#unacuriositàvenezianapervolta 310
Venezia 1500: da stelle a stalle … andata e ritorno.
Se la consideri sembra un’epoca strampalata e fascinosa quella vissuta dai Veneziani, quasi una febbre irrefrenabile da cui non intendevano affatto guarire … Durante il 1500 la Serenissima era smaniosa più che mai, stava forse all’apice del suo splendore, nonché toccando il successo economico all’interno dello scenario Europeo e Mediterraneo ... Pochi erano come lei.
Per fortuna però, c’erano i fatti quotidiani che la ridimensionavano riportandola alla realtà spicciola delle cose: quelle vere, che non si possono né si devono trascurare … Gira e volta, insomma, in Laguna era il Vivere quello che contava per davvero. Ieri come oggi.
S‘era comunque avviata nella Città Lagunare una diffusa e dorata Rinascenza dei modi, gusti e costumi, che coinvolgeva un po’ tutti, e s’esprimeva anche in una fattiva Rennovatio Urbis. Si stava smontando Piazza San Marco, ad esempio, per riconfigurarla e farla Risorgere infinitamente più bella e lussuosa di prima: un vero e proprio “Salotto dei Veneziani, la Sala più bella: quella delle Feste”… Missione compiuta, direi, nel vedere ancor oggi quanto i Veneziani di allora ci hanno lasciato … In quegli anni, lo sapete meglio di me, si realizzarono: la Zecca in Piazza, la Torre dell’Orologio, si mise mano alle Procuratie Vecchie costruendovi di fronte quelle Nuove, poi si andò a toccare il Ponte di Rialto, le Mercerie, e le mille Chiese, soprattutto quelle Monastiche, che divennero nel volgere di un secolo belle come scrigni di pietre preziose … E che dire poi dei Palazzi dei Nobili ricchi e potenti che non volvano essere da meno delle chiese … e di tanto altro in giro per la Città ?
Tutto insomma: doveva diventare Bello, e lo divenne per davvero. Una Città“dalle mille e una notte”, qualcosa d’indimenticabile per chi ci viveva, e per chiunque vi avesse messo piede.
Con tal proposito si smontò, dicevo, anche buona parte della Piazzetta di San Marco, dove davanti a Palazzo Ducale: dietro, sotto e accanto a una vecchia fila di portichetti sorgevano affacciate sul Molo-Porto di San Marco tutta una serie di Osterie e Locande. C’era quella: “All’Insegna del Cappello Nero nel Sottoportico e Calle presso la Panateria”, che era di proprietà della Basilica di San Marco, anche se veniva amministrata come quasi tutte le altre dai Procuratori di San Marco De Supra. La Locanda al “Cappello Nero” era famosa per il suo storico gran via vai di meretrici. Era capitato proprio lì il tristo fatto del Capitano Turco Jusuph, che venne condannato poi a vita alla prigione Catolda per aver sodomizzato un ingenuo garzone. Solo l’intervento diretto del Sultano gli ottenne la Grazia salvandolo da morte certa ... Sempre là, nei pressi del “Cappello Nero”, a inizio estate 1515, poco dopo la Fiera della Sensa in Piazza, era stato esposto al pubblico curiosissimo accorso in massa: Jacomo. Era un giovane quattordicenne venuto dalla Piccardia, dal cui petto e stomaco usciva straordinariamente un'altra creatura:“col membro viril per dove el pissa, et piedi, quali li tien retrati, et di le braze dimostra fuora come do dedi un poco longi. Altro non ha, nè ha il buso da drio; et questa cossa si passe di liquor che’l zovene manza et poi pisa fuora … et si pagava uno soldo chi voleva vederlo, et teniva una bandiera in tella fuora con questo monstro dipento …”
Un mostro orrendo ! … O forse: no … Uno dei tanti fenomeni da baraccone e da ciarlatani da Fiera, al quale la Serenissima, burla o no che fosse, intimò di lasciare immediatamente Venezia.
Sempre lì in Piazzettadavanti al Palazzo dei Dogi, sorgeva anche l’Osteria-Locanda: “la Casa del Selvàdego”, che dovette spostarsi “in cào de Piazza”. Era condotta da Piero De Lombardi, e frequentata spesso da gente discutibile, anche se Nobili. C’erano poi l’“Osteria del Leone”, il “Cavalletto”, e la “Luna” d’origine antica, ch’era proprietà deiCavalieri Templari, come lo era il piccolo complesso diSanta Maria in Broglio, anch’esso situato “in bòca de Piazza”.
“Cavalletto”, “Luna” e “Leòn”: specializzata nell’ospitare Ambasciatori stranieri, furono tutte indotte a traslocare perché su quella prestigiosa location della Piazzetta di San Marcola Serenissima intendeva innalzare una gran Libraria degna della Città. Come ben sapete, e come felicemente si può notare ancora oggi: lì sorse la magnifica Biblioteca Marciana… Opera stupenda di sicuro.
“Cavalletto” e “Locanda del Leon” si spostarono allora in Campo Russolo o San Gallo, poco distante, mantenendo il nome la prima, e mutandolo in “Leòn Bianco” la seconda. La “Luna”, invece, migrò dietro alla chiesa dell’Ascensione, dove la si può riconoscere tuttora in quella che oggi è detta Calle Vallaresso.
Sempre in Piazzetta accanto alle altre, sorgeva ancora la “Locanda Al Pellegrino”, che tanti dicevano:“Albergo di Satana”, il cui gestore “era unassassin”. Anche “Al Pellegrino” toccò di far fagotto nel 1544, e si spostò nella Calle Lunga della Corazzaria: “1554, 1 agosto. Zuane de Pedrezin da Bergamo tolse una casa et una bottega in Corazzaria, che soleva stare Sjer Bortolomio de Zampiero dai Cordovani, e fece l'Hostaria del Pellegrino per ducati 38 all'anno, et per il primo anno spese ducati 30 per accomodarsi, et in questo tempo si trasportò la detta Hostaria che stava per mezzo il Palazzo.”… Osteria sfortunata: prese subito fuoco … e vi tralascio in resto.
Quello delle Locande e Osterie Venezianeera tutto un mondo a parte dentro a Venezia, che più che spesso però non riluceva più di tanto. Era come un instancabile lavorio, un formicaio che in qualche modo finiva col rallentare tutta quella smania di grandezza che aveva preso la Città. Al Ponte della Paglia, ad esempio: sempre giusto sulla Riva e i Moli di San Marco, c’erano le Osterie “Alla Serpe”, “Alla Corona il cui gestore a dir di tutti era un furbo”, e “Alla Stella”: l’antico “Hospicium Stelle de ultra Ponte Pallearum il cui Osto del maltempo andò ad ospitare perfino un’Ambasciata Turca”.
