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Stefano Bonsignori AntiPatriarca di Venezia

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Stefano Bonsignori AntiPatriarca di Venezia

Stefano Bonsignori assunse l’incarico di Patriarcaeffettivo di Venezia il 09 febbraio 1811: questa è la Storia.

Il 23 febbraio seguente il Capitolo Metropolitano della Cattedrale di San Pietro di Castello provvide controvoglia a trasfondere ufficialmente tutti i poteri ecclesiastici al nuovo eletto imposto dall’Imperatore ... napoleonino … già: proprio lui.

Fu di sicuro un’investitura fatta d'autorità, un atto imposto Canonicamente illegale, eseguito sotto la pressione del potere politico, quindi un titolo giuridicamente non valido. Lo stesso Vescovo, secondo il Diritto Canonico Ecclesiastico, non avrebbe dovuto accettare quell'intrusione dell’Autorità Laica, né il Vicario Capitolare di Venezia avrebbe dovuto trasferire e concedere quella Giurisdizione Ordinaria di Venezia che gli era stata provvisoriamente affidata nel 1808 alla morte del Patriarca precedente: Nicola Saverio Gamboni.

Si trattò insomma di un grave sopruso eseguito contro il Papa di Roma, contro tutto il Mondo Ecclesiale, e soprattutto contro la Comunità dei Veneziani.

Ma gl’importava forse qualcosa di tutto questo a napoleone ? … Credo proprio di no.

Chi era però quel neoeletto Patriarca così scomodo ?  Anch’io non lo sapevo … Era uncosì detto Prelato Cesarista”, che venne considerato l’AntiPatriarca di Venezia: l’unico della Storia Veneziana, che governò comunque la nostra Città Lagunare dal 1811 al 1814.

Li riconoscete quegli anni vero ? … Sono quelli burrascosi, deleteri e distruttivi in cui agirono i Francesi a Venezia. Quelli in cui si spense e cancellò del tutto la Serenissima, quando il napoleonetto sfasciò l’Habitat Storico-Sociale-Istituzionale dell’antica Repubblica Veneziana.

Riassunto in poche parole, Stefano Bonsignorifu un uomo e un Prete-Vescovo dalla personalità sgusciante ... Viscido, ambiguo, arrivista, dedito a se stesso più che alla causa Ecclesiale che rappresentava. Non fu l’unico ad essere così, faceva parte di quella categoria di persone con poca dignità presenti in ogni epoca di transizione: presenti quindi anche in quella tormentata stagione di Rivoluzione e Restaurazione: “… approfittatori, piccola folla di nipoti di Vescovi, Nobili e Cardinali sempre pronti con zii o padri Conti, Baroni, Procuratori a raccomandarsi e sostenersi favorendo ascese e carriere. Personaggi spesso acculturati e intelligenti, più che spesso: intolleranti verso tutto e tutti, incuranti di Principi, Valori, Fedi e Bandiere, preoccupati di difendere l’immagine della Chiesa scagliandosi contro Logge Massoniche o nuovi Capi Potenti innovatori e guerrafondai, oppure aperti e disponibili alle novità e opportunità offerte dagli arrembanti nuovi Governi proposti dalla Storia.”Uomini doubleface insomma, disposti a tutto pur di affermarsi schierandosi al fianco del più forte di turno. Una sorte di eleganti parassiti storici d’alto livello, che spingi, premi, raccomanda, sgomita e ungi, giungevano ad essere più che potevano: Politici di successo ? Arcivescovi forse ? Patriarca di Venezia: perché no ?

Stefano Bonsignori laureato opportunamente in utroque iure” e Teologia, rincorreva il sogno di una futura nomina a Cardinale di Santa Romana Chiesacon onorificenze e benefici aggiunti ... Sogno sfumato … Se ci fosse scappato il Papato Magari ? … “A un passo dal Cielo”: questo poteva essere il suo posto … o forse no ... Bonsignori, insomma dovette accontentarsi di cavalcare l’onda instabile ma travolgente di napoleone.

