LA MIRABILE FESTA DELLA SALUTE
Corriamo ormai verso la notte umida e buia di quest’ennesima Festa della Salute … La Basilica della Salute quest’anno è incartata quasi da pacco natalizio … e più di qualche cosa sembra concertare e congetturare per minimizzare questa Festa tutta Veneziana così cara e nostrana.
Quest’anno è spuntata fuori l’infelice storia della Fiera della Salute, che se da una parte fa un po’ sorridere per il suo sapore goliardico e di rivalsa un po’ da sagra campagnola, dall’altra immiserisce perché corrode e impoverisce un po’ il senso profondo di questa nostra bella Tradizione ... Tutto si potrà dire delle nostre belle Feste Veneziane come la Salute, San Marco e il Redentore, ed altre ancora … ma di certo non hanno nulla a che spartire con quel sapore da luna park, baracche, giostre, tiroassegno e autoscontri, costesine, birra a fiumi e musica da quattro soldi tirata dietro che caratterizza spesso i convegni e le scadenze terrafermicole.
Venezia è un’altra cosa … Né si potrà intaccare facilmente il forte e grande DNA di questa nostra identità storica e lagunare.
La Festa della Salute: guai chi ce la tocca ! … Rimarrà per sempre radicata nel più profondo di noi stessi.
Non ci riuscirà neanche la delusione per l’entrata contingentata dell’accesso alla Basilica dovuta alle giuste misure antiCovid, che se da una parte ha tenuto lontano i ben informati, dall’altra ha messo là al freddo per ore tanti vecchi e bambini in inutile attesa per poter entrare. In certi momenti la fila delle persone in attesa arrivava fino in Campo San Vio verso l’Accademia … e più di qualcuno venuto appositamente da fuori Venezia e da lontano, si è ridotto a far marcia indietro tornando alla sua residenza.
Un po’ infelici certe risposte: “Ogni giorno è buono per far la Festa della Salute … Perché per forza venir qua tutti oggi ?”
E ancora: “Perché non vi guardate la Festa in televisione ?”
Forse un po’ di sapienza organizzativa in più non guasterebbe … e anche quella Basilica con le sole autorità Civico-Religiose all’interno, a dire il vero era proprio miserella.
Ma perché velare di tedio questa bella Festa ? … Non sarà mai.
Quasi a consolazione vi offro il racconto di chi ha vissuto questa Festa per anni proprio dal suo interno, provando a raccontarne il senso più profondo che trabocca quasi dal cuore di tutti i Veneziani.
Mettetevi comodi… trovate qualche minuto, perché mi sa che questa sera vi aiuterò a prendere il sonno.
“E’ stata per diversi anni una sensazione del tutto diversa vivere la Festa della Madonna della Salute stando dall’altra parte della barricata, cioè dal punto di vista di chi l’allestisce e prepara, gestisce l’accadimento, considera gli effetti, i retroscena e le future prospettive di quell’annuale avvenimento che è da secoli: tutto Veneziano.
Mi è capitato di vivere entrambe le situazioni: sia di partecipare alla Festa per anni e anni come un comune Veneziano “pellegrino per tradizione cittadina” a causa di quel voto antichissimo “della Salute”; che come Sacrestano, Seminarista, Chierico e Prete, cioè dalla parte di quelli che lungo i secoli hanno sempre incarnato e riproposto l’animo, quasi il senso profondo originario della Festa, indicandone le sembianze tradizionali più tipiche e intime.
Quando vivevo da Seminarista alla Salute, la Festa era quasi il clou dell’intera annata Seminariale: una specie di punto d’arrivo e di ripartenza, una sorta di spartiacque annuale.
Per me poi personalmente, per diversi anni l’allestimento della Festa fu un altro degli “incarichi di fiducia” che mi conferì il Rettore del Seminario che era anche il Rettore della Basilica della Salute.
Voi di sicuro saprete immaginerete la tipica festa Veneziana con la solita fiumana di gente, il grande “Pontificale” di metà mattina insieme alle Autorità Cittadine e il Patriarca, gli addobbi pomposi allestiti ovunque, e tutto il corollario allegro della fiera delle candele e delle frittelle fuori sul Campo della Salute e nel Rio Terà dei Catecumeni ... Quale Veneziano non conosce la Festa della Madonna della Salute ?
Quella Festa però è stata anche altro: direi che ha avuto spesso “un di più”, cioè una specie di significato supplementare e nascosto che non tutti conoscono … Pochi, infatti, possono immaginare che cosa è potuto capitare nel “dietro le quinte” di quel gran chiesone Veneziano ... Ve lo dico io che c’ero: ne sono capitate tante lungo gli anni … Davvero di tutti i colori.
Ogni anno, infatti, da secoli ritengo, anche se oggi molto meno di ieri, accade un enorme quantità di lavoro: un febbrile formicolio di preparativi che va progressivamente ad allestire e determinare la Festa in chiesa. Chi si reca lì dentro il 21 novembre di ogni anno non se ne renderà conto: vedrà solo gli addobbi, la Basilica illuminata e parata a festa, gli oggetti preziosi esposti, le luci e le candele accese, la “Madonna nera” inghirlandata di ori e preziosi collocata al suo posto in cima all’Altare Maggiore, il grande mantello rosso che avvolge come un abbraccio il possente gruppo marmoreo realizzato da Jouste Le Court ... Insomma il comune Fedele-Pellegrino Veneziano vedrà ogni solita cosa al suo posto, preparata come si deve e come sempre ha visto durante la sua vita.
S’ignorerà però lo sforzo che è stato necessario per presentare la grande chiesa in quel modo. Io che per anni l’ho intrapreso e vissuto, posso dirvi che si tratta di un lavorio faticoso e lunghissimo, che qualche decennio fa iniziava addirittura qualche mese prima della Festa della Salute. Era un impegno non da poco che richiedeva un’infinità di tempo e dedizione. A dirvelo un po’: ho trascorso pomeriggi su pomeriggi (di mattina frequentavo il Liceo o la Scuola di Teologia del Seminario) ad arrampicarmi fino in cima a scale vecchissime e traballanti per salire a rivestire colonne a altari di preziose, polverose stoffe, teli, drappi, damaschi e soprarizzi che traevamo fuori dai vecchi armadi delle Sacrestie assaliti dai tarli. Alla fine avvolgevamo quasi ogni parte della Basilica conferendole un “Volto festivo” secondo la tipica abitudine veneziana di “vestire le chiese per le feste come da sposa”.
Si trattava di chilometri di stoffe srotolate, stese e issate pazientemente con corde e carrucole fino a ricoprire a volte intere pareti … Mentre i miei compagni Seminaristi se ne rimanevano intenti a studiare al calduccio o a trastullarsi nel campetto da calcio, io trascorrevo il mio tempo a “vestire e lavare” la chiesa della Salute … Perché: “si doveva” fare, mi spiegava ogni anno il Rettore ... Non si poteva esimersi dal farlo.
Quante volte me ne sono rimasto abbarbicato in cima a quelle scale scricchiolanti legato con una corda in cintura a combattere con un vecchio chiodo arrugginito o con un gancio spezzato che scappava via dopo decenni o forse secoli dal suo buco sul capitello di una colonna rimanendomi in mano quando lo raggiungevo per appendervi qualcosa: “Maledetto !” me ne venivo fuori a dirgli.
“Che sfiga delle sfighe ! … Proprio a me doveva capitare che scivolasse fuori questo chiodo per farmi impazzire ?”
Mi toccava allora armarmi di “Santa Pazienza” oltre che di martello e scalpello, e salire fin lassù a togliere il legno fradicio incastrato nel marmo per sostituirlo con un nuovo “cùgno legnoso” dove immettere un nuovo gancio o chiodo. Che fatica a volte ! … Come quando metri e metri di stoffa finivano con l’attorcigliarsi in qualche fessura fin troppo stretta del muro e delle colonne, e “non cadevano” più giù lisci e avvolgenti sui marmi come avrebbero dovuto. In quegli anni, quando ancora non esistevano all’interno della Basilica le impalcature semoventi, si andava di nuovo a prendere le solite ataviche scale, e armati di pertiche e canne si stava lì a strattonare, spingere e tirare finchè finalmente quegli “stracci” finivano al loro posto in maniera adeguata calzando a pennello.
Ogni tanto sopraggiungeva il Rettore baschetto in testa e sciarpa girocollo “a controllare”, e vedendoci/mi lassù in alto a far “acrobazie” si accontentava di borbottare: “Me ne vado ! … Mi fate impressione in cima a quelle vecchie scale traballanti … Prima o poi mi dovrò decidere a comprarle nuove … o a ordinare l’acquisto di un’impalcatura.”
Peccato però che poi non realizzasse mai quel che prometteva, perciò ogni anno venivamo a trovarci … mi ritrovavo cioè … puntualmente nella stessa pericolosa situazione.