Locande e Osterie erano tutte luoghi ben forniti di stalle, buoni e comodi servizi, e di “letto guernito”, cioè in gergo: fornito di opportune meretrici disponibilissime a tutte le ore. Sentite le Cronache e le descrizioni dell’epoca: “I forestieri talhora gli rubano la penna del letto … i coltelli dalla tavola … i piatti di peltro … Qui scorgi l’Hosto per cornuto, l’Hostessa per vacca, le figliole per le porcelle, i servitori per assassini, in due parole onde veramente pare che le metamorfosi di Circe sia convertite addosso agli Hosti e non ai forestieri … Qui odi parole di mille ruffianesimi, motti di sfacciatissime Cortigiane, inviti di sciagurate meretrici, sporchezze di lingue disoneste et vili, bestemmie horrende, imprecazioni horribili, giuramenti falsissimi, promesse piene d’ìnganni e di fallacia in tutto … Sugamani stracciati come tele di ragni, i lenzuoli tutti rappezzati, i letti duri come stramazzi, le coperte che san di tanfo per ogni banda …”
Curioso vero ? … E non ci si trovava affatto lontani da Piazza San Marco:la Piazza delle Piazze, “cuore della Serenissima” ... Non che altrove in Città le Osterie e le Locande andassero meglio splendendo per Nobiltà d’Animo e d’intenti. Era tipico della Categoria dell’Ospitalità e del Vino composta da un nugolo di Osti, Canevèri, Tavernieri, Furatolèri, Malvasiòtti e Trasportatori comportarsi in tal modo: cioè in maniera doppia, tripla e interessata, per non dire: spudorata e losca. Si lavorava così, senza sosta giorno e notte, nelle mille Bettole, Sanmarchi, Bàcari, Bastioni e Magazzini sparsi ovunque nella Città.
Nel 1514 a Rialto, ad esempio, quando prese fuoco quasi tutta la Contrada Realtina“con grandissimi danni degli edifici e perdita dei Libri Contabili, e di tante ròbbe dei Mercanti”, c’era Dionisio Malipiero, che oltre ad essere proprietario dell’Osteria al Bò, cioè al Bue, controllava anche altre otto Osterie gestendone ospitalità e relativa prostituzione. Le Donne le ospitava nelle case di Priamo Malipiero a San Mattio di Rialto: “in quadam rugam post Hospitium Bovis”.
Quattro anni dopo, nel 1519, un giovane Prete di San Cassiano entrò una sera di maggio nella stessa Osteria del Bò, e vi s’intrattenne allegramente a giocare a carte in compagnia di amici. Quando uno di loro iniziò a sparare bestemmie, fu presto imitato dagli altri, Prete compreso: “facendo a gara a chi le tirava più sconce” ... La cosa giunse all’orecchio sempre attento del Consiglio dei Dieci, che fece arrestare e punire tutti, eccetto il Prete, per il quale si lasciò la sentenza al Patriarca. Una tantum, il Patriarca non fu tanto remissivo e delicato col suo Prete libertino. Perché fosse d’esempio per tutto il resto del Clero: lo fece tradurre su un peàta (chiatta)per il Canal Grande manifestando a tutti la sua colpa. Poi lo fece scendere a Rialto nei pressi dell’Osteria del Bò, e lì gli fece mettere la lingua in una giova (pressa)… Mamma mia ! … Infine lo fece rinchiudere nella chèba (gabbia)appesa al Campanile di San Marco, dove doveva rimanere per dieci giorni prima d’essere messo in prigione “a pane e acqua” per dieci anni ... Proprio incazzatissimo il Patriarca ! … Punizione esemplare.
La madre del Prete poveretta, si recava ogni giorno ai piedi del Campanile a trovare il suo figliolo per consolarlo, ma gli portò anche il necessario per evadere e calarsi giù e fuggire. “L’oselo è ussito di chèba” commentarono ridendo i Veneziani il mattino di sei giorni dopo di fronte alla gabbia trovata vuota ... Il Prete dalla lingua mozza era scomparso … e lo fu per sempre.
Dicevamo: che oltre all’Osteria “Al Bò”, appartenevano di fatto allo stesso Dionisio Malipierodi Rialto anche le Osterie: “Al Gambero”, “Alla Croxe”, “Alle Do Spade”, “Al Saraceno”, “Al Melòn”, “All’Angelo” e “Alla Stella”, e forse diverse altre. Tutti sapevano a Venezia delle vicende della Locanda del Gambaro di Rialto, dove un certo Venturino era stato ucciso con più coltellate dai Tedeschi: Armano Cappellaio, Angelino e Leonardo, e da Giacomo, precedente gestore della stessa Osteria. Erano scappati via tutti ovviamente, e tutti erano stati condannati in contumacia a bando perpetuo: col taglio della mano destra sul luogo del delitto, e la decapitazione “frammezzo le due colonne di San Marco in Piazzetta” se solo avessero osato ripresentati in Laguna e a Venezia.
Non era nuova l’Osteria “Al Gambaro” di fatti del genere. Anche nel precedente 1478: Francesco Pincarella, Giovanni Gallina, e Giacomo ab Azalibus, tutti “mezzani d’amore”, avevano ferito “cun uno gladio panesco un Fioravante, ed un Girolamo da Brescia, che con altri compagni stavano giocando alle carte in Hospitio Gambari in RivoAlto”… Avevano poi rubato anche i soldi che stavano sul tavolo da gioco, e s’erano poi eclissati nella notte Veneziana ... Anche loro sarebbero stati tutti “issati sulle forche in Campo delle Beccarle a Rialto”, se solo si fossero azzardati a ripresentarsi a Venezia.
Sempre e ancora dietro a San Zuane Elemosinario di Rialto, andò a fuoco nel 1517 l'“Hostaria de la Scimia che è di le Muneghe di San Lorenzo, et era nova”. Venne prontamente rifatta, tanto è vero che dieci anni dopo ospitò due Ambasciatori dello Zar Vasilij IIIdi ritorno da Roma, dov’erano stati inviati in missione presso Papa Clemente. Sempre lì, a inizio estate 1591, morì di peste l’Oste ventitreenne: Piero di Zuanne di Bernardini.
Poco distante dalla “Scimmia” e dalle “Do Spade” sorgeva anche l’Osteria “Alla Torre” gestita dall’Oste: Vielmo Grigis, che abitava in affitto in una casa del NobilHomo Giacomo Morosini poco distante.Era l’Osteria di Rialtopiù famosa per le sue contese, le risse e le liti causate dal gioco.
E c’era anche l’Osteria “Alla Campana”, che apparteneva e procurava buone rendite … sentite un po’ … alla famiglia dello stesso famoso scrittore-diarista: il Nobile Marin Sanudo: “El stabele qui è molto caro. Testi siamo noi Stanuti che in Pesheria Nuova habbiamo un’hostaria chiamata di la Campana. Sotto tutte botteghe, ed è picciol luogo e tamen di quel coverto si cava più di ducati 800 di fitto ogni anno, che è cossa meravigliosa del grande affitto e questo è per esser in bon sito l’Hostaria; paga ducati 250 che paga più che primo palazzo della terra.”
Anche la“Campana” divenne famosa a Venezia nel 1507, in occasione delle nozze di una figlia di Leonardo Grimani con Alvise Morosini della Compagnia della Calza degli “Eterni”. Il banchetto nuziale che si tenne nell’occasione fu davvero misero per via della nota spilorceria sia dei Grimani che del Morosini... Curioso notare come certi nomi così illustri celavano dietro alla facciata tanta avarizia e pitoccheria.
Gli Eterni della Calzanon persero l’occasione, perciò “dopo aver fatto parecchi guasti a Cà Grimani, pensarono di vendicarsi percorrendo con i fratelli Stefano e Domenico Tagliacalze tutta la Città con due bacili d’argento chiedendo la questua per cenare all’Osteria della Campana per rifarsi della fame patita a Cà Grimani”… L’originale scherzetto ben congegnato, fu ben accetto ai Veneziani, che conoscevano la fama soprattutto dei Grimani, perciò: “in quella si raccolsero parecchi denari, e alla sera vi fu banchetto grande alla Campana con piffari et canti“.
Potremmo continuare a dirne fino a domani …
In ogni caso, bene o male che fossero andate le cose, era palese a Venezia che tutti quei lavoranti industriosi attivi a tutte le ore contribuivano grandemente al fabbisogno e ai disegni economici dell’intera RepubblicaSerenissima. Le Arti-Mestieri, infatti, erano fortemente considerati e stimati dai Veneziani tanto da scolpirli e rappresentarli per sempre fin sugli Arconi del principale Portaledella chiesa personale del Doge: la Basilica Marciana.