Quanto poteva essere appetibile sostenere la politica filo-francese di quell’epoca ? … e per venire quindi nominati da napoleone: Conte o Senatore del nuovo Regno d'Italia ? … o Gran Dignitario dell’Ordine della Corona Ferrea dell’Impero Francese, o Grande Elemosiniere del Regno d'Italia, o Gran Balì di Gran Croce del Sovrano Militare Ordine di Malta ? … Suonava tutto più che bene all’orecchio di Bonsignori ... Che gl’importava se siandava ad intaccare e contrapporsi alla millenaria sovranità del Papa e al suo intoccabile Stato Pontificio ? … E del Diritto dei Popoli, della Giustizia, delle Dottrine ? … Chissà ? … Tutto era sacrificabile per il successo e un posto al sole. Nella Storia vincevano sempre quelle combriccole che sapevano stare attaccate al carro di chi primeggiava. C’era sempre l’opportunità, seppure a prezzo della Libertà, di guadagnare qualche preziosa briciola che cadeva giù dal loro lauto banchetto.

Questo fu allora Bonsignori, insieme a qualcos’altro: perché Prete e Vescovo lo era per davvero. Qualcuno ha scritto, a sua discolpa: Come Vescovo è giunto a preoccuparsi di fronteggiare le razzie dei francesi evitando ulteriori aggravi e tanti dolori alla Città già sofferente e ai Veneziani. Di sicuro con la sua presenza e il suo atteggiamento evitò ulteriori tumulti e rovine…”

napoleone intanto saccheggiò, cancellò e snudò del tutto Venezia: “pur rassicurando Bonsignori sul fatto che intendeva rispettare la Religione Cattolica ad ogni livello” ... Già … Immaginate che cosa sarebbe successo se non l’avesse fatto ?

Bonsignori dovette essere una specie di “Uomo del Destino” per Venezia … Di sicuro però non fu affatto nè Uomo di Dio, né Pastore e conduttore di Anime Veneziane: “Sarebbe stato meglio se a Venezia ci fosse stata sede vacante.” fu il commento di alcuni Veneziani di allora: “Quegli anni furono uno di quei momenti storici in cui la Politica riuscì a strappare il primato anche alla Religione strumentalizzandola.”

Bonsignori, infatti, fu l’uomo utile a napoleone per inscenare i suoi nuovi disegni sullo sfatto palcoscenico Politico-Economico-Religioso della tramortita Venezia. Ai francesi serviva uno che sapesse tirare quella macchina dei Preti e della Chiesa per usarli per gli scopi e i fini del Nuovo Stato. Un uomo che sapesse far proprio l’ideale innovativo della Rivoluzione, mantenendo però le parvenze e gli sbiaditi principi dell’ossuta e spolpata organizzazione della vecchia Religione Ecclesiastica di sempre.

Stefano Bonsignori o Bonsignore nacque da Giovanni Battista Mercante di cotone, e da Giovanna Galeazzi, a Busto Arsizio vicino a Varese il 23 febbraio 1738. Iniziò la sua formazione apprendendo da uno zio materno che era Prete, poi passò nei Seminari Arcivescovili di Milano, da dove uscì nel 1760 come Sacerdote della Congregazione degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo. Da lì subito partì “l’ascesa”del Bonsignori: Insegnante di Grammatica nei Seminari di Celana e Gorla, Professore di Retorica e Teologia nel Seminario Maggiore di Milano e nel Collegio Elvetico ... Entrò quindi nelle cerchie Milanesi di quelli che contavano: Nobili Lombardi ambiziosi, esclusivi consessi di studiosi dai nomi illustri: il Cardinale Angelo Maria Durini, Carlo Trivulzio, il Conte Carlo Giuseppe di Firmian, l'Arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli.

Bonsignori si fece notare come brillante Oratore, Epigrafista e Storico della Chiesa, tanto da diventare Dottore della Biblioteca Ambrosiana,Professore di Teologia Dogmatica, Prefetto degli Studi del Seminario di Milano, e Canonico Teologo del prestigioso Capitolo Metropolitano di Milano Retribuzioni, successo e stima non si fecero aspettare.

