#unacuriositàvenezianapervolta 312
Il Confinio di San Paterniàn … proprio quello.
Di recente mi sono ingarbugliato credendo d’aver riconosciuto in certe foto l’antico soffitto della demolita chiesa Veneziana di San Paterniàn. Si trattava, invece, del soffitto del Palazzo dei Nobili Pisani di San Paterniàn, che vivevano giusto appena giù dal ponte, quasi in faccia all’antica chiesa. Non esiste, infatti, alcun accenno a un soffitto del Tintoretto nel resoconto dellavisita di Antonio Maria Zanetti a San Paterniàn nel 1733.
San Paterniàn è stata un altro di quei bijoux Veneziani di un tempo: un piccolo scrigno d’opere d’Arte giusto nel cuore della Città Lagunare: “Nella nave alla destra vi è il soffitto con sette comparti di pitture del Vecchio Testamento; la prima, e l’ultima sono del Palma, le altre cinque sono di Alvise dal Friso. Nella parete sotto il detto soffitto vi è un quadro con Cristo Risorgente, e un altro con Cristo in Croce sopra la porta, e sono d’Antonio Aliense. Un altro dopo questo è Cristo mostrato al popolo di Baldissera d’Anna. E un altro con un sacerdote pure di Baldissera. La tavola dell’Altare Maggiore con San Paterniano Vescovo, che risana molti infermi e del Palma. Vi è poi da un lato l’Annunziazione di mano di Antonio Zanchi; Cristo battezzato, opera d’Angelo Trivisani, dall’altro lato Nostra Signora con San Domenico, ed altro Santo di Bartolommeo Litterini. Nella cappella alla sinistra della detta maggiore vi è la palla con i Santi Marco, Patergnano, e Domenico opera bella del Litterini. Sulla parete dalla parte della Sacrestia anzi sopra la porta vi è un quadro col Doge e molta gente, e li ritratti di un Religioso, e dell’autore che è Giuseppe Zanchi. Segue l’altra tavola vicina alla Sacrestia del Palma con un Santo Vescovo i Santi Marco, e Taddeo. Passato l’altare di Sant’Anna vi è un quadro di Antonio Zanchi con Cristo che scaccia i mercanti, col ritratto dell’autore, ed è suo pure quello che segue con Santa Catterina. Il soffitto della Nave maggiore è del Lambranzi, come pure quello della Maggior Capella; ad un altare vicino alla porta piccola vi è un quadro mobile con Sant’Antonio di Padova ed il Puttino opera di D. Ermanno Stroissi … Nella Sacrestia: tavola con alcuni Santi del Litterini. La tavola con lo Sposalizio di Santa Catterina, e Santa Teresa di Francesco Fontebasso ...”
Niente soffitto del Tintoretto quindi, ma che ve ne pare ? … San Paterniàn deve essere stata davvero carina, oltre che ricca di Tradizione e Storia ... Un altro tassello del puzzle unico e singolarissimo della nostra splendida Venezia.
Oggi a Venezia non c’è più la chiesa accanto al pozzo, così come non esiste più il Confinio-Contrada di San Paterniàn. Di San Paterniàn diventato Campo Manin, è rimasto solo un pugnetto di foto sbiadite e buie, e qualche altrettanto sbiadita memoria.
Quella di San Paterniàn era una piccolissima Contrada del Sestiere di San Marco incastrata fra le “più massicce”San Luca, San Beneto e San Fantin, ma era ugualmente importante per la vicinanza strategica che aveva, in quanto sorgeva a pochi passi sia dall’Emporio Realtino che da Piazza San Marco. A cavallo fra Storia e Leggenda, si raccontava che l’antica chiesa era stata innalzata un paio di secoli prima dell’anno 1000 da alcune famiglie Nobili e Mercantili che occupavano la Contrada: i Bancanici, gli Andreardo, i Fabianie i Muazzo.
Come succedeva spesso a Venezia, sulla “pubblica via” della Contrada, c’era una statua-tabernacolo-capitello dedicata a San PaterniànProtettore di Fano“importata via mare dalla Marca di Ancona”… un ricordino, cioè era stata rubata … e insieme c’era sulla stessa strada anche un’icona di Sant’Anna: la Madre della Madonna.
A un certo punto, quando la statua di San Paterniàn risultò evidentemente “miracolosa”, i Veneziani di allora col DogePietro Candiano IV in testa, pensarono di valorizzarla collocandoladentro a un chiesuolo di legno. Intorno alla meno fortunata icona di Sant’Anna, invece, si coagulò una Compagnia di Donne Veneziane abituate a intrattenersi devotamente attorno a quell’immagine. Piano piano, come succedeva spesso in Laguna, il gruppetto delle Pie Donninesi trasformò in Schola di Consorelle, che rimase ospitata in San Paterniàn fino all’inizio del 1800. La neonata chiesola-Oratorio con la statua di San Paterniàn, invece, fece carriera perchè ben finanziata e sostenuta con donazioni e immobili dallo stesso Doge. San Paterniàn quindi continuò a “far piovere miracoli” sui Veneziani, mentre in parallelo una parte delle stesse “donnine di Sant’Anna” si staccò dal resto, e andò a farsi Monaca e ridursi in fondo al Sestiere di Castello: dove si diede inizio a quello che fu il rinomato e chiacchieratissimo Monastero Benedettino di Sant’Anna di Castello.
Dopo un po’, come accadeva di frequente a Venezia: tutto prese fuoco perché per un intrico di motivi lo stesso benefattore Doge Candiano IV finì in disgrazia a molti. I Veneziani diedero fuoco a Palazzo Ducale, e trucidarono il Doge col figlioletto andando a seppellire entrambi addirittura fuori Venezia: in Terraferma, nel Monastero di Sant’Ilario di Fusina ... In tutto quel casino, anche San Paterniàn“figliolanza del Doge spazzato via” andò carbonizzata.
La chiesuola però venne ricostruita subito in pietra stavolta, e le si mise accanto l’insolito campanile in stile Esarcale-Ravennate-Bizantino dalla forma pentagonale esterna e circolare interna (il campanile più vechio di Venezia dopo quello di San Marco). Per costruirlo si riciclarono anche “vecchi mattoni con marche Romane, rilievi Bizantini e una Croce in marmo greco ornata a girali”, e fu di certo una trovata singolare innalzare quel campanile a cinque pareti, tanto che ripartì la Leggenda. Si disse e tramandò che la Torreera stata costruita “per grazia recevuta” da otto Mercanti Veneziani scappati dalla schiavitù dei Turchi in Oriente. Salvati per mare da una Galea di Mercato Veneziana, erano tornati sani e salvi nella Patria Lagunare, dove pensarono bene di dedicare a San Paterniàn loro Protettoreun bel campanile ottagonale ... Otto lati: uno per ciascuno di loro ... Per questo si diceva che per secoli era rimasta l’usanza a San Paterniàn di suonare ogni giovedì un’ora prima del tramonto tutte le campane a distesa, terminando con la Campana Granda che batteva otto rintocchi finali intervallati da pause: un colpo a ricordo di ciascuno degli antichi Otto Mercanticostruttori del campanile ... Venezia era Venezia: città dalle mille e una notte ... un’eccezionale favola impastata di Storia vera.
Su un codice si andò a scrivere poi:“Die 26 Martii 1562 suspendit se laqueo in campanile, et periit Sacrista San Paterniani.”, cioè il giovane Sacrestano della chiesa s’era “laqueo”, ossia serrato dentro al campanile, e poi impiccato per via di una cocente delusione amorosa avuta dalla bella Cittadina Costanza Cottoni, che abitava inCampo dell’Erba in Contrada di Santa Sofia a Cannaregio… Ah le donne ! … Brutta storia trista ... ma pur sempre parte intrigante dello speciale scenario Veneziano.
San Paterniàn divenne in seguito Parrocchia affiliata alla vicina Matrice di San Silvestro Papa: giurisdizione del Patriarca di Grado, che risiedeva a Venezia proprio nel Sestiere di San Polo vicino a Rialto ... Si era appena nel 1000, e San Paterniàn già compariva nelle antiche mappe Veneziane ... La nuova struttura in stile Romanico mostrava una facciata essenziale povera di decorazioni, con un Portico davanti dove si collocò ben presto unCristo a sua volta ovviamente:“più che Miracoloso”. Anche quello diede vita a una "Schola del Cristo”, che rimase attiva e presente in chiesa come “Fraterna di Gesù Crocefisso del Portico di San Paternian” fino al 1723.
San Paterniàn divenne poi famosa a Venezia, e non solo in Laguna, soprattutto per la “Sarabanda di Corpi Santi e Preziosissime Reliquie” che conteneva fin dal tempo delle Crociate. Cronache di viaggiatori diversi raccontavano di come i Pellegrinidi passaggio a Venezia si presentavano fin da prima dell’alba sotto al Portico di San Paterniàn per aspettare che si aprisse per vedere e venerare quell’unico “Strepitoso Covo-Deposito di Sacrosantissime Reliquie” che c’era dentro ... Un tesoretto unico, inestimabile per quella Cristianità eternamente di passaggio, itinerante, e spesso un po’ anche vagabondante.
