#unacuriositàvenezianapervolta 304
Quando s'impapinò il Piovan di San Giminiàn col Doge in Piàssa
Provate a seguirmi nel pensiero e a immaginare la scena … Si era a Venezia ovviamente, proprio al centro di Piazza San Marco, in uno degli ultimi anni della Serenissima Repubblica, quando reggeva il Dogado il penultimo Doge: Paolo Renier, che tutti chiamavano Polo.
Curioso e insolito come Doge: uomo e Veneziano intraprendente e ambizioso, dotato di notevole abilità oratoria … Un empatico al solo vedersi insomma, che si dice una volta abbia parlato per ben 5 ore di fila a Palazzo Ducale, rimanendo là, fin quasi a svenire. In realtà era fuoriuscito ed emerso, s’era fatto strada sgomitando fra gli altri Nobili, pur non facendo però parte dei Subiòti, cioè dei Nobili Barnabotti: quelli più sfigati e decaduti che vivevano di sussidi. Era un personaggio camaleontico nelle tendenze politiche: uno che sapeva inseguire l’opportunità. Prima era stato Rivoluzionario iscritto fra i Liberi Muratori, e inviperito contro l’opera degli Inquisitori di Stato e del Consiglio dei Dieci. Poi piano piano aveva scalato il potere fino al gradino più alto servendosi della corruzione e del favoritismo, come si usava a Venezia ancora allora, divenendo lui stesso Inquisitore di Stato, e conservatore accanito. Finchè giunse ad accalappiare il Dogado, e lo ottenne con successo, cioè con ampio consenso: 40 voti favorevoli su 41 (l'unico voto contrario fu quello di suo fratello).
In pochi raccontarono che aveva pagato profumatamente i 300 Consiglieri della penultima tornata elettiva Dogale. Da Doge poi, continuò a fare la stessa cosa: spendere e spandere per garantirsi il sostegno, e per continuare a galleggiare nella politica che contava. Appena messo in testa il dorato Camauro Dogale, ad esempio, fece subito arrestare e confinare gli “Avvocati riformisti”Giorgio Pisani e Carlo Contarini ... Non voleva Rivoluzioni in Laguna ... Comunque si arrivò a supporre di lui, col senno di poi ovviamente, che forse Venezia avrebbe avuto una fine più onorevole se ci fosse stato lui al timone della “Nave Serenissima” che affondava al posto del suo arrendevole successore … Dicerie, a volte buttate là tanto per parlare … La Storia a Venezia, invece, andò come doveva andare, e lui morì il 13 febbraio 1789 a settantotto anni, dopo trentasette giorni di malattia, e cosa curiosa: l’annuncio della sua morte venne dato solo il 2 marzo seguente ... Venti giorni dopo !
Sapete perché ? Semplicemente per non rovinare i festeggiamenti del Carnevale dei Veneziani ... Questo per dirvi in quale genere di decadenza e inedia era precipitata Venezia.
Insomma: provate a immaginare lui quel giorno in mezzo a Piazza San Marco, tutto vestito d’oro dalla testa ai piedi perché era giorno di Festa a Venezia. Pensatelo anche al centro del suo pomposo codazzo Dogale: con la Signoria, i Nobili, i Segretari, il Consiglio e tutto il resto … Aggiungetevi anche il tripudio delle bandiere, la fanfara, i suoni, i colori e le acclamazioni e i sussurri della folla Veneziana. Era proprio Festa: la domenica dopo Pasqua “in Albis” di quell’anno.
