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"LA MISTERIOSA CA'GRANDE DEI FRARI."

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UNA CURIOSITA’ VENEZIANA PER VOLTA – n° 37.

“LA MISTERIOSA CA’GRANDA DEI FRARI.”

Sapete molto più di me che Venezia non si esaurisce nella sola Piazza San Marco col Ponte dei Sospiri, Palazzo Ducale e il Ponte di Rialto. Venezia è tutta magia spesso nascosta, anche per noi che vi abitiamo da una vita intera. Venezia è magica non solo perché è da visitare e transitarci dentro con gli occhi stanchi per non saperli più dove posare. E’magica per la sua ricchissima tradizione, la sua gente, e la sua stupenda storia. Ma è solo magica, è molto di più, ossia un’infinità di cose non dette e nascoste che vanno ben oltre il solito Casanova, il Carnevale, Vivaldi, la Biennale e la Mostra del Cinema. Venezia è una specie di miniera inesauribile di cose da scoprire e conoscere, dette e non dette, che una vita intera forse non basterebbe a esaurirle tutte.
Uno di questi formidabili complessi edilizi è di certo quello che è stato il  Convento dei Frari, ossia Santa Maria Graziosa dei Frari detta in antico e per diversi secoli dai Veneziani: “La Ca’Granda dei Frari”.
Una specie di gioiellino, anzi gioiellone, che dominava con la sua presenza uno dei Sestieri della città di Venezia, quello di San Polo. Quel che ne rimane oggi è solo un pallido ricordo parzialmente visitabile di quel che è stato un tempo un luogo e “un ente” potente, insigne e prestigioso, oltre che famoso. Innanzitutto era un posto fisicamente grande, esteso, tanto è vero che i Veneziani la chiamavano appunto la “Ca’Granda”proprio a sottolinearne la grandezza monumentale, l’estensione oltre che lo splendore, la ricchezza, e l’influsso economico e politico sull’intera città.
Oggi la solita marea dei turisti provenienti da tutto il mondo entra nella grande Basilica dei Frari per vedere soprattutto l’ “Assunta” del Tiziano e tanti altri capolavori, ignorando però gran parte di ciò che è accaduto in quel luogo che percorrono e visitano. Oppure gustano estasiati le sensazioni e la bella atmosfera di uno dei numerosi concerti e manifestazione che spesso vengono organizzati nella stessa chiesa. Solo una piccola parte di fortunati è interessata e riesce a visitare, seppure parzialmente, altri frammenti di quel che è stato l’immenso complesso dei Francescani Conventuali.  L’ex Convento della Ca’Granda dei Frari ospita ancora oggi l’Archivio di Stato di Venezia che raccoglie fin dai tempi di un certo Napoleone Bonaparte, documenti e archivi di tantissime realtà un tempo presenti a Venezia, da lui meticolosamente depredate e disfatte.
La “Ca’Granda”  era un convento immenso, una cittadella, con ben tre chiostri, biblioteca, refettori, dormitori, cappelle, Sala Capitolare e tutta una serie di vasti ambienti tipici delle aree conventuali e monastiche. Nei secoli ha ospitato non solo le attività dei Frati, ma anche alcune sedi delle Arti e Mestieri cittadini, laboratori di lavoro, cartografia, manipolazione, ingegneria, musica, osservazione e ricerca astronomica. Oltre ai Frati, nella Ca’Granda sono passati, hanno vissuto e “prodotto”: laici, forestieri, artisti, Ambasciatori, Re, Nobili e religiosi.  La Ca’Granda è stata, insomma, una delle fucine del Rinascimento veneziano, un luogo d’incontro, di scambio d’idee, di resoconti di viaggi, di convergenza di conoscenze, di raccolta di notizie esotiche portate da mercanti e pellegrini provenienti dall’Asia, dall’Africa, Roma, Assisi, San Giacomo di Campostela, Terrasanta, la Via Francigena, San Michele al Gargano … e da molti altro posti.
Inoltre, dietro alla Ca’Granda, quasi come corona accessoria a sostentamento di quella cittadella, esisteva tutta una seria di orti con un frutteto confinanti  con “le secchere”, ossia una zona di palude e canneto dove terminava Venezia e si apriva la laguna. Era una zona d’accesso alla Ca’Granda recondita, quasi nascosta, che fu anche teatro di strani accadimenti ...
Un altro aspetto curioso che va ben oltre il puro dato storico e artistico, è che quell’enorme chiesone talvolta un po’ cupo e austero, mi ha ospitato più di qualche volta fin dalla mia più tenera infanzia. Da bambino piccolissimo seguivo le Suore della Carità della mia isola perduta in fondo alla laguna, che mi portavano con loro “in gita” nelle loro peregrinazioni da Suore. Per me, microscopico isolano isolato dalle corte vedute, camminare attaccato alla gonna o al lungo cordone del rosario, era un divertimento enorme e un’esperienza piacevolissima, una specie di microesplorazione avventurosa ogni volta.  Non vedevo l’ora che mi portassero con loro fuori del paese, soprattutto a Venezia. Mi piaceva un mondo addentrarmi nelle vie strette di quella città fantasmagorica, ed entrare e uscire dai conventi, dalle chiese, e dai luoghi di convegno delle Suore.
Ebbene, uno dei luoghi in cui spesso mi portavano per celebrare i loro convegni e certe loro ricorrenze, era, fatalità, proprio la Basilica dei Frari, ossia l’antica Ca’Granda. Ho un ricordo vago e bellissimo di quei tempi. Ricordo chiaramente la tomba piramidale del Canova con la sua porticina buia socchiusa, il grande quadro colorato dell’Assunta e soprattutto il “Barco intarsiato del Coro dei Frati”, che mi dava un senso di calda capienza. Mi piaceva tantissimo andarmi a sedere nella penombra scricchiolante dei suoi scanni, troppo grandi per me, dove mi sembrava di perdermi. Ricordo anche un lugubre catafalco nero centrale, intorno al quale si celebravano infinite esequie funebri, anniversari e commemorazioni di chissà quali personaggi che non conoscevo. Le cerimonie erano eterne,  e letteralmente m’abbeveravo di quell’incredibile odore intenso dell’incenso, di quei colori e di quelle atmosfere indimenticabili. Da bambino non ne capivo nulla, ma proprio nulla, e come in lontananza avvertivo quanto si dicevano, pregavano, cantavano, celebravano. Non capivo il senso di quel andare avanti e indietro, alzarsi e abbassarsi, girare in tondo per la chiesa, o da una parte all’altra. Mi piacevano invece le statue dei condottieri in armi  e a cavallo sospese sulle parete, mi piacevano i dipinti coloratissimi, i Santi svolazzanti con gli occhi al cielo, le Madonne e gli angioletti paffuti, e le mille altre decorazioni vivissime che rappresentavano Venezia la Serenissima Repubblica col suo Doge e i suoi temibilissimi personaggi, che paragonavo e confondevo con i Cavalieri della Tavola Rotonda. Entrare in quel chiesone, era per me un po’ come andare al cinema, uno spettacolo bellissimo, curioso, un mescolare le cose dell’Arte, dello Spirito e della fantasia su Venezia, che cinquant’anni dopo mi porto ancora dentro vivissimo come passione inguaribile.
Per questo, alla fine, ci ho scritto sopra anche un corposo e denso romanzo: “UN NIDO”. Rievocare le storie e le vicende della vecchia Ca’Granda dei Frati dei Frari, è stato quasi un obbligo verso me stesso. Raccontare inscenando proprio in quel chiesone della mia infanzia colorata, quelle vicende e curiosità che ho mezze sognate racimolate, mezze rubate alla Storia e Tradizione di Venezia, è stata una soddisfazione personale, un’avventura immensa.
Ho posto in cima al “forzuto” campanile, che svetta su un angolo dell’illustre complesso della Ca’Granda la mia “Karoulya veneziana”, strappata e copiata al mistico mondo degli eremi del Monte Athos della Penisola Calcidica della Grecia, e“ho condito” tutta quella storia fantasiosa con quanto di più tipico conosco della “mia” Venezia.
Proprio qualche giorno fa, a un anno circa di distanza dalla pubblicazione del romanzo, sono riuscito a salire fino in cima a quella illustre torre, che ho tanto sognato e vagheggiato. E ora mi cimento a scriverci dietro queste note delle mie solite “Curiosità Veneziane”.  
I veneziani stessi sanno e non sanno … visitano e non visitano, spesso passano accanto e ignorano, nel senso che non s’interessano. Ci sono, invece, stranieri ben più informati di noi, che vengono ed entrano  “a colpo sicuro”, e sanno gustarsi bene “certe cosesaporite e belle” che contiene Venezia. Al contrario, noi Veneziani ci portiamo in giro e ci lasciamo come cullare da questo ambiente, che consideriamo “nostro”,  ma che forse non lo è abbastanza ...