Cronache Veneziane antiche raccontavano, infatti, di: “Un Giovanni Zeno che fra le spoglie dell’imperiale città gli riuscì d’acquistare Tre Spine della Corona del Redentore, e un frammento del cranio del Santo Precursore (Giovanni Battista). Ne fece liberale dono a quella chiesa, commosso ancora dal vedere le Sacre Spine improvvisamente rosseggiare di vivo sangue, prodigio, che molte volte dopo si replicò, massimamente nel giorno del Venerdì Santo ... Si conservano pure in quella stessa chiesa alcune ossa dei Santi Innocenti trucidati in Betlemme, ed un dito del Santo Vescovo titolare, donato dal Pontefice Alessandro III al Doge Sebastiano Ziani. All’altare dedicato al Vescovo e Martire San Liberale è riposta una piccola urna d’alabastro di mezzo piede in circa con alquanti frammenti di ossa, ed un pugno di ceneri, le quali dall’iscrizione si conosce appartenere ai corpi dei Santi Martiri Gordiano, ed Epimaco, le sacre teste dei quali si vedono nello stesso altare decentemente collocate, senza sapersi però né il tempo, né il modo della traslazione. Furono anche da remotissimi, ed ora ignoti tempi trasportate dall’Oriente le ossa di Sette Santi, e rinchiuse nella mensa dell’Altare Maggiore, finché nell’anno 1372, essendosi rovinato l’altare per rifabbricarlo più sontuoso, furono in esso ritrovate queste Sacre Reliquie con sette lamine di piombo incise col nome dei Sette Santi ivi collocati, delle quali cinque sole in ora ne son rimaste. Rinnovato l’altare furono di nuovo in esso deposti i Sacri Pegni, e ad essi fu soprapposta una tavola con le loro immagini dipinte alla greca, delle quali quella di mezzo rappresenta un vescovo ai di cui piedi si legge scritto: San Prospero, le altre sono notate con questi nomi: San Vitaliano, San Vincenzo, Santa Maura, Santa Petronia, Santa Teora, San Ponziano, ed ivi pure si legge espressa questa iscrizione: 1372 addì 25 Ottobrio furono ritrovati questi corpi Santi in questa Chiesa. Riposano ora le Sacre Ossa in un altare confuse, ed in sì diminuita quantità, che di poco superare possono la mole d’un solo corpo umano, disperso il rimanente o per l’incuria, o per la malizia di chi nei tempi passati ne aveva la custodia.”
Che ve ne pare ? … A noi di oggi forse interessa poco il “genere delle SacrosanteReliquie”, ma in quell’epoca la pensavano diversamente: ci andavano matti, e a San Paterniàn, come altrove, era sempre tutto un accorrere di Veneziani e Foresti, che partecipavano entusiasti a un cospicuo numero di Funzioni, Messe, Penitenze e Processioni, elargendo un altrettanto cospicuo numero di Elemosine che vi lascio immaginare. Poco importava se le famose Tre Spine di Nostro Signore, così come le Sante Ceneri di San Gordiano ed Epimaco Martiri, e quelle di San Bonifacio, Santa Colomba, San Domenico con le Sante Ossa dello stesso San Paterniànnon avevano lettere d’autenticità adatte da presentare ... I Preti e i Veneziani di allora dissero e scrissero: “Beh: intanto abbiamo in mano le Sante Spine e le Reliquie … In qualche modo prima o poi riusciremo anche a procurarci la loro autenticazione.”… Si usava così allora anche a Venezia ... ed era tutto un gran Ambaradàn parecchio redditizio per molti.
Sette secoli dopo, nel marzo 1773, Pietro Gradenigo scriveva nei suoi “Notatori”: “Esponendosi annualmente nella Parochiale di San Paterniano, tutti li venerdì di marzo, ma con particolare solennità in questo secondo, Tre Spine fra quelle che formarono la Corona di Gesù Cristo, perciò in oggi essendosi adempita divota Funzione, si vidde anche il seguente sonetto:
“Qual di Spine pungenti un cerchio ingrato. Ha del Verbo Divin le tempia oppresso?
Qual di stelo fatal giunco spietato. Fe’ scempio un dì del sommo Auttore istesso?
Mi si risponda pur sull’adorato Capo come seguì sì grave eccesso?
Se l’effetto non fu del rio peccato. Che in fronte a Lui sì crudo serto ha messo?
Pur troppo è ver già lo confesso anch’io, che tanto ardir in cuor umano crebbe Onde cinse di Spine il Capo a un Dio.
Ma queste Spine poi cangiate n’ebbe In Dardi il Divo Amor, e ferì Voi Alme bennate di Cristiani Eroi.”
Altra epoca … Altra sensibilità molto diversa dalla nostra di oggi … In San Paterniàn c’era perfino un apposito Registro su cui i Preti segnavano entrate e uscite dell’“Amministrazione della Solenne Esposizione nelli Venerdì di marzo delle Sacre Spine".
Mmm … un po’ perplesso rimango, ma va beh … La storia della chiesa-Contrada di San Paterniàn continuò scandita da nuovi distruttivi incendi: 1105 e 1168, durante il quale la chiesa andò nuovamente distrutta insieme a San Gabriele, San Basilio, San Samuele, San Barnaba, San Salvador, San Luca e San Beneto. Si salvarono solo: San Vidal, Sant’Angelo, San Maurizio, Santa Margherita, San Trovaso, San Bartolomeo, San Zulian e San Fantin… Insomma: mezza Venezia andò in fumo.
Nel Confinio-Contrada di San Paterniàn non c’era comunque solo la chiesa. Fin dall’inizio della sua Storia la zona ferveva, quasi febbricitante, di numerose attività economiche e commerciali con molti scambi, tanto lavoro, e molti affari.
Spulciando a caso fra i documenti antichi: nel settembre 1125 a Rialto davanti a Aurius Damianus Cappellanus Ecclesiae Sancti Marci et Notarius Curtis Palatii: Pietro Campulo del Confinio di Santa Maria Assunta testimoniò circa un prestito stipulato fra Bonsignore da Zara del Confinio di San Provolo e Domenico Foscari quondam Vitale del Confinio di San Paterniàn, che in quel momento era intento ad assediare Tiro oltremare ... in Libano.
Nell’aprile 1187, invece, sempre a Rivoalto: Matteo Morosini del Confinio di San Paterniàn e Warnerio Scandolario del Confinio di San Giacomo di Luprio (Orio), attestarono che da oltre 39 anni, Giovanni Da Ponte del Confinio di San Beneto era il legittimo proprietario di una “piscina” in quello stesso Confinio ... Tommaso Viaro del Confinio di San Maurizio poi, stipulò nell’estate del 1200 e sempre a Rialto con Marco Corner del Confinio di San Paterniàn: una “colleganza”sino alla Muda di Pasqua per commerciare fino ad Alessandria d’Egitto con un quarto dell’utile ... Tre anni dopo, lo stesso Marco Corner fece quietanza degli utili a Tommaso Viaro restituendogli anche 67 lire di Denari Veneti che gli aveva prestato l’anno prima per commerciare lungo le sponde dell’Adriatico secondo il permesso ricevuto dal Doge.
E ancora nel 1206, lo stesso Marco Corner di San Paterniàn dispose per un’altra quietanza ancora con Tommaso Viaro ridandogli altre 150 Lire prestategli per commerciare da Venezia ad Alessandria con la nave del Patròn Pietro Cavastario.
A fine 1259 a Rialto: Marchesino Baretarius del Confinio di San Salvador restituì il dovuto a Bartolotta vedova ed esecutrice di Bonvicino Nappario del Confinio di San Zulian… Redissero l’atto alla presenza di Marcus Fino Prete e Notaio di San Paterniàn.
Circa dieci anni dopo a Rialto: Tommaso del Confinio di San Paterniàn fratello del solito Pietro Viaro del Confinio di San Maurizio, fece quietanza a Filippa Badessa di San Maffio di Costanziaco di una somma precedente avuta da Umiltà Badessa dello stesso Monasterio. Nella stessa occasione, ricevette anche 900 Lire in prestito per due anni da Obizzo Speziale del Confinio di San Zulian: per acquistare beni a Bava di Treviso.
Nel tardo autunno 1284, a Rialto: Rinaldo Priore di San Tommaso dei Borgognoni di Torcello, rilasciò ricevuta di 11 Lire davanti a Marcus Notaio Prete-Canonico di San Marco, come affitto di una terra di sua proprietà che aveva locato a Margherito Coppo del Confinio di San Paterniàn.
Due anni dopo, ancora a Rialto: Pietro Obizzo del Confinio di San Paterniàn fece testamento di fronte a Nicolaus Bono Notarius et Prete a San Jacobi de Luprio. Nominò suoi esecutori testamentari i Procuratori di San Marco, Margarito Coppo suo nipote, Palmerino Natali e Raimondino di Albasio ... Si dichiarò inoltre disposto a pagare a Bassano tramite due Frati Predicatori lì residenti, i creditori di Martino di Obizzo abitante in quella stessa città ... Lasciò poi: 400 Lire da dividere fra il Monastero di Santa Maria delle Vergini di Castello e le Congregazioni dei Preti di Rialto, e diverse somme di denaro alle figlie Gianna, Maddalena, Engoldisia ed Elisabetta.