“Ohe ? ... Ma che fine hai fatto ? Non ti si vede più in giro ?” venivano a dirmi ogni tanto i compagni provando a “recuperarmi” durante l’ora della ricreazione: “Vieni almeno a giocare una partita al pallone ?”.
Scendevo allora tutto polveroso tralasciando di movimentare quella montagna di quelli che chiamavamo “stracci”, e sfidando i brontolamenti del Rettore che non amava veder rallentare l’allestimento e i preparativi di quella sua “creatura festiva”, qualche volta evadevo brevemente da quella specie di cantiere per dedicarmi a una liberatoria quanto salutare “partitaccia a pallone”.
“Ma chi te lo fa fare d’imbarcarti in tutto quell’ambaradàn invece di studiare ?” mi chiedevano gli amici fra una pallonata e l’altra: “Non c’è qualcuno altro che possa occuparsi di tutto quel lavoraccio dell’allestimento ?”
Non sapevo che rispondere … O meglio: mi vergognavo un poco a spiegare che quel “sacrificio” era un po’ dovuto nei riguardi del Rettore e del Seminario perché ero squattrinato e c’era qualcuno che provvedeva a coprire la mia retta da Seminarista. Quella forma “d’aiuto e disponibilità” da parte mia era un modo di dimostrare fattiva riconoscenza nei riguardi di chi mi stava aiutando economicamente ... Vi posso garantire che di riconoscenza fattiva lungo gli anni del Seminario ne ho dimostrata più che tanta, di certo “da pareggiare” (se non superare di molto) quanto mi è stato generosamente regalato.
“Qualcuno dovrà pur fare questo lavoro,” provavo allora a spiegare: “Non vorrete mica che la Basilica si presenti ai Veneziani tutta spoglia e sporca il giorno della sua Festa ? … Sapete poi come me che non essendoci più in chiesa un vero e proprio Sacrestano, serve sempre “un uomo della Provvidenza” che si dia da fare al suo posto … Come potete intuire in questa stagione l’uomo della Provvidenza sono io e tocca a me provvedere.”
I miei compagni mi ascoltavano senza replicare … Qualcuno più generoso si premurava ogni tanto “di farmi compagnia”, e veniva allora ad aiutarmi in qualche momento libero. Per questo ogni tanto c’era in Basilica un piccolo esercito di Seminaristi volonterosi che si spingeva avanti e indietro nella grande chiesone deserto e gelido collaborando alla complessa realizzazione di tutto quell’allestimento così complicato e laborioso.
Come sempre: chi non ha provato non potrà sapere e capire …E anche chi è venuto dopo ed ha agito in modo diverso e dotato di maggiori sussidi e aiuti non coglierà la fatica fatta in quegli anni … Riempievo interi pomeriggi, ad esempio, prendendo in considerazione su indicazione del Rettore ogni singola lampada d’ottone o d’argento della chiesa. “Dandoci d’olio di gomito, sabbia, Sidol e limone” la facevamo scendere dal soffitto con una carrucola, e rimanevamo lì a lucidarla e strofinarla fino a farla scintillare e splendere “a specchio” … In seguito, mai paghi e domi, salivamo ancora sopra le solite scale dondolanti fino ad arrivare a spolverare e pulire le antiche lampade viola-azzurro in vetro di Murano appese ai fili che scendevano dall’alto della Cupola Piccola nei pressi dell’altare ... Le abbracciavamo strette come sorelle per lisciarle e ripulirle da tutto il “nero fumo” che procuravano le candele che ardevano di sotto tutto l’anno.
Chi avrebbe notato tutto quel nostro ripulire e lucidare ? … Forse nessuno: “Fallo per omaggiare la Madonna !” mi rispondeva il Rettore al quale ogni tanto chiedevo spiegazione per tutto quell’imponente operare.
Soprattutto in qualche annata particolare, lo stesso Padre Rettore si dimostrava essere insolitamente sensibile alla dettagliata pulizia e al decoro del suo chiesone: ne diventava quasi maniaco, voleva far risplendere tutto sotto agli occhi (miopi) dei Veneziani … che probabilmente non si sarebbero mai accorti di tutto quel nostro sforzo.
“Poco importa che se n’accorgano.” mi diceva … Ci faceva (spesso: mi faceva, perché mi trovavo da solo) armare di stracci, secchi d’acqua fredda, detersivi, spazzole e spugne, e c’indicava di lavare letteralmente ogni altare della chiesa … Proprio ogni parte dell’altare: ogni marmo, ciascuna decorazione, e fin su in alto ogni colonna, e fin giù in basso ogni singolo gradino, comprese le artistiche balaustre e i cancelletti che li contornavano: dovevano splendere pure loro in qualche modo.
Vi sembra quasi impossibile vero ? … Invece è andata proprio così … per diversi anni.
Strusciavo pazientemente ogni singola parte, andavo a cambiare l’acqua che diventava puntualmente nera, polverosa e untuosa, e poi riprendevo pezzo dopo pezzo fino a completare l’opera intera della pulizia … Mi pareva d’essere un restauratore della Sovraintendenza alle Belle Arti … Servivano giorni, settimane per completare quella pulizia così meticolosa. Poi, una volta pulito il singolo monumento dell’altare, si passava alla fase successiva: cioè alla sua “vestizione” … Si ricoprivano le colonne, si posizionavano paliotti e tappeti, candelabri (risciacquati e lucidati pure loro), tovaglie, arredi d’altare, piante e quant’altro veniva in mente al Rettore di volta in volta.
Ogni anno c’era un’opera “maiuscola” da compiere. Sarebbe servita un’intera impresa di pulizie ... mentre ero lì: quasi sempre da solo.
Terminata questa fase, si passava a “curare” lo splendido pavimento marmoreo della Basilica: grande come una piazza, che doveva luccicare pure lui pulito sotto gli occhi dei Veneziani. Ancora altri pomeriggi su pomeriggi quindi trascorsi a scopare, passare e ripassare con petrolio, segature e lucidatrici passo passo, intarsio dopo intarsio, pietra dopo pietra ogni zona dell’intera chiesa … Non finivamo mai di tirare a lucido quel benedetto pavimento, che però alla fine splendeva in tutta la sua magnificenza apprezzabile tutt’oggi. L’ultimo pezzo ad essere pulito e lucidato era quello centrale sotto alla grande lampada d’argento che pendeva dalla cupola centrale: “Unde origo inde salus” (Dallo stesso luogo dove abbiamo trovato origine, sempre da lì è scaturita la nostra Salvezza) Potete andare ancora oggi a leggerlo: recita proprio così il motto impresso al centro del pavimento contornato da tante Rose simbolo del Culto Mariano e della Devotio Veneziana. Quella scritta è come la sintesi plastica che racchiude il senso dell’intero monumento religioso.
Tiravo un sospiro di sollievo quando terminavo di lucidare quella scritta d’ottone, perché significava che la pulizia dell’enorme pavimento era terminata … con soddisfazione, perché alla fine della fine mi affezionavo a tutto quel mio intenso lavorare … Ogni giorno sentivo come crescere in maniera progressiva e concentrica quella Festa della Madonna della Salute che avvertivo come mia, al pari di quell’immenso chiesone che finivo col curare palmo a palmo … Mi sarebbe mancato solo di salire a spolverare con un pennellino le singole volte a vela della Cupola Grande, o d’arrampicarmi a ripulire la Madonna di piombo posta sulla sua cima.
Per fortuna quell’opportunità non è mai passata per la testa del Rettore, altrimenti sarebbe stato capace di chiederci anche quello.
Dal giorno dopo alla Festa della Salute secondo un’altra direttiva ferrea dello stesso Rettore della Basilica si sarebbe dovuto in fretta smantellare tutto quell’apparato per portare la Basilica della Salute fin dalla Festa dell’Immacolata dell’otto dicembre nella sua tipica spoglia e disadorna “veste invernale”: altro lavoraccio gravoso realizzato sempre in velocità e spesso in corsa contro il tempo.
Eravamo (qualche volta ero) “l’impresa fa e dèsfa”, perciò di nuovo per giorni su giorni trascorrevo il mio tempo pomeridiano fino a sera dedicandomi a spreparare, arrotolare, piegare e riporre un’infinità di cose tornando a riempire i soliti armadi “cariati” e scricchiolanti dove il tutto avrebbero ripreso “a dormire” fino all’anno seguente ... o quasi. A metà Quaresima, in realtà, buona parte di quell’amabaradàn sarebbe stato rimesso in opera per allestire la ricorrenza delle Quarant’ore, che avrebbe di nuovo visto coinvolto l’intero Seminario, i Preti, i Chierichetti di tutta Venezia e Isole, e perfino il Patriarca.
Manie del Rettore ? Forse sì ... Ma si facevano tutte quelle cose “secondo Tradizione” ... e quando si usava quella parolina “magica” all’interno degli ambienti di Chiesa si faceva sempre riferimento a qualcosa che per natura sua era sempre irrinunciabile e non si poteva affatto dismettere.