   ***
La “Ca’Granda dei Frari”è stata dunque una cittadella, una Venezia dentro alla Venezia Serenissima dei secoli.
Oggi vediamo una grande basilica con ben nove absidi posteriori. Si tratta della terza di tre chiese che si sono succedute. Tutto è cominciato tanto tempo fa, nel lontano 1200, quando alcuni Frati di San Francesco si presentarono nelle lagune di Venezia pieni di buoni propositi.
I Veneziani di sempre sono di carattere un po’ sospettosi, mercanti furbi, avezzi alle trattative e a pesare cose e persone, attenti ai guadagni e alle occasioni, ma anche a chi se la passa male o porta buone idee.
Appena arrivati a Venezia, i Frati furono ospitati in alcune case e sotto i portici delle Contrade di San Silvestro e San Lorenzo. Vivevano all’inizio di elemosina e praticavano lavori umilissimi.  Le cronache dell’epoca li raccontano: “ … faceano fatiche di sua mano, e con quelle e con le limosine viveano … dando buon esempio a tutti … et dormivano bene spesso ne’ sottoportici delle Chiese...finché cominciavano ad aver notturno alloggio nelle case dei divoti …”

Per questo loro atteggiamento genuino ben presto i Frati Francescani ottennero protezioni ed aiuti dai Veneziani più agiati. Già nel 1234 Giovanni Badoer proprietario di un terreno acquitrinoso detto “lacus Badovarius” (ossia zona d’acqua di proprietà Badoer) che si trovava nelle contrade periferiche al confine estremo della Venezia di allora (ossia San Stin e San Tomà) donò ai Frati Minori, che già ne possedevano un altro nella stessa zona donato dai nobili Tiepolo, un terreno con casetta costruita sopra. Fu l’inizio.
In quel primitivo luogo acquitrinoso rubato alla laguna i Frati costruirono una prima chiesuola dedicata a Santa Maria e in soli cinque anni bonificarono tutta la zona.

Nel 1236 Daniele Foscari Procuratore del primitivo convento comprò per 150 denari veneti da Anselmo Rana una casa con fondo adiacente per allargare ancor più l’abitazione dei Frati che aumentavano sempre più di numero. Da quel momento s’intrecciarono per secoli vicende numerosissime e interessanti su quella che piano piano divenne la “Ca’Granda dei Frari”.

Nell’ aprile 1250 si costruì la seconda chiesa nella zona adiacente al ponte attualecon i simboli impressi dei Frati Francescani. Fu consacrata nel 1280 e conclusa solo nel 1338. Si trattava di un ambiente spoglio e disadorno, orientato in senso opposto all’attuale, col rimanente spazio davanti alla chiesa a far da orto per  sostentare i Frati.
Quella prima chiesa fu demolita nel 1415 quando non era ancora terminata la nuova terza chiesa, che comprese la seconda.
Nel marzo 1249 e nel 1252, Innocenzo IV promulgò due “bolle papali” che concedevano indulgenze di 40 giorni a chi avesse contribuito con elemosine e donazioni alla costruzione della nuova chiesa e convento dei Frari a Venezia da consacrarsi alla Madonna. Nel giugno dell’anno dopo, Marco Ziani di Arbe figlio del Doge Pietro, lasciò per testamento ai Frati Minori dei Frari per l’edificazione del convento, una vigna nelle Contrade di Santa Giustina e di Santa Ternita nel Sestiere di Castello, e stabilì che le rendite di una sua casa presso la Contrada di San Giminiano, vicino a San Marco, dovessero essere impiegate in perpetuo per provvedere alle tonache dei frati che abitavano presso Santa Maria dei Frari.

Nel 1255 e nel 1261, anche Papa Alessandro IV indisse diverse nuove “bolle d’indulgenze” a favore dei Frati dei Frari di Venezia. Nell’occasione, il Doge Raniero Zeno acquistò da Tommaso Stornato per 450 lire di denari veneti dei soldi pubblici una proprietà che donò ai Frati per dilatare ulteriormente il nuovo convento. Andrea Rana, invece, con soldi propri regalò ai Frati un’altra proprietà “pro dilatando monasterio”.

Nel settembre 1291, Papa Nicola IV accordò l’indulgenza di 1 anno e 40 giorni a chi visitasse facendo elemosina e preghiera gli altari di San Marco e della Madonna dei Frari nei rispettivi giorni di festa. Due anni dopo, Primo da Ronco istituì nel suo testamento  17 legati perpetui a favore dei Frati che furono pagati annualmente e senza interruzione fino al 1556.

Nel 1330 il Maggior Consiglio della Serenissima decretò l’interramento della“piscina dei Frari” per favorire l’ulteriore edificazione e allargamento della neonata “Ca’Granda dei Frari”. Quando nel 1348 si dedicò una delle nuove Cappelle con l’altare di San Michele, il nobile Marco Michiel finanziò il 14 maggio delle messe da celebrare all’altare dell’Arcangelo. L’anno dopo arrivò dalla Terra Santa il corpo di Gentile da Mantelica Frate Francescano martirizzato in Persia nel 1340. Il suo culto fu sempre vivo alla Ca’ Granda assieme a quello dei 5 Martiri Francescani del Marocco uccisi nel 1219 e raffigurati ancora nelle pitture del 1535.
Dal 1340 si iniziò a costruire (in cento anni ! ) sul luogo dell’antico cimitero adiacente alla chiesa, uno dei massimi esempi di architettura archiacuta gotica. Si utilizzarono cospicue elargizioni da parte di ricche e potenti famiglie veneziane e di mercanti forestieri, soprattutto Milanesi e da Monza, che fecero dipingere nella chiesa della Ca’Granda i loro santi protettori: San Ambrogio con mitria, pastorale e flagello, simbolo della sua lotta contro l'eresia ariana, e San Giovanni Battista.

A cinquant’anni dall’inizio della costruzione della terza chiesa, Giovanni Corner, fra 1417 e 1420, fece costruire la Cappella dei Corner dedicandola a San Marco Evangelista aggiungendo così un’ottava abside alla costruzione della nuova chiesa. La cappella però venne dedicata nel 1396 a San Andrea su richiesta testamentaria di Marsilio da Carrara.
L’importanza del luogo della “Ca’ Granda”, che divenne prestigiosa fin da subito, indusse Ambasciatori e persone nobili e illustri a desiderare di farsi seppellire proprio lì dentro. Nel 1336 si fece seppellire Duccio Alberti, Ambasciatore di Firenze a Venezia, e Arnoldo d'Este l’anno dopo.

Incominciati dalle absidi ottagonali, i lavori continuarono lentamente e  fu pronto il transetto della chiesa solo nel 1361. Grosse elargizioni da parte delle famiglie: Gradenigo, Giustiniani, e del nobile Paolo Savelli parente di Papa, finanziarono la copertura della nuova chiesa.
Ne derivò un ambiente con pianta a croce latina, a tre navate, divise da 12 pilastri collegati fra loro da catene lignee, e soffitto a volta a crociera archiacuta. Le absidi contenevano 3 cappelle minori per lato, e vennero date ad uso di Confraternite come quella dei Milanesi nel 1361, e dei Fiorentini, o a nobili famiglie come i Bernardo e i Corner, che ne comprarono i “diritti” e le ornarono a loro spese. Le pareti laterali erano affrescate, e solo in seguito furono ricoperte da grandi monumenti sepolcrali. Ad un certo punto della costruzione le absidi crollarono, perciò si cambiarono le architetture, e si sovrapposero muri nuovi nascondendo per secoli o per sempre alcune antiche pitture (riapparse oggi).
I Mercanti Fiorentini fecero infiggere nei muri esterni della loro cappella i “Gigli”di Firenze in pendant con i “Leoni Marciani”, perché fosse sempre chiaro a tutti chi comandava a Venezia.