Andiamo avanti con la storia … Di fronte al Doge venne a trovarsi, secondo Tradizione Veneziana, il Piovano di San Gimignàno, o San Ziminiàn da Modena come lo chiamavano i Veneziani. Era quella chiesa che fino al 1800 sorgeva in fondo a Piazza San Marco, in mezzo fra le due Procuratorie Vecchie e Nuove, quasi a pendant con la splendida Basilica Marciana. Il cerimoniale dell’annuale Visita o Uscita Dogale a San Ziminiànprevedeva l’accoglienza del Serenissimo da parte del Prete di San Ziminiàn proprio in mezzo alla Piazza delle Piazze. Lì il Piovano avrebbe accolto il Doge leggendogli un bel discorso celebrativo e di benvenuto … Ma fu proprio in quel momento che accadde l’inghippo. Il Prete prima arrossì in volto, poi sudò vistosamente, e un brivido freddo gli corse giù lungo la schiena. Si raddrizzò subito però, reagendo e pensando che forse era il vento a fargli fremere le carte in mano. Tutte le bandiere d’intorno pendevano flosce dai pennoni della Piazza, e lo stesso facevano quelle sulle aste dei Soldati intervenuti. Erano le sue mani a tremare … e non poco: l’emozione l’aveva vinto … e alla grande. Provò allora a deglutire, a farsi forza in mezzo a tutto quel bel consesso festoso di Nobili, Personaggi e Popolo. Si ravvivò con una mano nervosa i capelli, e iniziò a dire leggendo: “Glor … oss … Mis …”e le parole gli mancarono, finendogli chissà dove in fondo alla gola.
Il silenzio regnava sovrano su tutta la Piazza: perfino i Colombi svolazzando avanti e indietro sulle zampe calzate di rosso, sembravano non voler disturbare. Allora il Piovano gravido di tensione riprese: “Ser … nn … Nobilis … Sjor.”… Niente da fare: di nuovo s’ingolfò, chinò la testa, e divenne pallido quasi da sembrare malato.
Qualcuno stava già per avvicinarlo e soccorrerlo, ma lui con un gesto della mano dissuase e tenne a distanza tutti ... Provò a continuare.
Lo scenario di Piazza San Marco allora era diverso da oggi. Il Piovano era uscito baldanzoso dalla sua chiesa di San Ziminiàn incastonata fra le Procuratoriesenza presagire minimamente quanto l’aspettava. La sua chiesa si trovava là già da prima dell’intera Piazza, e aveva una sua microstoria, come quasi tutto d’altronde a Venezia.
A cavallo quasi fra Leggenda e Storia, si raccontava che “la prima” San Ziminiàn era stata fatta innalzare nel ultralontano 522 da Narsete Comandante Bizantino. Aveva fatto quel gesto come riconoscenza verso i Veneziani che gli avevano prestato le navi per trasportare i suoi soldati a combattere contro i Goti ... Venezia allora quasi non c’era: albeggiava appena, e anche la Piazza delle Piazze non esisteva ancora. C’era solo il lungo Rio Batario o Badoario che attraversava per lungo quello stesso luogo della futura Piazza, andando da una parte a sfociare nel Bacino e sui Moli di San Marco, mentre proseguiva dalla parte opposta in quello che sarebbe diventato il Rio del Cappello Nero.
Pensate: non esisteva neanche la Basilica di San Marco in quella lontanissima epoca, ma al suo posto c’era solo la vetusta chiesetta di San Teodoro(la futura sede ufficiale del temibilissimo Santo Uffizio dell’Inquisizione Veneziana) con davanti un ampio interrato che diventava spesso un bel pantano. Fu proprio nel 1155, quando il DogeVitale Michiél decise di creare Piazza San Marco, che nacque la Tradizione dell’annuale Visita del Doge a San Ziminiàn.
Ve la faccio breve … Per far la Piazza “come si deve”, c’era bisogno d’interrare il Rio Badoario, e di abbattere la chiesupola di San Ziminiàn che stava proprio in mezzo. Altrimenti, che grande Piazza sarebbe sorta ?
Il Doge allora chiese al Papa il permesso di demolirla. In quei tempi antichi i Veneziani coltivavano ancora un timido rispetto e grande riverenza verso il Sommo Pontefice di Roma ... Dopo, invece, come ben sapete, le cose andarono diversamente.