Istituita però la Repubblica Cisalpina, i Capitoli delle Cattedrali vennero aboliti e soppressi, e i loro beni incamerati. Bonsignori finì depresso ? Macchè ! Con i suoi buoni contatti e le conoscenze giuste racimolò il diritto a una pensione di 1.200 lire che solitamente spettava unicamente ai Parroci in effettiva carica pastorale ... Lui non lo era affatto, ma gli fu facile ottenerla lo stesso … e questo dice abbastanza sul personaggio che era.

Si guadagnò quindi la simpatia di napoleone quando arrivarono i Francesi a Milano. Fu proprio Bonsignori che venne scelto come Consigliere per accompagnare l'Arcivescovo Visconti alla Consulta programmatica di Lione in Francia. Tornato in Italia, non mancò di ottenere nuovi incarichi di rilievo della neoistituita Repubblica Italiana, finendo nelle liste delle vecchie personalità aristocratiche da recuperare e riciclare: “adatte per gestire le Diocesi Italiane”. Bonsignori era definito dai francesi: "uno dei nostri", e fu lui che conDon Ronna Parroco di San Babila, compendiò e stampò il discorso di bonaparte sulla politica ecclesiastica Francese diretto a Preti, Religiosi e Parroci di Milano.

A conferma dell’attenzione francese verso il suo nome e il suo operato, ma soprattutto apprezzando il suo ruolo “di rappresentante d’idee”, Bonsignori venne nominato nel 1803: membro dell'Istituto Nazionale e Vicedirettore della Biblioteca di Brera. Una carica insolita, che s’inventò appositamente per lui, e che venne abolita subito dopo, nel 1806, quando Bonsignori divenne Vescovo di Faenza lasciando Milano.

Fu napoleone in persona a nominarlo titolare di Faenza, la conferma Papale gli giunse dopo, solo nell’autunno dello stesso anno. A fine anno Bonsignori venne solennemente consacrato in città dall'Arcivescovo Antonio Codronchi, che era un arrivista compromesso come lui. A conti fatti, Bonsignori fu storicamente uno dei Prelati più fedeli al Regime Francesein aperto contrasto con le posizioni del Papa e della Chiesa di Roma. La sua devozione gli venne ampiamente ricambiata con onorificenze e pingui pensioni, che non disdegnò affatto ... Non smise di favorire e sostenere l’imperatore neanche quando venne scomunicato, né quando lo Stato Pontificio venne annesso all’Impero Francese, né quando il Papa Pio VII venne arrestato. Famosa fu a tal proposito una sua lettera inviata ai Parroci in cui accogliendo una circolare del Ministro del CultoFrancese, dichiarò che Matrimonio Civile e Religioso avevano la stessa valenza. La Circolare Ministeriale esortava perfino i Vescovi a far celebrare ai fedeli prima il Matrimonio Civile:“che possedeva le obbligazioni della vera Unione Matrimoniale".

La fedeltà incondizionata a napoleone Presidente della Repubblica Italiana, e il suo comportamento del tutto conciliante e compiacente verso il regime, gli valsero quindi la nomina a Patriarca di Venezia il 9 febbraio 1811.

La Santa Sede di Roma ovviamente non confermò quell’incarico e titolo. Per il Papa di Roma il Bonsignori rimaneva solo Vescovo di Faenza.

Bonsignori impassibile, invece, raggiunse la Laguna il 9 aprile seguente, ma per lasciarla molto spesso. Non fu mai molto presente in sede a Venezia. Già il mese dopo se ne andò a Parigi per il Concilio dove andò a fare il Segretario dell'Assembleasenza intervenire nè prendere alcuna posizione, atteggiamento che mantenne anche durante le trattative per il nuovo Concordato Stato-Chiesa. In seguito fece parte anche della Deputazione di Savona, e raggiunse Papa Pio VII relegato dai Francesi a Fontainebleau.

A Veneziaquindi non fu molto appetito come persona, né tantomeno apprezzato come Vescovo-Patriarca. Infatti venne sempre appellato argutamente con gli epiteti più stonati: AntiPatriarca, l’Intruso, l’Amministratore Capitolare, l’Illegale, l’Usurpatore della Sede Patriarcale, il Vescovo di Faenza in prestito a Venezia,“un uomo né carne né pesce”, “uno scaldasedie anonimo privo di nerbo asservito al Regime”.