Nel 1346 si convocò e si tenne nella Ca’Granda dei Frari il Capitolo Generale dell'Ordine dei Francescani con Ministri Provinciali e delegati  provenienti da tutta l’Europa, ospitando circa 1.500 persone. Per l’occasione Papa Clemente VI  concesse molti privilegi per la progressione dell’ordine dei Frati Minori.

Il 12 febbraio 1353 il Nobile Lion Nicolo’ Procuratore di San Marcolasciò tutti suoi averi alla fabbrica dei Minori dei Frari riconosciuti come suoi benefattori per la recuperata salute. Venne così fondato la chiesa e il chiostro di San Nicoletto della Lattuga ossia il terzo chiostro della Ca’Granda.

Nel 1361, Olda moglie di un notaio il cui figlio era Frate ai Frari desiderò esservi sepolta, e nel testamento lasciò una somma ai Frati perché si  occupassero del funerale e dell’acquisto delle candele.

Secondo l’iscrizione di fondazione in caratteri gotici murata all’esterno, dal 1361 Jacopo Celega iniziò, e il figlio Pierpaolo nel 1396 terminò di costruire il campanile-torre di 70 metri, secondo in altezza solo a quello di San Marco, alto quasi cento metri.La spesa fu inizialmente sostenuta con 8.000 ducati d’oro dalla famiglia di Tommaso Viaro Frate ai Frari e poi vescovo di Trebisonda. Quando i Frati terminarono i soldi, furono  finanziati nella costruzione dai Mercanti della Confraternita dei Milanesi. Del 1395 è l’atto di pagamento e messa in opera dei piombi della copertura piramidale del campanile. Del 1480 è, invece,  la notizia del danno di un fulmine che distrusse la cuspide e la parte terminale del campanile. Oggi infatti lo conclude un ottagono con nicchie e copertura a falde.

Nel 1369 un funesto incendio aggredì la neonata “Magna Domus Venetiarum o Ca’Granda dei Frari”, in cui morì il Beato Carissimo da Chioggia, ma il convento e la chiesa vennero ricostruiti e ampliati più grandi e magnifici di prima.
Del 28 settembre 1370  è la notizia di una sacra rappresentazione e di una bellissima festa con canti e processione, che da quell’epoca si svolse ogni anno nella Ca’Granda Frari. Si commemorava “la Donna-Madonna” nel giorno in cui fu offerta al tempio di Gerusalemme. E’ la più antica attestazione della Festa della Presentazione di Maria al Tempio introdotta in occidente e a Venezia da Philippe de Mezieres.

A Venezia però accaddero anche episodi di vita qualsiasi. Nel 1373, ad esempio, i giovani artigiani Pietro Giustiniani e Zanino Condulmer e parecchi ragazzi furono sorpresi mentre tiravano pietre contro il dormitorio dei Frati Minori dalla parte della riva della Contrada di San Stin. Tre anni dopo, il Maggior Consiglio della Serenissima destinò 200 lire d’oro di grossi alla ricostruzione del convento dopo che i 1000 ducati d’oro donati da Marco Gradenigo si erano dimostrati insufficienti.
In quegli anni il futuro Papa Francescano Sisto IV ossia Francesco Della Rovere viveva ai Frari come “Lector philosophiae”.

Nel 1428 Marin Sanudo spiegò che a spese dei Frati fu costruito il nuovo ponte dei Frari, all’epoca della demolizione della chiesa vecchia, per facilitare l’accesso da San Polo a Rialto e in sostituzione di un altro ponte poco lontano cadente e vetusto. I Frati vollero che il nuovo ponte fosse un luogo d’immunità per i delinquenti che non si poteva catturarli ed arrestarli sopra. Il ponte doveva essere considerato sacro, perché un tempo “… la chiesa dei Frari  era lì,  et era lì la capella granda, che adesso è voltada …”

Tra 1432 e 1434 il vescovo di Vicenza Pietro Miani o Emiliani fece costruire a ridosso del campanile la Cappella Emiliani o di San Pietro. Qui inizialmente venne collocato uno strano Crocifisso in legno del 1200 considerato miracoloso, alto 3m e mezzo e largo 2,36. Era talmente considerevole l’afflusso, le elemosine e l’interesse della gente e dei devoti per quel crocifisso, che nel gennaio 1489 si dovette incaricare un Frate di occuparsi stabilmente di quella cappella e di quella devozione.
Nella stessa Cappella del Crocifisso Miracoloso, nel 1579 cominciò a tenere le proprie funzioni la "Scuola della Passione", che divenne una delle più importanti dell’intera Venezia. Più tardi, nel 1672, il Guardian Grando Agostino Maffeicommissionò a Baldassare Longhena e Giusto Le Court un nuovo altare del Crocifisso, posto dove sorge oggi il monumento funebre a Tiziano.

La Sacrestia con la Sala del Capitolo sono le parti più antiche dei Frari. Fu costruita verso la metà del 1400 mentre si stava ancora costruendo la terza chiesa. Comprendeva la Cappella Pesaro del ramo di San Benetto, ossia il monumento funebre di famiglia dei Pesaro, che commissionò per il loro altare un trittico al Bellini con “Vergine in trono e 4 Santi” eseguito fra 1478 e 1488. La tela del Bellini è ricca di significati e simboli reconditi: i “Pastophoria” dorati degli sfondi, “l’otto della rinascita” nel piedistallo ottagonale, “il cinque delle piaghe di cristo” reso con 5 lumi-luci perpetue, i cinque gradini del piedistallo, e il disegno della firma in 5 parti. Nella Sacrestia si seppellì quindi Franceschina Tron, la moglie di Pietro Pesaro e madre di Benedetto, Nicolò e Marco.
Nello stesso luogo della Ca’Grande era conservata una serie preziosissima di reliquie, che per secoli ha calamitato la devozione di fedeli e pellegrini. La più importante era quella del Preziosissimo Sangue. Consisteva in un'ampolla di cristallo contenente del balsamo con frammiste alcune gocce del sangue di Cristo cha sarebbero state raccolte da Maria Maddalena ai piedi della croce sul Calvario. Vera o falsa che sia, la reliquia si trovava nella chiesa di Santa Cristina di Costantinopoli dove era molto venerata. Nel 1479 venne trafugata e venduta al Capitano da Mar della flotta veneziana Melchiorre Trevisan, che tornato a Venezia l’anno seguente, la donò alla Ca’Granda dei Frari.

Nel settembre 1439, Graziosa vedova di Alvise De Marchi lasciò una somma per continuare la fabbricazione del convento dei Frari, che per mancanza di fondi procedeva molto a rilento: la costruzione raggiungeva solo la facciata.  Il Senato della Repubblica nel 1443 decise allora di devolvere per la fabbrica e i suoi bisogni i frutti d’una grande somma di denaro depositata presso  gli “Imprestidi” che prima erano devoluti al mantenimento del convento dei Minori a Pera presso Costantinopoli  distrutta dai Turchi, che espulsero i Francescani andati a rifugiarsi proprio nella Ca’Granda dei Frari a Venezia.

Nel 1440 la “nuova terza chiesa” non era stata ancora terminata, nonostante le numerose donazioni dei ricchi benefattori, a cui s’associarono anche i Mercanti Fiorentini. A Venezia intanto, stava “esplodendo” il Rinascimento.

Il 4 luglio 1455, Papa Callisto III concesse nuove indulgenze legate alla festa di San Bernardino a favore del grande cantiere della Ca’Granda dei Frari, imitato dal Patriarca Maffeo Contarini, che concesse indulgenza a chi avesse visitato l’altare di San Bernardino nella “Domo Magna dei Frari”. Anche Pio II accordò nuove indulgenze ai Frari in risposta alla supplica del Cardinale Pietro Barbo, che vi aveva fatto seppellire lì i propri genitori.