Il Papa si scandalizzò immediatamente di fronte all’idea della demolizione di quel Sacro Edificio che dominava centralmente il luogo. Si affrettò a negare il permesso, ma viste le insistenze dei Veneziani: concesse diplomaticamente al Doge non di demolire, ma di “spostare”la chiesa ... Un classico escamotage per concedere e non concedere, ma soprattutto per ribadire chi decideva e comandava di più.
Si sa: sempre lungo la Storia i Galli vogliono primeggiare in quelli che ritengono loro esclusivi pollai.
Insomma: la chiesa di San Ziminiàn venne abbattuta, ma ricostruita qualche decina di metri più in là.
Tutto risolto e a posto ? … Macchè !
Il Papa continuò a considerare quel gesto dei Veneziani come un improvvido affronto alla Chiesa. Perciò volle e ordinò che da quel giorno in poi il Doge dei Veneziani doveva recarsi in perpetuo a chiedere perdono di quell’offesa: a Dio, alla Chiesa, al Popolo dei Veneziani, al Mondo intero, a tutti i Santi del Paradiso … e a chiunque altro fosse stato in qualche modo toccato da quel gesto.
Per questo da quel giorno: ogni anno, la Domenica “in Albis” dopo Pasqua, il Doge con la Signoria si recavano là “Penitenti”in visita a San Ziminiàn “per implorar scusa e perdon”.
Figuratevi il Doge nel susseguirsi dei secoli, quanta voglia aveva di abbassarsi umile ai dettami della Chiesa: meno che zero ! … Ma la tradizione di quel gesto rimase per secoli, per sempre, ed entrò a far parte della serie delle annuali “Uscite Pubbliche del Doge” che si recava “in Visita” in tante parti della Città Lagunare.
Ogni anno quindi, il Doge incontrava supplice in mezzo a Piazza San Marco: il Piovàn de San Ziminiàn, ma era diventata sempre una gran bella festa, a cui tutti partecipavano gioiosi ed entusiasti. Tradizionalmente si faceva grande distribuzione di zuccheri e dolci al Doge, alla Signoria, ai Sacerdoti di San Giminian e Menna a tutti i presenti in Piazza ... E c’erano Suonatori, Musici, Canti e Cerimonie a rallegrare la scena: era un gran festone insomma ... Un’altra di quelle occasioni adatte “per cantare le Glorie di Venezia e del suo Leòn” dentro a un celebrativo tripudio di Popolo Veneziano. Venezia era anche questo: non perdeva occasione per rimpolpare se stessa e il suo luccicante quanto glorioso Mito.
Ogni anno quindi, il Piovan con i Preti del Capitolo di San Ziminiàn pagavano appositamente un organista e “quello che menava li folli”, e s’attivavano perché ciascuno ricevesse le “onoranze” che meritava ... Le Cronache Veneziane raccontano, che a volte per allestire quella Festa andavano a scatafascio le traballanti economie della Parrocchia e della povera Fabbrica della chiesa, perché si finiva per spendere e spandere ogni volta in eccesso: “un’enormità per conzàr la chiesa di tappezzerie e i balconi sulla piazza, far concerti di Suonadori e Cantori dell’organo per la venuta del Doge … Si spendevano 5 ducati e più per onorare tante personalità, per pagare anche un Oratore che intervenisse alla Messa Granda …”
Un anno per l’occasione, si fece addirittura l’organo nuovo in chiesa a spese del Piovano che sborsò di sua tasca 600 ducati, e fece tirar su anche un nuovo Coro “con banchi di noce di somma bellezza”spendendo altri 200 ducati sempre del suo munifico borsello che rimase del tutto vuoto. La casa dei Preti di San Gimignàn poi, era affacciata sulla Piazza delle Piazze, e quindi non c’era occasione: Giovedì Grasso, Corpus Domini, Festa di San Marco, gli 8 giorni della Festa della Sensa, Pasqua e Natale e tutte le altre feste solenni, in cui non si finisse con l’ospitare personaggi illustri: Cardinali, Cavalieri, Gentiluomini, Patriarchi, Vescovi e Abati di passaggio, e anche qualche NobilDonna, che di certo non si poteva mettere là senza spesa sopra a un vecchio cuscino ... Era un gran onere gestire San Ziminiàn: i Preti rifuggivano quell’incarico, anche se essere Piovan de San Ziminiàn era una carica-beneficio che fungeva spesso da trampolino per diventare Canonici di San Marco o della Cattedrale di San Pietro di Castello ... o magari Vescovi, Patriarchi … Chissà ?
