#unacuriositàvenezianapervolta 311
Cèlio agli Scalzi … Andatelo a vedere.
Beh … Ve lo racconto dai … Quand’ero piccoletto di pochi anni, e vivevo nella mia amabilissima isoletta di Burano in fondo alla Laguna, stavo parecchio con le Suore di Maria Bambina. Per dirla in breve, siccome la mia Mamma doveva accudire all’Ospedale di Venezia il mio fratellino molto ammalato, che poi non ci fu più, ogni mattina all’alba mi portava al Convento delle Suore, che si prendevano cura di me fino a quando Mamma tornava a casa a sera a raccattarmi ... Se tornava poi ?
Non ve lo nascondo, da bimbo ero un po’ esplosivo: “un terremoto” dicevano gli altri di me ... Ero vispissimo insomma: facevo diventar matte tutte le Suore, me ne inventavo e ne combinavo di continuo di tutti i colori … Scomparivo, le facevo preoccupare ... Ma povere donne: erano per me come tante Mamme messe insieme. E lo sono state per davvero per tantissimi motivi … E penso anche, che molte di loro si siano tanto affezionate a me in quegli anni, visto che sono rimasto a scorrazzare nel loro Convento per parecchio tempo … Bei ricordi: indimenticabili … per me, e per loro credo.
Insomma … Qualche volta per ridurre la tensione quotidiana “di badarmi”, che bene o male impegnava un po’ tutte le Monache del Convento, qualche Suora aveva avuto la bella pensata di portarmi via con se, fuori dall’Isola di Burano, per l’intera giornata … Mamma consenziente ovviamente: si andava con la Suora, o con un minuscolo gruppo di poche Suore fino a Venezia.
Sinceramente: non vedevo l’ora che capitassero quei momenti. Per me andare in gita a Venezia era una goduria, un’avventura, una cosa bellissima: più che un gioco piacevolissimo ... Anche se si andava in giro un po’ “alla Suoresca”, non importava: mai un caffè, un bicchiere d’acqua, una merendina, una pastina, un qualcosa … Niente di niente: sempre a bocca asciutta … Con le Suore era sempre così: “tutto mortificazione e fioretti” … Era vero: avevano per davvero sempre le tasche del tutto vuote ... e poi erano Suore: se ne vedeva forse qualcuna dentro a qualche Pasticceria o Bar ? … Nix del tutto: non era conveniente per loro ... Perfino la pipì se la portavano dietro fino al Convento … Vita e modi da Suore insomma, ma immaginatevi la fame che avevo. Non vedevo l’ora di mettere piede in qualche cucina delle Suore, dove mi rifacevo ampiamente … Va beh …
Le Suore avevano inteso bene come “funzionavo”, perciò appena una di loro per un motivo o per l’altro doveva portarsi dalla Madre Provinciale che stava nella Casa Madre di San Gioachin a Venezia (di fronte alla Stazione, al di là del Canal Grande, parte integrante dell’ex Scuola Capitanio … Da qualche anno l’hanno chiusa.), s’affrettavano ad aggregarmi in fretta e furia a lei … Per quel giorno le Monache avrebbero “respirato”: si sarebbero godute una pausa dalle mie scorribande e fantasiose iniziative che le coinvolgevano di continuo: “Com’è andata oggi ?” chiedeva la Mamma alle Suore a sera quando veniva “a ritirarmi”.
“Come vuole che vada Rina ? … Va tutto ben, ma el xè un terremoto … Nol sta mai fermo e chieto un attimo … ma el xè un gran ruffiàn … El se fa benvoler da tutte le Suore.”
“Nol ve da massa diturbo ?”
“Ma no … Cara … Sta tranquilla: va pur a Venezia a seguir el to putin … A Stefanin ghe pensèmo noàtre: sta pacifica … Intanto el sta qua: el vede, l’impara, el xè al sicuro … Ghe dèmo un bocòn, e ghe stèmo drio … Sta tranquilla.”