Nel febbraio 1469 la Ca’Granda dei Frari fu scelta per ospitare il Capitolo Generale dell’Ordine dei Francescani dall’allora Padre Generale dei Francescani divenuto poi Papa Della Rovere. Nell’occasione si decise che chiunque visitasse devotamente e soprattutto elargendo elemosine  la Ca’Grande durante le occasioni già stabilite e nelle feste di San Francesco e Santa Caterina fosse premiato con generose indulgenze.  Addirittura: nella festa di San Francesco si sarebbe potuto “guadagnare-lucrare”il doppio (!) delle indulgenze plenarie previste. Il Senato di Venezia, per non essere da meno del Papa, decretò che la festa di San Francesco fosse considerata a Venezia festa pubblica da celebrare con solenne cerimonia con la partecipazione di tutta la Signoria e del Doge.
Solo nel 1469 si consacrò l’altar maggiore della nuova terza chiesa, completandolo nel 1516 con due colonne scanalate e una ricca trabeazione per ospitare la tela della famosa “Assunta” del Tiziano inaugurata il 20 marzo 1518.

Arrivato il 1475, il nobile Jacopo Morosini divenne Procuratore della Chiesa della Ca’Granda dei Frari, e decise di aggiungere il rivestimento in pietra scolpita che avvolge tuttora il “Barco del Coro dei Frati”.

Nel 1477 il Papa Francescano-Veneziano ex Ca’Granda Sisto IV riconobbe universale il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Nell’occasione concesse con apposita bolla “Cum Praecelsa”speciali indulgenze a coloro che avessero assistito ai riti il giorno della festa. Due anni dopo ne redasse la “bulla aurea”, con cui accordava indulgenze a chi avesse contribuito alla manutenzione di chiese e cappelle dei Frati Mendicanti.

Il 1478 fu un anno di peste per Venezia e anche per la Ca’Granda dei Frari ... Di rimbalzo ai macabri esiti dell’epidemia, nella Ca’Granda affluì un fiume d’elemosine, lasciti, donazioni e testamenti … facendola diventare sempre più “Magna-Granda”.

Altra nuova committenza della Cappella dell’Arcangelo San Michele nel 1480 da parte della nobile famiglia Trevisan. Fu dedicata anche alla devozione francescana delle “Stigmate e delle piaghe di San Francesco” considerate prolungamento della “Passio Cristi”. In quella cappellafu posta la reliquia considerata miracolosa del Sangue di Cristo proveniente da Costantinopoli, molto venerata ufficialmente dalla Serenissima, che si portava in processione annualmente con Confratelli di San Rocco come ricordato da Sansovino.

Nel maggio 1483, il Papa Veneziano Sisto IV lanciò l’interdetto sui Veneziani  a causa dell’assedio di Ferrara. Tutti i Frati presenti a Venezia ricevettero l’ordine di abbandonare la città e in centinaia andarono in esilio abbandonando chiese e conventi mentre la Serenissima col Patriarca cercava di conservare la “normalità della religione”.
Nicolo’ Pesaro, uno dei grandi nobili protettori, benefattori e committenti della Ca’Granda dei Frari fu costretto dalla Serenissima a coprire l’incarico di Proveditor della Guerra di Ferrara e poi di fungere da negoziatore.

Nel 1486 iniziò la costruzione del secondo chiostro, detto di San Antonio,  sostenuto da 32 eleganti pilastrini e terminato solo nel 1570. Nel 1490 il campanile della Ca’Granda dei Frari venne colpito da un fulmine.

Nel 1487, Bartolomeo Vivarini  collocò nella Cappella Bernardo un suo polittico rappresentante: “ La Vergine in trono col Bambino e quattro santi e un’immagine del Cristo Passo".

Finalmente: il 27 maggio 1492 la chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari venne consacrata. Accanto era sorto il Convento della Ca’Granda dei Frari, che divenne  uno dei conventi più grandi di Venezia, capace di ospitare in ben 300 celle e diversi dormitori. Per la Ca’Granda passarono uomini illustri, fra i quali Francesco Dalla Rovere che divenne poi Papa Sisto IV, e Felice Peretti di Montalto che divenne Papa Sisto V dopo essere stato il Capo della Santa Inquisizione di Venezia con sede nella Ca’Granda dei Frari, come lo furono: Lodovico Donato poi Generale dell’Ordine e Urbano IV.

Il 13 agosto 1506 accadde un grosso furto nella Ca’Granda,che indusse Giulio II a minacciare di scomunica i ladri che rubarono: calici e animali.

Al tempo della famosa divisione fra Francescani Osservanti e Francescani Conventuali sancita dalla Bolla di Leone X, Fra' Germano da Casale, Guardian Grando del convento della Ca’Granda dei Frari era amico ed estimatore di Tiziano che aveva solo 26 anni. Gli commissionò il quadro dell’ ”Assunta”. In quell’epoca c’era in atto anche a Venezia una grande disputa-questione-discussione sull’Immacolata Concezione della Madonna. Tiziano lavorò velocemente, e in soli due anni provò ad esprimere sulla tela quel concetto difficile che avrebbe potuto rappresentare l’ Assunzione dell’Immacolata nella chiesa della Santa Maria Immacolata Gloriosa dei Frari. Una diceria-leggenda racconta che quando venne scoperta la pala era talmente nuovo il modo di proporre le figure degli apostoli, che si agitavano in posizioni contrapposte e con le braccia alzate, che per prima cosa i frati chiesero di toglierla dall’altare. L’Assunta veniva rappresentata con un corpo massiccio sinuoso, quasi procace, dentro a un gioco di luce che cambiava passando dalla tiepida luce terrena allo splendore luminoso dell’Infinito di Dio. Dio Padre in alto apriva le braccia ad accogliere “la donna che sale”. In diversa gente della Ca’Granda era pressante quella specie di anelito a “Salire Oltre”, al di là del solito vivere di sempre, del solito tangibile scontato e concreto reale quotidiano, un cambio di dimensione, di mondi, amato e cercato dagli uomini della Ca’Granda. In realtà anche con quell’opera Tiziano ebbe successo e ricevette molte altre commissioni.

E si giunse al 1519. Fra coloro che finanziarono a Tiziano il quadro mistico e misterioso  dell'”Assunta” ci fu probabilmente anche il vescovo Jacopo Pesarodel Ramo nobiliare di San Stae, che gli commissionò una pala per l'altare di famiglia pagandogliela 96 ducati, più altri sei per il costo del telaio. Fra 1541 e 1568 la famiglia nobile Pesaro ebbe stabilmente sedici-diciotto membri presenti nel Maggior Consiglio della Serenissima, di cui Giovanni Pesaro fu Doge nel 1658-1659. Tiziano stavolta impiegò ben sette anni per dipingere la tela con numerosi ripensamenti. L'altare su cui si doveva porre la pala era quello dedicato all'Immacolata Concezione, ceduto “in affitto” dai Frati alla famiglia Pesaro che si impegnò, tra l'altro, a far celebrare una messa in occasione della festa dell'Immacolata, a fornire il desinare per i frati della Ca’Granda la sera della festa, e offrire in quel giorno un grande pranzo a tutti i poveri. JacopoPesaroera anche Ammiraglio della flotta pontificia di Papa Borgia di cui comandò venti galee papali nella battaglia contro i Turchi, vinta a Santa Maura nel 1503. Il Pesaro sapeva vincere quindi sia nelle cose politiche che in quelle dello spirito, essendo anche vescovo di Pafo.
Anche in questa tela Tiziano ci mise secondo i gusti dell’epoca “del mistero”. In alto due angioletti, sopra una nuvola, raddrizzano la croce di Cristo. E’ “la nuvola fra Cielo e Terra” presente anche nell'”Assunta”. Rappresenta “La nube della non conoscenza", la nuvola che si frappone tra Dio e gli uomini. Quel frammento di mistero e insignificanza che distingue quotidiano da eterno, l’ombra del vivere e la luce della verità ultraumana e oltre mondana. Non erano per niente banali e stupidi i Veneziani e gli artisti del 1500.
Ancora nel 1733 si celebravano messe di suffragio secondo il testamento di Gerolamo Pesaro e dei suoi genitori con l’accensione di un “torcio-candela”davanti al suo sepolcro il giorno dei Morti.