Andateli a vedere … Sono davvero uno spettacolo che racconta ancora oggi com’è stata Venezia un tempo.
Davvero Piazza San Marco cantava visibilmente e plasticamente “le Fortune e le Glorie di Venezia col suo Leòn” ... Davvero tutti Veneziani in modo diverso contribuivano a dar vita a quella grande e forte primavera di Scienza, Bellezza, Dottrina, Arte e Cultura e Laboriosità, che stava rendendo Venezia sempre più grande e bella.
Mi piace però riandare e ricordare ancora quella che potrebbe dirsi “l’altra faccia della medaglia” di Venezia di allora.
In parallelo alla tanto ardita Nuova Creazione voluta dalla Serenissimaper l’intera Città Lagunare, capitò anche che il Patriarca Vincenzo Diedodovesse per forza mettersi all’opera ... Il Patriarca era un uomo deciso, tutto di un pezzo. Non era neanche Prete quando venne scelto ed eletto dalla Serenissima per ricoprire quel Ruolo Ecclesiastico così importante. Si trovava da tempo a far da Capitano a Padova, dove di Cultura se ne macinava davvero tanta. Lui stesso era un “Uomo di Studio”, per cui vedeva molto di buon occhio tutto quel fermento della Città Lagunare, e quindi: “gli si dannava l’Anema, e si vergognava non poco” nel vedere le condizioni e i modi con cui operavano certi suoi Preti:“davvero bassi come uomini e come Religiosi”. Nel 1557 accorse allora ad esaminare alcuni suoi Preti, che per la loro eccessiva ignoranza stavano facendo ridere tutta Venezia ... Erano sulle bocche di tutto … Il troppo stroppia: ne andava di mezzo indistintamente tutta l’intera Famiglia Ecclesiastica, che finiva col fare all’unisono meschine figuracce … A dir di tutti, quei Preti sapevano davvero troppo poco per poter ricoprire con dignitosa autorevolezza Ruoli e Cariche di un certo prestigio in faccia ai Veneziani: “Non è davvero il caso che capitino certe cose a Venezia”, pensò il Patriarca: “Altro che Rinascenza delle Menti e dei Costumi !”
Ed ecco quindi i fatti … Il Patriarca andò da Prè Pietro Paolo Lupo o Lovo,che era il Piovano della piccola Contrada e Collegiata dei Preti di San Vio nel Sestiere di Dorsoduro… Chiestogli che significava: “Ut exibeatis corpora vestra”, il Piovano nicchiò, si grattò la testa, avvampò in viso, e rispose interrogativo sorridendo: “Che siè beati ?”
Il Patriarca sussultò sul seggiolone dorato, e lo fulminò subito con gli occhi … Era mai possibile una cosa del genere ? Un Prete che non sapeva neanche un po’ di Latino ? … Ma ce l’aveva lì proprio di fronte: non erano solo calunnie e ridicolaggini quelle messe in giro dai suoi Parrocchiani e dai Veneziani. Il Prete, consapevole del suo stato provò a giustificarsi: “Son vecchio di anni 78 Monsignore … e Missier Marcello m’ha messo di qua e là per tanto tempo a digàr Messa: quel poco che sapevo me lo son dimenticato.”
Il Patriarca non aggiunse altro, ma fece un semplice cenno al suo Scrivano, che tirò una linea dritta sulla lista dei nomi che teneva in mano. Serviva un nuovo Piovano per la chiesa dei Santi Vito e Modesto, che tutti chiamavano: San Vio. Prè Paolo Lovo venne allora sollevato dall’incarico, come capitò al Confratello esaminato prima di lui. Spiegava in Predica le parole del Vangelo: “in diebus illis”, e nel far questo, disse che la frase faceva riferimento alle: “Dindie, cioè: ai polli d’India”… Poi non avendo saputo più spiegare il resto del senso della frase, s’arrampicò sugli specchi aggiungendo che si doveva pensare ai “busilli, come ai dubbi della testa”… e la chiesa quasi venne giù per il ridere di certi Fedeli che sapevano e contavano ... Nobili, Mercanti e Monache avevano scritto immediatamente al Patriarca.
Pre Paolo Lupo di San Vio pagò un po’ per tutti perché fungeva da Piovano, ma gli altri Preti che stavano a San Vio non erano molto dissimili da lui. Infatti, siccome dopo quella Visita i Preti non si migliorarono ed emendarono affatto continuando alla loro maniera, nel 1582 la Collegiata di San Vio venne soppressa, e i Preti “mandati a casa”. La scelta di “chiudere la Collegiata” venne messa in atto dal successore del Patriarca Diedo: il Patriarca Giovanni Trevisan, che governò la Venezia Religiosa dal 1559 al 1590. Anche lui era “un testa fine, e un Uomo di garbo”: un Monaco Benedettino saturo di Dottrina e buona Cultura ... anzi: era anche Abate di San Cipriano di Murano… e mal sopportava l’ignoranza di un certo Clero Veneziano.
Sapeva già, ancor prima d’incominciare come Patriarca, della condizione precaria di certi Preti Veneziani, per cui celebrò ben tre Sinodi a Venezia per riprenderli, stimolarli e indirizzarli per migliorare almeno un poco la loro condizione: “Non basta salir gli Altari per sbrodegàr Messa intascandone le Elemosine … E’ troppo poco per l’Esercito di Dio.”
San Cassian de Rialto, ancora ad esempio, non era affatto un buco di chiesa, anzi: di li erano passati fior fior di Preti che avevano fatto anche brillante carriera nell’Ecclesia. Nell’antica chiesa Realtina poi, c’erano diverse Madonne Grandi e Piccole vestite, che attiravano come Api sul Miele la Devozione dei 2.270 Veneziani che abitavano la Contrada ... e sempre in chiesa di San Cassan, c’era anche una bella e preziosa Pala d’Altare“de molti anni, antigua,de legno con figurede molti santi fittid’argento e de rame indorà e parte repassada, e veniva aperta con una corda con cirele doi, da levar la pala.”… I Preti la trascuravano, non la esponevano e valorizzavano mai come avrebbero dovuto … A San Cassian aveva sede anche la Scuola Sestierale di Santa Croxe.
Già nel 1561 quindi, lo stesso Patriarca passò ad ordinare ai Preti di San Cassan l’Esposizione di tutte lenumeroseSante Reliquie che possedevano, e della Pala in chiesaalmeno a Natale e Pasqua, insieme a tutti gli argenti e gli abbellimenti in dotazione della chiesa ... Dovevano assolutamente farlo: “e per i Fedeli, che sono i veri depositari di tanta ricchezza, e per i visitatori e i Pellegrini, che possono arricchirsi interiormente nell’osservare tanta Bellezza e munificenza … Certe cose belle non possono rimanere scònte e relegate, dimenticate sul fondo di forzieri e cassòni !”
In un impeto di presunto risanamento e ripensamento, quattro anni dopo i Preti di San Cassàn fecero abbellire l’Altar Maggiore della chiesa con una nuova Pala … Che bravi ! … Finalmente … Invece: no … L’avevano fatto a spese della Schola del Santissimo del Gastaldo M.Zampiero Mazzolenghi, che commissionò a Tintorettoanche la “Crocifissione” e la “Discesa al Limbo” che andarono ad abbellire il Presbiterio ... I Preti non avevano sborsato neanche un soldo, ma soprattutto non avevano cambiato affatto il loro modo basso di comportarsi.