A fine secolo, nel luglio 1292, Maria Vedova di Obizzo del Confinio di San Paterniàn fece testamento a Rialto nominando Esecutori Testamentari ed eredi ... Lasciò Legati in denaro all’Ospedale degli Infermi di Venezia, al Monastero di San Zaccaria dove volle essere sepolta, alle Congregazioni dei Preti di Rialto, al Convento dei Frati Predicatori, a quello dei Frati Minori, al Monastero dei Santi Biagio e Catoldo della Giudecca, e a quello di Santa Maria delle Vergini di Castello ... Altri Legati in denaro li riservò alle figlie Maddalena ed Isabetta, e all’altra figlia Zana Monaca ai Santi Biagio e Catoldo della Giudecca.
Potremmo continuare ancora a lungo a raccontare di queste cose … ma non si può.
Stessa “musica” accadde durante il 1300, quando nel 1344: Zanin Foscarini di Ser Marino da San Paterniàn volle che fossero comprati 50 pelliccioni per i “Remiti de Muràn” a soldi 2 de grossi l’uno: “perché fossero salvadi a un altro inverno o inverni”.
Bellissimo scenario storico … e bella la sensibilità verso quegli austeri Eremiti Muranesi andati persi nel Tempo.
Nel 1379 “al tempo del Doge Andrea Contarini, e degli imprestiti allo Stato per la Guerra contro i Genovesi che presero Chioggia”, quelli della Contrada di San Paterniàn si dimostrarono liberalmente generosi e munifici verso lo Stato Serenissimo offrendo ben 149.100 Lire per la Guerra ... Sono trascorsi secoli: non è cambiato niente … Stiamo ancora finanziando guerre tutt’oggi.
Le Cronache di allora registrarono che in Contrada di San Paterniàn risiedevano: 15 NobilHomeni, una NobilDonna, e 8 “Contribuenti abbienti” ... Fra costoro primeggiarono nel contribuire: Nicolò Dalla Calza che diede 1.500 Lire, Prandi Zoccolèr che ne diede 500, e soprattutto: Andrea Zufo che mise a disposizione 12.000 Lire, e lo stesso Doge Andrea Contarini, originario della Contrada di San Paterniàn, che offrì: 14.000 Lire “del suo”, e contribuì poi come Doge dando altre 20.000 Lire.
Nei secoli seguenti, all’angolo nord-est di Campo San Paterniàn dove c’erano diverse botteghe di Stampatori, abitava il “dottissimo”Aldo Manuzio famoso per le sue “Aldine”e per l’Accademia Aldina che ospitava in casa. Quando morì nel 1515, la sua bara posta in San Paterniàn venne completamente circondata da libri… Forse non fu un caso, se in seguito i napoleonici d’inizio 1800, nel loro strampalato riordino saccheggiatore, trasformarono la chiesa di San Paterniàn in tipografia.
Nel 1437 San Paterniàn prese fuoco per l’ennesima volta, perciò venne risistemata e riedificata ulteriormente rifacendola a tre navate e con ben 7 altari, come ricordava nel 1466: Prè Gasperino Dardo Piovan di San Paterniàn, Procuratore di Filippo Barbarigo Abate Commendatario del Monastero di Santa Maria del Piave di Treviso.
I Preti del Capitolo di San Paterniàn dentro alla chiesa, intendevano di certo d’essere non meno intraprendenti e ambiziosi dei Mercanti della Contrada. Secondo il Sacro Almanacco Veneziano del 1821: “Pantaleone Giustiniani Monaco Benedettino e Piovano di San Paterniàn per 17 anni, passò poi a Santa Maria e Donato di Murano dove lottò contro le insubordinazioni di Piovano e Clero di Santo Stefano di Murano. Andò poi come Piovano a San Polo in Venezia dove su segnalazione del Doge divenne uno dei 4 Riformatori e Correttori del Veneto Statuto. Divenuto Cappellano di Papa Innocenzo IV, assunse infine al titolo di Patriarca di Costantinopoli da dove fuggì con l’Imperatore Baldovino per il tradimento di Michele Paleologo rifugiandosi nell’Isola di Eubea dove mori nel 1286 ... Pietro Talonico, invece, Parroco di San Paterniàn, divenne nel 1321 Vescovo di Jesolo-Equilio, ma si fece seppellire nella Sacrestia di San Paterniàn di cui fu sempre insigne benefattore. Per testamento nel 1343, lasciò tutti i suoi beni da dividersi equamente fra i Poveri della Contrada, la Fabbriceria della chiesa di San Paterniàn, e i Titolati del Capitolo dei Preti notoriamente “riconosciuti per la tenuità delle loro rendite”.
Non è tutto però sui Preti di San Paterniàn, c’è anche dell’altro … E’ curioso vederli emergere come in filigrana dal mare dei documenti che producevano: testimonianza del “tanto” che sapevano mettere in piedi quasi in parallelo alla fervida attività commerciale e sociale che accadeva di fuori in Contrada. Durante tutto il1500, quando nel Confinio di San Paterniàn vivevano fra 770 e 800 persone, di cui la metà accedeva in chiesa alla Comunione, dentro alla chiesa c’erano: 4 Preti Titolati che formavano il Capitolo di San Paterniàn ... C’erano: il Piovano o Primo Preteo ArciPrete, il Diacono Secondo Titolato, il Suddiacono e il Prete Sacrista, che godevano ciascuno di 72 ducati più casa, e degli “incerti di stola”, cioè degli abbondanti proventi derivanti dall’esercizio di Battesimi, Matrimoni, Funerali e simili ... Lo stesso Capitolodei Preti poi, era coadiuvato da 5 Chierici, che percepivano 7 ½ ducati annui a testa.
Il drappello dei Preti di San Paterniànfra 1405 e 1788 s’impegnò non poco nelle solite “cose da Preti”. Celebrava cioè a raffica un mare di: "Mansionarie di Messe annue, quotidiane, spezzate o perpetue”, che venivano finanziate da appositi “assegni e partite da Mansionaria” depositate e rilasciate dalla Zecca di San Marco su indicazioni delle rispettive Comissarie Testamentarie… I Preti incassavano regolarmente dalla Zecca, e celebravano altrettanto puntualmente rilasciando regolare ricevuta:“per le Mansionerie di Cà Bernardo, Cà Contarini, Cà Zerbina” ad esempio … e “per la Mansionaria del quondam Ser Alvise Contarini quondam altro Alvise (1573-1670); per la Mansioneria perpetua di Ser Antonio Contarini quondam Bertuzzi, per i pagamenti della quale i Preti finirono in causa con Cà Manolesso (1506-1649). Incassavano e celebravano poi per la Mansioneria di Cà Morosini celebrata sull'Altare di San Marco a spese della Nobile Famiglia Zorzi “con assegno di stabili pel Mansionario contro Ser Annibale Zolio” (1544-1782); per quella del quondam GioBatta Contarini quondam Pietro Maria (1575-1670); per la quondam Fiorina Ghirol, Pensotto Zeriol, Crescenti detta Benincotto, per la quale si andò in causa e sentenza contro il terzo marito Zuanne Crescenti “per il rilascio de capitali” (1622- 1699); “per il fu Antonio Rovigo e la sua Commissaria, per la quale si andò in causa contro GioBatta Viscardi in quanto era Commissario inadempiente”(1670-1699); “per quella ordinata da Perina Foresti Callai” (1669-1679); “per la quondam (defunta) Petronilla Vacchi Martini” (1750-1758); e “per la quondam Giulia Venerio Rossicci e la sua Commissaria” (1738-1788).
Non male vero ? … Avete letto giusto: certi finanziamenti sono giunti ininterrotti per secoli nelle tasche dei Preti del Capitolo di San Paterniàn.
Anche in questo caso non vi posso citare tutto … Ci sarebbe molto di più da ricordare: gli affari erano affari anche per il Capitolo dei Preti di San Paterniàn… Su apposite robuste Rubricheelencavano e segnavano le entrate-uscite delle varie Mansionarie di Messe: Foresti, Angela Cicogna, Elena Conti, Zuanne Grigis, Angela Cerpelletto, Lucietta Bonicelli, Nicolò Baldi(1700-1719)… così come elencavano e conteggiavano gli introiti e le celebrazioni legate alle varie Comissarie:"del fu Don Cristoforo Rossi“(1639); “della quondam Catterina Gambirasi Zerbina" (1639); "del Reverendo Piovano Don Pietro Filomuso sostenuto ex testamento della Congregazione di Santa Maria Mater Domini"(1613-1734); “dei Nardi, cioè delle varie scritture spettanti alle terre di Pelestrina, et alle cose tanto sopra il Porto quanto sopra il Ponte ossia in Campiello di ragione della Pieve di San Paterniano, per il restauro delle quali furono presi dinari a livello" (1563-1732)… e ancora Commissarie: “di Bernardo e Cappellettone Pievani."(1562-1723); "del quondam Ser Giulio Priuli"(1404-1824); “della Francescina Bagozzi per Testamento per la Mansionaria di due Messe al mese"(1623); "di Biagia dalla Moneda"(1564-1780); "del fu Giuseppe Antonio Lorenzi quondam Eugenio sostenuta dal Piovano indi dal Guardiano della Schola del Santissimo"(1769); "della quondam Orsetta Massa Fantini sostenuta dall'Ospedale degli Incurabili per la Mansionaria ordinata dalla medesima"(1700); "del fu Don Domenico Fiamenghi Pievano per Messe, Anniversari e Cassa Fabbrica"(1771); “del fu Carlo Bollani et fratelli” (1699-1718)... e“della quondam fu Elisabetta Martelli per cui l'acquisto de' beni in Vigo Novo occupato e compreso nel Gran taglio del Brenta"(1600-1735) ... e avanti così.