“Non so come contraccambiarve.” ripeteva sempre la Mamma alle Suore nelle sue poche parole, e allungava loro qualche volta un cartoccetto che conteneva un pacchetto di zucchero e di caffè: “Portè pazienza co Stefanin: Dio ve ne darà merito ... So ben ch’el xè vispo … Ch’el gha el vèrmo solitario dentro ... Nol sta mai fermo: lo so … El gha come ‘na rabbia in corpo … Ma el xè bon.”
“Si … Xè vero … Dai … Ghe pensa a Provvidenza … Prima o poi tutto questo passarà ... Dimme un’Ave Maria, e sèmo a posto.”
Certi dialoghi mi sono rimasti incisi dentro alla mente per sempre, non me li invento adesso tanto per scrivere ... Mi sembrano ieri quei momenti con Mamma e le Suore … anche se sono ormai di sessant’anni fa.
Insomma: ogni tanto mi recavo a Venezia in compagnia di Suor Giuliana, o Suor Vincenza, o Suor Pasquina, o Suor Assuntina, o Suor Alessandrina, o Suor Teodorica o di chi toccava … Con qualcuna, com’è ovvio, ero in maggior confidenza, con altre un po’ meno … Ma tutte erano per me “una grande cosa”.
Una volta delle tante, mi sembra insieme a Suor Giuliana, siccome giunti a Venezia, eravamo largamente in anticipo sull’appuntamento che aveva con la Madre Provinciale, pensò bene d’infilarsi per riempire il Tempo dentro alla chiesa degli Scalzi al di là del Canal Grande: “Andèmo a dir do orasiòn … a vedere se ghe xè un Messa, o una Funziòn” ... Ero là: con lei … Letteralmente attaccato alla sua gonna da Suora ... Avrò avuto quattro o cinque anni: non di più ... Più quattro che cinque.
Entrati nel chiesone bellissimo e ombroso, occupammo una panca circa a metà in mezzo a sparuta gente ... Ci doveva essere in corso una Funzione, un “qualcosa”: questo non lo ricordo bene. Inizialmente me ne rimasi appiccicato alla Suora, almeno per un po’, provando ad ascoltarla mentre come il solito riusciva a calamitarmi con i suoi sempre curiosi discorsi … Le gambe mi mulinavano sotto alla panca, mi dicevano che presto sarei dovuto saltabeccare fuori in giro per il chiesone: “No ti sta mai fermo un attimo.” mi ripeteva sempre la Mamma infastidita e rassegnata insieme per quella mia “dote” poco gradevole: “Ti gha da aver el samòro in corpo” … e forse era davvero così.
“Neno: fa pianin … Sta un po’ chèto visìn de mi.” esordì la Suora: “Sai: in questa chiesa riposano alcuni degli antichi Dogi di Venezia ... Fa piano quindi … Vedi di non svegliarli dal Sonno Eterno con tutto il rumore che sai fare di solito.”
“I Dogi di Venezia ?”
“Si.”
“Ma quelli con cappello tondo schiacciato ? … e col vestito tutto d’oro ?”
“Già … Proprio loro ... Però prima questo posto non era una chiesa: era un Ospissio per quelli che andavano Pellegrini in Terrasanta … e alle Crociate.”
“Come i soldati di Re Artù, Ivanhoe e i Cavalieri della Tavola Rotonda ?”
“Beh … Pressappoco … O: no … Non proprio così.”
Effettivamente nella chiesa di Santa Maria di Nazareth degli Scalzi, cioè dei FratiCarmelitani Scalzi: i “Padri Descalceatos” di Venezia (il chiesone che sorge a destra della Stazione dei Treni guardandola, per intenderci) sono sepolti sia il Doge Carlo Ruzzini diventato tale nel 1732, che il Doge Ludovico Manin: il centoventesimo eultimo Doge dei Veneziani, sepolto nell’arca della Cappella della Sacra Famiglia, che apparteneva alla Famiglia Manin, di provenienza Friulana, entrata poi a far parte a pieno titolo della Nobiltà Veneziana.