Da quanto si diceva in giro per Venezia, il Piovano si preoccupava solo di quali Elemosine gli spettavano, e di quali e quanti soldi delle Messe dovevano essere destinati alle “refezioni dei Preti”... La Fabbrica di San Cassian doveva ancora saldare un debito di 70 ducati intrapreso con Pietro Morosini che aveva costruito l’organo nuovo in chiesa … I Preti avevano perfino ridotto il numero dei Titolari della Collegiata estinguendo il Quarto Presbiteratoin modo da spartirsi meglio i benefici e le rendite parrocchiali. Il Patriarcas’era opposto a quella decisione, ma non l’avevano ascoltato: “Il Capitolo come tanti altri principiò a non osservare i patti con i fondatori dei benefizi; non abitarono ma appigionarono le case di residenza; non celebrarono gli Offizi interi ogni giorno per i Benefattori né per essi applicarono le Messe; non vollero l’incomodo di aiutare il Pievano nell’assistenza delle Anime; e che tutti eransi ridotti a cantar una Messa e un Vespro nei giorni di Festa e non forse tutti; eransi estinti gli Accolitati perché così il poco che davano loro ridonasse in pro dei Titolati …”
Nel giugno 1581 passò per San Cassiano la Visita Apostolicamandata dal Papa diRoma a controllare l’operato di Venezia e della Laguna con tutte le sue Contrade … Altra figuraccia ! … Pur sembrando tutto in regola in Parrocchia: Messe, Prediche, Schole, Altari e movimenti di denaro, il Clero di San Cassan risultò “dissoluto”. Si dovette procedere col processare e condannare i Preti Filippo Rota:“che non voleva sempre ascoltare le Confessioni, si rifiutava di dar l'Olio Santo agli infermi, e come Procuratore di Capitolo non s’accontentava di tre scudi, ma pretendeva tre ducati per seppellire un Morto in Contrada” ... Era un fatto scandaloso: “Mormoravasi inoltre che costui tenesse pratica colla moglie d'un Barcaiuolo, e che in casa sua frequentassero donne di mal affare.”… Si condannò anche Prè Pietro De Nalone o degli Adoni, Terzo Titolato del Capitolo di San Cassian: “per irregolarità gravi comprese fra carnali, patrimoniali e vizi di gioco …Gli s'impose che cessasse di visitare certa Angela, donna maritata, e licenziasse di sua casa Vittoria: moglie di Giovanni Hanta”... C’era inoltre Prè Gregorio Bervich “solito d'andar qua e là giuocando alla Bassetta, che aveva avuto, tanto per cambiare: pratica disonesta con una femmina.”… Infine c’era anche: Alvise Leopardo il Sacrestano: “che giuocava pur egli, ed andava al magazzen a bever aliatico”.
Che situazione ! …Il 27aprile 1584 il Patriarcaandò di persona a pizzicare il Prete Giacomo Comin, che fungeva da Suddiacono del Capitolo dei Preti di San Cassian… C’era il Mondo intero di Rialto che s’affacciava nella sua chiesa: il Patriarca non poteva continuare a lasciar correre. Lo interrogò allora un poco sul Catechismo … Che cosa ci poteva essere di più facile, abituale e ovvio per un Prete ? Don Giacomo Comin rispose: “Monsignor: non ghe ne capisso una stràssa.”… e venne messo agli atti, e il Prete venne a sua volta silurato in diretta, e messo da parte dal Cancelliere Patriarcale, che lo fece sostituire da un altro Prete.
Risolto tutto ? … Macchè ! … Ancora nel 1592, c’era sempre in San Cassian al suo posto il solito Prete Filippo Rota, che si rifiutava ancora di confessare, e di andare a dare l’Olio Santo ai Moribondi ... Come se niente fosse accaduto ... Il Patriarca aveva parlato al vento.
I resoconti e le Cronache Veneziane riportano, che fra 1515 e 1598 vennero “fatti fuori ed esonerati” diversi Preti Veneziani per gli stessi motivi.
Ma non fu tutto … Dall’altra parte della Città Lagunare: nel Sestiere di Cannaregio, accadde anche altro.
Sempre il famoso Diarista Veneziano di Stato Marin Sanudo, scrisse e raccontò in data 28 febbraio 1513 circa i Frati dell’Abbazia di Santa Maria dei Servi in Contrada di San Marciliàn, che sarebbe San Marziale: “Et il questo zorno a hore 24 vidi io ai Servi una cosa notanda ch’el Predicatore Frate Elia da Breza, fa profession d’esser Eremito, porta un mantello di bixo di sopra, havendo ordinato venisse putti e pute vestite di bianco con una candela in mano, et ne venne tante che forse più di 400, ch’era una terribilità veder la furia, et femene assai et altro Popolo, et vene etiam la Schola del Corpo di Cristo de Sancta Fosca e di San Marzilian, et cussì avanti compieta tutti li Frati con un candeloto in man et li putti con candele e donne e il Predicator proprio comenzono le Litanie. Et cussì con li torzi avanti e la Croxe ussino de chiexja questi pute e pute e poi li Frati e lui Predicator et andono a far una Procession per San Marcilian, Sancta Fosca, Rio Terrà et al Ponte de l’Axeo ritornando in chiexa cantando le Litanie ch’era una terribilità a veder e timorosa cosa; ma il Predicator ha dito in pergolo vol con questo placar l’ira de Dio contro questa tera e ordinar dezuni, et poi dissero la Compieta la qual cerimonia si dee far tre volte a la settimana ... Non mi piacque ne è cossa da soportar et feci moto a qualche uno che può proveder che provvedi a tal principio.”
Immaginatevi la scena: tutta quella flotta di Veneziani che di notte cantavano a squarciagola su e giù per le Contrade Veneziane ... Non si trattava soltanto “de do vècje bigotte in fresca e malciapàe”: s’erano mosse almeno 500 persone fra grandi e piccoli. Deve essere stato un evento suggestivo ed emozionale: anche se un po’ fanatico ... “pericoloso” secondo la Serenissima:“un’iniziativa esaltata, non patrocinata dall’Autorità Religiosa, né tantomeno dalla stessa Repubblica Serenissima”. Nelle alte sfere dove si gestiva il potere su Venezia s’iniziò a preoccuparsi ... Quelle erano manifestazioni che solitamente a Venezia si dovevano evitare, in quanto surriscaldavano inutilmente gli animi, demoralizzavano le persone, ma anche le univano, le democratizzavano … Insomma: era brutta cosa quell’energia febbrile che covava, traspariva ed emergeva coagulata intorno ai Frati Serviti nelle Contrade di Santa Fosca e San Marcilian.
A Venezia non ferveva solo la voglia di Bellezza e Gloria, ma anche d’emancipazione, libertà e novità … E questo: non andava … Erano cose tutte che disturbavano non poco l’assetto stabile, ordinato, e conservatore della Repubblica: “ognuno deve stare al proprio posto: senza tante novità e grilli per la testa”… Allo stesso tempo però, quegli accadimenti conferivano ai Veneziani stimolo e vigore: voglia d’autonomia, d’osare ed espandersi: “Serve calmierare e contenere con forza certi fatti” si disse a Palazzo.
La Chiesa-Badia dei Servi di Cannaregio con i suoi Frati era molto seguita e sostenuta dai Veneziani del Sestiere e della Città. Paolo Veronesenel 1572 aveva dipinto per il loro Refettorio: “La cena in casa di Simone”... La chiesa-Monastero ospitava diverse Schole che riunivano le manovalanze più significative dell’area Veneziana, dove ferveva maggiormente il Lavoro soprattutto Manifatturierodei Veneziani. C’erano molti iscritti alle Schole, e diversi Artigiani mostravano significative velleità, rivendicazioni e pretese ... nonché progetti d’indubbio valore economico.