Sempre e ancora nell’Archivio di San Paterniàn, si tenevano altri appositi Registri e “Libri de Riceveri”, si stilavano gli "Atti Capitolari" che li riguardavano, e si aggiungevano: mappe catastali e planimetrie di terreni, e di case, botteghe e proprietà del Capitolo di San Paternian. Si catalogavano ed elencavano poi assiduamente e meticolosamente: Legati e Livelli affrancabili lasciati alla Chiesa, Donazioni, affittanze, pagamenti di Decime, “Partite e giri di capitali investiti in Zecca nelli vari depositi in dita chiesa”, Campatici, e Sussidi e Presenti dovuti al Capitolo dei Preti di San Paterniàn (1666-1740).
Ulteriori cartelle e registrazioni apposite riguardavano: le "Donazione di beni in Pellestrina fatta l'anno 1170 da Regina Cocco al Piovanato e chiesa di San Paterniano"(1170-1753); "i beni in Campo Nogara dati dal Vescovo Zelonico alla chiesa-Fabbrica e ai poveri"(1343-1736); i “Beni a Vigonovo e San Donà di Piave”; le “Case e Casa Grande di ragione della Pieve di San Paterniàn”(1674-1718); il “Capitale a credito della Commissaria Nardi prese a censo affrancabile” … e l’"Amministrazione dello scosso e speso dal Pievano Sansoni per rinovazione della Sacristia e per riparazioni degli stabili"(1710-1728) ... e molto altro ancora.
Proprio accanto alla chiesa sorgeva la sede del famoso Collegio delle Nove Congregazioni del Clero Veneto ... In casa di Andrea Tronera posta la Scuola degli Zaghi dove insegnava anche uno dei Chierici: il cinquantacinquenne Giuseppe De Lanzonibus: “Gho una man che latina per le figure, un’altra man per i locali, e una per i neutri, e una man de picoli che ghe insegno le concordanze … I pol esser 12 o 13 … Ogni mattina 18 o 20 de loro leggono una lezione del Catechismo e universalmente una Lezio de Cieceron con li suoi esamini ordinariamente dei latini et dela lezion piccola del Catechismo, le quali li faccio imparar a mente …”
Nel 1587 quello stesso Chierico-Insegnantevenne esaminato ancora una volta dall’Inquisizione Veneziana per sospetto d’Eresia, e fu stavolta costretto a compiere Pubblica Professione di Fede ... A Prete Mainarmo di San Paterniàn, invece, venne tolto il Titolo nel 1594 perché risultò che nascostamente era allo stesso tempo anche Piovano di Maser ... Anche allora non si ammetteva il “conflitto d’interessi”.
Nel 1624, giusto negli anni in cui a Venezia infuriava la Peste della Madonna della Salute, in Contrada di San Paterniàn vivevano 837 persone ... e i Preti del Capitolo di San Paterniàn finirono col sbaruffare per più di cinquant’anni con quelli della Congregazione del Clero Urbano di Santa Maria Materdomini… Quale sarà stato il motivo secondo voi ?
Nel settembre 1629 intanto, venne bandito a vita Paolo Emilio Novelli da Ascoli Capitano di Soldati, che sotto al Portico di San Paterniàn, per incarico di Ser Vettor Soranzo, in giugno aveva gravemente ferito con una pistolettata alla testa il povero Piovan di San Paterniàn “da tempo venuto in odio allo stesso Patrizio” ... Il Nobile Soranzo si costituì, e alla fine venne assolto … I Nobili erano i Nobili.
Nel marzo 1634, invece, il Capitolo dei Preti di San Paterniàn deliberò che: “… il danaro ricavato dalla vendita degli abiti et effetti di ragion e persona morta da peste in Contrada di San Paterniàn, sia contato ad Agente del Monastero di Santa Chiara verso il quale si è creditor d’affitti.”
Incredibile ! … I Preti della Contrada vendevano e riciclavano gli oggetti e i vestiti dei Morti di Peste, e con gli introiti pagavano i debiti che aveva incontrato con le Monache di Santa Chiaradella Zirada che li avevano riforniti in epoca di Peste … Nota un po’ da brividi.
Non fu di certo un caso “con tutto quel smanacciàr di soldi”, se i ladri s’intrufolarono più volte di notte in San Paterniàn a caccia di qualcosa di buono da porta via … Per questo il Capitolo dei Preti ricorse e avviò pratiche per sussidi e rimborsi presso il Consiglio dei Dieci e il Tribunale Criminale “per furto sacrilego in chiesa e Sagrestia”… Chiesero sussidi e rimborsi per quasi vent’anni !!!
Venezia aveva anche altro a cui pensare ... Infatti non rispose mai alle suppliche dei Preti di San Paterniàn, né i ladri furono mai identificati, né tantomeno catturati.
Nota più positiva, invece, quella del 1686. Gli stessi Preti di San Paterniàn chiesero e ottennero dal Patriarca di Venezia di poter concorrere alle spese per costruire il selciato sulla Salizzada della chiesa… In Contrada dopo la Peste s’erano riavviate più di 54 botteghe … Ce n’erano 46 nel 1712-29, e poi 60 nel 1740, con un Inviamento da Forno “con casa e bottega”.
Alla Visita del Patriarca Badoer a San Paterniàn nel 1625, risultò che in chiesa c’era sopra l’altare una preziosissima Madonna Vestita con 3 vesti, attorno alla quale ruotava una Compagnia di Donne, cioè la Schola-Suffragio del Santissimo Rosario, che possedeva: mobili, ori e argenti in quantità ... La Contrada di San Paterniàn faceva un gran festone ogni anno la prima domenica di ottobre: Festa del Rosario, e tutti quelli del Confinio si prodigavano e uscivano in Processione portandosi in giro per strade e calli di tutta la Contrada.
In realtà la “Madonna di legno col Bimbo in braccio in chiesa seduta su una carena d’intaglio dorata” non aveva solo tre vestiti: ne indossava tre, ma ne possedeva ben 26: tutti diversi ... Divennero 31 nel 1701 … Più del guardaroba di una NobilDonna Veneziana ben fornita.
E non aveva solo abiti la “Madonna di Legno” in chiesa, ma possedeva anche camicie intime, e soprattutto un lungo elenco di una trentina di gioielli fra veri e falsi con i quali veniva di continuo“addobbata e vestita”: 12 stelle d’argento e Corone per la testa della Madonna, cuori votivi ex voto, collane con numerosi fili e mazzetti di perle e perline, orecchini d’oro a rosetta, smaltati e tempestati di perle, manini e bracciali da polso, anelli di ogni sorta con Rubini, Smeraldi, Turchesi, Brillanti, e pendagli d’oro e d’argento, rame e ottone ... Un vero e proprio tesoro insomma.
Prima d’essere collocata sull’Altare, la Madonna stava su un bancone a lato “dove tutti i devoti e le devote passavano a toccarle un lembo dell’abito o del mantello chiedendole Grazia, e ricevendo Miracoli”, e alimentando una fruttuosa “cassella” per le elemosine.
Gli uomini e i Preti di San Paternian, visto il notevole giro di preziosi e denari che ruotavano attorno alla “Madonna vestita”, non solo si premurarono di gestirlo in prima persona escludendo le donne, ma eliminate le camicie intime della Madonna, crearono un’apposita scala per salire facilmente sopra al Mariano Simulacro per cambiarlo sistematicamente d’abito, e iniziarono a stipendiare una persona perché vestisse adeguatamente la Madonna tutto l’anno.
Nel 1731-36 sul Libro Cassa della Scholadella Madonna del Rosario veniva registrato anche il compenso di 6.4 Lire destinato al Sacrestano Mattia Zuccoli che cambiava d’abito alla Madonna … e visto ancora il successo della Madonna Vestita, si pensò bene non solo di spostarla sull’Altar Maggiore della chiesa, ma anche confezionarne un’altra collocandola su un bancone a lato alla portata di tutti ... Non si costruì la Madonna Vestita Bis, ma lo stesso dal 1747 il Sacrestano venne sussidiato nel suo lavoro da alcuni Chierici aumentandogli il compenso a 10,10 Lire.
Nel 1793 la NobilDonna Chiara Lin Contarinifece l’ennesima donazione di un prezioso abito alla Madonna del Rosario di San Paternian: “una veste di drappo perla con fiori sparsi in argento, e con simile parapetto e cussini” … In quello stesso anno i preziosi abiti della Madonna erano “misteriosamente” diminuiti a dodici in tutto, e con l’arrivo dei Francesi in Città: non solo venne soppressa la Schola del Rosario, ma gli abiti divennero ben presto … sempre misteriosamente … soltanto: sette ... Finchè poi sparì del tutto l’intero guardaroba … Saranno stati ancora gli stessi vecchi ladri sacrileghi del 1600 ? … Non si seppe mai: sparì tutto e basta sotto un velo di gran segreto.