I Veneziani lo capirono subito: Bonsignori non era affatto l’uomo Pastore della Provvidenza, ma un servo del potere costituito. Non poterono quindi che accettarlo e subirlo ... Bonsignori a Venezia, infatti, non accusò mai nessuno per le immani confische, le ruberie e le appropriazioni indebite dei tanti patrimoni e degli arredi sacri di pregio sparsi ovunque in Città. Né tanto meno criticò i Francesi e le innovazioni della Rivoluzione, non incitò gli animi, né chiamò il popolo a raccolta contro il Regime napoleonico. Parafrasando le parole furbe del Papa, si diceva: “pronto a salvare la coscienza e a difendere le Anime discendendo fino alle porte dell'Inferno, ma non più in là.”

Perfino nei documenti del 1812 lo si citò unicamente come “Amministratore Capitolare di Venezia” nell’occasione in cui il Governo Municipaledi Venezia inaugurò la Casa dell'Industria nell’ex Monastero di San Lorenzo di Castello ... Per certe Cronache Veneziane di quegli anni il Bonsignori fu considerato solo: “un Patriarca indegno, un’AntiPatriarca usurpatore.”… In alcuni Annali Veneziani si considerò “vacante” la Sede Patriarcale di quegli anni.

Che fece Bonsignori come Patriarca e Vescovo di Venezia ? Forse sarebbe più giusto dire: che cosa non fece … Cioè niente: “Fu un Patriarca che si limitò solo a fare il controcanto e il ritornello al Potere con le sue voglie e velleità ... il Capo-Guida di una Chiesa Veneziana rimasta per un tempo indefinito come paralizzata, mummificata e immobile.”

Come potete facilmente intendere, Bonsignori non venne affatto amato dai Veneziani, neanche un poco. Di lui rimangono pochissime tracce … Privato del Palazzo Patriarcale di San Pietro di Castello diventato Caserma Militare, si adattò a vivere dove gli venne indicato, quasi incurante del tutto sia delle casse, che delle finanze Patriarcali, che dell’andamento dell’intera Diocesi VenezianaDi lui rimane un unico ritratto “quasi rubato” alla Storia, eseguito dal ritrattista e medagliere Andrea Appiani, conservato oggi nella Pinacoteca di Brera di Milano.

Il suo predecessore, il Patriarca Gamboni, aveva provato almeno a salvare le apparenze. Con due Granatieri era entrato di persona a Palazzo Ducale buttando fuori gli impiegati, le sedie e le suppellettili con cui il Ministero delle Miniere aveva occupato l’ex chiesetta del Doge distruggendone l’altarolo. Bonsignoririmase, invece, del tutto indifferente alle azioni deturpanti dello Stato, lasciò decidere e fare al Governo tutto ciò che voleva senza mai protestare: un vero uomo di Stato impiantato a gestire la Religione. Il Municipio, infatti, rioccupò l’ex chiesuola di Palazzo Ducale dandola in uso al Tribunale Criminaleprima, alla Biblioteca Marciana ospitata a Palazzo Ducale poi, e all’Istituto di Scienze, Lettere e Arti in seguito.

Da fine maggio fino alla prima decina di agosto dello stesso 1812, Bonsignorisembrò ridestarsi dal suo letargo dando modo di considerarlo Patriarca: indisse la Visita Pastorale alla Diocesi Veneziana, che visti i tempi e i nuovi modi “moderni” ribattezzò: Visita Civile. Provò così a passare brevemente in rassegna la realtà Veneziana pervasa dallo sconcerto generale, e dalla poca voglia d’accoglierlo, se non per obbligo istituzionale e gerarchico.

Un esempio fra i tanti ancora nel 1812. I Padri Cavanis impiantati con l'Oratorio e la Scuola della Caritàper l'Assistenza della Gioventù Veneziana nell’ex Contrada di Sant’Agnese di Dorsoduro, si ritrovarono in palese difficoltà organizzativa ed economica. Oltre che di mezzi, erano persino sprovvisti di personale adatto a dirigere la loro pregevole opera culturale e sociale. Si rivolsero allora, com’era ovvio, al Bonsignori, chiedendogli di assegnare loro almeno l’aiuto di qualche giovane Chiericoesentato dal Seminario, dalla coscrizione militare, e dal solito Servizio Parrocchiale: l’unico ammesso dal nuovo regime.