Secoli dopo, pur essendo la chiesa di San Ziminian malridotta, la Tradizionale della Visita Dogale continuava puntualmente.
Il famosissimo Jacopo Sansovino fu orgogliosissimo nel 1557 di ricostruire per la terza volta la chiesa succedendo nei lavori a Cristoforo dal Legname che li aveva iniziati e trascinati fin dal 1505. Sansovinoera convinto d’aver superato se stesso realizzando quella chiesa, tanto è vero che chiese ed ottenne d’essere sepolto lì dentro con tutta la sua famiglia (le sue spoglie in seguito vennero traslate a San Maurizio).
Tutti lo sapevano a Venezia: quando Tommaso Rangone da Ravenna detto Philologus: Medico, Astrologo e Procuratore di San Giminian si metteva in testa una cosa: non c’era verso di fermarlo e ostacolarlo. Infatti, Rangone lasciò anche delle Comissarie Perpetue ai Piovani di San Giminian, San Zuliàn e San Giovanni in Bragora con obbligo che nel giorno di San Gimignan, il 31 gennaio, venissero imbossolati i nomi di “sei Donzelle da maridàr o munegàr” per ognuna delle 3 Parrocchie, favorendone sei con 20 ducati ciascuna. Rangone permise anche che venissero accolti gratuitamente nel Collegio Ravenna di Padova studenti Veneziani meritevoli che volessero aspirare al Dottorato in Medicina… Alla fine gli riuscì di collocare almeno un suo busto scolpito dal Vittoria nel portico accanto a San Giminian, con tanto di dedica dei Preti della Collegiata di San Ziminiàn da Modena.
A parte Rangone, alla fine ne venne fuori un’altra bella chiesa Veneziana dall’interno ricchissimo: frai più fastosi di Venezia. Un altro scrigno, un bijoux ricco di pregevoli opere d'Arte posto giusto nel cuore della Piazza Marciana.
Sentite la descrizione di una Guida d’epoca: “Sull’Altar Maggiore della chiesa a 5 altari, che conserva le Reliquie del Corpo Santo di San Gimignano Martire (giunte da Roma nel 1693), vennero collocate tre statue scolpite da Bartolomeo Bergamasco … Alle pareti e sugli Altari è possibile notare e godere di una “Santa Caterina con Angelo” dipinta da Jacopo Tintoretto; un “Ultima Cena” e una “Rissurrezione” a mezza luna di Francesco Santacroce nella Cappella del Santissimo, con la cupoletta adornata da figure di Giovambattista Grone. Due quadri: un “Cristo nell’Orto” e una “Sacra Storia della vita di Gesù” di Giuseppe Scolari ornano la Cappella del Santissimo. Curiosa la storia di quei dipinti. Daniele Farsetti Magistrato de Provveditori di Comun, ricordò e scrisse prima del 1772:“Le due tele del Scolari vennero fatte levare dal Guardian della Schola del Santissimo: persona assai volgare ed idiota, e sostituiti di stucchi le nicchie dove erano collocati. Io li feci riporre a suo luogo e pagare al Guardiano una grossa pena.”