In San Paterniàn comunque non c’era solo la Schola del Rosario delle Donne, ma si ospitavano secondo le migliori tradizioni Veneziane anche altre tipiche Schole Piccole: Confraternite d’Arte, Devozione, Nazionalità e soprattutto di Mestiere sparse un po’ ovunque in Città, e in grado di associare, coordinare, sussidiare e regolare buona parte degli Artieri-Artigiani Veneziani.
In San Paternian, oltre al “Sovvegno posto sotto l’invocazione di Santa Maria delle Grazie" (1696-1736); alla "Schola della Beata Vergine Addolorata dei Sette Dolori e di San Liberal" (1618-1771); alla “Schola dei Santi Cosma e Damiano dell’Arte dei Medici Fisici” trasferitasi presto in Contrada di San Giacomo dell'Orio oltre Canal Grande; alla tardiva"Schola-Compagnia di Sant’Adrian … o Ariàn"(1746-1764); e alla supplicata, e finalmente realizzata “Fraterna de' Poveri di San Paterniàn" (1724-1739), c’era l’immancabile Confraternita del Santissimo, presente in ogni chiesa di Venezia, e riconosciuta a San Paterniàn con apposita delibera del Consiglio dei Dieci nel 1518.
La Congrega del Santissimo di San Paterniàn era sontuosa e partecipatissima dalle persone della Contrada. Verso metà 1500 stipulò una convenzione col solito Capitolo dei Preti di San Paternian“per aver in uso un proprio Altare e le due Arche davanti per seppellire i Confratelli Morti” ... S’impegnò poi a far “Cantar Messa ai Preti” ogni ultima domenica del mese, e questuava in giro per tutta la Contrada per pagar loro anche la celebrazione di un Esequiale annuale nella Settimana dei Morti ... Il Piovano Pietro Filomusi in cambio (1591), destinò 10 ducati annui "per Monacare" una donzella del Sestiere di San Marco, con la clausola che in carenza di vocazioni, quei denari fossero corrisposti per agevolare un Matrimonio … Le ragazze meno agiate della Contrada speravano sempre d’essere fra le poche fortunate prescelte … Il campanilismo di quelli della Contrada, tipico a Venezia, era sempre sfegatato. Se un non iscritto e non legittimo Contradaiolo-Parrocchiano osava intrufolarsi e partecipare al Capitolo della Schola, veniva immediatamente multato di 5 ducati ... Solo all’inizio del 1700, quando divenne esiguo il numero dei Parrocchiani, si cominciò ad accettare ed eleggere anche alle cariche principali della Schola qualche “estraneo non pertinente alla Contrada”… Bastava che pagasse.
Ancora nel 1783, la Banca del Santissimodi San Paterniàn sborsava 50 ducati annui al Pievano di San Paterniàn per “l'apparamento solenne della chiesa”, mentre nel 1785 dichiarava di possedere una “Mariegola” coperta e decorata in argento, e un lungo elenco di quadri che andarono dispersi non si seppe mai come ... Con l’arrivo dei francesi a Venezia, la Schola ovviamente perse tutti i suoi capitali depositati in Zecca, e pur non venendo soppressa, continuò a mantenersi con le elemosine e le tasse versate dai Confratelli ... Solo quando la Parrocchia di San Paterniàn venne concentrata e inglobata con quella di San Fantin, prima d’essere poco dopo incorporata con quella di San Luca: la Schola del Santissimo si sciolse ed estinse.
La chiesa di San Paterniàn ospitò anche un paio di Schole d’Arte e Mestiere molto significative per Venezia: la Schola di Santa Caterina d’Alessandria e di San Marco dei Crivellini, cioè dei Misuradori di Biaveo da Frumento (cereali e legumi in genere), ossia dei Garbeladòri da Biave (1463-1772), e la Schola dei Terassèri di San Floriano sita in San Paterniàn.
I Crivellini Veneziani col loro antico “Capitolare de Stàrios” godevano di grande considerazione nella Città Lagunare, tanto da essere rappresentati sui Capitelli del Portico di Palazzo Ducale. L'Arte radunava i misuratori e i vagliatori di cereali, granaglie e legumi, che li esponevano periodicamente all'aria aperta per liberarli da insetti e umidità. Ai Crivellini iscritti, che non vendevano il prodotto, veniva chiesto di non barare sulle quantità che trattavano, e d’essere garanti sul peso e le misure. Fin dal 1274 la Serenissima con un suo Ufficiale del Frumento e i Proveditori a le Biave presenziava alla pesa del grano nel Fondaco dei Grani di San Marco, ma agiva anche al Mulino delle Bebbe, nell’Isola di San Clemente, e a San Giovanni della Giudecca… Le Biave a Venezia si misuravano in moggio (4 staia), staia (2 mezzeni), mezzeni (2quarte), quarte (4quataroli) e quartaroli ...Tramite l’operato dei Crivellini Venezia controllava e tassava ogni transazione e compravendita, e ogni spedizione di cereali del Mercato Veneziano ... Per “crivello” s’intendeva un grosso setaccio oscillante o rotante, dotato di maglie di varia misura. Si utilizzava per separare grani e semi diversi per poi venderli, immagazzinarli o raffinarli ... Le pale per misurare il grano erano bollate, e si contava anche la percentuale del calo permessa nel radere la pala con la mano ... I Crivellini di professione iscritti erano 25 nel 1463, autorizzati a diventare 30 nel 1467, non potendo superare però quel numero ... Oltre a “ridursi in Capitolo” (riunirsi) in San Paterniàn, i Crivellini celebravano lì i loro funerali, ed erano per obbligo tenuti ad accompagnare i colleghi defunti, a celebrare in San Paterniàn la Festa della Patrona, le loro funzioni religiose durante tutto l'anno, e fino al 1544 anche a consumare in gruppo e in allegria la “Colatiòn de Santa Catarina”: un pranzo comune riservato agli Artieri del Crivello… Dal 1681, il Capitolo dei Misuradori di Biavedecise che i Crivellini dovevano pagare i Preti di San Paterniàn anche per celebrare almeno 32 Messe l’anno per ogni Compagno Morto, almeno metà delle quali dovevano tenersi sull'Altare della Schola dedicato a Santa Caterina.
La Schola dell'Arte de' Terrassèri di San Florian(1587-1773), invece, era stata inizialmente unita all’Arte dei Marsèri fino al 1370. I Terassèri prima del 1400, per dirvi la loro importanza, si radunava nei pressi della chiesa Ducale di San Marco… Poi passarono a San Felice di Cannaregio, e infine a San Paterniàn(poi a San Samuèl dal 1773 unendosi ai Murèri, dai quali poi si distinsero di nuovo) … Gli “Artigiani del Teràsso”, cioè del pavimento alla Veneziana, seguivano una tecnica "vecchia di secoli". Impiegavano un miscuglio di ciottoli e schegge di marmo e pietra cementandoli con latte di calce, olio, che poi lisciavano e levigavano. Francesco Sansovino descrive così i “pavimenti alla Veneziana”: “S’usano per le camere, et per le sale comunemente, i suoli o pavimenti, non di mattoni, ma di una certa materia, che si chiama terrazzo; la qual dura per lungo tempo, et è vaghissima all’occhio et polita.”
La particolare elasticità e leggerezza del prodotto risultante era ottimale per i Palazzi e le case Veneziani solitamente dalla statica non ottimale, ed era una buonissima alternativa alla Terracotta e alla Trachite dei soliti masegni. Fin dal 1100 a Venezia si faceva riferimento a un “Pastòn o Pastellòn da pavimenti”, la cui lavorazione piano piano divenne più sofisticata e complessa tanto da diventare una vera e propria opera d'arte. Utilizzando scarti di marmo di vari colori, il manufatto reagiva lucido alla luce creando atmosfere plastiche magiche, ed effetti strutturali davvero interessanti oltre che utili. I Terrazzi Veneziani quindi ebbero notevole successo, e non solo s’imposero nella nostra traballante Città fra fango, umidità e acque, dove realizzarono opere geniali come per la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale: più di 1300 metri quadri senza nemmeno un giunto; ma si affermarono e lavorarono grandemente fuori città e ovunque recandosi a Padova e Treviso, Vicenza e Verona, quindi in Europa: Germania, Danimarca, Polonia, Romania e Inghilterra,e perfino negli Stati Uniti ... Ancora dopo le due Guerre Mondiali il padre di mio suocero emigrò da Venezia per andare a lavorare i pavimenti: “i teràssi” di Musei e Palazzi del Cairo in Egitto.
I Terassèri di San Paterniàn si radunavano pagando dieci ducati annui ai Preti del Capitolo, in una stanza adiacente alla chiesa "soto il Colegio del Clero" confinante col Rio di San Paterniàn… In maggio festeggiavano il Patrono San Floriano per il quale i Terassèri s’impegnarono a costruire un altare con Pala dedicata in chiesa, e a far celebrare Messa Cantata Solenne prima di portarsi in Processione "attorno per tutta la Contrada"… Nel 1773, quando i Terassèri erano 76 in tutto, distinti in 38 Lavoranti e 38 CapiMastri, utilizzavano Garzoni che a volte erano appena quindicenni suscitando diverse contestazioni e polemiche sia in Città, che dentro all’Arte stessa.