“Dicono che fosse un uomo buono e generoso l’ultimo Doge ... Raccontano, che da quando era stato cacciato via da Doge e privato di tutto, se n’era rimasto buono buono … e un po’ avvilito, in disparte … Lo vedevano sempre passeggiare da solo in fondo sulle Fondamente Nove verso l’Arsenale, accompagnato dall’ultimo domestico che gli era rimasto … Quando passava a volte lo riconoscevano: c’era chi lo prendeva in giro e lo insultava perché dicevano che era stato vile ad arrendersi ai Francesi, e chi, invece lo rispettava e si toglieva il cappello al suo passaggio … La maggior parte delle volte però, i Veneziani poveri lo inseguivano per chiedergli l’elemosina … e lui, che un tempo era stato davvero ricco, ricchissimo, non mancava mai di dare qualche spicciolo a ciascuno.”
Mi era diventato simpatico quell’ultimo Doge Morto sepolto lì agli Scalzi … Mi faceva tenerezza pensare quell’uomo decaduto, e insieme m’incuriosivano sempre di più le vicende di quella Venezia dei Dogi ormai passata, ma così ricca di storie e contenuti … Una curiosità che ancora mi porto dentro oggi dopo quasi sessant’anni ... Passai però ad osservare incuriosito un’altra cosa … Sapete come sono i bimbi: “I xè stufaissi”diceva la mia Mamma: “I se stanca presto de qualsiasi cosa … Dopo quindese minuti al massimo: via ! ... No i te scòlta più ... Anca el zogàttolo (giocattolo)più bèo: i lo làssa là.”… e aveva ragione.
Stavolta aveva attratto la mia curiosità la plastica visione della scultura di “Santa Teresa in estasi”scolpita dall’Olandese Enrico Meyring italianizzato in Enrico Merengo. Una gran bella opera esteticamente emozionale, con la Santa sollevata leggiadra in volo in mezzo a mille nuvole barocche, e trafitta da una Frecciabrandita quasi con violenza delicata dall'Angelo ... Un’immagine definita: “da Misticismo assoluto” ... che attirò la mia attenzione: “Povero vecchio Doge ... Ma perché a quella donna là sull’altare le tirano una freccia ? … Per ucciderla ?”
“Ma no ! … E’ la freccia dell’Amore che colpisce il profondo del cuore degli Uomini e delle Donne … Scoprirai che l’Amore nella Vita vien e va, e qualche volta xè davvero travolgente fin da far mal … L’Amore a volte arriva quasi a ucciderti caro Stefanin …”
Non capivo molto che cosa intendeva dirmi la Suora: “Ma le faceva molto male quella freccia lì ?”
“In un certo senso: si … Capirai meglio quando sarai grande che cosa significa ... Di sicuro: è vero che l’Amore può travolgere e distruggere del tutto una persona … Ne so qualcosa.”
Boh ? … Chi la capiva ? Anzi: a volte proprio non intendevo dove le Suore volessero portarmi con i loro discorsi … Per carità: avevo pochi anni … Allora le lasciavo dire lasciando che le loro parole mi scivolassero addosso … Le Suore mi ripetevano spesso: “Cèo ascolta … Che te fa ben … Se non ti capissi: ti capirà.”… e mi raccontavano di tutto, mentre io partivo per la tangente fantasticando per i fatti miei … Ma qualcosa mi è rimasto dentro lo stesso del tanto che mi dicevano. Anzi: più che qualcosa.
“E quello chi è ?” chiesi ancora alla Suora.
“E’ un amico della Santa Teresa con la freccia … Uno che spia.”
“Che spia ? … Ma spia chi ?”
“Tutti ... anche noi adesso … Stai quindi buono e attento ... Stai qua vicino a me.”
“Ma chi è ?”sibilai sottovoce quasi per non attirare l’attenzione di quel personaggio che vedevo in fondo alla chiesa: giusto fra i tortiglioni di marmo rosso dell’Altare Maggiore.