In ogni caso, giorno dopo giorno il Rettore si dimostrava sempre più soddisfatto e contento perché vedeva “crescere la sua opera” (sua ?), e vedeva la “sua Basilica” sempre più pulita, preparata, abbellita e predisposta ... “come andava fatto”.
Dopo qualche anno di quel lavorio, il Rettore dava per scontato che mi attivassi “per tempo” per mettere in opera tutto quel complicato allestimento. Iniziava a pressarmi perché incominciassi a lavorare quando secondo lui: “Si andava facendo ormai tardi per preparare la Festa” … ed eravamo appena ai primi di ottobre.
Mi attivavo allora … controvoglia sinceramente … ricco della freschezza e dell’inconsapevolezza dei miei giovani anni, e della spericolatezza che mi era congeniale. Addirittura mi avventuravo a “camminare” con le scale standovi appollaiato sopra … e riprendevo ad appiccicarmi su per le pareti e le colonne della Basilica come un Ragno al muro. (Quella delle scale e scalette è sempre stata una “costante” delle chiese di Venezia, così come la smania di abbellire, addobbare e “vestire a festa” le chiese. Ciascuna chiesa, anche la più piccola, è sempre stata ben fornita di tutta una sua serie di scale d’ogni misura e forma, che molto spesso venivano messe a disposizione anche delle necessità dei Parrocchiani della circostante Contrada. Anche oggi, in qualche chiesa vecchiotta e poco restaurata è ancora possibile vederle affastellate, grigie, marce, e abbandonate fuori uso in qualche angolo, di solito nei pressi del portone centrale … Altri tempi !)
In quanto alla Sicurezza mentre lavoravo, m’infilavo costantemente in situazioni di rischio e pericolo da rabbrividire: ero spericolatissimo … Non ci pensavo allora, e il Rettore della Basilica e del Seminario ci pensava ancor meno di me … Nove volte su dieci m’arrampicavo in giro per la Basilica in pratica senza alcuna misura di prevenzione e sicurezza ... Sono giunto perfino a salire a cavalcioni su per le lisce colonne degli altari aiutandomi con uno spezzone di corda che assicuravo con qualche nodo in maniera davvero precaria ... La Madonna della Salute deve aver sudato quattro camicie per proteggermi giorno dopo giorno.
Rabbrividisco ancora oggi nel ripensare a quei momenti ... Non era coraggio, era sprovveduto ... ma “per la Salute” ero disposto a fare quello e anche altro.
La Festa della Salute ancora, sempre per noi “addetti ai lavori”, significava anche qualcos’altro. Contare i soldi delle elemosine raccolte durante tutti i giorni della Festività, ad esempio.
Non pensate che sia stata una cosetta da poco, una banalità, smaltire pochi spiccioli ! … Non era affatto così.
Innanzitutto perché non erano per niente quattro spiccioli … Dopo la ricorrenza del 21 novembre, giornata effettiva della festa tradizionale, ci ritrovavamo con numerosi bidoni della spezzatura pieni fino all’orlo di monete che ogni anno necessitavano d’essere impacchettate, contate e riordinate prima d’essere infine accettate e accolte da qualche banca cittadina. Anche quello era un immenso lavoraccio ! … Si trattava ogni anno di qualche quintale di monete da smaltire.
C’era si qualche volta qualche fedele generoso che metteva nelle mani del Rettore qualche bustina contenente un pratico assegno sostanzioso, ma nella maggior parte dei casi, invece, i Veneziani si adopravano ad offrire una marea di spiccioli di ogni taglio che messi insieme formavano una vera montagna di soldi soprattutto di metallo. S’iniziava la conta dopo aver metodicamente vuotato più volte le varie cassette collocate in Chiesa, e si raccoglieva il tutto nel riservato retrostudio del Rettore insieme ai proventi delle vendite dei Teloni o bancarelle, e delle varie raccolte effettuate in chiesa durante le Messe e le celebrazioni. Per anni Seminaristi “di fiducia” accuratamente selezionati dal Rettore si prodigavano per mesi (!) in quell’improbo impegno di smaltire e sistematizzare tutte quelle elemosine ... che non erano affatto poche.
Ricordo interi pomeriggi trascorsi a smistare prima i pezzi di cartamoneta, e poi a contare e arrotolare file su file infinite di monetine. Pareva non si riuscisse mai ad arrivare al fondo di quei pesantissimi bidoni carichi di soldi ... Conta, conta, conta e riconta: il bidone sembrava sempre pieno ... e il Rettore se la rideva per il conto totale che cresceva, così come per lo stupore che leggeva ogni volta sui nostri occhi quando iniziavamo a rimestare dentro a quei “preziosi” e singolari bidoni. Ogni anno alla fine ne derivava una bella sommetta … che in buona parte veniva destinata al sostentamento del Seminario, e in piccola parte al fabbisogno della grande Basilica Longheniana.
Ultimo atto della “contàda”: si andava con uno sgangherato carrettino a portare e depositare al di là del Canal Grande quei soldi “organizzati” in banca, premurandosi di procurarsi di rimando una preziosa ricevuta che andavamo immediatamente a consegnare al Rettore della Basilica e del Seminario.
Un altro “dietro alle quinte” recondito e curioso della festa della Salute era quanto accadeva nel sotterraneo della Basilica della Salute che si riempiva ogni anno di mozziconi, “mòccoli” di candele nuove o usate riempendo gli ambienti sotterranei fino al soffitto. Erano il frutto delle infinite offerte della Devozione dei fedeli, che quasi mai si lasciavano ardere del tutto, e più che spesso non si accendevano neanche davanti all’altare della Madonna. Ogni anno da quella raccolta svolta meticolosamente per giorni alle porte della chiesa o ai piedi dell’altare ne veniva fuori una montagna di cera untuosa e di pessima qualità. Il Rettore aveva un traballante accordo con una Cereria del Mestrino che era disposta a raccogliere tutto quel “ben di Dio” tiranneggiando sempre sul prezzo, il trasporto e il confezionamento di quella massa cerea informe. In cambio di tutto quell’ammasso di scarso valore la Cereria era disposta a praticare un modesto sconto sull’acquisto di candele di buona qualità che alla fine inviava alla Basilica per l’uso quotidiano dell’altare.
In fondo, gira e rigira, le candele offerte dai Veneziani finivano sempre lì dov’erano dirette fin dal giorno della Festa ... magari dopo un lungo giro e qualche “trasformazione”.
C’era un altro faticoso “però” di mezzo … Cioè ogni anno serviva sempre “un qualcuno” che mettesse tutti quei quintali di cera dentro a dei capienti sacchi di iuta, che alla fine una barca passava a ritirare traghettandoli fino alla Marittima. Da lì la cera avrebbe preso la strada della Terraferma e della Cereria.
Secondo voi, a chi toccò per anni il lavoraccio d’insaccare tutta quella montagna di cera ?
A me e a mio fratello in seguito … Ore e ore, pomeriggi su pomeriggi a tagliuzzare con un coltellaccio le singole candele traendole dalla montagna cerea che si faceva via via sempre più compatta e uniforme. Alla fine si prendeva il pesantissimo sacco, lo si pesava e numerava applicandogli un talloncino, e lo si ammonticchiava in attesa d’essere trasportato via.
“Vieni a giocare a pallone oggi dopopranzo?” mi chiedevano i compagni Seminaristi.
“No … Ho un “impegno di fiducia” conferitomi dal Rettore da portare avanti.”
“Un altro ? … Gli incarichi di fiducia del Rettore suonano sempre di faticaccia.”
“Sì è proprio così.” e me ne andavo di sotto nel sotterraneo a combattere con le candele della Festa della Salute. Solo raramente i miei compagni seminaristi accettavano di condividere con me quella faticaccia. Lo facevano “una tantum” magari nei giorni in cui pioveva e il campetto da calcio non era praticabile. Poi intuivano la fatica e la noia di rimanere lì sotto nel sotterraneo a lavorare, perciò sparivano e non vi tornavano più. Il “Lavoraccio” si protraeva per buona parte dell’inverno e fino a primavera inoltrata … Di certo era meglio andare a giocare a pallone.
Ogni tanto nella spelonca sotterranea appariva il Rettore: “E allora come andèmo co sto lavoro ? … Se procede o se batte la fiacca ?”
Qualche volta quel lavoro da libera prestazione volontaria si trasformava in “gentile” pretesa … Da parte mia non volevo né potevo non mostrarmi disponibile a compiere quell’infimo lavoraccio … Incombeva sempre su di me quel bisogno in qualche modo di “sanare” quel debito di riconoscenza per quanto i benefattori provvedevano per la mia retta e il mio mantenimento nel Seminario … C’era un unico Seminarista che veniva saltuariamente ad aiutarmi nello svolgimento di quel lavoro improbo: scoprii ben presto che si trovava anche lui nella mia stessa difficile situazione economica, per cui anche lui non poteva ritrarsi dal mostrarsi disponibile a mettere in opera i così detti “Incarichi di fiducia” del Rettore del Seminario ... Pure lui “per riconoscenza”.