Nel 1468, nel bel mezzo della chiesa della Ca’Granda, fra 4° e 6° pilone, i fratelli Francesco e Marco Cozzicompletarono il “Barco dei Frati”, ossia il grande coro ligneo con 124 stalli disposti in tre ordini, che qualche anno dopo verrà circondato da un sontuoso "septo"marmoreo in cui sono rappresentati i busti in rilievo di Profeti, Patriarchi, Apostoli e Dottori della Chiesa.
Un’altra diceria a cavallo con la leggenda racconta che in quei volti erano rappresentati i Frati della Ca’Granda, che erano all’epoca più di cento, e i poveri diseredati che spesso venivano ospitati e soccorsi nel grande e ricco convento. L'ultimo in basso rappresentato a destra è il Procuratore della Ca’Granda Giacomo Morosini col suo motto: “Solo Deo honor et gloria”.  Ai lati estremi non potevano mancare a sinistra San Antonio e a destra la statua di San Francesco: i due “mostri sacri” dei Francescani. In mezzo al grande Barco dei Frati, sopra l’ingresso centrale, si nota un Crocifisso, forse eseguito da Andrea Verrocchio, con la “Vergine Donna” e San Giovanni.

Un secolo dopo, nel luglio 1581 il Guardian Grando Fra’ Domenico Carli dichiarò fra le altre cose al Visitatore Apostolico Lorenzo Campeggio: 
“ … Fratres eiusdem monasterii, comprehensis Sacrae Theologiae magistris, baccalaureis, aliis fratribus novitiis, et aliis de familia ipsius conventus centum in totum existere …”
Da una nota di spesa tratta dai Libri dei Conti della Ca’Granda dei Frari, si evince che fra 1506 e 1520: “ … si spendevano lire 1 e soldi 10 per il vin bianco e il prete che cantava in coro, e lire 10 per vin bianco e nero per la messa e dato ai cantori del coro in più volte ...”

1514: fu sepolta in chiesa ai Frari, con tutti gli onori: “… una honorata et nominata meretrice” conosciuta col nome di “Anzola chaga in calle”.

1517 concessione e committenza di Nicolo’ fu Silvestro Valier per la Cappella della Purificazione prima dedicata a San Bernardino. Sul finire dell’anno siccome si riparlava di nuova Crociate, come riporta il diarista della Serenissima Sanudo:
“… in Colegio vennero molti Frati di San Francesco della Cha Granda, per certi danari di la Cruciada ...”

1521 agosto 2 la Badessa di Santa Chiara, nobildonna di 106 anni accompagnata da 6 monache Francescane Conventuali, apparve di fronte al Collegio della Serenissima. Le sorelle protestavano per il fatto, secondo il diarista Sanudo “… che per le monache Observanti non li era dato el suo viver e crepavano di fame, cossa da non poter suportar …” Le monache erano accompagnate da alcuni parenti e dal Guardiano Grando Magister Germano della Ca’ Granda dei Frari.

Otto anni dopo, si destinarono 300 ducati ad alcuni conventi e monasteri selezionati dal Collegio Ducale della Serenissima, fra cui la Ca’Granda dei Frari, in cambio di preghiere per tre giorni consecutivi per il benessere dello Stato.

1549 morì Girolamo Pesaro di Benedetto, che chiese per testamento la sepoltura nella cappella di famiglia nella Sacrestia della Ca’Granda con monumento di fronte a quello del padre. Chiese anche il privilegio di essere sepolto con l’abito dell’ordine dei Frati Mendicanti Francescani e di celebrare delle messe ad Assisi per la sua anima. Fece dei lasciti a molte chiese francescane di Venezia oltre alla Ca’ Granda dei Frari: Santa Maria Maggiore, Santa Chiara, Santa Croce, Santo Sepolcro e Santa Maria dei Miracoli dedicata all’Immacolata Concezione. Il figlio di Girolamo: Benedetto offrì per gratitudine 25 ducati in elemosina alla Ca’Granda dei Frari.

1550 si registrò la presenza di 110 Frati nella Ca’Granda dei Frari, con la presenza di Antonio Barges come maestro di musica di Cappella. Solo la Ca’Granda possedeva una Cappella Musicale oltre a San Marco, chiesa Dogale.

1564 il Convento della Ca’Granda spendeva 18 ducati annui per l’organista e 12 ducati annui per il Maestro di Cappella per insegnar a cantare ai Frati e ai Fratini, e come suo salario di cantar in chiesa. Spendeva inoltre 20 ducati per cantori e strumentisti per le feste dell’Assunta e di San Francesco, Natale, tutta la Quaresima e tutte le feste di Pasqua. Si davano 12 ducati annui al campanaro “ … per sonar campane, governar l’orologio ealzar i mantesi dell’organo”.

Negli anni ’70 del 1500, l’astronomo danese Tycho Brahe scoprì in Cielo una nuova Stella. Sorprendentemente l’Universo Celeste non era immutabile come si credeva, ma “ … vivo, mutevole e cangiante”.
Stava iniziando un’imponente polemica storico-religioso-politica.

Intanto la Ca’Granda dei Frari si arricchì di ben tre chiostri lungo il cui perimetro sorsero il Refettorio estivo e quello invernale dei Frati, e una nuova Sala Capitolare. Il più chiostro più bello e grandioso era quello della Trinità, seguito da quello di Sant'Antonio, e da quello piccolo di San Niccolò della Lattuga a cui era annesso un vastissimo orto, che vendeva i suoi prodotti anche al mercato di Rialto. Il Chiostro della Trinità era chiamato anche Chiostro Pubblico o Chiostro dei Morti, ed era aperto alla popolazione delle vicine contrade che attingeva l'acqua dal pozzo. Quell’acqua venne utilizzata per uso domestico fino a dopo la seconda guerra mondiale. Nei Chiostri si iniziò ad ospitare le sedi di alcune delle numerosissime Scuole di Arti e Mestieri o Confraternite di Devozione sparse per tutta Venezia. Fin dal 1261 vi trovò spazio la Scuola della Madonna e di San Francesco dei Mercanti. Dal 1435 la Scuola della Beata Vergine e di San Giovanni Battista riservata ai Mercanti Fiorentini e quella di San Ambrogio e san Giovanni Battista dei Mercanti Milanesi. Quattro anni dopo i Frati ospitarono la Scuola di San Antonio da Padova, che divenne con la Scuola della Passione, una delle più importanti e famose Confraternite dell’intero Veneto. Nel 1443 arrivò la Confraternita di San Lodovico, e dieci anni dopo la Scuola di San Bernardino. Nel 1498 fu il turno della Scuola dell’Immacolata Concezione, nel 1563 quello della Scuola e Sovvegno di Santa Maria della Neve e della Scuola del Salvatore dell’Arte degli Spezieri da Medicine.  A metà del 1600 la Ca’Grande ospitò il Collegio dei Medici di Venezia, dal 1660 il Sovvegno dell’Immacolata Concezione dei Lavoranti Pistori, e nel 1666 il Suffragio degli Agonizzanti del Santo Nome di Gesù. Dal 1728 trovò sede la Scuola dei Chirurgi, mentre l’anno prima giunse la Compagnia di Ognissanti dei Cassellanti, e si ospitò pure la Corporazione di Mestiere di San Michele dei Pignatteri, Vasai e Boccaleri. Un andirivieni formidabile di usi, costumi, persone, lavoro, socialità, soccorso pubblico e devozione.
In quei chiostri passò intorno al 1592 anche Galileo Galilei, “Il Messaggero delle stelle”,  proveniente da Pisa e residente a Padova dove insegnò matematica, meccanica, astronomia e architettura militare. In Venezia e soprattutto fra le mura della Ca’Granda ferveva la curiosità e la passione per la conoscenza “dei mondi ulteriori delle Stelle”, che si scopriva essere ben diversi da quanto si era fino ad allora creduto. Esisteva “un Oltre e dell’Altro” da scoprire e conoscere al di là della conoscenze classiche ufficiali e limitate, era una sorta di sfida che si giocava nelle menti degli intellettuali e fin su in cima al campanile della Ca’Granda. L’Inquisizione di Venezia e soprattutto di Roma non gradirono tutto quel pensare che rivoluzionava il “sapere certo” di cui la Chiesa si considerava l’unica depositaria incontestabile. Per difendere quella “sua verità”, la Chiesa non badò a spese, e soprattutto non lesinò denunce, processi, torture, condanne e roghi.
Ma ormai era cosa certa. Dai giorni del Rinascimento, l'uomo non fu più considerato centro del mondo, né si credette più che tutto l'Universo ruotava intorno a lui e alla Terra. L’immagine cosmica della Terra immobile circondata dall’aria e dal fuoco, con Sole, Luna e Pianeti che le giravano intorno non contò più nulla. Il mondo delle Stelle non fu più considerato immutabile, e di certo non conteneva più “quell’Aldilà” in cui si doveva trovare “la dimora di Dio e dei Santi Beati”. La terra girava su se stessa, e girava anche intorno al Sole. Erano idee rivoluzionarie, considerate insieme blasfeme e capaci di procurare rovina e morte a chi le professava apertamente. Infatti, Copernico pubblicò le sue idee solo nel 1543, l’anno della sua morte, presentandole solo come ipotesi.
Galileo Galilei presente a Venezia, confermò, invece, ampiamente con le sue osservazioni le intuizioni scoperte di Copernico, rivoluzionando le certezze di una tradizione millenaria seguita fin dai tempi dell’antico Aristotele.
Così scrisse Galileo all’astronomo tedesco  Kepkero.