“Quello è Celio: uno dei Nonsoli di questa chiesa.”
“Celio ?”
“Si … Lavorava qui come Frate Sacrestano … e qui dentro ha fatto diverse cose brutte … sacrileghe.”
“Sacrileghe ? … che sarebbe ?”
“Sarebbe che: rubava il vino della Messa, e poi si ubriacava … e si prendeva anche le Ostie in Sacrestia … Ma non solo quelle … Si prendeva anche le elemosine della chiesa, i frutti dell’Orto dei Frati, e la Melissa del Convento … e poi a volte allungava le mani anche sulle donne che trovava in chiesa … Andava ad ascoltare di nascosto quel che si diceva nei Confessionali, e rispondeva in malomodo agli altri Frati se lo riprendevano … Poi ogni tanto, quando era proprio di malumore, o preso e avvinazzato del tutto: dava di matto, e compariva urlando da qualche angolo della chiesa, oppure saliva lassù in alto: dentro a quel Pulpito issato sul muro, e nel ben mezzo di qualche Messa o Funzione Solenne si metteva a gridare e gesticolare, e diceva di tutto contro i Carmelitani di Venezia, contro i Nobili, e a volte anche contro Dio, e le Donne sedute in chiesa … Svelava anche certe cose nascoste di qualcuna, che nessuna sapeva, e che lui origliava passando accanto ai confessionali in chiesa … C’era gente che faceva figuracce, ed altri che si scandalizzavano non poco … Di qualcuno e qualcuna poi tutti finivano col ridere e prenderli in giro per quel che avevano fatto … Altri e altre perdevano inesorabilmente la reputazione e la faccia … Un’amante svelato in chiesa fece andare su tutte le furie un marito che picchiò la moglie davanti a tutti … Qualche volta dovevano accorrere i Carmelitani per contenere Celio, e chiudergli quella boccaccia troppo spudorata e volgare … Dice la Storia ancora, che il Destino volle punire Celio per tutte le cose che aveva fatto … Doveva assolutamente calmarsi … E allora venne pietrificato e imprigionato dentro a una statua … Che è quella che vedi lì sull’Altar Grando … E quindi: adesso è ancora là … che ogni tanto si muove, e vaga ovunque per ogni angolo della chiesa … e anche dentro al Convento dei Carmelitani ... ma non esce mai per strada in giro per Venezia.”
“Meno male …”
Ero letteralmente inchiodato sulla panca ad ascoltare la Suora che raccontava … Per un po’ le gambe non mulinavano più di sotto, e il mio sguardo rimase fisso sulla statua di Celio pietrificato: “Mamma mia !” mormorai soltanto chinando un poco il capo: “Povero Celio ... e poveri anche gli altri.”
“E poveri anche noi … Se non stiamo qui buoni e chèti (quieti) un poco.” mormorò la Suora: “Se ci comportiamo male faremo la fine di Celio ... Verrà qui a prenderci.”
“Mmm …”
Se andrete agli Scalzi, potrete ammirare tutt’oggi un macchinoso e ricco Altar Maggiore “a baldacchino” sorretto da colonne tortili di marmo africano, alto fin quasi a toccare il soffitto ... E’ stato costruito su disegno dell’architetto G. B. Viviani, a cui in seguito Frà G. Pozzo aggiunse altre fantasie decorative secondo l’estro frenetico e quasi delirante del gusto Barocco del 1600.
Tornando a me … Sapete poi come sono i bimbi: sembra sempre che le cose che racconti loro non li interessino, che entrino da un orecchio e poi escano dall’altro … Qualcosa rimane però … come incastrata strada facendo, passando dentro alle loro testoline.
In ogni caso, dopo un po’, mi stancai d’ascoltare ancora la Suora ... Avevo voglia di muovermi e giocare in qualche modo.
