girolamo e al Patrizio Veneziano Giovan Battista Tagliapietra. Il delatore fu Don Pietro Manelfi, che si guadagnò dall’Inquisizionedi Bolognauno stipendio mensile di 5 ducati d'oro per la sua efficace collaborazione. L’Ambasciatore Navagero venne salvato in extremis da un intervento censorio e protettivo della Serenissima, e la sua situazione processuale venne fortunatamente depennata riuscendo a proteggerlo.

Assurdità, curiosità e incoerenze storiche … Lo stesso Navagero divenne poi Cardinale, Vescovo di Verona e presiedette addirittura al Concilio di Trento come “Legato a latere” insieme al Cardinale Giovanni Morone a sua volta inquisito dal Santo Uffizio che ne aveva sempre per tutti.

“Il Lupo perde il pelo ma non il vizio”… Riforma o non Riforma, Giudizio Divino e Salvezza o Dannazione, Giusto o Sbagliato … Prima di morire, il Navageronon mancò di raccomandare suo nipote Agostino Valier come suo successore nel ricco beneficio del Vescovado di Verona ... e che la Storia pensasse su di lui quel che volesse.

Tutto questo per dirvi un po’ di come Lutero e Calvino, e molti altri autori eterodossi transalpini … gli Eretici in altri termini … trovarono in Laguna grande disponibilità e ascolto, con buona pace di chi sentiva tremare il proprio ricco e sicuro seggiolone insieme alle sue intoccabili Verità e i ricchi tornaconti conseguenti. Sonni tranquilli non dormì di certo l’Inquisizione Veneziana, che in quell’epoca di sicuro fibrillò non poco dandosi un gran da fare, inviperita come sempre. Processò a destra e a manca: Ecclesiastici come Fra Giulio da Milano scappato via, Fra Ambrogio Cavalli messo al rogo a Roma (citandone due a caso), ma anche tanti intellettuali, medici, avvocati, notai, artigiani e uomini e donne qualsiasi.

Venezia alla fine rimase comunque sostanzialmente Cattolica preferendo la quiete diplomatica e l’equilibrio con i Potenti dell’epoca (il Papatosoprattutto col quale era sempre in rapporto di odio-amore) a discapito delle novità, politiche, economiche, sociali o religiose … Ci fu un“cenacolo” a Murano animato da Gasparo Contarini divenuto poi Cardinale, tanti artisti rappresentarono che nei loro dipinti cose che non erano ammesse come lecite dalla Dottrina Ufficiale della Chiesa ...Lo Studio Universitario di Padova ospitò numerosi studenti provenienti da Paesi Protestanti permettendo loro percorsi culturali liberi da tutte le costrizioni Cattoliche che intendevano imporre le Bolle Inquisitorie e le indicazioni restrittive del Papa di Roma.  Uno di loro: Pomponio Algieri da Nola, visse il suosingolare dramma esistenziale. Venne arrestato nel 1555 dall’Inquisizione Veneziana, quindi consegnato dalla Repubblica Serenissima a Papa Paolo IV, che lo fece bruciare nell'agosto 1556 a Roma in Piazza Navona… In Ruga degli Oresi a Rialto alcuni artigiani si trovavano nei retrobottega a leggere e a commentare insieme le Scritture riviste dai Riformati … Palazzo Morosini sul Canal Grande era abituale ritrovo di Nobili intellettuali filoProtestanti.

Sentite questa !

Cronache Veneziane riportano le sorprendenti parole di Donna Franceschina della Contrada di San Pantalònrivolte alle vicine di casa: È mala cosa andare a Messa, perché Cristo non l’ha ordinata ... È nel Testamento Vecchio che quando se levava il vedelo dorato, tutti accorrevano ad adorarlo etse perdevano dietro a quell’idolo. Così noi, quando se leva l’ostia consegrada, corriamo ad adorarla avendo fede in quel vedelo e ce perdemo, per esser un idolo…E se deve pregar Dio, perché lui è il principal…E bisogna adorar Cristo in spirito e verità, non in quel pezo di pasta…E lui è il nostro purgatorio, e quando morimo andemo in paradiso o all’inferno.

Quando mai si sentì una Veneziana discorrere così con una vicina di Contrada ?