"Da qualche anno mi sono convertito alla dottrina di Copernico. Grazie a questa, ho scoperto le cause di un grande numero di effetti naturali che confermano le sue ipotesi. Ho scritto su questa materia molte considerazioni che fino ad oggi non ho osato pubblicare …"


La storia racconta che a Venezia l'Inquisizione, con sede proprio nella Ca’Granda dei Frari, arrestò il filosofo Domenicano Giordano Bruno Giordano, che estradò a Roma dal Papa e dal Cardinale Bellarmino. Questi gli imposero di abiurare le sue affermazioni, e di fronte al suo rifiuto lo dichiararono eretico e lo bruciarono giusto nell'anno 1.600. La sua colpa principale era quella di considerare Dio come l'intelligenza dell'Universo inteso come mondo infinito in cui le Stelle erano tanti Sole circondati da pianeti abitati come la Terra.
Nel 1604 apparve un’altra nuova stella nella costellazione del Sagittario, che attirò l'attenzione degli astronomi di tutto il mondo. Galileo osservò e studiò a Venezia la nuova stella, e manifestò le sue idee incontrando personalità e amici di tutta Europa durante le feste e i ricevimenti tipici del mondo della Serenissima. L’Inquisizione di Venezia lo denunciò subito, accusandolo di non frequentare la chiesa, di avere una vita dissoluta, di non vivere da sposato convivendo con una veneziana da cui aveva avuto tre figli. Galileo Galilei stava diventando un buon candidato per i processi e il rogo, ma la Repubblica di Venezia lo protesse efficacemente dall'Inquisizione, anche perché il Senato intuiva l’utilità militare delle sue scoperte.

Nel 1609 a Venezia, probabilmente “ … nei luoghi dei circoli sapienti e curiosi della Ca’Granda dei Frari …”, Galileo scriveva.

"… Da circa dieci mesi si è sparsa a Venezia la notizia, che era stato presentato in Fiandra un occhiale fabbricato in modo tale che faceva sembrare molto ravvicinati gli oggetti più lontani. Questo effetto mi sembrò così meraviglioso che ne feci il soggetto delle mie riflessioni: l'apparecchio doveva fondarsi sulla scienza della rifrazione. Dopo diverse prove, non guardando né alla fatica né alla spesa, sono arrivato a costruire uno strumento che ingrandisce di otto volte gli oggetti. Al profondo stupore di Sua Signoria e del Senato di Venezia tutto intero, ho fatto la dimostrazione del mio occhiale. Numerosi senatori, malgrado la loro età, sono saliti sui più alti campanili di Venezia. Attraverso l'occhiale, hanno scoperto dei vascelli che non sono apparsi ad occhio nudo che due ore più tardi. Applicando un occhio contro l'occhiale e chiudendo l'altro, ciascuno di noi ha visto distintamente le cupole e la facciata della chiesa di Santa Giustina di Padova …"

L’anno dopo, Galileo Galilei definito “lo Studioso della verità”,continuava a scrivere stando a Venezia

"… La Via Lattea non è nient'altro che un ammasso di Stelle innumerevoli raggruppate in piccoli mucchi ... Il sette gennaio del corrente anno 1610, alla prima ora della notte, mi si presentò Giove ... Mi sono accorto che c'erano quattro stelline poste vicino a Giove, quattro pianeti che dall'inizio del mondo fino ai nostri giorni non erano mai state visti. Il giorno seguente trovai le stesse stelle disposte in maniera assai differente ... Nessuno può dubitare che esse descrivano un'orbita intorno a Giove ..."

Intanto continuava a dimostrare la presenza nel Cielo di “ … stelle, strade e vie inimmaginabili … perché il Cosmo non ha confini … “, e pubblicò le sue scoperte nel libro-studio: “Sidereus Nuncius”, che vendette in pochi giorni cinquecento esemplari.

"Abbandonando le cose della terra, mi sono portato verso l'esplorazione del cielo. Sono stato sorpreso di vedere che sulla Luna il limite tra l'ombra e la luce è molto irregolare. Il suolo lunare è, come la superficie de la terra, disuguale e accidentato. Contrariamente a ciò che ha creduto una armata di filosofi, la Luna non è un corpo celeste perfetto …"

I filosofi della vecchia scuola negavano l'esistenza di montagne sulla Luna, perché contraddicevano la sua natura perfetta, tipica di ogni corpo celeste. Giunsero perfino a mettere in discussione “la verità” mostrata dal cannocchiale.

"… Che questi signori possano credere che c'è nel mio occhiale qualche trappola ingannatrice, mi pare veramente una cosa sorprendente. La fabbricazione e la teoria di questo occhiale dipendono dalla conoscenza Matematica delle leggi di rifrazione che io insegno".

Alla fine, Galileo Galilei lasciò Venezia e l'Università di Padova  perdendo la preziosa protezione della Repubblica di Venezia. Proseguì le sue osservazioni a Firenze scoprendo anche le fasi di Venere, simili a quelle della Luna. Neanche immaginava che cosa lo aspetterà a Roma, e quali traversie e umiliazioni personali e intellettuali avrebbe dovuto affrontare a causa del Papa, del Cardinale Bellarmino e dell’Inquisizione. Trovò un po’ di quiete solo in età tardissima, sopravvivendo a minacce di tortura, angherie, ritrattazioni, sequestro dei suoi libri, processi e tutto il resto.

Tornando alla Ca’Granda dei Frari a Venezia …  Il 6 maggio 1631, venne condannato un frate al bando a vita, e in seguito detenuto nelle prigioni dei Capi dei Dieci della Serenissima, ed espulso in perpetuo dall’Ordine dei Francescani dal Commissario della Provincia di San Antonio. Secondo la denuncia di alcuni Conventuali della Ca’Granda dei Frari:

“ … il frate per compiere un furto sacrilego aveva rotto un muro nella chiesa dei Frari, ed era entrato in Sacrestia, dove aveva rubato tre calici di gran valore. In seguito li aveva battuti e fusi e tentato di venderli per soddisfare i suoi immoderati piaceri. L’aveva aiutato un diacono, che portava armi sotto l’abito da prete, e avevano svaligiato anche tutte le stanze del convento, e rotto la cassetta delle offerte della Madonna del Pianto … Inoltre, i due convivevano con meretrici e spesso assaltavano armati gente secolare per soddisfare le loro diaboliche intenzioni, procurando uno scandalo enorme ...” 

Nell’agosto 1635 il Generale dei Frati Conventuali supplicò la Signoria Serenissima di provvedere alla riduzione del numero degli studenti e dei lettori residenti nella Ca’Granda dei Frari, perché erano eccedenti alle possibilità di mantenerli nel convento.