La Suora, pazientissima e furbetta, provò di nuovo a catturarmi: “Sai Stefanin … Qui durante la Guerra Mondiale sono cadute le bombe … ed è caduto tutto quel bel soffitto in alto.”
“Anche il Nonno ha fatto la guerra.”
“Si … Anch’io l’ho vista: brutta roba.”
“Ma le butteranno ancora le bombe qui ?”
“No… Speriamo proprio di no: sono Storie vecchie … trapassate ormai, che non succederanno più.”
“Speriamo … Che non rompano tutto di nuovo.”
Comunque: niente da fare … Tempo scaduto: l’avevo ascoltata anche troppo … E allora: “Uno … terra, due … terra, tre … terra”andai a saltare su e giù dai gradini e fin sul pavimento delle cappelle laterali del chiesone … In qualche modo dovevo ingannare il tempo a modo mio … Sempre più difficile: “Quattro … terra, cinque … No: questo è difficilissimo, meglio non rischiare ... Quattro: giù … terra, tre: giù … terra …” e via così. Era divertente, e intanto il tempo passava … Chissà ? Dopo un po’ sarebbe terminata anche quell’ennesima Funzione, così come la chiamava la Suora, e forse, come il solito saremmo usciti in giro per Venezia. E chissà quali altre belle cose curiose la Suora mi avrebbe portato a vedere … Quali storie mi avrebbe raccontato … Era sempre così con lei: mi piaceva un sacco seguirla e andare ovunque mi portava ... L’ultima volta mi aveva portato a vedere “la casa a piramide del Canova” dentro al chiesone dei Frari: curiosissima come casa ... anche se poco distante c’era un pauroso “catafalco nero da Morto” che mi fece parecchia impressione.
Davanti a me stava ancora continuando quel borbottio di gente interminabile: sempre uguale e indistinto, di una noia più che mortale. Ma che avevano da dirsi e ripetersi di sempre uguale fra loro, e da dire anche al Buon Dio ? Boh ? … Quello proprio non lo capivo.
Dovevo comunque pazientare: era la Suora che comandava, e che sapeva che cosa fare, dove andare e che dire … Su questo non ci pioveva: dipendevo da lei.
Quindi ripresi ancora:“Uno … terra, due … terra, tre … terra.”… e via cosi. Avrò ripetuto il gesto almeno cento volte, e forse di più, con la Suora che arrossiva e mi guardava male di sghimbescio facendomi occhi, smorfie e brutte facce, fingendo minacciosamente di morsicarsi la mano ... e richiamandomi di continuo accanto a lei.
Chi l’ascoltava ? … Io no di certo … C’erano troppe cose in giro di cui interessarmi.
M’incuriosivano piuttosto i due grandi candelabri in vetro azzurro che stavano in una cappella laterale, e andavo e riandavo cento, mille volte a rivederli. La stessa Suora in un’altra occasione mi aveva detto: “Quelli sono preziosissimi … Sono stati portati qui a Venezia dall’Oriente … Sono un regalo che il Gengis Chan dei Tartari e dei Mongoli ha fatto al Doge dei Veneziani.”
Mi credete ? Ogni volta che torno ad entrare agli Scalzi ancora oggi: torno a guardarli.
“Ma Gengis Chan quello di Marco Polo ?”
“Si … Proprio lui … Li ha portati a Venezia su una nave grandissima piena di merci preziose di tutti i tipi … E il Doge allora, visto che non sapeva più dove mettere tutta quella roba, li ha mandati qui dai Frati Scalzi.”
Quei candelabri preziosi rilucevano un sacco nella penombra della chiesa: emettevano riflessi strani che mi sorprendevano: “Che bei regali che ha fatto Gengis Chan a Venezia.” Mormoravo fra me e me.
Poi, improvvisamente, dalla penombra illuminata delle vetrinette dei passaggi tra gli altari laterali della chiesa, un giorno spuntò fuori … Sapete chi ?
Mamma mia: Celio in persona ! … Che spavento ! … In realtà era semplicemente uno dei Frati Carmelitaniche in qualche modo mi richiamava la fisionomia e la postura della statua sull’altare.