Ogni anno poi spuntava la data precisa del trasporto in Terraferma dei sacchi di risulta delle cere: per cui bisognava impegnarsi in un annuale forcing finale per smaltire del tutto il solito “monte ceròso”. Ogni volta osservavo da una parte con soddisfazione quel cantuccio lercio del sotterraneo che diventava sgombro e vuoto per breve tempo. Dopo l’estate e con la prossima Festa della Salute sarebbe tornato di nuovo a riempirsi di candele fino al soffitto, e qualche altro “fortunato” al mio posto avrebbe ricevuto probabilmente il “divertente incarico di fiducia” di smaltirle e confezionarle per la Cereria.
Questi comunque erano aspetti marginali, retroscena secondari e di contorno della Festa. Per fortuna la Festa della Madonna della Salute significava molto e molto di più.
Ciò che della Festa mi ha maggiormente impressionato per anni vedendola “dal di dentro”, è stata un’altra considerazione di portata e significato sicuramente superiore. Mi ha impressionato il fatto, che quasi magicamente dopo secoli, i Veneziani continuassero puntualmente ad accorrere devoti a migliaia portandosi ogni anno nel Santuario della Salute da tutte le Contrade Veneziane, ma anche dalle isole circumvicine e da tutta la Terraferma e il Litorale Veneto. La sensibilità nei confronti della Festa della Madonna della Salute di Venezia mi è sembrata quasi l’effetto di un DNA atavico inserito dentro al corredo cromosomico dei Veneziani. La ricorrenza della Salute al pari del Redentore, la Sensa, la Regata Storica, il Carnevale, la Biennale, la Mostra del Cinema e diversi altri sembrano quasi eventi irrinunciabili, e irresistibili a cui ogni Veneziano non sa, né vuole esimersi dal considerarli e parteciparvi.
Non si tratta di un fatto esclusivamente Devozionale e di Fede, sembra piuttosto un connotato specifico che qualificava la Venezianità. Non si può non andare alla Salute se si è Veneziani veri … Così come non si può fare a meno di considerare le altre manifestazioni e scadenze del calendario a cui ho accennato. Infatti nel chiesone della Peste della Salute o sempre visto presenziare persone eterogenee di ogni sorta, compresi atei incalliti e mangiapreti, e tanta altra gente che con la Religione aveva di solito ben poco a che fare durante tutto il resto dell’anno.
C’era gente che mai avrebbe pensato di recarsi in una chiesa a Pasqua o Natale, che neanche partecipava allergico a Funerali e Matrimoni in chiesa … ma la Festa della Salute: quella no … Non se la perdeva affatto ... Sapeste quante persone del genere ho conosciuto, alcune anche molto pittoresche e singolari.
La Festa della Salute, insomma, caratterizzava da secoli l’identità cittadina, ed era, ed è tuttora un vero e proprio segno d’appartenenza ... anche se oggi qualche “colpetto” lo sta perdendo in quanto a partecipazione e presenze ... Col Covid poi: tutto s’è liofilizzato, ridotto, per non dire quasi esaurito e spento.
Alla fine quindi, dopo quel nostro intenso e interminabile lavorio, giungeva allora prima la Vigilia e poi ovviamente il tanto atteso giorno della Festa della Salute vera e propria … Era un Festone a dir la verità, ogni anno un’occasione speciale che ci ha coinvolti per molti anni facendoci emozionare sul serio. Non esagero nel dire, che dal nostro punto di vista Seminariale ogni anno il giorno della Festa della Salute era proprio un momento “magico”.
La Vigilia era come un “succulento antipasto della Festa”, ed era contrassegnata dall’apertura del tradizionale Ponte di barche steso attraverso il Canal Grande fra le Contrade della Madonna del Giglio e quella di San Gregorio, e soprattutto dal Pellegrinaggio dei Giovani alla Basilica della Salute … Era un appuntamento atteso e significativo che concludeva la serie delle partecipazioni e pellegrinaggi alla Basilica accaduti nei giorni precedenti alla Festa: quello delle Religiose, delle Schole, della gente del Vicariato di Dorsoduro, dei Malati … e altri ancora.
Quanto riflettevo e pensavo ogni anno vedendo sfilare quei giovani con le fiaccole in mano ! … In loro vedevo i miei futuri giovani, quelli della mia futura Parrocchia che ancora non conoscevo né immaginavo. Vedevo in loro il futuro che avrei desiderato per la nostra Chiesa di Venezia: un futuro coinvolgente carico di freschezza giovanile ed entusiasmo, una voglia di modernità, di adesione, e di disponibilità incondizionata a vivere l’Ideale Vangelico e di rimando Essere Chiesa ... Vedendo sfilare i giovani della Festa della Salute in un certo senso sognavo ad occhi aperti ... Ascoltare le parole programmatiche ed entusiaste dei Patriarchi, osservavo pregare, cantare, ridere e partecipare attenti. Tutta quella folla di giovani era per me quasi una visione profetica: una porta spalancata sul futuro.
C’erano presenti i giovani dei Movimenti Cattolici, cioè quelli che davano parecchio da pensare e facevano preoccupare i vecchi Preti, e non soltanto loro per le novità, le esperienze, e le convinzioni insolite che promuovevano … C’erano i gruppi degli Scout con la loro solita aria da esploratori smarriti e sprovveduti, c’erano i gruppi dei Focolarini, di “Cielle”: Comunione e Liberazione, quelli del Movimento dello Spirito, dell’Azione Cattolica, e perfino quelli dei tradizionalisti Tarcisiani che storcevano il naso di fronte a tutte quelle pericolose sensazioni moderne. C’erano ancora gli affollati gruppi degli Universitari, i Volontari della Charitas e della Mensa di Betania, i Catechisti, gli appartenenti ai gruppi dei Neocatecumenali, e pure qualche isolato gruppuscolo dei giovani delle Parrocchie Veneziane che non appartenevano a nessuno se non a loro stessi: c’erano i giovani del Redentore, dei Mendicoli, gli sparuti giovani dei Gesuati e di San Trovaso, quelli di San Zaccaria, di San Martino di Castello e via così … E c’era ancora un immancabile accorrere di Frati, Preti e Suorine, Donne Consacrate con la crocetta francescana di legno al collo, o semplici Laiche impegnate dall’identità indistinta o stagionata al confine con Zitellesco che finivano col far da contorno a quella folla giovane eterogenea e festante: un gran bel vedere che induceva a speranza ... quasi commuoveva.
“Che ci fa un vecchiotto come lei in mezzo a tutti questi giovani ?” chiedevo ogni anno a un immancabile anziano che s’aggirava ogni volta entusiasta in mezzo a tanta fresca e arzilla gioventù: “L’importante è sentirsi giovani dentro, giovani di spirito … Davanti a Dio e alla Madonna non contano l’età … Si è sempre giovani … e in debito di Salute e riconoscenza.” mi rispondeva, e tornava ad aggregarsi alla fiumana umana che transitava con le fiaccole in mano che fumavano e colavano … Ne risultava ogni anno un pittoresco corteo sempre inseguito dalle telecamere delle televisioni regionali sempre disposte a raccogliere contributi, immagini e interviste di volti entusiasti che finivano in onda in prima serata.
Ricordo una volta di un Prete, a dire il vero: molto sussiegoso e pieno di se, che per un paio d’ore continuò a correre avanti e indietro fra i Giovani e la Basilica invitando tutti ad assistere al telegiornale serale dove sarebbe apparsa una sua interessante e riuscita intervista circa la Festa della Madonna della Salute. Insistette talmente tanto con tutti, che quella sera finimmo per davvero incuriositi davanti alla televisione … Durante la trasmissione, invece, spuntò fuori il suo faccione per due secondi in tutto, e non si sentì una sola parola del tanto “di bello” che affermava d’aver detto e spiegato in quanto la voce del cronista si sovrappose del tutto alle immagini della sua fugace comparizione mescolandole con quelle del corteo dei Giovani e della Festa: tanta boria e smania d’apparire … e poca consistenza.
Nel nostro mondo del Seminario e tutto Preteresco la singolare giornata festiva “della Salute” era poi ricca di appuntamenti e significati paralleli. Capitava di reincontrare diversi Preti, amici e conoscenti che venivano ad assieparsi in chiesa durante il solennissimo “Pontificale Patriarcale” al quale partecipavano tutte le Autorità cittadine di Venezia: Sindaco in primis. Il tutto incominciava con un altrettanto pomposa Processione delle Antiche Congregazioni del Clero Veneziano che anticipava la celebrazione del “Messone col Patriarca”: neanche pallido ricordo come consistenza con quanto accadeva un tempo.