E giungiamo così a raccontare e dire del 1651, quando Venezia Serenissimadopo uno scontro che durò dal 7 al 10 luglio, riportò nelle acque di Pàros: Isola dell’Arcipelago Greco delle Cicladi:una cocente quanto prestigiosa e storica vittoria contro l'Armata Navale dei Turchi. Le due Galee di Tommaso e Lazzaro Mocenigo, rompendo la formazione dello schieramento Veneziano attaccarono alcune Galee Turche che si stavano ancora rifornendo d'acqua a Pàros. Finirono così, senza volerlo, col trovarsi di fronte allo stesso famoso “rinnegato Friulano”: il Capitano Mustafà El Pascià passato agli ordini dei Turchi… Perfino lo stesso Tommaso Mocenigo venne ucciso nello scontro, ma la Flotta Veneziana forte di 28 Vascelli, 6 Galeazze e 24 Galee, finì col vincere quella Turca forte di 53 Galee, 6 Maone e 55 Vascelli ... Una Galeazza di solito imbarcava 500 uomini e 34 cannoni, un Vascello: 450 uomini e 60 cannoni, una semplice Galea: 300 uomini e 7 cannoni.
Per la cronaca: solo 37 dei Vascelli schierati erano armati, il che vuol dire che i Veneziani vinsero i Turchi più che altro a forza d’ingegno, di braccia e abbordaggi: una vittoria doppia insomma ... In realtà: nessuna delle 53 temibili Galee Turche venne catturata o affondata, ma nella battaglia i Turchi persero sedici navi e una Maona, e furono fatte prigioniere diverse altre navi, uccisi molti nemici, raccolti diversi trofei, cannoni e armi: “… e vennero issate le Bandiere di San Marco, mentre Gonfaloni con la Mezzaluna venivano trascinati con dispregio sull’acqua appesi alla poppa delle navi Veneziane vincitore: Quando el Leon alza la còa, tutte le bestie sbàssa la sòa.”
Fatalità … quel giorno si celebrava a Venezia la Festa di San Paterninàn, perciò fu gioco forza che il Doge Francesco Molin col Senato e il Collegio della Serenissima decidessero di recarsi a festeggiare riconoscente a Dio e al Destino, oltre che in San Marco, anche proprio nella chiesa di San Paterniàn. Da quel giorno di decretò: “che i Musici della Ducal Basilica devano portarsi annualmente alla chiesa di esso Santo Peterniàn per cantare una Messa Solenne in ringraziamento dell'ottenuto beneficio.”
La Contrada di San Paterniàn fu sempre zona d’affari, Palazzi, Osterie-Locande, Ospizi e Schole … Fin dal 1396 sorgeva nel Confinio l’antichissimo Ospizio Da Molin(oggi scomparso) realizzato per volontà testamentaria di Lucia Da Molin, che dispose il lascito di una sua casa in Contrada perché fosse trasformata in Ospissio per accogliere non meno di tre donne povere. Seguendo trame ignote, l'immobile passò di mano in mano fra i Nobili Contarini e Michiel, che alla fine lo chiusero decidendo di contribuire i poveri direttamente “breve manu” ... e a modo loro, o forse per niente … C’era poi in Contrada dal 1407 l’Ospizio de La Monedavoluto da Biasia de la Moneda, che lasciò un'ingente somma per offrire ricovero ad almeno quattro donne anziane della Contrada in condizioni di estrema povertà. (Presente ancora nel 1910, venne chiuso e venduto dalla Fabbriceria di San Luca a privati, che ne fecero appartamenti).
La Contrada era sempre piena di vitalità, ne succedeva una dopo l’altra ... Nel febbraio 1751 Antonio Grismondi figlio di Bernardo dall’Oglio in Campo San Moisè, uccise nella sua casa in Calle di Cà Sagredo in Contrada di San Paterniàn: sua moglie, la Fiorentina Maria Fabris ... Anche Francesco Panizzi, Maestro Romano o Napoletano sessantenne, si diede parecchio da fare nello stesso anno e nella stessa Contrada. Da almeno sette anni risiedeva a Venezia, dove viveva prestandosi come insegnante e tutore presso diverse Casade Nobiliari. Era un uomo di carattere, fiero e risoluto, che si vantava spesso d’aver commesso diversi omicidi mai perseguiti. Nonostante l’età era vispotto, e aveva messo in piedi su una storia amorosa con Angela Gagiòla: una prostituta attiva in Calle delle Locande a San Paterniàn. I due litigavano spesso, e lui era stato visto più volte mettere mano alla spada minacciando d’ucciderla ... e la cosa si avverò infatti.
All’una di notte del 12 gennaio, Panizzi e la Gagiòla mascherati erano andati al Ridotto: la donna indossava anche un mantello di color chiaro, guarnito di finiture d’argento. Verso le sette, usciti dal Ridotto si recarono a cenare con un amico all’Osteria del Selvàdego, e da li uscito circa un’ora dopo, Panizzi chiese all’amico d’accompagnare la donna a casa, promettendole di raggiungerla per tenerle compagnia per tutta la notte. Panizziallora si recò a casa del Procuratore di San Marco: il NobilHomo Pietro Marcello per il quale lavorava, e dopo quasi due ore, uscì finalmente dalla casa del Nobile per recarsi come promesso a casa della Gagiòla dove rimase effettivamente fino al mattino seguente ... E qui venne il “bello”, cioè “il brutto” della faccenda.
Nelle prime luci del giorno seguente, Panizzi andò a casa di un certo Allegri, dove era solito dormire, e lì scompigliò ad arte il letto per mostrare che aveva dormito là ... Era palese che stava cercando di deviare eventuali sospetti da se stesso … Uscì poi provando a vendere il mantello di color chiaro con le finiture d’argento, che era stato della Gagiòla, poi era salito su una gondola che l’aveva portato fin sulle Zattere di Dorsoduro: dall’altra parte della Città. Dalla gondola poi era trasbordato su un’altra a quattro remi diretta a Dolo, ma strada facendo, molto agitato e confuso, aveva convinto i Barcaroli a portarlo verso il Ferrarese. Per tutto il viaggio lo videro cercare di nascondere e medicarsi alla buona tre vistose ferite che aveva sulle mani ... Nel frattempo a Venezia ci si era accorti non solo della sua scomparsa, ma il NobilHomo Marcello aveva denunciato anche la scomparsa di buona parte della sua argenteria … Sia il Nobile Marcello che l’Allegri, raccontarono poi di un tovagliolo macchiato, e di tracce di sangue lasciate in giro dal Panizzi ... Era inguaiato: non aveva più scampo ormai ... Angela Gagiòla intanto a casa sua non rispondeva: tutto era chiuso sbarrato. Per cui dopo un po’, i Birri di Giustiziaforzarono la porta della Cortigiana, e la trovarono morta come la serva colpite da decine di coltellate. Trovarono poi, che anche a casa della Gagiòla erano scomparsi gli oggetti preziosi, e raccolsero anche una camicia sporca di sangue, che risultò più tardi appartenere al Panizzi. Il Consiglio dei Quaranta al Criminal non perse tempo: citò subito Panizzi scomparso. Venne quindi condannato contumace al bando ponendo una taglia sull’eventuale avvistamento ... Poco tempo dopo, uno dei Barcaroliche l’aveva accompagnato fin nel Ferrarese, lo riconobbe un giorno a Pisa, così che la Serenissima chiese subito l’estradizione in Laguna. A inizio aprile Panizzi venne condotto a Venezia, dove venne rinchiuso in carcere, e da lì la strada fu molto breve … Dopo qualche opportuna ammorbidita con qualche buon tratto di corda: confessò tutto il misfatto, perciò fu decapitato a fine mese in Piazzetta, e i suoi quattro quarti vennero appesi a monito per tutti sui quattro angoli della Città e del Dogado.
Fine della truculenta storia accaduta nel Confinio di San Paterniàn.
In chiesa intanto, era morto il Piovano Giovanni Battista Sansoni fautore del nuovo pavimento della chiesa. Il sostituto venne ballottato, scelto ed eletto dai 7 Procuratoridella chiesa, e dai 49 Parrocchiani Juspatroni proprietari di case in Contrada. Alla fine si optò per Don Hieronimo Bressan, che assommò 45 voti a favore e 11 contrari. Rimase a bocca asciutta, invece: Prè Giuseppe Cella Diacono del Capitolo dei Preti di San Paterniàn, e già Economo Spirituale della Parrocchia, che ricevette solo 23 voti a favore, e ben 33 contrari … Chissà mai perché ?
Il nuovo Piovano si diede subito da fare provando a dimostrarsi valido e volonteroso. Mise mano al rifacimento di tutte le campane dell’antico campanile pentagonale di San Paterniàn, e coinvolse nell’impresa tutti quelli della Contrada con apposita convincente quanto fruttuosa raccolta di fondi patrocinata personalmente “porta a porta”.