Sempre ai Servie a San Marcilliàn (San Marziale) c’era la Schola del Volto Santo dei Lucchesi intorno alla quale ruotava quasi l’intera attività dei lavoratori dei tessuti di Venezia. C’era poi la Schola dei Barbieri, la Schola dei Barcaroli, quella di Sant’Onofri dei Testori-Tintori, quella dei Saonèri, e quella della Madonna Odorifera della Grazie e del Beato Simon.
Ahia ! San Simon da Trento … San Simonin !
Un Santo che a noi forse non dirà nulla, ma che, invece: scottava tantissimo allora, anche per i Veneziani, tanto da far saltare sul caregòn per la preoccupazione i grandi Prelati dell’Ecclesia e tanti benpensanti Veneziani ... Un altro motivo di preoccupazione.
Di recente, era sorta un po’ ovunque infatti, la Devozione e il Culto per quel “Nuovo Santo-Beato Speciale”, che faceva esclamare a diversi perplessi: “con la scelta di quel nòvo Beato: davvero la Ragione è andata in soffitta.”
La Contrada di San Marzial de Cannaregio poi, sorgeva solo a pochi passi dal Ghetto Veneziano degli Ebrei, per cui ancora di più quella nuova Devozione poteva sembrare una vera e propria provocazione deiCristiani e del Papa contro i Giudei: “gli storici perfidi matadòr del Sancto Christo Crocefisso”. La Serenissima al riguardo stava sulle spine e vigilava attentamente, perché da una parte concordava, in quanto credente, col disprezzare gli Ebrei, ma dall’altra i Giudei le facevano indubitabilmente comodo per via dei loro finanziamenti, gli appoggi, le conoscenze, i capitali, e soprattutto l’arguzia e l’inimitabile attitudine Mercantile … Cosa che Venezia apprezzava sopra ogni cosa.
Per capir meglio e dirla tutta facendola breve, il Culto per San Simoninera partito e s’era sviluppato in fretta a partire da una mezza leggenda che di sicuro travisava e distorceva certi fatti. S’eraraccontato che la sera del Giovedì Santo 1475 … fatalità proprio in quel giorno in cui ogni anno la Chiesa celebrava l’Istituzione del Sacramento dell’Eucarestia … a Trento era scomparso un bimbo di poco più di due anni, di nome appunto: Simone, cioè: il piccolo Simonin.
Il suo corpo venne ritrovato distrutto il giorno di Pasqua dentro alla roggia di un torrente che passava attraverso il Ghetto degli Ebrei… fatalità: proprio il giorno di Pasqua ... Analizzando il corpicino martoriato s’erano rinvenuti evidenti segni di strangolamento e tortura: il bimbo era stato quindi brutalmente seviziato prima d’essere ucciso: un’immane atrocità ! … Per tanti, quasi per tutti, fu ovvio attribuire agliEbrei di Trentola colpa di quel turpe infanticidio … Tanto più, dissero lingue maligne e più perfide dei Perfidi, che quel bimbo innocente doveva essere stato usato per dei Riti Sacrificali tipici del Popolo Giudeo.
Niente di più falso, ma Giovanni Hinderbach Vescovo di Trento, per quel motivo mise su Accusa e Processo, e vennero condannati senza remissione né Pietà diversi Ebrei al rogo, mentre le Ebree furono indotte “alla forzata conversione per aver salva la Vita” ... Brutta storia in ogni caso.
Sulla scia di quel fanatico entusiasmo dettato dalla Fede quindi, nonostante diverse riserve e perplessità di alcuni sia dell’apparato Civico che dell’Ecclesiastico, il Piccolo Simonin venne informalmente proclamato Martire e Santo divenendo il Beato Simonin. Il suo culto si diffuse velocemente a macchia d’olio in Val Camonica, Sebino e Franciacorta, poi nel Trentino e nel Bresciano, e fino a raggiungere il Veneto… e poi a Venezia, e infine nella Contrada di San Marziàl a Cannaregio.
La storia del Beato Simonin Martire Innocente di certo era un sentimento che faceva inasprire gli animi dei Venezianifino a contrapporne più di qualcuno della Contrada contro i vicini Ebrei del Ghetto. Per fortuna che poi si finiva col far vincere il buon senso, e vita, scambi e commerci continuavano a scorrere nella loro solita normalità ... La Serenissima poi era sempre attenta: chi sgarrava avrebbe pagato … Ecco perché ci si metteva sempre in allarme quando capitava qualche manifestazione insolita da quelle parti di Venezia.
Pizzocchere, Monache e Frati siopposero fermamente per secoli ogni volta che quelli della Contrada e laSerenissima intendevano costruire un buon Ponte su quel Rio del Battello strategico da passare … Gli affari erano affari, e il traghetto rendeva più che bene. Perché cancellare tutto ?
Ho accennato all’Abbazia dei Servi di San Marcilian di Cannaregio… Se ne parla non tantissimo, forse perché è una zona di Venezia andata bruciata e cancellata a fine 1700, e quindi quasi dimenticata. Lì vivevano abitualmente generazioni di Monaci Eruditidalla parlantina facile e coinvolgente, che “spararono a lungo alto in Dottrina come in Politica”, suscitando grande consenso nei Veneziani, e schierandosi senza timore anche contro il Potere costituito: Civile o Religioso che fosse ... Anche contro il Papa di Roma… Anche quello era un modo per far diventare Splendida e Grande Venezia: più Gloriosa e Bella … Più Ricreata e Rinnovata ... più libera dalle direttive a volte pressanti del Romano Pontefice.
Faceva parte di quella schiera di Frati Eruditi anche Fra Paolo Sarpi: Servitapure lui di Santa Maria dei Servi, oltre che Consultore e TeologoUfficiale, il “numero uno perito in Materia” a servizio della Repubblica Serenissima. Come sapete, il conflitto dottrinale molto in voga in quell’epoca era legato di sicuro alle pretese e agli stimoli intellettuali suscitati dai Protestanticon le loro Riforme. La grande Quaestio epocale era: “Si deve trattare del valore della Salvezza come Grazia: Dono esclusivo e gratuito di Dio, che ha intrinseco valore a prescindere dalle opere dell’iniziativa dell'uomo, o la Giustificazione e la Salvezza per l’Eternità dipendono anche dalle elemosine, dalle Messe, Preghiere, Suffragi e Sacramenti acquisiti, offerti e patrocinati in esclusiva dalla Chiesa con lauti guadagni ? … e poi: erano davvero così infallibili e indubitabili il Papa e la Chiesa di Roma in tutto ciò che dicevano e proponevano ?”
Io la faccio semplice, ma la questione era, invece, aspra, complessa e apertissima: corrodeva e coinvolgeva non poco a tutti i livelli l’intera Cristianità, gli Stati, gli Ordini e fino alla gente qualsiasi. Si era giunti a farne una questione di Vita e di Morte, e intorno ad essa si teneva un infinito maneggio di progetti, ruoli, poteri e risorse che si mescolavano con quelli che erano le voglie di Benefici e Rendite che circolavano alla grandissima dentro al Mondo tutto Ecclesiastico e Nobiliare … Dall’altra parte c’erano le aspirazioni dei semplici: del Popolino e delle persone qualsiasi, che nel loro piccolo non mancavano di partecipare e provare ad intendere.