Procedendo ancora nella visita di San Gimignàn, si vedrà poi: un “Annunziata” della bottega del Veronese posta sull’Altare della Madonna; una “Visita dei Re Magi” a mezzaluna collocata sopra lo stesso insieme ad: “Angeli con lo Spirito Santo” di Alvise dal Friso; un’altra “Beata Vergine e Santi” a mezzaluna della stessa bottega sta collocata sopra “il deposito”, cioè la tomba dei Morti della Contrada. Nella Cappella del Cristo, invece, è collocato: un “Gesù Morto in braccio alla Madre” di Antonio Balestra, e ci sono ancora collocate in giro: una “Sant’Elena, San Geminiano Vescovo e San Manna Cavaliere” di Bernardino da Murano; una “Risurrezione di Lazzaro” e un’“Adultera” di Girolamo Brusaferro; un “Cieco nato” di Gregorio Lazzarini; un “Transito di San Giuseppe” di Antonio Pellegrini, e l’“Apparizione di Cristo alla Maddalena” di Nicolò Bambini … Il soffitto, invece, è uno splendore adorno della “Ressurrezione di Cristo” di Sebastiano Ricci, mentre vicino alla Sacrestia sono appese: una “Santa Maria Maddalena” e una “Santa Barbara” di Bartolomeo Vivarini (alcune di queste opere sono oggi conservate alla Galleria dell’Accademia di Venezia).”
Nell’autunno 1558, il Piovano Benedetto Manzini,completata la chiesa, la dotò come vi dicevo di un sontuoso organo pagato di sua tasca, che gli costà il triplo di quanto aveva preventivato. Collocato sopra la porta sinistra della chiesa, lo faceva suonare da Claudio Merulo: organista ufficiale della Signoria, e lo fece decorare ulteriormente collocandovi sopra delle “portelle” dipinte da Paolo Caliari il Veronese nel 1560 circa, con: “San Geminiano e San Severo Vescovi all’esterno, e San Menna Cavaliere e San Giovanni Battista all’interno”.
Insomma, l’avete capito: c’era da rimanere sbalorditi, estasiati fino a rimanere a bocca aperta entrando in chiesa di San Ziminiàn da Modena dentro a Piazza San Marco.
Già che ci siamo ve lo ricordo … La chiesa fu per lungo tempo dotata e amministrata dai Laici abbienti della Contrada, che avevano il diritto di nomina e ballottaggio del Piovano. A costoro nel 1630 il Consiglio dei Dieciaggiunse i Procuratori di San Marco “per ragion che abitavano le Procuratie, e benché non possedessero immobili in Contrada.”… I Preti di San Giminian solitamente erano stimati Notai di Piazza, e il Piovano di San Ziminiàn fungeva anche da Priore dell’Ospedale di San Marco: l’Ospizio Orseolo Hospedale da Comunche sorgeva in Piazza accanto al Campanile ... Diverse case della Contrada erano proprietà delle Nove del Clero Veneziano, e la zona era ricca di Locande, e animata dalle attività di numerosi Artieri. Già nel 1379 al tempo del Doge Andrea Contarini e “degli imprestiti allo Stato per la Guerra di Chioggia contro i Genovesi”, laContrada di San Gimignan con 5 NobilHomeni e 20 contribuenti abbienti offrì lire 22.800 alla Serenissima.In Contrada c’erano:Ana Agnese dalle carozze che diede lire 300,Griguol dai letti che offrì lire 500, eGiacomo dal Cavalètto, Nicolò Frutariòl, Nixoi dai letti, Nicolò de Amadio dai letti, Tura Strazariòl, Zuanne de Domenico Caleghèr, Zaccaria della Spiga, Zuanne dalle Vèrgole, e Zanin de Agustin Spicièrche contribuirono tutti con cifre significative o considerevoli.