 

La presenza dei Grigioni a Venezia di certo modificò qualcosa del solito vivere e della consapevolezza dei Veneziani ... Non solo degli intellettuali e dei facoltosi, ma anche di quelli qualsiasi.

Negli stessi anni, ogni 29 aprile,sul Ponte fra i Conventi di San Francesco di Paola e San Domenico di Castello sede dell’Inquisitore del Santo Uffizio Veneziano,si bruciavano i libri eterodossi“del Demonio” ... Le opere di Lutero si potevano trovare tranquillamente sin dal 1520 in molte botteghe di Librai Veneziani: sia in originale, che in copia manoscritta … Il Fontego dei Tedeschi soprattutto, fu centro d’emanazione di tutte quelle nuove idee, luogo dove si ospitarono insieme ai commerci degli Allemanni, anche le Liturgie e i Pastori che giungevano a Venezia di nascosto dal Centro e Nord Europa.

La Repubblica Serenissima “che tutto vedeva, sentiva e sapeva”, fu sempre tollerante e consenziente, spesso taceva: “Il Fontego di Rialto è una serpe in seno di Venezia … Nella chiesa Realtina di San Bartolomeo frequentatissima da Mercanti e viaggiatori d’oltralpe, si tengono sermoni eretici nascosti dentro alla lingua Teutonica.” diceva, invece, nel 1580 Bolognetti Nunzio Apostolico del Papa a Venezia: dove s’intentarono circa 800 processi,di cui circa 20-25 si conclusero con una sentenza di morte inflitta spesso altrove, fuori e lontano dallo Stato Veneziano.

In verità quindi, la Serenissima fu sempre molto contrastata e indecisa sul da farsi, preferendomantenere saldo al primo posto il suo interesse per il business e le economie dello Stato.Venezia non favorì direttamente né RiformaInquisizione, ma controllò entrambe tarpando artigli, ali e velleità a chiunque intendeva ledere gli interessi della Repubblica.

Magistrature di Stato presenziavano sempre ai Processi del Santo Uffizio, non si sequestravano in Laguna, se non raramente, i beni dei presunti Eretici, si permise solo di rado di spedire a Roma sudditi considerati tali, e ufficialmente si cercò di evitare le condanne capitali … anche se Venezia in realtà: arrestò, condivise, e si prestò molte volte nell’eseguire sentenze Inquisitorie.

La Serenissima non fu affatto immacolata né priva di colpa. Pur evitando la spettacolarità educativa ed esemplare molto gradita all’Inquisizione, non si può tacere che annegò di notte in Laguna diversi presunti Eretici considerandoli eversori dell’ordine politico e sociale costituito, alla stregua di comuni traditori.

Fu così che morirono l’umanista Publio Francesco Spinola da Milano,Baldo Lupetino, Giulio Gherlandi, Antonio Rizzetto, Francesco Della Sega, e Gian Giorgio Patrizi da Cherso… Tutti finiti annegati nottetempo nel Canale dell’Orfano verso Malamocco in fondo allaLaguna, in quanto: “rei d’Eresia”… Che tristezza !

Nel 1525 il tipografo Nicolò di Aristotile Rossi detto Zoppino, pubblicò e ripubblicò sotto pseudomino un’antologia di scritti Luterani attribuendoli falsamente ad Erasmo da Rotterdam… Nel 1530 il tipografo Lucantonio Giunta, col permesso del Senato Veneziano, stampò in successione: la traduzione del Nuovo Testamento del Fiorentino Antonio Brucioli, la traduzione dei Salmi, e la traduzione dell’intera Scrittura provando così a mettere in mano a chiunque il Testo Sacro, compresi i ceti popolari spesso volutamente tenuti esclusi e lontani dalle grandi discussioni e dalle grandi diatribe Ecclesiastico-Dottrinali.

Nel 1543 fu la volta di Bernardino de’ Bindoni di stampare a Venezia il bestseller di successo della Riforma italiana: “il Beneficio di Cristo” scritto da Benedetto Fontanini da Mantova e da Marcantonio Flaminio. In cinque anni ne stampò ben 40.000 copie: fu successone fortunatissimo stampato e ristampato, che andò a ruba, bruciato e ribruciato dall’Inquisizione … ma rispuntava ogni volta.