Dietro alle quinte di Chiese, Abbazie e Vescovadi, e nel chiuso quasi segreto dei Chiostrie degli Studi Monastici sorsero vere e proprie grandi lobby di potere. C’era ovunque, anche a Venezia, tutta una lotta “sotterranea”senza risparmio di colpi atta a contrapporsi e primeggiare, fino a sopravalersi ai massimi livelli, e a scalare se fosse stato il caso anche i vertici della gestione di Stato e Religione.
Si crearono a Venezia, e anche nell’Abbazia dei Servi di Cannaregio: vere e proprie faide e fazioni Frateresche contrapposte che agivano nell’ombra, ma talvolta anche apertamente in faccia ai Veneziani … Beh: diciamole benignamente va ! … Non erano fazioni delinquenziali e criminali, ma duri schieramenti e consensi opposti fra Obbedienze di Frati Veneti Osservanti e Conventuali: questo si … In ogni caso: ci furono vere e proprie macchinazioni per assurgere a Generalati, Procuratorie e Reggenze, cioè a quelli che erano i vertici organizzativi e decisionali degli Ordini Religiosi, che non mancavano mai d’avere anche grandi risvolti e influssi su tutto ciò che era Cosa Civica e Pubblica ... Nelle chiese, nei Monasteri, nelle Abbazie e negli Studi Ecclesiastici accaddero furbeschi maneggi, giochi di potere alimentati da lontano e da vicino, sostenuti e finanziati dalla protezione di Vescovi, Prepositi e soprattutto ricchi e influenti Cardinali Romani, che erano dei veri e propri Patròn-Protettoricontrapposti spesso l’uno all’altro. Il tutto accadeva, anche a Venezia, dentro ad atmosfere create ad arte di sospetto, degenerazioni degli scontri, processi, trame tessute nel nascondimento, denunce e arresti alla fine di sofisticate indagini occulte, e veri e propri disordini, e attentati ai Frati, intimidazioni, e irruzioni di bande armate e acclamanti nei momenti di raduni o manifestazioni religiose.
Capite allora perché la Serenissima era sempre preoccupata e attenta quando succedevano certe manifestazioni, cortei e Processioni ? Si temeva sempre che potessero sfociare in qualcos’altro di peggio che era stato covato e preparato nell’occulto segreto: “La nostra Repubblica Serenissimanon può permettersi il lusso di destabilizzarsi per colpa dei giochini mentali e degli interessi di tutte queste Conventicole e Combriccole di Santi e Maledetti … Serve sempre saper vigilare, tender l’occhio e l’orecchio, ed essere pronti !”esclamò un preoccupatissimo Nobile Mercante Veneziano nell’assise del Senato.
Poi spesso su tanti Ecclesiastici piovevano sospensioni, punizioni, relegazioni e diffide, oppure convocazioni davanti all’Autorità Civilecon le accusa più disparate, e di “sovversione dei Valori sociali costituiti”… A volte: “S’inviavano squadre di birri a controllare e sanare”, altre volte si disperdevano facinorosi fanatici ... All’interno degli ambienti Ecclesiastici si decretavano restrizioni per arginare certi consensi, si limitavano le vestizioni e le accoglienze di nuovi Novizi indirizzabili … E ancora: succedevano colpi di scena spettacolari, accuse di frequentazione e appoggi di pericolosi Eretici Forestieri con conseguenti aspri rimproveri, clamori appositamente suscitati per Prediche accusate d'intonazione Calvinista, Eretica o Protestanti.
Insomma: “Venezia tutta è presa come dal ribollire di un immane pentolone, col quale più di qualcuno può finire scottato, saziato, o forse bruciato … o rimanere piuttosto a bocca asciutta, e a fuoco spento: escluso e affamato.”
Nel 1593, ad esempio: Frate Menocchi Generale dei Serviti per due trienni, venne addirittura processato “per sodomia” in seguito alle accuse di numerosi testimoni, e soprattutto di un giovane quanto ambiguo Patrizio Bolognese. Lo stesso giovane venne in fretta e furia decapitato, mentre il Frate Servitacaduto in disgrazia finì per tre anni relegato nel Convento di Imola, soggetto a numerose pene disciplinari.
Fu evidente a molti la verità dei fatti: s’era voluto togliere quell’uomo ingombrante dalle scene, perché altri prendessero il suo posto ... e infatti, la cosa riuscì in pieno, e andò proprio così: “deposto un Santo, se ne mette un altro”.
Ci furono quindi anche lotte intestine fra i Monaci Veneziani, non prive di colpi vendicativi e bassi: “c’erano coltellate tirate in giro a vàga e vègna”. Non fu di certo un caso se Fra Paolo Sarpi venne accoltellato una sera sul Ponte di Santa Fosca mentre rincasava nell’Abbazia dei Servi… Si disse che era accaduto su mandato del Papa di Roma… Poteva essere … ma allo stesso tempo venne accoltellato anche “con diverse stilettate” il Padre Arcangelo Piccioni Priore di San Giacomo dei Servi della Giudecca: “che era l’antagonista poco amico, il concorrente in tutto e per tutto di Frate Paolo Sarpi” ... E non solo volarono coltellate, ma anche pesantissime accuse, fra le peggiori: Sodomia, Corruzione, Peculato, Eresia: “Tutto fa brodo, ogni cosa è lecita nella scalata al posto più alto: “Mors tua Vita mea”.
Tanto per ricordarlo … San Giacomo dei Serviti della Giudecca era una specie di ricca dependance più pratica e concreta dell’Abbazia dei Servi di Cannaregio, che curava maggiormente l’impronta più dialogica e speculativa dei Frati Serviti Veneziani ...NelConvento della Giudecca i Frati Serviti litigavano spesso col Piovano di Sant’Eufemia della Giudecca per i diritti di Sepolturadei Morti ... Il Convento di San Giacomo era ben fornito oltre che di lasciti, Mansionerie e ducati, anche di orti e case vecchie e nuove alla Giudecca, e ne possedeva altre a Santa Maria Maggiore non lontano da San Nicolò dei Mendicoli e Santa Marta, oltre il Canale della Giudecca, cioè il Canale del Vigano… I Frati Serviti della Giudecca possedevano inoltre beni a Ponte di Brenta, Castelfranco, Bagnoli e Fiesso, e pascoli a Villanova presso Padova, e beni affittati a Prezolo o Brezuolo, e a Brentasecca in Piove di Sacco ... Insomma: i 20 Religiosi Serviti della Giudecca stavano benone dal punto di vista economico. Fra Luca Pacioli, ad esempio,amico di Leonardo Da Vinci, era uno di loro. Andava a insegnare privatamente poco distante al Ponte Piccolo, dove sorgeva Cà De Rompiasi dei ricchi Conciapelle dell’isola … Solo dal 1569 al 1574 i Frati Serviti furono costretti ad ospitare le Monache della Celestia che avevano lasciato il loro Convento a causa dell’incendio per lo scoppio delle polveri dell’Arsenale ... perciò necessariamente l’attività dei Serviti ebbe una flessione.
Detto tutto questo, capite allora come la situazione a fine secolo in Laguna si fece davvero bollente fino a degenerare del tutto.