Il così detto “Pontificale col Patriarca” accadeva giusto a metà mattina … Poco prima s’iniziavano “le grandi manovre” per preparare la chiesa ad accogliere il Patriarca e le Autorità Cittadine: si sgomberava dalla gente la “Rotonda Piccola” davanti all’Altare Maggiore della Madonna, e si predisponevano febbrilmente poltrone dorate per le autorità, tappeti e corsie rosse, ed ulteriori addobbi ... C’era una vera e propria squadra di Chierici che si attivava abilmente per l’occasione: in pochi minuti chiesa ed altare erano pronti per accogliere gli ospiti illustri dando vita al momento topico: al clou della giornata.
Nell’occasione del Pontificale della Salute, qualche anno Patriarchi e Sindaci si sono impegnati, e talvolta contrapposti, producendosi in omelie e discorsi divenuti celebri nella Storia di Venezia. Ne ricordo, ad esempio, alcuni pronunciati dal Patriarca Albino Luciani o da Marco Ce davanti alle Giunte Laiche o Socialiste andando a toccare argomenti tostissimi e d’attualità scottante per Venezia. Certi grandi Patriarchi pur nella loro amabile umiltà e cordialità umana oltre che spirituale, non le mandavano di certo a dire ai Politici e alle Autorità di Governo presenti in Basilica. Durante gli anni del Terrorismo o dei problemi lavorativi delle fabbriche di Marghera e di Venezia, ad esempio, sono state pronunciate parole davvero forti, infuocate, che i Veneziani attendevano, hanno gradito, e sono accorsi ad ascoltare volentieri. Pure le Autorità e i Sindaci non perdevano l’occasione per rispondere al Patriarca e alla città, e più di qualche volta li ho visti e sentiti intenti a soppesare le parole, o a controbattere fieramente quelle pronunciate dal Patriarca … A volte sembravano dei veri e propri battibecchi pubblici pronunciati a distanza, sentitissimi e vivissimi, che però alla fine andavano a condensarsi e unificarsi, quasi ricapitolarsi e fondersi davanti a quell’unico altare della Madonna dei Veneziani.
Era come se non fossero trascorsi tutti quei secoli dal tempo del Voto della Pestilenza, e come se si ripetesse ogni anno e di nuovo quella scena di pietra imprigionata nel marmo sopra all’altare dove Venezia intesa come insieme unico Civico-Religioso e Popolare andava a inginocchiarsi ai piedi della sua Madonna per chiedere un qualche aiuto per superare “le Pesti Storiche” di turno.
Albino Luciani, futuro e sfortunato Papa Giovanni Paolo 1° … ripeteva: “Esistono tante pesti di oggi di cui abbiamo ancora bisogno di guarire … Non c’è più quella bubbonica del corpo … ma siamo afflitti in molte, da tante pesti dell’Animo che c’impediscono di vivere felici …”
Aveva ragione … Eccome.
Mi piaceva assistere e vivere quel momento dei Discorsi il giorno della Festa della Salute, e insieme con gli altri rimanevamo attenti a “bere” ogni parola dei celebri discorsi che uscirono dalle bocche sia dei Patriarchi che dei Sindaci di Venezia … Oggi si è perso molto, quasi del tutto la profondità e la forza di quell’appuntamento che era anche dialogico e di confronto istituzionale oltre che rappresentativo della sensibilità della città. Più che altro oggi è facile ascoltare discorsi di circostanza, o riflessioni prettamente religiose … mentre l’Autorità Civile spesso tace ... distante.
Approntato il “Pontificale della Salute” spesso rimanevo fuori “dalla mischia dell’altare e delle Autorità”, e mi premuravo, invece, rimanendo al margine che tutto l’apparato e la macchina della Festa girassero lisci funzionando come si doveva. Dismessa la tonaca da Chierico, e confuso fra la folla, oltre a deliziarmi in disparte dei discorsi del Patriarca e del Sindaco, mi dedicavo ad accendere ogni volta l’infinità dei “candelotti” sparsi per tutta la chiesa, sulle colonne, e sugli altari utilizzando una lunghissima canna sulla quale ponevo uno stoppino acceso in cima ... Sembravo uno strano pescatore eterogeneo che s’aggirava fra la folla in chiesa … Oppure comparivo dal niente sopra al gruppo marmoreo dell’Altare Maggiore per sistemare qualche candela consumata o spenta.
Lì dall’alto mi divertivo ad osservare il fiume montante delle persone che scorreva per ore di sotto in chiesa. Mi piaceva vederlo fluire, riconoscere qualche volto, scrutarne le espressioni diverse, captarne gli umori, ascoltarne le espressioni e le preghiere … Vedevo lo spettacolo della Festa della Salute dei Veneziani, la ripetizione annuale della memoria di quel “Salvamento strano della città da tutti considerato Divino oltre che miracoloso”.
Sempre durante la Festa della Salute, c’erano sempre alcuni Preti che sostavano in Basilica a “prestar gratuito servizio” per l’intera giornata rimanendo spesso per ore e ore dentro ai Confessionali della chiesa dove accoglievano vere e proprie valanghe di Confessioni ... Altri tempi ... Il fenomeno del numero delle Confessioni, copiosissimo un tempo: davvero impressionante, pur rimanendo ingente di numero l’ho visto progressivamente sfumare lungo gli anni.
A tal proposito non posso far a meno di ricordare un paio di aneddoti secondo me curiosi e interessanti: un anno ci fu un Prete Veneziano che si presentò fin dall’alba come disponibile per confessare i fedeli della Festa. S’infilò subito in un confessionale della Basilica, e rimase lì dentro impegnato per delle ore … Dopo un po’ non vedendolo più comparire ed emergere fuori da quel chiuso confessionale polveroso, con i miei compagni ci chiedemmo: “Ma quel Prete là, che fine ha fatto ?” … Iniziammo a preoccuparci, anche perchè la fila delle persone che intendevano confessarsi non accennava a diminuire … Altri tempi vi dicevo ... Via uno, ed ecco subito che un altro prendeva il suo posto.
Trascorse un’altra ora, e ci decidemmo: facendoci forza bloccammo l’ennesima penitente in arrivo, e andammo a bussare al confessionale scostando la tendina che lo celava: “Padre ! … Padre ? … Come va qui dentro?” gli chiedemmo.
Era lì: smunto e pallido, provatissimo, quasi sfinito: “La Misericordia di Dio … La Penitenza …” borbottò disidratato e quasi confuso.
“Venga immediatamente fuori da qui !” gli ordinammo non senza una certa energia col mio solito compare Paolo: “Non vede com’è ridotto ? Sta quasi svenendo.”
“La Misericordia di Dio … La Penitenza dei Fedeli … La Remissione dei Peccati.” farfugliò di nuovo quello quasi confuso.
“Lascì stare per un attimo !” lo incalzò Paolo: “Ma ha fatto colazione stamattina ? … Ha preso almeno un caffè ? … Esca almeno a far pipì.”
“No … Sono a digiuno da ieri sera per la Messa che dovevo celebrare per la Festa … Poi sono entrato qua … e adesso ci sono i Penitenti che chiamano … e io … e …”
“Molli sti Penitenti e venga fuori subito da qua !” gli intimò Paolo: “O vado a chiamare il Patriarca e il Rettore.”
“Boo … Bo … Bo … la Penit … le Anime che si sfogano … certe storie che Dio …”
“Fuori !” ordinò Paolo perentorio. E quello finalmente si mosse impacciatissimo e privo ormai di risorse ed energie. Aprì lo sportellino scricchiolante del confessionale umidissimo, e provò a uscire di fuori ciondolando malfermo sulle gambe. Dovemmo prenderlo e sorreggerlo per le braccia … Chiuse gli occhi, e piegò le gambe cedendo verso terra: “Ohe Monsignor !” gli gridò Paolo, “Non faccia scherzi ! Si rianimi ! … Ma guarda questo ... A momenti mi resta secco nel Confessionale … Lo ritroviamo scoppiato a benedire con la manina per aria.”
Con non poca fatica lo portammo sudatissimo fin nel Refettorio, lo sedemmo a tavola, e lo costringemmo letteralmente a rifocillarsi convenientemente ... Al terzo caffè si riprese aggiungendovi anche una debita “correzione” proposta dalla nostra Suora Infermiera intervenuta prontamente sul posto.
“A pensare che sono anche diabetico.” Mormorò: “Mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo di rendermi utile alla Festa.”
“Bel pollo !” lo incalzò Paolo: “Le sembra questo il modo di trascurarsi ?”
Da quell’anno il Rettore della Basilica organizzò un servizio dei Confessori, e scelse un Chierico apposito che fra gli altri compiti aveva anche quello di controllare che qualche Confessore non finisse dimenticato in qualche angolo recondito della Basilica.
Un’altra volta, invece, qualche anno dopo, fu io in persona partecipe di un episodio singolare. Diventato Prete ed esercitando ai Carmini la mia “Missione Sacerdotale”, memore di quanto avevo vissuto intensamente negli anni precedenti sia nel Seminario che nella Basilica della Salute, ho sentito pure io il bisogno di presentarmi alla Festa nella Basilica per rendermi utile in qualche maniera come Prete.