Qualche anno dopo, venne stampato e ristampato anche “l’Alfabeto Cristiano” di Juan de Valdés: esponente di punta del Movimento Alumbradista Spagnolo. Era un libro tremendo secondo l’Inquisizione e il Papa, una vera e proprio “Opera del Diavolo” che svalutava l’intera macchina devozionale Cattolica: dalla frequentazione inutile delle chiese, l’inefficacia delle tante Messe e delle mille Funzioni quotidiane: “Gli Alumbrados dicevano che tutto quell’ambaradan inutile poteva benissimo essere sostituito da un contatto diretto con Dio tramite la sola adesione della Fede interiore e personale.”... La Riforma nel suo insieme con i suoi testi, generò uno scandalo epocale immane, che fece impensierire a lungo Papi, Cardinali, Teologi, Re e Inquisitori ... e Venezia in tutto questo funse da spettacolare altoparlante di successo.

Solo dal 1549, s’inizio a Venezia a prestare attenzione e ad accogliere le rimostranze dei vari Nunzi Apostolici-Papali: Giovanni Della Casa su tutti. Si provvide allora a stendere in quello stesso anno un grosso Catalogo dei Libri Proibiti che dovevano assolutamente essere sequestrati e bruciati pubblicamente il più presto possibile ... Quanti spettacolari falò a Venezia !

Bernardino Ochino, uno dei principali Riformatori Italiani, sperando che la Riforma potesse impiantarsi stabilmente nello Stato Veneziano, scrisse da Ginevra alla Signoria di Venezia[…] Dio sa quanto desidero veder che Cristo regni nella mia Venezia, e che sia libera da ogni diabolico giogo, e maxime da quello che sotto le spezie di bene la tiene più oppressa, e vi exorto ad essere in verità amici di Cristo e a volere intender il puro Evangelio, e non perseguitar, ma favorir quelli che vi predicano la parola di Dio […] Già Cristo ha incominciato a penetrare in Italia; ma vorrei che v’intrasse glorioso, a la scoperta, e credo che Venezia sarà la porta, e felice a te se la accetterai, e guai a quelli che con Erode per uman timore il perseguitaranno.”

Anche Pier Paolo Vergerio Vescovo Eretico di Capodistria passato alla Riforma, chiese al neoeletto Doge Francesco Donà di farsi promotore della Riforma nella Repubblica Veneziana dove stavano già crescendo diversi gruppi e cellule spontanee non clandestine formate da operai tessili analfabeti, ma anche da Artigiani, Maestri di scuola, Medici, Avvocati, autorevoli Mercanti e Nobili Patrizi dediti già a un efficace sistema di mutuo soccorso e ad opere di propaganda con notevole capacità e prospettiva d’espansione.

Tra i Veneziani di rango di tendenza Riformista e Protestante c’erano Alvise Mocenigo(Ambasciatore a Roma e poi Doge), Nicolò Da Ponte(Ambasciatore a Roma e poi Doge), e Andrea suo fratello, che scelse l’esilio oltralpe a Ginevra meritandosi la “damnatio memoriae” su tutta la famiglia. C’erano poi: Gaspare Contarini capofila degli "Spirituali"; il già ricordato Bernardo Navagero e Marcantonio Da Mula tutti blandamente ma puntualmente inquisiti dal Santo Uffizio Veneziano.

Bisogna aggiungere anche che la Repubblica Serenissima fu spesso poco tollerante nei confronti degli Inquisitori troppo intransigenti. Michele Ghislieri (poi Pio V) fu costretto a fuggire in fretta e furia da Bergamo sfuggendo di un nulla a un attentato (1550)mentre stava procedendo contro un Nobile Veneziano Soranzo ... E’ provato che fu Venezia ad organizzare l’attentato … Nel 1560 fu ancora il Governo Veneziano a chiedere e ottenere da Roma che venisse immediatamente rimosso e richiamato Felice Peretti (futuro Sisto V), che allora era Inquisitore di Venezia fin troppo determinato. 

Per chiudere il discorso, riporto, infine, una piccola nota secondo me curiosissima riguardante i Grigioni a Venezia.