“Celio è vivo e vegeto !”, pensai:“E’ qua ! … S’è mosso !”…. Immaginatevi nella mia mente di bimbo lo sconvolgimento nel pensare che quell’uomo pietrificato della leggenda si fosse mosso, e adesso si trovasse in carne ed ossa davanti a me per qualche misterioso motivo e magia ... Era così: era proprio là davanti a me … E mi stava per di più venendo incontro.
Sono trascorsi sessant’anni da quel fatto, ma provo ancora adesso l’angoscia di quel momento.
C’era insomma quel fratone in saio marrone scuro uguale a quello pietrificato dell’altare … Ma c’era poi anche sull’altare ? Era un fantasma quello che stava venendo verso di me ?
Un tuffo al cuore: un battito cardiaco in meno … un senso pressante d’ansia incontenibile ... Paura forse … Anzi: si.
Scappai via spaventato in direzione opposta, diretto sparato verso la Suora mio sicuro rifugio: “Suora ! Suora ! … C’è Celio ! C’è Celio !”
La sparuta folla dei devoti occasionali e abituè presenti in chiesa, malsopportava quel che stavo facendo … Ma che volete: ero solo un bimbo piccolo e vispo … Quindi fingevano non curanza, e mi lasciavano fare ... Vedevano poi che pendolavo ogni tanto accanto alla Suora … Quindi …
La Suora, infatti, sottovoce ogni tanto pigolava verso di me: “Psss ! Vien qua ! … Sta un po’ chèto (quieto)… Che ti te farà mal.”
La comparsa di Celio mi aveva terrorizzato ! Com’era possibile che il Frate Pietrificato fosse spuntato da là ? Ero davvero sgomento: con cuore in gola.
Nel tentativo di guardare se Celio era ancora pietrificato sull’altare, non guardai dove stavo andando … e: patatrak ! Capitombolai, inciampai, imballai e investii una serie di sedie che erano giustapposte alle antiche panche della chiesa, sulle quali andai finalmente ad atterrare sbattendo con forza la testa. Per giorni e giorni mi portai dietro un grosso bernoccolo scuro in fronte, che fece preoccupare non poco mia madre, che però non mancò di “ripassarmi con un bel scappellotto e sculaccione” quando tornai a casa conciato così: “Te dàgo a zònta adesso … Ti gha el verme solitario … No ti sta mai fermo … Vàrda che figura che ti me fa far co e Suore … Ti metti tutto el mondo in confusione par niente.”
E patatin e patatòn … me la suonate … “bonariamente, a scopo educativo s’intende”.
In effetti quel mattino in chiesa degli Scalzi feci un gran bel casino cadendo rovinosamente … Andò del tutto in frantumi anche l’atmosfera mistica e silenziosa solita della chiesa, che profumava sempre d’incenso ... Un po’ nebbiosa e soffocante a dir la verità … Tutte le persone presenti accorsero prontamente a soccorrermi, anche perché la Suora esternò un micidiale urlo da sirena di nave vedendomi capitombolare e cadere malamente fra panche e sedie.
Terrore allo stato puro ! Era il fantasma redivivo dell’antico Sacrestano degli Scalzi ! … Ma non era morto ? Era scappato, invece, fuori dalla pietra dove stava imprigionato !
Tremavo per lo spavento, non tanto per il parapiglia e il dolore della caduta … Mi faceva paura Celio… che mostrandomi una fila di denti giallissimi e un po’ marci, venne accanto a me per assicurarsi sul mio stato di salute. Ricordo ancora la sua mano candida e pelosa come il braccio … “da morto”… che usciva dalla manica della tonaca marrone scuro. Ricordo anche la frullata vigorosa che diede ai miei capelli allora fulvi e riccioluti: “Non xe successo niente caro … Va tutto ben cèo ?” borbottò con voce aliata e tono dolciastro.