Fra 1650 e 1718, fra i 106 Frati presenti negli spazi della Ca’Granda, visse il Frate Conventuale Vincenzo Coronelli: Cosmografo ufficiale della Repubblica, autore di atlanti, carte, globi, ideatore dei Murazzi del Lido e di Pellestrina, storico con in mente di redigere un’Enciclopedia Universale in 45 volumi di cui editò solo i primi sette.Verso il 1708 pubblicò una serie di quindici immagini della Ca’Granda, che furono inserite nel volume Singolarità di Venezia”. Coronelli fu anche Generale dell'Ordine dei Minori Francescani, oltre che Guardian Grando della Ca’Granda dei Frari, dove fondò l’Accademia degli Argonauti, e attivò un atelier tipografico e d’incisione.

Giunto il 1660,Padre Nuti scrisse per la Ca’ Granda dei Frari: “Diario veneto o storia della Magna Domus dalla fondazione al 1660”di cui una copia all’inizio del 1800 si conservava ancora nella Biblioteca dei Camaldolesi di San Michele di Murano. L’anno dopo, secondo le “Redecime del Monasterio de Santa Maria di Fra Minori della Ca' Grande dei Frari”, il convento possedeva una rendita annua di 197 ducati provenienti da soli immobili posseduti in Venezia.
Nel dicembre 1665, Padre Agostino Maffei lasciò ducati 1.333 dei suoi averi di famiglia per eseguire lavori in chiesa e restaurare l’organo della Ca’Granda dei Frari.

Nel 1689 fu fatto erigere da Padre Giuseppe Cesena il pozzo, con la statua di San Antonio nell’omonimo chiostro.

Saltando fino al 1712, il convento possedeva una rendita annua di 520 ducati da immobili posseduti in Venezia. Padre Antonio Pittoni fece innalzare nel Chiostro della Trinità da Giovanni Trognon il pozzo monumentaleornato da varie statue scolpite da Francesco Penso detto Cabianca. Fu forse l’ultimo gesto artistico prestigioso realizzato nel grande complesso della Ca’Granda. Poi iniziò una lenta stagione di declino scandito da mille dettagli curiosi “al ribasso”, che sfocerà nello sfacelo Napoleonico.

Il 22 luglio del 1732, un religioso si offrì di imbiancare tutta la chiesa a sue spese e nell’occasione togliere tutte le numerose tombe pensili e rimuovere un vecchio organo inoperoso e prominente. Allo stesso proposito, fra 1732 e 1796, si costruirono due organi ai lati del Barco del Coro della Ca’Granda. Quello di Giovanni Battista Piaggia a sinistra, e quello dell'estense Gaetano Callido a destra. Alla fine del decennio  Il convento possedeva ancora una rendita annua di 707 ducati provenienti da soli beni immobili posseduti in Venezia.

Fra 1750 e 1754, dopo che il convento subì dei grossi danni, gli edifici che circondavano i due chiostri furono rifatti o restaurati dall'architetto Bernardino Maccaruzzi, che restaurò anche il campanile.

Aria di novità il 24 aprile 1754: “… termine 30 giorni, possessori delle arche e depositi esistenti né plaustri del convento di Santa Maria de’ Frari, presentino li loro titoli al nodaro del Magistrato. Spirato detto tempo, e non comparso alcuno, siseno terrate le arche e levati li depositi. Né muri sieno poste piccole lapidi con le antiche iscrizioni incise ne’ depositi … arche suddette sieno otturate, li depositi levati, sieno poste nel muro le lapidi …”

A seguire, nel 1778 vennero atterrate altre arche e depositi nel chiostro dei Frari dalla parte della chiesa, e della chiesetta della Madonna del Pianto. Il 9 aprile ed il 25 maggio il murer Mazzoni Giuseppe rilasciò due perizie per la traslazione di arche tombali per la spesa di 1.030 ducati, e per il restauro del refettorio e dei locali adiacenti per la spesa di 2.430 ducati. Per lo stesso motivo l’architetto Maccaruzzi Bernardino rilasciò una perizia ed una scrittura  per una spesa di 2.600 ducati.
Del 1778-1783 sono una serie di scritture del Perito Caccia Ignazio per uj altro restauro del convento dei Frari, del Proto Maccaruzzi Antonio per il restauro di convento, campanile e chiesa per ducati 18.800 e ducati 11.000, del Perito Cerato Domenico per il restauro del convento e  campanile per ducati 20.470. Un mare di debiti … perciò i Frati della Ca’Granda sollecitarono Girolamo Corner a pagare le rate e le pendenze di un legato del suo antenato Pietro Marcello stipulato nel 1533. Negli stessi anni, Francesco Merlini si offrì di restaurare i due organi del “Barco dei Frati”, ma il Capitolo decise “… per ora accordarli, spolverarli ed accomodare i mantici e niente piu’…” e questo perché i Frati mancavano incredibilmente di fondi.
La Ca’Granda detta anche Santa Maria Maggiore dei Frari in Venezia ospitava ancora 80 frati, e nella Chiesa si contavano 18 altari compresi quelli del Chiostro e della Sacrestia.
Il 18 luglio 1779, Elena Querini raccontò nelle sue lettere.

“… questa mattina cadette dall’alto al basso il refettorio de’Padri dei Frari della Ca’Granda … Fortunatamente non mori’ persona ad anzi prodigiosamente si salvarono tutte le maestranze che vi lavoravano perché un manovale vidde a cadere una tavela, si accorse del precipizio, averti’ i lavoranti che tutti si allertarono ed incontinente precipito’ tutta quella parte …”
Il Senato incaricò subito l’architetto Maccaruzzi di restaurare la sala per destinarla però ad altre funzioni, compreso l’affittarla a terzi per finanziare il convento in crisi economica.
E arrivò la fine di Venezia Serenissima con l’arrivo della disgrazia dei Francesi e Napoleone.

Nel 1796, per non destar sospetto e mantenere un certo riserbo, il Procuratore Francesco Pesaro fece funzioni di Conferente  cioè d’intermediario fra la Legazione Francese ed il Governo Veneziano assieme a Pietro Zen che aveva la stessa carica presso il Ministero Imperiale, ritrovandosi nella portineria del convento degli Scalzi o in una stanza del Convento della Ca Granda dei Frari.
Nel 1797, la Biblioteca di Santa Maria dei Frari contava più di 5.000 volumi. Una delle Guide di Venezia dell’epoca: “Il Forestiere Illuminato” descriveva così la Ca’Granda dei Frari. “ … Il convento della Ca’Granda dei Frari è molto ampio, e questi Padri hanno di fresco eretta una libreria ricca di ottimi e squisiti libri ...”
Sembra inoltre che la biblioteca della Ca’Grande dei Frari possedesse 6.000 volumi in gran folio legati quasi tutti in pergamena alla olandese.

Nel saccheggio Napoleonico del 1810, le biblioteche dei conventi e monasteri passarono in proprietà al Demanio. Alla Ca’Granda dei Frari, i Francesi devastatori trovarono 4.231 libri. I migliori 151 finirono alla Biblioteca Marciana assieme a un manoscritto. Ma molti libri e manoscritti famosi e di pregio erano già stati rubati, nascosti o venduti dagli stessi Frati della Ca’Granda per non darli in mano ai Francesi. Altri 85 libri furono donati al Collegio di Marina di Venezia, 24 libri alla Società Medica di Venezia, 89 libri alla Direzione Generale della Pubblica Istruzione di Milano sezione di Storia d’Italia, 24 libri alla Direzione Generale della Pubblica Istruzione di Milano sezione di Lettere, 9 libri alla Direzione Generale della Pubblica Istruzione di Milano sezione di Filosofia, 159 libri al Seminario di Venezia, 10 libri al Seminario di Concordia, 60 libri al Seminario di Chioggia, 19 libri al Seminario di Comacchio.  Infine, l’8 aprile 1814, 3.600 libri furono venduti come scarti assieme ad altri 14.000 della Salute e 3.111 di San Clemente in isola, a un certo Vianello per stimati 9.745 lire poi pagate 13.000 per volumi 20.611. Altri 59 e poi 22 libri dei Frari in francese e latino furono venduti in precedenza a un certo Giovanbattista Cavallini.