Niente da fare. Bonsignori non mostrò alcun fattivo interesse per quella causa così importante per la Città. In linea col sentire Governativo, la considerò un’iniziativa:“di stampo soprattutto Devozionale associabile ancora nei fini e nei modi all’Antico Regime della Repubblica Serenissima ormai desueto e soppresso.” ... Nicchiò quindi il PseudoPatriarca facendo capire ai Preti: “che il tempo non era quello giusto, che non si poteva, e che era proibito dalle circostanze municipali e politiche vigenti”. Solo dopo reiterate insistenze dei Padri Cavanis mai domi, “il Vescovo di Faenza” si piegò finalmente a recarsi a vistare l’Istituto il 02 giugno: “Visitò l'Oratorio, l'orto, le Scuole, la Casa di Lavoro, e mostrò piena soddisfazione di ogni cosa [...] Perché poi si formasse un'idea più precisa della Caritatevole Istituzione, e conservasse la memoria delle nostre premure, gli si rassegnò una informazione dettagliata di tutto il piano dell'Opera, ch'egli lesse e accolse con gradimento.”

Lasciò la sede dell’Opera dei Cavanis affermando che ne avrebbe parlato in opportuna sede a Milano, ma che in ogni caso bisognava aspettare … Non accadde niente, nè attivazioni né risposte: “Era sempre così conBonsignori: temporeggiava in ogni circostanza … Doveva sempre riflettere e pensarci sopra. In realtà stava sempre ben attento a non compromettersi rovinando i suoi rapporti col Governo del quale era docile strumento.”… Ricorsi su ricorsi allora … Infine riluttante, quasi per togliersi di torno l’oneroso problema, concesse ai Padri Cavanis un solo Chierico facendo rimuovere i limiti imposti al riguardo dalla Polizia del Governo Veneziano: “Non si doveva favorire in alcun modo il ritorno allo “status quo precedente” … Venezia era unicamente tutta da cambiare secondo le nuove logiche napoleoniche.”

Si era sotto il regime del Regno Italico, a soli due anni dalla traumatica soppressione di tutti gli Ordini Religiosi ... A Bonsignorinapoleone chiese di far apparire come per “magia Lagunare” la Religione che s’era appena provveduto a cancellare in ogni modo. Fu quindi un burattino in mano al burattinaio francese, che intraprese un compito “irregolarissimo”agli occhi del Papa di Roma, ma anche di tutti i Veneziani:“Buona parte dei Veneziani rimasti come orfani di se stessi, mentre alcuni plaudivano a piene mani a quella ventata di nuova Libertà e vitalità, pregavano il Signore contro i nemici che perseguitavano la Religione … Senza far nomi s’intende, e tenendoli occulti ovviamente. Fra questi di sicuro non mancava il nome dello stesso Patriarca asservito.”

In ogni modo i Cattolici Veneziani vennero invitati a denti stretti dai pochi Preti e Frati spogliati e disorientati rimasti sulla breccia ad esercitare il Culto, ad agire “in spirito di Caritàaspettando tempi migliori … Se mai fossero arrivati.”

Intanto negli Istituti, negli Ospedali, negli Orfanatrofi, nelle Opere Pie della Carità sregolarizzati e lasciati in balia di se stessi, privi di chiare direttive e di guide competenti e carismatiche, spesso accadevano“inconvenienti” e di tutto e di più. Ovviamente soprattutto in quelli Femminili: i più fragili e indifesi, e più a portata delle mosse di menti contorte: “Con troppa fretta i napoleonici avevano spodestato, esonerato facilmente, licenziato e buttato via in strada tutti i vertici direttivi, gli assistenti, i Maestri, gli Istitutori e le Governanti lasciando le cariche e la Direzioni oltre che sprovviste di mezzi, anche scoperte di persone atte a gestirle ... Inutilmente a Venezia si provò a salvare le apparenze e il salvabile richiamando al senso di responsabilità, all’onore e ai sani principi. La Rivoluzione aveva spazzato via tutto: in molti agivano senza remore, disinibiti e senza alcun pudore.”