Mi portai dunque nel chiesone, e rivoltomi a un giovane Chierico mi venne affidato subito un Confessionale per ricevere le Confessioni: “Si dice il Peccato, si discute il caso, ma mai il nome del Peccatore.” ci hanno sempre ripetuto negli ambienti Pretereschi, di Confessionale e di Morale … Mi è capitato appunto “un caso” che voglio condividere con voi.
Dietro alla grata del Confessionale ho intravisto un uomo corpulento di media età, che dopo i soliti preamboli Sacramentali di Rito ha iniziato a raccontarmi: “Padre … Confesso davanti a Dio che qualche anno fa sono stato io l’autore di un furto mai risolto, il cui autore non è stato mai trovato … Ero io … In quel momento ero in difficoltà economica, per cui ho sottratto con furbizia al mio datore di lavoro un ingente cifra di denaro: un piccolo tesoretto … Me ne pento ovviamente adesso, dopo che sono trascorsi quasi vent’anni dai fatti … Nel frattempo mentre il mio datore di lavoro è andato in grave difficoltà finanziaria, io, viceversa, ho fatto fortuna, anche a causa e per merito di quella somma che ho sottratto … Senza farmi notare sono riuscito nel tempo a investirla e farla fruttare, e adesso sono abbiente, ho messo su famiglia, ho figli e sto bene economicamente … Tutto è stato frutto però di quel furto antico.
Ovviamente non intendo venire allo scoperto, anche perché non vorrei turbare la serenità né di mia moglie che è all’oscuro di tutto questo, né vorrei inficiare l’onorabilità della nostra famiglia … Di intraprendere poi tutte le conseguenze del caso: proprio non se ne parla.
Voglio però in qualche maniera riparare a quanto ho fatto: voglio approfittare di questa Festa della Salute per risanarmi dentro e togliermi almeno una parte di questa Peste che mi trascino dentro da anni … So, che forse non otterrò tutto il perdono di Dio per quanto ho fatto e per come mi sono comportato, però voglio porre rimedio a modo mio al danno che ho procurato anni fa.
Dopo questa Confessione le porgerò una busta con un assegno pari a due volte quanto ho rubato a quel tempo … Compito suo sarà far pervenire questo denaro anonimo a chi ha veramente bisogno … Sarà nulla … ma servirà di certo ad acquietare la mia Coscienza …
Detto questo, senza neanche aspettare che aggiungessi qualche parola, né che gli proponessi una qualche assoluzione almeno parziale visto il suo sincero pentimento, sentii scricchiolare i legni del Confessionale, e da dietro la grata vidi muoversi e spostarsi il corpo pesante di quell’uomo. Un attimo dopo una mano grossa scostò la tendina del confessionale, e vidi apparirmi davanti un faccione d’uomo distinto con un paio di vistosi baffoni in volto, e un abito elegantissimo. Piangeva commosso sommessamente …
Non riuscivo a dirgli niente: fece tutto lui.
“Adesso mi sento molto meglio.” disse: “Prenda … Qui dentro c’è quanto ho detto …” e così aggiungendo mi porse una piccola busta candida. “La ringrazio di tutto … e d’avermi ascoltato in nome di Dio.” aggiunse. Poi volto le spalle massicce, e l’ho visto scomparire confondendosi con la folla che riempiva la Basilica. Un attimo dopo sono uscito dal Confessionale, ho consegnato la busta al Rettore del Seminario aggiungendovi poche parole … e sono andato a sprofondarmi in uno degli stalli del Coro dietro al celebre altare della Madonna della Salute.
Tutto mi pareva strano, diverso in quel momento … Strana era la Festa, le persone, io stesso … Strana la storia di quella Peste misteriosa che a volte prende la vita umana e le persona in maniera complicata e sempre diversa … Strano il connubio altrettanto misterioso di bene e male che si sovrappone a volte nell’intimo delle persone … e strano anche quel modo d’andarne fuori, di ripartire, di guarire e di rinascere: “E’ tutto questo vivere, questa Storia, questo esserci qui e adesso che è incredibile.” mi sono detto: “A volte la Storia è più grande di noi … C’è qualcosa di grandissimo che ci contiene, e ci porta dove neanche immagineremmo di andare.”
Anche se non “esercito” più da Prete, non ho più dimenticato quel momento … Mi sembra ieri.
Sono rimasto là qualche minuto: “Oggi la Madonna della Salute ha fatto un’altra guarigione ... un altro misterioso miracolo.” ho pensato ... Andò così.
Durante tutta la giornata della Festa della Salute si viveva comunque immersi nella Basilica e nel Seminario in un’elettrica atmosfera particolarissima di condivisione ed emozioni che mi è rimasta impressa dentro. Solo chi l’ha vissuta direttamente e dal di dentro può coglierne la valenza, intuirne la dimensione e assaporarne la memoria.
La giornata della Festa della Salute iniziava nel Seminario molto prima delle luci dell’alba, quando il Rettore della Basilica e del Seminario insieme al Chierico Sacrista e a qualche altro “fidato”, traeva in gran segreto dagli scrigni del Seminario i gioielli della Madonna Nera e li collocava sull’icona venerata da secoli dai Veneziani. Era un momento “magico” riservato a pochi: è stato bello ed emozionante partecipare più di qualche volta a quella vera e propria “incoronazione” … Ricordo ancora adesso: la penombra della chiesa ancora chiusa e deserta … l’intimo scintillio e tintinnare di quelle preziose e delicate collane, il baluginare fra le mani dei pochi presenti, la traballante scaletta posta davanti all’altare, e le “fortunate” mani di turno che ponevano i gioielli sopra all’icona della Madonna Nera. Mai come in quei momenti vedevi gli occhi di quella “Miracolosa e Santa Icona dei Veneziani” guardarti fisso così da vicino. Era proprio un “intimo a tu per tu” con la Vergine della Salute dei Veneziani ... qualcosa che non a tutti è dato d’esperimentare (un’emozione le cui tracce mi sono rimaste dentro per sempre: in quel momento ti pareva di riassumere e rappresentare tutti i Veneziani di ogni epoca che avevano così creduto e porto omaggio a quella Madonna).
Trascorso quel breve momento così intenso, piano piano apparivano i primi Seminaristi e i Chierici mezzi assonnati avvolti nei loro vecchi tabarri: si occupavano via via le panche vuote e si offriva alla Vergine della Salute il primo omaggio canoro e di Devozione della giornata, mentre si sentivano di fuori, sulla riva e oltre il portone ancora chiuso della chiesa, le voci bisbiglianti dei primi Veneziani che accorrevano ad omaggiare la loro Madonna. Mi è capitato per anni di andare poco dopo ad aprire sferragliando con chiavi e catenacci quel portone. Ogni anno, fatto sconosciuto ai più, appena aprivo quel cigolante e pesante portone accadeva una vera e propria corsa verso l’Altare Maggiore per essere i primi fra i Veneziani ad omaggiare la Madonna della Salute nel giorno della sua Festa. C’era una vera e propria corsa e ressa, in quanto alcuni uomini o donne popolani arrancavano più in fretta che potevano per giungere a consegnare e accendere la prima candela votiva della giornata, o per appoggiare il loro bouquet fiorito ai piedi dell’altare.
Una donna la cui famiglia per tradizione aveva partecipato per anni a quella singolare corsa mattutina del giorno della Festa, iniziando a sentire il peso degli anni, decise di sostituire il gesto della corsetta con un altro più comodo. Ogni anno, infatti, il giorno della Vigilia della Madonna della Salute veniva in chiesa a regalare un centinaio di boccioli di rose rosa che finivano a contornare l’intero gruppo marmorei sopra l’altare trasformandolo quasi in un godibile Giardino della Madonna. Mi faceva ogni anno sempre più tenerezza il gesto di quella donna per niente abbiente, ma di sicuro devota e sincera ... Era entusiasta di quel suo omaggiare la sua Madonna. Mi hanno sempre colpito quegli animi semplici ma genuini …
Un anno inspiegabilmente giunse la Vigilia della Festa senza che quella donnetta portasse il pregiato omaggio floreale: “Strano !” disse il Rettore della Basilica: “Non manca mai di presentarsi.”
Aspetta aspetta … Alla fine il Rettore si rassegnò a quell’assenza, e siccome non voleva rinunciare a confezionare quel “Giardinetto pensile di Rose”, mandò noi Seminaristi a comprarle pagandole di tasca propria. Entro un paio d’ore quindi il solito “roseto dell’altare” fece la sua comparsa in cima al monumento della Madonna della Salute che combatteva la Peste di Venezia. Verso sera, quando ormai stavamo per chiudere la Basilica, si presentò trafelato il marito di quella solita donnetta che non s’era presentata: aveva in braccio il solito vistoso omaggio di Rose, e sembrò non poco risentito nel vedere che l’altare era già stato allestito in sua assenza: “Sono venuto a portare l’omaggio di mia moglie … Ho fatto più presto che ho potuto, ma mi sono preso in ritardo … Mi dispiace vedere che avete già provveduto altrimenti.”.