Nel marzo 1760, ancora secondo i“Notatori”di Pietro Gradenigo: “Lo Strazzarolo di San Paterniàn Giuseppe Garbatto mise in vendita 30 quadri di celebri pittori sorprendendo un po’ tutti. C’erano in mostra e vennero venduti dipinti dei fratelli Bassano, di Palma il Giovane, del Padovanino, del Maganza e di altri nomi noti …” Da dove spuntavano ? … Quale altro Nobile era forse finito nascostamente in miseria ?
Nel luglio dello stesso anno, racconta ancora Gradenigo: “Il vecchio altare di San Paterniàn, con dinari di Domenico Contarini quondam Pietro Maria, fu rinnovato con marmi fini et altri abbellimenti, e dedicato a San Pietro Apostolo in memoria del nome del di lui genitore … Lavorato da Giacomo Graziato Tagliapietra, e dipinto da Gasparo Diziani … Il 2 agosto: funzione straordinaria con l’intervento del Patriarca per trasportare da luogo a luogo alcune Reliquie de Santi, e consacrare il nuovo Altar Maggiore …”
Dicevamo che era ovvio che per la vicinanza con San Marco e Rialto, la Contrada fosse zona d’Osterie, Cameranti e Locandieri … In Ramo della Vida e in Calle delle Locande soprattutto, sorgevano diverse “Albergarie” per ogni genere di tasca. C’era l’Ostaria-Albergaria al Castelletto in Calle dei Fuseri, e l’Albergo al Gallo segnalato attivo dal 1724 al 1832, che Vincenzo Coronelli nella sua “Guida dei Forestieri per la città di Venezia” considerava insieme alla “Fortuna”, la “Serena” e i “Re Magi”: “il meglio del meglio fra le migliori della cinquantina di Locande presenti in Città”... e c’erano ancora fra le altre: la Locanda de la Vida, e quelle “All'Insegna delle Tre Chiavi”, delle “Tre Rose”, e dei “Tre Visi” eternamente in concorrenza sfegatata fra loro. Erano tutti locali ambiti e rinomati anche per il libertinaggio, il modo scostumato, e per i servizi che prestavano: “meretrici di professione, fantesche e servette, e giovinotti di bell'aspetto disposti a tutto, anche di lasciarci la pelle per quattro soldi ...”
Secondo il Censimento del 1744: quattro dei 118 Casini Veneziani sorgevano in Contrada di San Paterniàn ... Ricordava ancora Pietro Gradenigo: “Nella contrada di San Marcilian terminò la sua vita, per via della morte, l’Illustrissima Signora Alba Gritti Bellato, degna madre del fedelissimo Dragomano (Interprete di lingue) della Republica: il Signor Giovanni Bellato ... Item il Signor Pietro Lovisello, perfetto Tintore di Seta e Lane nella Contrada di Santa Maria Nova … Item Giovanni Antonio Nani, Beccàro famoso, chiamato Lioncino ... Item Sjor Francesco Daina, riputato Cambista (Banchiere), in età ottuagennaria, nella Contrada di Santa Fosca …. Item il NobilHomo Ser Marin Diedo, Senatore riguardevole, e zio paterno di Monsignor Primicerio e di Sua Eccellenza, Mercante che tiene Banco di Cambio, successivamente chiamato Cambia-Valute ... Cavalier Antonio quondam Girolamo, Senatore, morì nel proprio Casino in Contrada di San Paterniàn, e fu sepolto alli Servi ... Item la Signora Angela Ronzoni, fu moglie di degno Mercadante ... Item altresi, morì l’Illustrissimo Signor Giovanni Francesco Antonelli, Uffiziale Maggiore del proprio Regimento ... Item nel Ghetto di questa città, morì il ricco Mercadante Ebreo Isacco Gentili ...”
Dopo che nel febbraio 1745 ai “Tre Visi” accadde il “notabile episodio di una sontuosa cena di Patrizi”, solo due giorni dopo alle “Tre Chiavi” ci fu un gran ballo di Cortigiane, quando il padrone delle “Tre Rose”, per non essere da meno: “offrì nel zuòba grasso a tutti quelli che manzavano: tre pignocade quali valeva un soldo, e un gran goto de vin dolze de Cipro“.
L’anno dopo però le “Tre Rose” saltò alla ribalta facendo ridere tutta Venezia, e sopravanzando quanto a notorietà le altre due Locande.
Alcuni giovani Nobili Veneziani cappeggiati dal Nobile Zuane Morosini di San Polo detto “Bell’occhio”, avvezzi a frequentare il Casino di San Moisè, decisero di dare nell’ultima domenica di Carnevale: una magnifica cena alla Locanda delle Tre Rose coinvolgendo disinvolte e disinibite donne Patrizie sia Veneziane che forestiere. Tra le Veneziane giunse Caterina Bonlini:“bizzarra et eccentrica dama che aveva fatto parlare di sé qualche anno prima, volendo ballar sulla corda alla presenza del pubblico“; mentre tra “le foreste” si presentò anche Marietta Pandolfi da Padova: “donna indiavolata: amante del Morosini” ... e fin qua: niente di che.
Splendida e divertente si fece la festa: belle atmosfere, canti, suoni, balli e cotillon … Le altre Locande “ciccàvano”(invidiavano) non poco quel proficuo assemblamento … Probabilmente: cibi drogati “alla Francese”, e buon vino abbondante, Morosini si appartò con Caterina Bonlini sotto gli occhi di Marietta Pandolfi intenta a discorrere coi Nobili Zuane Da Porte e Francesco Fracassetti dell’Anzolo Raffael ... Qualche minuto dopo, la Pandolfi andò a prendere la Bonlini mezza nuda trascinandola in mezzo alla sala gridandole: “Ha cambià gusti la Signora, non balla più sulla corda, adesso ròba gli amanti!“ ... E detto fatto, la prese per il collo, la buttò per terra, le alzo le sottane, e prese a sculacciarla furiosamente sulle natiche nude ... Ovviamente la scena fece inizialmente crepare tutti dal ridere, ma visto poi che le sculacciate diventavano vere e proprie botte, i Nobili allora intervennero per dividere le due focose donne. Quando comparve il Nobile Morosini poi: fu un putiferio, l’apoteosi, e la Pandolfi gli si scagliò contro in ogni modo … Il frastuono e la confusione giunsero fin fuori in Campo San Paterniàn, da dove intervennero gli uomini dei Signori di Notte davanti ai quali la Bonliniquerelò la Pandolfi… Lo “scandaloso fatto” saltò immediatamente di bocca in bocca spargendosi fin in ogni angolo di tutta Venezia, e nel pomeriggio di quello stesso giorno si andò ad affiggere sulle Scalee di Rialto un bel cartello satireggiante che fece divertire ancora di più tutti i Veneziani in faccia ai Nobili ... Marietta Pandolfi venne bandita per due anni da Venezia, e l’Osteria-Locanda “Alle Tre Rose” venne chiusa per giorni dai Signori di Notte ... Il troppo è sempre troppo: stròppia.
Stessa Calle delle Locande, stesso posto a due passi da Campo San Paterniàn: c’era e c’è ancora la stupenda Corte Contarini con la famosissima Scala del Bòvolo(chiocciola) costruita nel 1499 da Giovanni Candi della bottega di Sebastiano da Lugano. Nei tempi andati, la Corte si chiamava Corte dei Risi per via che lì c’era un Mercante all’ingrosso di Riso, cibo molto usato dai Veneziani. A metà 1500 la Quarantia Criminale condannò Alvise Rizzo o Rizo “gran mercante di risi in Contrà di San Paterniàn” … Riso … Rizzi: curiosissima l’origine di quel Nobile Cognome molto conosciuto … Alvise Riso pagò trenta ducati di multa per aver venduto a un negoziante di Rialto alcuni sacchi di riso guasto.
Galileo Galilei andò con l’invenzione del suo Cannocchiale proprio in cima alla Scala del Bòvolo dei Nobili Contarini a guardar Pianeti e Stelle prima di recarsi a Palazzo Ducale per presentare la sua “meraviglia” al Doge: “… sopra il medesimo Rio, in Contrà di San Paterniàn, vi è il Palazzo di Giovan Battista, Marco e Nicolò Contarini: prestantissimi et virtuosi Senatori detti “dal Buòvolo” per una scala insigne, tortuosa, fatta tutta di marmo con colonne e volti, coperta tutta di lastre di piombo, per la quale si ascende in giro, chiamata comunemente “Scala in buòvolo”, in cuppole e corridori, fabbricata con eccellente ordine d'architettura, e con spesa incredibile.”
Fino dal 1261 c’era stato un Paolo Contariniresidente in Contrada-Parrocchia di San Paterniàn, dove nacque anche il Doge Andrea Contarini, nipote dello stesso Paolo ... Il Ramo dei Contarini del Bòvolo possedeva in chiesa di San Paterniàn l'Altare del Crocefisso con propria tomba di famiglia davanti. Fu più tardi nel 1717, quando la Nobile Elisabetta Contarini figlia di Piero sposò l’altrettanto Nobile Giovanni Minelli da Bergamo, che il Palazzo dei Contarini in Corte del Riso passò ai Minelli. Dentro a un complicato gioco di eredità lo vendettero nel 1803 a Francesco Emery: appassionatissimo forestiero innamorato di Venezia, che lo affittò a sua volta ad Arnoldo Marseile, che trasformò la famosa Scala a cinque file d’arcate nell’Albergo-Osteria di lusso: “All’insegna del Maltese".