Palmerius Schardantes quondam Alfonsii,laico da Lecce di 53 anni, da 30 anni residente a Venezia, insegnava“Lettere Humane” a 22 alunni tenendo Scuola Pubblica a San Gimignan nel 1587. Si pregiava d’insegnare: “Vergilii, Ciceron et Horatio ... Li più minori fanno con me concordantie, li altri: chi latina quasi per tutte le regole, et chi fanno epistule…”
Nel 1509 in Contrada vivevano 1.325 persone, scese a 1.279 a fine secolo … I Preti di San Giminian possedevano buona rendita annuale di 70 ducati da beni immobili posseduti in Venezia ... Nella Contrada c’erano 192 botteghe, compreso un inviamento da forno con casa e bottega, e la bottega di “Donna Jacoma dal fumo” inCalle e Ramo del Fumo ... Ancora a inizio 1700, c’era in chiesa una Beata Vergine di legno vestita con abiti e ori ... Nel 1744, dal censimento dei 118 Casini Veneziani, risultava che sei erano dislocati nella Contrada di San Gimignan ...Antonio Vivaldi venne seppellito in San Gimignano, dove divenne Prete, e venne subito ascritto al Capitolo dei Preti di San Gimignan:“co la so bòna rendita” ... Nel 1745 abitava con moglie, cinque figli e la Serva nelCampo Russolo della stessa Contrada anche il celebre pittore Gasparo Dizioni, che pagava annuali 60 ducati d’affitto alla Fraterna dei Poveri di Sant’Antonin ... Anche il commediografoCarlo Goldoniabitava un 1/3 di casa con moglie, madre, serva e zia in Corte San Zorzi in Contrada di San Ziminianpagando annui 32 ducati.
Torniamo però a quel giorno in Piazza col Doge,a tu per tu col Piovano di San Ziminiàn“impapinà”, quasi paralizzato sulle carte, imbarazzatissimo per la troppa emozione di figurare davanti al Doge, tanto da restare con le parole bloccate in gola. Facevano bella mostra di se in Piazza, e a capannello attorno al loro Piovano, tutti i Parrocchiani della Contrada, e gli iscritti delle Schole di San Gimignan, che nel 1700 annoveravano anche i Confratelli della Schola del Santissimo Sacramento risalente al 1500. C’erano poi quelli e quelle delle Schole di Santa Caterina d'Alessandria, che s’erano aggregati nel secolo seguente, e quelli delle neonate e tardive Schole sorte durante il “secolo dei lumi”, cioè:ilSuffragio della Buona Morte con la chiacchierata Compagnia di Sant'Adriano famosa per le sue bisbocce; laCompagnia della Carità de poveri, infermi e particolarmente questuanti”; la Compagnia della Beata Vergine Addolorata e del Rosario e delle Vittorie; e ilSovvegno abusivo dei Preti della Concezione... Insomma: c’era una bella folla in Piazza attorno a Doge e Preti.
C’erano soprattutto i Cofrati Artigiani delle Schole della Madonna dell’Arte dei Tornidori dell’Arsenale, e quelli di Sant’Elena dei Vazineri. Entrambe erano Arti Veneziane antichissime risalenti all’inizio del 1300, ospitate inSan Giminian nella Cappella del Cristo.L'Arte dei Tornidòri e Busolèri o Bossolèririuniva i Veneziani che lavoravano al tornio: legno, avorio, madreperla e ottone o lattòn, producendo elaborati Troni, Cattedre Episcopali e oggetti di lusso come: scacchi, placche e tavolette, oggetti liturgici e cofani e bauli intagliati, cornici di specchi, servizi da toeletta, scatole, manici di ventagli, bottoni, ramoscelli fioriti, ma anche semplici urne e bossoli per le votazioni dei Consigli della Serenissima. L’Arte ancora nel 1773 contava 121 CapiMaestri, 28 garzoni e 38 lavoranti attivi in 42 botteghe sparse in giro per Venezia.
La Schola di Sant’Elena dei Vagineri o Vaginai, invece, riuniva gli Artigiani che fabbricavano e vendevano in 8 botteghe Veneziane: foderi, custodie e astucci di lusso in cuoio, legno, osso, avorio e metalli preziosi, adatti a conservare: aghi, forbici, coltelli, ventagli, pettini, specchi, libri, fialette odorose, penne e calamai, confetterie e sale. Il cuoio veniva variamente ornato, legato, inciso e dipinto con soggetti allegorici e mitologici, o con miniature. Poi veniva sbalzato, intagliato a rilievo dopo doratura e prima di verniciarlo o tingerlo “alla Francese, alla Fiamminga, alla Spagnola o all’Olandese”.