“Eravamo abituati che sua moglie si presentava con più anticipo,” spiegò il Rettore: “Abbiamo atteso atteso, ma non vedendola arrivare volevamo mantenere lo stesso quella bella tradizione.”
“Che dirvi …” spiegò quel marito: “Quest’anno mia moglie si è presa un po’ in ritardo per un inatteso contrattempo che ha avuto … E’ semplicemente morta … Perciò, sebbene in ritardo, mi è venuto in mente che potevo provvedere io a prolungare quel suo omaggio di Devozione a cui teneva così tanto.”
Quell’anno tutti gli altari della Basilica “fiorirono di Rose” più del solito ... Senza nulla dire e aggiungere: presi io la scala, trassi giù ad uno ad uno i vasi di Rose già pronti e collocati in cima all’altare, e li sostituii più che volentieri con i fiori portati da quel marito così premuroso che rimase a guardarmi commosso di sotto finchè terminai quello strano lavoro … Mi abbracciò alla fine: “Questo è anche l’abbraccio di mia moglie.” mi disse.
Vedete: anche certi aspetti apparentemente insignificanti della Festa finivano col caricarsi di contenuti singolari per chi la viveva.
Pioggia, sole, freddo, nebbia o acqua alta che ci fosse, ogni volta aprendo mi ritrovavo davanti quei volti infreddoliti e infagottati nei loro abiti: lì fermi in attesa d’entrare da chissà quanto. C’era fra i tanti, ad esempio, un volto che riconoscevo sempre di un giovane Fornaio mastodontico di corporatura e sempre tutto scapigliato. Era “armato” della sua candela, e sopravanzava immancabilmente tutti raggiungendo sempre l’Altare per primo davanti al quale si segnava ripetutamente commovendosi fino alle lacrime.
“Ciao Padre !” mi salutava immancabilmente: ormai ci conoscevamo. Poi trotterellava subito attorno all’Altare della Madonna vestito della sua divisa da panettiere con un soprabito nero consunto e sporco di farina buttato sulle spalle. Oltre a lavorar da Fornaio era anche noto a Venezia per essere un accanito e cacciaroso tifoso delle squadre di Calcio e Basket Veneziane. Era facile riconoscerlo mentre passava in giro per la città inneggiando, cantando ad alta voce e sbandierando i suoi vessilli mentre si recava allo stadio o al Palazzetto dello Sport … La sua voce possente “passava cento muri”, e quando il Venezia vinceva si poteva facilmente incontrarlo accalorato e su di giri nei pressi del Ponte di Rialto dove sventolando il suo bandierone copriva gli avversari di turno d’improperi, sfottò, insulti e volgarità per tutti i gusti formando pittoreschi capannelli di persone divertite ... Nessuno sfuggiva a quel suo mondo tutto canzonatorio ed entusiasta, era una macchietta d’uomo davvero coinvolgente … ma anche a suo modo una persona sensibile, devota e cordiale, che non mancava mai di presentarsi di buonora davanti “a la so Madonèta de a Saùte” ... La invocava come fosse una bambolina, quasi la mascotte della sua esistenza.
Ogni anno mi si riapriva il cuore all’allegria nel rivederlo … Non so perché, ma quell’uomo con la sua semplice eccentricità, la simpatia e la smania di partecipare e prolungare le tradizioni, in un certo senso riassumeva davanti ai miei occhi tutta Venezia e i Veneziani.
La Festa della Salute di Venezia non “conteneva” soltanto questo, ma ospitava in se molto di più … Mentre fuori sul Campo della Salute, su tutta la Riva e fin sul Rio Terrà dei Catecumeni ferveva la Festa col convergere ed accorrere puntuale di miglia di persone, Veneziani e turisti eterogenei, dentro al chiesone ne accadeva ogni anno “tante altre” di curiose.
Accanto all’attività di “Telonio”, cioè di vendita, che impegnava diversi di noi nel procacciare ai Fedeli Devoti ogni sorta d’immaginette, Corone del Rosario, quadretti e immagini della Madonna della Salute, c’erano altri di noi incaricati dal Rettore della raccolta delle offerte in giro per la chiesa, e delle Offerte per le Messe da celebrare in Basilica durante tutto il resto dell’anno. Per queste si staccava “regolare ricevuta intestata della Basilica” intascando in cambio la relativa offerta. Era importantissimo segnare con precisione il nome del Defunto o della Persona Malata per la quale veniva offerta la Messa da celebrare: perché il Prete incaricato in seguito avrebbe dovuto citarlo durante la Messa compiendo così “il voto” per cui aveva percepito l’offerta.
Non mi piaceva dedicarmi a quella cosa … Mi dava, anzi: mi ha dato sempre enorme fastidio mercificare il prezzo di una Messa. Detestavo intascare soldi a tal proposito: ho sempre pensato che “le cose di Dio” non avevano prezzo, quindi non si potevano comprare, vendere e pagare. Osservando i Telòni della Festa della Salute mi è sempre tornato in mente quel fatto evangelico in cui il Cristo cacciava fuori malamente i venditori dal Tempio di Gerusalemme.
Il Rettore della Salute, invece, si dimostrava molto più possibilista con i discorsi, e tagliava corto: “Il Sacerdote deve vivere con l’offerta dell’Altare … Quindi c’è poco da scandalizzarsi nel ricevere soldi dai fedeli per celebrare le Messe … Quando andiamo in negozio a comprare carne e verdure, possiamo forse pagare con preghiere ? … Serve anche essere saggi in certi momenti, e guardare oltre le apparenze e i grandi ideali … Il Prete deve essere anche pratico … Deve sapersi destreggiare dentro alle cose della vita … e quanto serve per vivere ha anche un prezzo … Quindi gira e volta: i conti tornano … Servono sempre soldi per vivere … Nonostante la Religione.”
Altri Seminaristi ancora, si dedicavano, invece, a contenere, arginare, e indirizzare l’afflusso dei fedeli sull’altare facendoli defluire fuori attraverso il Coro della Chiesa, la Sacrestia e gli ambienti del Seminario. Per diverse ore formavano una sorta di catena umana che sotto la direzione di un “chierico sveglio e arguto” si apriva e richiudeva lasciando passare e calmierando la folla delle migliaia di fedeli che entravano in chiesa. A certe ore di punta c’era una vera e propria ressa e calca, e più di qualche volta c’era il reale pericolo che qualcuno più fragile finisse con l’essere spinto e schiacciato, o buttato malamente a terra ... Serviva vigilare con attenzione, anche perché è accaduto più volte che qualcuno stesse male. A volte c’erano malati e anziani fragili che si recavano in pellegrinaggio alla Basilica, ma non riuscivano a reggere l’attesa e la tensione, per cui svenivano, e serviva far intervenire il Medico, l’Infermiere e l’ambulanza. Non era sempre agevole muoversi dentro a quella folla che talvolta premeva, e pareva come un grande corpo unico che si muoveva goffamente e pesantemente ... Qualche volta è stato necessario portare fuori a braccia e a spalla chi era colto da malore.
Qualche altra volta, invece, accadevano fatti inverosimili: c’era chi non riuscendo a raggiungere l’altare come avrebbe voluto per accendere a tutti i costi la sua preziosissima candela, si avventurava allora in qualche altare o angolo laterale del chiesone accendendola ugualmente e appoggiandola da qualche parte. Più di una volta hanno preso fuoco tovaglie e arredi d’altare costringendo i Pompieri ad intervenire per fortuna brevemente.
C’erano poi quasi sempre presenti alcune persone malintenzionate che approfittavano della situazione e della confusione per intrufolarsi negli ambienti della chiesa e del Seminario con fini loschi. Più di qualche volta qualche personaggio spacciandosi per ex Seminarista o familiare di qualche Prete o Chierico è riuscito ad infilarsi fin su negli ambienti del Seminario setacciando stanze e camere, rubacchiando e facendo bottino. Qualche altra volta la Festa della Salute è stata segnata dalle tristi visite e dai furti di ladri … A poco valse chiudere passaggi e cancelli, o mettere di guardia chierichetti e persone nei punti nevralgici d’accesso al Seminario, o appendere mille cartelli con su scritto: “Vietato passare” e “Divieto d’accesso” ... Una volta lo stesso Rettore si è trovato un estraneo che rovistava nel suo studio, così come le Suore del Seminario hanno trovato un altro che “cercava Piero” nelle loro stanze private.
A volte capitava un po’ di tutto in quella giornata davvero campale e a volte un po’ convulsa ... e quel che non succedeva da se, magari lo facevamo accadere noi, come quella volta in cui facemmo indossare a un Prete nostro Professore di Scuola, genialoide quanto sbadato l’antico manto d’oro della Dogaressa lasciato in dono alla Basilica.