Da allora la Corte assunse il nome di “Corte del Maltese”.
Morendo nel 1852, Francesco Emery lasciò per testamento il bel complesso della Corte ai poveri della Contrada di San Paterniàn (diventata parte di San Luca nel frattempo), e alla Congregazione di Carità di Venezia, volendo che la Corte fosse rinominata col nome dell’antico clan Nobiliare che l’abitava ... La Corte divenne quindi: Corte Contarini della Scala del Bòvolo.
Ancora nel 1862 e nel 1880 l'“Hotel del Maltese" esisteva ancora, però Palazzo, Corte e Scalaera quasi sempre chiusi e invisibili, tanto che fra le eccentricità Veneziane che si potevano notare dall’alto del Campanile di San Marco: c’era proprio la Scala del Bòvolo visibile da lontano solo col cannocchiale.
Altro fattaccio nel luglio del 1774 in Contrada di San Paterniàn in Calle dei Fuseri: il trentaquattrenne Piovano Don Michele de Bellis da Salerno insieme alla ventisettenne Giovanna Pettennuzza uccisero nel sonno con 13 pugnalate il settantenne Francesco Tomietti Fabris da Oderzo ... Rapina ? … o amanti contrastati fin troppo passionali ? … Vennero comunque presi entrambi, e giustiziati nell’ottobre seguente.
Due anni dopo, dopo che il Senato Veneto aveva “emesso un proclama” che inibiva i Veneziani “a non riempire di lordure il Campo di San Paterniàn”, venne “otturato”, cioè interrato, l’omonimo Rio dietro alla chiesa.
Verso la fine di settembre 1803, avvenne l’ultima Visita Patriarcale alla Chiesa-Parrocchia-Contrada di San Paterniàn, e il Patriarca filoAustriaco Ludovico Flangini andò a sindacare l’operato dei suoi Preti e le condizioni della chiesa. Gli venne riportato che nell’ormai ex Contrada vivevano circa 900 Veneziani, di cui 300 erano “abili al lavoro”, mentre gli altri erano Nobili, cioè: nullafacenti che vivevano di rendita … Gli si disse poi, che i proprietari degli stabili continuavano ad essere ancora i Juspatroni della Fabbrica della chiesa, che nell’ex Confinio operavano due Levatrici, e che operavano diversamente diverse “pubbliche donne di malaffare”. Passando poi ad analizzare le rendite della Fabbrica, dei Preti e della chiesa, si aggiornò il Patriarca sul fatto che erano diventate davvero scarne: la Parrocchia racimolava solo 360 striminzite lirette d’affitto da una caxetta che sorgeva in zona. Insomma: non c’erano più tutti quei soldi che giravano per la chiesa un tempo, e i pochi che c’erano bastavano appena insieme ai Livellie alle varie Contribuzioni per pagare lo stipendio del Piovano ... Mantenere inoltre la chiesa: costava … Erano ben 122 ducati di spesa, di cui 82 per l’olio, le ostie e le cere per i Riti e le Liturgie.
Infine, venne confidenzialmente raccontato al Patriarca, e quindi messo a verbale “a duratura memoria”, che “Il Piovano Don Gaetano Sandrinelli era piuttosto pusillanime nella cura pastorale. Durante la Messa e certe Funzioni soffriva di convulsioni e si commuoveva fino alle lacrime, tanto che alcuni miscredenti si recavano appositamente in chiesa per ridere di lui … Generalmente però veniva compatito, ed era considerato un buon uomo … Attendeva comunque poco al Confessionale, si alzava tardi alla mattina, cantava Messa solo 3 o 4 volte l’anno … Qualcuno poi, diceva che intendeva fare da sovrano, non per cattiveria ma per bonarietà … Gli infermi della Contrada non erano ben assistiti, nè l’Archivio della Parrocchia era in ordine.”
Non un bel quadretto sul Piovano insomma.
C’erano poi oltre ai quattro Preti Titolati stabili del Capitolo di San Paternian, altri nove Preti “che ruotavano e ronzavano attorno alla stessa chiesa: uno andava a celebrare a San Salvador, un altro era di Modone, uno Spagnolo, e un altro di San Zulian ... C’erano anche tre Chierici, di cui uno frequentava la Scuola del Diacono della Parrocchia, mentre gli altri ai recavano ai Santi Giovanni e Paolo dove studiavano grammatica presso Don Facioli … I Chierici però, erano persone renitenti a rispondere alla Messa, e non compivano bene il loro dovere, non recitano neanche l’Ufficio della Madonna.”
Passando al resto, a San Paternian si celebravano di solito: 1.972 Messe perpetue, 29 Esequie e 400 Messe Avventizie ... Si riscontrarono delle irregolarità nella registrazione delle Messe: mancavano firme nei Registri, non si capiva bene chi faceva o non faceva cosa, né chi percepiva quanto e come, e rimanevano 400 Messe con la tariffa da 33 soldi ancora da celebrare.
Si cantava comunque Messa il giorno dell’Immacolata e nel “Giorno delle Spine”, nella Festa dei Santi Gordiano ed Epimaco, e nelle Feste di San Marco e Sant’Antonio. Si celebravano 4 Messe il Giorno dei Morti, e si “cantava di terza” la domenica di Pentecoste … In Parrocchia, infine, si finanziavano ancora alcune “Doti da Sposa”; e c’era una “Cassella per i bisogni della Chiesa” che continuava a girare per tutta la Contrada, ma: ahimè ! ...Non dava più i frutti di un tempo.
Qualcos’altro ?
Ah: si … S’insegnava anche Dottrina Cristianaper i putti tutte le Feste.
Beh … Almeno quello.
Poi, come ben sapete, da inizio 1800 arrivarono a Venezia francesi e austriaci in successione … La Contrada finì con tutto il resto della Città Lagunare dentro al vortice fanatico e distruttivo-innovativo degli invasori. Nel 1810, la stessa chiesa venne ridotta a tipografia prima di finire nel 1815 con annessi e connessi nella “Lista delle vigne, orti e beni da affittarsi dalla Direzione del Demanio di Venezia nei giorni d’asta 12 e 16 febbraio seguenti.”
Ancora nel 1839 l’ex chiesa di San Paterniàn era utilizzata come “privata officina da fabbro”.
Ancora nel 1817, Don Francesco MataruccoPrete del soppresso Capitolo dei Preti di San Paternian, era finito ad operare nella vicina San Luca, e ad abitare in Calle del Caffettier a San Lio. Sbaruffò non poco finendo in tribunale contro un certo Maresco, che gestiva quella che era stata una bottega di proprietà della chiesa di San Paterniàn, di cui il Prete rivendicava ancora proprietà e affitti … Vinse la causa prima che accadesse l’epopea storica di Daniele Manin, Presidente del Governo Provvisorio di Venezia negli anni 1848-49. Manin abitava nel casamento rosa al di là del rio prospicente il Campo di San Paterniàn. Casa Manin in antico era Cà Pisani, e probabilmente fu quella di Zuan Pisani quondam Vettor ricordata dal Diarista Sanudo, dove nel 1518 si celebrò un gran festone per le nozze di suo figlio con la figlia di Marco Dritti.
Sappiamo tutti come andò quella volta la Storia a Venezia: Manin finì a morire esiliato a Parigi nel settembre 1857, e le sue spoglie tornarono a Venezia solo nella primavera del 1868: dieci anni dopo. Ci fu allora un certo Giorgio Casarin, che per onorare quell’uomo simbol della resistenza contro gli Austriaci, propose e ottenne di far spazio abbattendo l'antichissima chiesa di San Paterniàn per collocarvi un belmonumento.
L’opera fusa a Monaco di Baviera, venne realizzata dallo scultore Luigi Borro, e venne alla fine collocata pomposamente in mezzo al rinnovato campo che prese il nome di Manin, contornandola con alcune delle centinaia di bombe austriache buttate su Venezia ... A dirla tutta: una visione trista a vederle ogni volta, il memento di un gesto folle … Ripenso, ad esempio, alla bella chiesa degli Scalzi a cui sciaguratamente gli Austriaci sfondarono e distrussero il bellissimo soffitto, ma non solo a quello.
Nel riordino del Campo Veneziano inoltre, visto che quello rimaneva un posto strategico dove si concentrava sempre un gran movimento economico, si pensò nel 1879 d’interrare il vecchio pozzo del campo, di costruire un nuovo ponte, e soprattutto d’innalzare la nuova Cassa di Risparmio di Venezia affidandone il progetto all’Ingegner Enrico Trevisanato. In mezzo a mille proteste, critiche e polemiche, oltre all’antica chiesa rinascimentale si cancellò anche la vicina Torre pentagonale col vetusto caseggiato a sinistra del Campo: “Non meno tristi e pretenziosi palazzi sorsero poi anche ai lati del campo, che prese il nome dal Manin.”
Infine questi semplici appunti storici terminano ricordando che la Cassa di Risparmio venne demolita e rifatta nel 1968 da Angelo Scattolin e Pier Luigi Nervi, portando a compimento una delle ultime grandi modifiche dei CampiVeneziani di un tempo.