Diceva un Prete Veneziano opportunista: “In questo tempo di grande confusione e turbamento, non si suppone, né v'è ragion di supporre uno spirito di malignità in alcun di tali individui, ma sempre è vero che tutti hanno il loro modo di pensare”.

“Un colpo alla botte e uno al cerchio”: a diversi Preti e Frati Veneziani riuscì d’imitare e scimmiottare l’atteggiamento del Patriarca in carica ... Altri, invece: si dissociarono più o meno apertamente, a volte e spesso rimettendoci benefici, carriera ... e anche la Libertà.

“Bonsignori pur provando a mantenere una proforma degli apparati, del linguaggio e del governo Ecclesiale, non fece nulla per la Religione e la Diocesi, nè frenò, ma bensì coprì le tracce dell’operato di persone averse e critiche verso le istituzioni Religiose.”

Ci pensarono infine gli eventi a risolvere l’incresciosa situazione. Bonsignori fu costretto a dimettersi in virtù degli accadimenti storici che si accavallarono anche in Laguna. Il Veneto venne man mano occupato dalle truppe Austriache. Invano a Venezia il Viceré Eugenio provò a eccitare i Veneziani a resistere contro “l’incombente nemico in avvicinamento”. Il 3 ottobre 1813 Venezia venne presa d’assedio … e napoleonetto venne battuto a Lipsiail 20 dello stesso mese.

Curiosamente encomiabile, secondo le Cronache Veneziane, l’atteggiamento della Popolazione Veneziana dentro a quella stagione così caotica e distruttiva: “Nonostante gli ospedali si riempissero di feriti, si mostrava indifferente e di gaio umore accorrendo ai tridui a San Marco, spendendo di più, ma volendo mangiare come il solito per la Vigilia di Natale. Pagavano 84 Lire Venete i palchi al Teatro di San Beneto dove udivano il Prometeo di Troilo Malipiero, che si ripeté per quindici giorni di seguito, con gran concorso di Popolo. Si frequentava il Teatro San Moisè, si ballava al Ridotto e nelle sale del Teatro La Fenice.”

Il 16 aprile 1814 lo stesso Viceré Eugenio firmò l'armistizio cedendo Venezia e Veneto all'Austria. Quattro giorni dopo, le truppe Austriacheoccuparono militarmente Venezia, e il 25 aprile Festa di San Marco, si pubblicò la notizia ufficiale della nuova occupazione ... Il Generale Seras lasciò Venezia accompagnato dalle bordate di fischi dei Veneziani, e per ultimo, il 9 maggio seguente, partì anche Stefano Bonsignori, che lasciò Venezia per tornare alla propria sede titolare di Faenza. Il Governo della Diocesi di Venezia venne ne frattempo assunto “ad interim” dall'Arcidiacono Monsignor Luciano Luciani eletto come nuovo Vicario Capitolaredi San Marco.

Bonsignori passò prima a Roma da Papa Pio VII, rientrato trionfalmente, per chiedergli perdono dei propri gesti e degli atteggiamenti anticlericali. Caduto del tutto napoleone, ammise ogni sua colpa, ritrattò la sua fedeltà al regime e le sue dichiarazioni sul Matrimonio in una celebre omelia tenuta nel Duomo di Faenza ... Il Papa lo perdonò, però gli comminò la Pena Canonica di un anno di sospensione dai Pontificali ... Venne giudicato fedele alla causa della Chiesa, ma giudicato: “generalmente troppo asservito al Governo napoleonico”.

Come nuovo Vescovo di Faenza, Bonsignori provò a riaffermarsi dimostrandosi a favore della Restaurazionevoluta da Pio VII. Dopo la Visita Pastorale del 1816, ricostituì in città il Collegio dei Parroci Urbani, ripristinò le Parrocchie e gli 8 Monasteri soppressi ed espropriati dalla Rivoluzione, ormai trasformati in Scuole Pubbliche, Ospedali e Orfanotrofi, o ceduti a industrie o privati. Permise poi l’insorgenza di nuovi Cenobi e “Horti Conclusi” nei luoghi ricomprati dal Demanio che li aveva incamerati. A tal proposito:“si aprì a Fognano di Brisighella per provvedere all'educazione delle fanciulle, e a Bagnacavallocon la sua Pieve di San Pietro in Sylvis del VII secolo.”… Infine riordinò il Seminario Vescovile di Faenza a cui lasciò la sua biblioteca e la sua collezione di libri e manoscritti.