Si tratta della descrizione del Casìno dei Grigioni che esistette a lungo in Campo San Moisè, proprio vicino al rinomato e frequentatissimo Casìno Priuli. Nel Casìno dei Grigioni, più che i Grigioni stessi che ambivano poco a frequentare lussi, divertimenti e lazzi consessi, si ritrovavano solitamente i Veneziani Nobili, e soprattutto gli immancabili e facoltosi Mercanti. Si trattava di una Compagniadi almeno 60 Nobiluomini Veneziani in qualche modo interessati, simpatizzanti e affiliati alla causa socio-economica dei Grigioni e alle loro innovative idee. Il Casino dei Grigioni era meta abituale di diverse NobilDonne Veneziane: Venturina Corner col marito Alessandro Dolfin; Teresa Capnist Querinia cui una Gentildonna Balbi portò via il fedele amico Pasquale Da Riva; Giobatta Contarini con la moglie Benedetta Donà, che morì proprio mentre si trovava a un ballo nel vicino Ridotto di San Moisè… Erano ancora assidue del Casìno dei Grigioni: le Dame Mafetti e Angeloni, i coniugi Marina ed Antonio Angeli, Apollonia Ghisi moglie di Pietro Marco Marin, un Patrizio De Mezzo, Giobatta Benzon, Pietro Bonfaldini e Andrea Marcello, e il vecchio Lancillotto Bon che era sordo … Infine c’erano anche: Paolo Pisani, Luca Da Riva e Benedetto Zusto con altre Dame, Gentiluomini e Cittadini che si recavano là di continuo a cenare e giocare.

Ultime tracce del passaggio dei Grigioni a Venezia.

 


Nota curiosa successiva e conclusiva: all’inizio 1900 si sono rovesciate le situazioni storiche, e sono stati i nostri Italiani a recarsi nei Grigioni Svizzeri sia per lavorare come operai nella costruzione delle Ferrovie Svizzere, di Dighe e Ponti e nelle Miniere, sia per curarsi come tisici nei Sanatori Svizzeri che trattavano la TBC: la Tubercolosi.

Sia Operai che Malati riportano testimonianze di vissuto difficile, storie di alcolismo e Osterie, violenze, soprusi, infortuni sul lavoro e disgrazie, sfruttamento minorile e tratta di minori da parte dei padroni, contrapposizione violenta fra capitalisti e operai considerati quasi alla stregua di criminali, trattamenti abbastanza miseriosi, “ristrettezze, note e rimembranze dolorose”,e poca e costosissima assistenza davanti a sindacati inesistenti e politici di parte, interessati, corrotti e antiCattolici.

Le statistiche storiche del 1880 contarono 119.600 Italiani Emigrati in Svizzera, che “lasciarono la Patria andando a cercare condizioni meno infelici”. Nel 1902 gli Emigrati divennero più di 531.000, distinti fra 245.000 permanenti e 286.000 temporanei.

La Regione che procurò maggiore contingente Emigratorio fu proprio il nostro Veneto (3.011 persone) seguita da diverse Regioni del Sud Italia: Basilicata fra tutte. Su 100 emigrati, 59 erano contadini, 20 manovali e terrazzieri, tagliatori di pietra e muratori, 8 artigiani e 2 industriali o commercianti.

Dei 531.000 Emigranti del 1902, 236,000 si fermarono in Europa, gli altri, invece, attraversarono l’Atlantico per recarsi in quello che si considerava “l’Eldorado dell’Italiano”, cioè Argentina e Brasile prima, e Stati Uniti dopo. Solo pochi si sono spinti verso Asia, Africa e Oceania-Australia.

Accanto al paesaggio incantevole dei territori, delle gole e della Valli Alpine, e alle vicende di una comunità Elvetica-Grigionese ricca d’Arte e Cultura, le testimonianze e i racconti riportano di una vera e propria: industria dei Forestieri ed Emigrati Milanesi, Bergamaschi, Lombardi e Piemontesi in genere nella Svizzera”.

Tristi, anche se interessanti report quasi attuali, su una Regione antica ricca di Storia e Lavoro, che rimanda di continuo anche alla nostra Venezia di un tempo.

 


Viewing all articles
Browse latest Browse all 357

Trending Articles



<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>