Nel 1603: Offredi Nunzio Papale a Venezia, scrisse al Papa descrivendo i Patrizi Veneziani in Senato: “Va crescendo sempre più il numero dei Senatori che accerrimamente parlano contro qualunque cosa spettante all’Ecclesiastica, havendo pochissimi altri l’ardire d’appertamente opporsi loro … tanto più che morto Giacomo Foscarini, Patrizio di grande prestigio e devoto alla Santa Sede … appariva ormai incontrastato il predominio dei “giovani” con a capo Leonardo Donà: uomo più Politico che Cattolico, che ha lo stesso spirito maligno dei suoi consiglieri: Antonio Querini, Nicolò Contarini, Alvise ed Alessandro Zorzi … Tutti inimici della Chiesa, e discepoli et accademici di quel Maestro Paolo Servita autore di quel libro intitolato Considerationi, il quale si dice publicamente che ha ereditato il veleno di Lutero et l’atesimo di Messer Sperone da Padova et l’impietà di Marsilio Patavino … levatasi la maschera, per non essere necessitato d’andare in Ginevra, cerca di far la povera Venezia un’altra Ginevra … e corre vose che il suo confratello Fulgenzio Micanzio predica alla scoperta del Calvinismo …”
Non fu di nuovo un caso se nel 1604, al culmine di tutte quelle tensioni Veneto-Pontificie, piombò su Venezia l’indignato Anatema del Papa di Roma: la Scomunica dell’Interdetto, a cui il Doge rispose immediatamente pubblicando il suo “Protesto Dogale contro le censure di Roma”.
Ancora nel marzo 1609, Fra Giovan Francesco Graziani dell’Ordine dei Serviti, Bacelièr da Perosa, venne arrestato, e dovette trascorrere tre giorni in carcere: “e si discusse a lungo se si dovesse mandare ad annegare secondo l’ordinario, sichè resti sommerso et affogato”.
“Di sicuro aleggiava un gran sommovimento d’animi, e uno spirito nuovo in Contrada di San Marziàl”: un sapore diverso di novità “per que tempi di Rinascenza generale a Venezia”.
Quella di San Marzial o Marcillian era una Contrada Veneziana vivissima:luogo diSchole, Ospizi, Squeri, Hospedaletti e Pizzoccherai.
C’era da secoli l’Ospizio Basegio dei Marineri fondato nel lontano 1385 per ospitare dodici poveri Marineri… C’era l’Ospizio Moro-Lin, anche luidi fondazione antichissima: forse addirittura prima del 1000, nato per accogliere Pellegrini di TerraSanta, e forse destinato a diventare Monastero di Monaci Bianchi … Agostiniani forse ? L'Ospissio sopravvisse alla Peste del 1348 che uccise quasi tutti, per cui venne assegnato dal Patriarca di Grado unitamente alla chiesetta e al Cimitero che vi sorgevano accanto alla Nobile Famiglia Moro che ne assunse in esclusiva il Juspatronatorivendicandone l’indipendenza anche dagli Ecclesiastici che glielo avevano conferito. Era il Priore stesso, in assoluta libertà, che sceglieva e accoglieva quindici povere donne alle quali assegnava annualmente alcune quantità di legna, farina, vino, medicine, e dodici ducati a testa ... In realtà diverse volte le donne dovettero ricorrere contro il Prior davanti ai Proveditori sora gli Ospitali, Lochi Pii e il riscatto de li Schiavi, perchè non veniva loro corrisposto quanto promesso ... A inizio 1600 infine, Papa Clemente VIII concesse al Prior le insegne Abbaziali, per cui Ospissio e chiesa divennero Abazia: l’Abbazia de la Misericordia di Cannaregio ... Vi ricorda niente ?
Sempre e ancora in San Marciliàn trovava ospitalità laSchola e Sovvegno di San Girolamo dell’Arte dei Barcaroli per Portogruaro ed Este: “tutta gente che non sapeva nè leggere nè scrivere, e si lamentavano che morivano di fame”…In risposta a una loro supplicaottennero dal Governo Serenissimouno sconto d’imposta del 25%: “passando a pagar 25 ducati di Tassa da 31 ducati che erano”.
Anche per iscriversi alla Schola si liberalizzò un po’ tutto: “Chascadun paga a lo intràr quello che li piase, perché le chose de misier Domenedio non se die voler dar per daneri ma solamente per ato de caritade…arechordando a cascaduno, chomo dise Missier San Polo: “qui parce seminat parce et mettet” cioè a dir chi pocho semenerà pocho rachoirà et per lo chontrario chi molto semenerà molto rachoierà”… Si diano però:2 ducati raccomandarono però i Preti del Capitolo di San Marciliàn: “E che ci si salva forse senza spesa ?”
Dal 1565 giunse a Santa Maria dei Servi anche il Corpo-Fraglia dei Saonèri: fabbricanti di sapone, che “si ridussero in Scholasotto il Segno della Purificazione della Beata Vergine Maria” ... Si trattava di una novantina di CapiMastro Saponàri con una ventina di Lavoranti e centotrenta Garzoni che vendevano anche al minuto in giro per le Contrade Veneziane.
Le caldaie delle Saonarie scesero da 40 d’inizio 1600 a 25, e poi a 18 nel 1692. Davano lavoro a migliaia di Veneziani producendo circa 13 milioni di libre di Sapone annue: ossia circa 39.000 quintali, metà dei quali venivano esportati fuori dalla Laguna: a Bergamo, Brescia, Crema, Padova, Vicenza, Verona, Treviso, ma anche in Friuli, e nel Polesine e Dogado.
Si legge negli “Annali Veneti” del Malipiero: “Ai 9 d'ottubrio 1488 è sta preso che nessun nobile no possa far lavorar saoni a Gaeta, né a Galipoli, sotto pena de 500 ducati e bando da Venetia per 5 anni, per el danno dei dazi e de le saonerie de particulari”.
Nel 1707 a Venezia c’erano ancora 16 Saponifici con 54 caldaie attive che producevano però solo 3 milioni di libre di Sapone.
Nel 1773, quando presero il sopravvento i Marsigliesi, Fiume, Ancona e soprattutto i Triestini, Venezia si ritrovò con sette Saponerie soltanto, che produceva sapone a prezzi elevatissimi impedendo ogni concorrenza. Nel 1788 si diceva dei Saponeri Veneziani: “I produttori di Sete di Padova, Vicenza e Verona avevano inviato una risentita protesta contro i Saponi Veneziani che potevano dirsi in ogni senso pessimi perché lasciavano l’unto e lasciavano puzza sulle Sete.”
In Contrada di Santa Fosca “in capo alla Fondamenta del Forner” c’era la Fabbrica “col bollo della Colomba” presa in affitto dal NobilHomo Vendramin ... Un’altra Fabbrica di Giuseppe Mazzon, Simon Stella e Vincenzo Zamperetti si trovava al Gaffaro presso i Tolentini vicino a quella vecchia del Malcantòn … Un’altra ancora con Capitale di 15.000 ducati e “Marca Privilegiata del Ranuncolo” apparteneva ad Antonio Duodo quondam Pietro e a Nicolò Retti quondam Paolo, e si trovava a Sant’Andreadella Ziràda(dove c’è oggi il People Mover)… Sempre a Sant’Andreasorgeva la Fabbrica Sociale dei Saponi con 3 caldaie. Apparteneva a Nicolò Retti, al Conte Angelo Maria Revedin, e a Giovanni Francesco Cappellis … Infine: un Magazzino Consortile aperto presso la Saponeria di Sebastiano Fava alla Madonna dell’Orto produceva: “sapone bianco e verde per ogni caldaia in funzione, corrispondente agli standard qualitativi prescritti e con stagionatura di almeno 15 giorni.” La Società per la fabbrica di Saglie e Saponi con Capitale di 6.000 ducati e utensili di proprietà Werchel, era di Francesca Werchel sposa di Francesco Guizzetti e Anastasio Curaglia di Nicolò figlio emancipato.