Bonsignori quindi morì “in castigo” a Faenza il 23 dicembre 1826. 

E a  Venezia ?

Il dopo Bonsignorisi concretizzò nella figura del Patriarca Francesco Maria Milesi, che governò le Lagune dal 1817 al 1819. Figlio di Giuseppe e di Margherita Occioni Nobili Bergamaschi Commercianti trasferitesi a Venezia nella seconda metà del 1600, studiò a Venezia e Murano, laureandosi all'Università di Padova nel solito in utroque iure”. Deluso dal punto di vista amoroso in quanto il padre gli vietò di sposarsi con la figlia di un Medico di lignaggio borghese, si buttò allora nella vita e nella carriera clericale: grandissima vocazione quindi !

Divenuto Prete nel 1767, e destinato inizialmente alla Parrocchia di San Silvestro di Rialto, scalò in fretta con solito metodo le gerarchie ecclesiastiche divenendo Vescovo di Vigevano nel settembre 1807. Da lì il salto a Patriarca di Venezia fu breve … La sua nomina fu ancora una volta Governativa-Civica, ma gli venne concessa alla fine anche l’approvazione Papale… Gira e volta, fu anche lui un Patriarca d’impronta politica, che gli consentì di ottenere anche il titolo di Barone con Regia Patente del 28 marzo 1812 ... Di “Pastorale” ci fu pochino in lui.

Dopo di lui “toccò d’agire da Patriarca” all’Abate Austriacodi nobile famiglia Ungherese: Giovanni Ladislao PyrkerVon Oberwart già Vescovo di Spiš ... Figuratevi ! Un Patriarca del Governo Austriaco a Venezia ! ...  Visitò comunque la Diocesi Veneziana dal maggio 1821 a ottobre dello stesso anno lasciando ovunque il tempo che trovava … Divenne Cavaliere di I Classe dell'Ordine della Corona Ferrea dell’Impero Austro-Ungaricoprima di finire Arcivescovo di Eger nel 1827 abbandonando per fortuna la Laguna Veneziana.

Dopo di lui toccò a Jacopo Monico: Patriarca dal 1827 al 1851, che visitò a più riprese ogni angolo di Venezia e del suo Territorio tra fine luglio 1829 e giugno 1845 ... Buon retore, linguista classico, considerato “fine letterato”, poeta“eccellente ... di versi temperati e sentimenti dolci e soavi quali era il carattere suo.”, organizzò Accademie, e fu scelto a Possagno per l'Orazione Funebre per Antonio Canova il 25 ottobre 1822.

Gira e rigira ancora: il Monico fu scelto per le sue buone doti ancora una volta dall'Imperatore Francesco I d'Austria su segnalazione e raccomandazione del suo predecessore Patriarca di Venezia. Il Papa annuì connivente, e in breve Monico divenne prima Vescovo di Ceneda, poi Patriarca di Venezia, e poi Cardinalesenza però partecipare al Conclave del 1846.

Jacopo Monico: buon Pastore dei Veneziani ? … Mmm … Piuttosto fu sostenitore del blasone e degli interessi della Casa d'Asburgo, tanto da firmare il 3 agosto 1849 una petizione perché Venezia capitolasse di fronte agli Austriaci. Dovette andare a rifugiarsi nell’Isola di San Lazzaro degli Armeni inseguito dai patrioti Veneziani adirati ... Morì il 25 aprile 1851 a 72 anni, non mancando molto ai Veneziani.

Ci fosse stato qualcuno che si fosse interessato senza tornaconto del benessere interiore dei Veneziani ?

Neanche a pagarlo oro … Quegli erano i tempi mi direte … Già … E’ andata così.

Forse certi pericoli per i “Gestori di Anime” interessati esisteranno sempre.

 


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