Prete sbadato vi ho accennato … Infatti, inconsapevole del valore di quanto gli avevamo fatto indossare per la stima e simpatia che nutrivamo nei suoi riguardi, s’incamminò attraverso un strettissimo corridoio per raggiungere l’altare laterale dove avrebbe dovuto celebrare la sua Messa. Il mantello dorato della Dogaressa trasformato in solenne abito da Messa sfrigolava e strusciava rovinosamente grattando i muri dello stretto passaggio.
Eravamo stati imprudenti: quel pezzo era preziosissimo oltre che raro … e quell’uomo forse era quello al mondo meno adatto per indossarlo. Qualsiasi curatore d’Arte ci avrebbe fucilati sul posto scandalizzato.
Fatalità … Proprio in quel momento passò da quelle parti il Rettore della Basilica in persona: lui si consapevolissimo del valore di quell’abito che veniva indossato impunemente … Si sentì un grido stizzito ! … Era il Rettore: “Chi è stato ? ... Che lo caccio via immediatamente dal Seminario ! … Fermate immediatamente quel Prete ! … Toglietegli quell’abito di dosso subito !”
La gente presente in chiesa non capiva, anzi: osservava stupita quel Prete che gridava a quella maniera così sconsiderata.
Il Prete genialoide nostro simpatizzante, invece, udito il gran vociare non pensò affatto che fosse rivolto a lui, perciò dopo aver sorriso come suo solito “a tutto denti” a nessuno, riprese il suo percorso strusciando imperterrito e inconsapevole sul muro il suo prezioso abito.
“Fermo ! … Fermatelo !” gridò di nuovo il Rettore un po’ fuori di se: “Vi mando via tutti stassera !” aggiunse inviperito: “Paolo ! … Stefano ! Valter ! … Tutti a casa ! … Siete degli sprovveduti … dei disgraziati … dei …”
Fuggimmo via a nasconderci fra la folla ovviamente, e per tutto il resto della Festa cercammo di girare alla larga e tenere le debite distanze dalla figura del Rettore ... A sera ovviamente “ci pescò” … e fu “bufera” per noi tre ... ma poi tornò il sereno come sempre.
Il nostro Professore viceversa il giorno dopo ci ringraziò a scuola per avergli concesso l’onore d’indossare una volta in vita sua quell’abito antico così prezioso … Felice lui, e felici noi con lui … Altro memorabile aneddoto di una Festa della Salute.
A metà giornata poi ci si recava a turno nel Refettorio del Seminario per sbocconcellare qualcosa con chiunque altro stesse collaborando a gestire quel Festone in corso: c’erano mescolati insieme volontari, Seminaristi e qualche Prete spuntato a volta fuori da chissà dove. Ce n’era qualcuno che per l’occasione tornava ad indossare certe vesti talari giovanili che non metteva più da molti anni col risultato che si vedevano vesti cortissime, ristrette, consunte e ridotte, e altre riempite da certi pancioni assenti un tempo, talmente tanto che i bottoni parevano dover esplodere da un momento all’altro trasformandosi in pericolosi proiettili.
“Sono guarita !” si presentò a raccontarci una volta una giovane donna che si affermava miracolata: “Avevo un brutto male ed ero destinata a morire … e, invece, sono qua a raccontarvelo …. Voglio consegnare un ex voto in riconoscenza alla Madonna.”
In occasioni simili ci prendeva come un tuffo al cuore udendo quelle parole: “Svelti ! Andiamo a chiamare in fretta il Rettore.”
In realtà non sapevamo che altro dire, e rimanevamo lì meravigliati e incerti, ad osservare a distanza quella persona “normale” così simile a tutte le altre, che pareva però essere stata “toccata” dall’invisibile passaggio della Madonna della Salute. In quei casi si provava un intenso sentimento misto di perplessità, gioia, speranza e curiosità ... Certe cose bisogna averle viste, sentite e incontrate per poterne parlare.
Durante la fiumana delle Messe che venivano celebrate durante la giornata della Festa capitava un po’ di tutto: c’era qualche Prete nostalgico e tradizionalista che principiava ad arringare la folla dei presenti … Era allora curioso vedere la massa della folla fluttuare dentro alla chiesa, spingersi e spostarsi da quell’altare e dal quel Prete verso un altro, o verso l’altare di fronte dove c’era per caso un Predicatore più accondiscendente, gentile e bonario, meno incazzoso, severo ed esigente del precedente. Per gran parte della giornata il Rettore “che conosceva bene i suoi polli”, e soprattutto il carattere e la personalità di quasi tutti i Preti che frequentavano la Basilica, aveva il suo bel da fare, ed era sempre intento a pilotare e spedire ciascun Prete a celebrare a orari e su altari che gli fossero più congrui e adatti … Si presentava a celebrare un Prete cacciaroso, noioso o fin troppo pungente e pretenzioso ?
“Mandatelo a celebrare sull’altare laterale meno affollato.”
C’era, invece, un Prete abile a parlare e piacevole da ascoltare ?
“Predisponetegli l’Altar Maggiore, e dategli il microfono … Che alla gente farà bene ascoltarlo un poco.”
Stava però sempre attentissimo a usare le parole giuste, senza mortificare mai nessuno dei tanti Preti che capitavano nella Basilica della Salute.
Infine, quando Dio e la Madonna della Salute volevano, si arriva a sera, quando si smaltiva e riduceva la fiumana dei Veneziani che visitavano lo storico Tempio cittadino … Ogni volta si veniva a creare un’atmosfera particolare: scompariva la calca, il vociare e la tensione del giorno, e la chiesa tornava a mostrare i suoi grandi spazi vuoti. C’era un singolare fascino in quel momento: il silenzio tornava a riempire le alte volte e le cupole della chiesa semideserta, si tornava a risentire i soliti eco … Ormai anche quell’anno era passata l’ondata straordinaria dei Veneziani che avevano reso omaggio al celebre simulacro Mariano.
“Anche quest’anno è andata.” diceva finalmente rasserenato e acquietato il Rettore: “E’ andato tutto bene anche stavolta … Ringraziamo la Madonna.” aggiungeva rilassandosi.
Negli anni del terrorismo, ad esempio, c’era sempre una tensione palpabile nell’aria, soprattutto nelle ore di punta della giornata quand’era maggiore l’afflusso e la concentrazione della folla sul sito della Basilica … Sarebbe bastata una scintilla per procurare il caos e il disastro … Le forze dell’Ordine sono sempre state presenti e hanno sempre vigilato discrete con efficienza ... Per fortuna tutto è sempre andato liscio e bene in quegli anni. Solo qualche sparuta manifestazione e rivendicazione ha segnato lievemente il tranquillo andamento di certe annate della Festa ... Niente di che comunque: tutto fu sempre molto ordinato e contenuto.
“E ringraziamo pure ciascuno di noi.” aggiungevamo noi soddisfatti per quanto avevamo fatto e quanto avevamo vissuto in quell’ennesima memorabile giornata.
“Ringraziamo i Veneziani della loro presenza … e dei loro contributi.” commentava scherzosamente soddisfatto il Rettore a cena nel Refettorio: “Anche quest’anno la Festa della Salute è stata soddisfacente: di certo positiva … Fra l’altro abbiamo raccolto anche questa volta risorse sufficienti per mantenere in vita sia la Basilica che il Seminario per un ulteriore anno.”
Come conferma del benessere conclusivo di quella festa, la stessa sera per la prima volta il Rettore accendeva finalmente il riscaldamento nelle nostre spartane e fresche stanzette dell’ultimo piano ... Eravamo già a fine novembre, e il freddo pungeva … Anche quello era un altro segno che la Festa della Salute era trascorsa bene portando qualcosa di antico e nuovo insieme.
In conclusione della giornata noi Seminaristi e Chierici silenziosissimi e stanchi tornavamo un’ultima volta a scendere nella Basilica … Pareva avessimo partecipato a un’insolita battaglia. Rimanevamo lì muti a osservare quello spettacolo rilucente, quello scenario dove s’era alternata la fiumana vivida dei Veneziani ... Qualcuno mormorava qualche ultima preghiera … finchè si levava un ultimo canto polifonico che insieme al chiudere dei portoni della Basilica metteva fine anche a quell’ennesima storica giornata.
Nel buio pesto della Basilica, infine, al chiaro di poca luce, ci arrampicavamo di nuovo fra pochi intimi a togliere un’altra volta le preziose collane dal volto impassibile della Madonna dipinta.
Era come mettere fine alla Festa, e riconsegnare alla Storia un altro respiro, un altro giorno vissuto da Venezia e dai Veneziani.”
***** tratto dal Cap. 71 di: “Buranèo … e Prete per giunta.”… un’autobiografia di Stefano Dei Rossi – Venezia 2021.