Il 16 maggio 1797, con la capitolazione della Repubblica di Venezia, entrarono in città le truppe francesi. Tutti gli ambienti del convento della Ca’Granda dei Frari furono occupati dai soldati, che vi si accamparono dopo aver cacciato i Frati. Qualche anno dopo, durante la seconda occupazione francese di Venezia, tutto il complesso della Ca’Granda dei Frari fu definitivamente incamerato dal Demanio con tutto quanto conteneva.
L’antica elegante sala gotica del Capitolo dei Frati della Ca’Granda venne intaccata: la tomba del Doge Giovanni Gradenigo del 1356 venne distrutta, e le spoglie gettate alla rinfusa nell'isola ossario di San Ariano dietro all’isole di Torcello, assieme ad altre ossa provenienti da altre chiese soppresse, depredate e distrutte. L'urna vuota del Doge Francesco Dandolo e la lunetta dipinta da Paolo Veneziano andarono a finire al Museo del Seminario della Salute. La sala venne trasformata e resa irriconoscibile, divisa in tre locali e tagliata a metà da un solaio in legno per ricavare altri spazi per il nuovo Archivio di Stato, che la destinò a Sala dei Testamenti.

Fra 1801 e 1808 quell’area del Sestiere di San Polo subì notevoli trasformazioni. Venne interrato il Rio di San Tomà, che separava il complesso dei Frari dalla Contrada di San Stin e da San Giovanni Evangelista, e sulla strada sorta dall’interramento del canale sul fianco della Ca’Granda, si costruì la facciata monumentale d’accesso all'Archivio di Stato.

Il 25 aprile 1810 un decreto Napoleonico soppresse altri 14 conventi-monasteri: i Gesuati sulle Zattere, i Cappuccini del Redentore alla Giudecca, i Somaschi della Salute, i Camaldolesi a San Michele di Murano, i Serviti a San Giacomo alla Giudecca, i Minori Conventuali della Ca’Granda dei Frari, i Filippini della Fava, i Carmelitani Scalzi, i Teatini di San Nicola da Tolentino, i Riformati di San Bonaventura a San Alvise, gli Eremitani di San Clemente in isola, i Domenicani di San Giovanni e Paolo, i Camaldolesi di San Mattia di Murano,e i Girolamini di San Sebastiano. Le loro biblioteche passarono al Demanio, si salvarono solo gli Armenidell’isola di San Lazzaro.

In seguito, dal 1810 al 1813 si abbatté la vicina chiesa di San Stin prete.

Inoltre, sotto le nove imponenti absidi della Ca’Granda dei Frari si estendeva parte del cimitero della Ca’Granda. Napoleone istituì il“Nuovo Cimitero Generale di Venezia nell’isola di San Michele” nel quale dovevano essere sepolti  i nuovi morti e raccolti tutti quelli inumati in precedenza nelle chiese della città.
Dal 1826, su quel terreno liberato dai morti, il Demanio fece costruire alcune modeste casette a ridosso di tre absidi e della Sacrestia della Ca’Grande. All'Archivio di Stato servivano ulteriori spazi, perciò si sfrattò mettendoli in quelle casupole, il parroco dell'epoca: don Pietro Pernion e i vecchi Fabbriceri della Ca’Granda. Fortunatamente vennero demolite negli anni 1901-02.
Nel febbraio del 1807, il Guardiano Grande della Ca’Granda Angelo Maria Ridolfi scriveva così al Prefetto di Venezia.

“… i Frati Conventuali dei Frari sono senza sostanze e senza beni, senza assegnamento pel culto e più senza pensione per il necessario quotidiano vitto …”

Come risposta, qualche anno dopo la comunità religiosa dei 40 frati fu sciolta, e il convento venne adibito a caserma. La chiesa divenne parrocchia affidata a preti diocesani del Patriarca, raggruppando e unificando il territorio e le anime delle vecchie soppresse parrocchie delle antiche contrade vicine di San Stincon 980 persone, San Tomà con 900 persone, San Polo con 2.000, San Agostin con 800, San Boldo con 500. Nell’occasione si voleva anche smantellare il “Barco del Coro dei Frati”.

“… volendola parrocchia converrebbe demolire il coro che sta in centro della chiesa …”

La popolazione della Parrocchia dei Frari diventò così di 5.200 persone, e usufruì di lire 1639,17 fra redditi fondiali e redditi di stola.
Nel 1815, quel che restava dello sconquassato ex Convento della Ca’Granda dei Frari, venne trasformato in Archivio di Stato, dove si concentrò l'enorme raccolta di documenti dell’antica storia della Serenissima Venezia da prima dell’anno 1000 fino alla sua caduta alla fine del 1700.

Alla visita del Patriarca Pirker nel 1821 si notò che la neoparrocchia dei Frari aveva una popolazione fra le 5.200 e 6.000 anime di diversa condizione, le vicine chiese di San Stin e San Agostino erano chiuse e quasi demolite, esistevano alcuni Oratori di privati: presso il Vicario, presso le monacheCorner, Gradenigo e Briatied alcune Cappuccine, presso le famiglie Barbarigo, Del Tull, Donà, Grimani, Molin, Persico, Pisani, Renier, Sanduo, Tiepolo, Zen, Antippa, Fontana, Gariboldi, Imberbi, Ransanicci, e Revedin.
Ciò nonostante, ruotavano intorno a quel che restava dell’antica Ca’Granda: 42 sacerdoti e 3 chierici. Le rendite della “Fabbrica” erano in grave sbilancio con entrate per 15.187 franchi ed uscite molto superiori. Si celebravano comunque 4.029 messe perpetue di cui 2.160 di pubblica sovvenzione, 5 esequie-anniversari e 5.000 messe avventizie l’anno.

Trascorsi e cambiati i tempi, nel 1825 il Crocifisso Miracoloso, mutilato e ridipinto, fu collocato in disparte sopra una porta laterale della chiesa.

1836 la popolazione della Parrocchia dei Frari totalizzava 5.800 persone. Quattro anni dopo un fulmine colpì la copertura del campanile, che venne rifatta, mentre si restaurò numerose volte la Cappella Corner.

Nell’ottobre 1861 Venezia venne frammentata in Decanie. Quella di San Silvestro, guidata dal parroco Tessarin dell’ex Ca’Granda, detta ora solo “Frari”, comprendeva tutta una serie di antiche contrade e parrocchie coagulate e unificate fra loro, cancellando la loro tipicità, autonomia, autosufficienza e originalità. Si trattava delle ex contrade diSan Silvestro, San Simeon, San Cassian, Santa Maria Graziosa dei Frari, San Jacopo dell’Orio, San Nicola da Tolentino.

Il 4 aprile 1867, al parroco Antonio Tessarin dei Frari vennero sequestrati tutti i beni residui della Ca’Granda in cambio di una Congrua-assegno annuale di 700 lire. Dovette rinunciare alla proprietà di 4 case con botteghe nella zona di San Polo, e alla proprietà di altre 3 case sempre in zona San Polo-San Agostin. In seguito, sempre lo stesso don Antonio Tessarin Parroco dei Frari, fu fra i firmatari di una petizione all’Austria per far abolire la Commissione per la gestione degli ex beni Capitolari ed ecclesiastici ridotti ormai ad un terzo dell’originale.

Dieci anni dopo, cedettero le fondazioni del campanile, che venne restaurato in fretta e furia.

Nel 1885 il Parroco informò il Patriarca che fra i 5.000 abitanti dei Frari si notavano 2.100 inconfessi e 4.000 anime da Comunione.

Nel corso dell’ultimo secolo e l’inizio del seguente, chiesa e campanile vennero più volte sottoposte a radicali interventi di restauro per garantire staticità e ripristino dello splendore artistico.

Nel 1922 ritornarono i Frati Minori Conventuali. Dal 1962 al 2006 gli abitanti e il numero delle famiglie dei Frari scesero progressivamente sotto le 5.000 unità, poi 3.800 e fin sotto le 2.757, distribuite fra le 1.459, e poi 1.000 e ancor meno famiglie. Anche la Parrocchia dei Frari langue e si spopola insieme a tutta la città lagunare.

Dell’antica Ca’Granda dei Frari si sono perse le tracce e la memoria ...  Quasi come un sussulto dal passato, nel 2012,  un certo Stefano Dei Rossi ha pubblicato un romanzo: “UN NIDO” sulle numerose vicende misteriose e fantasiose accadute un tempo nella Ca’Granda dei Frari.


Ma si tratta solo di “un fragile sussulto quasi silenzioso … un fremito proveniente dal tempo andato ...”


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