Se non sono morto di paura quella volta, non mi succederà mai più.
Annui incapace di “proferir vèrba”… Insolitamente “chètato” rimasi appiccicato stretto alla Suora, che un po’ se la rideva visto l’accaduto che aveva quasi profetizzato: “Bisogna che ti te spàcchi a testa par star un fià bon?” quasi ghignò la Suora stringendomi a se con un sorriso similmalizioso e di rivalsa:“Hai visto ? Se rimanevi qui buono accanto a me, non ti sarebbe successo niente … E, invece: adesso ti gha un bel patatòn in fronte … Ti sentirà to mamma stassera ! A tirararà so tutti i Santi del Paradiso … e a ragiòn.”
Celio dall’alito pestilenziale e dalla bocca che si umettava di continuo con una lingua bagnosa, mi regalò un santino colorato che trasse fuori da una tasca nascosta in un piega della tonaca dal collo fin troppo largo. Portava un possente rosario appeso ai fianchi, che gli tintinnò sonoramente a lungo strusciandogli sulla gamba quando si allontanò da noi ... Sembrava quasi il rumore di un rettile che strisciava viscido nell’erba … Da brividi ... Era forse il fantasma rettile del Vecchio Celio ?
A sera provai a raccontare per filo e per segno alla mamma di Celio.
Lei mi guardò fra l’interrogativo e il perplesso: “Ma Celio chi ? Quello della bottega de i vestiti a Venezia?”
Non capiva … Come avrebbe potuto sapere della storia di Celio degli Scalzi ?
Solo tanti anni dopo focalizzai che la Suora mi aveva preso in giro per bene e a lungo. Non esisteva nessun Celio, né tantomeno era esistito un Sacrestano pazzo che si nascondeva dentro ai tortiglioni di marmo dell’Altare Maggiore, o usciva a gridare abbarbicato sul Pulpito della chiesa. C’era solo quella bella statua fra le altre statue che ornavano artisticamente il Presbiterio degli Scalzi.
Quante volte sono tornato e ritornato a rivedere quello che consideravo nel suo insieme uno spettacolo davvero singolare, che sapeva suggermi sempre “qualcosa di particolare”... Quante cose ho pensato lì dentro.
Ovviamente: non c’era nulla di cui aver paura … Nessun fantasma di pietra che vagava in giro per la chiesa.
Cosa strana … A volte c’era la statua di “Celio”, e a volte no … Era forse in restauro ? Non ho mai capito bene le vicende di quella insolita statua, “che c’è e non c’è”, e che più che “Celio pietrificato" rappresenta ... forse: San Giovanni della Croce, il grande Mistico dei Carmelitani, “fondamento e colonna” della Riforma e dell’interiorità spirituale e poetica dello stesso Ordine.
Vi dico anche questo: la Mistica Carmelitana mi affascinato non poco in un certo periodo della mia vita: San Giovanni della Croce, Santa Teresina di Lisieux … “La Nottedell’Anima” … Sono stati contenuti che mi hanno preso e incuriosito non poco ... Altri tempi.
Incastrata e adesa dentro a tutto questo, mi è rimasta comunque anche l’insolita “storia di Celio”, che finalmente vi ho detto.
Termino buttando un po’ là un paio di note storiche secondo me curiose sugli Scalzi.