Infine, ancora una volta presso San Marziàl c’era l’andirivieni continuo di quelli della Schola di Sant’Onofrio Anacoreta Patrono dei Tintori… A Venezia lo si chiamava: San Nòfeli.
I Tintori di Panni, da Grana e Cremese(rosso scarlatto), da Guado(giallo), da Indaco (blu e nero), da Seda, con Statuto del 1242, erano prima ospitati a San Simeon Piccolo, da dove nel 1380 si trasferirono a San Zuane Grisostomo.
L'Arte, soprattutto dopo l'arrivo in città dei Tessitori Lucchesi Guelfi, che erano andati a risiedere e lavorare nelle Contrade di San Cancian, Santi Apostoli e San Zuane Grisostomo, era diventata supporto indispensabile all'Industria della Seta e della Lana. In tanti chiedevano di venire a tingere a Venezia per via della qualità del lavoro e del prodotto che ne derivava.
Esistevano tre categorie di Tintori: di Tele, di Fustagni e diSeta ... Per tenere lontani i curiosi dalle Caldaie delle tinte e dalle Botteghe, e per nascondere gelosamente i segreti, le tecniche e le ricette dell’Arte custodite per iscritto nella Mariegola, i Tintori s’inventavano di continuo storie paurose di fantasmi. Solo nel 1540 le tecniche della Tintura vennero divulgate pubblicamente dal “Plictho” di Rossetti, che rivelò anche le modalità per la produzione del famoso Scarlatto Venezianofatto con prodotti d'origine animale come il Chermes, sostituito poi dalle Cocciniglie Americane, o con l'Ematite Rossa, mentre con l'Herba Gualda si ricavava il Giallo. Il tessuto in precedenza doveva essere: “Cimosato, Follato e trattato con mordenti per assorbire uniformemente il colore ... Una volta tinto esclusivamente in Acqua Dolce posta in apposite vasche di Rame, veniva appeso ad asciugare sulle Chiovere.”
Nel 1551, essendo cresciuto ulteriormente il numero dei Compagni-Artigiani iscritti, l’Arte: “cominciarono a trovarsi ristretta in loco angusto", perciò nel 1581 trovò nuova sistemazione presso l’Abbazia dei Servi, coi quali prese accordi per l’uso di un magazzino di loro proprietà contiguo al Ponte, e l'autorizzazione a innalzarlo fino al primo piano affittando il pianterreno come magazzino.
Unica condizione messa dai Frati Serviti: “che il luogo servisse ad esclusivo uso Sacro, diffidando la Schola a dar rifugio a banditi o fuggitivi”... Conclusi i restauri dei locali, tutto venne adornato con opere di pregio dipinte da Jacopo Palma il Giovane, Domenico Tintoretto, Giovanni Pilotto, Matteo Ingoli, Tizianello, Maffeo da Verona e Carlo Saraceni... La Pala dell’Altare di San Nicolò in chiesa vicino al Barco dei Frati, destinato all’uso di quelli dell’Arte venne dipinta da Leonardo Corona … e tutto andò bruciato e distrutto con l’incendio della chiesa del 1769.
Ai Tintori venneassegnato anche un cassone in Sacrestia “per le ròbbe della Schola”, e dentro al Chiostro due Arche per la Sepoltura dei Compagni Tintori Morti… Nella Festa di Sant’Onofri, cioè San Nòfeli, la Messa Solenne era preceduta da una Processione "attorno a tutta l'isola" con partecipazione dei Religiosi ... La Festa poteva svolgersi senza l’intervento di Musicisti e Cantori: ci avrebbero pensato i Frati a cantar la Messa et Vespri col loro solito “Canto Fermo” … In quello stesso giorno, in cambio, l'Arte avrebbe organizzato un pranzo sociale, per il quale i Frati avrebbero messo a disposizione gli utensili di cucina ... I Tentori, infine, potevano come da consuetudine nei giorni di festa: innalzare il Penèlo dell'Arte “sull’abate” posto in fondamenta.
Nel 1581 la sede della Schola dei Tintori ai Serviera capace di ospitare 200 persone, anche se i Tintori iscritti erano solo: 84. Divennero: 90 nel 1609, 109 nel 1614, e 139 nel 1773, quando gestivano ancora a Venezia: 37 Tintorie distinte in “da fondo”, “da picigàroli”(piccola tinta), “da grana e cremese”, “da seda”, “da lane”, e “da tele” (lino, cotone e canapa).
Nel 1500 gli abitanti della Contrada raccogliendo un ingente somma fecero costruire i Ponti di San Marzial e dei Servi, ed edificare le “Case dei Convicini di San Marziàl” da affittare “Amore Dei”(gratis o prezzo simbolico) a vantaggio di chiesa e povere fanciulle della Contrada.
La Cronaca del Barbo racconta, che in una domenica di metà ottobre 1545, quando si tenne una delle tradizionali lotte fra Castellani e Nicolotti sul Ponte di San Marciliàn, mentre stavano vincendo i Castellani, alcuni Nicolotti iniziarono a lanciare tegole dai tetti contro gli avversari e i partecipanti, per cui ne nacque un gran tumulto, spuntarono le spade, e ci furono diversi morti e feriti, soffocati e annegati. Alla fine si accertarono gli scalmanati colpevoli, che vennero prontamente puniti ... Incredibile: fra loro c’erano anche: “Prè Paris, Iseppo Barbier, et un altro suo compagno”.
A inizio luglio 1575, proprio in Contrada di San Marzialedove abitavano circa 4.000 Veneziani, vennero scoperti i primi segni di una nuova epidemia di Peste a casa di Vincenzo Franceschi, dov’era stato ospitato un Trentino della Valsugana infetto. Quel che è peggio, gli furono venduti i vestiti per pagargli il Funerale, che vennero comprati da alcuni Veneziani della Contrada di San Basilio dall’altra parte della Città. Ovvie le conseguenze: qualche tempo dopo in zona di San Basilio s’incominciò a morire di Peste, così come morirono 3 donne nella casa dov’era deceduto l’appestato Trentino ... Era iniziata la Peste che portò al Voto e alla costruzione del Tempio del Redentore alla Giudecca.
Alla Visita Apostolica del giugno 1581 alla chiesa con 8 altari considerata troppo buia, vennero processati e condannati i Preti Francesco Pisano e Sante De Belli “per irregolarità gravi comprese fra: carnali, patrimoniali o vizi di gioco” ... Siamo alle solite… Nel 1592 in maggio: “Texa praeceptoris sexteriis Canalis Regii”: la Parrocchia-Contrada di San Marciliàn contribuì per la sua parte di ducati 4 su un totale di 74 ducati per pagare la Scuola Sestierale di Cannaregio.
Ancora alla fine d’ottobre 1619, di notte, al Ponte di San Marziàl, venne ucciso a tradimento con un colpo di moschetto: Alvise quondam Antonio Mocenigo dalle Zogie… Proprio nel 1622, quando si era all’inizio dell’ondata di Peste della Madonna della Salute, in Fondamenta di San Marziale (oggi Fondamenta della Misericordia), l’Avvocato Nicolò Morosini quondam Leonardo, ammazzò un Ebreo che s’era rifiutato di dargli denaro.
Ferveva quindi parecchio la Vita a Venezia e nelle sue Contrade durante la Rinascenza del 1500… Era fatta di tante cose e iniziative complicate e grandi, e impastata allo stesso tempo da tante quotidianità spicciole inventate e vissute da tante persone qualsiasi … Gira e volta: è come oggi … Non è cambiato quasi niente a Venezia … Tutto continua a succedere in un certo modo anche adesso ... Ecco: magari senza dei Veneziani, che a differenza di allora, oggi non ci sono quasi più.