Il Capitolo dei Preti di San Giminian era sempre disponibile ad ospitare le Schole, ed era sempre “in agguato” con loro, in quanto non mancava mai di riscuotere da ciascun Vaginèro: 24 lire per la Festa di Sant’Elena Imperatrice Patrona dell'Arte, e 24 lire da ogni Tornidòr per la Festa Patronale della Vergine della Purificazione di febbraio ... Gli accordi erano accordi … e i Preti erano abili con i numeri e con i conti in mano ... Cattiveria ? … No: concreti dati Storici.
Sapete infine come terminò la storia quel giorno in Piàssa ?
Col Doge Renier che s’attivò spontaneamente prendendo l’iniziativa andando oltre ogni protocollo formale. Fece due passi avanti, prese a braccetto il Piovanodi San Ziminiàn come fossero stati vecchi amici, e tralasciando il fascio delle carte col discorso che teneva in mano, si avviarono amabilmente insieme verso la chiesa per continuare la festosa cerimonia del tradizionale incontro ... Tutto come nella migliore della fiabe andò per il meglio: si cantò Messa Solenne con i Musici e i Cantori della Real Cappella Ducale, e terminata la cerimonia il Capitolo di San Marco e tutti i presenti si misero in Processione fino alla Basilica Ducale accompagnando il Serenissimo, che rinnovò il suo “Benevolo Patrocinio” sulla chiesa San Ziminiàn, e splendette “come uomo di buon animo” una volta di più dentro al suo abito dorato ... Quando si dice del “savoir faire” Dogale.
“Abbattiamola ! … Facciamone lo scalone d’ingresso di Palazzo Reale (che solo una volta utilizzò il francesòtto)… e che si fottano pure San Giminiàn col suo Piovàn !” dissero napoleonetto con i suoi fidi, e i nuovi amici Veneziani lecchini amanti della “nuova era”.
E così fu … San Ziminiàn venne chiusa definitivamente il 19 maggio 1807, dopo che già nel 1797 i francesi l’avevano acquartierata di soldati trasformandola in latrina ... La chiesa venne quindi demolita, e tutto quanto conteneva fu venduto, depredato e disperso. Un altare trasportato al Palazzo Patriarcale, l’Altar Maggiore smantellato e ricostruito nella Sacrestia di San Giorgio Maggiore al di là del Bacino di San Marco, le preziose pitture rimosse e depositate nell’ex Priorato dell’Ordine di Malta, dove misteriosamente ne scomparve qualcuna, l’organo disfatto e perso, mentre le portelle del Veronese: viaggiarono, e dopo un lungo giro finirono col comparire nella Galleria Estense di Modena.
I 1200 parrocchiani dell’ex Contrada di San Gimignàn vennero aggregati alla vicina chiesa di San Moisè, i sei Preti della Collegiata spediti nella vicina chiesupola di San Gallo, e il Piovan di San Ziminiàn Don Antonio De Paoli venne sfrattato di casa, messo per strada, e spedito poi “in Campagna”: nella Parrocchia del Gombardo nel Trevigiano. La ventina di Chiericiche ronzava come api sul miele ogni giorno intorno alla chiesa di San Ziminiàn per accalappiarsi il denaro delle“Messe da dire”: venne dispersa e invitata ad andarsene altrove ... Le case proprietà e rendita di San Gimignano furono: “occupate dall’Intendenza dei beni della Corona per comodo del Palazzo Reale.”
Il 15 novembre 1814: il passaggio fra le Procuratie Vecchie e Nuove “era libero e aperto”, e si potè così costruire il nuovo scalone del Palazzo Regio… San Ziminiàn non c’era più.