E’ stato tardivo l’arrivo e la presenza dei Frati Carmelitani a Venezia: nell'anno 1633 circa … Prima sullo stesso sito occupato ancora oggi dagli Scalzi, sorgeva “fin da antico”un Ospizio per Pellegrini in transito da e per la TerraSanta, Roma, Assisi, Loreto e San Michele: l’Angelo del Gargano, o verso quello della Chiusa di San Michele in Val di Susain Piemonte, e Mont Saint-Michele in Francia, e molto altro:“La prima origine in Venezia di questa Religiosa Famiglia risale, dogando Francesco Erizzo ed essendo Patriarca Federico Corner … Fu in quell' anno che recatosi in Venezia per predicarvi la Quaresima, il Padre Agatangelo di Gesù Maria Definitor Generale, rampollo della nobilissima famiglia Spinola di Genova, ed essendosi cattivato l' affetto comune per la sua santa vita e per lo zelo mostrato nella salute delle Anime, fu incoraggiato a chieder dal Veneto Senato la facoltà di istituire un Ospizio di Carmelitani Scalzi nella Dominante; ciò che gli fu concesso con generale soddisfazione addì 6 Maggio 1633 … Alcun'altro nota e fa risalire la prima domanda per la fondazione dell'Ospizio all'anno 1620; e ne attribuisce l'iniziativa al Padre F. Angelo di Gesù Maria della Provincia Lombarda, nato Marchese di Soncino, cui doleva che in tutto lo Stato Veneto non si annoverasse alcun Convento della Congregazione ... tosto quei Padri conciliaronsi grande benevolenza nella città … in un Registro di Messe dall' Hospitio nostro di Santa Teresa di Venetia: notate parecchie elemosine fatte allora ai Padri, e come abitassero allora l'Ospizio il Padre Fedele dell'Ascensione, il Padre Felice di San Girolamo e il Padre Gio. Damasceno, le cui firme autentiche si veggono ... Nel momento della visita del Generale, l'Ospizio non più a San Canciano, ma era situato a Sant’Angelo alla Giudecca; tal mutamento, voluto per la ristrettezza della prima casa, dal disagio di doverne uscir ogni mattina per celebrare, e per la frequenza sempre maggiore di quelli che ricorrevano ai Padri per consigli spirituali, successe il 12 Maggio 1635 … Fallito l'acquisto dell'Abbazia di San Gregorio, che rimaneva, ai Padri se non che ricercare altro luogo adatto al Convento ? … Narra il Padre Paolo come un Fratello laico, che accompagnava il Padre Confessore delle Monache di Santa Lucia, passeggiando per quei contorni finchè il suo compagno era occupato, fermasse lo sguardo sopra alcune case, con lungo tratto di attiguo terreno, le quali sorgevano accanto al Monastero; giudicando quel sito all' uopo opportunissimo. Fatto è che dopo non poche obbiezioni ed incertezze, anche i Padri furono del parere del povero Laico; e fu stipulato il contratto di compra col NobilHomo Vincenzo Venier proprietario di quelle case e di quel terreno; prendendosene il possesso nel successivo dicembre, sebbene dopo vive opposizioni da parte delle Monache di Santa Lucia ... Le case Venier prospicienti il Canal Grande si cominciarono tosto a demolire per dar mano alla Fabbrica del Convento … I Padri nel frattempo rimasero nell'Abbazia di San Gregorio e seguendo il Padre Paolo dovrebbesi dire che non si trasferissero in Santa Maria in Nazareth che nel 1653, quando cioè il Convento fu abitabile ... Al nuovo Ospizio ridotto a piccolo Convento, con celle, officine ed Oratorio interno, era annesso un giardino, così che a que' Religiosi sembrò di essere passati dal carcere alla primiera libertà.”
Scriveva infine Pietro Gradenigo nei suoi “Notatori” a fine gennaio 1773: “In un amplo cortile di una abitazione contigua alla chiesa e chiostro dei Frati Carmelitani Scalzi in Canalregio, oggi dopo pranzo, a condiscendenza e divertimento delli tre giovanetti nobili fratelli Giovanni, Andrea e Leonardo Emo, figli del Senatore Ser Zorzi, e nipoti di Ser Leonardo, attuale Capo del Consiglio dei Dieci, e di due altri Senatori Ser Piero e Z. Alvise furono di Zuanne, fu privatamente eseguita una Caccia di due tori sciolti e arditi, li quali, uno per volta assaliti da valenti cani, diedero molto piacere alli Patrizj, e altre civili persone, che alli pergolati, e finestre de quella casa si compiacquero di tale spettacolo.”
Venezia è sempre Venezia …